Philo Mechanicus 2017-1-143 Whitehead, David: Philo - H-Soz-Kult

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Philo Mechanicus 2017-1-143 Whitehead, David: Philo - H-Soz-Kult
D. Whitehead: Philo Mechanicus
Whitehead, David: Philo Mechanicus. On Sieges. Stuttgart: Franz Steiner Verlag 2016. ISBN:
978-3-515-11343-4; 510 S.
Rezensiert von: Franceso Fiorucci, Institut für
Rechtsgeschichte und geschichtliche Rechtsvergleichung,
Albert-Ludwigs-Universität
Freiburg
Questa edizione commentata dell’opera poliorcetica di Filone Meccanico segna la terza
tappa di un’ampia ricerca sulla poliorcetica e
meccanica militare antica portata avanti con
successo da David Whitehead tramite i lavori
su Ateneo Meccanico e Apollodoro di Damasco, usciti nella stessa serie di Historia – Einzelschriften.1
Il materiale è organizzato in una serie di capitoli e paragrafi che ripete l’assodato schema
delle precedenti monografie: dopo la prefazione, la lista delle abbreviazioni e delle unità
di misura adottate, segue un’ampia ed articolata introduzione (che presenta tra l’altro una
puntuale rassegna delle precedenti edizioni e
traduzioni, dei riusi e ricadute dell’opera in
autori successivi), per poi passare al testo con
traduzione, seguiti da alcune appendici conclusive, consacrate ad un confronto con altre
testimonianze.
Uno spazio adeguato è dedicato alla trattazione di aspetti rimasti finora per certi versi ancora poco approfonditi, come l’utilizzo di certa terminologia per designare fortificazioni o
macchinari (pp. 28ss.). Whitehead è inoltre riuscito ad esaltare con il dovuto rilievo il valore di quest’opera come documento storico, approfondendo il ruolo delle varie componenti (come le donne, gli schiavi, gli animali) che
operavano in una comunità assediata. Il saggio per certi versi integra e per altri si sovrappone alla finora classica edizione presente nel
volume di Y. Garlan,2 ricco soprattutto di riferimenti alle tecniche di fortificazione.
Un contributo particolarmente originale,
dove Whitehead dimostra tutta la sua competenza in materia di poliorcetica antica e la capacità di dominare il materiale letterario costituito dai vari testi tecnici e dalle fonti storiche,
va riconosciuto nel dettagliato commento, che
senza dubbio approfondisce la nostra conoscenza dell’opera e va ad arricchire quanto già
acquisito dalla critica su questo autore, offren-
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do nuovi spunti di indagine. Anche laddove
Whitehead ripropone letture o interpretazioni suggerite dai predecessori, il suo lavoro di
analisi e discussione delle varie posizioni risulta sempre utile e segna senz’altro un punto
d’arrivo nella ricerca, da cui non si può prescindere. Lo stesso vale anche per i passi dove
lo studioso preferisce prudentemente sollevare le necessarie questioni, pur senza produrre
una soluzione del tutto pacifica (p. 360s.).
Whitehead condivide il parere formulato
da Garlan (p. 21 n. 22 con riferimento al predecessore e ancora p. 60), secondo cui l’opera
come noi la leggiamo sarebbe in realtà stata
soggetta ad un processo di selezione da parte di un epitomatore, probabilmente bizantino e a ciò sarebbe da imputare anche la presenza di materiale non bene integrato nel contesto in cui si trova e quindi da ritenere fuori
posto. Lo studioso inoltre tende, con la necessaria prudenza, a dare credito alla suggestiva, seppur difficile da dimostrare nei particolari, ipotesi che prevede una (più o meno diretta?) trasmissione del sapere poliorcetico attraverso la concatenazione Filone → Agesistrato → coppia Ateneo Meccanico / Vitruvio.3 In quest’ottica qualche difficoltà sorge
nel momento in cui Whitehead, discostandosi
da Garlan, accorda valore decisivo alla testimonianza di Vitruvio 1, 5, 1, chiamata in causa
a sostegno dell’emendazione <kai teiche> in
A 1. 2 (già di Graux4 ) con la motivazione che
l’autore latino „clearly derives from the original version of Ph.’s A1“ (p. 135s.). Si deve cioè
ritenere che Ateneo M. e Vitruvio avessero a
disposizione un’opera già ridotta o rielaborata, forse dallo stesso Agesistrato, che però in
certi punti presentasse ancora il testo originale. Naturalmente tutto ciò è possibile, ma difficilmente verificabile.
1 Vd.
rispettivamente David Whitehead / P.H. Blyth,
Athenaeus Mechanicus, On Machines (Perì mechanemáton), Stuttgart 2004 e David Whitehead, Apollodorus Mechanicus, Siege-matters (Poliorketiká), Translated with Introduction and Commentary, Stuttgart 2010.
2 Yvon Garlan, Recherches de poliorcétique grecque, Paris 1974, pp. 278–404.
3 Vd. le note intorno a D 10. 4–6 (p. 345s.), ma anche le
obiezioni, ignorate da Whitehead, mosse da Maurizio
Gatto, Il „Peri Mechanematon“ di Ateneo Meccanico.
Edizione critica, traduzione, commento e note, Roma
2010, p. 359s.
4 Charles Graux, Philon de Byzance: Fortifications, in:
Revue de Philologie 3 (1879), pp. 91–151.
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Di seguito alcune osservazioni su punti sensibili del commento: nelle note a D 48. 1–4
Whitehead (p. 368) fa correttamente notare
l’evidente discrepanza dell’informazione che
Filone sembra qui fornirci (in effetti passata
sotto silenzio da Garlan). In questo e nei paragrafi contigui la prospettiva da cui muove lo
scrivente pare infatti passare ex abrupto dai
consigli dati agli assalitori a quelli necessari alla difesa. Proprio nel cambio improvviso di ottica Whitehead individua la soluzione, certo molto economica e pratica, al problema del paragrafo sopra citato, dove congegni
normalmente in uso negli assedi dalla parte
degli attaccanti (come arieti e trapani), vengono invece previsti a beneficio dei difensori. Possiamo aggiungere che in effetti macchine sollevatrici come le gru, le funi e gli anelli necessitavano di un punto elevato da cui
operare, facilmente individuabile nelle mura
stesse, e tale caratteristica induce ad escludere
che queste si trovassero dalla parte degli assedianti. Coerente con questa scelta è anche la
correzione del trasmesso drepana con trypana (suggerita già da Graux), che trova un ottimo sostegno in altri passi della stessa opera,
segnalati da Whitehead, dove arieti e trapani
ricorrono in stretta giuntura. Se è vero che tutta questa ricostruzione poggia su una solida
struttura argomentativa, vorrei però avanzare, in questa mia veste di advocatus diaboli,
ancora un’osservazione. Poco prima del passo sopra ricordato, e precisamente in D 46. 1-3,
Filone raccomanda, dalla parte degli attaccanti, i metodi per liberarsi dei macigni scagliati dalle mura (irrilevante qui cercare di capire se fossero stati indirizzati contro le macchine ossidionali e rimasti poi sul terreno oppure fin dall’inizio destinati, con la loro mole,
ad ostacolare la marcia delle stesse torri e testuggini).5 Per poterli rimuovere è previsto il
ricorso a delle cosiddette ‘mani ferree’ (cheires siderai ), cioè ganci o simili, collegati evidentemente a delle gru, in grado di sollevare e spostare grandi pesi. Questi strumenti sono noti in ambito militare, come ricorda del
resto Whitehead (p. 367), con relativi rimandi,
ma essi operano, perlomeno a mia conoscenza, esclusivamente dalla parte dei difensori.
Nel nostro caso dobbiamo invece presupporre l’utilizzo di macchine sollevatrici, probabilmente anche piuttosto imponenti, dispos-
te ed in grado di muoversi agevolmente sul
terreno di fronte alle mura, quindi in condizioni estremamente difficili e sotto il fuoco
dell’artiglieria nemica. La semplice presenza
di certi veicoli varrebbe di per sé qualche valutazione, ma al di là di questo vorrei sollevare un interrogativo (o forse, per meglio dire,
qualche motivo di riflessione), senza avere la
pretesa di fornirvi una risposta. È possibile individuare in queste macchine sollevatrici una
ragione di continuità e coerenza con quanto
leggiamo subito dopo in D 48. 1–4? Intendo
dire se sia legittimo giustificare, sulla base del
fatto che gli attaccanti avevano nel loro arsenale queste ‘mani ferree’, anche quei congegni menzionati dopo in D 48. 1–4, come keraiai,
brochoi e krikoi.
In conclusione l’opera è il prodotto di una
ricerca attenta e competente, che merita di figurare in ogni futuro lavoro sulla poliorcetica
e meccanica militare antica.
Annotazioni:
HistLit 2017-1-143 / Franceso Fiorucci
über Whitehead, David: Philo Mechanicus.
On Sieges. Stuttgart 2016, in: H-Soz-Kult
27.02.2017.
5 Vd. Albert Rehm, Antike Automobile, in: Philologus 92
(1937), pp. 317–330, qui p. 320, ricordato da Garlan, Recherches, p. 399 che però pongono la prospettiva dalla
parte dei difensori, come sembra dedursi dal paragone
con l’assedio di Marsiglia in Vitr. 10, 16, 12.
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