L`approccio culturale alla formazione in servizio degli insegnanti

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L`approccio culturale alla formazione in servizio degli insegnanti
Science&Philosophy Vol. 1, No 2, (2013) pp. 119 – 134
ISSN 2282-7765 [online] ISSN 2282-7757 [testo stampato]
L’approccio culturale alla formazione in
servizio degli insegnanti
Grazia Angeloni 1
Sunto Nello scritto che di seguito si propone le due parole chiave: approccio
culturale (culture based approach) e formazione in servizio degli insegnanti
vengono declinate in termini di relazione e inserite nello scenario attuale che
interfaccia la scuola con problematiche nuove e complesse. Le implicazioni
tanto dell’approccio enunciato quanto della formazione in servizio dei
docenti vengono ricomprese all’interno di un piano applicativo, ambito di
mediazione delle dimensioni teoriche e prassiche, atto pertanto a corroborare
il Culture Based Approach.
Parole chiave: formazione in servizio, innovazione, miglioramento
scolastico
Abstract In the text presented below the two key words: the culture based
approach and teachers’ in-service education are structured in terms of
relationship embedded in the current scenario where schools interface with
new and complex problems. The implications of such an approach end
teachers’ in-service education are referred to a field of application theoretical
and praxical as well, therefore supporting the culture based approach to the
teachers’ in-service education.
Keyword: in-service training, innovation, school improvement
1. Introduzione e motivazioni
Nella nostra contingenza, quanto meno quella legata al mondo
organizzativo della scuola e non solo, la parola innovazione sembra da
Di.L.A.S.S.,
Università
[email protected].
1
“d’Annunzio”
119
Chieti-Pescara
Italy;
e-mail
G. Angeloni
tempo avere occupato uno spazio preponderante nelle “Indicazioni
Nazionali” e nella riflessione, a livello centrale e periferico.
L’innovazione è definita dal dizionario della lingua italiana
Devoto-Oli, come “l’introduzione di sistemi e criteri nuovi”; ed anche
come il “miglioramento e/o il radicale cambiamento dei beni offerti”
o come “l’intervento migliorativo o di radicale mutamento riguardante
il sistema, i mezzi, o l’organizzazione della produzione. F. Cros
(1996, 2001) sostiene che la parola innovazione non possa essere
relegata all’interno di una catena linguistica che, verosimilmente,
rischierebbe di privarla di “tutta la sua magia, dell’ambiguità su cui si
fonda la sua attrattiva”. Del medesimo avviso è A.M. Hubermann
(1973) il quale, facendo propria un’osservazione dello statunitense
W. Westley, ritiene che il termine sia “seducente e ingannatore”,
perché pur evocando il miglioramento e il progresso – ad uno sguardo
attento - indica soltanto l’introduzione di qualcosa di nuovo e di
diverso, senza alcuna esplicita connotazione positiva.
Ma al di là del significato etimologico del vocabolo, possiamo
convenire sul fatto che trattasi di un concetto complesso di difficile
delimitazione - il quale enuncia la selezione, l’organizzazione,
l’impiego creativo e il miglioramento, in termini di perfettibilità delle
risorse umane e materiali secondo metodi inediti che permettono di
raggiungere con un livello di efficacia maggiore gli obiettivi stabiliti e che può si presta ad essere esaminato da una pluralità di prospettive,
ciascuna delle quali mette in luce ed enfatizza i diversi elementi che
vengono compresi nel termine. Punti di vista afferenti a varie scienze.
Per citarne alcune dell’area antropologica: la psicologia, la sociologia,
le scienze dell’educazione. Verosimilmente, le principali sfere
semantiche intersecate dal concetto di innovazione corrispondono ai
temi del nuovo, del cambiamento, del processo e dell’azione
finalizzata, tutti inseribili all’interno di un sistema pure complesso di
variabili. In primis quelle intrinseche al fenomeno dell’innovazione
quali: la qualità, i costi, la complessità, la comunicabilità; in secondo
luogo le variabili dipendenti dalla situazione specifica: quali la
struttura del sistema d’insegnamento in cui l’innovazione si inserirà,
la direzione e l’ iniziativa (spesso, il prestigio di chi la propone), il
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L’approccio culturale alla formazione in servizio degli insegnanti
clima istituzionale presente nell’ambiente scolastico (i momenti di
crisi e di insoddisfazione che sono in genere ad essa i più propizi), le
regole di funzionamento del gruppo che la dovrà adottare, le
caratteristiche personali degli adottanti ( la motivazione, la
propensione al rischio, le eventuali resistenze) ed infine, le variabili
riconducibili all’ambiente quali: la compatibilità dell’innovazione
con il sistema scuola e la capacità di quest’ultimo di accoglierla.
Ma se di innovazione si può parlare, in quali termini? E come
riferirci a questo universo semantico così complesso, e coniugarlo con
la trama organizzativa di quel microsistema che nominiamo scuola?
Con riferimento al luogo in cui si svolgono i processi intenzionali di
istruzione ed educazione, potremmo declinare il termine innovazione
appunto, in quattro possibili accezioni le quali costituiscono a loro
volta gli ambiti privilegiati all’interno dei quali collocarsi: l’ambito
didattico, professionale, valutativo ed organizzativo, senza comunque
disgiungerli, anzi operando tra loro un’integrazione, nella
consapevolezza che l’uno informa di sé l’altro, né può esistere l’uno
senza l’altro. Se l’innovazione, per definizione, implica una
trasformazione, i quattro campi individuati nei quali essa si snoda
sono pure soggetti a variazione, dal momento che, oltretutto, variati
sono i paradigmi di riferimento. Innanzitutto la nozione di conoscenza
che, secondo un paradigma costruttivista reputa l’essere umano attore
nel processo gnoseologico, non disgiunto dal contesto di riferimento,
operatore unitamente ad altri attori sociali con i quali costruisce
conoscenza - in accezione fenomenologica- quale atto consapevole,
intenzionale nei confronti di oggetti conoscitivi. Tale atto si dispiega
inoltre quale azione ermeneutica, tesa cioè ad interpretare eventi ed
esistenti. Ne consegue la revisione del modo di concepire il sapere e
gli oggetti che ad esso danno forma: le discipline: non più traslate in
sequenze lineari e in rapporti di contiguità, ma concepite come
universi aperti, interponibili, in costante aggiornamento e
collegamento. Esse, pur mantenendo le proprie peculiarità
epistemiche e i propri contenuti, la cui valenza risiede nel nominare,
ordinare e classificare l’esperienza umana, dotano la persona di lenti
attraverso le quali esplorare la complessità, il cui approccio non
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G. Angeloni
ammette nè semplificazioni, né riduzioni (Morin, 1993). In tal senso
le discipline rappresentano metodi di indagine, attraverso i quali
assumere consapevolezza piena di situazioni problematiche, da
definire e risolvere, con il ricorso a procedimenti abduttivi,
espressione della poiesi dell’essere umano e, secondo Pierce uniche
forme di ragionamento suscettibili di accrescere il nostro sapere.
Variato è pure il contesto nel quale tali paradigmi prendono forma: il
villaggio globale in cui la possibilità di accesso ad informazioni a
comunità e a culture diverse è resa possibile grazie anche alle enormi
potenzialità dei mezzi tecnologici che la scienza e il progresso hanno
posto a beneficio della persona. La globalizzazione, riferimento ormai
noto e dato come acquisito oltre che nel gergo comune, nel nostro
patrimonio culturale non ha investito solo i mercati finanziari, le
economie, il mercato del lavoro, ma le stesse strutture sociali,
modificandole all’insegna di una presunta omogeneizzazione delle
culture che sfuma le specificità, estende le comunità di appartenenza,
universalizzandole, dissocia l’uomo dalla sua primaria solidarietà
sociale, consentendogli di partecipare ad entità di specie più ampie e
diffuse e rendendolo di fatto libero nella scelta dei propri ambiti
relazionali, dilatati in senso mondiale. A tali paradigmi dovrebbero
corrispondere revisioni di modi di fare, di agire, di essere, di sentire e
non già soltanto a livello didattico o docimologico o organizzativo,
ma anche professionale, di quella professionalità cioè che si
acquisisce man mano che si creano ponti, si intessono relazioni a
livello esteso – non unicamente nella sede scolastica, ma con l’intero
territorio e con ciascuno stakeholder.
2. Innovazione e cambiamento
L’innovazione infatti implica scelte consapevoli, avvalorate da
processi relazionali ed intersoggettivi. Essa si concretizza in specifici
comportamenti messi in atto da parte degli attori dell’organizzazione,
accompagnati dalla riflessione sul senso attribuito alle proprie azioni e
sulle conseguenze che ne deriveranno. Chiunque innovi, infatti,
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L’approccio culturale alla formazione in servizio degli insegnanti
decide di introdurre alcuni cambiamenti nella propria pratica
ispirandosi, in maniera più o meno esplicita, a precisi valori.
Indipendentemente dai suoi esiti, ogni innovazione è motivata da
un desiderio di miglioramento della situazione. Ma se più facilmente
ipotizzabili – anche se solo in apparenza - sono i cambiamenti
materiali, ad esempio un nuovo impiego di spazi laboratoriali,
l’adozione di un nuovo libro di testo, l’impiego di specifici strumenti
multimediali, diverse sono le variazioni di ordine concettuale, più
propriamente collegate in ambito didattico (come mera
esemplificazione) ad una revisione ecologica della propria disciplina
di insegnamento che si fonda sulla capacità del docente di effettuare
quell’opportuna definizione dei saperi imprescindibili che la
definiscono e diventano nuclei fondamentali nella relazione di
insegnamento-apprendimento atta ad avviare l’allievo a quella
“comprensione profonda” che ravvisa nell’apprendimento del metodo
della disciplina, piuttosto che dei suoi contenuti imparati
pedissequamente, il vero obiettivo. E ancora, di una professionalità
docente che nell’accoglimento del concetto di competenze chiave, ed
oggi più che mai di quelle di cittadinanza attiva, ipotizza nuovi
percorsi di didattica autentica, di compiti di realtà, e di una
valutazione non già solo dell’apprendimento, ma in via prioritaria per
l’apprendimento. Diversi da quelli materiali soni i cambiamenti che
intervengono nei processi, finanche in quelle relazioni interpersonali
fra tutti e con tutti gli attori dell’organizzazione scolastica e
all’esterno della stessa. Mentre però - ed è semplice intuirlo - i
cambiamenti del primo tipo sono i più semplici da attuare:
un’innovazione basata unicamente sull’introduzione di nuovi
materiali è senz’altro destinata a diffondersi con maggior rapidità –
trattasi di cambiamenti incrementali – quelli della seconda tipologia,
più propriamente riferibili ai processi e che comportano, invece
modificazioni significative – ciò che viene definito in letteratura con
il termine di cambiamento sostanziale o trasformazione o turnaround
– sono di difficile realizzazione e implementazione.
I cambiamenti incrementali (Elmore, Fullan, 2004), in quanto tali,
tesi alla riproduzione nel tempo di pratiche già note ai professionisti
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G. Angeloni
lambiscono solo taluni aspetti della vita organizzativa e, se
determinati da forze esogene implicano una mera risposta adattiva del
sistema a perturbazioni impreviste che dall’ambiente esterno per
l’appunto provengono. Né, parlando di innovazione organizzativa, si è
realizzata vera trasformazione degli assetti e delle funzioni degli
operatori della scuola, sempre più specializzate e differenziate, bensì
vero e proprio cambiamento, quasi a voler in modo speculare
riprodurre la differenziazione dell’ambiente esterno (Ashby, 1958;
Lawrence e Lorsch, 1967). Tale processo peraltro non è neppure nato
dalla necessità avvertita dalle scuole al loro interno, ma elaborata da
una tecnostruttura la quale, nell’idealtipo mintzbergiano si configura
più vicina al vertice strategico, e distante dal nucleo operativo di base
che è quello nel quale i docenti trovano la propria giusta collocazione.
Cambiamento dunque reattivo e non anticipativo, giacché
anticipare significa prevedere le sollecitazioni e gli stimoli del
macrosistema, leggere le turbolenze in modo critico, elaborarle e
restituirle trasformate quali sollecitazioni potenziali che altri sistemi
devono fare proprie per potere fornire e restituire a loro volta risposte
adeguate. Anticipare inoltre vuol dire vivere la trasformazione, essere
in essa protagonisti e non subire il cambiamento, vivere la complessità
e non supinamente accettarla o farsi da essa travolgere. Inoltre il
cambiamento, quello radicale, non si può ritenere un evento
eccezionale, un fenomeno che accade March (1983) e che pone le
organizzazioni in uno stato di crisi, di “deriva strategica” (Johnson,
1992). La trasformazione è fisiologica nello sviluppo organizzativo
(Rebora, 2001) e connaturata all’esistenza delle stesse organizzazioni.
Il concetto di sviluppo richiama quello di mutazione evolutiva e
migliorativa. Ma se l’ evoluzione organizzativa include stadi o fasi di
crescita diversi, come quelli delineati da Schein (2000): età giovanile,
matura e vecchiaia in ciascuna delle quali l’organizzazione risponde
agli stimoli esterni, conformemente alla cultura sviluppata al suo
interno, allora la scuola ed in particolare la secondaria di secondo
grado sembra vivere da tempo lo stato della senilità, in quanto
incapace di darsi una diversa veste, di riconcettualizzarsi
radicalmente, partendo da una nuova visione che la conduca ad una
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vera ridefinizione dei suoi assi culturali. Anche in prospettiva
evolutiva il cambiamento è incrementale perché seppure le interazioni
tra ambiente e organizzazione trovano un elemento di mediazione
nelle routine organizzative (Nelson e Winter, 1982), queste
tenderanno sempre a ripristinare quello stato di coerenza interna o
“sistema d’ordine locale” (Normann, 1978) inizialmente perturbato.
Più che di trasformazione vera e propria si potrebbe allora parlare
di “oscillazioni continue” (Ferrante e Zan, 1994) tra stati di inerzia e
stati di dinamismo che si verificano all’insorgere di un trigger event,
di un evento ritenuto critico, perché capace di mettere in discussione
lo status quo. Ma la tendenza del sistema a riequilibrarsi al suo interno
è di gran lunga superiore alla capacità di rimodularsi radicalmente
mettendo in discussione non solo il come fare qualcosa, le procedure,
ma il perché fare qualcosa in un determinato modo. Lo sviluppo
organizzativo implica un cambiamento profondo, di tipo culturale.
3. Formazione in servizio e trasformazione
La trasformazione o per usare la definizione di Ackerman (1984)
il cambiamento trasformazionale è possibile nella scuola, a patto che
parta da una voluta e condivisa revisione culturale dell’organizzazione
che si faccia via via reculturing (Fullan, 2004) e dei modelli mentali
dei suoi attori, delle pratiche e degli aspetti più operativi connessi al
servizio. Il salto quantico o turnaround (Schendel, 1976, 1978; Hofer,
1980) che è insieme strategico, operativo e anche strutturale vale a
trasformare l’organizzazione nella sua interezza, ma non senza un
elemento catalizzatore: una cultura organizzativa, la quale riesca a
porsi non quale barriera eretta a difesa da quanti appartengono al
complesso artefatto umano e riesca pure ad istituzionalizzare al suo
interno lo stesso processo trasformativo. Vero è che il processo testè
enunciato implica da una parte dis-apprendere convinzioni, valori,
atteggiamenti e dall’altra apprendere qualcosa di nuovo. Esso pone la
persona in situazione di disagio: in ansia da sopravvivenza e ansia da
apprendimento. La prima ha attinenza alla conservazione della specie
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G. Angeloni
del gruppo stesso. L’ansia da apprendimento, invece, provoca nelle
persone isolatamente e in quelle che formano il gruppo organizzativo
sentimenti di inadeguatezza, di frustrazione, di incompetenza, di
perdita dell’identità personale e di appartenenza al gruppo, perciò
apprendere, in virtù di quanto appena affermato, potrebbe significare
perdere qualcosa. A dire il vero, quando un’organizzazione scolastica
elabora la propria cultura distintiva apprende come dare risposta ai
problemi di ordine integrativo interno e di adeguamento esterno.
Così le prassi, i valori, gli assunti di base sono risposte che le
persone in una comunità “inventano, scoprono, sviluppano” come
soluzioni a tali problemi. E in caso le ipotesi elaborate e corroborate
siano effettivamente risolutive vengono trasmesse, socializzate,
insegnate ai nuovi attori “come il modo corretto di percepire, pensare
e sentire in relazione a quei problemi”. La cultura ha quindi carattere
pragmatico in quanto valori, assunti e artefatti assumono consistenza
solo se si rivelano di successo. Si trasformano invece solo se
praticamente inefficaci alla soluzione di situazioni problematiche di
rilievo per lo sviluppo organizzativo. La cultura dunque implica
apprendimento il quale, a sua volta, equivale alla trasformazione.
L’apprendimento comporta l’acquisizione di abitudini, conoscenze,
atteggiamenti e consente alle persone un adattamento di tipo sociale,
oltre che personale. Ogni variazione di comportamenti indica che
l’apprendimento è in atto o ha avuto già luogo (Crow, 1963). Quando,
oltre al comportamento i professionisti riescono anche a produrre
grazie alle nuove idee acquisite con l’apprendimento, risultati di
nuovo genere, allora il processo di apprendimento diviene innanzitutto
un processo di ridefinizione cognitiva che non ha carattere episodico,
ma è nell’organizzazione la conditio sine qua non per affrontare
l’imprevedibile. “Le organizzazioni si trasformano quando
stabiliscono meccanismi di apprendimento nella vita organizzativa
quotidiana”1. Rimodularsi cognitivamente per le scuole e per tutte le
organizzazioni in genere significa operativamente compiere una
diagnosi della propria cultura, rilevarne i punti di forza e quelli di
1
M Fullan, Leading in a culture of change, Jossey-Bass, S.Francisco, 2004, p.195,
[Traduzione dell’autore].
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L’approccio culturale alla formazione in servizio degli insegnanti
debolezza, tra questi e primariamente le forze di resistenza che si
oppongono alla sua trasformazione, ma non prima di aver deciso di
“scongelare” (unfreezing) ciò che è stato appreso in precedenza, in
sostanza quel modo di vedere, di sentire, di comportarsi che ha
determinato a lungo la cultura e l’identità di genere dell’istituzione,
ma che alla luce di nuovi eventi problematici è necessario rivisitare e
revisionare. . Il paradigma culturale che per definizione è un modello
dinamico viene appreso, trasmesso e modificato (Schein, 2000).
La cultura dunque è trasformazione e insieme il prodotto
dell’apprendimento sociale, della condivisione di un gruppo, di
un’organizzazione che, uscita dal circolo tacito della conoscenza ne
ha fatto l’oggetto di negoziazione e di rielaborazione. La cultura che si
nutre del patrimonio di conoscenze acquisite e sperimentate dagli
attori organizzativi si colloca in un processo costante di formazione
che è medaglia a due facce: è fonte di disconferma, ma è anche
possibilità di rinnovamento. Una scuola che fa della condivisione
della conoscenza un valore culturale (Fullan, 2001, 2003) è
un’organizzazione che si costituisce quale comunità professionale di
apprendimento (Kruse, 1995 ). Essa non teme la trasformazione, ma
impara dall’errore e dal conflitto e ha nell’interazione e nello scambio
i suoi punti di forza. A lungo la parola formazione è stata
erroneamente interpretata come sinonimo di aggiornamento, lasciato
alla libera iniziativa e alla buona volontà del docente. Le due realtà
che portano segni linguistici oltretutto diversi rimandano pure a
differenze concettuali. Glaser (1962) e Nadler (1970) propongono una
consistente differenziazione tra i due universi semantici. Per Glaser
l’aggiornamento è addestramento ed è rivolto a obiettivi specifici
relativi a un ruolo o a una funzione svolta in ambito lavorativo.
La formazione è finalizzata invece a obiettivi più vasti. Nadler
nomina l’aggiornamento training, definendolo quale evento che ha
come obiettivo il miglioramento di performance sul campo di lavoro.
La sua finalità è quella di introdurre nella pratica lavorativa un nuovo
comportamento o di modificare un comportamento precedente. La
formazione, invece, denominata dall’autore education si estrinseca in
un insieme di attività che sottendono lo sviluppo delle risorse umane,
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G. Angeloni
destinate a migliorare la competenza globale, dunque anche personale
del dipendente. Se da un lato quindi l’aggiornamento è attinente al
miglioramento delle proprie conoscenze e capacità sulla base di
informazioni recenti ed inerenti le novità in un settore tecnico
professionale, come per l’insegnante potrebbe essere l’ambito
metodologico-didattico, normativo-giurisprudenziale e disciplinare, la
formazione è invece un processo che, implicando di fatto
l’aggiornamento, si rende di più ampio respiro e di diversa natura.
Il topic o nucleo portante del processo formativo non è
l’informazione tout court, né un comportamento da variare o
potenziare, ma la persona o meglio, in tema di organizzazioni,
l’organizzazione stessa e in essa le persone che la costituiscono e la
mantengono in vita. Tra l’altro l’aggiornamento che può produrre
expertise intesa quale perizia tecnica da parte del docente,
ricondurrebbe l’assunto organizzativo a una macchina, a un sistema il
cui funzionamento non sottratto alle regole dell’efficienza si vedrebbe
condizionato dalla ossessiva pianificazione di tempi, attività, modi. Di
contro la formazione allude a un’organizzazione viva, a un artefatto
che è “cervello”, “cultura”, “flusso e divenire”, in cui gli attori
reinterpretano collettivamente il loro mondo, ridefiniscono le attività
introducendo nuove forme di mediazione.
La suggestione di un nuovo approccio alla formazione in servizio
degli insegnanti denominato appunto “culturale” (Culture Based
Approach to the teachers’ on the job education, Angeloni 2008)
deriva dall’urgenza di creare identità ben definite, le quali sappiano
responsabilmente orientare le loro scelte non sulla base delle mode o
di improvvisazioni, ma sulle necessità effettivamente avvertite, sulle
priorità peculiari di un costrutto umano riflessivo e sapientemente
volitivo.
4. Il Culture Based Approach: proposte e conclusioni
Il Culture Based Approach partendo dal concetto di istituzione
riconosce le scuole come entità dotate di una loro propria fisionomia,
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L’approccio culturale alla formazione in servizio degli insegnanti
di tratti che ne distinguono gli aspetti sostanziali e che le definiscono
in quanto fenomeni culturali in mutamento. La cultura organizzativa
delle istituzioni scolastiche costituisce l’oggetto sostanziale del
processo formativo che è processo di trasformazione, oltre a
identificarsi quale mezzo e fine dello stesso.
Il vissuto quale esperienza dell’insegnante-adulto rappresenta
dunque il punto di partenza, l’oggetto sul quale innescare la
riflessione, in relazione a situazioni ritenute problematiche dai docenti
e relative tanto alla complessità dell’esperienza educativa, quanto a
quella organizzativa, ma allo stesso tempo esso rappresenta anche il
punto di ritorno nella logica della trasformazione.
Infatti la riflessione che si avvia dalle pratiche che sono gli
artefatti, le manifestazioni più visibili della cultura può giungere a
toccare, se opportunamente guidata, gli “argomenti” più nascosti e
difficili da esplorare: valori e assunti di base e determinarsi
nuovamente come insieme di pratiche variate. La riflessione sulla
propria cultura di specie o sulla cultura dominante si configura a tutti
gli effetti quale attività di per sé teorica e pratica, perché contempla
tanto gli aspetti cognitivi connessi ai modelli mentali dei
professionisti, quanto quelli operativi del servizio che essi erogano.
In considerazione, tra l’altro, di un topic conoscitivo costruito
socialmente dai professionisti della scuola, si è proposta (Angeloni,
2008) la revisione della strategia metodologica frontale che mostra in
tal caso la sua inefficacia, rivelandosi non funzionale né all’attività
comune di riflessione, né alle conseguenze che la riflessione stessa
potrebbe implicare a livello organizzativo. Una formazione che si
costituisca quale reculturing delle scuole ammette procedure
partecipanti, in cui i docenti si sentano liberi di esprimere il proprio
pensiero, coinvolti in un processo autodiretto che assume il gruppo
quale attore nei processi di apprendimento.
Il focus group, per tale fine, quale tecnica metodologica presenta
enormi possibilità. Oltre a essere un valido sistema di rilevazione del
paradigma culturale dell’organizzazione scuola si qualifica quale
modalità che agevola l’evento formativo dal momento che incentra
l’attività su un compito ben preciso, trasforma l’attività riflessiva in
129
G. Angeloni
una pratica collettiva di gruppo e limita la consistenza numerica degli
attori, i quali facilitati e guidati da un esperto incentreranno le proprie
discussioni sugli oggetti della cultura organizzativa, accrescendo nel
tempo le proprie competenze, fino alla possibilità di autogestirsi.
Da una parte sarà così sciolta la questione del peso della
formazione percepita come “dovere”. Nel setting di specie ciascuno
sarà legittimato a dialogare e in ragione di quella legittimazione la
conoscenza di ordine tacito diverrà esplicita e pian piano oggettivata
(embedded), incorporata (embodied), assimilata (encultured) e
mentalizzata (embrained) nel contesto del quale ciascuno è parte
integrante. D’altra parte, l’esperienza formativa che ne deriverà avrà
il pregio di avvalersi di tutti gli attributi relativi a una comunità di
pratica che partendo da problemi da definire (problem finding) pone
in costante analisi le proprie procedure, ma con una particolarità:
attraverso la riflessione congiunta essa scopre che a essere posti al
vaglio sono quegli assunti che determinano opposizione alla
trasformazione, quegli schemi mentali che non operando in
disgiunzione, piuttosto che in integrazione sviano il pensiero e lo
inducono a una visione miope.
Attraverso la riflessione situata, dialogica, partecipata il gruppo,
spontaneamente costituitosi sulla base della necessità realmente
avvertita di miglioramento e sviluppo della propria istituzione, avrà
possibilità di qualificarsi come comunità di apprendimento
generatrice di ipotesi da corroborare in un processo continuo,
costante, interminabile che è di ricerca e insieme di azione. La
comunità di pratica che è al contempo comunità di apprendimento
realizzerà le condizioni per le quali si è nominata la scuola
“organizzazione”, facendo dell’impegno reciproco, dell’impresa
comune, del repertorio culturale condiviso i suoi segni distintivi.
I professionisti che fanno la scuola, quanto più condivideranno
finalità e scopi, e nell’atto di rimettersi in discussione porranno in
discussione l’identità e la cultura di specie dell’istituzione stessa,
tanto più si avvantaggeranno e ne trarranno beneficio, avendo cura di
formarsi ad una competenza trasformativa che vede nel
130
L’approccio culturale alla formazione in servizio degli insegnanti
miglioramento, dunque nell’ innovazione sostanziale il cardine di un
processo che non ha mai fine.
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