presieduta da fr. Felice Cangelosi

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presieduta da fr. Felice Cangelosi
Anniversario della Vestizione di San Pio da Pietrelcina
Omelia
(Morcone, 22 gennaio 2013)
Carissimi fratelli e sorelle,
1. Seguendo una lodevole consuetudine, voi ricordate ogni anno gli eventi più significativi della vita del nostro santo Confratello, Padre Pio da Pietrelcina. Esprimere, anche in questo modo, la vostra specifica missione di custodire e trasmettere l’eredità spirituale che Egli ci ha lasciato.
E così, ogni anno, in questo giorno ci si ritrova a Morcone per ricordare la vestizione religiosa di Padre Pio, avvenuta in questo convento il 22 gennaio 1903.
Il Provinciale ha voluto che fossi io a presiedere questa celebrazione. Ringrazio
vivamente p. Francesco, che ancora una volta ha voluto esprimermi la sua stima e
il suo affetto fraterno.
2. Secondo l’uso stabilito nella Regola di san Francesco, il 22 gennaio 1903 p. Pio
ricevette i cosiddetti “panni della prova”: la tonaca senza cappuccio con il cingolo
e il capperone; e iniziò l’anno di noviziato.
Il rito della vestizione non ha solo lo scopo di inaugurare una tappa formativa.
Esso ha in se stesso un particolare significato per il suo valore simbolico. Il rito
della vestizione implica la deposizione del vestito usuale per assumerne uno nuovo: è spogliazione e vestizione allo stesso tempo.
A questo proposito vorrei ricordare la riflessione che p. Rupnik faceva lo scorso
anno a San Giovanni Rotondo durante la settimana sulla Riconciliazione. Egli ricordava che per il cristiano il vestito non è tanto questione di costume o di moda,
né è una questione morale. Per noi il vestito è questione ontologica. E in effetti,
secondo la concezione biblica, l’abito non è casuale, ma riflette qualcosa
dell’intima essenza dell’individuo, l’abito è una specie di alter ego. Da ciò consegue che, per un religioso, il rito della vestizione si pone come richiamo e stimolo
a un profondo cambiamento: un vero e proprio cambiamento di personalità, perché questo richiede la esigente sequela di Cristo.
3. Il nuovo abito si distacca dai vestiti soliti per la sua forma tutta particolare.
Quello di san Francesco, ci ricordano oggi le nostre Costituzioni, fu un abito di
penitenza, fatto a forma di croce. Quando p. Pio, il 22 gennaio 1903 fece qui la vestizione, le Costituzioni dicevano esattamente: “L’abito nostro rappresenti la forma della croce, e noi ci riconosciamo essere crocifissi al mondo, ed esso a noi”.
In tutta verità, e senza alcun timore di esagerazione, si può affermare che mai,
come nel caso di p. Pio, questa istanza programmatica delle Costituzioni ha avuto
pieno adempimento in lui. Le Costituzioni si richiamavano alla lettera ai Galati,
precisamente al brano della prima lettura della Messa di p. Pio, oggi proclamato.
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4. Per me non ci sia altro vanto.
La pericope è collocata alla fine della lettera ai Galati, è l’epilogo autografo scritto
a grandi lettere dalla mano stessa di s. Paolo, che continua a polemizzare con i
giudaizzanti, fautori della circoncisione, i quali volevano imporre tale pratica anche ai pagani convertiti al cristianesimo. I giudaizzanti – dice Paolo – vogliono fare bella figura nella carne, e vogliono avere un motivo di vanto nella “vostra” carne, cioè nella circoncisione di voi che dal paganesimo passate alla fede cristiana.
Al vanto della circoncisione, il vanto della carne o nella carne, Paolo ne oppone
un altro: “per me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù
Cristo”.
Come è possibile vantarsi della croce, se la crocifissione era il più umiliante, il più
vergognoso di tutti i supplizi? Il suo scopo era proprio quello di esporre il condannato al ludibrio pubblico. E Gesù crocifisso è stato effettivamente schernito e
insultato da tutti quelli che passavano. L’evangelista san Luca, nel suo racconto
della passione, parla di “tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo”
(Lc 23,48).
Solo sorpassando le apparenze e riconoscendo nella Croce di Cristo l’attuazione
di un disegno divino, è possibile vantarsene. Contemplando la croce di Gesù, Paolo scopre in essa un’opera sublime di amore: “Mi ha amato e ha dato se stesso per
me” (Gal 2,20; cfr. Ef 5,2.25). Tale prodezza dell’amore racchiude una meravigliosa
fecondità: “Diventando per noi maledizione, Cristo ci ha liberato dalla maledizione della legge” (Gal 3,13), perché la sua morte in croce ha prodotto per lui stesso –
e anche per noi – una nuova vita, che non è più soggetta alla legge (cfr. Gal 2,19).
Dio, infatti, “l’ha risuscitato dai morti” (1,1) e l’ha fatto “Signore” (1,3; cfr. Fil 2,811), “Signore nostro” (Gal 6,14.18). Ogni credente può ormai esclamare: “Vivo, non
più io, ma vive in me Cristo” (2,20), e questo lo conduce a vantarsi nella Croce di
Cristo.
5. Nel vanto della Croce.
Fu questo il titolo di un articolo de L’Osservatore Romano, pubblicato
all’indomani della Canonizzazione di P. Pio, nel 2002. Si faceva riferimento
all’Omelia del papa Giovanni Paolo II che aveva detto: “Non è forse proprio il
"vanto della Croce" ciò che maggiormente risplende in Padre Pio? Quanto attuale
è la spiritualità della Croce vissuta dall'umile Cappuccino di Pietrelcina! Senza
questo costante riferimento alla Croce non si comprende la sua santità”.
6. Per me il mondo è stato crocifisso e io per il mondo.
Per mezzo della croce, è stata prodotta una rottura radicale, che vale per Cristo,
ma vale anche per i credenti. Per questo Paolo afferma: “Per me il mondo è stato
crocifisso e io per il mondo” (6,14).
Il mondo di cui parla Paolo sono le forze del male, che si sono accanite sul corpo
mortale di Cristo, si sono attaccate a questo corpo. Sono state quindi crocifisse
con esso, e la crocifissione ha avuto come risultato quello di renderle impotenti.
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Nell’evento del Calvario è avvenuta la loro distruzione. Infatti, scrive san Paolo,
“il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso impotente il
corpo del peccato” (Rom 6,6; cfr. Rom 8,3; Col 2,14). In un certo senso, quindi, il
mondo è stato inchiodato alla croce di Gesù, per essere vinto nella stessa croce.
Quindi Paolo ha rotto col mondo; il mondo ha rotto con Paolo, perché è stato
crocifisso con Cristo (2,19).
Anche in Padre Pio si è realizzato il rigetto reciproco descritto da san Paolo: il
mondo è stato crocifisso per Padre Pio, e Padre Pio è stato crocifisso per il mondo. Tutto ciò perché “in tutta la sua esistenza, p. Pio ha cercato una sempre maggiore conformità al Crocifisso, avendo ben chiara coscienza di essere stato chiamato a collaborare in modo peculiare all'opera della redenzione. Nel piano di Dio, la Croce costituisce il vero strumento di salvezza per l'intera umanità e la via
esplicitamente proposta dal Signore a quanti vogliono mettersi alla sua sequela
(cfr Mc 16, 24)”.
P. Pio ne era talmente consapevole da scrivere: "Per arrivare a raggiungere l'ultimo nostro fine bisogna seguire il divin Capo, il quale non per altra via vuol condurre l'anima eletta se non per quella da lui battuta; per quella, dico, dell'abnegazione e della Croce" (Epistolario II, p. 155).
7. Per P. Pio, dunque, la vestizione ha significato realmente l’impegno a rivestirsi
di Cristo, cioè ad assumere i sentimenti di Cristo Gesù, di Colui che dall’esistenza
divina è passato alla condizione di Servo. Assumendo gli umili e ruvidi panni della prova nell’Ordine Serafico, p. Pio si rivestì realmente del Crocifisso. E se il vestito è prolungamento del corpo, è da dire che la realtà di Cristo Crocifisso si è
prolungata in p. Pio, ha preso corpo nel corpo di P. Pio. Perciò egli, dopo qualche
anno e per circa 50 anni, è apparso con le stimmate di Gesù nel suo corpo.
8. D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stimmate di Gesù nel
mio corpo.
Questo è il penultimo versetto della lettera ai Galati. Prima di scrivere l’augurio
finale, san Paolo esprime una commovente richiesta, in cui manifesta tutta la sua
stanchezza alla fine del combattimento condotto nella stessa lettera. Egli chiede
di essere ormai risparmiato e dà come motivo che porta nel suo corpo i segni di
Gesù.
La vicenda storica di padre Pio testimonia a sufficienza che egli non venne risparmiato dal combattimento: le stimmate furono per lui motivo di sofferenza fisica e interiore, furono anche motivo di vergogna. Oltre a ciò, spesso durante la
sua vita di stigmatizzato gli venne a mancare quel profondo rispetto che pure avrebbe meritato la sua singolare partecipazione alla passione di Cristo. A buon diritto egli avrebbe potuto dire e forse l’ha pure detto: nessuno mi procuri fastidi.
Ma di fastidi e incomprensioni egli ne ebbe a subire tanti. In lui, come in san
Francesco, ci è stata mostrata la forma del vero discepolo di Cristo, del discepolo
che non è più grande del Maestro e che ha subìto la stessa sorte del Maestro: “se
hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi …” (Gv 15,20).
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Perciò la vestizione di P. Pio si può interpretare come una investitura; significò
per lui l’abilitazione a espletare una singolare missione di sofferenza e di dolore;
fu la visibilizzazione esterna della sua interiore tensione conformativa e trasformativa, del suo incontenibile protendersi, per amore, a essere crocifisso con Cristo, a non essere più lui a vivere, ma Cristo a vivere in lui.
9. Le nostre Costituzioni, sempre a proposito del nostro abito religioso, ci ricordano l’impegno a rivestirci di Cristo, mite ed umile, per essere minori, non falsi, ma
realmente tali.
Lo sguardo, quindi, va portato su Colui che si definì mite e umile di cuore, e che
invitò i poveri, oppressi dai fardelli dei farisei, ad andare da lui: “Venite a me …
Prendete il mio giogo sopra di voi. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11, 30).
Queste parole di Gesù, diceva Giovanni Paolo II, possiamo considerarle, in un
certo senso, come una magnifica sintesi dell'intera esistenza di Padre Pio da Pietrelcina. L'immagine evangelica del "giogo" evoca le tante prove che l'umile cappuccino di San Giovanni Rotondo si trovò ad affrontare. Oggi contempliamo in
lui quanto sia dolce il "giogo" di Cristo e davvero leggero il suo carico quando lo si
porta con amore fedele. La vita e la missione di Padre Pio testimoniano che difficoltà e dolori, se accettati per amore, si trasformano in un cammino privilegiato
di santità, che apre verso prospettive di un bene più grande, noto soltanto al Signore.
10. Questa è la risposta all’amore di Dio per noi, considerando che in realtà la
prima spogliazione e vestizione l’ha compiuta Gesù, il Verbo eterno del Padre. Egli non reputò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, e si rivestì della nostra fragile umanità.
Il Figlio di Dio – Dio vero da Dio vero – ha lasciato il suo splendore divino: "…
spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso … fino alla morte di croce" (cfr Fil
2,6ss). Dio ha – come dicono i Padri – compiuto il sacrum commercium, il sacro
scambio: ha assunto ciò che era nostro, affinché noi potessimo ricevere ciò che
era suo, divenire simili a Dio.
È quanto si compie nel Battesimo: "Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete
rivestiti di Cristo" (Gal 3,27). Cristo ci dona i suoi vestiti e questi non sono una
cosa esterna. Significa che entriamo in una comunione esistenziale con Lui, che il
suo e il nostro essere si compenetrano a vicenda. Cristo ha indossato i nostri vestiti: il dolore e la gioia dell’essere uomo, la fame, la sete, la stanchezza, le speranze e le delusioni, la paura della morte, tutte le nostre angustie fino alla morte. E
ha dato a noi i suoi "vestiti".
Dal battesimo, nel quale ci è donato il nuovo essere, deriva un compito permanente: "Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima! … [Dovete] rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera" (Ef
4,22-26).
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Letto con la lente delle nostre Costituzioni, ciò significa: “seguendo l’esempio di
san Francesco, dobbiamo impegnarci con tutte le forze a diventare buoni e non
soltanto ad apparire tali, ad essere coerenti nel parlare e nell’agire, sia fuori che
dentro le nostre case. Considerandoci “minori e sottomessi a tutti”, come ammonisce la Regola, riserviamo agli altri stima e onore”.
Seguendo l’esempio di san Francesco, ma c’è da aggiungere: seguendo l’esempio
di Padre Pio. P. Pio è stato un modello di coerenza. Egli ci ha mostrato la nostra
identità, e l’identità consiste nell’essere identici, unificati in noi stessi, non dissociati e senza alcuna doppiezza. L’identità esige l’autenticità ossia la verità-realtà.
11. E finalmente un’ultima considerazione, richiamandoci ancora al valore ontologico del vestito in quanto prolungamento del corpo, secondo l’antropologia biblica. La Scrittura ci riferisce che nel paradiso terrestre Adamo ed Eva erano nudi, e
non provavano vergogna (Gen 2,25). Nello stato originario di perfezione l’uomo
non aveva bisogno di alcun abito che lo coprisse, poiché – secondo una spiegazione più tarda – egli era rivestito della luce divina.
Poi venne il peccato, e con il peccato entrò la malizia, che Adamo ed Eva sentono
in modo prepotente nella loro nudità. Ma Gesù, nella sua Croce ha crocifisso il
mondo e ha distrutto il peccato. Il Battesimo, quindi, incorporandoci a Cristo, ci
ha rivestiti della sua luce e ci ha riportato alla innocenza originaria.
La vita consacrata, esprimendo l'intima natura della vocazione cristiana, ha il
compito di rendere visibile tutto questo. Perciò la Chiesa proclama: Nei tuoi santi
che hanno dedicato la loro vita a Cristo, noi celebriamo, o Padre, l’iniziativa mirabile del tuo amore, poiché tu riporti l’uomo alla santità della sua prima origine
e gli fai pregustare i doni che a lui prepari nel mondo rinnovato (Prefazio dei santi religiosi).
In questa espressione della Liturgia troviamo la più bella sintesi teologica della
vita consacrata; essa è un segno, che rende attuale la situazione originaria
dell’uomo prima del peccato e che anticipa l’eschaton. In questo contesto, l’abito
religioso si pone quasi come un memoriale, serve a ricordarci ciò che siamo diventati con la professione religiosa per tenerlo sempre dinanzi agli occhi e custodirlo nel nostro cuore.
La celebrazione dell’anniversario della professione di Padre Pio ci aiuti, dunque, a
ravvivare il dono della nostra vocazione. Per questo vogliamo pregare il Signore,
affidandoci alla intercessione del nostro Santo Confratello.
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