LA DISCIPLINA DELL`«AFFILIAZIONE COMMERCIALE

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LA DISCIPLINA DELL`«AFFILIAZIONE COMMERCIALE
LA DISCIPLINA DELL’«AFFILIAZIONE
COMMERCIALE»: DEFINIZIONI E CAMPO
DI APPLICAZIONE
di Ezio Guerinoni
Marketing e vendite >> Marketing e management
LA LEGGE N. 129/04
Il testo di legge si compone di nove articoli e le linee di fondo della disciplina possono essere
così riassunte:
i)
ii)
iii)
iv)
v)
vi)
vii)
viii)
l’articolato normativo si apre con una serie di definizioni, fra le quali primeggia –
ovviamente – quella di «contratto di affiliazione commerciale» (artt. 1 e 2);
il legislatore, in secondo luogo, impone per il contratto di affiliazione commerciale la
forma scritta ad substantiam (art. 3);
segue l’imposizione di una durata e di un contenuto minimo del contratto (art. 3);
il testo di legge contempla, poi, una serie di obblighi informativi precontrattuali
(alcuni a forma vincolata) posti a carico, a seconda dei casi, aspirante affiliante e/o
affiliato (art. 4 e 6);
la legge prevede, inoltre, un particolare obbligo di riservatezza a carico dell’affiliato
(art. 5);
con particolare riferimento alle eventuali controversie che possono sorgere, il
legislatore esprime un favor conciliationis (art. 7);
quanto ai rimedi, spicca nel testo di legge la possibilità di chiedere l’annullamento
del contratto nel caso in cui la controparte abbia fornito false informazioni; viene in
ogni caso fatta la possibilità di chiedere il risarcimento del danno (art. 8);
infine, con riguardo ai contratti in corso all’atto dell’entrata in vigore della legge è
previsto un particolare obbligo di «adeguamento» (art. 9).
«AFFILIAZIONE COMMERCIALE» E FRANCHISING: DEFINIZIONI NORMATIVE
Ai sensi dell’art. 1, comma 1, «l’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque
denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base
al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti
di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne,
modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica
e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti
sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi».
Con riguardo a tali definizioni si possono, in estrema sintesi, svolgere alcune brevi
osservazioni.
Innanzitutto, incuriosisce la particolare tecnica legislativa, di accostamento del locuzione
«affiliazione commerciale» al termine, indicato fra parentesi, franchising, sottolineando in
questo modo – nell’ottica del legislatore – la perfetta coincidenza fra le due fattispecie
contrattuali; nell’ottica della legge, quindi, il contratto di «affiliazione commerciale» e quello di
franchising, sono la stessa cosa.
La definizione non presenta particolare aspetti di rilievo e di differenziazione rispetto a quella
socialmente diffusa, evidenziando l’eterogeneità dei diritti di uso che vengono trasferiti in base
all’accordo.
Merita, tuttavia, di essere segnalata l’ultima parte del comma 1, ove previsto che a seguito
della conclusione del contratto di affiliazione commerciale e del trasferimento dei diritti oggetto
del contratto stesso, l’affiliato viene inserito in «un sistema costituito da una pluralità di
affiliati distribuiti sul territorio».
In realtà, la previsione normativa è quanto meno ambigua e potrebbe produrre incertezze in
ordine all’esatta individuazione delle obbligazioni a carico dell’affiliante.
Infatti, si tratta di capire che cosa si debba intendere per «sistema» in cui l’affiliato dovrebbe
essere inserito posto che in base alla lettera della legge questi dovrebbe sostanziarsi
essenzialmente in una «pluralità di affiliati distribuiti sul territorio»; ora, sembrerebbe che –
nell’ottica del legislatore – ai fini dell’individuazione di questo «sistema», rilevi il mero aspetto
quantitativo in ottica spaziale (ossia della «pluralità di affiliati» «distribuiti sul territorio»); non
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si comprende, tuttavia, di quanti affiliati minimi dovrebbe essere costituito questo «sistema» e,
soprattutto, in quale rapporto, se si possa ragionare in termine di rapporto, si dovrebbe
trovare il numero di affiliati in relazione al territorio considerato.
Non solo. Resta il dubbio se il «sistema» possa essere valutato solo in base a un dato
meramente quantitativo ovvero debba essere considerato in un’ottica qualitativa, ossia come
rete di commercializzazione che presenta certe caratteristiche di organizzazione in senso lato;
ovviamente, con riguardo a questo aspetto, si dovrebbe capire come possa essere valutata in
quest’ottica la sussistenza del «sistema» a cui il legislatore fa riferimento.
Altra questione, sempre relativa alla nozione di «sistema» attiene all’ipotesi in cui l’affiliante
ponga in essere i primi atti (contratti di affiliazione) finalizzati alla creazione di una rete
commerciale. In questo caso è ammissibile che, successivamente, uno dei primi affiliati,
deducendo, da un lato, il mancato decollo della propria attività imprenditoriale, e dall’altro il
mancato sviluppo della rete commerciale dell’affiliante, possa convenire in giudizio l’affiliante
per lamentarsi del cattivo affare e chiedere, quindi, la risoluzione del contratto e il
risarcimento dei danni?
L’art. 1, con l’inciso «comunque denominato», permette di interpretare la definizione
contrattuale «franchising» estensivamente, al fine di evitare ridenominazioni truffaldine volte a
sottrarre il negozio in questione alla disciplina della legge n. 129.
Pare in ogni caso che si debbano individuare come elementi essenziali, per poter
ricomprendere il contratto nella categoria dell’affiliazione commerciale, due elementi entrambi
centrali: l’indipendenza economica e giuridica degli stipulanti e la licenza di impiego di diritti di
proprietà intellettuale e industriale.
Con riguardo al primo elemento parrebbe necessario che tra i due soggetti non intercorra un
rapporto di lavoro subordinato, potendosi infatti applicare la disciplina del lavoro, che prevede
una tutela nettamente più forte di quella della legge in oggetto.
La concessione della licenza, secondo elemento in questione, consente la collocazione del
franchesee in un sistema composto da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio; tale
concessione è stata pensata in linea con il principio di trasparenza tutelato dalla disciplina della
legge 129, per prevenire pattuizioni che conducano ad un sistema inesistente o in via di
sperimentazione.
Si deve ricordare, al riguardo, che per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale
l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale.
La previsione normativa è, da un lato, particolarmente interessante; dall’altro, tuttavia, rischia
di creare situazioni di incertezza e ambiguità. Si possono, a riguardo, richiamare – almeno in
parte – le osservazioni già svolte con riguardo alla definizione di «sistema costituito da una
pluralità di affiliati distribuiti sul territorio»; in altri termini: non è affatto chiaro in cosa
consiste il «dovere» dell’affiliante di «aver sperimentato sul mercato la propria formula
commerciale» in particolare:
a) non si capisce in cosa consista la «sperimentazione»;
b) non si capisce in che cosa consiste la «formula commerciale»;
c) infine, non si capisce con quali criteri quantitativi e qualitativi vada individuato il
«mercato». E’ appena il caso di rilevare che tutte queste ambiguità costituiscono
altrettanti elementi che possono favorire il contenzioso fra affiliante e affiliato atteso
che dal testo di legge, in base a queste espressioni, non è dato con esattezza
comprendere quale sia lo specifico contenuto dell’obbligo dell’affiliante nei confronti
dell’affiliato.
L’art. 4, comma 1, lett. d), inoltre, stabilisce per l’affiliante l’obbligo di comunicare lo stato
effettivo della propria rete commerciale, obbligo da adempiersi tramite la trasmissione di un
elenco completo degli altri affiliati attivi sul mercato.
Quanto alle parti del contratto di affiliazione commerciale, la legge si riferisce a «due soggetti
giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti». Al di la della inutile precisazione
portata dall’aggettivo «giuridici» posposto al sostantivo «soggetti», atteso che – ovviamente –
nell’ottica della legge nell’attribuzione di soggetto di diritto è implicita la sua qualificazione in
termini di giuridicità, rileva la caratterizzazione di tali soggetti che, nella loro interrelazione,
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devono essere – impone il legislatore – «economicamente e giuridicamente indipendenti». La
locuzione è indubbiamente ambigua: come si valuta, infatti, l’«indipendenza» (economica o
giuridica)?
Il contratto di affiliazione commerciale può essere utilizzato in ogni settore di attività
economica (art. 1, comma 2).
Con riguardo a tale previsione sembra sufficiente rilevare che, in ogni caso, ogni affiliato è
imprenditore autonomo e che, quindi, deve essere munito di tutte le autorizzazioni e licenze
necessarie per lo svolgimento dell’attività commerciale oggetto della rete. D’altra parte, nella
stessa definizione di contratto di affiliazione commerciale, l’oggetto del diritto di uso è
costituito da «un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi,
denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how,
brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale» e non, quindi, da autorizzazioni o
licenze.
Particolarmente delicata è, ovviamente, la questione relativa alla possibilità di costituire una
rete di franchising con riguardo ad attività bancarie e finanziarie, attesa la particolare
normativa e il sistema di controlli amministrativi a cui sono sottoposti i soggetti che esercitano
tali attività.
IL PACKAGE
Concedendo la licenza, il franchisor cede contestualmente ciò che viene definito package,
ovvero il «bagaglio» di tutti gli elementi necessari per l’effettivo inserimento nel sistema
franchising.
Sempre secondo l’art. 1 della legge 129 questi elementi si compongono di «un insieme di diritti
di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne,
modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica
e commerciale».
Nonostante il dettato legislativo elenchi minuziosamente quali siano le componenti del
package, autorevole dottrina si domanda se ognuna di queste debba essere fattivamente
presente oppure, se mancando uno o più elementi indicati, il «bagaglio» possa comunque
considerarsi tale.
Sembra in effetti che alcuni dei fattori indicati dal legislatore abbiano una rilevanza maggiore
rispetto ad altri anche se, per esempio, esistono alcuni contratti nei quali il know how,
elemento generalmente considerato di primaria importanza, può venire a mancare oppure
essere un elemento secondario, ricoprendo il marchio il ruolo di primaria importanza.
La definizione data nell’art. 1, comma 3, lett. a) parla di «patrimonio di conoscenze pratiche
non brevettate derivate da esperienze e da prove pratiche eseguite dall’affiliante».
Viene sostanzialmente vietata «l’improvvisazione» dal momento che elemento essenziale
perché possa parlarsi di know how (e quindi più in generale di affiliazione commerciale),
consiste nell’esperienza maturata sul campo dal franchisor. Dal momento che il rischio di
un’attività non collaudata è interamente in capo al franchesee, non sarà possibile configurare
come franchising un contratto che abbia il fine precipuo del mero lancio di un prodotto.
Potrebbe addirittura in questo caso, profilarsi l’ipotesi di nullità.
IL KNOW HOW
Per know-how si intende – ai sensi della legge n. 129/04 – un patrimonio di conoscenze
pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante,
patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato.
Per quanto concerne il requisito della segretezza il testo impone che il know how non sia
generalmente noto né facilmente accessibile, previsione che conferma come il franchising non
possa consistere solo della già citata improvvisazione o solo di una mera licenza per lo
sfruttamento di un marchio.
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L’elemento della sostanzialità, secondo la maggior parte della dottrina, si concretizza come
obbligo per l’affiliato di intraprendere l’attività con il marchio altrui avendo a disposizione
effettivamente il know how dell’imprenditore affiliante.
Il terzo e ultimo requisito, l’individuatezza, consiste nel fatto che il know how debba essere
descritto in maniera esauriente, in modo da permettere di verificarne la rispondenza ai criteri
di segretezza e sostanzialità.
L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA LEGGE N. 129/04
L’art. 2 della legge n. 129/02 stabilisce che le disposizioni attinenti al contratto di franchising
(come individuato all’art. 1), si applicano anche a due sottotipi del genus dell’affiliazione
commerciale. Il riferimento è a quelle tipologie di contratto note come master franchising e
corner franchising.
Ai sensi dell’art. 2 (rubricato «ambito di applicazione della legge»), infatti, le disposizioni
relative al contratto di affiliazione commerciale, come definito all’art. 1, si applicano anche al
contratto di affiliazione commerciale principale con il quale un’impresa concede all’altra,
giuridicamente ed economicamente indipendente dalla prima, dietro corrispettivo, diretto o
indiretto, il diritto di sfruttare un’affiliazione commerciale allo scopo di stipulare accordi di
affiliazione commerciale con terzi, nonché al contratto con il quale l’affiliato, in un’area di sua
disponibilità, allestisce uno spazio dedicato esclusivamente allo svolgimento dell’attività
commerciale di cui al comma 1 dell’art. 1.
IL MASTER FRANCHISING
Il Master Franchising è una figura giuridica che rappresenta una delle opzioni a disposizioni di
un imprenditore che voglia realizzare un multi-franchising.
Di quest'ultimo si può parlare nel momento in cui l'affiliato apre più punti vendita sotto
l'insegna di un unico affiliante; in questo modo l'affiliante affida ai suoi stessi primi affiliati il
compito di reclutare ulteriori nuovi affiliati.
Egli può utilizzare gli strumenti dell'area development, dell'area representation e appunto, del
master franchising.
La definizione utilizzata dal Legislatore con riguardo al Master Franchising richiama l'art. 1.3,
lett. c) del regolamento comunitario n. 4087, il quale parla di «accordo tra due imprese, in
base al quale una, l'affiliante, concede ad un'altra, l'affiliato principale, dietro corrispettivo
finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising allo scopo di stipulare accordi
di franchising con terzi, gli affiliati».
In pratica l'affiliato principale, che prende il nome di master franchisee (ovvero, cambiando
ottica, di sub-franchisor), agisce nel ruolo di affiliante per una determinata area geografica.
Ciò comporta che all'interno della rete di sua competenza dovrà provvedere esso stesso a
trasferire il know how agli affiliati.
Inoltre sarà sempre compito del master franchisee prestare la necessaria assistenza ai soggetti
affiliati rientranti nell'area territoriale di sua spettanza, come suo compito sarà anche quello di
incassare l'entry fee (quando prevista) e le royalties periodiche corrisposte.
Nel rapporto con i soggetti deboli (i sub affiliati) è il master franchisee stesso che si trova in
una posizione di superiorità, e dunque gli obblighi di informazione precontrattuali faranno capo
a lui, a vantaggio degli affiliati.
Il Master Franchising è uno strumento giuridico utilizzabile anche in un territorio unitario, nel
momento in cui il franchisor non voglia o non sia in grado di selezionare e servire tutti gli
affiliati di un dato territorio, ma diviene mezzo pressochè ineludibile nel momento in cui
l'affiliante voglia affacciarsi su mercati esteri, di cui non conosca regole e tendenze; infatti
«questo fenomeno è definito anche franchising internazionale proprio perchè è senza dubbio
più frequente nei rapporti internazionali, corrispondendo all'esigenza del franchisor di
espandere, senza sopportare i relativi rischi imprenditoriali, la distribuzione dei prodotti o
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servizi anche in mercati esteri in cui è scarsa la penetrazione commerciale della propria
impresa, affidando tale compito ad un sub-franchisor che si propone come migliore conoscitore
del territorio».
Si articola così un contratto posto su due livelli:
i)
ii)
da un lato, un unico contratto internazionale di franchising, tra franchisor e master
franchisee, per mezzo del quale quest'ultimo ottiene il diritto, solitamente esclusivo
e riguardante il territorio di un intero Stato estero, di stipulare a proprio nome
subcontratti di franchising con affiliati locali;
dall'altro, una molteplicità di contratti nazionali di franchising stipulati tra il master
franchisee e i subaffiliati.
Nonostante i chiari benefici che il franchisor può trarre dall'utilizzo di questo strumento, su di
esso ricadono anche dei rischi, infatti, se, da un lato, il master franchising permette l'ingresso
in mercati altrimenti preclusi, dall'altro il franchisor deve accettare, ricorrendo a questa
tipologia contrattuale, una sensibile riduzione dei propri introiti e una netta riduzione del
controllo sui punti periferici della rete (Marrone). Non solo. Vi è inoltre l'ulteriore rischio che il
master franchisee passi alla concorrenza, sottraendo al franchisor tutta la rete.
IL CORNER FRANCHISING
Il Corner Franchising (o franchising parziale) è individuabile «ove l'affiliante concede la
possibilità ad un franchisee di creare nel proprio esercizio di vendita una spazio autonomo dove
distribuire i prodotti o i servizi del franchisor, offrendo in pratica la possibilità di dar vita ad un
negozio nel negozio, uno spazio privilegiato e riservato all'esposizione e vendita dei prodotti e
servizi del franchisor».
Il fenomeno è particolarmente diffuso nelle grandi superfici distributive, quali centri
commerciali e ipermercati. In questo caso il titolare del centro o dell'ipermercato potrà esso
stesso essere interessato a diversificare ed ampliare la propria offerta, mediante la presenza di
marche e prodotti famosi, ovvero potrà lasciare all'interno della propria area commerciale degli
spazi per singoli imprenditori, i quali poi stipuleranno dei contratti di franchising con i titolari
delle marche famose.
L'affiliato, inoltre, dovrà esporre e vendere i prodotti dell'affiliante secondo i metodi operativi e
l'immagine di quest'ultimo. Infatti, peculiarità di questa fattispecie è la previsione di elementi
decorativi interni ed esterni al punto vendita, che dovranno differenziare il corner da tutte le
aree di vendita limitrofe, al fine di rendere individuabile l'affiliante.
L'assortimento dei prodotti dovrà essere adattato al tipo di clientela e potrà, dunque, differire
da quello di un ordinario franchising.
Altra caratteristica di questa fattispecie contrattuale rispetto al modello «base» di franchising
è, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato dal titolare dell'ipermercato, l'assenza di
esclusiva: il titolare non si precluderà mai la vendita di altri prodotti.
L’APPLICABILITÀ DELLA DISCIPLINA
Prima facie parrebbe che l’art. 2 consenta l’applicazione della disciplina della legge n. 129/04
esclusivamente alle due categorie appena citate, escludendo dall’ambito di applicazione della
normativa numerose fattispecie similari.
Ad un esame più approfondito, tuttavia, questa lettura non appare convincente e ragionevole;
da un lato, infatti, in base alla lettera della norma (il riferimento è all’inciso «si applicano
anche») sembra possibile prevederne la possibilità di applicazione anche a fattispecie non
espressamente individuate dalla norma medesima; dall’altro, l’interpretazione estensiva
dell’art. 2, si giustifica principalmente sulla finalità perseguita dal legislatore ossia la tutela
del franchesee, parte debole: in base a queste finalità, quindi, non si vede per quale ragione
il legislatore dovrebbe escludere la tutela nei confronti di soggetti egualmente deboli in
fattispecie analoghe comunque riconducibili al tipo franchising.
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Diverso discorso deve farsi, invece, per quei rapporti di distribuzione che si situano nella zona
di confine tra franchising e contratti similari.
Il legislatore infatti, delimitando in modo restrittivo l'ambito di applicazione della nuova legge,
ha portato la sua tutela solo a forme di franchising maggiormente tipizzate.
Ha dunque escluso l'applicabilità della disciplina in esame a contratti che, seppur riconducibili a
una nozione economico sociale estesa di franchising, sono in realtà, da un punto di vista
tipologico, più vicini ad altri contratti di distribuzione che al franchising stesso; egli avrebbe
altrimenti dovuto estendere la definizione di tipo contrattuale franchising anche a tutti quei
contratti di vendita che comportino una dipendenza particolarmente elevata del distributore.
Un’ultima osservazione. Quando si dovrà applicare la disciplina di legge a figure che, tanto o
poco, si differenzino dal paradigma di riferimento previsto dall’art. 1, come nel caso del Master
Franchising o del corner franchising, l’applicazione delle norme della legge in esame dovrà
avvenire «in quanto compatibili».
Ciò poiché alcune di esse sono configurabili solo per la figura di un semplice affiliato e dunque
inappropriate in un modello che preveda un Master franchesee.
E’ il caso della previsione dell’inserimento dell’affiliato nella rete dell’affiliante.
Altre norme sono invece appropriate solo per contratti di affiliazione commerciale «base».
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GLOSSARIO
Forma scritta ad substantiam
Un contratto può essere stipulato in forma libera o in forma scritta. In particolare, la forma
scritta può assumere la veste di solennità. Quando il legislatore impone per un atto il
rispetto della forma scritta a pena di nullità, si è in presenza di una forma ad substantiam.
Entry fee
Espressione inglese che significa “Contributo o quota d'ingresso”. Agli affiliati in
franchising potrebbe essere richiesto una quota o contributo per diventare franchesee in
un determinato ambito territoriale.
.
Documento reperibile, assieme ad altre monografie, nella sezione Dossier del sito http://www.sanpaoloimprese.com/
Documento pubblicato su licenza di WKI - Ipsoa Editore
Fonte: PMI
Il mensile della piccola e media impresa, Ipsoa Editore
Copyright: WKI - Ipsoa Editore
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