scaricando

Transcript

scaricando
la fonte
MARZO 2010
ANNO 7
N 3
periodico dei terremotati o di resistenza umana
€ 1,00
a
t
s
po
Carissimo
don Antonio,
ho ingrandito e fotocopiato la copertina di la fonte 11.
Azzeccata! E anche
incomprensibile a
tanti cristiani. Brutto segno. Davvero il
Crocifisso non è i
crocifissi? È dunque cristiano onorare il primo inchiodare al loro posto
i secondi?
Oggi pensavo a lei. Berlusca dice
che il suo governo ha rispettato
sempre i valori cristiani. Ma sa
quali sono? Don Verzé benedice il
sangue di Berlusca che - più o meno - ci santifica tutti, anche se lui
(B) non è un santo.
Ma voglio fermarmi a quel segno
di speranza che è il Bambino donatoci. Guardandolo vi penso, amici.
Siamo nella stessa barca di alluvionati / terremotati e, speriamo,
resistenti.
Con affetto e auguri a tutti gli amici.
Felice Scalia S.J.
Messina 24.12.2009
Carissimo,
oggi ho avuto più tempo (pioggia e
neve) per leggere il tuo giornale.
Grazie per il tuo coraggio, è una
bella sferzata all’ignavia… il potere
ha addormentato tutti.
Elio Benedetto
Palata
zare, se vi fosse gradita, sul prossimo numero di la fonte:
"incrementa
l'energia
eolica in Puglia: aumenteranno i mulini a ... Vendola..." saluti.
paolo d.
[email protected]
Direttore responsabile
Antonio Di Lalla
Tel/fax 0874732749
La rivolta di Rosarno
Raccoglievano mandarini.
erano giovani africani
giunti a Rosarno
per il lavoro stagionale.
Lì, avevano trovato l’inferno:
sfruttamento e degrado,
una vita disumana.
A sera, sui giacigli,
ai ragazzi bruciava, umiliato,
il cuore dell’Africa.
Sognavano le loro capanne,
ruminavano pensieri di libertà.
Così si sono ribellati.
Un branco di leoni, in cerca di prede,
ruggendo con spranghe e bastoni,
hanno colpito, ferito, dato fuoco,
messo a soqquadro la città.
Poi è tornata la calma.
Gli stranieri cacciati, dispersi,
relegati in campi di accoglienza.
Una scintilla è stata accesa,
rivendicata la dignità di uomini.
Una schiera di angeli neri
muniti di spranghe a mò di spade
venuti a combattere il Drago.
Ma la realtà è più complessa.
È una lotta senza vincitori né vinti.
Tutti vittime di un sistema iniquo.
Ora Rosarno vive in narcotica quiete,
e negli agrumeti è silenzio.
Marciscono sugli alberi i frutti.
Verrà la primavera.
Riporterà il profumo delle zagare.
Lina D’Incecco
Vi suggerisco una boutade da utiliz-
Il tuo sostegno ci consente di esistere
la fonte
ABBONAMENTI PER IL 2010
ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI
€ 10,00
€ 20,00
€ 30,00
2
la fonte
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
Redazione
Dario Carlone
Domenico Ciarla
Domenico D’Adamo
Annamaria Mastropietro
Maria Grazia Paduano
Segreteria
Marialucia Carlone
E-mail
[email protected]
www.lafonte2004.it
Quaderno n. 60
Chiuso in tipografia il
21/02/10
Tiratura: 1.000 copie
Stampato in proprio
Autorizzazione Tribunale di
Larino n. 6/2004
Abbonamento
Ordinario
€ 10,00
Sostenitore
€ 20,00
Autolesionista € 30,00
Estero
€ 30,00
ccp n. 61720645
Intestato a:
Ass. C.T.B.
Periodico la fonte
86040 Ripabottoni (CB)
sete di giustizia
Antonio Di Lalla
Si può parlare di giustizia senza
nominare Berlusconi? E all’inverso, si può
non trattare di giustizia per non parlare del
presidente del consiglio? Un binomio ormai inscindibile che da anni tiene inchiodato il parlamento, costretto ad ingoiare
lodi e porcherie varie. Il paradosso è che
Berlusconi ha ragione quando dice che la
giustizia funziona poco e male, e i giudici
non hanno torto nell’affermare che il
premier deve essere sottoposto a giudizio
come tutti i comuni mortali, poiché
non ci può e non ci deve essere
nessuno che infrange la legge e la
fa franca o che addirittura si pone al
di sopra di essa per cui non può
essere perseguito, processato e
eventualmente condannato. Chi
oggi si meraviglia di Bertolaso e di
come funziona la protezione civile
non ha ancora capito nulla di Berlusconi il quale non a caso immediatamente ha fatto quadrato intorno all’incarnazione più completa e
all’interpretazione più autentica del
suo sistema. La stessa proposta di
farlo ministro non era un tentativo
di toglierlo dalla graticola, prima
che esplodesse il marcio?
Il rischio da parte nostra è l’assuefazione. A tutto. Dagli incidenti alle
catastrofi, dalle furbate alla delinquenza
organizzata, dai soprusi agli scandali ormai
inghiottiamo tutto con una capacità digerente davvero impressionante. Più nulla ci
stupisce, nausea, indigna.
A uscire da questo intorpidimento per gridare la nostra fame e sete di giustizia non ci aiuta né il diritto romano che,
asserendo summum ius, summa iniuria
(somma giustizia è grandissima ingiustizia), porta a un relativismo pericoloso, né il
cristianesimo che, poggiando su un processo iniziato male e finito peggio con la condanna a morte di un innocente e la liberazione di un malfattore, apre allo scetticismo nei confronti della giustizia giusta,
come si suol dire. Ma questo rafforzativo
non allude così alla possibilità antitetica di
una giustizia ingiusta?
Eppure quel condannato senza
colpa alcuna diventa voce dei senza voce.
La sua parola suonerà male per tutti coloro
che hanno troppa voce. Il suo ricordo non
lascia riposare in pace, nonostante i tentativi di mettere la sordina facendo incedere a
braccetto trono e altare, il cavaliere e il
cardinale. I crocifissi della storia continuano a identificarsi con quello del Golgota. Il
24 marzo di trent’anni fa veniva assassinato Oscar Romero, simbolo di tutti i perseguitati in odio non alla fede, ma alla giustizia. “Certamente ho paura, risponde in una
delle ultime interviste, come ogni essere
umano; ma sono disposto a morire per il
mio popolo. E lo dico senza superbia, senza arroganza, con molta umiltà: sono certo che, se muoio, risusciterò nel popolo del
Salvador”.
Un presupposto basilare del diritto è: unicuique suum (a ciascuno il suo).
Lo abbiamo proclamato e interpretato sempre in modo funzionale al nostro sistema di
vita, per cui ha finito per legittimare interessi e proprietà, i forti contro i deboli,
tanto che i ricchi se ne sono fatto scudo per
difendere i privilegi carpiti o usurpati. Proviamo per una volta a leggerlo con gli occhi di chi non ha il suo, di chi forse non
l’ha mai avuto,
dalla parte del
miliardo di persone che soffrono la fame,
dalla parte dei 25 mila bambini che muoiono ogni giorno di fame, dalla parte degli
800 milioni di adulti non alfabetizzati,
dalla parte di chi non ha lavoro, di chi l’ha
perso, di chi è costretto ad espatriare, di chi
non ha documenti, di chi è sfruttato o
schiavizzato… La fanciulla di Nazaret con
la sua fede tutt’altro che remissiva continua
a indicarci il Dio che ha rovesciato i potenti dai troni, che ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Chi detiene il potere tenta di narcotizzarci in tutti i modi proponendo ricchezza, fascino e furbizia come ideali. Anzi è l’uomo
più ricco d’Italia a proporsi ed
essere accolto come mito per la
metà della nazione, come mitomane per l’altra parte (pur tentata
da nostalgie). Alla gente comune
non resta che le domande a premio o i pacchi con la sorpresa, il
superenalotto o le lotterie per
eguagliarlo. Poi ci meravigliamo
che la droga mieta sempre più
vittime soprattutto fra i giovani, come in
questi giorni a Campobasso. Non abbiamo
ricette, ma vorremmo coinvolgerli e renderli partecipi della nostra sete di giustizia
che ci fa pretendere che tutti siano uguali
nei confronti della legge, che i tribunali
siano messi in condizione di funzionare,
che i processi siano rapidi e che nessuno si
sottragga, ma ci fa anche gridare accanto ai
marginali, agli sfruttati, agli schiavizzati,
agli immigrati divenuti delinquenti per
decreto perché siano riconosciuti i loro
diritti.
Il primo marzo ci troverà con gli
immigrati nelle piazze d’Italia perché tutti i
giorni lottiamo con loro affinché la dignità
di ogni persona a prescindere dal colore
della pelle o dai timbri sui passaporti sia
salvaguardata sempre, da chiunque e comunque. ☺
abbiamo un sito nuovo (grazie a Velio Petrucci) è tutto da riempire. sono gradite visite e suggerimenti
www.lafonte2004.it
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
20
3
spiritualità
uno straniero chiede giustizia
Michele Tartaglia
C’è un elemento che accomuna
le conseguenze dell’attività e l’esito della
vita di molti profeti, compreso Gesù: la
persecuzione non viene da nemici di Dio,
ma dall’alleanza tra il potere esercitato in
nome di Dio e i gestori del culto. Nella
quasi unanimità dei casi si trattava di un
controllo esercitato su membri dello stesso
popolo, in quanto i profeti erano sudditi dei
potenti che denunciavano. C’è tuttavia
l’eccezione di un uomo che profetizzava in
terra straniera, denunciando le ingiustizie
commesse nel paese che lo ospitava: si
tratta di Amos. Questo profeta era originario del regno del sud, o regno di Giuda, ma
sentì l’impulso di andare nel regno di Israele e lì profetizzare presso il santuario più
importante, Betel. Leggendo il libro di
Amos, si capisce perché quel profeta, seppure ospite, si scagliava contro i detentori
del potere: l’ingiustizia era diventata la
regola nel governo, aumentava sempre di
più la distanza tra chi possedeva ricchezze
e le usava per soddisfare tutte le proprie
pulsioni e chi invece, ed era la maggioranza, faceva fatica a sopravvivere. Amos
ricorda ai capi del popolo che il regno è
nato da un atto di liberazione compiuto da
Dio e deve avere come punto di riferimento la legge donata da Dio stesso, quella
legge che parla di attenzione agli ultimi.
Invece i vertici dello stato e i loro gregari
hanno adottato uno stile di vita che produce una forte sperequazione sociale ed economica.
Alla denuncia di Amos risponde,
come spesso capita, chi gestisce il culto,
cioè il sacerdote Amasia, che prima denuncia Amos e poi, in nome del re, lo espelle
dal regno. Sentiamo il racconto: “Amasia,
sacerdote di Betel, mandò a dire a Gero-
4
boamo, re d’Israele: ‘Amos congiura contro di te, in mezzo alla casa di Israele, il
paese non può più sopportare le sue parole’… Amasia disse ad Amos: ‘Vattene,
veggente, ritirati nella terra di Giuda; là
mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché
questo è il santuario del re ed è il tempio
del regno” (Am 7,10-13). Amos viene
delegittimato da Amasia in quanto è uno
straniero che pretende di parlare nel cuore
del sistema e quindi gli viene ricordato che
non ha diritto di parlare, né, potremmo
parafrasare, di rubare il pane, in quanto
non appartiene al popolo. In realtà il motivo è la critica al potere, ma fa comodo
screditare chi parla in nome di una presunta diversità che toglie il diritto di parola. Il
libro di Amos non racconta come hanno
reagito i sudditi del regno, quei poveri
calpestati di cui il profeta parla a più riprese, ma forse potremmo pensare che se è
dovuto arrivare uno da fuori per denunciare le ingiustizie, forse quel popolo era già
anestetizzato dalla retorica dei capi, spalleggiati da un potere religioso che ammantava di sacro la pratica dell’ingiustizia.
Forse, chissà, quei poveri derelitti hanno
anche applaudito la scomunica fatta da
Amasia, in quanto vedevano in Amos lo
straniero che veniva a togliere loro il pane,
anziché rendersi conto che l’origine della
malattia era nella spregiudicata politica di
quei capi che, come dice Amos nel suo
libro, “canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti
musicali; bevono il vino in larghe coppe e
si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano” (Am 6,5-6).
Amos è lo straniero che prende
consapevolezza
dei soprusi di cui è
oggetto, e tale
presa di coscienza
lo rende solidale
verso coloro che
subiscono come
lui, anche se per
cause diverse, la
tracotanza
del
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
potere; eppure non è capito, resta il profeta
solitario perseguitato perché molte volte
l’ingiustizia non è solo causata dall’egoismo dei pochi, ma dalla connivenza e
dalla rassegnazione dei molti che, anziché
fare corpo per rivendicare i propri diritti, si
chiudono nell’illusoria difesa dei propri
interessi, scaricando fuori di sé la colpa di
quanto accade e di cui spesso si è più o
meno inconsapevolmente complici. Il tentare la fortuna nelle giocate d’azzardo,
inseguire il sogno di un quarto d’ora di
celebrità, l’impostare i ritmi della propria
vita sui tempi dello shopping, il circondarsi
di gadget e orpelli, che provengono spesso
da depredazioni del sud del mondo, non
sono forse tutte forme di rafforzamento di
un potere che produce vite di scarto che a
loro volta tentano di sopravvivere correndo
verso il miraggio di un riscatto e verso la
concreta possibilità di mangiare che il
mondo opulento possiede? Anche il regno
del nord verso il quale Amos era emigrato
era produttore di una ricchezza che il regno
del sud si sognava e che forse ha fatto scattare in Amos la voglia di un lavoro più
redditizio, vista la sua origine di imprenditore che, a causa dell’endemica povertà del
sud, pensava di rifarsi al nord. È lì che,
guardando la corruzione di quella società,
avrà sentito il brivido dell’indignazione
che lo ha portato ad avere l’irrefrenabile
voglia di parlare e denunciare un sistema
che diceva di onorare Dio ma calpestava i
princìpi della sua legge.
Amos oggi diventa il simbolo
degli stranieri che si fanno carico non solo
di far muovere l’economia, ma anche di
svegliare dal torpore i cittadini nativi che
avallano lo stravolgimento del diritto pur di
inseguire il sogno di uno standard di vita
che in realtà produce una miseria di ritorno, a causa dell’indebitamento crescente,
trovando poi, negli stranieri, il facile capro
espiatorio dei propri mali. Sappiamo che la
storia non ha dato ragione ad Amasia ma
ad Amos, che vedeva nella continuazione
di quello stile omicida la causa principale
della caduta del regno. Non sarebbe male
per noi oggi, anziché fare vani richiami alle
radici giudeo-cristiane dell’occidente contro le altre culture, prendere sul serio la
denuncia dei profeti per non commettere
gli stessi fatali errori. ☺
[email protected]
cultura
Sempre le generazioni adulte
hanno guardato con scetticismo, se non
con sospetto, al nuovo che avanza. Il nuovo che l’Italia sta sperimentando ormai da
sedici anni è una dissolvenza, una nebbia
in cui tendono sempre più a sbiadire valori
forti e per contro ad affermarsi la crisi dello
stato sociale, la incapacità di distinguere il
giusto dall’ingiusto, la negazione del dissenso, ma soprattutto la diserzione civile di
fronte allo spettacolo del disastro.
Impegno è diventata una parola
spregiativa e chi la nomina fa la fine di
quel soldato di cui narra uno dei più prestigiosi filosofi del nostro tempo, Karl R.
Popper, di quel soldato appunto, che un bel
giorno si ritrovò da solo a marciare al passo, mentre tutti gli altri erano nel disordine
e nella confusione.
Orgoglio e presunzione quelli del
soldato “solista”? Tralasciando l’analisi
scientifica che Popper fa seguire a questo
esempio, va riconosciuto al militare il merito per aver osato dissentire dal suo battaglione.
Dissentire: altro termine vietato.
Perché chi dissente si pone fuori da una
mischia che sempre e concordemente urla
le proprie convinzioni.
Torna alla mente un altro
“solista”, quel cavaliere inesistente di Italo
Calvino dietro la cui bianca armatura si
nasconde una coscienza sempre vigile e
una tenace volontà di combattere.
Il romanzo, è bene ricordarlo,
vede protagonista un guerriero modello, il
cavaliere Agilulfo, che non possiede un
corpo, ma solo un’armatura che gli consente di essere perfettamente efficiente nei
rituali ma lo priva dell’anima, che lo fa
apparire impeccabile e allo stesso tempo
inafferrabile.
La situazione che stiamo vivendo
ci costringe a percepirci “solisti” quando
sarebbe più opportuno confrontare le opi-
il soldato solo
Annamaria Mastropietro
nioni, valutare insieme vantaggi e svantaggi di una situazione, riconoscere i reciproci
errori ed impegnarci insieme per rivitalizzare istituzioni pseudodemocratiche che
populisticamente esercitano il potere solo
con decisioni a maggioranza. Se si prendesse atto dell’esistenza del carattere etico
della vita democratica, si uscirebbe da
quella situazione di scoramento che prende
quando la violenza e il clamore dei fatti ci
sommerge. Cosa può il singolo a fronte
della corruzione dilagante che pervade tutti
i settori della vita pubblica? È possibile
porre un freno alla corruzione morale?
Solo se lo Stato torna ad essere il primo
garante della legalità può porre un argine ai
due disvalori imperanti: quello della separazione e dell’annientamento. È inaccettabile assistere quotidianamente alla trasgressione della legge, al trionfo della furbizia,
della disonestà, del cinismo e dell’avidità.
Se ci si guarda intorno, ammesso
che sia ancora possibile incrociare uno
sguardo, si incontrano volti inespressivi. E
gli occhi, un tempo specchio dell’anima,
assomigliano sempre più a quelli di una
rana.
La similitudine va spiegata: l’occhio della rana percepisce solo il movimento per cui l’animale può morire di
fame in mezzo alle mosche morte perché il
suo occhio non le vede quando sono immobili; se c’è un filo d’aria l’occhio vede
le ali muoversi, e l’animale fa scattare la
lingua per mangiare le piccole prede. Rischiamo di diventare tutt’uno col sistema
imperante e, per dirla con le parole di Calvino “di non fare più attrito con nulla, di
non avere più rapporto con ciò che ci sta
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
intorno”.
Apriamo le finestre, lasciamo
entrare il filo d’aria, attiviamo il nostro
occhio! ☺
[email protected]
Campobasso - Domenica 28 serata al dopolavoro con testimonianze, video, poesie, musica e balli, cena etnica dalle
ore 18.00.
Lunedì - primo marzo manifestazione partendo alle
18.30 da piazza S. Francesco.
5
glossario
regole condivise
Dario Carlone
“Socrate girava per Atene e provocava i suoi concittadini allo scopo di risvegliarli dal torpore mentale delle loro idee che non avevano altra solidità se non la consuetudine” (U. Galimberti).
Proseguendo nel confronto tra la nostra cultura italiana e quelle di altre nazioni nel nostro caso il mondo anglosassone - vorrei invitarvi a riflettere sulla parola
“consuetudine” che, credo, a volte non abbia nella nostra lingua la giusta collocazione.
Nel linguaggio informale i suoi sinonimi più frequenti sono “abitudine, usanza,
tradizione” (come nell’esempio riferito a Socrate): termini che rientrano pienamente anche
nel nostro vissuto di italiani cui le tradizioni sono molto care.
In ambito giuridico, invece, “consuetudine” ha un significato molto preciso che
attiene direttamente alla cultura anglofona, vale a dire indica quella “fonte di diritto che si
basa sulla ripetizione costante di un determinato comportamento, ritenuto pertanto obbligatorio”.
In realtà il nostro vocabolario più recente ha accolto la versione inglese della
parola “consuetudine”: Common Law [pronuncia: cammon lò], ossia “legge comune”dove law traduce “legge”. Essa si distingue da quella scritta, raccolta in codici, come ad
esempio quella che vige prevalentemente in Italia.
Come si può notare, anche all’apparenza, l’inglese si mostra di semplice ed immediata comprensione: la legge comune è la legge popolare (l’aggettivo common rientra
nel campo semantico di gente comune, persone del popolo). Ciò che distingue, quindi, il
diritto consuetudinario dalla legge scritta è proprio questo: un modo di comportarsi comune
e condiviso diventa legge anche se non necessariamente è tradotto in articoli o commi.
Le società inglese ed americana, come pure quelle di altri paesi di cultura anglofona, risentono, a mio avviso positivamente, di questa impostazione nei rapporti tra i cittadini. Molte norme che regolano le più svariate situazioni non sono codificate ma fanno
semplicemente riferimento ad usanze ormai acquisite o a sentenze che, emanate da un tribunale, vengono estese ed assumono valore di legge che tutti sono poi tenuti ad osservare.
Ed i comportamenti dei singoli sono adeguati a questa cultura delle regole condivise e “non imposte”: si cerca il più possibile di non commettere infrazioni; nel momento in
cui qualcuno non rispetta la consuetudine è naturale vederlo confessare la propria colpa,
riconoscere l’errore commesso, dichiararsi disponibile a riparare, magari lasciando ogni
incarico di pubblica rilevanza.
Uno degli elementi fondamentali per la crescita democratica di una nazione è la
consapevolezza che il rispetto delle leggi è parte della nostra vita quotidiana e che le regole
che tutti siamo tenuti ad osservare non sono - e non vanno percepite come - distanti da noi:
sono esse, infatti, che danno vita al nostro stare insieme (“legge comune”, appunto!).
Viene da chiedersi però se vi sia un autentico rispetto delle regole condivise
quando si ricorre a cavilli legislativi, a leggine, non riconducibili alla consuetudine, per
salvaguardare e sottrarre alla giustizia singoli cittadini, magari con incarichi di prestigio in
campo politico. E il nostro paese vanta una discreta esperienza in questo settore!
Che siano leggi codificate, come quelle italiane, o che discendano dalla consuetudine, è innegabile riconoscere l’importanza delle regole in una società civile, in cui si possa
realmente vivere secondo giustizia e vedere i diritti riconosciuti per tutti.
La strada è però ancora lunga! E non ci farebbe male prendere qualche insegnamento dai nostri amici anglofoni, o forse potremo chiamare in soccorso il vecchio Socrate
che con i suoi concittadini ateniesi “non scambiava opinioni per giungere ad una decisione, ma sospendeva la decisione per allargare la visione in cui collocare il problema con
parametri nuovi”.☺
[email protected]
6
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
abusatori
Il Molise è un’isola felice? Gli
indicatori da analizzare per rispondere alla
domanda sono diversi e complessi, tuttavia,
con grande prudenza, proviamo a guardare
alla salute del mondo della giustizia per capire se la nostra regione è messa meglio
delle altre e soprattutto per capire se i nostri
corregionali sono più rispettosi delle regole.
Alcuni giorni fa, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il
Presidente della Corte d’Appello ha fornito
ai molisani, ringraziandoli, un’ampia e dettagliata relazione sul funzionamento della
Giustizia nel Distretto. Il dr. Bosco, senza
prescindere dal contesto socio economico,
interessato da una crisi generalizzata che ha
prodotto ricadute negative anche sul territorio regionale, oltre a indicare una serie di
criticità che affliggono da anni questo mondo - mancanza di giudici, carenza di personale amministrativo e di strutture, esiguità
delle risorse economiche che rallentano l’attività giurisdizionale -, ha snocciolato una
serie di dati che ci hanno consentito di capire
quanto la nostra sia un’isola felice anche
senza avere dati comparativi per ciò che
accade altrove.
Per quanto riguarda i procedimenti
penali, i quali si svolgono in tempi ragionevoli, c’è da segnalare che rispetto agli anni
precedenti vi è una lieve diminuzione dei
reati più gravi quali omicidi, rapine, estorsione ed usura. Il numero dei denunciati per
furto, 444, è vicino a quello dei denunciati
per abuso di potere, 373; gli abusi sessuali
invece sono raddoppiati, il fenomeno è presente soprattutto in ambito familiare ed è
localizzato in piccoli paesi, favorito da situazioni di accentuato isolamento e degrado.
L’alto Magistrato ha precisato che per quanto riguarda i reati contro la Pubblica Amministrazione, per la maggior parte gli stessi
vengono commessi nel mondo della sanità,
dove il costante aumento della spesa sanitaria ha indotto il Governo nazionale a nominare un Commissario per la gestione e il
risanamento. In compenso, si è ridotto il
numero delle concussioni, solamente 9 nel
2009 e delle corruzioni, 5 denunciati.
Alla luce di queste notizie noi ci
siamo posti delle domande, nella speranza
società
le ragioni degli altri
Cristina Muccilli
che, anche coloro che sono andati a sedere
in prima fila nell’aula magna del Mario
Pagano, oltre a fare la passerella, abbiano
sottoposto il loro cervello a qualche utile
riflessione. La domanda che sorge spontanea e che sottoponiamo ai nostri lettori è la
seguente:come mai in un territorio dove il
numero dei ladri di galline è quasi uguale
al numero dei servitori dello stato che commettono abusi di potere, i reati di corruzione e concussione diminuiscono? Dietro il
reato di abuso, commesso da un pubblico
ufficiale, quasi sempre si nasconde dell’altro, sempre difficile da dimostrare, ed è per
questo che facciamo fatica a credere che
su 373 abusatori solo 14 sono quelli corrotti o concussi. Tutto questo spiega forse
perché le Procure molisane spendono meno delle altre per le intercettazioni telefoniche con le quali in molti casi l’abuso d’ufficio è solo la pinna dello squalo che nuota
nel profondo mare dell’illegalità. Il dato
che più ci inquieta è quello relativo agli
abusi sessuali che ci dà l’esatta misura di
quanto il Molise non sia un’isola felice.
Quello sugli abusi sessuali non è solo un
indicatore giudiziario perché questo reato
dà l’esatta rappresentazione di un luogo
gretto, incolto e sottosviluppato. Senza
volerci avventurare in una spericolata analisi sociologica, questi fatti ci inducono a
pensare che noi molisani abbiamo perso le
buone abitudini dei paesani ed abbiamo
acquisito tutti i difetti della città.☺
Sono affidabili, discreti, non inveiscono
mai.
Porgono le loro ragioni con ferma pacatezza e sono ottimisti.
Di solito li si sceglie come referente privilegiato perchè sanno ascoltare.
Di solito è un equivoco, non ascoltano,
esercitano la propria attitudine alla tolleranza: i “bravi ragazzi” di sinistra rifuggono dagli eccessi e non amano i massimalismi.
Prevedono una soluzione dei problemi
tracciata su sentieri battuti da tempo, consolidati e rassicuranti.
Sono i militanti di base e coloro che con
questa base si
confrontano
costantemente.
Forti di un
solido sentimento di appartenenza
hanno mantenuto tessera e
abitudine al
voto.
Hanno votato
sempre
in
questi lunghissimi e buissimi anni, lo hanno fatto quando dovevano
procurare un seggio ad un ex democristiano, quando si entrava in guerra, quando
iniziava la deregulation in materia di lavoro, quando non si affrontava il pericolo
delle incompatibilità istituzionali, quando
si lasciavano invalidare referendum quali
quelli sull'articolo 18 e sulla fecondazione
assistita, quando cadeva un governo perchè
non si rispettavano gli accordi.
Sono eccessivi, passionali, arrabbiati.
In questi lunghissimi
buissimi anni hanno
votato solo per i referendum del 2003 e del
2005. Pensano che
andare a votare per una
sinistra muta, imbelle e
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
senza sogni produca le catastrofi che ci
tengono in ginocchio. Pensano che la sinistra debba riconquistare autorevolezza, che
debba schierarsi e lavorare sui bisogni
sempre più urgenti e sempre più muti.
Pensano che non serva a nulla governare a
costo di perdere identità, che il lavoro e la
crescita debbano avvenire in senso orizzontale, non verticale. Pensano che bisogna accogliere bisogni e produrre consapevolezza.
Un tempo li definivano “cani sciolti”, qualunquisti proprio no.
Vorrei riproporre qui un breve invito alla
lettura di “Saggio sulla lucidità” di Saramago per Einaudi
che inviai anni fa ad
un blog letterario,
l'argomento mi sembra pertinente.
“Saggio sulla lucidità” è un libro doloroso che non concede
speranza alla speranza, nessun buonismo
né spiragli per possibili cambiamenti. Il
potere (i) è lì, granitico, inattaccabile.
Inattaccabile? Forse
ci si può riflettere su.
Intanto ricominciare a ragionare tutti sicuramente mette in crisi ciò che del potere è
più visibile e più risibile: la politica (quella
con l'iniziale in minuscolo).
Intanto protestare la propria etica, fare un
passo di lato per uscire dalla fila, “favorire
la propria cultura” vivendola e non consumandola, sicuramente destabilizzerà degli
equilibri.
E il fastidio sarà tale da rendere necessario
l'annientamento della minaccia.
Questo il romanzo, e la realtà?
Mi piace pensare che, come nel romanzo,
ci sia anche per noi un testimone, uno che
ha letto e compreso l'ordito della macchinazione omicida e che si stia interrogando
sul che fare. ☺
7
società
la natura del potere
Edoardo Lamedica
certo grado di “manipolazione” dell’opinione e quindi dell’informazione che il
suddito riceve e elabora. Il potere è, così,
definibile su un piano dinamico oltre che
statico (le fonti, cui si accennava prima),
identificandolo cioè con la possibilità concreta di fare materialmente qualcosa su
qualcuno o di influenzarne indirettamente
il comportamento al fine di ottenere i risultati auspicati. In questo spettro rientrano il
comando, l’influenza senza comando, la
relazione che si instaura con l’esecutore, il
contesto in cui tale relazione si estrinseca.
La componente statica, invece, racchiude il
possesso fisico e materiale di quelle fonti o
risorse che consentono di influenzare o
comandare. Pur avendo il pregio della
maggior concretezza, queste non sono auto
- sufficienti, ma necessitano di “esser messe in movimento”, attraverso strategie di
impiego, per ottenere quegli esiti che il
loro semplice possesso all’apparenza garantirebbe. Le risorse, inoltre, hanno una
loro distribuzione autonoma con cui l’intervento coercitivo deve fare i conti. La
politica mondiale - è l’esempio che fa Nye
- va paragonata a una scacchiera tridimensionale in cui, al piano superiore, c’è l’ambito militare, in quello intermedio, le dinamiche economiche, in quello inferiore le
questioni transnazionali. In ognuna di queste il potere è distribuito in maniera diseguale, non solo al suo interno, ma anche
fra i diversi piani, rispetto ai quali l’occhio
dell’analista non può essere miope. Inoltre
- e qui entrano le categorie del politologo la stessa natura del potere è concettualmente differente sui diversi piani. I pagamenti,
le transazioni e le relazioni economiche
(anche “informali”), l’uso (o la minaccia)
della forza piuttosto
che delle sanzioni
rientrano in quello
spettro di comportamenti che chiama in
di Salvatore Angela
causa il comando
tel. 0874 732384
nella sua declinazione
più hard di coercizioVia XX settembre 185
ne o diretta induzione.
BONEFRO
Quando, invece, si
Cosa è il potere? Come lo si ottiene? Come lo si perpetua? Che cosa ci si
fa? Perché lo si vuole?
Nel XXI secolo per rispondere
bisogna abbandonare schemi ormai vetusti.
Usualmente si tendeva ad identificare il
potere con “cose”, più o meno tangibili. La
ricchezza, una determinata posizione sociale, la capacità (o l’opportunità) di usare
violenza coercitiva, la possibilità di plasmare il pensiero o di acquisire informazioni in maniera asimmetrica. Oggi è invalsa la pratica di assimilare il potere alla
“capacità di dettare l’agenda” - un’espressione tanto affascinante quanto, di per sé,
ambigua. Ognuna di esse, però, richiama
alla mente più le fonti cui si attinge potere
che non il potere stesso. Risulta, poi, ugualmente difficile stabilirvi una misura
(quantitativa e oggettiva). In un ambito
locale una determinata quantità di ricchezza può corrispondere a un certo grado di
potere, ma, in un contesto più ampio
(nazionale o globale), siamo sicuri che
valga altrettanto?
Già preside della Kennedy School of Governement, Joseph Nye jr. è uno
dei più importanti scienziati della politica e
la sua fama lo ha portato a rivestire incarichi di responsabilità nelle passate amministrazioni americane e a essere tuttora un
intellettuale molto influente. Per analizzare
la natura sfuggente e mutevole del potere,
ha proposto le categorie di soft e hard
power che ben ne riassumono le due dimensioni. Come Machiavelli aveva infatti
intuito sin dal Rinascimento, sono due gli
spettri di comportamento con cui il Principe si rapporta ai suoi sudditi: l’essere amato o temuto. Entrambi sottintendono un
Ferramenta - casalinghi
8
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
parla di questioni transnazionali ci si riferisce anche a quella gamma di valori, cultura, politiche (interne ed esterne) che si
concretizzano in istituzioni, ma senza la
“durezza” della moneta o delle armi. In
quest’ambito non è il comando ad essere
metro di efficacia, ma la capacità di attrarre, di cooptare, di far sì che ci sia unità di
intenti e conformazione di volontà. Qui
non servono mezzi solidi, qui serve il soft
power. Nelle parole di Nye, «la capacità di
ottenere ciò che si vuole tramite la propria
attrattiva piuttosto che per coercizione o
compensi in denaro». Su questo piano la
vera forza risiede nella credibilità e nella
legittimità che un soggetto riesce ad acquisire mediante la messa in pratica della propria visione. È sulla conformità fra valori e
pratiche (politiche o istituzionali) che ci si
gioca la propria partita.
Evidentemente nessuna delle due
tipologie di potere può essere intrinsecamente buona (o cattiva) e ciascuna ha i
suoi propri limiti. Il soft power, ad esempio, è fortemente dipendente dalla comprensione del contesto in cui va a operare.
L’attrattiva, infatti, ha bisogno di condizioni opportune per poter essere efficace, né
può essere insensibile alla distribuzione
delle risorse di potere che si trova innanzi.
In aggiunta, essa va a incidere sugli obiettivi più generali, mentre nelle questioni di
piccolo cabotaggio è pressoché impotente,
essendo rivolta al medio - lungo termine.
Di conseguenza un “potere intelligente
(smart power)” non potrà coincidere né
con l’uno né con l’altro, ma dovrà essere
una combinazione creativa e adattiva di
fattori hard e soft. A maggior ragione, in
un ambiente in cui l’informazione si diffonde globalmente e iper - velocemente e i
centri del potere tendono a orientarsi in
direzione poliarchica e policentrica.
Stando così le cose, potrebbe
essere una buona sintesi definire il potere nel suo senso generale - come la capacità
resultativa di guidare (condurre) altri soggetti verso un certo obiettivo coerente coi
propri principi, utilizzando mezzi e pratiche dirette e indirette, solide o leggere, a
seconda del contesto. Non sarà un caso,
allora, che Joseph Nye jr sviluppa il concetto di soft power proprio in un libro intitolato Bound to Lead. ☺
[email protected]
il calabrone
Ho smesso di fumare.
Vivrò una settimana di più
e in quella settimana pioverà a dirotto
Woody Allen
Lo hanno trovato ieri mattina alle
8,45 nel magazzino della sua azienda, una
piccola cooperativa nella provincia torinese. Emanuele Vatta aveva 28 anni, si è
tolto la vita - impiccandosi probabilmente
poco tempo prima, forse all'alba. Il sociologo Marco Revelli, profondo conoscitore
del mondo del lavoro, e in particolare del
torinese, ci dice che questo gesto gliene
ricorda uno analogo accaduto circa due
anni fa: allora a togliersi la vita, nel comune di Trofarello, era stato un operaio, più
anziano rispetto a Emanuele, e con una
famiglia a carico. “qui in questo momento
c'è una moria continua di aziende, si stanno perdendo moltissimi posti di lavoro spiega Revelli - abbiamo i dati più alti
d'Italia”.
un altro suicidio (?)
Ma come si fa a non urlare la
nostra indignazione per il fatto che si possa
morire a 31 anni, come si fa a ripetere che
in Italia, in Lombardia, a Varese la crisi
non colpisce come in altri paesi? quando
Berlusconi, Formigoni, Bossi ripetono
ogni giorno che “nessuno sarà lasciato
solo”.
Ma hanno mai provato questi
signori a mettersi, per un momento, nei
panni di questi lavoratori e della loro più
assoluta “solitudine” che li porta a morire
per lavorare o a suicidarsi per la condizione umiliante della disoccupazione?
Ma come si fa, mentre una moltitudine di donne e uomini soffrono la
no, io non ridevo
Loredana Alberti
“miseria”, a spendere 300mila euro solo per far vedere il proprio faccione sorridente con sotto la scritta
“Roberto, uno di noi”.
Ma come si fa a
buttare letteralmente a mare
(si fa per dire perché sappiamo molto bene chi se li
prende) i miliardi di euro
per i ponti di Messina o altri
progetti assurdi come il
nucleare che non servono a
creare lavoro reale mentre si
chiudono le fabbriche?.
Ed ancora come si fa a sopportare la vista di cattedrali nel deserto come le
costruzioni della Maddalena?
Come si fa a sopportare le ultime
registrazioni che ci mostrano un mondo di
corruzione economica e morale che indigna aquilani e non?
no io non ridevo
Ogni guerra, ogni fame, ogni
malattia, ogni miseria sono realtà di ingiustizia con cause ben precise. L’Abbé Pierre
diceva spesso nei suoi incontri: “fate bene,
amici, a dare un po’ di soldi ai missionari
o alle varie associazioni di assistenza e
solidarietà per ‘la salute dei bambini’. Ma
ricordatevi, se non siamo decisi a mettere,
contemporaneamente, tutto il nostro impegno per una vera ed efficace azione politica perché siano
Così anche l'ingiusto, se vuole esserlo in maniera perfetta, deve denunciate e sradiattendere attentamente ai propri atti d'ingiustizia, senza farsi scopri- cate le cause di
re. Chi viene sorpreso, è da ritenersi una persona dappoco: il colmo queste ingiustizie,
dell'ingiustizia consiste nel dare l'impressione di essere giusto, senza saremmo
forse
però esserlo. Dobbiamo quindi permettere al perfetto ingiusto la più meno criminali a
perfetta ingiustizia, senza togliergli nulla, e lasciarlo commettere le lasciar
morire
maggiori ingiustizie e procurarsi la più alta fama di giustizia; e questi bimbi in
potersi riprendere, se fa qualche sbaglio. Lasciamo che abbia abba- giovane età, piutstanza doti oratorie per esercitare persuasione, se è denunciato per tosto che obbligaruno dei suoi atti ingiusti; che usi la violenza ogni volta che occorre, li a vivere nella
adoperando coraggio e forza e sfruttando appoggio di amici e dena- disperazione più
ro. Ora di contro a questo individuo immaginiamo di mettere il giu- atroce?”.
sto, un uomo semplice e d'animo nobile, che, per usare le parole di Se non siamo deciEschilo, non voglia sembrare, ma essere onesto .
si con tutte le no(Platone, la repubblica, laterza, 1997, pg. 361, trad. f. stre forze, con le
sartori)
nostre competenze
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
di ogni tipo, a fare in modo
che domani non vengano a
trovarsi nella stessa, anzi
peggiore e più ingiusta situazione;
se continueremo ad accettare
passivamente che in poche
ore si mettano a disposizione
delle banche in via di fallimento cifre come 1900 miliardi di dollari mentre si
dichiara, che la crisi mondiale impedisce di mantenere gli
impegni presi per la cooperazione internazionale;
se continueremo impassibili
e tranquilli (?) ad accettare che le mucche
europee abbiano a disposizione più di quattro euro al giorno mentre gli affamati d’Africa, America latina ed Asia devono accontentarsi di meno di due euro;
se continueremo a rimanere indifferenti a criminali manovre speculative
che si ammantano di beneficenza e ricostruzione;
se continueremo a limitarci ad
essere soddisfatti quando spediamo il nostro munifico e benefico sms di aiuto per il
mondo, per Haiti, per l’Aquila, per qualsiasi cosa ci renda meno conniventi e intanto
il potente e lo speculatore di turno (perché
c’è sempre un turno, ma sempre ritornano)
ridono nel proprio letto, sapendo di non
essere scalfiti o visti. ☺
[email protected]
9
nel palazzo
senza riscontro
Michele Petraroia
Per essere chiara e
trasparente la politica ha bisogno di
regole semplici che
agevolano la partecipazione dei cittadini e aiutano a
comprendere
le
differenze in campo
tra schieramenti,
partiti e coalizioni. Programmi alternativi
facilmente identificabili. Idealità, valori e
proposte che segnano le culture di provenienza e il modello di società che si persegue.
Se entra in crisi questo schema e l’intero
sistema politico-istituzionale assume, agli
occhi delle persone, l’aspetto di un unico
magma indistinto è a rischio la democrazia.
Senza una minoranza che vigila, controlla e
contro-propone in ogni assemblea elettiva,
la maggioranza, che ha in mano la leva del
governo e del potere, agisce a proprio piacimento a detrimento del bene pubblico.
L’obiettivo dei governanti pro-tempore
sarà quello di utilizzare fondi, strumenti e
risorse, per vincere le elezioni successive,
dimenticando che chi amministra deve
risolvere i problemi dei cittadini e perseguire l’interesse generale.
È impensabile in democrazia che
tutto il potere venga concentrato nelle mani
della sola maggioranza. Al contrario il sistema è tanto più efficiente quanto più è bilanciato il rapporto tra chi deve governare realizzando il programma elettorale, su cui ha avuto il mandato, e chi deve esercitare una funzione di controllo alimentando la dialettica
istituzionale con atti, interpellanze, mozioni e
proposte alternative. Il punto di caduta di
questo modello è che in un periodo di crisi
della politica la minoranza non la vuole fare
nessuno. Contrapporsi a chi comanda presuppone competenze, passione, motivazioni,
idealità e disponibilità ad impiegare il proprio
tempo su temi complessi, senza particolari
appoggi né sostegni o benefici di alcun tipo.
Meglio accoccolarsi nelle adiacenze di chi
amministra perché prima o poi scappa qualche briciola e la si arraffa. D’altronde per far
parte della maggioranza non è richiesto di
10
ingrossarne le fila perché si può compiere un
buon lavoro di sponda anche facendo finta di
fare la minoranza. Sta di fatto che in un sistema istituzionale senza opposizione tutto ruota
intorno alla bancarella del governante di turno che, se abile ed esperto, saprà distribuire le
prebende a destra e a manca.
Per quel che mi riguarda ho buttato
alle ortiche anni di credibilità costruita palmo
su palmo nel sindacato per assumere la guida
del PD, riunificare il Centro-Sinistra e ricostruire una prospettiva vincente di alternativa
politica in Molise. Non ci sono riuscito ma
constato che molti che mi hanno avversato
nel giro di qualche mese sono passati armi e
bagagli col Centro-Destra, hanno fatto cadere
l’amministrazione di Termoli e sono corsi
con la tessera del PD in tasca a festeggiare il
Natale a Isernia insieme a Iorio. Resto convinto che l’opposizione è il sale della democrazia e che bisogna farla a testa alta, con
grinta e passione. Questa mia idea non trova
consensi diffusi nei partiti e nelle istituzioni
perché la si ritiene arcaica, inutile e inefficace,
ma per nostra fortuna continua ad essere una
pratica quotidiana per tanti consiglieri comunali, provinciali e regionali che non intendono venir meno agli impegni di lealtà e coerenza assunti con i cittadini.
Ovviamente, in questo clima generale, fare il proprio dovere di opposizione è
condizione necessaria ma non sufficiente per
acquisire risultati concreti. Negli ultimi quindici anni sono scomparsi i comitati di control-
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
lo su comuni, province e regioni. Lo Stato
non esercita più funzioni di verifica tramite le
Prefetture e i Commissariati di Governo sono
passati in cavalleria. Con la concentrazione di
poteri smisurati nelle mani di organi monocratici quali Sindaci, Presidenti di Provincia e
di Regione, e stante l’inesistenza di strutture
preposte alla vigilanza, rimane nella disponibilità di chi fa opposizione solo la Magistratura. Per adire quella amministrativa qual è il
TAR ed il Consiglio di Stato bisogna avere
un diritto legittimo in campo e servono evidentemente i soldi per fare i ricorsi, con buona pace di tanti consiglieri comunali coraggiosi che di fronte al malvezzo dei sindaci
non possono fare molto. Rivolgersi alla Corte
dei Conti è più semplice ma posso testimoniare che dopo 3 anni di note, materiali, documenti e esposti su vicende di assoluto rilievo
contabile, come il debito sanitario, sono
ancora in attesa di conoscere l’esito di un
singolo provvedimento.
Coinvolgere la Procura della Repubblica è l’estrema ratio per tutelare il
bene pubblico e far rispettare le leggi. Com’è noto i mutamenti delle norme nazionali e la carenza di mezzi assegnati alla magistratura porta i potenti a non pagare pegno
per decorrenza termini, depenalizzazione
dei reati o per spostamenti dei processi con
connesse lungaggini giudiziarie. D’altronde
è impensabile affidare il controllo dell’operato degli amministratori pubblici all’esclusiva competenza della giustizia penale. In
attesa che la politica riassuma il ruolo alto che
le compete, non ci resta che resistere facendo
una sana e onesta opposizione con gli strumenti a disposizione.
Concludo citando un episodio
singolare accaduto in questi giorni. A fronte
di una mia richiesta di ottenere risposta scritta
a decine di accessi agli atti e interrogazioni su
temi importantissimi il Capo di Gabinetto del
Presidente della Giunta mi ha risposto di non
aver mai ricevuto buona parte delle stesse.
Che dire ?!! La norma impone il riscontro
entro 15 giorni ma trascorrono gli anni e nella
regione si perdono le carte. Mi è venuta di
getto l’idea provocatoria di far istituire un
Ufficio Oggetto Smarriti con una nuova
Commissione Speciale del Consiglio che gira
per le stanze alla ricerca delle mie interrogazioni su terremoto, lavoro, sanità, agricoltura
e altro. ☺
[email protected]
termoli
sì a un monaco inviso al pd
Il centrosinistra molisano si è
lanciato in un valzer vorticoso, per le amministrative 2010, che potrebbe far girare
la testa anche ai più convinti.
Ripercorriamo le tappe. Il 21
dicembre finisce l’esperienza Greco con le
dimissioni di 16 consiglieri di cui 4 eletti
tra le file dell’allora Margherita. All’indomani già serpeggiava il nome di Antonio
D’Ambrosio come possibile candidato
sindaco, colui che tre anni prima aveva
preferito aspirare alla carica di Presidente
della Provincia, ma il suo partito, con uno
dei soliti magheggi di Bellocchio, gli soffiò
la candidatura a favore di D’Ascanio.
Troppo tardi per tornare a correre per il
comune, la coalizione aveva già intascato
la disponibilità di Greco.
A gennaio si comincia a ragionare sul da fare per competere con il centrodestra al rinnovo dei consigli comunali di
Termoli e Montenero. Il PD propone le
primarie, nonostante l’autocandidatura del
solito D’Ambrosio, sospesosi dal Partito,
poi ci ripensa non si sa bene se perché il
caso Puglia aveva lasciato il segno o perché si erano accorti che non si sarebbe
riusciti a fare lo sgambetto ai candidati
poco graditi. Allora si invoca la decisione
unitaria del tavolo, moderno totem per
evocare i candidati ed ungere il prescelto.
Ma lo Spirito guida del tavolo sapeva che
era carnevale ed era in vena di scherzi.
Prima fa aleggiare il ritorno di Greco,
quando il silenzio dell’ex sindaco induce
persino i suoi sostenitori a ritenere che non
vi fosse margine di speranza e prendere
seriamente in considerazione l’ipotesi Monaco, eccolo riapparire nella sede dell’Idv.
Giorni e giorni di discussioni finite solo
quando il notaio ha rotto gl’indugi e ha
detto: vedetevela voi e il Grande spirito! Il
Pd continua ad invocare il candidato unico,
ma non fa nomi, visto che quello da più
parti indicato non va affatto bene ai vertici
regionali del partito e neanche a quel manipolo di iscritti locali che ritiene di guidare
il circolo cittadino. Prima hanno tramato
contro l’amministrazione Greco, poi si è
giunti a patti con altre espressioni politiche
per far nascere in basso Molise il laboratorio dal quale far scaturire il terzo mandato
per Michele Iorio, con qualche vantaggio
per chi salta il fosso visto che chi lo ha già
fatto ha raccolto i suoi frutti. Come spiegare altrimenti le primarie vinte da Leva con i
voti del centrodestra e la proclamazione di
Ruta Presidente con il 50% dei voti dell’assemblea regionale?
Il 7 febbraio Filippo Monaco,
silurato in Giunta nel 2009 da quella stessa
parte del PD che ora trema all’idea che
possa correre per la carica di sindaco, accetta la richiesta della lista civica Liberatermoli. A questo punto la situazione si fa
grottesca: un iscritto del Pd, accettato anche da altri gruppi politici e che riscuote il
consenso popolare, sembrerebbe cosa fatta,
invece nessuno fa il suo nome al tavolo e
lo Spirito non sa che pesci pigliare. Intanto
la politica nazionale vede rifiorire il connubio fra IdV e PD e così, dalla riunione
romana dei vertici regionali e nazionali dei
due partiti, giunge l’oracolo: Di Pietro si
impone sul candidato di Montenero, a
Termoli mano libera al PD. Comincia
l’affannosa ricerca del candidato che possa
salvare capre e cavoli.
Monaco no, sarebbero solo cavoli amari per Venittelli e compagni, ops,
amici e compari. Vuoi vedere che quello
poi riesce a fare persino bella figura e ma-
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
gari finisce per sfilare la poltrona dai
“pantaloni” di Totaro? Allora meglio esplorare nuovi orizzonti. Lo Spirito, veramente stufo di tanto bla bla, inonda con un
cono di luce il volto sereno di Pasquale
Spagnuolo, tutti quelli intorno al tavolo
credono al presagio e acclamano il suo
nome. Certo, se laboratorio deve essere,
che si cominci da ora a ragionare con chi
ha sempre militato a destra. Era uno scherzo! Lo spiritello sapeva bene che il prescelto aveva più sale in zucca dei suoi osannatori, infatti rinuncia. La confusione è ormai
tale che non si riesce neanche più ad interpretare il totem. Ecco, ecco, è Aufiero il
nostro salvatore. Ma quello sta in Austria e
lo spirito non era mai passato di là. Il tavolo comincia a traballare e perde adepti. Per
assurdo al fianco del PD resta proprio il
PRC che aveva iniziato la campagna elettorale asserendo che quella sottospecie di
socialdemocratici non erano degni di stare
al fianco dei veri comunisti.
E per D’Ambrosio le difficoltà
tornano come nuvole nere perché Di Giandomenico, suo cognato, si è candidato per
contrastare il monopolio Iorio. E pensare
che tutti lo credevano un anticomunista…
Lo spirito guida del tavolo-totem
nel frattempo si è ritirato nelle verdi praterie, sospettando che il fumo delle sedute
dell’entourage politico non fosse incenso.☺
Solo una volta, quando ha criticato
i soccorsi ad Haiti, Berlusconi ha
ripreso Bertolaso: per le figure di
merda all’estero pretende l’esclusiva.
www. spinoza. it
11
diritti negati
la solitudine
Morena vaccaro
Colleziono volti di donne, volti
eterni, immobili. Donne ignoranti e colte,
intelligenti nell’anima, donne messe incinte e abbandonate, donne prese a sassate
dalla vita. Occhi inquieti, mani che si contorcono, e poi la solitudine, quella concreta,
quella di chi non esiste per nessuno, che
porta alla disperazione, senza nessuno con
cui scambiare una parola vera, a cui chiedere un consiglio. La solitudine di chi cammina per le strade e non viene notata, di chi
ha talmente tanti problemi e ansie che non
riesce ad uscire dal proprio guscio. Solitudine nella maternità, solitudine sociale, che
porta all’ignoranza delle leggi e degli aiuti
previsti, solitudine umana perché lontane
dal loro paese d’origine, dalle loro madri,
dal loro mondo. Così la mancanza di contatti umani fa sì che queste donne vivano
come sospese, ignorate emotivamente
nelle case dove lavorano, spinte ad innalzare barriere tra loro nelle strutture che le
ospitano, diverse magari per fede religiosa
e scelte di vita, considerate con diffidenza
perché non parlano bene l’italiano, le straniere rimangono straniere, cioè altre. Impossibilitate ad integrarsi davvero. A parlare sul serio dei loro malesseri, veri o immaginari. Ad avere qualcuno su cui appoggiarsi o con cui scambiare consigli ed opinioni. Ad esistere.
“Qualche volta fa bene parlare”.
Forse l’essenza di Paulina è tutta qui, in
questa frase che la racconta. La sua è la
storia di una giovane donna, coraggiosa,
toccata dalla vita, aggravata dal fatto di
essere straniera a Roma, con una figlia
piccola e una malattia poco conosciuta che
le toglie le forze e la voglia di combattere.
Lei che di forza interiore ne ha da vendere,
anche se non ha nessuno con cui parlare.
“A volte ho voglia di piangere - dice - non
ho la forza nemmeno per cambiarle il
pannolino”. “Miastenia gravis” così si chiama il suo male. Toglie la forza la miastenia,
come una specie di rinuncia volontaria alla
vita, una via di fuga dalle ansie e dagli impegni, uno stop fisico all’esistenza. Se Paulina
fosse una donna italiana, se avesse più soldi e
consapevolezze, forse, meriterebbe una seria
analisi, un cammino psicoanalitico serio, ma
è una giovane donna straniera che vive in
Italia, non ha gli strumenti culturali ed economici per capire che il suo male è anche interiore. Che dal baratro si può anche risalire.
“Nessun medico - dice con un impeto di ran-
core - mi ha sconsigliato, mi ha detto di non
avere un figlio. Nessuno mi ha spiegato come
sarebbe stato questo male. Io non sono italiana”. La gravidanza è la vera lotta di Paulina:
ogni tanto cade per strada, non riesce ad essere padrona del suo corpo, non ha le forze né
fisiche né morali.
Viene da Lima, Paulina, una metropoli enorme dove la gente dorme ancora
nelle baracche di fango. Roma era il miraggio
di una vita diversa. “Avevo un’amica che
lavorava nella capitale, mi diceva vieni. L’ho
seguita, mi ha trovato un lavoro. Ma era
orribile, ho imparato subito che bisogna essere forti”.
Donna, mistero senza fine
Orribile,
Paulina,
fatto di dolore e di allegria,
lo
spiega
bene:
è il
fatto di poesia.
Così Dio ti ha pensata, voluta e amata, senso di umiliazioVia
ultima creatura uscita dalle sue mani ne e di casta che
ancora
serpeggia
mentre Adamo dormiva...
in alcune case romane nel terzo millennio.
“Un immigrante non viene qui solo per lavorare e chiedere. Anche se le persone accettano qualsiasi cosa, qualsiasi tipo di occupazione, hanno una loro educazione e una loro
preparazione professionale. Invece siamo
sempre trattati come ignoranti. Siamo estranei, siamo quelli che scocciano, che danno
fastidio. Noi vorremmo invece essere aiutati
a far parte di questo Paese, di questa cultura”. Anche al nido Paulina si sente a disagio.
“Quando sei straniera - e lo ripete - ti guardano in modo sospettoso, ti trattano diversamente, magari pensano che sei ignorante”.
Invece lei non lo è, ha un animo sensibile ed
ama leggere. Se avesse tempo e modo, spiega, lo farebbe sempre. La poesia, ad esempio.
È innamorata di Pablo Neruda. “Lo leggevo
in spagnolo”. Ha studiato Paulina. Ha finito
solo per amore di sua madre le scuole superiori, perché anche in patria è successo qualcosa e quando lo ricorda piange. Un piccolo
singhiozzo che caccia via, repentino. “È successo. Non ci penso mai. Un vicino di casa si
è approfittato di me. Avevo quindici anni.
Sono rimasta incinta. Da noi l’aborto non è
permesso. Mia madre voleva dare il bambino
in adozione, io non ho voluto. I bambini non
hanno colpa di quello che succede. Ho continuato a studiare dopo la sua nascita, poi ho
dovuto lasciare per lavorare”. “Lo ha cresciuto mia madre, sono sei anni che non
riesco a vederlo. Vorrei andare a trovarlo e
non vorrei, non mi vanno gli sguardi della
gente, non mi va che tutti si accorgano che
non ho le forze fisiche, che non riesco a camminare, a muovermi”.
Se ne va, piccolina e minuta. Con i
suoi grandi dolori, con la sua malattia, con
quel senso di estraneità dalla vita. “Mi ha
fatto bene parlare con te”.
Se ogni giorno parlassimo con
qualcuno che non conosciamo anche solo per
cinque minuti, ascoltandolo davvero, forse
saremmo tutti migliori. Quanto meno più
consapevoli. ☺
[email protected]
Marconi, 62/64
CAMPOBASSO
12
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
otto marzo
Non amo l’8 marzo. La rimpatriata che talvolta - col pretesto della mimosa faccio con alcune amiche che vedo poco, mi
aiuta a digerirlo meglio, con un sorriso ironico. Ma resto sempre convinta che la famigerata “festa della donna” dovrebbe essere
abolita, almeno fintantoché restano sparse
per il pianeta troppe donne che hanno troppo poco da festeggiare, sia in quel giorno
che durante gli altri 364, nell’assordante
silenzio familiare, sociale, mediatico.
Un regalo intelligente, però, quest’anno lo farò a qualche donna speciale che
conosco. Un libro. Già, in barba a quei dati
sconfortanti che ci affliggono sulla debole
preferenza che gli italiani accordano alla
lettura. “Donne della Bibbia”, di Elena Bosetti, vale ben più di una mimosa. È un’iniezione di fiducia, di dignità, di coraggio, di
autostima fatta nelle vene delle donne e
della donna, concepita e descritta come
creatura fragile e tenace, forte della sua debolezza, capace di scelte ardite, di sfidare a
testa alta il maschio prevaricatore, la sorte
avversa, capace di sbaragliare i piani e l’arroganza dei superbi con la sola forza della
speranza, della fede in un Dio che non delude.
Ogni capitolo, un ritratto di straordinaria intensità: dal Primo al Nuovo Testamento, con un linguaggio appassionato e
preciso, sempre in equilibrio perfetto tra
l’esegesi più raffinata e la poesia, l’autrice
ritaglia dalle pagine della Scrittura figure di
donne che hanno segnato la storia d’Israele
e la vicenda umana di Cristo con il loro
coraggio, i loro errori, la loro bellezza, la
loro audacia, la loro capacità di fidarsi di
Dio incondizionatamente, contro ogni ragionevole speranza. Ecco allora Sara ed Elisabetta, la moglie di Abramo e quella di Zaccaria, che accolgono nel loro corpo quel
figlio che mai avrebbero pensato di poter
più generare alla loro età, si trovano a vivere
sulla propria pelle l’avventura, il rischio e la
fatica di credere, ed esplodono in un canto
di ringraziamento e di lode a Dio al quale
“nulla è impossibile”: la prima gridando
“Motivo di lieto riso mi ha dato Dio” e chiamando il bambino Isacco, che significa
proprio “riso di gioia”. La seconda, nascondendosi per cinque mesi dalla gente, una
volta incinta, per contemplare con più gusto
e raccoglimento (attraente interpretazione
della Bosetti) la meraviglia operata dal Signore in lei, fino ad esprimere quel liberato-
una mimosa da sfogliare
Gabriella de Lisio
rio “Benedetta tu fra le donne e benedetto è
il frutto del tuo seno” davanti a Maria che va
a trovarla, facendole sussultare Giovanni nel
grembo.
Ecco l’innamorata del Cantico,
intraprendente, ardita, passionale, che sfida
le piste infuocate del deserto e i pericoli
della notte per raggiungere l’amato.
Ecco Sifra e Pua, le due levatrici
ebree, simbolo di tutte le donne che lottano
per difendere la vita, due volti femminili
dell’obiezione di coscienza di tutti i tempi,
che non esitano a rischiare la pelle per opporsi agli ordini del faraone in nome dell’obbedienza a Dio: in Egitto, la crescita demografica del “popolo altro” e sottomesso
spinge il re a eliminare i nati maschi, poiché
sarebbero una potenziale minaccia per gli
Egiziani, mentre le donne - controllabili,
vulnerabili, sfruttabili in mille modi - …che
vivano pure! E invece sono proprio due
donne, Sifra e Pua, che vincono con l’astuzia femminile contro la violenza cinica e la
brutalità del faraone. Contravvengono all’ordine di farli morire, adducendo come
giustificazione che le donne ebree sono forti
e vigorose, ben più delle egiziane, per cui
hanno partorito da sole, prima dell’arrivo
delle levatrici, che non hanno potuto compromettere in nessun modo la sopravvivenza dei neonati nella delicata fase del parto. E
il faraone tace, si arrende. Intuisce l’inganno, ma ne resta spiazzato.
C’è poi la solenne e determinata
Debora, la profetessa e giudice, senza la
quale il generale Barak non si sente pronto
ad affrontare l’esercito del nemico Sisara.
Debora che, sola, incoraggia gli Israeliti e li
porta alla vittoria con l’audacia e l’energìa
del suo canto.
Una commovente storia di amicizia è poi quella di Rut e Noemi, nuora e
suocera, legate - in barba ad ogni stereotipo
sociologico - da un’inscindibile vincolo di
lealtà e di solidarietà: la nuora, vedova, non
lascia da sola la suocera, rimasta vedova
anch’essa, e per lei abbandona la sua famiglia d’origine.
Giuditta poi (che, mea culpa, identifico più con un’eroina del Caravaggio che
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
con uno dei personaggi femminili più affascinanti del Primo Testamento). Uccide il
nemico Oloferne, davanti al quale sta con la
sua bellezza prorompente, e mi ricorda in
modo inquietante Neda, uccisa il 23 giugno
2009 a Teheran, mentre non si arrende alla
violenza del regime di Ahmadinejad e, colpita da un proiettile in pieno petto, muore,
muore davanti al mondo con gli occhi aperti, il velo scivolato via, i jeans e le scarpe da
ginnastica. Giuditta uccide, Neda viene
uccisa. Ma vive. Diventa simbolo della vita
che vince la morte della coscienza, della
bellezza che si oppone all’inferno - come
Roberto Saviano ha scelto di leggere questa
tragedia nel suo omonimo saggio -, che
vince l’empietà.
Donne coraggiose, quella della
Bibbia, anticonvenzionali, fuori dagli schemi, come la più grande, Maria, giovanissima e fragile quando accetta senza battere
ciglio una maternità che le costerà, forse, il
promesso sposo, la reputazione, un progetto
di vita che aveva immaginato diverso.
Donne con gli attributi, quelle
della Bibbia, che non possono cambiare
l’ora della Croce ma, quando giunge, non
scappano come gli uomini, restano lì, e sono
le prime alle quali il Risorto appare.
Donne con i loro nodi irrisolti, i
loro traumi, le loro ferite, ma sempre aperte
a rimettersi in discussione, a ricominciare,
come la Samaritana al pozzo.
Donne in cammino. Come noi.
Buon 8 marzo. Con un po’ di
pazienza e qualche sana lettura, passerà
anche quest’anno.☺
[email protected]
13
cultura
la leggerezza
Luciana Zingaro
È accaduto. E il dubbio amletico
mi si è rivelato appena difforme e più perentoriamente dilemmatico: to be light or
not to be (essere leggera o non esserlo).
Shakespaere ne sarebbe inorridito. O forse no, posto che nel to be che angustiava Amleto tanto da inclinarlo verso
l’alternativa del not to be era assunta soprattutto la specie della leggerezza, della
apparenza fantasmagorica priva di peso e
sostanza.
Per dovere di chiarezza e perché
gli aneddoti rendono plastiche anche le
parabole metafisiche, mi soffermo sull’antecedente.
Il fatto è che qualche tempo fa,
durante una piacevole conversazione di
quelle che a ritmo di minuetto muovono
dal tutto al nulla, un amico, il quale per
altro non mi aveva lesinato lodi in materia
di intelligenza e gradevolezza, tra un sorriso e una sgomitata mi ha suggerito che
insomma non sarei abbastanza light. Il che,
meglio se sei donna e particolarmente nell’attuale momento storico, sarebbe di norma l’inizio di un dramma da esistenzialismo piccolo-borghese alla Ibsen, tipo.
Infatti, sulle prime ci sono rimasta molto male. Poi ho riflettuto, ho lasciato decantare un paio di giorni e sono partita
decisa all’attacco: che io light non vorrei
esserlo manco per idea e che anzi, non per
sfoderare la facile consueta retorica del
paradosso, io a sentirmi dire di non essere
light mi sento allora sì alleggerita.
Ed è così, soddisfazioni da vendetta eseguita a parte.
La lingua è importante, andrebbe
usata con consapevolezza, a volte con
cautela, perché, vai a capire se è la lingua
che definisce la realtà o viceversa, comunque lingua e realtà vivono in simbiosi.
Anche quando si tratta di lingue straniere,
mettiamo l’inglese.
Light è riferito al peso, alla sostanza, dove easy muove sopra e sotto
lungo la profondità e casual allude alla
accidentalità dell’impatto.
Ecco, se mi fossi sentita dire di
non essere abbastanza easy o casual, ma-
14
gari mi sarei costretta a valutare la mia
incapacità di scivolare di su e di giù, avrei
meditato sulla mia inabilità ad adattarmi al
caso e a seconda, e, stante il peso, a spiccare il volo, ad andare oltre.
Questo il punto, dunque: mi ha
infastidito all’inizio e rattristato di seguito,
ad una più attenta considerazione, insieme
all’elegante e a mio avviso francamente
irritante comitato della parola light, la visione del mondo, degli esseri e dei loro
rapporti che essa veicola, la mania della
leggerezza incorporea concepita non come
elaborazione tesa ad alleviare ciò che grave
è naturalmente e fatalmente, ma come
eliminazione di peso, deprivazione di materia, recisione di sostanza.
Non so se ab origine la colpa sia
un po’di Kundera e dello stranoto formaggio dietetico, o è solo che ad un certo momento delle storie e della Storia ciclicamente tanto succede; resta che il light imperversa e fa tendenza, in ogni forma, ovunque e sempre.
Nel palinsesto ideale delle nostre
giornate, delle nostre relazioni e degli eventi che le disciplinano vorremmo vedere
abolito ogni peso, finanche il simpaticissimo grattacapo, che disinnesca il pericolo e
lo rende più docile. Una leggerezza spiccia
e sommaria, che, proprio in quanto non è
di sostanza né di lì si avanza, ma volgarmente la sostanza la abolisce e la rifiuta, è
priva dell’ironia, dell’umorismo, della
poesia, della magia, dei vari strumenti
umani che l’intelligenza, e specie la più
“grave”, sa adoperare per attingere, questa
volta, sì all’insostenibile leggerezza dell’essere.
Strano a dirsi, così stando le cose,
che l’etimo del verbo pensare, attività nobile almeno quanto quella del percepire,
derivi dal pensare latino, intensivo di pendere, come dire pesare e ripesare; strano
pure che la legge fisica che governa il
mondo e che tutto nonostante lo rende così
saldamente compatto sia quella della gravità e che il suo scopritore, per pensarla questa legge, abbia dovuto essere colpito in
capo da un grave, bello lucido e tondeg-
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
giante come la mela di Adamo ed Eva.
La leggerezza è agli antipodi, per
l’appunto: non pensare, semplicemente,
ovvero rinunciare alla qualifica che più di
tutte è distintiva dell’uomo di elaborare,
rimestare il peso, per poi, tacchete, superarlo.
Immagini alterne di leggerezza e
gravità mi si affollano in mente mentre che
ne parlo.
La più risolutiva quella di Dante,
che costringe gli ignavi, leggeri quanti altri
mai, indolenti nell’azione e nella parola, a
seguire una insegna che corre turbinosa,
incapace di fermarsi, la punizione idonea
per coloro che mai hanno preso parte nella
vita; gli sciaurati, che mai non fur vivi
tanto sono indegni, che Virgilio, sentenzioso, raccomanda a Dante di non spendere
per loro nemmeno un’osservazione pausata e riflessa: non ragioniam di lor, ma
guarda e passa.
E sull’attitudine opposta di spendersi, di consumare il proprio peso mai
rinnegandolo, ricordo le belle parole di un
poeta tunisino vissuto nel primo Novecento e morto giovanissimo, Abừ l-Qasim alShabbi; persuaso del dovere morale di
ridestare la coscienza del suo popolo contro la tirannide, Abừl-Qasim al-Shabbi
marca la differenza tra vivere passivamente, leggermente, e voler vivere: In cima
alla montagna, nel più segreto albero, nel
mare scatenato, ascolta il mormorio dei
venti…che io indossi la speranza, mi spogli di prudenza. Non temo sentieri rigorosi
né fuochi alteri. Rifiutare le alte vette non è
vivere, per sempre, nel fossato?
Mi sovvengono anche le osservazioni penetranti e dolenti di un materialista
come Lucrezio a proposito del potere decisivo della mente, del suo peso, della facoltà
che essa sola possiede di elucubrare al di
sopra del mero principio vitale, al punto
che la persona cui mens animusque remansit “cui siano rimasti mente e animo”, anche se straziata nel corpo e privata in gran
parte del soffio vitale, tuttavia suscipit
auras e vita cunctatur et haeret “respira
l’aure di vita” e “s’attarda, s’aggrappa alla
vita”.
Chiara, insomma, la differenza
tra leggerezza e leggiadria: solo questa
spicca il volo, dopo che ha scavato nella
materia e se ne è intrisa, quasi. Come fa il
poeta, che, scrive Emily Dickinson, svela
cultura
gli aspetti e per contrasto ci conferma il
diritto alla nostra povertà.
Ho da poco letto un articolo che
parlava di un giocoliere milanese, figlio
della buona borghesia meneghina, Rodrigo
Morgante, il primo dottor clown italiano;
lavora per la Fondazione Théodora, nata
per portare ai bambini e ai ragazzi ricoverati in ospedale un po’ di serenità.
Rodrigo Morgante racconta di
aver ricevuto in dono il suo primo naso
rosso da una bambina che ora non c’è più;
il dono era accompagnato da un bigliettino,
diceva: Seguendo le leggi fisiche, il calabrone non potrebbe volare; vola solo
perché non sa che ha le ali troppo piccole.
Noi?☺
[email protected]
sono una donna
Quando gli amici se n’erano
andati e tutto tornava nella quiete e nella
verità, sedevo ai piedi del letto e ricominciava il nostro intimo colloquio.
Raccontare, raccontarci era un modo
dolce per non impazzire. Io esprimevo il
mio lamento e il mio Cantico con parole
sussurrate, urlate, singhiozzate; tu riplasmavi la memoria della tua metamorfosi
con parole arrochite, scarabocchiate,
occhieggiate, digitate… per sempre taciute.
La tua tenerezza, la tua rabbia,
la tua impotenza facevano di te un salterio aperto da cui uscivano gli antichi
salmi: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?”, ma anche: “Se dovessi
camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché Tu sei con
me”.
La sofferenza ti aveva purificato come il fuoco purifica l’oro: i tuoi
occhi allagati di malinconia, il tuo pianto
pieno di dignità, il tuo sorriso triste erano
attraversati da una luce che non avevo
mai visto prima.
Io stavo ai piedi del letto come
sotto a una Croce contemplando il tuo
corpo marcato dall’insostenibile e la tua
infinita solitudine. Stavo ai piedi del
letto… perché sono una donna e solo
una donna sa fissare il dolore senza distoglierne lo sguardo.
Magdala
sanità… in riga
libera molise
E’ anziano, galante e cortese.
Fa l’Assessore da più di un mese.
Dopo una vita da Magistrato
da Michele Iorio è stato chiamato.
Sempre compito, attento e silente
della sanità sa poco o niente.
Rimane un mistero chi l’ha indotto
ma pare che presto farà fagotto.
Da Venafro e da Larino
urlan al vento che li rovina.
In realtà come ben si sa
non per lui c’è il deficit là.
Ma come mai allor si dirà
fa l’Assessore alla Sanità?
Chissà perché in tarda età
non sta a casa a riposà…!
La Commissaria taglia e va dritta
e di Nicola non se ne importa.
Ma vuoi veder che belli belli
tutta la colpa è di Passarelli.
Sarà pur così ma tanto che spasso
ogni mese si passa all’incasso.
Sarà poco giusto né buono né saggio
ma i molisan pagan pedaggio.
Benzina più cara e tasse elevate
per i debiti accumulati.
Dov’eran i giudici nessun lo sa
ma Nicola ora sta là.
Non bastavan i nuovi balzelli
bisogna pagà pur a Passarelli.
La pensione la piglia e non sta sotto i ponti
se se ne va migliorano i conti.
Lasciasse Michele a fare il gradasso
coi molisani sotto salasso.
C’è già Isabella giunta da Roma
che ci taglia il pelo e pure la chioma.
Corresse lontano in un posto sicuro
che manca poco a lotte dure.
Di lui si ricorderà
gentilezza e inutilità.
Il Brigante del Matese
Calendario:
- 3 marzo 2010, a Trivento (CB), presso la
sala della sede vescovile – nella parte alta
della città - , alle ore 18.00, incontro di formazione con don Alberto Conti sul tema: “La
scuola di formazione all’impegno sociale e
politico Paolo Borsellino: la storia e le testimonianze”.
- 12 marzo 2010, alle ore 18.00, presso la sala
del dopolavoro ferroviario, alla Stazione
ferroviaria di Campobasso, incontro di formazione con Gabriella Stramaccioni, coordinatrice nazionale di LIBERA dalle mafie sul
tema: “Antimafia e cittadinanza”.
- 25 marzo 2010, alle ore 17.30, presso la sala
S. Francesco di S. Antonio di Padova, incontro di formazione con Marcello Cozzi sul
tema “L’evoluzione delle mafie, oggi”.
- Nel mese di aprile o di maggio 2010, luogo
e data da destinarsi, conclusione della formazione con Leo Leone.
Altre iniziative e progetti:
Ci saranno, inoltre, altri due incontri, molto
utili per la nostra formazione complessiva
con due coordinatori nazionali:
Davide Pati, responsabile nazionale del settore “Beni confiscati” ci illustrerà la politica
complessiva di LIBERA sul tema delle confische e su quello altrettanto importante di
come comportarci dinanzi alle tematiche
attinenti alla confisca e all’uso dei beni utilizzati per fini sociali e collettivi da cooperative
a volontari; in relazione ai suoi molteplici
impegni Davide Pati potrà venire solo la
mattinata di un sabato: dovremo scegliere
quale..
Davide Mattiello, coordinatore e responsabile
nazionale di LIBERA OFFICINA di tenere i
rapporti con il territorio e di verificare il grado
di crescita delle strutture regionali di LIBERA, verrà per due giorni a CB il 27/28 maggio 2010: un giorno a CB ed un altro a Termoli.
Intanto, c’è da preparare la giornata
della memoria delle vittime di mafia per il 20
marzo prossimo a Milano… Ci saranno,
inoltre, altre iniziative su cui daremo ulteriori
e più precise informazioni (un dibattito sul
processo breve; un cineforum sulla legalità;
un incontro sul tema della libera informazione).
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
15
arte
barocco: la decorazione
Gaetano Jacobucci
La grande stagione del Barocco
viene inaugurata da due opere romane, Assunzione della Vergine del Lanfranco, nella
cupola di Sant’Andrea della Valle (162527) e Il trionfo della Divina Provvidenza di
Pietro da Cortona nel salone di palazzo
Barberini (1633-39). Le accomuna la dilatazione dello spazio popolato da figure moltiplicabili all’infinito. Superando il sistema a
partiture da cornici tipico della tradizione
precedente e ancora adottato dal Classicismo emiliano, i due artisti puntano a fondere
spazio reale e spazio dipinto in
una nuova unità spettacolare. La
composizione si espande liberamente attorno ad un centro che
agisce come vortice o risucchio
luminoso, determinando catene
di moti ascendenti o ruotanti.
L’obiettivo riflette un mutamento di sensibilità e una precisa
evoluzione culturale in rapporto
al concetto di spazio. Le scoperte astronomiche del tempo erano
approdate ad una visione nuova
della natura e dell’universo, che
esercita una forte suggestione
sugli artisti e apre nuove opportunità di rappresentazione del sacro. La nuova
immagine del cosmo diventa il mezzo per
rendere percepibile con i sensi il mondo
delle idee e delle realtà intellegibili. L’invisibile si trasforma in trionfo celeste, e nella
vastità degli spazi pittorici barocchi si riflette
la rinnovata fiducia in se stessa della Chiesa,
uscita vittoriosa dalla Controriforma e nuovamente consolidata nel suo assetto gerarchico e dogmatico.
L’arte come persuasione
La Compagnia di Gesù, che fin
dalle origini era stata in prima linea sul fronte missionario e della lotta ai protestanti,
subisce nel Seicento un’evoluzione che la
porta ad attuare il rigorismo originario e ad
elaborare nuove forme di persuasione, in
linea con la mentalità e le mode culturali del
tempo. Nel fasto e nell’illusionismo barocco
i Gesuiti non tardano a riconoscere il linguaggio più adatto ai loro programmi di
celebrazione dogmatica e propaganda dot-
16
trinale. La decorazione della chiesa madre
dell’Ordine, il Gesù, mostra piena adesione
alla concezione berniniana dell’arte come
spettacolo e strumento di persuasione. Il
risultato si vede nella volta: Esaltazione del
nome di Gesù: dalla concezione dell’unità
delle arti deriva lo spettacolare artificio della
pittura che si sovrappone agli stucchi. In
questo modo le figure affrescate - grovigli di
demoni precipitanti dall’alto e schiere di
beati fluttuanti sulle nuvole - irrompono
nello spazio della navata.
Il tema della morte e della vanitas
Sulla religiosità seicentesca incombe il martellante richiamo biblico della
vita e della transitorietà dei beni materiali.
“Vanità delle vanità tutto è vanità”(Ecclesiaste 2,1), sintetizza molto bene
l’aspetto della spiritualità della Controriforma, che viene proposto con frequenza crescente. Quasi per un rigurgito di timori medievali, nell’arte del Seicento assumono
nuovo rilievo i motivi lugubri e gli emblemi
macabri. Nelle nature morte seicentesche
troviamo oggetti come la clessidra
e l’orologio (fugacità del tempo),
fiori recisi e frutti bacati
(ineluttabilità della morte). A volte
le illusioni sono meno esplicite o
addirittura mascherate: una pipa
può ricordare il dissolversi in fumo
dei piaceri umani; la candela spenta
è immagine della fine; il silenzio
degli strumenti musicali accatastati
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
e impolverati allude al silenzio della morte.
Nelle splendide nature morte di Pieter Claesz e Willem Claesz Heda compaiono boccali mezzi vuoti, piatti con avanzi e pipe
spente. I valori cromatici si fondono su toni
bassi di grigio e bruno, accentuando il senso
di caducità e malinconia. Alla caducità aveva fatto riferimento lo stesso Caravaggio
nella Canestra di frutta, inserendovi una
mela bacata e un acino d’uva intaccato da
muffa. La presenza sinistra della morte è
suggerita da Guercino nel celebre quadro in
cui due pastori scoprono un teschio posato
su una pietra con l’iscrizione “Et in Arcadia
Ego”, (io la morte sono presente anche in
Arcadia). Nella dimensione apparentemente
felice e incontaminata dei pastori, della
poesia e della musica la morte è presente.
Questo tema esprime il sentimento del tramonto della classicità ideale.
Bamboccianti
Ad un gruppo di pittori olandesi
attivi a Roma nel Seicento è data
la denominazione di Bamboccianti, con intento denigratorio.
Il soprannome Bamboccio era
stato attribuito, per le sue deformità, al pittore olandese Pieter
Van Laer. I Bamboccianti riuniti
in una vera e propria compagnia
di pittori, rispondono da una
parte alla richiesta di collezionismo, e dall’altra alle peculiarità
della pittura del genere olandese, dando
un’interpretazione particolare della pittura,
della realtà e dei modi caravaggeschi. Dell’aspetto formale della pittura di Caravaggio
adottano lo studio della luce, che mette in
evidenza il vero. Dal Realismo prendono i
soggetti semplici e dimessi, proponendosi
come reazione all’imperante classicismo
barocco. Mentre godono del favore dei
collezionisti, non vengono apprezzati dai
critici.☺
[email protected]
recensioni
libri da gustare
Annamaria Carlone
Vite dei santi, recitava a grandi
lettere l'elegante locandina affissa appena
fuori dal negozio di alimentari; a caratteri
più piccoli altro vi era scritto ma non prestai attenzione... la vita dei santi non mi ha
mai appassionato.
Era il 24 dicembre e, come quasi
sempre durante le feste di Natale, mi trovavo a Ripabottoni, il mio paese.
Alcuni giorni dopo, gentilmente
invitata, mi reco nella bella Biblioteca
Comunale di Ripa per l'ascolto e la lettura
a voce alta di un libro proposto da Molise
d’Autore e dall'Associazione Socio Culturale Tito Barbieri. La sala è semivuota,
siamo in pochi, ma il libro La
terra del ritorno, una trilogia di Nino Ricci, è bellissimo; scorrendo le pagine
vengo a poco a poco catturata dalla storia: Vittorio, un
bambino di sette anni, vive
con la mamma e il nonno
invalido in uno dei tanti
dimenticati paesi del Molise,
sparsi sugli Appennini. È il
1960 e il padre è emigrato in
Canada da quattro anni. Il
ragazzo frequenta la scuola
con scarso profitto, è sempre
distratto, si annoia e solo
quando la maestra gli legge
le vite dei Santi, Vittorio ascolta interessato. Una storia più di tutte lo appassiona,
quella di Santa Cristina, perché Cristina è il
nome di sua madre.
Un evento inaspettato e scandaloso sconvolge la vita del piccolo nucleo
familiare costringendo la madre, una donna forte e ribelle, a lasciare insieme al figlio il piccolo paese del Molise. Cominciano i preparativi per la partenza: il passaporto, il baule, i saluti... La maestra, commossa, lo abbraccia con grande trasporto e gli
regala il libro Vite dei Santi.
Vittorio, quasi come in un sogno
e inconsapevole di cosa lo aspetta, si ritrova al porto di Napoli e poi sulla nave che li
porterà ad Halifax in Canada.
Il viaggio in mare durerà giorni e
giorni; tante le persone conosciute: il capitano, il medico di bordo un ufficiale gentiluomo, passeggeri amichevoli e, al suo
arrivo, un... perfetto estraneo: suo padre.
L'incontro con il padre segna la fine del
primo libro intitolato “Vite dei Santi”.
L'autore continua poi la storia
con altri due romanzi La casa di vetro e Il
fratello italiano, dove viene raccontato il
difficile rapporto con il padre e la sorella
Rita. Vittorio dovrà gradualmente integrarsi e appropriarsi della lingua, in una terra
sconosciuta e talvolta ostile “La chiesa
sembrava l'unico posto dove la mia lingua
non fosse usata contro di me, e dove pote-
vo rilassarmi al suono familiare del latino...” (pag. 311).
Vittorio un giorno farà ritorno
alla terra d'origine, al paese che aveva abbandonato, ma scoprirà che più niente
corrisponde all'immagine che per tanti anni
si è portato dietro.
La terra del ritorno, magistralmente tradotto da Gabriella Iacobucci, è un
libro emozionante, a tratti struggente. L'autore, Nino Ricci, nato nell'Ontario da genitori contadini emigrati in Canada dal Molise, ha saputo raccontare con realismo e
senza retorica l'emigrazione, descrivendo
dettagliatamente luoghi e persone, dipingendo immagini con le parole. La storia è
trascinante, i capitoli scorrono veloci uno
dietro l'altro coinvolgendo in un crescendo
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
il lettore.
Consiglio vivamente la lettura di
questa trilogia perché è la storia della nostra emigrazione. Anche i molisani sono
stati un popolo di emigranti e sarebbe bene
ricordarlo quando, verso i nuovi emigranti
di oggi, usiamo talvolta toni di disprezzo.
Ero partita da Roma con tre libri,
da leggere nella quiete rilassatezza di Ripa... sono tornata a Roma con un libro, La
terra del ritorno, che ho letto durante tutta
la mia permanenza e che non vedo l'ora di
terminare.
Ah! dimenticavo, al terzo incontro in biblioteca eravamo molti di più e
questa lettura collettiva è stata davvero
piacevole. È stato bello ritrovarsi lì, insieme, a commentare, a riflettere, a ricordare,
a commuoversi e... a mangiare un pezzo di
dolce, perché, come scrive Roberto Piumini “Se i libri fossero di frutta candita, li
sfoglierei leccandomi le dita”. W
la lettura!
E se in questi giorni di festa trascorsi a Ripa ho potuto
“gustare” la lettura di questo bel
libro e conoscere un autore, Ricci, di cui ignoravo l'esistenza, il
merito è del “Progetto Biblioteche Aperte - Il libro e la voce”.
Questo progetto, promosso dall’Associazione Molise d'Autore,
patrocinato dalla Regione Molise
e dall'Ambasciata Canadese,
propone incontri di lettura a tavolino (con partecipanti dai 6 ai
10), condotti da Gabriella Iacobucci; gli autori scelti sono stranieri di origine molisana oppure scrittori
molisani poco conosciuti.
L'iniziativa è senza dubbio encomiabile e già l'estate scorsa, con la collaborazione dell’Associazione SocioCulturale Tito Barbieri e del suo presidente Domenico Ciarla, abbiamo avuto la
possibilità di leggere e apprezzare il libro
Le voci di mio padre di Joe Fiorito, autore
di origini ripabottonesi.
Ben vengano altri incontri de
“Il libro e la voce” perché, oltre ad animare quelle biblioteche del territorio che
talvolta somigliano troppo a musei del
libro, sono occasioni culturali preziose di
cui i paesi del nostro Molise hanno bisogno. ☺
17
terzo settore
sentirsi responsabili
Leo Leone
Solo una responsabilità condivisa
produce frutti ed energia per attrarre risorse
pubbliche e private volte al bene comune. È
questo un traguardo prodotto dalla cultura e
dal senso di comunità, mentre l’azione dei
singoli si rivela cedevole alla caducità e alla
arrendevolezza.
Dalla cultura di comunità può
scaturire una politica che si apre alla progettazione partecipata e ad una cogestione efficace; al risparmio di risorse e concrete opportunità di lavoro sottratte alla precarietà e
ad una maggiore forza contrattuale intorno
ai tavoli della politica. Su questa linea si
generano nuove prassi di governo che attuano il primo articolo della Costituzione che
assegna la sovranità al popolo. E non si
finirà mai di attualizzarlo.
Sul tema della responsabilità sociale di singoli e di gruppi ha lanciato un
forte richiamo, il 28 febbraio scorso, Stefano
Zamagni nel suo intervento al teatro Savoia
di Campobasso, tenuto nel corso della presentazione dell’enciclica “Caritas in Veritate”.
“La solidarietà è anzitutto sentirsi
tutti responsabili di tutti, quindi non può
essere delegata solo allo stato”. È questo un
passaggio molto incisivo del documento
pontificio che ritorna a più riprese a connettere giustizia, solidarietà e salvaguardia di
diritti alla responsabilità di ciascuno.
Un episodio accaduto di recente,
ci richiama al diritto/dovere di assunzione di
responsabilità per non ricadere nella ricorrente tendenza alle lamentazioni che non
risolvono i problemi e non ci rendono immuni da condanna sul piano etico.
In occasione della recente convocazione in consiglio regionale con all’ordine
CAMPOBASSO
18
del giorno la discussione del bilancio preventivo della regione Molise, non siamo
stati presenti come Forum del Terzo Settore.
La stampa evidenziava con… stupore la
latitanza di molti organismi rappresentativi
dell’associazionismo e degli stessi sindacati.
La cosa ha una spiegazione molto
semplice e limpida: la comunicazione e
l’allegato sul tema su cui dibattere è pervenuta il giorno 31 dicembre. Il primo gennaio, come è ben noto a tutti, non è propriamente un giorno lavorativo e le sedi di uffici
pubblici e privati sono chiuse.
La seduta in consiglio regionale
era fissata per il giorno 4 di gennaio, il primo giorno lavorativo del nuovo anno. Non
c’erano di certo lo spazio e il tempo materiale per convocare il comitato di coordinamento del Forum, per una attenta analisi del
complesso materiale da cui ricavare osservazioni e proposte da presentare in sede di
discussione. Per cui siamo rimasti più che
sorpresi, nell’apprendere dalla stampa la
notizia del vuoto di cittadinanza nella sede
del consiglio regionale. Mentre non ci ha
sorpresi il fatto che il bilancio era stato approvato senza troppo dibattere.
Una storia che si ripete. Ripropongo un breve passaggio dell’intervento che,
in veste di portavoce del Forum del Molise,
pronunciai nel gennaio 2008 nella stessa
sede regionale, in occasione della discussione sul Documento sulla Programmazione
elaborato dalla giunta. “È tempo di andare
oltre il metodo delle classiche audizioni.
Sono maturati i tempi per andare oltre il
modello della governabilità ristretta nei
tradizionali recinti dei partiti e degli apparati
istituzionali. La “governance” attuale richiede un maggiore coinvolgimento dei cittadini, singoli e associati,
nella programmazione degli interventi,
soprattutto nel campo delle politiche
sociali. Nella proposta contenuta nel
DPEF della regione
Molise a tale tema è
dedicato uno spazio
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
piuttosto sobrio contenuto nel cap. III al par.
4 nelle pag. 39-40. Al loro interno non si
coglie una delle novità normative scaturite
dalla L. 328/200 e dalla riforma dell’art. 118
della Costituzione; per cui quando nel documento si parla di costante dialogo e…..di
una sostanziale condivisione da parte degli
attori locali non si fa alcun cenno alle organizzazioni sociali che, nelle normative citate, costituiscono parte interattiva permanente con le istituzioni ad ogni livello territoriale”.
Il presidente di turno si scusò e
non mancò di dichiarare che comprendeva
le riserve da noi esposte e accoglieva il messaggio da noi lanciato. La regione ne avrebbe tenuto conto per il futuro…
Ed eccoci allora a riprendere il
tema della responsabilità che ci riguarda
tutti come cittadini singoli e associati. Non
finiremo mai di capire, denunciare anche,
per poi proporre. E lo faremo ancora.
La storia ci dice che per lo più i
cambiamenti si sono verificati proprio quando i popoli, le nazioni, sollecitate anche da
cittadini che si espongono, si sono imbattuti in vicende tristi e talora anche tragiche. Fu
il caso della rivoluzione “copernicana” avvenuta negli USA sulla questione della discriminazione razziale. Fu proprio dallo
stato di schiavitù e di segregazione dei negri
che nacque la sfida di Martin Luther King
“I have a dream”. Ma senza l’assunzione di
responsabilità da parte di tutti non si può
disegnare un mondo diverso. Specie in tempi, come i nostri, di “schiacciamento mediatico” ben manipolato dai potenti. ☺
[email protected]
leggo
la fonte
perché
al festival di sanremo,
in gara anche
emanuele filiberto.
finalmente nell'udc
cominciano a cantare
società
“Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura e
tradizioni, ma è una persona da rispettare
e con diritti e doveri, in particolare nell’ambito del lavoro dove è più facile lo sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita”. Così si è pronunciato il Papa, Benedetto XVI, in merito alla
situazione degli immigrati, ribadendo la
necessità dell’accoglienza pur nel rispetto
della legalità.
La società moderna è caratterizzata dalla mobilità delle persone: non è più
l’emigrazione di una volta. Il mercato del
lavoro, scambi culturali e, ahimè, guerre e violenze portano milioni di persone
a lasciare il proprio paese.
In Italia negli ultimi 30 anni
sono arrivati oltre 4 milioni di persone
provenienti da circa 200 paesi diversi. Il
dato più preoccupante è quello dei minori non accompagnati: ogni anno arrivano nel nostro territorio circa 8.000
minori che vengono accolti in famiglie
o istituti. Un buon 10% è irreperibile.
Gli stati d’animo e gli atteggiamenti sono molto contrastanti: da
una parte vi è la consapevolezza di
azioni a protezione dei minori e degli
immigrati che sono in palese, evidente
difficoltà, dall’altra si hanno ronde,
caccia all’immigrato, violenze di ogni
genere. La divisione nella popolazione
è determinata anche dalla Politica che
ritiene di risolvere una problematica di
vaste dimensioni con i proclami o con i
respingimenti.
Alla ormai atavica assenza di
politiche familiari, aggiungiamo quella di
politiche sociali e di integrazione. Necessita, in questo campo, un sostanziale cambio
di passo impegnandosi tutti per rendere
concreti ed esigibili i diritti umani, spesso
declamati ma altrettanto spesso disattesi: i
fatti di Rosarno sono figli di questa politica della contraddizione e della miopia.
forme di schiavitù
Solidarietà, accoglienza, rispetto
dei diritti umani, assistenza ai più deboli
caratterizzano una società che si definisce
civile ed evoluta. La globalizzazione ha
portato anche il fenomeno delle grandi
migrazioni che aprono nuovi orizzonti,
nuove relazioni. L’alzata di scudi è la testimonianza di mancanza di coraggio, la
paura di aprirsi agli altri. Di fronte al dramma di tante persone in difficoltà, tutti sia-
mo chiamati ad avere la schiena dritta per
vincere egoismo, cinismo e indifferenza.
Ogni vita umana ha dignità, ha
diritti inalienabili che nessuno può ledere.
“Io sono una persona e non un animale”
ha affermato un giovane di pelle nera colpito alle gambe con un colpo di fucile nella
vergognosa caccia all’uomo di Rosarno.
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
Siamo tutti sopra una miscela
esplosiva fatta di illegalità diffusa e tollerata, di sfruttamento del lavoro nero e di
mancanza di controllo del territorio. Sono
molto gravi le parole del Presidente del
Consiglio a margine della riunione del
Consiglio dei Ministri tenutosi a Reggio
Calabria che ha affermato che sono solo
gli extracomunitari a ingrossare le fila delle
organizzazioni criminali.
È una delle tante falsità della
Politica. Sarebbe il caso invece di dire
chiaramente che senza tanti immigrati
molte aziende avrebbero chiuso, senza
tante signore dell’Est molti nostri anziani
sarebbero soli.
Certo il flusso va regolato, ma
nessuno deve pensare di poter sfruttare chi
è in uno stato di maggiore bisogno. Abbandonare tante persone in situazioni
disumane è il peccato più grave che si
possa commettere. Chi si professa cristiano non può pensare di starsene seduto
tranquillo a casa sua e far finta che non è
successo niente, tanto non tocca la sua
persona.
Chiesa, comunità, associazioni
devono intervenire per denunciare l’illegalità, bloccare lo sfruttamento, dare forza ai più deboli per il riconoscimento di
quanto dovuto, di retribuzioni giuste.
L’ipotizzato disegno di legge sul
permesso di soggiorno a punti è un ulteriore schiaffo alla Democrazia e alla Costituzione. Se accettiamo supinamente
anche questo provvedimento, se restiamo
in silenzio, dobbiamo avere contezza che
stiamo favorendo nuove forme di schiavitù. ☺
riformista [email protected]
19
società
evasioni
Giulia D’Ambrosio
Mentre si parla di appalti gonfiati, collusione, concussione, usura, mazzette
e massaggi terapeutici per uomini stressati,
ecco che torna il vero grande problema del
Paese: l'evasione fiscale.
A chi ancora crede che ci sia un
futuro in questa repubblica delle banane,
questo è il futuro che ci aspetta: aumento
dei costi bancari, già in atto in tutti gli
istituti di credito; le spese bancarie e i
tassi d'interesse lieviteranno a dismisura;
aumento della tassazione e dei costi burocratici perché alla fine siamo noi commerciati e artigiani che dovremo far
lavorare tutti quei consulenti che non
hanno lavoro.
Chi rattopperà i buchi contributivi lasciati da tutte quelle aziende che
hanno chiuso e da quelle che sono scappate a gambe levate da questo Paese?
Tutto questo a fronte di un mercato ristretto che non consentirà di pagare i
debiti accumulati tra il 2008 e il 2009
con in più i costi del 2010.
I cosiddetti studi di settore che
consistono in un calcolo presunto di imposte evase, senza diritto di replica o di dimostrazione, continueranno a mettere le mani
in tasca anche a quei piccoli lavoratori
autonomi onesti che lottano per resistere,
mentre le frontiere hanno aperto i cancelli
d'oro a miliardi di vera evasione, dicendo
pure grazie. Giustizia a colpi di scudo.
Per chi poi paga molti interessi
passivi alle banche, ai leasing e via dicendo
per investimenti oggi sovradimensionati,
arriva la moratoria con la scusa dei rating e
per chi sperava in una riduzione dell'IRAP,
la risposta è: minor deduzione dalla base
imponibile degli interessi passivi cioè più
20
tasse per chi è in difficoltà.
L'Agenzia delle Entrate constatando la riduzione del gettito fiscale decide
di reagire con una nuova campagna di
controlli che per taluni sarà una specie di
guerra preventiva a tutte quelle PMI che
già per conto loro si trovano in disagio per
un anno di fatturato ai minimi storici. Ogni
sforzo è stato sempre proteso a salvare
grande industria, capitali, multinazionali e
interessi di soliti noti o ignoti.
Il saldo negativo tra chiusure e
nuove aperture dei negozi è impressionante in Molise ed in tutto il territorio nazionale. Noi piccoli siamo sempre più invisibili
ma il peggio è che le chiusure si susseguono anche nella grande distribuzione e fanno notizia, mentre i nostri negozi chiudono
nell'indifferenza delle Istituzioni, che dopo
dieci anni preparano una legge che non
tutelerà, né strutturerà il commercio locale.
Troppo commercio per troppa poca gente,
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
bisognava avere più responsabilità e senza
alcuna distinzione politica perché il mercato delle “convenienze” è trasversale. L'impoverimento delle famiglie il cui reddito
negli ultimi anni è stato eroso da una serie
di aumenti sui beni primari, utenze domestiche ed imposte ruba ormai la gran parte
dei nostri potenziali clienti. Senza contare
tutti coloro che il posto di lavoro e il reddito non ce l'hanno più. Eppure un provvedimento nazionale come quello della riduzione dell'aliquota Iva potrebbe giovare a
tutti, abbassando immediatamente i prezzi
al consumo, senza creare particolarismi o
mere operazioni da marketing aziendale
come la social card o il buono vacanze in
favore di chi dovrebbe dimostrare di avere dei bisogni ancora una volta indotti e
verso direzioni già programmate.
E noi, nella nostra piccola regione, come sopravvivremo dopo il crollo di
tutto il comparto economico con l'aggiunta di un territorio aggredito da calamità
naturali, collegamenti stradali e ferroviari
in condizioni di grave disagio e una quota
di abbandono della popolazione in età
lavorativa destinato ad aumentare sempre
più? Per un governo-azienda come il
nostro potremo urlare come voce che
grida nel deserto. Potevamo fare in questi
anni molto di più e meglio con le risorse a
disposizione, e se solo si volesse, potremmo cominciare ad invertire la rotta.
Cosa abbiamo nel DNA noi molisani o meglio “Molisani” come qualcuno
ci ha definiti per non reagire nemmeno
quando si arriva con l'acqua alla gola?
Pesano su di noi, come macigni,
anni di politica clientelare, di mancanza di
partecipazione civile che fanno sempre più
il gioco di coloro che in maniera indebita
scrivono la trama di un film dove i veri
protagonisti sono tragicamente solo pallide
comparse.☺
[email protected]
pillole di lupo
Distratto dalle sue avventure
contro le Graie e ancor più tremende sorelline Gorgoni e dalle sue amicizie divine,
come Athena, vergine e bella, riuscirà
Perseus a “riconoscere” la sua Cenerentola?
Tutto qui: la domanda e la risposta. Ma, … si dice che per fare una cosa
seria, invece che affermazioni laconiche,
pittoresche e criptiche, sia necessario citare
le “fonti” ed argomentare le affermazioni.
Proviamo. Le Costituzioni, cioè, come
tutte le carte fondative di una comunità,
non sono nate e non nascono dal nulla, ma
da una lunga storia di lotte, sacrifici, sofferenze e, soprattutto, vittime! Vittime di una
ricerca che si matura nelle concrete vicende degli uomini, che giorno dopo giorno
fonda nuovi valori, costruisce o tenta di
costruire una visione diversa ed alternativa
del vivere insieme, ovvero delle relazioni
tra i “convitati”; pertanto, si può legittimamente affermare che queste non sono assolute, ma itineranti, ovvero, cambia il
“contesto”. I Documenti ufficiali e riconosciuti da qualcuno, prima, e da altri poi,
sono tanti. Ne cito solo alcuni “recenti”,
con qualche commento breve e sconvolgente: “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” (1789), dove l’art. 1
recita: gli uomini nascono e vivono liberi
ed eguali nei diritti, ma, subito dopo: le
distinzioni sociali continuano ad esistere
purché siano fondate sull’utilità comune;
“Statuto Albertino” (1848), dove all’art. 1
si afferma: la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello
Stato e che: gli altri culti ora esistenti sono
tollerati conformemente alle leggi… e lo
Stato Pontificio (Cattolici) praticava
“d’abitudine” tortura e pena di morte, quest’ultima cancellata dal Diritto Vaticano
nel 1969 e dalla Legge fondamentale vaticana nel 2001! E … via altre carte, utili
solo a proclamare Diritti e Doveri di tutti,
la giustizia di corte
Z’ Vassilucc’e
esclusi di fatto i Principi! …con buona
pace di tutti.
Il riconoscimento dei diritti
“universali”dell’uomo, ovvero per tutti
tranne che per alcuni “altri”, per esempio
le donne e “gli ultimi”, è venuto maturando lentamente e faticosamente nei secoli e
non per grazia del Principi, bensì in forza
della disperata lotta degli oppressi, donne
ed ultimi inclusi. Lotta disperata sì, sempre, perché non è stato mai concesso niente, ma è stato ottenuto e riconosciuto sempre poco!
Il potere si sa, anche quello di
genere, pur di non perdere lo “status”, ha
fatto e fa le concessioni. E così: lo Stato
Pontificio conserva la forma di Papato
Democratico dove l’elezione del Governante, di fatto, viene effettuato dalla minoranza cattolica presente in Europa, ma
Cardinali e Vescovi sono anche di “colore
e maschi”! (concessione idealistica ed
illusoria); gli stati Democratici eleggono i
loro Principi dalle indicazioni dei Feudatari
dei Partiti (…tanto per non andare lontano, vedi le “operazioni” per l’elezione del
prossimo Sindaco di Termoli) e dai condizionamenti indotti dalle strutture massmediatiche dove è il Popolo che vota! (le
donne popolo “poche” e “dopo gli uomini” - illusionismo prassico e democratico).
Intanto gli ultimi, i diseredati, gli sfrattati e
derubati del Pianeta, maschi e femmine,
continuano a sostare sotto le mense dei
ricchi epuloni tutti Democratici, taluni con
disprezzo, ovviamente, vengono chiamati
“Totalitari”.
Ma, senza scomodare troppo la
storia, basta osservare cosa avviene nella
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
società civile, ovvero partendo dal proprio
condominio: gli interessi di tutti vanno
salvaguardati, ma nel rispetto dei diritti
individuali e soggettivi dei proprietari.
L’inquilino? Beh, cosa pretende, mica è
proprietario! I confinanti? Beh, cosa vogliono, ognuno decide a casa propria! Lo
straniero? Se avanzassero pretese, c’è sempre l’ordine costituito a ristabilire il Diritto
del dritto.
Qualcuno, pazzo, rivoluzionario
e anarchico, feccia da isolare e, se necessario, distruggere, ha provato ad affermare il
“diritto dei senza diritti”, ovvero, semplicemente, anche il proprio diritto. Risultato:
sono diventati Diogeni “con la barba bianca, abbandonati al loro tascapane di melanconie e nenie, stanchi e sopraffatti dalle
fatiche per inoltrarsi laddove la fantasia
incontra l’esistenza e l’esistere diventa
consapevole e coerente esistenza”. Sono
diventati anche loro funzionali ad un potere che non cambia, perché il Popolo dei
diseredati non ha potere? Forse.
Ma, i cantori con la barba bianca,
forse, riescono ancora ad accendere il cuore alla speranza di un altro mondo possibile. E, certo, non è cosa da poco!☺
[email protected]
GIÙ DALL’AU TO B U S
Bersani: “Il Pd non è un
autobus”.
Se lo fosse,
Avrebbe una linea.
www.spinoza.it
21
libera molise
l’ira
Franco Novelli
A proposito di “ira”, vorrei partire
da due vicende, molto differenti fra loro (nel
tempo e nello spazio) ma significative: la
prima è l’episodio famoso dell’ira di Mosé,
che rompe le Tavole della Legge, quando,
scendendo dal monte Sinai, dove era salito
per ricevere nuove indicazioni da Jahvé, vede
con immenso stupore che il popolo giudaico
ha dimenticato il culto del vero Dio, praticando l’idolatria.
L’altro sconfortante avvenimento
riguarda la rivolta violenta degli immigrati a
Rosarno (RC), che ha portato alla luce i livelli
disumani di riduzione a schiavitù dei lavoratori immigrati, regolari o clandestini, prevalentemente provenienti dall’Africa settentrionale, ad opera della ‘ndrangheta calabrese ma
anche di piccoli proprietari terrieri, a loro
volta vessati dalle assurde regole del libero
mercato, per il quale un chilo di arance viene
pagato fra 7 e 10 centesimi di euro.
Una infima miseria ed una grossolana provocazione al buon senso comune.
I due episodi offrono alla parola
“ira” un significato apparentemente contiguo,
ma nella sostanza molto lontano l’uno dall’altro. La narrazione biblica, che descrive Mosé
adirato, rappresenta un personaggio tradito
dal suo popolo, dimentico degli insegnamenti
per i quali esso poteva definirsi diverso da
altri, in quanto monoteista e teso alla ricerca
della Terra promessa. Ciò lascia capire che,
se un popolo, ma anche un individuo, non è
rigorosamente guidato, pur in presenza di un
patto condiviso per il bene della collettività,
come per esempio il dotarsi di leggi necessarie alla tutela e alla salvaguardia di tutti, esso
si allontana certamente dalle leggi, divenendo
vittima di se stesso, del proprio processo di
anarchia sociale, delle arroganti giustificazioni di comportamenti prevaricatori. Una collettività, quindi, ha bisogno di punti di riferimento e a questa esigenza rispondono le leggi
di cui la collettività si dota per un rettilineo e
condiviso cammino di coesistenza pacifica.
La cronaca dolorosa di Rosarno, in
provincia di Reggio Calabria, dove ci sono
stati scontri fra gli abitanti e gli immigrati, fa
emergere tutta la drammaticità dell’esistenza
infelice ed amara dell’immigrato, caricandolo
22
di odio, di aggressività, che si trasformano
facilmente in comportamenti violenti, dettati
da un rancore covato nel silenzio amaro e
solitario degli schiavi.
Gli immigrati in prevalenza nordafricani, regolari o clandestini, si sono energicamente opposti alle inumane condizioni di
lavoro di vita fondate sullo sfruttamento
schiavistico. La raccolta delle arance nella
piana di Rosarno ogni anno riesce a convogliare diverse migliaia di lavoratori stagionali,
che, pur di guadagnare una “miserevole paga”, si sottopongono a condizioni molto precarie di lavoro, essi che per la stragrande
maggioranza dei casi sono costretti ad abbandonare le loro terre per la povertà endemica o
per ragioni esclusivamente politiche.
Le scene di violenta protesta espressa dagli immigrati, anche contro inermi
cittadini di Rosarno, sono comunque la raffigurazione di un disagio terribile che è insopportabile agli occhi di una parte consistente
della nostra società. Il lavoro deve essere lo
strumento di una vita dignitosa per chiunque
decida di insediarsi sul nostro territorio metropolitano, per chiunque decida con razionale discernimento di fermarsi nel nostro paese.
Noi, nel contempo, dobbiamo impegnarci a
favorire l’integrazione degli immigrati, chiedendo sì il rispetto delle nostre regole costituzionali, senza peraltro sottoporli ad un regime
xenofobo di sopraffazione (come oggi le
leggi securitarie stanno invece facendo, inventandosi il reato di clandestinità o del soggiorno a punti). Se c’è il lavoro, e con esso la
salvaguardia e il rispetto di norme convenzionalmente accettate, c’è, come riscontro, una
vita dignitosa, una tensione civile ed una
motivazione ideale per accrescere e per partecipare al benessere della comunità alla quale
si intende associarsi. Di qui, l’ira dell’immigrato, che è rabbia, rancore, anche violenza
distruttrice, naturalmente da condannare ma
anche da capire.
La collera e l’indignazione degli
immigrati e dei poveri sono anche il nostro
sdegno e la nostra collera di cittadini dinanzi
alla quotidiana distruzione di quelle norme
tutorie della dignità della persona e del lavoro. Con la motivazione diffusa oggi, oltre
ogni misura, della crisi economica che punge
e tormenta la pelle di milioni di famiglie nel
mondo ed in Italia, non consideriamo giusto
l’abbattimento di ogni tutela sociale e sindacale duramente conquistata in questi anni
dalla classe lavoratrice e da quella operaia in
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
particolare.
Pensiamo innanzitutto ai lavoratori
sardi della multinazionale ALCOA di Portovesne, Cagliari, che hanno attuato una protesta energica, riversandosi sulla pista dell’aeroporto di Cagliari e andando a Roma, dinanzi
al palazzo del Governo, a gridare la loro rabbia per la ventilata chiusura dell’azienda.
Prendiamo in considerazione l’industria umbra della Merloni (l’azienda che
costruisce frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie
tra Nocera Umbra e Fabriano).
Occupiamoci di Termini Imprese,
dove la Fiat ha deciso di chiudere nel 2011 lo
stabilimento e di gettare letteralmente sul
lastrico migliaia di famiglie che da anni hanno costruito le loro storie sull’insediamento
automobilistico e sulla capacità di espansione
dell’indotto dell’auto.
Interessiamoci della Geomeccanica
di Venafro/Pozzilli, in provincia di Isernia, e
della dolorosa sofferenza di questi lavoratori
e delle loro famiglie che da mesi non vedono
più un centesimo di euro. Ecco, dinanzi a
questo penoso scenario, di cui è anche responsabile l’attuale classe dirigente del paese,
che perde tempo in chiacchiericci immorali
relativi alla propria condizione di privilegio
feudale (il processo breve; il legittimo impedimento; le intercettazioni telefoniche; ma
anche lo scudo fiscale; il rientro dei capitali in
prevalenza mafiosi dall’estero in forma anonima). Dinanzi a questo contesto penosamente immorale e antidemocratico, che è l’anticamera di una condizione politica di
“servaggio” già miseramente presente, oggi,
in Italia, ebbene è giusto farsi prendere dall’ira e, con veemente impegno, è necessario
riprendere in mano la logica e il vocabolario
della lotta antagonista fondata sull’aggregazione civile e condivisa, che i sindacati, soprattutto di base, esprimono ed indicano.
In questo senso l’ira è l’espressione
aperta di uno sconforto, che determina la
capacità di ribellarsi e di tentare di ri-costruire
un futuro migliore, fondato sul rispetto rigoroso delle leggi ma anche su un convincimento, che ci sembrava presente nel tessuto
sociale, che cioè l’uomo non è una bestia da
soma, ma è una persona con il suo mondo
spirituale e con il suo bagaglio civile e culturale insieme. ☺
[email protected]
casacalenda
vita interiore
il comune si appella
Domenico D’Adamo Antonio Di Lalla
Antonio De Lellis
Occorre attraversare il buio per riconoscere la luce, restare
in silenzio per ritrovare le parole, accettare la propria debolezza e
sottrarsene per gustare la forza, vivere l’infelicità per ritrovare la
serenità.
Occorre perdonare per non vivere nel malessere, chiedere
perdono per rinascere dalla miseria, piangere per guarire dall’egoismo, vivere il travaglio per partorire i sogni.
Occorre riconoscere la falsità per desiderare la verità,
abbracciare per imparare a condividere, baciare per vivere la tenerezza, riconoscere l’ignoranza per gustare la conoscenza, perdersi
per imparare a ritrovarsi.
Occorre la sofferenza per rompere il sonno della ragione,
spaventarsi per desiderare protezione, sentirsi piccoli per scoprire la
grandezza degli altri, riconoscersi diversi per accogliere la diversità.
Occorre disturbare le coscienze per liberare la missione,
rispettare la vita nel creato per non uccidere la speranza, sentire
l’ingiustizia insopportabile per ingaggiare la lotta, fermarsi per poter camminare sulla strada, sentire la solitudine per saper vivere con
gli altri.
Occorre capire il presente per scoprire il passato e toccare
il futuro, accettare la vecchiaia per godere della giovinezza, accettare la morte per imparare ad essere vivi.
Occorre accettare ciò che hai compiuto
per moltiplicare gesti di vita, perdere per riconoscere il valore di una impresa, essere rifiutati per
scegliere di accogliere, guardare dentro per capire
gli altri, imparare a sorridere per vedere la luce sul
volto accanto, gioire delle piccole cose per capirne
la grandezza.
Occorre una fede per avere il coraggio di
rialzarsi, attraversare la povertà per scoprire la
ricchezza, conoscere la schiavitù per vivere la libertà.
Occorrono tutte queste cose e forse tante
altre per essere ciò che sei ed accettare ciò che vive
in te. ☺
[email protected]
GLI ARTICOLI RELIGIOSI
NEL TUO MOLISE
Servire gli anziani o servirsi degli anziani? È tutta qui, e
non ci sembra poco, la diversità di approccio fra la cooperativa
Nardacchione e l’amministrazione comunale di Casacalenda al
mondo degli anziani.
La cooperativa, al loro servizio da trent’anni, non solo
non ci ha mai speculato sopra, ma, bilancio alla mano, nel 2009 ci
ha rimesso intorno ai 60.000 euro (80.000 l’anno precedente) e
tuttavia, nonostante le forti perdite, fino ad oggi ha proseguito nell’assistenza domiciliare per non abbandonare gli anziani al loro destino. Ne sa qualcosa il sindaco che, quando ha avuto delle emergenze, non si è fatto scrupolo e si è rivolto proprio a quella cooperativa
che ora cerca di bidonare e liquidare.
Il ricorso al Tar ha sostanzialmente dato torto all’amministrazione comunale che, anziché rinsavire ed evitare di perdere
altro tempo (misura di quanto gli interessa che gli anziani stiano
bene), si è appellata al Consiglio di Stato, tanto loro non tirano fuori
un centesimo, in quanto le loro spese legali sono a carico dei contribuenti residenti e quindi anche dei soci della cooperativa che risulta
controparte.
Ma perché tanto accanimento dopo aver fatto una delibera, mai annullata, in cui si dava la casa di riposo in gestione gratuita
ventennale alla cooperativa Nardacchione in cambio di 250 mila euro da investire in arredo?
Il furbetto del quartierino si è accorto che non c’è
trippa per gatti e si è detto: busso altrove in Molise,
un imprenditore lo trovo! Non essendo più in giunta, spinge l’amministrazione a cambiare le carte in
tavola perché se va bene è merito suo, se va male le
colpe ricadono sulla giunta visto che lui ne è fuori.
Finché trova gente disposta a farsi usare avrà sempre buon gioco.
Gli anziani sono stati contattati e messi in graduatoria per entrare nella casa di riposo, ad alcune persone è stato garantito che vi andranno a lavorare, il
nome dell’impresa è stato rivelato da una ciarliera
signora imparentata. L’anomalia è che il bando di
gara di appalto non è stato ancora affisso. Come
dire: si sono venduti la pelle del leone prima di
uscire a caccia!
Naturalmente può essere tutta una bufala, e noi ce lo auguriamo per loro, messa in giro ad arte semplicemente per depistare
tutti. E tuttavia, da indiscrezioni, ci risulta che la cooperativa, in
attesa del verdetto, all’inizio di gennaio in busta sigillata ha lasciato
un plico da un notaio con il nome dell’imprenditore che si aggiudicherà l’appalto e di alcune persone a cui è stato garantito che vi
lavoreranno, senza l’ausilio del mago di Arcella che intanto dimorava lontano da ogni possibilità di consultazione.
La corsa a ostacoli per persone che vogliono mettere la
loro professionalità al servizio degli anziani non finirà presto e dunque … alla prossima puntata.☺
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
23
realtà locali
sabrinate
Un virus s'aggira per i frentani... solo così è razionalmente spiegabile ciò che sta accadendo ultimamente alla Nostra amata e sconosciuta lingua
italiana.
I monti frentani, epicentro del terremoto del 2002, sopravvivendo con
affanno e fatica alla furia della natura prima e all' opera dell'uomo (politico) poi,
stremati, vengono "attenzionati" da un misterioso virus, sconosciuto alla scienza, che al pari di altri più noti e letali sembra, presumibilmente, trasmettersi per
le vie parentali, intime, familiari (difficile stabilire chi contagia chi).
Questo giornale già aveva fatto notare come l'on. De Camillis
(Camera dei Deputati) nei suoi interventi, dentro e fuori la Camera, imbarazza
gli interlocutori con un uso, a dir poco, spregiudicato della lingua (italiana s'intende).
Tali articoletti titolavano Sabrinate e Sabrinate due ma, con il senno
di poi, si è costretti, dopo gli ultimi accadimenti letterari, a rettificare in Sabrinite ad indicare così "una patologia contagiosa" diretta in modo non equivoco,
come nella ipotesi del delitto tentato, a mortificare la nostra bella madrelingua
scritta e parlata: l'italiano.
Se in precedenza si suggeriva di "sciacquar... in Biferno e Fortore"
prima di manifestarsi, ora è ragionevole (si fa per dire) ritenere che solo "un
pellegrinaggio con miracolo" possa condurre ad una completa guarigione e
immunizzazione.
Gli effetti di un contagio sono palesi ed ampiamente evidenziati dal
canto della carta stampata: un'inchiesta giornalistica, come al solito di primonumero.it, ripresa e riportata in (ben) 3 puntate dal quotidiano locale Nuovo Molise, relativa ad una allegra gestione di contributi pubblici concessi alla
I.M.A.M., associazione culturale in quel di Larino, presieduta dal Cavaliere
Gaetano Venditti consorte della ormai (più) famosa Onorevole costituisce occasione per la manifestazione di ciò che prima era sconosciuto e latente, ma in
agguato.
Tale inchiesta provoca la discesa del Cavaliere (da un non meglio
precisato quadrupede) in campo, anzi più correttamente "...per sgomberare
campi di dubbio" (?), come testualmente scrive nella sua lettera al giornale.
L'intervento, breve conciso e incomprensibile, dal titolo "un'occasione che ricevo dalla calunnia", volto a dare conto dei conti, catturata l'attenzione dell'ignaro lettore, si rivela immediatamente ostico e insidioso per le umani capacità cognitive: l'intento chiarificatore, causa prima, confinato e imprigionato nei meandri della mente dell'autore genera, (verbo caro al Cav.) uno
scritto che sembra essere frutto più di una "chiarenza" che della chiarezza,
risulta, come prima anticipato, facilmente incomprensibile: "è scritto con i piedi" si diceva una volta.
Il lettore, dalla lettura combinata inchiesta-replica, apprende sconvolgenti verità: "Grazie alla mia passione per la musica ho CREATO dal
nulla e da solo qualcosa di straordinario", se il credente vacilla,
l'ateo collassa: non sono i finanziamenti pubblici determinanti nella
realizzazione delle opere ma i sentimenti umani.
Presto la osannata famiglia felice tornerà insieme perché
non bastano le grandi aperture per rimanere in sella. Pare che sono
stati assoldati franchi tiratori tra i suoi per disarcionarla. D’altronde
quando si invecchia si perde più facilmente l’equilibrio. La prossima
cavalcata tocca a chi dal mare per salvaguardare l’impunità ha bisogno dell’immunità.☺
24
Bonefro:
il salumiere e le liste
I 719 nuclei familiari sono stati visitati uno per
uno (e non una sola volta), dei 1552 residenti sono stati
interpellati tutti quelli arruolabili nelle possibili liste perennemente in rifacimento. Arriverà il 27 febbraio e si saprà
quante sono rimaste allo stato liquido e quante hanno preso forma, per cui mentre chi scrive vive l’ansia inappagata
di sapere, chi legge ha potuto costatare che la rete del pescatore se era larga ha finito per trattenere solo pesci grossi
ma poco agili, se era stretta con lo strascico ha imbarcato
di tutto, anche l’impescabile.
In un sistema sempre più bipolare è possibile
fare le cosiddette liste civiche senza un riferimento direzionale? Non si corre il rischio di essere come la ricotta che
prende la forma del contenitore in cui la si riversa? E quale
macellaio, benché sempre di porco si tratti, usa la stessa
carne, tagliata allo stesso modo, per tutti i tipi di insaccati?
Non è in discussione solo la bontà del prodotto ma anche il
sapore e soprattutto la compatibilità tra il pezzo usato e il
prodotto realizzato. In fondo chi sale in treno o in pullman,
anche se non è interessato a sapere da dove vengono, pretende giustamente di conoscere verso dove ci si dirige.
Volere il bene del paese è tutto e niente, perché
lo vuole tanto chi persegue l’immobilismo più totale per
non disturbare nessuno, tanto chi apre cantieri (anche metaforici) in tutti i vicoli, sconvolgendo la vita di quanti vi
abitano. In ogni caso nessuno è disponibile a vedersi vendere al miglior offerente, anche perché le sorprese non
mancano mai.
Chiarirsi queste cose, anche in modo animato, fa
bene, anche se non poche volte crea tensioni fra persone o
gruppi o schieramenti. Triste sarebbe se rimanesse acredine. Quando si incontrano i cacciatori la gara è a chi la spara più grossa, ma non per questo si inimicano perché in
casa mangiano solo quello che effettivamente hanno preso.
Se proprio l’era commissariale ha da finire (e
qualcuno già la rimpiange), si costruisca in meglio. Se si è
tutti d’accordo sul fatto che il paese non deve morire, allora non accontentiamoci di tenerlo incubato e in stato comatoso.
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
S.o.S.
le nostre erbe
il prezzemolo
Gildo Giannotti
Il prezzemolo (Petroselinum
hortense) è una pianta da orto estremamente diffusa nel nostro paese per il caratteristico aroma che conferisce a numerosissimi piatti, tanto che lo troviamo
presente in tutte le nostre cucine
regionali. Essere “come il prezzemolo” si dice infatti di una persona che è presente dappertutto.
In Italia il prezzemolo è coltivato
in quasi tutti gli orti familiari, come pure in
vasi e cassette da tenere su terrazzi o balconi. Se lo si coltiva vicino alle rose, ne migliora la salute e il profumo.
Questa pianta produce i fiori e
quindi i semi solo nell’anno successivo a
quello della semina: si tratta infatti di una
pianta biennale. Ma la coltura si conclude
generalmente al primo anno con la raccolta
delle foglie. Pur prediligendo le località a
clima mite, il prezzemolo resiste discretamente al freddo, ma ripetute e prolungate
gelature rendono le foglie inutilizzabili.
Questa pianta è molto adattabile e può
essere coltivata nei più differenti tipi di
terreno; l’unico accorgimento consiste nel
curare lo sgrondo dell’acqua e nell’evitare
ristagni.
Le parti utilizzate del prezzemolo
sono prevalentemente le foglie, dalle tonalità di verde più o meno intenso in
rapporto alle varietà che si suddividono in tre gruppi: a foglia liscia, a foglia riccia e da radice. Nella preparazione dei
cibi, al posto delle foglie, si può
usare anche la radice - particolarmente sviluppata nell’ultima delle tre
varietà - dopo averla tritata.
Il prezzemolo contiene in grande
abbondanza vitamine e minerali, tanto che
c’è chi lo definisce una vera e propria miniera vegetale. In 100 g di prezzemolo si
trovano infatti 162 milligrammi
(millesima parte di un grammo) di vitamina C, ovvero il doppio del kiwi e il
triplo delle arance e dei limoni, e 943
microgrammi (milionesima parte di un
grammo) di vitamina A, cioè quasi il
triplo delle albicocche e il 30% in più
dei pomodori. Anche la clorofilla, pigmento di colore verde presente in grande quantità in questo vegetale, ha importanti effetti antiossidanti e antitumorali.
Arricchire con prezzemolo
crudo le proprie vivande aiuta dunque a
mantenere sano il nostro organismo,
perché, fra le altre cose, esso attiva la
capacità del fegato di disintossicare il
corpo e di eliminare i residui dei farmaci assunti. Cosparso abbondantemente
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
sugli alimenti e sulle verdure, il prezzemolo dovrebbe sempre accompagnare il consumo di cibi fritti, arrostiti o cotti alla griglia. Questi alimenti, infatti, possono più di
altri aumentare i processi ossidativi nell’organismo e determinare danni alle cellule.
Impossibile ricordare tutte le
ricette che contemplano il prezzemolo tra
gli ingredienti. Ci limitiamo solo a qualche
preparazione che lo vede protagonista.
Pollo al verde
Friggere dei petti di pollo fino a renderli
dorati. Dopo qualche minuto, immergerli
nell’uovo battuto con un pizzico di sale e
poi in abbondante prezzemolo tritato. Cuocerli in forno ricoperti da un ulteriore strato
di prezzemolo tritato. ☺
[email protected]
ode al profeta
La tua voce, roveto che arde,
sparpaglia semi d’inquietudine
nelle nostre coscienze addormentate;
la tua voce, nuvola di pioggia,
scroscia parole folli
sui pavimenti indifferenti delle nostre chiese;
la tua voce, traccia di cammini inattesi,
invita a cantare la speranza,
a osare la speranza,
a indignare la speranza.
Il tuo silenzio,
perduto in quel Tu
che sempre chiede di abitare il tuo giardino,
dice che non c’è lotta senza contemplazione.
Eloisa
25
acqua
molise
Protocollata l’11 febbraio la proposta di
legge regionale a difesa dell’acqua pubblica molisana.
Un’iniziativa di tutti i gruppi consiliari del
centrosinistra presenti in Consiglio che
così intendono inaugurare insieme una
campagna di mobilitazione regionale contro l’art.15 del decreto legge 135 del 2009
del Governo Berlusconi, convertito in Parlamento qualche settimana fa dalla maggioranza di centrodestra. Il decreto si pone
l’obiettivo concreto di privatizzare i servizi
pubblici locali, tra cui il servizio idrico,
prevedendo l’obbligo di affidare la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica a favore di società costituite ed individuate mediante procedure competitive ad
evidenza pubblica o, in alternativa, a società a partecipazione mista pubblica e privata
con capitale privato non inferiore al 40%
“Con questa spaventosa norma a rischio è
il diritto fondamentale di ogni cittadino a
fruire di un bene essenziale per la vita
com’è l’acqua, che non può essere in alcun modo sottoposto alle regole del mercato. Di più, è perfino immorale poter
pensare di far profitto sull’acqua!” commenta il capogruppo D’Alete, primo firmatario.
Il provvedimento del Governo Berlusconi
sottrarrà ai cittadini ed alla sovranità delle
Regioni e dei Comuni la gestione di un
servizio pubblico essenziale di interesse
generale, che riconosce l’acqua come bene
naturale e diritto umano universale, principio sancito anche dalle risoluzioni del Parlamento Europeo del 2004 e del 2006, per
consegnarlo, a partire dal 2011, agli interessi delle grandi multinazionali e farne un
nuovo business per i privati “una svendita
senza precedenti, che colpirà tutti, anche
le esperienze migliori di gestione pubblica
dell’acqua, quelle presenti un po’ in tutta
Italia. È inaccettabile!” continua D’Alete
“L’Italia inspiegabilmente si accinge a
fare quello che è già stato provato in passato in altri Paesi europei, come la Francia, e che oggi, pentiti, tornano ad un sistema interamente pubblico” ma esperienze
profondamente negative non sono mancate
anche in Italia “Agrigento, Arezzo… solo
per fare alcuni esempi, comuni nei quali le
multinazionali chiamate a gestire il servizio idrico sono riuscite nel ‘miracolo’ di
aumentare la tassa per i cittadini di oltre il
26
to di lotta, ponga con intelligenza e determinazione la questione della democrazia
partecipativa, ovvero l’inalienabile diritto
di tutte/i a decidere e a partecipare alla
gestione dell’acqua e dei beni comuni, del
territorio e dell’energia, della salute e del
benessere sociale.
Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua insieme a numerose realtà sociali e
culturali promuove tre referendum abrogativi delle norme che hanno privatizzato
l’acqua per rendere possibile qui ed ora la
gestione pubblica di questo bene comune.
Sosterranno tale iniziativa anche diverse
forze politiche.
Uno strumento per dire una volta per tutte:
“Adesso basta. Sull’acqua decidiamo
noi!” Perché si scrive acqua ma si legge
democrazia.
Sullo stop alle politiche di privatizzazione
e sulla necessità di una forte, radicata e
diffusa campagna nazionale, un vastissimo
fronte in queste settimane si è aggregato al
Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua: dalle associazioni dei consumatori alle
associazioni ambientaliste, dal mondo
cattolico e religioso al popolo viola, dai
movimenti sociali al mondo sindacale, alle
forze politiche.
Tutte e tutti insieme abbiamo deciso di
lanciare a partire dal prossimo mese di
aprile, una grande campagna di raccolta
firme per la promozione di tre quesiti referendari.
300% e azzerare gli investimenti! In cambio le comunità hanno ottenuto anche un
considerevole peggioramento della qualità
del servizio”.
Sono queste le ragioni alla base della proposta di modifica della legge istitutiva
della società Molise Acque (L.R. n°37 del
1999) “in questo modo nella nostra regione garantiremo con azioni concrete, e non
a chiacchiere, il principio fondamentale
dell’acqua come bene pubblico essenziale
e non commerciabile, quindi, contro il
decreto 135”.
Il centrosinistra sarà impegnato già da
domani in una campagna di sostegno alla
proposta di legge regionale, attraverso
incontri, assemblee ed anche con una raccolta firme.
“Su questo tema non sono accettabili doppiezze” conclude D’Alete “il centrodestra
molisano è chiamato a compiere una scelFORUM ITALIANO DEI MOVIta chiara, una prova di identità: decidere
MENTI PER L’ACQUA
di stare con la sua gente oppure con il
www.acquabenecomune.org
sultano”.
italia
Chiamiamo tutte e tutti ad una
manifestazione nazionale a Roma
Termoli Cinema S. Antonio
sabato 20 marzo, per bloccare le
Sabato 27 febbraio 2010 ore 9,30 – 13,30
politiche di privatizzazione dell’
Convegno
acqua, per riaffermarne il valore
di bene comune e diritto umano
Acqua bene comune:
universale, per rivendicarne una
scenari e prospettive in Molise
gestione pubblica e partecipativa,
Il convegno vuole:
per chiedere l’approvazione della
- Proporre tecnicamente come sia possibile oggi
nostra legge d’iniziativa popolare,
mantenere una gestione pubblica che salvaguardi i
per dire tutte e tutti assieme
beni comuni, che tolga l’acqua dal mercato e tolga il
“L’acqua fuori dal mercato!”.
profitto (rimunerazione del capitale) sul consumo
Nella nostra esperienza di movidell’acqua.
menti per l’acqua, ci siamo sem- Gli amministratori: quali passi compiere: Regione pre mossi con la consapevolezza
Molise Acque (come dovrebbe cambiare per essere
che quanto pensiamo che la ma“ente adeguato” alla gestione pubblica dei servizi
nifestazione, oltre ad essere un
idrici).
importante ed unificante momen-
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
etica
“Nel libro Naufragio con spettatore, H. Blumenberg ha descritto la posizione esistenziale di chi da un’isola di sicurezza guarda gli altri naufragare. Questa è
spesso la condizione di chi contempla gli
eventi nel mondo rappresentati da quegli
specchi sociali che sono i media. Specchi
deformati perché non danno voce al dolore, ma enfatizzano l’immagine della sventura e dell’impotenza, con l’effetto di spingere lo spettatore a chiudersi nella sua
sicurezza e ad aumentare ancora più la
potenza (delle armi, dell’economia, dell’imperatore di turno). E poi perché, mentre descrivono il disastro, occultano sempre
sia i passaggi che spiegherebbero la nostra
comune responsabilità sia le possibilità di
agire e di convivere in modo più umano.
Le cose non migliorano molto quando, su
questa inaffidabile base percettiva, si passa
ad una valutazione.
In questo processo sperimentiamo che l’essenza del male o delle sfide,
ritenuta misteriosa, è la distruzione. Distruzione di quella relazione con il bene
(qualunque ne sia il nome proprio) che
invece è fondamento incessante della nostra umanità. L’essere umano infatti non è
buono per natura, né cattivo, né ambiguo: è
relazione con il bene stesso. Relazione
implica libertà, storia, fragilità, possibilità
di fraintendimento, angoscia risanata o
angoscia disamorevole e accecata, tutti
elementi oscurati quando il male diventa
spettacolo di potenza o quando vogliamo
risolvere delicate questioni esistenziali,
antropologiche, metafisiche o teologiche
con un rudimentale schema giuridico del
potere o non potere”. (R. Mancini, in RTM
[2004] 143, 389-394).
Perché i beni comuni non siano
distrutti e possano consentire ancora ad
ogni uomo di relazionarsi con essi in modo
da usufruirne con equità e perché vengano
custoditi per chi viene in seguito, occorre
avviarsi decisamente - é convinzione di
tutti tranne che dei governi incapaci di decidere - verso un modello di
sviluppo che sia etico e
sostenibile. Perché l’etico (reclamante giustizia
ed equità) contenga il
sostenibile (per la terra,
l’ambiente e le popolazioni) si richiede una
le costituzioni civili
Silvio Malic
diversa concezione dello spazio e del tempo per far entrare il passato e il futuro ovvero i tempi di accumulazione (il passato)
e i tempi di durata (il futuro) nelle programmazioni presenti perché «la terra ci è
data in prestito dai nostri figli». Questo
consentirà di passare dal valore di scambio, per il quale ha priorità il capitale, il
patrimonio monetario che ha tempi di
accumulazione e di durata brevi se non
brevissimi, al valore di utilizzazione per il
quale hanno invece priorità le dotazioni e i
patrimoni naturali, biologici e culturali
che hanno tempi di accumulazione e di
durata in migliaia di anni.
Sarà questa ridefinizione nonviolenta di spazio e tempo a farci passare dal
benavere, misurato col prodotto nazionale
lordo e il reddito pro capite, al reale benessere degli individui e dei popoli misurati
con indicatori profetici come l’indicatore
della global compassion o indicatore di
civiltà (Martirani 1989).
Rassegnarsi alla distruzione dei
beni comuni o alla loro svendita sul mercato degli interessi privati? Questo cinismo
degli impotenti che ha contagiato soprattutto i governi non ci appartiene perché è
banale, rudimentale, figlio di una spaventosa pigrizia mentale. Rivela una ferita aperta
e non sanata: sorge dal rancore di chi ha
scelto in cuor suo di insediarsi nella propria
impotenza (per quanto ammantata di potere), rinunciando alla libertà responsabile.
Da questo luogo esistenziale costui accetta
ogni nefandezza nella storia - come la supposta inevitabilità della guerra - ma reagisce indignato contro quanti sperano e lottano, perché proprio costoro possono penosamente ricordargli l’umiliazione che ha
inferto a se stesso e che ogni giorno rinnova in un agitarsi onnivoro senza alcuna
reale capacità di futuro.
Occorre, allora, che le comunità
si costituiscano in vere e proprie costituzioni civili, con stile tenace, rigoroso e non
violento, capaci di riconoscere e definire i
beni comuni e di richiedere, fino a pretendere ed imporre, con le forme che il diritto
consente, la loro tutela e salvaguardia
(come in questo momento è quello dell’acqua e dei servizi idrici) con atti che partano
dal territorio prossimo, luogo della percezione reale del rischio, ovvero dai territori
comunali, risalgano alle province e regioni
fino ai governi. Non si può immaginare di
vivere in una innocenza passiva; vicini a
questo stato possono considerarsi, secondo
Gesù Cristo, solo i bambini. È possibile
svoltare, entrare in un altro presente, quello
della responsabilità attiva. Ogni “forum
mondiale” a vario titolo convocato vede la
spontanea auto-convocazione di moltitudini in “contro-forum”, sviliti, a volte, dal
confluire di violenti appiattitisi al solo linguaggio della contrapposizione, ma ancor
più maltrattati e malvisti dai governi che
non amano voci o presenze diverse dalle
loro.
Mai era comparso un simile fenomeno, ormai ultra ventennale, nelle
epoche precedenti. Sono movimenti di
restituzione, dal latino re-institutio, nel
senso di un re-impiantare l’azione di cura
del futuro, l’azione di ciò che merita finalmente di diventare realtà: una società umanizzata. In questa coscienza plurale, polifonica - Balducci la chiamava coscienza
planetaria - s’inaugura un futuro possibile
e già ora presente. ☺
delinquenza
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
27
sisma
la dote del geometra
Domenico D’Adamo
Adesso che giustizia è stata fatta,
perché, si sa, le sentenze vanno rispettate
sia che si venga assolti, sia che si venga
condannati, una domanda ci inquieta: i
ragazzi che la mattina vanno a scuola, sono
sicuri che nessuno degli edifici nei quali
andranno a studiare, crollerà loro addosso?
Ve lo ricordate lo strazio di quei
genitori, ai funerali dei loro bambini?
“preghiamo perché mai più una mamma
possa soffrire così tanto nel raccogliere il
proprio figlio tra le macerie di una scuola”. A distanza di sette anni, è legittimo
chiedersi cosa è stato fatto, perché la tragedia non si ripeta? Quante lacrime si sono
trasformate in atti concreti?
Poche, se si pensa che nella provincia di Campobasso, dove l’impegno è stato maggiore che altrove, solo un terzo degli edifici scolastici è stato messo in sicurezza.
Pressoché nessuna se si guarda al
resto del Paese. Questo significa
che la maggior parte dei Sindaci
italiani, insieme con i dirigenti
scolastici, nel momento in cui
consentono l’apertura di una scuola, si rendono responsabili di atti
penalmente rilevanti, e solamente
il caso, ne fa dei cittadini rispettabili.
A detta del capo della
Protezione civile, più della metà
delle scuole italiane presenta problemi più o meno uguali a quelli che hanno
causato la morte dei bambini di San Giuliano di Puglia oltre al fatto che per metterle in sicurezza, occorrono circa dieci
miliardi di euro.
Chi ha responsabilità maggiori in
questa vicenda? I condannati di San Giuliano di Puglia o piuttosto, chi impegna
risorse pubbliche per la realizzazione di
opere inutili, potendole invece impiegare
per mettere in sicurezza le scuole? Ci sarà
di sicuro una prossima volta e solo il caso
sceglierà vittime e carnefici, mentre le
“stelle” resteranno a guardare e forse a
sfregarsi le mani perché, “il terremoto non
arriva tutti i giorni”.
28
Che fine hanno fatto le promesse
di quel tal Silvio, autore di barzellette, che
ha inventato il Modello Molise? Perché,
visto che gli è venuto così male, ci riprova
col Modello Abruzzo? Fra qualche anno
nessuno potrà non riconoscergli il merito
di aver riunito gli Abruzzesi e i Molisani,
ma nel comune destino di vivere per decenni fuori dalle loro case. Alla luce dei
fatti di cronaca, che in questi giorni hanno
coinvolto la Protezione Civile, possiamo
con certezza affermare che, se le situazioni
emergenziali vanno affrontate con le ordinanze di protezione civile, è altrettanto
vero che, quando si dichiara lo stato di
emergenza, va perimetrato il territorio
entro il quale quelle ordinanze devono
essere operanti e soprattutto vanno stabiliti
i tempi di durata. La mancanza di questi
due paletti, spazio e tempo, hanno consentito al Presidente della regione ed ai sui
collaboratori, di esercitare, per sette anni, i
poteri commissariali sull’intera regione
che, in realtà, per la maggior parte del territorio, non è stata colpita né da terremoti né
da alluvioni. Questa pratica ha fatto sì che
solo pochi Comuni hanno a tutt’oggi appena avviato la ricostruzione pesante. Vale la
pena precisare che queste che esprimiamo
non sono opinioni in libertà ma notizie
fornite dal Sub Commissario Romagnolo il
quale il 27/05/2009 ha comunicato, urbi et
orbi, che il suo ufficio ha finanziato 414
febbraio
gennaio
2005
marzo2005
2010
la
la
lafonte
fonte
fontegennaio
marzo
milioni di opere, su una stima di tre miliardi e mezzo di euro di danni: circa un settimo dei fondi richiesti a sette anni dal terremoto. Vale a dire che di questo passo fra
42 anni ci sentiremo ripetere, come usa
annunciare Romagnuolo alla TV, che, nel
Molise, con i fondi del terremoto, si sono
realizzate cose mai fatte in altre regioni, e
meno male per gli atri che non hanno Romagnuolo. Peccato non se ne siano accorti
i Sindaci del cratere di avere a disposizione
questa preziosità!
Questo “uomo” del fare, quando
minacciava di non mandare a scuola i suoi
figli in quell’edificio da poco ricostruito,
che la protezione civile si ostinava a dichiarare agibile, è lo stesso che ha fatto
della contestazione a Bertolaso la sua fortuna politica. Oggi che alcuni bambini
frequentano una scuola ubicata in un edificio in parte pericolante, il nostro eroe non
si dimena, né fa più il tribuno, forse perché
tra quei bambini non ci sono figli suoi o
forse solo perché ha in mano la
“matta”. Sono quindi questi i meriti - la particolare competenza
tecnica e l’esperienza maturata sul
territorio - che gli ha riconosciuto il
Commissario per nominarlo subCommissario? Il Presidente Iorio è
a conoscenza di pubblicazioni,
anche non scientifiche, che noi non
abbiamo avuto il piacere di leggere? Si è occupato di emergenze in
altri luoghi il sub-Commissario? O
forse é stato indicato dagli altri
Sindaci del cratere, a conoscenza
delle sue straordinarie doti, per
assumere questo importante incarico? Tuttavia la domanda che più ci
intriga è la seguente: come mai il Governo
nazionale ha preteso che il subCommissario alla sanità fosse un tecnico
direttore generale di una ASL di Roma ed
invece ha consentito che il subcommissario al terremoto fosse un politico
di professione geometra? Eppure i due
ruoli si equivalgono sia sul piano tecnico
che funzionale: il primo ha avuto il mandato di ridurre il disavanzo della sanità molisana, circa 60 milioni di euro; il secondo
ha avuto il compito di spendere, per il terremoto, circa 400 milioni di euro. E’ inutile dire che una risposta ce l’abbiamo, ma
questa è un’altra storia di cui avremo modo
di raccontare. ☺