IL CASO FINPART: UN FALLIMENTO ITALIANO
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IL CASO FINPART: UN FALLIMENTO ITALIANO
IL CASO FINPART: UN FALLIMENTO ITALIANO 5 ANNI FA IL FALLIMENTO DELLA HOLDING DELLA MODA Il 25 ottobre 2005, su istanza degli obbligazionisti, veniva dichiarato il fallimento di Fin Part, holding quotata in borsa e naufragata con tanto di strascici penali e beffe per i creditori ed obbligazionisti. Il tempo trascorso consente un’esame della vicenda con sufficiente distacco dai clamori della cronaca e dunque proviamo a vedere cosa è successo a cinque anni di distanza. I marchi. Monclear, Frette, Boggi, Cerruti erano alcuni dei marchi raggruppati sotto la Holding Fin Part, poi finiti nel solito spezzatino, mai tanto salutare come in questo caso. Difatti , a dispetto della sciatteria con cui la finanza sciagurata degli anni scorsi ne aveva messo repentaglio l’esistenza stessa, i marchi hanno confermato la loro validità e la concretezza del sistema industriale che li sorregge: Monclear è diventato una storia di grande successo, Frette, Boggi, Cerruti mantengono un ottimo livello di notorietà con conti accettabili. I protagonisti. Facchini, Mazzola & C. dopo aver dissipato centinaia di milioni di euro, hanno patteggiato pene bagattellari, che, tra indulto e misure alternative, hanno pesato sullo loro spalle poco più di una multa per divieto di sosta. Per altri protagonisti secondari si è aperto da poco a Milano un processo per bancarotta che però, privo dei principali responsabili, dirà ben poche verità. Si analizzerà qualche episodio di contorno, ma non verrà mai fatta piena luce sulle principali questioni poste da questa storia di risparmio tradito: perché, in spregio alle norme del Codice Civile che lo vietavano, sono stati dati a Facchini 200 milioni dei risparmiatori? Perchè le banche hanno venduto ad ignari risparmiatori titoli destinati solo ad investitori professionali? Perché le banche non hanno pagato nulla per questi loro comportamenti? Gli obbligazionisti. Ad oggi gli obbligazionisti hanno recuperato il 23 % del loro credito. Non è dato sapere se ci siano prospettive di ulteriori recuperi perché nessun obbligazionista (né tantomeno il Rappresentate Comune degli obbligazionisti) è mai riuscito a parlare con il Curatore nonostante i compensi milionari che ha percepito; compensi che, giustamente, hanno suscitato scandalo. E qui si apre il capitolo più deludente di tutta la vicenda, quello che riguarda il sistema Italia. Il Fallimento è stato gestito, sicuramente nei termini di legge, ma senza nessuna trasparenza: nessun obbligazionista (né tantomeno il Rappresentante Comune) è stato nominato nel Comitato dei Creditori del Fallimento, con la conseguenza che i contenuti delle transazioni concluse sono (tutt’ora) sconosciute, in primis quella milionaria tra il Fallimento e la Banca Popolare di Intra, in forza della quale la Popolare di Intra ha pagato oltre 50 milioni al fallimento; né si sa qualcosa di eventuali azioni nei confronti di altre banche. In cinque anni non si è sentita l’esigenza di fare un solo comunicato stampa per spiegare agli obbligazionisti e al mercato cosa stava succedendo nella procedura fallimentare. Per di più, nonostante i vari crack succedutesi nel tempo, (oltre Fin Part, Cirio, Parmalat, Giacomelli, ecc.) non si è nemmeno iniziata una riflessione su una Legge Fallimentare che risale al 1942; riflessione quantomeno opportuna al fine di garantire una tutela sostanziale e non solo formale dei diritti dei creditori. La Legge del 1942 – ovviamente drammaticamente obsoleta - tratta con le stesse modalità creditori assolutamente eterogenei tra di loro: un’impresa, una grande banca, un singolo risparmiatore (magari indotto in errore da quella stessa banca). Non riconoscendo nessuna diversità tra queste categorie di creditori, l’istanza collettiva di ammissione al passivo del Fallimento presentata dal Rappresentante Comune è stata respinta in due gradi di giudizio, anche con riferimento a quegli obbligazionisti che non si erano insinuati personalmente, forse perché non avvertiti dalla propria banca o perché non sapevano come fare trovandosi magari a mille chilometri di distanza dal Tribunale di Milano ed avendo tra le mani un titolo di qualche migliaia di euro. Dunque, centinaia, forse migliaia di obbligazionisti (per 3 milioni di euro) sono rimasti per sempre fuori da eventuali riparti. Ma, se la Legge Fallimentare del 1942 è risultata superata, gli strumenti più moderni di tutela del risparmio in versione nostrana non hanno prodotto migliori risultati. Per esempio la class action, che gli obbligazionisti hanno atteso con trepidazione per anni, alla fine è stata varata con un vergognoso sbarramento temporale che esclude l’applicabilità dell’azione collettiva al caso Fin Part. E qualcuno è in grado di dire cosa è successo del fondo per risarcire i risparmiatori traditi, quello che doveva essere alimentato con c.d. “depositi dormienti”, annunciato con spirito bipartisan e con gran clamore ? In conclusione, alla bancarotta della Fin Part, in cinque anni si è aggiunta quella del “sistema Italia” sempre più lontano da un accettabile livello di tutela del Risparmio. Marcello Gualtieri Rapp. te Comune degli Obbligazionisti Fin Part Spa