Giurisprudenza di merito 7-8_2011

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Giurisprudenza di merito 7-8_2011
GI U R ISPRU DE NZ A
DI M E R I TO
direttore scientifico Ciro Riviezzo
07/08-2011
X L I I I — l u g l i o / a g o s t o 2 0 11 , n ° 0 7/ 0 8
| e s t rat t o
RIMBORSO DEL PRESTITO
OBBLIGAZIONARIO E CONFLITTO
FRA OBBLIGAZIONISTI
commento di Valerio Sangiovanni
giurisprudenza civile
OSSERVATORIO SUL DIRITTO SOCIETARIO
251
S.P.A.
2 5 1 SULLA NECESSITÀ DI NOMINA DEL RAPPRESENTANTE
COMUNE DEGLI OBBLIGAZIONISTI
TRIBUNALE DI MANTOVA - 15 NOVEMBRE 2010 (ORD.) - G.U. DE SIMONE L.A. C. RAPPRESENTANTE COMUNE
DEGLI OBBLIGAZIONISTI DI C. S.P.A. E C. S.P.A.
Società di capitali - Società per azioni - In genere - Obbligazioni - Assemblea degli obbligazionisti - Nomina del rappresentante comune degli obbligazionisti - Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti
(c.c., artt. 2415, 2416, 2417, 2418, 2377, 2379)
La nomina del rappresentante comune degli obbligazionisti non è prevista dall’art. 2417 c.c. come
indispensabile per il funzionamento dell’assemblea degli obbligazionisti, ma è rimessa alla discrezionalità degli obbligazionisti, che possono nominarlo in qualsiasi momento o chiederne la nomina al
presidente del tribunale. L’assenza del rappresentante comune non comporta necessariamente una non
adeguata informativa dell’assemblea degli obbligazionisti e un’insufficiente tutela dell’interesse comune
degli obbligazionisti, in quanto l’informativa può essere esercitata comunque direttamente dagli
obbligazionisti medesimi.
(Omissis).
rilevato che con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., depositato il 12 aprile 2010, L. A.,
assumendo di essere obbligazionista di C. s.p.a., titolare del 20% delle obbligazioni emesse, ha
impugnato la delibera dell’assemblea degli obbligazionisti del 26 gennaio 2010 con cui era approvata la proroga della scadenza del prestito obbligazionario convertibile originariamente prevista
per il 31 gennaio 2010 di tre anni, chiedendo che fosse accertata invalidità, nullità, inefficacia della
medesima e comunque pronunciata l’annullabilità della stessa, assumendo: 1) che la mancata
nomina del rappresentante comune aveva impedito agli obbligazionisti di essere adeguatamente
informati e di valutare con ragionevole anticipo le ragioni della proroga della scadenza del prestito, atteso che in generale l’interesse comune degli obbligazionisti non poteva essere sacrificato
nell’interesse della società emittente; 2) che agli obbligazionisti non era stata offerta comunicazione di un contenzioso pendente con richiesta risarcitoria per euro 200.000 e domanda di revoca
dell’atto di scissione operato il 14 dicembre 2004 tra C. e C. s.p.a. e C. s.p.a.;
considerato che il rappresentante comune degli obbligazionisti di C. s.p.a., all’uopo nominato
con decreto del presidente del Tribunale ex art. 2417 c.c., nonché la società C. s.p.a. si sono
costituiti in giudizio insistendo per il rigetto delle domande proposte;
ritenuto preliminarmente che la controversia proposta rientri tra quelle previste dall’art.
702-bis c.p.c. in quanto da valutarsi di competenza del tribunale in composizione monocratica;
osservato, sul punto, che l’art. 2416 c.c., nel disciplinare le impugnazioni delle deliberazioni
dell’assemblea degli obbligazionisti, richiama gli artt. 2377 e 2378 c.c. quanto al procedimento, ai
termini e agli effetti, ma il riferimento normativo non comporta la riserva di collegialità, prevista
dall’art. 50-bis n. 5 c.p.c. unicamente per le cause di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea e del consiglio di amministrazione nonché nelle cause di responsabilità contro gli amministratori e gli organi di controllo, essendo stato soppresso il richiamo «ad ogni altra controversia
avente per oggetto rapporti sociali nella società» previsto precedentemente dall’art. 48 comma 2,
n. 7, l. n. 12 del 1941 e dovendo ritenersi la norma attuale di stretta applicazione;
ritenuto che la causa sia idonea ad una cognizione sommaria trattandosi di controversia di
mero diritto che non necessita di attività istruttoria;
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considerato, con riguardo alla prima doglianza mossa, che la nomina del rappresentante
comune degli obbligazionisti non è prevista dall’art. 2417 c.c. come indispensabile per il funzionamento dell’assemblea ma è rimessa alla discrezionalità degli obbligazionisti stessi, che possono
nominarlo in qualsiasi momento o chiederne la nomina al presidente del tribunale (in questo
senso Trib. Monza 13 giugno 1997, in Società, 1998, 175 ss.; App. Milano 17 novembre 1998, in
Società, 1999, 194 ss.);
osservato che l’assenza del rappresentante comune non comporta necessariamente una non
adeguata informativa dell’assemblea e una insufficiente tutela dell’interesse comune degli obbligazionisti, che ben può essere esercitata comunque direttamente dagli obbligazionisti medesimi;
considerato che tra le competenze dell’assemblea è espressamente disciplinata la delibera
sulle modificazioni delle condizioni del prestito, e la proroga del prestito obbligazionario senz’altro
rientra nella previsione dell’art. 2415, n. 2, c.c., non indicando la disposizione normativa particolari
limiti di contenuto alle possibili modificazioni delle condizioni del prestito e non integrando la
proroga di tre anni del rimborso una variazione tale da incidere sulla struttura stessa del rapporto;
rilevato che la disposizione citata consente alla maggioranza qualificata degli obbligazionisti
di approvare le modificazioni del prestito in quanto questo può corrispondere all’interesse stesso
della collettività degli obbligazionisti;
ritenuto che il sacrificio imposto agli obbligazionisti mediante il differimento del prestito
obbligazionario, nella specie, possa ritenersi rispondente non solo ad un interesse della società ma
anche ad un interesse comune degli obbligazionisti stessi, chiamati a valutare l’impatto dell’imminente rimborso del prestito sull’andamento della società in mutata situazione economica rispetto all’epoca in cui era stato emesso il prestito obbligazionario (10 ottobre 2000);
osservato che gli obbligazionisti sono stati posti nella condizioni di valutare adeguatamente i
propri interessi atteso che l’andamento della società è stato rappresentato agli obbligazionisti nel
verbale del consiglio di amministrazione del 10 dicembre 2009, oralmente in seno all’assemblea
del 26 gennaio 2010 dal presidente del consiglio di amministrazione e comunque era conosciuto o
conoscibile da tutti, preso atto della non contestata perfetta identità tra i soci e gli obbligazionisti
della società C. s.p.a., che quindi consentiva a tutti di accedere alle informazioni relative alla
gestione sociale e all’andamento aziendale;
considerato che la legge non vieta agli azionisti che siano anche obbligazionisti di partecipare
alle delibere dell’assemblea degli obbligazionisti, imponendo tale divieto solo alla società per le
obbligazioni da essa eventualmente possedute (art. 2415 comma 4 c.c.);
ritenuto infine che l’assenza di informativa fornita agli obbligazionisti con riguardo al contenzioso pendente tra la C. s.p.a. e la società S. C. s.p.a. non abbia assunto rilevanza ai fini di una
valutazione obiettiva della situazione economica della società, atteso che gli importi di cui si
discute in quella sede non possono ritenersi significativi con riferimento alle dimensioni di C.
s.p.a.;
valutato pertanto che nessuna delle ragioni di impugnativa può ritenersi fondata non risultando la delibera adottata affetta da nullità né adottata in violazione di legge;
P. Q. M. - visti gli art. 702-bis ss. c.c.,
rigetta il ricorso.
(Omissis).
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RIMBORSO DEL PRESTITO OBBLIGAZIONARIO
E CONFLITTO FRA OBBLIGAZIONISTI
Il Tribunale di Mantova si occupa del possibile conflitto, emerso in sede di assemblea degli
obbligazionisti, fra gli obbligazionisti che vogliono il rimborso del prestito alla scadenza originariamente prevista e quelli che intendono invece prorogarlo. La fattispecie trattata dal Tribunale
mantovano evidenzia tutta la rilevanza del contrasto fra due gruppi di soggetti portatori di
interessi contrastanti: gli uni desiderosi di rientrare immediatamente nella disponibilità dei fondi
dati alla società, gli altri preoccupati di assicurare la continuazione dell’attività sociale. La soluzione del Tribunale di Mantova è in favore degli obbligazionisti di maggioranza e dell’interesse
sociale, non essendosi realizzata — nell’iter decisionale degli obbligazionisti — alcuna violazione
di legge e dovendo dunque prevalere il principio maggioritario.
Sommario 1. L’emissione di obbligazioni societarie e gli articolati interessi in gioco. — 2. L’assemblea degli obbligazionisti e la proroga del prestito. — 3. La possibile impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti. — 4. L’irrilevanza della mancata nomina del rappresentante comune degli obbligazionisti. — 5. L’informazione degli obbligazionisti.
1. L’EMISSIONE DI OBBLIGAZIONI SOCIETARIE E GLI ARTICOLATI INTERESSI IN GIOCO
I fatti di causa possono essere riassunti come segue. Nel lontano anno 2000 (1), una
s.p.a. emette un prestito obbligazionario (2). Il prestito dovrebbe essere restituito il 31
gennaio 2010. Tuttavia l’assemblea degli obbligazionisti delibera una proroga di tale
prestito. Uno degli obbligazionisti, non essendo d’accordo con tale decisione, impugna
la deliberazione dell’assemblea. Il Tribunale di Mantova non ritiene tuttavia fondati i
motivi per cui è stata proposta l’impugnazione e rigetta il ricorso.
Al fine di comprendere appieno la vicenda affrontata dal Tribunale di Mantova è
utile premettere qualche cenno sulla finalità dell’emissione di obbligazioni: il finanziamento della s.p.a. Una volta che è costituita, la società può essere patrimonializzata
direttamente dai soci, essenzialmente mediante due meccanismi: i conferimenti in
sede di aumento di capitale oppure i finanziamenti (3). Può tuttavia capitare che i soci
(1)
Si noti che, pur essendo nel caso di specie
l’emissione anteriore alla novella del diritto societario del 2003, le nuove disposizioni di riforma del codice civile sulla materia delle obbligazioni trovano
applicazione — per ampia parte — con efficacia retroattiva, e dunque anche a tale prestito. Ai sensi
difatti dell’art. 223-decies disp. att. c.c. «gli articoli da
2415 a 2420 c.c. si applicano anche alle obbligazioni
emesse anteriormente al 1º gennaio 2004».
(2)
In tema di obbligazioni societarie cfr. BRUNO e
LA SALA, Dall’obbligazione plain vanilla all’obbligazione strutturata, in Società, 2009, 689 ss.; CAMPOBASSO, Diritto commerciale. 2. Diritto delle società, 7ª
ed., Torino, 2009, 522 ss.; DENTAMARO, Le obbligazio-
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di
Valerio
Sangiovanni
—
Avvocato in Milano e
Rechtsanwalt in
Francoforte sul Meno
ni, in Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino,
Bologna, 2009, 249 ss.; FERRO-LUZZI, Il limite all’emissione di obbligazioni (art. 11 comma 1, lett. a,
l. n. 262 del 2005), in Riv. soc., 2007, 252 ss.; RIZZINI
BISINELLI, Inesistenza della delibera dell’assemblea
degli obbligazionisti, in Società, 2007, 45 ss.; SANGIOVANNI, Emissioni di obbligazioni e scandali finanziari fra diritto internazionale privato e diritto comunitario, in Società, 2007, 547 ss.; SARALE e RIVARO, Le
obbligazioni, in Le nuove s.p.a., diretto da Cagnasso
e Panzani, Bologna, 2010, 497 ss.
(3)
Vi è poi anche la possibilità che «la società, a
seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche
di opera o servizi, emetta strumenti finanziari forniti
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non vogliano (oppure non possano) patrimonializzare la società con mezzi propri e
preferiscano (oppure debbano) rivolgersi all’esterno. I finanziamenti esterni possono
giungere dal sistema bancario, mediante un contratto di finanziamento, oppure da altri
soggetti, a fronte dell’emissione di obbligazioni.
La legge circonda l’emissione di obbligazioni di alcune garanzie, a tutela degli
interessi dei vari soggetti coinvolti. E, in effetti, gli interessi in gioco ogni qual volta si
procede a un’emissione obbligazionaria non sono pochi: direi che si può distinguere fra
gli interessi di: 1) società; 2) soci; 3) creditori e 4) obbligazionisti.
Da un primo punto di vista, vi è da tutelare l’interesse della società nel contesto
dell’emissione di obbligazioni. Tale interesse consiste nella necessità di reperire una
fonte di finanziamento, per la gestione delle proprie attività e per la migliore realizzazione dell’oggetto sociale. Al riguardo è chiaro che un ruolo centrale è svolto dalla
durata del prestito. L’emissione obbligazionaria viene decisa originariamente sulla
base di un piano industriale che prevede investimenti, finalizzati — in ultima istanza —
ad accrescere la redditività della società. A seconda dei casi, il prestito avrà una minore
o maggiore durata; talvolta gli obbligazionisti sono vincolati per un lungo periodo di
tempo al finanziamento, con impossibilità di chiedere la restituzione anticipata di
quanto dato in prestito.
Vi è poi il caso, più grave e di cui si occupa espressamente il Tribunale di Mantova
nell’ordinanza in commento, della necessità di prorogare il termine di scadenza del
prestito obbligazionario. In pendenza del prestito il piano industriale originariamente
previsto può subire degli aggiustamenti oppure si possono verificare comunque altre
situazioni, anche del tutto indipendenti dalla volontà della società e dei soci, che
rendono necessario mantenere in forza il prestito per un periodo aggiuntivo. Si tratta di
una situazione foriera di conflitti fra la società e la collettività degli obbligazionisti, nel
senso che questi ultimi (o almeno alcuni di essi) possono aspirare a una restituzione del
prestito alla scadenza originariamente pattuita, mentre la decisione di proroga potrebbe pregiudicare la realizzazione del piano industriale, se non addirittura — nei casi più
gravi — portare all’insolvenza.
Sotto un secondo profilo, l’emissione obbligazionaria deve inoltre tenere conto
dell’interesse dei soci. Questo interesse è, per così dire, indiretto (è un riflesso dell’interesse diretto della società), nel senso che gli azionisti traggono benefici dall’emissione obbligazionaria nella misura in cui la società riesce — almeno nel medio-lungo
periodo — a incrementare la propria redditività. Gli utili, così sperabilmente conseguiti
(ridotti ovviamente, dal punto di vista economico, dal fatto di dover sopportare quei
costi costituiti dagli interessi da riconoscersi agli obbligazionisti a fronte dell’emissione
obbligazionaria), possono essere distribuiti ai soci come dividendi e garantiscono loro
quel ritorno sull’investimento che giustifica l’indebitamento della società mediante
l’emissione di obbligazioni.
In una terza prospettiva, bisogna poi porre attenzione agli interessi dei creditori.
Questi interessi sono quelli probabilmente più a rischio nel contesto di un’emissione
obbligazionaria. L’emissione di obbligazioni significa aggiungere ai creditori sociali
di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi» (art. 2346 comma 6 c.c.).
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nuovi creditori per un diverso titolo. L’indebitamente complessivo della società aumenta e, in tal modo, si accresce il rischio d’inadempimento. La posizione dei creditori
è particolarmente debole in quanto soggetti estranei alla società: essi non sono né
amministratori della società, con potere di gestione diretta della medesima, né soci che
— pur non avendo potere di gestione diretta — quantomeno possono controllare
l’attività degli amministratori.
Sotto un quarto e ultimo profilo, la disciplina delle obbligazioni societarie deve
infine tenere conto degli interessi degli obbligazionisti. Questi mirano a ottenere il
rendimento che il prestito obbligazionario promette, ma corrono il rischio legato a
possibili difficoltà finanziarie della società, le quali potrebbero pregiudicare non solo la
corresponsione degli interessi, ma addirittura — nei casi più gravi — la restituzione del
capitale. Con riferimento alla possibile proroga del prestito obbligazionario, il conflitto
fra società e obbligazionisti si acuisce: se è vero che la prima ha necessità di trattenere
più a lungo le risorse che erano state originariamente prestate, può capitare che gli
obbligazionisti — dal canto loro — non possano attendere più oltre, avendo necessità di
ottenere la pronta restituzione. Il conflitto, come nel caso affrontato dal Tribunale di
Mantova, può poi essere interno agli obbligazionisti, nel senso che alcuni sono favorevoli alla proroga, mentre altri vogliono il rispetto delle pattuizioni originali.
Invero, se sono così tanti e articolati gli interessi da tutelarsi nel contesto delle
emissioni obbligazionarie, può apparire abbastanza sorprendente che la competenza a
deliberare l’emissione delle obbligazioni sia rimessa agli amministratori e non ai soci
(art. 2410 comma 1 c.c.). Sono però necessarie due puntualizzazioni. In primo luogo
tale competenza può, dallo statuto, essere riservata ai soci. Una clausola statutaria del
genere è particolarmente sensata nel caso di compagini sociali ristrette, ad esempio a
base familiare, nelle quali i soci — pur affidandosi ad amministratori esterni — desiderano conservare un miglior controllo sulla gestione della società. In secondo luogo
non si deve dimenticare che l’impostazione di fondo dell’attuale diritto delle s.p.a. è
quella di attribuire agli amministratori i più ampi poteri per la gestione della società,
anzi — secondo il dato letterale dell’art. 2380-bis comma 1 c.c. — «la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale». Non deve dunque sorprendere che anche
una decisione così importante come quella di ricorrere a un finanziamento esterno
mediante emissione di obbligazioni sia di competenza degli amministratori (4).
Una garanzia per gli interessi dei soggetti coinvolti nell’emissione obbligazionaria
è data dal fatto che la deliberazione di emissione deve risultare da verbale redatto da
notaio (art. 2410 comma 2 c.c.). L’intervento del notaio assicura il controllo di legalità su
di un’operazione con la quale la società contrae un debito e che, in ipotesi, può essere
rischiosa per la tenuta finanziaria della medesima.
Inoltre la legge prevede dei limiti quantitativi all’emissione di obbligazioni (art.
2412 c.c.). Tali limiti sono finalizzati a evitare un’eccessiva esposizione debitoria della
(4)
La procedura di emissione e di successiva sottoscrizione delle obbligazioni dà vita a un rapporto
contrattuale. La proposta consiste nella deliberazione degli amministratori, che viene portata a conoscenza dei potenziali obbligazionisti, mentre l’accet-
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tazione consiste nella sottoscrizione da parte degli
obbligazionisti di tale proposta. Gli obbligazionisti
assumono il ruolo di mutuante, mentre la società di
mutuataria.
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società, che potrebbe in ipotesi non essere più in grado di sostenere il debito contratto
— in aggiunta a tutti gli altri debiti che fanno capo alla società — e giungere all’insolvenza (5).
Il contenuto dei titoli obbligazionari è delineato nell’art. 2414 c.c. Ai fini che qui
interessano è utile rilevare che i titoli obbligazionari devono indicare anche la data di
rimborso del prestito (art. 2414, n. 6, c.c.). Tale indicazione è fondamentale, in quanto
la rischiosità del prestito tende a innalzarsi più la sua durata è lunga. Ciò è dovuto al
fatto che il futuro andamento della società non può essere predetto con esattezza e
facilità al momento dell’emissione delle obbligazioni. Vincolarsi per lungo tempo rende l’investimento particolarmente aleatorio, a maggior ragione se — come avviene per
le obbligazioni non quotate — non esiste un mercato che consenta di venderle a terzi.
L’obbligazionista che presta danaro alla società viene premiato, alle scadenze pattuite,
mediante il riconoscimento di un saggio d’interesse. Il sottoscrittore delle obbligazioni
mira però, alla fine del prestito, anche a ottenere la restituzione del danaro prestato.
Quando la durata del prestito è particolarmente lunga, aumenta il pericolo che circostanze sopravvenute possano rendere difficoltosa la restituzione. Di qui la necessità di
conoscere fin dall’inizio la durata del prestito, quale elemento centrale del rischio che
l’obbligazionista accetta di assumere.
La durata del prestito obbligazionario viene fissata al momento dell’emissione
delle obbligazioni. Può però capitare che sorgano esigenze per le quali la società
ritenga di dover prorogare il termine per il rimborso. Tale situazione può creare un
conflitto fra la società e gli obbligazionisti (o alcuni degli obbligazionisti). Può difatti
capitare che qualche obbligazionista, diversamente dalla società (e diversamente da
altri obbligazionisti), desideri ottenere la restituzione del capitale nei termini originariamente pattuiti. A fronte di un potenziale conflitto del genere, la decisione in merito
alla eventuale proroga del prestito obbligazionario spetta — come ora vedremo in
dettaglio — all’assemblea degli obbligazionisti, che decide in base al principio maggioritario.
2. L’ASSEMBLEA DEGLI OBBLIGAZIONISTI E LA PROROGA
DEL PRESTITO
I sottoscrittori delle obbligazioni costituiscono una pluralità di persone per le quali la
legge prescrive un’apposita organizzazione. I due elementi di tale organizzazione sono
l’assemblea degli obbligazionisti (organo deliberativo degli obbligazionisti) e il rappre(5)
In materia di obbligazioni societarie nel contesto fallimentare cfr. ABATE, Commento all’art. 58,
in Codice commentato del fallimento, diretto da Lo
Cascio, Milano, 2008, 477 ss.; COPPOLA, Commento
all’art. 58, in La riforma del diritto fallimentare, a
cura di Nigro e Sandulli, I, Torino, 2006, 348 ss.; DAL
CERO, Commento all’art. 58, in Codice del fallimento,
a cura di Bocchiola e Paluchowski, 6ª ed., Milano,
2009, 630 ss.; DI GIROLAMO, Le obbligazioni e gli altri
titoli di debito nel fallimento dell’emittente, con uno
sguardo alla riforma del diritto societario, in Giur.
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comm., 2008, I, 1109 ss.; FERRARI, Commento all’art.
58, in Commentario breve alla legge fallimentare, a
cura di Maffei Alberti, 5ª ed., Padova, 2009, 291 ss.;
GROSSI, Commento all’art. 58, in La riforma della
legge fallimentare, 2ª ed., Milano, 2008, 478 ss.; INZITARI, Commento all’art. 58, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio, I, Bologna, 2006, 826 ss.;
SANGIOVANNI, Obbligazioni e titoli di debito nel fallimento delle società, in Fallimento, 2010, 1229 ss.;
SCHIERA, Commento all’art. 58, in La legge fallimentare, a cura di Ferro, Padova, 2007, 403 ss.
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sentante comune degli obbligazionisti (organo esecutivo e rappresentativo degli obbligazionisti) (6).
Iniziamo a occuparci dell’assemblea degli obbligazionisti. Nel caso affrontato dal
Tribunale di Mantova è stata impugnata proprio una deliberazione di tale organo. Si
deve dunque comprendere quali sono le competenze dell’assemblea degli obbligazionisti e quali sono le regole procedurali che presiedono alla sua attività e verificare se,
per caso, non si sia effettivamente realizzata una qualche violazione di tali competenze
e regole.
Secondo l’art. 2415 comma 1 c.c. l’assemblea degli obbligazionisti delibera «1) sulla
nomina e sulla revoca del rappresentante comune; 2) sulle modificazioni delle condizioni del prestito; 3) sulla proposta di amministrazione controllata e di concordato; 4)
sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e
sul rendiconto relativo; 5) sugli altri oggetti d’interesse comune degli obbligazionisti».
Nel caso di specie l’assemblea ha deliberato con riferimento al n. 2 del comma 1
dell’art. 2415 c.c.: una modifica delle condizioni del prestito. In particolare la deliberazione ha avuto per oggetto una proroga della durata del prestito di tre anni.
Ci si potrebbe chiedere se la dizione «modificazioni delle condizioni del prestito»
comprenda anche la possibilità di prorogare il medesimo. Il Tribunale di Mantova
risponde affermativamente a questa domanda. Del resto mi pare che tale dizione,
proprio già nel suo senso letterale, abbia un ampio significato, dovendosi ragionevolmente intendere con «condizioni del prestito» qualsiasi elemento del rapporto contrattuale che si instaura fra la società e i sottoscrittori delle obbligazioni. Sulla questione
meritano di essere richiamati due interventi giurisprudenziali, fra l’altro citati espressamente dall’ordinanza del Tribunale di Mantova.
Da un lato la Corte di appello di Milano ha affermato che la ratio dell’art. 2415
comma 1, n. 2, c.c. è quella di rendere praticabile l’esigenza di adeguare, nell’interesse
della collettività degli obbligazionisti, le condizioni del prestito all’eventualmente mutata situazione economica della società debitrice (7). L’autorità giudiziaria milanese
afferma dunque che rientra nei poteri dell’assembla degli obbligazionisti deliberare ad
esempio in tema di misura degli interessi e scadenza del prestito. Opportunamente la
Corte di appello di Milano evidenzia che sono modificabili le condizioni del prestito
solo per il futuro, non per il passato.
In modo non dissimile si è espresso il Tribunale di Monza, affermando che l’art.
2415 comma 1, n. 2, c.c. facoltatizza l’organo assembleare degli obbligazionisti a deliberare, a maggioranza, su ogni tipo di modificazione del negozio di finanziamento
obbligazionario in essere senza porre alcun limite espresso a tale potere (8). Anche
l’autorità giudiziaria monzese ritiene che fra i poteri dell’assemblea degli obbligazionisti rientri quello di spostare in avanti il termine di adempimento dell’obbligo di
rimborso e di rinunziare agli interessi. Secondo questa decisione giurisprudenziale
(6)
Sul rappresentante comune degli obbligazionisti cfr. in particolare, di recente, ONZA, Commento
all’art. 2417, in Codice commentato delle società, a
cura di Abriani e Stella Richter, Torino, 2010, 1415
ss.; PREITE, Commento all’art. 2417, in Artt. 23972420-ter. Commentario al codice civile, a cura di
giurisprudenza di merito – n. 7-8 – 2011
Cendon, Milano, 2010, 511 ss.
(7)
App. Milano 17 novembre 1998, in Società,
1999, 194 ss., con nota di Salafia.
(8)
Trib. Monza 13 giugno 1997, in Società, 1998,
175 ss., con nota di Bellini.
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l’interprete può ricavare dall’ordinamento limiti inespressi, ma la loro individuazione
non può che essere ristretta al solo divieto di alterazione dei caratteri strutturali del
prestito.
La tecnica utilizzata dal legislatore, nel disciplinare l’assemblea degli obbligazionisti, è quella di rinviare alle disposizioni in materia di assemblea dei soci, più precisamente: «si applicano all’assemblea degli obbligazionisti le disposizioni relative all’assemblea straordinaria dei soci» (art. 2415 comma 3, periodo 1, c.c.). Secondo la disposizione generale, «l’assemblea straordinaria delibera con il voto favorevole di tanti soci
che rappresentino più della metà del capitale sociale» (art. 2368 comma 2 c.c.). Applicando questa regola all’assemblea degli obbligazionisti, ne consegue che anche in
questa assemblea occorre il voto favorevole di tanti «soci» (nel mutato contesto, più
correttamente: «obbligazionisti») che rappresentino più di metà del debito obbligazionario.
Bisogna inoltre rilevare che la legge fa un’eccezione (9), in riferimento alle maggioranze necessarie per deliberare, proprio per il caso specifico affrontato dal Tribunale
di Mantova, cioè quello delle modificazioni delle condizioni del prestito. In questo
contesto «è necessario anche in seconda convocazione il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentino la metà delle obbligazioni emesse e non estinte» (art. 2415
comma 3, periodo 2, c.c.). L’eccezione si spiega con la gravità delle decisioni che
possono venire assunte da tale assemblea, fra cui — appunto — quella di prorogare il
prestito. In questa maniera (previsione di un quorum deliberativo più elevato) il legislatore intende tutelare in modo aggiuntivo gli obbligazionisti.
Quale che sia la maggioranza prescritta dalla legge, è importante rilevare che
l’assemblea degli obbligazionisti — raggiunta tale maggioranza — assume una deliberazione che in omaggio al principio maggioritario è vincolante per tutti gli obbligazionisti, anche per coloro che si sono espressi in senso contrario.
È proprio in questo contesto che si può verificare un conflitto fra l’interesse della
società (che ha trovato espressione nel voto della maggioranza degli obbligazionisti) e
l’interesse degli obbligazionisti di minoranza. Nel caso di specie, mentre la società ha
deciso di avere bisogno di una continuazione del prestito obbligazionario, un obbligazionista necessita del rimborso del danaro alla scadenza originariamente prevista.
La prevalenza del principio maggioritario nel contesto dell’assemblea degli obbligazionisti trova conferma nell’art. 2419 c.c., che regola le possibili azioni individuali
degli obbligazionisti: è vero che le disposizioni sulle impugnazioni delle deliberazioni
dell’assemblea non precludono le azioni individuali degli obbligazionisti, ma «salvo
che queste siano incompatibili con le deliberazioni dell’assemblea previste dall’articolo 2415». In altre parole, l’obbligazionista che reputi — per qualsivoglia ragione — di
avere subito una violazione dei propri diritti può ricorrere all’autorità giudiziaria, ma
non può farlo per le materie sulle quali l’assemblea ha legittimamente deliberato. Su
queste materie il procedimento di assunzione delle decisioni e d’impugnazione delle
(9)
In forza di questa eccezione, prevista solo per
le deliberazioni di modifica delle condizioni del prestito, non si applica la regola fissata in generale per
l’assemblea straordinaria in seconda convocazione:
«l’assemblea straordinaria è regolarmente costituita
⎪ P. 1 8 6 2
con la partecipazione di oltre un terzo del capitale
sociale e delibera con il voto favorevole di almeno i
due terzi del capitale rappresentato in assemblea»
(art. 2369 comma 3 c.c.).
giurisprudenza di merito – n. 7-8 – 2011
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251
medesime opera su di un altro livello, collettivo e non individuale, essendo — appunto
— in gioco gli interessi della collettività degli obbligazionisti.
Una parola va spesa, infine, relativamente alla partecipazione all’assemblea degli
obbligazionisti e al diritto di voto esercitabile in tale sede (art. 2415 commi 4 e 5 c.c.). I
soggetti che possono partecipare a tale assemblea e deliberare sono ovviamente gli
obbligazionisti. Il fatto che essi siano anche soci, afferma il Tribunale di Mantova, non
può avere per effetto di escluderli dal diritto di voto. L’unico obbligazionista che è
escluso dalla possibilità di partecipare alle deliberazioni è la società, laddove essa
possegga delle obbligazioni (art. 2415 comma 4 c.c.). Chi invece cumula in sé la qualità
di socio e di obbligazionista può partecipare alle assemblee sia dei soci sia degli obbligazionisti e deliberare. Ne consegue ulteriormente che, in linea di principio, il socioobbligazionista che non partecipa alle rispettive assemblee non può richiamarsi a una
mancata informativa da parte della società, laddove la relativa informativa sia stata
data nel corso delle assemblee (10).
3. LA POSSIBILE IMPUGNAZIONE DELLE DELIBERAZIONI
DELL’ASSEMBLEA DEGLI OBBLIGAZIONISTI
Un apposito articolo del codice civile si occupa d’impugnazione delle deliberazioni
dell’assemblea degli obbligazionisti (art. 2416 c.c.). La disposizione consiste peraltro,
salve poche precisazioni, in un mero rinvio a quanto previsto — più in generale — per
le impugnazioni delle delibere dell’assemblea dei soci: «le deliberazioni prese dall’assemblea degli obbligazionisti sono impugnabili a norma degli articoli 2377 e 2379» (art.
2416 comma 1 c.c.). Come è noto, l’art. 2377 c.c. concerne l’annullabilità delle deliberazioni dei soci, mentre l’art. 2379 c.c. riguarda la nullità delle medesime (11).
Dal testo dell’ordinanza del Tribunale di Mantova non si riesce a desumere con
certezza se l’azione giudiziaria intentata dell’obbligazionista mirasse a ottenere l’annullamento oppure la declaratoria di nullità della delibera. Difatti il ricorso è formulato
in modo particolarmente ampio, chiedendo l’accertamento di 1) annullabilità; 2) nullità; 3) invalidità oppure 4) inefficacia della deliberazione. Questa modalità di formu(10)
Si noti che una società può avere in corso una
pluralità di prestiti obbligazionari, effettuati in periodi diversi: le esigenze di finanziamento possono non
essere soddisfatte integralmente con il primo prestito obbligazionario, ragione per cui si rende necessaria una seconda emissione obbligazionaria. Per un
caso del genere la giurisprudenza (Cass. 31 marzo
2006, n. 7693, in Giur. comm., 2007, II, 555 ss., con
nota di Sarale) ha affermato, in sostanza, il principio
della autonomia di tali prestiti: nell’ipotesi in cui una
società abbia posto in essere una pluralità di emissioni obbligazionarie, aventi caratteristiche diverse,
non vi è alcun interesse comune che leghi fra loro i
sottoscrittori dei singoli prestiti, ciascuno dei quali è
dotato di uno specifico regolamento negoziale, al
quale risultano estranei i sottoscrittori degli altri prestiti. Ciò determina la necessità di dar vita ad altrettante organizzazioni degli obbligazionisti, con distinte assemblee, ciascuna delle quali è chiamata a deli-
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berare su materie di interesse comune dei sottoscrittori del prestito al quale afferisce l’organizzazione. Ai
fini del commento all’ordinanza del Tribunale di
Mantova è in particolare utile segnalare l’affermazione della Corte di Cassazione, contenuta in tale
sentenza, secondo cui l’eventuale modificazione delle condizioni di ogni prestito richiede unicamente il
consenso dei sottoscrittori di quella particolare
emissione.
(11)
Per completezza, oltre che i rimedi dell’annullabilità e della nullità delle deliberazioni, l’obbligazionista può — in certe condizioni estreme — arrivare a invocare l’inesistenza della deliberazione.
Secondo Cass. 31 marzo 2006, n. 7693, in Giur.
comm., 2007, II, 555 ss., con nota di Sarale, l’approvazione della modificazione delle condizioni del prestito con il concorso esclusivo dei sottoscrittori di obbligazioni rivenienti da un’emissione diversa comporta l’inesistenza della relativa delibera.
P. 1 8 6 3 ⎪
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lazione delle domande (nel senso di chiedere qualsiasi possibile rimedio, senza indicare con precisione qual è l’azione che si fa valere) è piuttosto diffusa nella prassi. La
tecnica serve a limitare il rischio che, formulando in modo eccessivamente limitato la
domanda, essa possa essere rigettata. Siccome il giudice deve pronunciare su tutta la
domanda e non oltre i limiti di essa (art. 112 c.p.c.), se una domanda non viene presentata, essa non viene trattata. Il rischio è che la pretesa dell’attore non venga accolta. Se,
ad esempio, viene chiesta solo la nullità (e non l’annullamento) e il giudice ritiene che
non sussistono i presupposti per la nullità, la domanda di nullità — unica presentata —
non può essere accolta, con la conseguenza che nessuna domanda dell’attore viene
accolta. Di qui l’artificio, dettato da scrupolo, di formulare il maggior numero di domande possibili.
Siccome il testo dell’ordinanza è troppo vago sul punto, bisogna cercare di stabilire
quale fossa esattamente la domanda avanzata nel ricorso. Nel caso di specie non pare
che ricorra alcuno dei più gravi motivi (ad esempio mancata convocazione) che possono determinare la nullità della deliberazione ai sensi dell’art. 2379 c.c. Concentreremo pertanto l’analisi sulla possibile sussistenza di una causa di annullamento della
deliberazione, in particolare per non conformità alla legge.
Secondo la disposizione dettata per le assemblee dei soci (e richiamata espressamente dall’art. 2416 comma 1 c.c.), «le deliberazioni dell’assemblea, prese in conformità della legge e dell’atto costitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o
dissenzienti» (art. 2377 comma 1 c.c.). Si tratta del principio maggioritario, che caratterizza pressoché qualsiasi forma organizzata di gruppo: più nello specifico, come è
stato correttamente osservato (12), un conto è la volontà del singolo obbligazionista, un
conto è la volontà della maggioranza degli obbligazionisti: questa seconda volontà,
debitamente formalizzata in una deliberazione assembleare, prevale rispetto alla prima. In forza del principio di maggioranza, l’obbligazionista che pure non voglia la
proroga del prestito obbligazionario, se in minoranza, deve accettare la decisione
assunta dalla maggioranza.
Il problema è che, dal punto di vista economico, la decisione dell’assemblea degli
obbligazionisti di prorogare il prestito può comportare rilevanti effetti negativi in capo
all’obbligazionista che non è d’accordo con tale decisione, in quanto la proroga significa che l’obbligazionista non ottiene alla scadenza originariamente pattuita la restituzione di quanto prestato alla società, ma è obbligato ad aspettare per un altro periodo di
tempo. L’obbligazionista che avesse bisogno urgente di tale danaro (o che si trovasse
addirittura in una situazione di difficoltà economica) potrebbe subire un serio danno
dal fatto che il prestito venga prorogato nonostante la sua volontà contraria. Si tratta,
però, all’evidenza di un danno che non può essere qualificato come «ingiusto», se la
decisione della collettività degli obbligazionisti è stata presa in conformità alla legge
(vincolando così tutti i membri del gruppo).
Dovendosi rispettare il principio di maggioranza, l’unico sistema che l’obbligazionista ha per evitare la proroga del prestito è quello di cercare d’impugnare la deliberazione assembleare. Secondo il dettato normativo «le deliberazioni che non sono
(12)
Cfr. SALAFIA, Commento a App. Milano 17
novembre 1998, in Società, 1999, 197.
⎪ P. 1 8 6 4
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prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate dai soci
assenti, dissenzienti od astenuti, dagli amministratori, dal consiglio di sorveglianza e
dal collegio sindacale» (art. 2377 comma 2 c.c.). L’obbligazionista, per avere successo
nella propria iniziativa, deve far valere una qualche non conformità della deliberazione
rispetto alla legge oppure allo statuto.
Nel caso di specie, secondo il ricorrente, vi sarebbe una violazione di legge consistente nel fatto che non è stato nominato il rappresentante comune degli obbligazionisti. Inoltre l’assenza del rappresentante comune avrebbe impedito agli obbligazionisti la raccolta d’informazioni e, conseguentemente, l’espressione di un voto informato. Da ciò deriverebbe, secondo il ricorrente, la ragione di annullabilità della deliberazione.
Nel prosieguo verificheremo se queste affermazioni sono corrette e, come si vedrà,
giungeremo alla conclusione che né la mancanza del rappresentante comune degli
obbligazionisti né la connessa omessa informazione degli obbligazionisti costituiscono
eventi contrari alla legge tali da determinare l’annullabilità della deliberazione. La
nomina del rappresentante comune non è necessaria ai fini della validità della decisione assembleare né gli obbligazionisti possono richiamarsi a un’omessa informativa
in conseguenza della non partecipazione del rappresentante comune all’assemblea.
4. L’IRRILEVANZA DELLA MANCATA NOMINA DEL RAPPRESENTANTE COMUNE DEGLI OBBLIGAZIONISTI
Come si è detto, in aggiunta all’assemblea, il secondo organo che caratterizza l’organizzazione degli obbligazionisti è il rappresentante comune. Si tratta di un organo
chiamato a svolgere essenzialmente funzioni esecutive e di rappresentanza della collettività degli obbligazionisti.
A una prima lettura degli articoli del codice civile in materia di obbligazioni si fa
fatica a desumere con certezza se il rappresentante comune degli obbligazionisti sia un
organo che debba essere necessariamente presente nella s.p.a. fin dall’inizio (nel
senso che il fatto stesso che vi sia un’emissione di obbligazioni implica l’immediata
nomina di una determinata persona a tale funzione) oppure un organo la cui presenza
può essere posticipata (nel senso che si procede alla sua nomina solo se e quando gli
obbligazionisti, riuniti in assemblea, cosi decidono oppure si verificano altre situazioni
che rendono tale nomina necessaria). In altre parole, la questione è se gli obbligazionisti possano legittimamente operare, anche in forma assembleare, in assenza di un
loro rappresentante comune. Anticipo già la soluzione cui mi pare di poter giungere:
pur in presenza di un’emissione obbligazionaria, non è necessario procedere immediatamente alla nomina del rappresentante comune (e, dunque, la sua assenza non
invalida automaticamente le deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti); tuttavia esistono circostanze che impongono la nomina del rappresentante comune e, in
ogni caso, anche un solo obbligazionista può sempre chiedere all’autorità giudiziaria
che si proceda alla sua nomina.
Analizziamo in dettaglio le disposizioni che, nel loro combinato disposto, consentono di giungere a questa conclusione. Secondo il testo della legge «il rappresentante
comune può essere scelto al di fuori degli obbligazionisti e possono essere nominate
anche le persone giuridiche autorizzate all’esercizio dei servizi di investimento nonché
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P. 1 8 6 5 ⎪
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le società fiduciarie» (art. 2417 comma 1 c.c.). Come si può notare, questa disposizione
individua le categorie di soggetti che possono essere nominati rappresentanti comuni,
ma non risponde al quesito che qui ci interessa, cioè se un rappresentante comune
debba essere nominato sempre e comunque, ogni qualvolta vi sia un’emissione obbligazionaria (13).
Sulla questione della necessità o meno di procedere immediatamente alla nomina
di un rappresentante comune degli obbligazionisti tutte le volte che vengono emesse
obbligazioni, appare più specifica la previsione del successivo comma 2 dell’art. 2417
c.c.: «se non è nominato dall’assemblea a norma dell’art. 2415, il rappresentante comune è nominato con decreto del tribunale su domanda di uno o più obbligazionisti o
degli amministratori della società». Da questa disposizione si trae la regola che un
rappresentante comune deve necessariamente essere nominato, se determinati soggetti ne fanno richiesta all’autorità giudiziaria. Sono legittimati ad avanzare la relativa
domanda gli obbligazionisti (ed è ovvio, essendo i titolari del diritto al pagamento degli
interessi e al rimborso del prestito) nonché gli amministratori (i quali, a dire il vero,
rappresentano gli interessi della società, essendo nominati dai soci, ed è dunque improbabile che si rivolgano al tribunale per ottenere la nomina del rappresentante
comune). Il meccanismo previsto dall’art. 2417 comma 2 c.c. si basa tuttavia su
un’istanza che può mancare: se nessuno degli obbligazionisti (e nessuno degli amministratori) esige la nomina del rappresentante comune, la collettività degli obbligazionisti può operare anche in sua assenza. Si tratta di un diritto, non di un obbligo, del
singolo obbligazionista: questi, se lo ritiene, può rivolgersi al tribunale per ottenere la
nomina, ma — se non lo fa — a tale nomina non si giunge.
Fra le competenze dell’assemblea degli obbligazionisti rientra quella, appunto, di
nomina e revoca del rappresentante comune (art. 2415 comma 1, n. 1, c.c.). A ben
vedere, però, l’art. 2415 comma 1 c.c. — nel fissare le competenze dell’assemblea degli
obbligazionisti — non indica degli eventi che si devono verificare necessariamente
(con conseguente dovere dell’assemblea di deliberare in merito), ma delle circostanze
eventuali, sulle quali gli obbligazionisti possono (ma non sempre devono) essere chiamati a deliberare. Si pensi alle modificazioni delle condizioni del prestito (art. 2415
comma 1, n. 2, c.c.), circostanza sulla quale gli obbligazionisti possono essere chiamati
a deliberare (proprio come nel caso affrontato dal Tribunale di Mantova), ma sulla
quale può anche capitare che non vi sia mai necessità di deliberare (ad esempio perché
il prestito viene regolarmente rimborsato alla prima scadenza). Un ragionamento
simile vale, ad esempio, anche per la delibera sulla proposta di amministrazione con(13)
La disposizione distingue fra persone fisiche
e giuridiche e consente che la funzione di rappresentante comune possa essere rivestita anche da persone diverse dagli obbligazionisti. In questo modo si
permette agli obbligazionisti di nominare soggetti
particolarmente competenti che siano in grado di
svolgere tale incarico con alto livello di professionalità. Gli obbligazionisti possono essere i medesimi
soci della società. Ciò avviene quando i soci, invece di
procedere a nuovi conferimenti in sede di aumento
di capitale, preferiscono il meccanismo — tenden-
⎪ P. 1 8 6 6
zialmente più flessibile — dell’emissione obbligazionaria per finanziare la società. In alternativa alle
persone fisiche, l’art. 2417 comma 1 c.c. consente che
sia nominata una persona giuridica al ruolo di rappresentante comune degli obbligazionisti. Si deve
trattare di soggetti autorizzati all’esercizio dei servizi
d’investimento oppure di società fiduciarie. In ambedue i casi le persone giuridiche investite della funzione di rappresentante comune presentano il livello
di competenza necessario per adempiere bene al
proprio incarico.
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trollata e di concordato (art. 2415 comma 1, n. 3, c.c.): anche in questo caso di tratta di
un evento futuro e incerto, rispetto al quale può ben capitare che l’assemblea degli
obbligazionisti non venga mai chiamata a deliberare. Se la società non giunge mai a
una situazione di difficoltà finanziaria, non vi sarà alcuna necessità di deliberare su un
simile oggetto.
A tutto ciò si aggiunga che, proprio finché non si tiene la prima assemblea degli
obbligazionisti, non vi è la possibilità di nominare un rappresentante comune, ma —
non per questo — tale assemblea presenta profili d’invalidità. Si tratta del resto di una
situazione piuttosto comune nella prassi. Le obbligazioni, nelle società per azioni non
quotate, vengono normalmente sottoscritte da un numero limitato di persone, legate —
in qualche modo — alla società medesima. Non raramente capita che i sottoscrittori
siano gli stessi soci, i quali possono preferire tale strumento rispetto all’aumento di
capitale e al finanziamento soci. Si immagini il caso di una società composta di tre soci,
i quali decidono — a un certo punto — di emettere obbligazioni che vengono sottoscritte dai medesimi tre soci. In condizioni del genere, la nomina di un rappresentante
comune rappresenta solo un inutile formalismo aggiuntivo che non apporta alcun
beneficio ai soci-obbligazionisti. Ecco allora che è legittimo che la società operi, almeno
provvisoriamente e finché non emergono circostanze che rendono necessaria una
nomina, senza un rappresentante comune. L’esempio fatto è evidentemente estremo,
anche perché in situazioni del genere manca un reale conflitto d’interessi fra società e
obbligazionisti, ma vuole evidenziare come — di fatto — vi possa ben essere un gruppo
di obbligazionisti che opera senza rappresentante comune.
A ulteriore riprova della non necessità del rappresentante comune per il corretto
funzionamento dell’organizzazione degli obbligazionisti, è utile richiamare le disposizioni in materia di convocazione dell’assemblea degli obbligazionisti: questa è convocata «dagli amministratori o dal rappresentante degli obbligazionisti, quando lo ritengono necessario, o quando ne è fatta richiesta di tanti obbligazionisti che rappresentino
il ventesimo dei titoli emessi e non estinti» (art. 2415 comma 2 c.c.). Vi sono dunque altri
due soggetti legittimati a convocare l’assemblea degli obbligazionisti: gli amministratori della società (che peraltro, si diceva, potrebbero avere un interesse in conflitto con
quello degli obbligazionisti) e, soprattutto, i medesimi obbligazionisti (purché siano
titolari di una quota sufficiente dei titoli). Dunque, l’assemblea può essere convocata e
può tenersi anche in assenza del rappresentante comune, ragion per cui è difficile
sostenere l’invalidità della medesima per il mero fatto che non è presente il rappresentante comune.
Dal complesso delle disposizioni esaminate emerge come non si possa ricavare la
regola che l’immediata nomina del rappresentante comune sia sempre necessaria.
Essa «può» essere effettuata dall’assemblea degli obbligazionisti nella sua prima riunione. Se l’assemblea non procede in tal senso, la società opera senza rappresentante
comune finché non nasce l’esigenza di nominarlo; quando si vuole nominare il rappresentante comune, si tiene un’apposita assemblea. In caso d’inattività dell’assemblea, al singolo obbligazionista è riconosciuto il diritto di chiedere tale nomina al
tribunale. Questo è esattamente quanto è successo nel caso in commento, laddove la
nomina del rappresentante comune è stata effettuata dal Tribunale di Mantova.
Direi poi che la prova della non necessità del rappresentante comune è data dal-
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l’art. 2420 c.c., secondo cui «le operazioni per l’estrazione a sorte delle obbligazioni
devono farsi, a pena di nullità, alla presenza del rappresentante comune o, in mancanza, di un notaio». La disposizione mira a garantire la correttezza delle operazioni del
sorteggio, ma — nel fare ciò — tocca indirettamente l’aspetto che qui interessa: l’esigenza di ricorrere a un notaio sorge proprio per il fatto che può mancare un rappresentante comune quale garante di tutti gli obbligazionisti.
Per completezza, menzioniamo i casi in cui è necessario procedere alla nomina del
rappresentante comune:
1) quando vengono impugnate deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti
(art. 2416 comma 2 c.c.) (14);
2) quando ne fa domanda al tribunale almeno un obbligazionista (art. 2417 comma
2 c.c.);
3) a fronte dell’apertura di procedure concorsuali (art. 2418 comma 2 c.c.).
Sulla base dei numerosi riscontri testuali che abbiamo esaminato, si può pertanto
affermare che è legittimo che una società — che pure ha emesso obbligazioni e presenti
dunque degli obbligazionisti — non sia dotata, salvi i casi eccezionali indicati, di un loro
rappresentante comune. Ne consegue che l’obbligazionista non può richiamarsi a
un’asserita violazione di legge commessa nel contesto di un’assemblea degli obbligazionisti per il mero fatto che non è presente (in quanto non nominato) un rappresentante comune degli obbligazionisti (15). Ne deriva altresì che un’impugnazione con
richiesta di annullamento della deliberazione fondata su tale motivo deve essere rigettata, così come fa il Tribunale di Mantova nel caso in esame.
5. L’INFORMAZIONE DEGLI OBBLIGAZIONISTI
Un profilo diverso, trattato nell’ordinanza del Tribunale di Mantova, è se si possa
impugnare con successo una deliberazione dell’assemblea degli obbligazionisti per il
fatto che questi ultimi non sono stati adeguatamente informati.
Gli obbligazionisti rivestono una posizione di debolezza nei confronti della società:
essi sono creditori della società, ma non godono di diritti amministrativi nei confronti
della medesima, in particolare non hanno accesso a informazioni sull’andamento finanziario. Come possono allora ottenere informazioni? Questa è una delle funzioni che
può essere svolta dal rappresentante comune degli obbligazionisti, il quale — fra i suoi
poteri (ma non si tratta certo di un dovere) — ha il diritto di assistere all’assemblea dei
soci (art. 2418 comma 1 c.c.). Secondo questo modello, dunque, il rappresentante
comune partecipa all’assemblea dei soci, raccoglie in quella sede informazioni e poi le
comunica agli obbligazionisti.
(14)
Secondo questa disposizione l’impugnazione
delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti «è proposta innanzi al tribunale, nella cui giurisdizione la società ha sede, in contraddittorio del
rappresentante degli obbligazionisti». Ecco allora
che, se non ancora nominato, bisogna procedere alla
nomina del rappresentante comune, altrimenti la
collettività degli obbligazionisti non ha la possibilità
di difendersi in processo.
(15)
In questo senso anche Trib. Monza 13 giugno
1997, in Società, 1998, 175 ss., con nota di Bellini,
⎪ P. 1 8 6 8
secondo il quale la nomina di un rappresentante comune degli obbligazionisti non è automatica ex lege,
né necessaria, ma rimessa alla valutazione discrezionale degli obbligazionisti stessi, con la conseguenza
che, là dove tale figura non esista, le determinazioni
dell’assemblea speciale assunte senza la sua partecipazione presentano comunque tutti i requisiti
strutturali tipici per essere qualificate alla stregua di
deliberazioni assembleari e devono essere considerate valide.
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La comunicazione d’informazioni dal rappresentante comune agli obbligazionisti
avviene, di norma, in sede di assemblea degli obbligazionisti. Al riguardo è curioso
notare che la legge non prescrive espressamente che il rappresentante comune debba
intervenire all’assemblea degli obbligazionisti. Se si legge il testo dell’art. 2418 c.c. sugli
obblighi e sui poteri del rappresentante comune, non risulta che esso sia tenuto a
partecipare all’assemblea degli obbligazionisti. Tuttavia è fuori di dubbio che il rappresentante comune disponga di una tale facoltà. Anzi, probabilmente è ricostruibile
addirittura un obbligo del rappresentante comune (laddove nominato) d’intervenire
nelle assemblee (16).
La funzione di raccolta e trasmissione d’informazioni, che può (anzi: deve) essere
normalmente svolta dal rappresentante comune, non può realizzarsi quando il rappresentante comune non esiste, in quanto non è ancora stato nominato dall’assemblea
(art. 2415 comma 1 c.c.) e nessun obbligazionista ha chiesto al tribunale di effettuare
tale nomina (art. 2417 comma 2 c.c.). Al riguardo la statuizione del Tribunale di Mantova è nel senso che l’assenza di un rappresentante comune degli obbligazionisti non
determina in sé un livello d’informativa inferiore degli obbligazionisti. Nella valutazione dell’autorità giudiziaria mantovana, gli obbligazionisti potrebbero difatti raccogliere
per altre vie le informazioni che reputano necessarie. Nel caso di specie, secondo il
Tribunale di Mantova, l’obbligazionista può reputarsi informato per due ragioni: la
questione della proroga del prestito obbligazionario 1) era stata discussa in seno al
consiglio di amministrazione della società e 2) era stata comunicata e illustrata agli
obbligazionisti dal presidente del consiglio di amministrazione che era intervenuto
all’assemblea degli obbligazionisti. Devo dire che queste due affermazioni, per quanto
possano risultare convincenti nella fattispecie concretamente affrontata dall’autorità
giudiziaria mantovana, non possono assurgere a regole aventi valore generale. Analizziamole separatamente.
Con riferimento alla prima circostanza, il Tribunale di Mantova rileva che la
decisione di prorogare il prestito obbligazionario era stata discussa in seno al consiglio
di amministrazione della società e risultava dal verbale di tale organo. L’autorità giudiziaria mantovana ne trae la conseguenza che gli obbligazionisti, pur in assenza di un
loro rappresentante comune, avrebbero potuto debitamente informarsi sui contenuti
della deliberazione del consiglio di amministrazione. Questa affermazione non appare
corretta, se si ha riguardo al diritto d’ispezione dei libri sociali così come regolato
dall’art. 2422 c.c. Il comma 1 di tale disposizione attribuisce ai soci il diritto di esaminare
certi libri sociali, ma non quello delle deliberazioni del consiglio di amministrazione.
Similmente il comma 2 dell’art. 2422 c.c. attribuisce al rappresentante comune degli
obbligazionisti il diritto di esaminare alcuni libri sociali, ma non quello delle deliberazioni del consiglio di amministrazione. Dunque non è vero che gli obbligazionisti
possano informarsi sui contenuti della deliberazione del consiglio di amministrazione.
Con riferimento alla seconda circostanza, il Tribunale di Mantova afferma che gli
obbligazionisti si devono reputare informati in quanto la decisione di prorogare il
prestito era stata discussa, con intervento del presidente del consiglio di amministra(16)
Così SALAFIA, Commento a App. Milano 17
novembre 1998, in Società, 1999, 198.
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zione, durante l’assemblea degli obbligazionisti. Questa affermazione è più convincente di quella precedente, anche se vanno fatte delle puntualizzazioni. Come si è visto, gli
amministratori «possono» assistere all’assemblea degli obbligazionisti (art. 2415 comma 5 c.c.), ma non sono obbligati a farlo. Può pertanto capitare — come nel caso di
specie — che gli amministratori intervengano e illustrino le loro deliberazioni di proroga del prestito (anche al fine di convincere tutti gli obbligazionisti ad aderire), ma non
è detto che ciò avvenga sempre.
Complessivamente si può pertanto effettivamente porre un problema di adeguata
informativa degli obbligazionisti rispetto alle vicende societarie.
A ciò si aggiunga che non è nemmeno convincente in toto quanto afferma il Tribunale di Mantova, il quale rileva che la possibilità per gli obbligazionisti d’informarsi è
maggiore quando le medesime persone — oltre a essere obbligazionisti — sono anche
soci della società, come nel caso di specie. Questa affermazione, in realtà, si attaglia
meglio al modello previsto nella s.r.l., dove i soci dispongono di un diritto di controllo
espressamente statuito dalla legge e non soggetto a particolari limitazioni (come è noto,
l’art. 2476 comma 2 c.c. prevede che «i soci che non partecipano all’amministrazione
hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali
e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti
relativi all’amministrazione») (17). Una disposizione simile non è invece prevista nella
s.p.a. In questo tipo societario i poteri di controllo dei soci non trovano espressione in
una norma così chiara.
In definitiva, mentre appare corretta la conclusione del Tribunale di Mantova
secondo cui nel caso di specie gli obbligazionisti hanno ricevuto sufficiente informazione, rimane aperto il problema di fondo: che gli obbligazionisti in generale non
dispongono di canali informativi forti nei confronti della società. Anche la nomina del
rappresentante comune (che pure, come si è visto, non sempre è presente) non garantisce un’approfondita informativa degli obbligazionisti.
(17)
Sul diritto di controllo nella s.r.l. cfr. anzitutto
la monografia di GUIDOTTI, I diritti di controllo del
socio nella s.r.l., Milano, 2007. V. inoltre BARTOLOMUCCI, Configurazione e portata del diritto di controllo del socio non gestore di s.r.l., in Società, 2009,
1336 ss.; CODAZZI, Il controllo dei soci di s.r.l.: considerazioni sulla derogabilità dell’art. 2476, comma 2,
in Giur. comm., 2006, II, 685 ss.; DI BITONTO, In tema
di modalità di esercizio del diritto di controllo individuale del socio di s.r.l. ex art. 2476 c.c., in Società,
2009, 206 ss.; GRASSO, «Documenti relativi all’amministrazione» e diritto di consultazione del socio di
s.r.l. non amministratore, in Giur. comm., 2007, II,
982 ss.; GUIDOTTI, Ancora sui limiti all’esercizio dei
diritti di controllo nella s.r.l. e sul (preteso) diritto di
ottenere copia dei documenti, in Giur. comm., 2008,
II, 218 ss.; MENICUCCI, Il «contenuto» del controllo del
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socio nella società a responsabilità limitata, in Giur.
comm., 2007, II, 160 ss.; PISAPIA, Il controllo del socio
nella S.r.l.: oggetto, limiti e rimedi, in Società, 2009,
505 ss.; RENNA, Il diritto di controllo del socio non
amministratore di s.r.l., in Giur. it., 2008, 124 ss.;
RICCIARDIELLO, L’inerenza del diritto al controllo del
socio non amministratore di s.r.l. al potere gestorio,
in Giur. comm., 2008, II, 228 ss.; SANGIOVANNI, Diritto
di controllo del socio e autonomia statutaria, in Notariato, 2008, 671 ss.; SANGIOVANNI, Il diritto del socio
di s.r.l. di estrarre copia dei documenti relativi all’amministrazione, in questa Rivista, 2008, 2274 ss.;
SANGIOVANNI, Das Kontrollrecht der GmbH-Gesellschafter und die Satzungsautonomie in Italien,
in GmbHR (GmbH-Rundschau), 2008, 978 ss.; TORRONI, Note in tema di poteri di controllo del socio
nelle s.r.l., in Riv. not., 2009, II, 673 ss.
giurisprudenza di merito – n. 7-8 – 2011
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