Fin da Piccoli anno 3 n. 2 - Centro per la Salute del Bambino

Transcript

Fin da Piccoli anno 3 n. 2 - Centro per la Salute del Bambino
FIN DA PICCOLI
Aggiornamenti sulla letteratura in tema di
interventi nei primi anni di vita
maggio - agosto 2011 - Anno 3 - numero 2 pgg 1-7
FIN DA PICCOLI si propone di diffondere conoscenze sull’importanza e
l’efficacia di interventi effettuati nei primi anni di vita e finalizzati alla salute ed
allo sviluppo dei bambini. Poiché quanto accade all’inizio della vita ha influenze
molto significative sulla qualità della vita dell’adulto, tutto questo ha rilevanza
anche per il futuro delle nuove generazioni.
FIN DA PICCOLI si propone di contribuire a questo fine attraverso la diffusione
di studi e ricerche riportati dalla letteratura internazionale.
FIN DA PICCOLI è diretto primariamente a operatori che a vario titolo si
occupano di infanzia, ma anche a genitori e ad amministratori.
Sommario
Editoriale: Cosa aspettiamo?
Come lavorare con i genitori per ridurre “fin da piccoli”
l’esposizione alla TV
Il ruolo dei genitori come mediatori di fattori protettivi dei
comportamenti aggressivi dei figli
Ricerca sui contesti naturali di vita del bambino e politiche per la famiglia
Documenti
Documento OCSE: In Italia c’é bisogno di piú politiche
per conciliare lavoro e famiglia
Comunicato stampa Gruppo CRC
Segnalazioni/Comunicazioni
p. 2
p. 3
p. 3
Comitato editoriale:
Giancarlo Biasini
Francesco Ciotti
Monica Guerra
Giorgio Tamburlini
p. 4
p. 6
p. 7
p. 7
FIN DA PICCOLI esce ogni 4 mesi solo in formato elettronico.
Se si desidera riceverlo regolarmente scrivere a [email protected] o chiamare il n.
tel. 040 3220447 indicando di voler ricevere “FIN DA PICCOLI”
Centro per la Salute del Bambino - ONLUS
Formazione e ricerca per le cure alla Maternità,
all’Infanzia e all’Adolescenza
Progetto grafico di Giulia Richter
Editoriale Cosa aspettiamo?
Questo numero di FdP riporta, tra le altre cose, due “pezzi” di informazione alquanto diversi
tra loro per fonte, caratteristiche, tipo di messaggio e target dello stesso. Il primo è costituito
dai risultati di una ricerca-intervento svolta in collaborazione tra pediatri e psicologi in quel di
New York, che porta a raccomandare di migliorare l’interazione precoce tra genitori e bambini piccoli (primo anno) ai fini di ridurre l’esposizione ai media visuali. Il secondo è un documento politico-programmatico prodotto dall’OCSE, che raccomanda ai governi di investire di
più sulle famiglie nei primi anni di vita del bambino, sia con trasferimenti netti, sia tramite l’offerta di servizi, come requisito per lo sviluppo economico e sociale.
In Italia i programmi rivolti ai genitori esistono, ma comme d’habitude sono diversi e diversificati ed anche minoritari, molto minoritari nel contesto nazionale, frutto dell’iniziativa di qualche isolato operatore o gruppo di operatori e di qualche amministrazione locale. Il quadro
complessivo è infatti povero. Come lo stesso documento OCSE ricorda, solo il 29% dei bambini 0-3 frequenta una qualche struttura per l’infanzia. I dati relativi ai nidi pubblici e privati
danno una media del 9,9% con un massimo del 23% in Emilia Romagna. Nel frattempo aumenta, anche esponenzialmente, il ruolo “educativo” (aggettivo che qui si usa senza segno,
cioè senza indicarne se l’effetto è positivo o negativo) di altre “agenzie”. Prima fra tutte queste, soprattutto per il ruolo nei primissimi anni di vita, la TV, i video in generale inclusi i video
giochi, poi le connessioni virtuali con la loro crescente varietà di modi. I genitori si sentono, e
sono per lo più, relativamente impotenti e relativamente marginali nell’esercitare il loro ruolo.
In Italia, paese cattolico per antonomasia, che si regge come nessun altro sulla famiglia per
assicurare coesione sociale e protezione sociale, la famiglia non è supportata dallo Stato,
ricevendo una delle quote più basse del PIL, stando ai dati OCSE. Del resto la situazione è
ben nota a tutti. Tutte le forze politiche , sia pure con le differenze dovute al fatto che la definizione di famiglia per alcuni riguarda solo la famiglia nata dal matrimonio e per altri una ampia gamma di situazioni variamente connotate, sarebbero d’accordo ad aumentare questa
quota. Ma questo non avviene mai.
Nemmeno per supportare la natalità tra gli indigeni. Al massimo infatti ci si limita a limitare gli
attuali scarsi benefici e servizi solo ai cittadini italiani o residenti di lungo corso. Il che, ovviamente, oltre che essere ingiusto e miope, non porta ulteriori vantaggi nemmeno ai beneficiari
della discriminazione.
Negli ultimi anni, e mesi, e settimane, anche per l’aggravarsi della crisi economica e politica,
molti hanno dimostrato la loro insoddisfazione per lo stato di cose: dai cassintegrati e disoccupati a quanti hanno dovuto scegliere tra nuovo contratto e disoccupazione; dagli studenti
agli insegnanti, dalle donne, che si sentono offese e discriminate in quanto tali, a quanti si
sentono a rischio per l’insediamento di inceneritori o di linee ad alta velocità. Molti, ma non i
genitori. Molti, ma non quanti sono lasciati fuori dai servizi per l’infanzia, in liste di attesa chilometriche. Molti, ma non coloro che si vedono colpiti in quello che dovrebbe essere l
‘interesse primo: la crescita e lo sviluppo dei propri figli. Restano qualche psicologo, qualche
economista, qualche pediatra, qualche educatore, qualche altra mente lungimirante a chiedere che si faccia di più. Voci che resteranno inascoltate fino a che non assumono la caratteristica di un moto di opinione più vasto e robusto.
Cosa aspettiamo, dunque? Questa newsletter, ed il gruppo degli associati del CSB che la
produce e dei suoi non pochissimi lettori, intende portare un contributo per una campagna
rivolta a tutti, a partire dagli amministratori locali, non pochi dei quali di recente insediamento,
affinché, vuoi per ragioni utilitaristiche (demografia, economia, produttività e coesione sociale), vuoi per ragioni etiche (eguaglianza, integrazione) vuoi infine per ragioni estetiche (avete
mai visto un bel nido dove si promuove e si libera la creatività dei più piccoli?). Si inizi finalmente a investire di più nella prima infanzia e nei suoi mediatori/curatori per eccellenza, i
genitori.
Come faremo? A tutti coloro che ne faranno richiesta con una mail (da inviarsi entro il 5
settembre a [email protected] con oggetto campagna) verrà inviato uno schema iniziale
di un documento - che non dovrà, nella sua versione definitiva, superare le 3/4 pagine - per
ricevere contributi e suggerimenti, che verranno poi raccolti a cura della redazione, diffusi
pubblicamente, e messi a disposizione per essere presentati agli interlocutori appropriati a
seconda del caso (dal sindaco all’assessore, dall’associazione al gruppo professionale).
Qualcosa faremo anche noi, chiedendo un incontro con i responsabili delle politiche sociali
dei vari partiti a livello nazionale.
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COME LAVORARE CON I GENITORI PER RIDURRE “FIN DA PICCOLI” L’ESPOSIZIONE
ALLA TV
Randomized Controlled Trial of Primary Care Pediatric Parenting Programs, Mendelsohn AL, Dreyer BP, Brockmeyer CA et al. Arch Pediatr Adolesc. Med 165: 42-48, 2011
Da almeno una decade ci si preoccupa dell’esposizione a tv ed altri media, in particolare da
parte dei bimbi più piccoli. La preoccupazione riguarda soprattutto i bambini che, a causa di
un livello socioculturale basso dei loro genitori, o per altri motivi, sono lasciati a sé stessi davanti alla tv.
Uno degli effetti negativi della presenza pervasiva della tv è quello della riduzione delle interazioni tra genitori e bambini piccoli. Buona parte delle associazioni che rappresentano gli
operatori che si occupano dell’infanzia (educatori, psicologi, pediatri ecc.) ha raccomandato e
raccomanda sia di ridurre l’esposizione alla tv sia di aumentare le interazioni precoci. Questo
studio effettuato tra famiglie di basso livello socioculturale nell’area di New York e condotto in
collaborazione tra psicologi e pediatri, fa parte di una serie di evidenze prodotte da uno dei
tanti progetti che negli Stati Uniti si propongono di migliorare le competenze genitoriali e attraverso queste lo sviluppo infantile precoce (Bellevue Project for Early Language, Literacy
and Education Success). Gli autori sono andati a vedere in che misura due diversi interventi
rivolti ai genitori dei bambini piccoli, il primo basato su una serie di incontri tra educatori e
genitori comprendenti anche la visione di materiale e di video, il secondo basato solo sull’invio a casa di materiali educativi, potessero migliorare le interazioni tra i genitori e i bambini e
che impatto avessero sull’esposizione alla TV.
La ricerca, dal disegno molto accurato, dimostra che almeno il primo dei due interventi è in
grado di ridurre significativamente l’esposizione alla TV e che questo effetto è almeno in parte mediato da migliori e più durature interazioni tra bambini e genitori.
Conclusioni
Lo studio porta ulteriori dati sperimentali a sostegno della importanza delle interazioni precoci
e della possibilità che interventi anche relativamente semplici effettuabili nel contesto dei servizi per le cure primarie siano in grado di migliorare queste interazioni. Anche se resta abbastanza curioso per noi che si sia andati a vedere se il miglioramento della relazione potesse
ridurre l’esposizione alla TV piuttosto che “accontentarsi” dell’effetto sulla relazione in sé,
resta il fatto che una riduzione dell’esposizione alla TV è di per sé un obiettivo anche perché
probabilmente è vantaggioso intervenire su più punti del circolo vizioso scarsa interazioneesposizione alla TV.
Per chi è il messaggio
Nel suo significato più ampio il messaggio è per tutti coloro che si preoccupano di quello che
accade nei primi anni di vita, quindi a partire dai genitori fino a toccare le varie categorie professionali di operatori, fino agli amministratori ed ai politici.
Il messaggio più diretto dello studio è tuttavia rivolto a quegli operatori delle cure e dei servizi
primari – e qui includiamo anche i progetti rivolti al supporto alla genitorialità, non necessariamente a partire dal servizio sanitario – che possono considerare di arricchire il loro intervento
con approcci simili a quelli utilizzati nello studio in questione. Tenendo conto ovviamente del
fatto che lo studio ha dimostrato che il materiale educativo accompagnato da un’interazione
diretta funziona, mentre il materiale educativo semplicemente fatto pervenire alle famiglie
non funziona.
GT
Clicca qui sotto per un ampio sunto dell’articolo di Mendelsohn e coll.
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/Clicca_qui_Mendelsohn_et_al.pdf
Clicca per scaricare Adobe Reader 9 e visualizzare l’articolo
http://www.adobe.com/it/products/reader/
IL RUOLO DEI GENITORI COME MEDIATORI DI FATTORI PROTETTIVI DEI COMPORTAMENTI AGGRESSIVI DEI FIGLI
Farrell D. et al. Parents as moderators of the impact of school norms and peer influences on aggression in middle school students. Child. Dev. 2011;82:295-310
Il problema che gli autori dell’articolo si pongono è se si possano identificare con una certa
precisione alcuni dei fattori che, a livello della famiglia, proteggono i ragazzi dalla tendenza a
esercitare violenza verso i coetanei nel periodo della scuola media. Queste conoscenze, se
supportate da evidenze, potrebbero suggerire interventi capaci di promuovere sviluppi positivi nei ragazzi.
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Questo sembrerebbe particolarmente importante nel periodo del passaggio dalla scuola elementare alle medie dove gli episodi di violenza sembrano diventare più frequenti.
Lo studio, abbastanza difficile da leggere per l’utilizzo di valutazioni statistiche raffinate indica, in buona sintesi, che
1.i comportamenti aggressivi effettivamente aumentano nel corso della scuola media sia nelle femmine che nei maschi, ma più in questi ultimi;
2. esistono alcune possibilità per i genitori di influenzare il comportamento dei ragazzi;
2.a. attraverso l’interesse dei genitori alla vita del ragazzo con il colloquio sui fatti quotidiani
anche non specificamente mirato alla violenza, ma alla vita del ragazzo e ai rapporti intrafamiliari;
2.b .indipendentemente da qualsiasi altro fattore è da evitare perché ha effetti negativi il suggerimento del cosiddetto “ fighting” cioè della lotta come risposta all’aggressione (se qualcuno ti dà un pugno, rispondi con un pugno). Può invece avere effetti benefici l’educazione alla
non violenza (se qualcuno ti insulta, non rispondere, fai finta di niente).
Esiste però una finestra di opportunità temporalmente limitata per l’influenza dei genitori che
è collocata all’inizio della nostra scuola media. In questo periodo è possibile contrastare le
influenze negative sui ragazzi. Un altro dato di grande interesse sta nel fatto che sono i livelli
percepiti e accettati di aggressività della classe a essere significativamente correlati agli episodi di aggressività fisica.
Conclusioni
Forse lo studio giunge a conclusioni raggiungibili anche con buon senso, ma anche la conferma del buon senso è uno degli obiettivi della ricerca scientifica (il lavaggio delle mani è
una misura di buon senso che è stata confermata clamorosamente come di grande efficacia
nel corso nella pandemia influenzale dello scorso anno). Una criticità emersa dallo studio sta
nel fatto del tempo molto breve (entro il primo anno della scuola media) nel quale si presenta
la “finestra utile” per l’intervento dei genitori. Occorre quindi che il colloquio intrafamiliare inizi
ben prima, come del resto suggerisce da sempre questa nostra rivista.
Per chi è il messaggio
Il messaggio è per le famiglie, che non devono considerare come inevitabile lo sviluppo di
aggressività dei ragazzi. E anche per le scuole perché tengano conto che sono i livelli percepiti e accettati di aggressività della classe a essere significativamente correlati agli episodi di
aggressività fisica dei ragazzi. Sui modi di affrontare questo problema la ricerca non si è
concentrata, ma la scuola deve tenerne conto.
GB
Clicca qui sotto per un ampio sunto dell’articolo di AD Farrell e coll.
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/Clicca_qui_Farrell_et_al.pdf
RICERCA SUI CONTESTI NATURALI DI VITA DEL BAMBINO E POLITICHE PER LA FAMIGLIA
Context matters in child and family police. Dodge KA. Child. Dev. 2011: 82: 433-442
L’articolo di Dodge chiude il numero monografico gennaio-febbraio 2011 di Child Development e contiene una riflessione critica dettagliata e precisa degli studi selezionati e pubblicati per questo numero, dedicati ai fattori di contesto, familiari, scolastici, sociali, capaci di
incidere sullo sviluppo del bambino. Abbiamo pensato di riportare in sintesi i punti salienti di
questa riflessione perché è utile nel far luce sulla forza e sui limiti delle ricerche in questo
campo. Le voci bibliografiche citate nel testo possono essere reperite in coda all’articolo di
Dodge sullo stesso numero della rivista.
Lo scopo di portare la ricerca sullo sviluppo infantile dal laboratorio e dalla ricerca di base sul
campo della comunità di vita del bambino è di determinare grazie ad essa un impatto significativo nel miglioramento della salute psicofisica infantile.
Sfortunatamente sino ad oggi questo scopo non è stato coronato da successo se è vero che
Twenge e coll. (2010) riportano che negli ultimi 70 anni negli adolescenti delle società occidentali i disturbi della condotta e depressivi sono aumentati di almeno una deviazione standard.
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Diverse possono essere le ragioni per le quali progetti di intervento che si dimostrano efficaci
in piccole comunità e per un certo periodo di tempo rivelano poi uno scarso impatto su popolazioni più vaste e su una prospettiva temporale più lunga.
Molti degli studi di popolazione selezionati nel numero di gennaio-febbraio 2011 di Child Development, condotti in genere con grande rigore procedurale e di valutazione di esito, dimostrano come la trasposizione di un intervento da una comunità ristretta a una popolazione più
vasta e generale possa essere difficile. Questi studi, seppure rigorosi, hanno alcuni limiti: i
campioni sono piccoli, i partecipanti sono volontari, l’intervento ideale praticato è molto sorvegliato nella sua qualità esecutiva e non sempre è esportabile e generalizzabile.
In altri casi gli studi dimostrano delle relazioni causa-effetto in cui è difficile riconoscere i mediatori implicati ed efficaci. Ad esempio Morrissey e coll. dimostrano che ogni volta che una
madre cambia lavoro l’indice di massa corporea dei figli aumenta di circa una libbra in 5 mesi
oltre la curva normale di crescita, ma non si capisce la relazione tra cambiamento del lavoro
materno e cambiamenti dei pattern alimentari o di sonno del bambino. Monahan e coll. evidenziano che uno studente lavoratore che lavora più di 20 ore alla settimana ha un maggior
rischio di abuso di sostanze e di delinquenza, ma capirne le ragioni e stabilire l’intervento di
comunità per prevenire tale rischio è difficile e problematico.
Quando gli studi selezionati riguardano interventi di comunità rivolti al contesto parentale o al
contesto dei pari o ai processi cognitivi intrapsichici del bambino essi si dimostrano efficaci
nel confronto campione-controllo. Ad esempio Thomas e coll. testano l’ipotesi che una terapia interazionale genitore-bambino, volta a migliorare la comunicazione tra loro, migliora in
generale lo stile genitoriale nelle famiglie segnalate ai servizi sociali per sospetto maltrattamento. Lowell e coll. testano l’ipotesi che una collocazione domestica nuova ed autonoma
unita ad un intervento psicoterapeutico tra i 6 e i 36 mesi di vita migliora il linguaggio e previene i disturbi della condotta nei bambini appartenenti a famiglie conflittuali che vivono in
quartieri a rischio. Karna e coll. dimostrano che un intervento a scuola sulle relazioni sociali
tra pari può prevenire i comportamenti di bullismo. Raver e coll. dimostrano l’efficacia sulle
abilità scolastiche di interventi a scuola diretti a migliorare l’autoregolazione e l’autoconsapevolezza sociale.
Tuttavia in alcuni casi l’efficacia può essere limitata solo ad alcuni sottogruppi della popolazione studiata. Nello studio di Stormshak e coll. che propone alle famiglie con adolescenti
antisociali un intervento terapeutico familiare solo il 42% delle famiglie invitate nel gruppo
destinato a ricevere l’intervento lo accetta. Perciò quando si propone un certo programma di
intervento è necessario monitorare strettamente anche la penetrazione del programma ossia
la sua accettazione da parte delle famiglie. Se la penetrazione è bassa e solo un limitato segmento di popolazione accetta quell’intervento è chiaro che è poco generalizzabile e capace
di incidere sul fenomeno indagato.
Altre ricerche come quella del gruppo Conduct Problems Prevention Research e quella di
Reynolds e coll. dimostrano ad esempio che è invece il sottogruppo ristretto dei bambini a
più alto rischio a ricevere benefici dagli interventi ecologici sui contesti di vita. La ricerca di
Ayoub e coll. riporta un intervento efficace sullo sviluppo del linguaggio a 24 mesi limitatamente al sottogruppo delle femmine e non dei maschi. Al contrario la ricerca di McLoyd e
coll. su un intervento di orientamento al lavoro si rivela efficace solo nei maschi e non nelle
femmine.
Anche le ricerche pubblicate sempre in questo numero di Child Development sui programmi
di parent-training, che favoriscono l’uso di premi ai comportamenti positivi del bambino difficile piuttosto che le punizioni severe per quelli negativi, hanno dei limiti. Brotman e coll. propongono questo programma alle famiglie a rischio nere e ispaniche di bambini di scuole materne pubbliche. Su 554 bambini arruolati solo il 31% partecipa allo studio. Alcuni declinano
l’invito perchè i genitori non parlano inglese, altri abbandonano. Ora gli autori sostengono
che il campione seguito ha esiti migliori del controllo ma questo risultato sul campione autoselezionato lo sarebbe molto meno a livello di popolazione. E’ evidente che questo campione
non rappresenta la popolazione complessiva di quella comunità a rischio e che dovrebbe
aver beneficio da quegli interventi di politica familiare. Ne deriva altresì che in molti casi (ad
esempio in questo caso chi non parla inglese ed è probabilmente più isolato e emarginato)
rimangono fuori dagli interventi proprio le famiglie che ne avrebbero più bisogno.
Infine occorre fare attenzione quando si traspone il risultato di uno studio di comunità da un
contesto ad un altro senza considerare le differenze fra i contesti e i cambiamenti da apportare per rendere appetibile e realizzabile uno studio in un determinato nuovo contesto etnico o
urbano.
Ad esempio Pate-Bain e coll. nel 1997 nel Tennessee con uno studio sperimentale su 11.600 bambini assegnati a classi elementari normali e a classi piccole (con un basso numero
di scolari) hanno dimostrato che i bambini delle classi piccole avevano risultati scolastici migliori alle elementari e alle medie di quelli delle classi normali. Bohrnstedt e coll. nel 1999
replicano questo studio in California e non trovano lo stesso effetto, i risultati scolastici dei
bambini non risentivano affatto della dimensione delle classi ma solo della ubicazione delle
classi nei quartieri più poveri.
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Era successo che all’incremento del numero delle classi, seguito alla creazione di classi più
piccole, si era accompagnato un incremento del numero degli insegnanti necessari e di questi i meno qualificati erano andati a insegnare nelle classi delle periferie urbane e i più qualificati avevano potuto scegliere le classi dei quartieri più centrali.
FC
DOCUMENTI
Doing better for families Italia - OECD
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/OECD_doing_better_for_families[1].pdf
In Italia c’é bisogno di piú politiche per conciliare lavoro e famiglia.
L’Italia é ben al di sotto della media OCSE rispetto a tre indicatori fondamentali sulla
famiglia: occupazione femminile, tasso di fertilitá e tasso di povertá infantile. Il dilemma italiano sta nel fatto che é molto difficile conciliare lavoro e figli ma, allo stesso tempo, un elevato il tasso di occupazione dei genitori é cruciale per ridurre il rischio di povertá infantile. Per poter migliorare le condizioni di vita lavorativa e familiare é necessario rafforzare le politiche per l’infanzia e per il lavoro che contribuiscono a rimuovere gli ostacoli all’occupazione femminile.
In confronto a molti paesi OCSE, in Italia le donne hanno piú difficoltá a conciliare lavoro e famiglia. Spesso esse si trovano a dover compiere una scelta tra avere un lavoro
ed avere dei figli; il risultato è che sia il tasso di natalitá sia il tasso di occupazione
femminile sono bassi: quest’ultimo é pari al 48% (la media OCSE é pari al 59%).
Dopo un drastico calo durante gli anni ’70, intorno alla metá degli anni ’80 i tassi di
feconditá si sono assestati intorno a 1,4 figli per donna. Anche per avere una condizione lavorativa più stabile, i giovani spesso postpongono l’etá in cui hanno il primo figlio
e così la probabilitá di non avere figli aumenta. In Italia, in effetti, ci sono molte donne senza figli: il 24% circa delle donne nate nel 1965 non ha avuto figli; in Francia, per
esempio, solo il 10% delle donne nate nello stesso anno non ha figli.
L’Italia é caratterizzata da bassi
tassi di fertilitá e di impiego
femminile (2009)
L’Italia investe meno in politiche per la famiglia
che la maggior parte dei paesi OCSE con alti
tassi di fertilitá.
Il tasso di povertá infantile in Italia é pari al 15% ma il rischio di povertá é estremamente alto per i bambini che vivono in famiglie in cui entrambi i genitori sono disoccupati. Circa l’88% dei bambini che vivono con un solo genitore disoccupato sono poveri
(la media OCSE é 62%). Analogamente, il 79% dei bambini che vivono con due genitori
disoccupati sono poveri; la percentuale scende al 22% quando solo uno dei due genitori
ha un lavoro (le medie OCSE sono, rispettivamente, 50% e 17%).
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L’Italia spende circa 1,4% del PIL per le famiglie con bambini, mentre nell’OCSE in media si spende il 2.2%. I genitori che hanno un lavoro hanno diritto ad 11 mesi di congedo parentale retribuito di cui 5 mesi di maternitá generalmente retribuiti al 100% dello
stipendio, ma la retribuzione é bassa per il resto del congedo. Circa il 29% dei bambini
al di sotto dei 3 anni usufruiscono dei Servizi all’Infanzia, una cifra di molto inferiore
alla percentuale dei bambini iscritti alla Scuola dell’Infanzia (il 98% dei bambini tra i 3
e i 5 anni). Solo il 6% dei bambini tra i 6 e gli 11 anni è iscritto a servizi di pre e dopo
scuola, in parte a causa di finanziamenti ridotti.
La flessibilitá degli orari di lavoro svolge ancora un ruolo limitato nell’aiutare i genitori
a conciliare lavoro e famiglia: meno del 50% delle imprese con 10 o piú dipendenti offre flessibilitá ai propri dipendenti, e il 60% dei lavoratori dipendenti non è libero di
variare il proprio orario di lavoro. Avendo scarso accesso a servizi di pre e dopo scuola,
per i genitori é complicato avere un lavoro a tempo pieno. L’alternativa é spesso un
lavoro part-time, opzione scelta dal 31% delle donne in Italia ma solo dal 7% degli uomini. In Italia le donne dedicano al lavoro non retribuito molto piú tempo degli uomini
(in media, piú di 5 ore al giorno le donne e meno di 2 ore al giorno gli uomini): la più
ampia disparità di genere nei Paesi OCSE dopo Messico, Turchia e Portogallo.
DOCUMENTI
Comunicato stampa del gruppo CRC che delinea la condizione dell’infanzia nel nostro paese.
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/CS_CRC_26-05-11[1][1].PDF
SEGNALAZIONI
Finalmente è stata approvata la Legge istitutiva del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. La legge è stata approvata il 22 giugno al Senato (all’unanimità).
Vi invieremo il testo definitivo non appena sarà pubblicato. L’approvazione della Legge è avvenuta anche grazie allo sforzo congiunto di molte associazioni che da anni si impegnino
affinché questa figura sia istituita a livello nazionale, così come raccomandato dal Comitato
ONU sin dal 2003.
Premio nazionale Nati per Leggere II Edizione
L'autore, artista e illustratore Gek Tessaro e lo scrittore americano, vignettista e Premio Pulitzer Jules Feiffer con la Biblioteca Civica di Cuneo e la pediatra Elena Cappellani (PG)
sono i vincitori dell'edizione 2011 del Premio nazionale Nati per Leggere, che sostiene i
migliori libri, i progetti editoriali e i progetti di promozione alla lettura per bambini da zero a
sei anni. Menzioni speciali vanno alla collana Ullallà della casa editrice Emme, alla Regione
Friuli Venezia Giulia e alla Regione Puglia.
In occasione del Premio NpL è stato anche presentato e premiato il video vincitore del concorso A corto di libri per la sezione relativa a NpL. A corto di libri è promosso dalla sezione
Umbria dell'Associazione Italiana Biblioteche. Il video premiato è stato realizzato in collaborazione con la Biblioteca Civica multimediale Archimede di Settimo Torinese.
http://www.natiperleggere.it/index.php?id=169
Appuntamento da non perdere:
Roma, Antoniano, 13 ottobre 2011 ore 9.30-13.00
Sessione aperta su sviluppo precoce del bambino (Early Childhood Development)
Programma in http://www.acp.it/
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