l`osservatore romano

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l`osservatore romano
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 272 (47.407)
Città del Vaticano
sabato 26 novembre 2016
.
Il Papa ricorda che stare tra la gente arricchisce persone e società
Nella giornata mondiale contro la violenza
Rischio d’isolamento
La Chiesa
insieme alle donne
«Si corrono più rischi quando ci isoliamo di quando ci apriamo all’altro»: lo afferma Papa Francesco nel
videomessaggio inviato ai partecipanti alla sesta edizione del festival
della dottrina sociale della Chiesa,
apertosi nella serata di giovedì 24
novembre a Verona.
Ai partecipanti all’iniziativa, che si
conclude domenica 27, il Pontefice
ha proposto una riflessione incentrata sul tema dell’incontro — «In mezzo alla gente» — ricordando che
«noi siamo fatti per stare con gli altri». Infatti, ha spiegato, «la nostra
umanità si arricchisce molto se stiamo con tutti gli altri e in qualsiasi
situazione essi si trovano», mentre
«è l’isolamento che fa male». Questo non significa solo «essere aperti
e incontrare gli altri, ma anche lasciarci incontrare», perché «la relazione chiede questo scambio tra persone: l’esperienza ci dice che di solito dagli altri riceviamo di più di
quanto diamo».
Stare in mezzo alla gente, per
Francesco, significa inoltre «avvertire
che ognuno di noi è parte di un popolo». La vita concreta non è, infatti, «la somma di tante individualità»
ma «l’articolazione di tante persone
che concorrono alla costituzione del
bene comune». E questo «ci aiuta a
vedere l’insieme» e a comprendere
che «i ruoli che ognuno svolge
all’interno delle dinamiche sociali
non possono mai essere isolati o assolutizzati». Il Papa ha sottolineato
in particolare che «quando il popolo
è separato da chi comanda, quando
si fanno scelte in forza del potere e
non della condivisione popolare,
quando chi comanda è più importante del popolo e le decisioni sono
un bene per tutti». Anche perché
«fa toccare con mano la ricchezza e
la bellezza della diversità». In definitiva, ha concluso il Pontefice,
«quando si sta con la gente si tocca
l’umanità: non c’è mai solo la testa,
c’è sempre anche il cuore, c’è più
concretezza e meno ideologia».
All’indomani Francesco ha incontrato nell’aula del Sinodo i membri
dell’Unione
superiori
maggiori
(Usg) — che celebrano in questi
giorni a Roma l’ottantottesima assemblea semestrale sul tema «Andate e portate frutto. La fecondità della profezia» — trascorrendo con loro
l’intera mattinata.
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L’incontro del Papa con i membri dell’Unione superiori generali
Con un tweet diffuso nella tarda
mattinata di oggi, 25 novembre, il
Papa ha voluto partecipare alla
giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne indetta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu): «Quante donne
sopraffatte dal peso della vita e dal
dramma della violenza! Il Signore
le vuole libere e in piena dignità»
si legge nel breve messaggio diffuso in tutto il mondo nelle lingue
dell’account papale.
La Chiesa ha
sempre combattuto
perché alle donne
venisse dovunque
riconosciuta la dignità
di
essere
umano uguale a
quella dell’uomo e
Il Signore
ha pensato ed elaborato un modello
di rapporto tra uomo e donna nel
matrimonio che stabilisce uguali diritti
e uguali doveri ai due coniugi. E
oggi un numero ingente di missionari e soprattutto di missionarie ha
scelto come sua missione proprio
l’assistenza alle donne violentate.
Sono donne spesso cacciate dalla
loro famiglia e dalla loro comunità
e che trovano solo in queste istituzioni religiose non soltanto un aiuto ma anche un progetto di reinserimento dignitoso nella vita sociale,
per loro e per i loro figli, anche
quelli nati dalla violenza. Sono
quindi ormai molti anni che la
Chiesa combatte questa battaglia in
prima linea nei luoghi più caldi del
mondo. In questo contesto va letto
il tweet di Papa Francesco.
Nel rapporto dell’Onu per il 25
novembre 2016 si legge che «deve
diffondersi sempre di più la consapevolezza che la violenza contro
donne e giovanissime è non solo
una violazione dei diritti umani,
Quante donne sopraffatte
dal peso della vita
e dal dramma della violenza!
le vuole libere e in piena dignità.
(@Pontifex_it)
ma è anche una emergenza sanitaria e un serio ostacolo allo sviluppo sostenibile». Il messaggio è
chiaro e urgente: «C’è ancora molto che si può e si deve fare in termini di risposte e di prevenzione»,
anche nei casi di violenza psicologica oltre che fisica. Si parla di
«azioni concrete nel sociale e di
sensibilizzazione
profonda
per
cambiare il piano della mentalità
diffusa», che è «ancora ovunque
troppo incline all’accettazione».
Firmato il nuovo accordo tra governo colombiano e Farc
Autobomba dell’Is uccide almeno 125 sciiti di ritorno dalle celebrazioni per la ricorrenza dell’Arbain
Passo decisivo
sulla via della pace
Strage di pellegrini a Baghdad
BO GOTÁ, 25. Passo decisivo verso
una pace duratura in Colombia. Il
presidente Juan Manuel Santos e il
leader delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), Timochenko, hanno firmato ieri un nuovo
accordo di pace, dopo la bocciatura
della prima intesa nel referendum
dello scorso 2 ottobre. L’accordo è
stato firmato durante una cerimonia
che si è svolta nel teatro Colón di
Bogotá. Santos e Timochenko si sono limitati a un breve discorso. «Voglio invitarvi a dare un’opportunità
alla pace», ha sottolineato durante il
suo intervento il presidente colombiano, ricordando brevemente le
principali modifiche incluse nel nuovo accordo e rimarcando «l’urgenza
della pace» nel paese. Mentre Timochenko ha evidenziato il sostegno
dei giovani al processo di pacificazione, ribadendo la proposta di perdono alle vittime delle Farc.
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prese da pochi, o sono anonime, o
sono dettate sempre da emergenze
vere o presunte, allora l’armonia sociale è messa in pericolo con gravi
conseguenze per la gente: aumenta
la povertà, è messa a repentaglio la
pace, comandano i soldi e la gente
sta male». Per questo è evidente che
stare in mezzo alla gente «fa bene
non solo alla vita dei singoli ma è
Il nuovo accordo tra le due parti,
annunciato lo scorso 12 novembre
dall’Avana, prevede modiche rispetto all’intesa precedente, considerate
però insufficienti dall’opposizione,
che ha appoggiato il no al referendum del 2 ottobre. L’intesa sarà confermata dal parlamento, ma senza
che si proceda a nuove votazioni,
pertanto non verrà sottoposto a referendum.
Questo costituisce uno dei motivi
per i quali è stato già respinto
dall’opposizione guidata dall’ex presidente Álvaro Uribe, del partito
Centro democratico, il quale ha definito il meccanismo adottato un
«golpe contro il popolo e la democrazia». Dal canto suo, Santos ha la
maggioranza nelle due Camere e
può contare sul sostegno di altri partiti. Il dibattito parlamentare inizierà
martedì prossimo.
Il presidente Santos e il leader delle Farc Timochenko si stringono la mano (Afp)
BAGHDAD, 25. Alla lenta avanzata
delle forze governative verso il centro di Mosul il cosiddetto stato islamico (Is) risponde con un nuovo
attentato. Almeno 125 persone, quasi tutti pellegrini sciiti, sono rimaste
uccise ieri nell’esplosione di un’autocisterna guidata da un kamikaze a
una stazione di servizio a sud della
capitale irachena, dove erano in sosta diversi pullman.
L’attentato, rivendicato dagli uomini di Al Baghdadi con una dichiarazione pubblicata dall’agenzia
Aamaq, è avvenuto nei pressi della
cittadina di Shomali, vicino ad Hilla, circa 85 chilometri da Baghdad.
I pellegrini erano di ritorno dalle
cerimonie svoltesi a Karbala in occasione della ricorrenza musulmana
dell’Arbain, il quarantesimo giorno
dopo l’Ashura, quando viene ricordata l’uccisione, nel 680 dopo Cristo, del terzo imam sciita Hussein e
di 72 suoi fedelissimi e familiari.
Il bilancio dell’attentato è stato
fornito da fonti della sicurezza citate da Al Jazeera, secondo le quali
tra le vittime vi sarebbero anche altri pellegrini stranieri, in particolare
provenienti dall’Iran e dal Bahrein.
L’attacco è avvenuto proprio nel
giorno in cui le forze speciali irachene hanno compiuto una nuova,
limitata avanzata nei quartieri orientali di Mosul, nell’ambito dell’offensiva in corso dal 17 ottobre scorso.
Il generale Haidar Fadhil ha detto
all’agenzia Ap che i suoi uomini
hanno riconquistato i quartieri di
Amn e Qahira, cercando di aprirsi
la strada nel distretto densamente
popolato di Zohour. Il consiglio
provinciale di Ninive, di cui Mosul
è capoluogo, ha intanto annunciato
che i jet della coalizione internazionale a guida americana hanno compiuto ieri intensi bombardamenti,
distruggendo l’ultimo ponte ancora
percorribile sul Tigri che collegava
la parte est della città a quella occidentale, dove i jihadisti rimangono
trincerati. La struttura chiamata il
“ponte vecchio” è stata costruita negli anni venti del secolo scorso dalle
forze di occupazione britanniche.
Mosul è ora circondata da nord, est
e sud, mentre a ovest continua
l’avanzata delle milizie sciite che assediano la città di Tal Afar, una ses-
santina di chilometri a ovest del capoluogo. Su questo fronte ieri è arrivato in visita il primo ministro,
Haidar Al Abadi, che ha incontrato
i comandanti delle milizie in un
campo di aviazione riconquistato
nei giorni scorsi.
La violenza, intanto, continua a
segnare profondamente anche la Siria. Questa mattina almeno sei civili, tra cui quattro donne, sono morti
in un raid aereo nella provincia
nord-orientale di Raqqa. Lo hanno
denunciato fonti degli attivisti che
si oppongono al governo del presidente Assad. I caccia avrebbero
bombardato per errore il corteo di
una cerimonia funebre nel villaggio
di Al Kili.
Notizie di bombardamenti arrivano anche da Aleppo. In un raid
compiuto nell’area orientale controllata dai ribelli sono morti ieri almeno 32 civili, tra i quali cinque bambini. «Ci sono molti feriti, cadaveri
e gente sotto le macerie» hanno riferito diversi attivisti. Un giornalista
della France Presse — citato da diverse altre agenzie — ha inoltre dichiarato di essersi recato nel quartiere di Al Mahsad e di aver visto
«di persona soccorritori impegnati a
estrarre corpi da un edificio colpito
e che era già stato centrato dai
bombardamenti in passato». Dal 15
novembre scorso, Aleppo ha visto la
morte di almeno 188 civili, tra i
quali 27 bambini.
Sul piano umanitario, Mosca ha
comunicato ieri che «non ci sono al
momento le condizioni adeguate»
per mettere in atto il piano di aiuti
delle Nazioni Unite.
Il carteggio fra De Luca e Papini
Dai Musei alla Federazione russa
Confronto
ricchissimo
Capolavori vaticani
a Mosca
PAOLO VIAN
A PAGINA
4
Disperazione di un uomo sul luogo dell’attentato a Baghdad (Reuters)
SILVIA GUIDI
A PAGINA
5
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
sabato 26 novembre 2016
Risoluzione per sospendere i negoziati di adesione
Misure su migranti e richiedenti asilo
Sulla Turchia
l’europarlamento frena
Nuova proposta di revisione
del regolamento di Dublino
STRASBURGO, 25. Sempre più tesi i
rapporti tra Unione europea e Turchia. Con 479 voti a favore, 37 contro e 107 astenuti, il parlamento europeo ha approvato ieri una risoluzione non vincolante per sospendere
i negoziati di adesione di Ankara
all’Ue. Il testo condanna «le misure
repressive sproporzionate» attuate
dalle autorità di Ankara dopo il fal-
lito colpo di stato dello scorso 15 luglio e l’eventuale ripristino della pena di morte. Nella risoluzione, tuttavia, gli eurodeputati dichiarano che
la Turchia deve comunque restare
«ancorata all’Ue, per l’importanza
strategica delle relazioni» e si impegnano a rivedere la loro posizione se
saranno revocate le misure repressive
che, si legge nel documento, «allontanano ulteriormente Ankara dal suo
percorso europeo».
La risposta turca non si è fatta attendere. Il premier, Binali Yıldırım,
ha parlato senza mezzi termini di
una decisione «priva di senso, risultato dell’applicazione di un doppio
standard». E ha accusato l’Europa
di «un comportamento a due facce».
Da parte sua, il ministro degli affari
europei, Ömer Çelik, capo della delegazione che negli ultimi mesi ha
dialogato con Bruxelles per l’ingresso della Turchia in Europa, ha parlato di «una decisione che rimarrà
nella storia come profondamente
sbagliata».
La risoluzione votata ieri a Strasburgo non è, comunque, giuridicamente vincolante. La sospensione
dei negoziati, rilevano gli osservato-
Si apre
la corsa
per la successione
di Schulz
BRUXELLES, 25. Effetto domino.
Il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ha annunciato ieri che non intende candidarsi per un ulteriore periodo alla
guida dell’assemblea di Strasburgo. La sua partenza crea un vuoto alla guida del parlamento europeo che rischia di alimentare
tensioni politiche e anche — dicono gli osservatori — di indebolire
la Commissione europea. Si è già
aperta la partita della successione
all’interno dei popolari, che detengono la maggioranza nell’assemblea. Il francese Lamassoure e
l’irlandese McGuinness hanno annunciato la loro candidatura. In
ballo per la presidenza anche
Manfred Weber, il capogruppo
dei popolari.
La decisione di Schulz, socialdemocratico, è collegata alla scelta di presentarsi alle prossime elezioni in Germania, nel suo Land
natale del Nord Reno - Vestfalia.
Per ora, da Berlino, la stampa
parla di lui come di un possibile
nuovo ministro degli esteri, al posto di Frank-Walter Steinmeier
che — secondo molte fonti — il
prossimo 12 febbraio dovrebbe essere eletto alla presidenza della
Repubblica.
Più in generale, come detto, la
scelta di Schulz rimette in gioco
gli equilibri politici alla guida
delle tre principali istituzioni comunitarie. Un tacito accordo tra
popolari e socialisti — dicono fonti di stampa — prevede che i primi assumano la guida del parlamento, dopo un primo mezzo
mandato a guida socialista. Attualmente, la Commissione europea è presieduta dal democristiano lussemburghese Jean-Claude
Juncker, mentre il Consiglio europeo è guidato dal liberale polacco
Donald Tusk. Un popolare al
parlamento darebbe le tre istituzioni al centro-destra: una soluzione controversa che i socialisti
sono poco propensi ad accettare.
Peraltro, va detto che con la partenza di Schulz, Juncker perde
un alleato molto importante.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan (Afp)
ri, può essere decisa solo dalla Commissione, l’esecutivo europeo, che
può agire di sua iniziativa o su richiesta di almeno un terzo degli stati
membri.
E finora, dal presidente JeanClaude Juncker in giù, i toni usati
verso Ankara sono stati tutto sommato concilianti. Mentre tra gli stati,
l’altro pilastro dell’Unione europea,
si fanno strada posizioni meno concilianti: Austria e Lussemburgo, nelle scorse settimane, hanno già parlato apertamente di congelare i negoziati, e altri ministri degli esteri dei
27 hanno in più occasioni espresso le
loro preoccupazioni.
Posizioni alle quali il presidente
turco, Recep Tayyip Erdoğan, citato
dal sito del quotidiano «Hurriyet»,
ha risposto affermando che «la Turchia aprirà le sue frontiere ai rifugiati diretti in Europa se l’Ue proseguirà su questa strada».
La domanda di adesione della
Turchia fu presentata nell’aprile del
1987, quando l’Ue nemmeno esisteva
e c’era ancora la Cee, la Comunità
economica europea. Da allora, i negoziati hanno registrato avanzamenti
e repentini stop.
Il presidente rassicura la popolazione sulla ricostruzione
Uccisa la custode di una casa di riposo per religiosi
Mattarella
nelle zone terremotate
Ore di paura
a Montpellier
ROMA, 25. «Coraggio, ce la faremo»: sono parole che il presidente
della Repubblica italiana, Sergio
Mattarella, ha pronunciato nella sua
seconda visita, oggi, nelle zone del
centro Italia colpite dai violenti sismi del 24 agosto e del 30 ottobre.
Dopo essersi recato nelle Marche,
a Ussita, e in Umbria, a Preci, Mattarella avrebbe dovuto spostarsi nel
Lazio ad Amatrice ma, a causa del
maltempo, non ha potuto decollare
il suo elicottero. Era atteso alla
scuola Romolo Capranica di Villa
San Cipriano, frazione del comune
di Amatrice, simbolo, insieme con
Norcia, della distruzione del terremoto. Il presidente, dunque, ha anticipato la visita proprio nella cittadina umbra di Norcia. A tutti ha
assicurato: «Siate forti, ricostruiremo tutto».
In particolare, a Ussita autorità
locali e docenti universitari hanno
chiesto al presidente di sposare la
proposta di detassare le imprese che
vorranno investire nel territorio e
agevolare le aziende già presenti.
Mattarella a Ussita (Ansa)
PARIGI, 25. «Ci orientiamo verso
una pista locale, qualcuno che era
legato a questa casa. Allo stato attuale dell’inchiesta non c’è alcun
elemento che proverebbe un
qualsiasi legame con il terrorismo
islamico». Con queste parole, il
procuratore di Montpellier, Christophe Barret, ha sintetizzato gli
ultimi sviluppi delle indagini
sull’attacco, avvenuto a Montferrier-sur-Lez, contro una casa di riposo per religiosi.
Ieri sera, un uomo armato e incappucciato, ha fatto irruzione nella struttura, uccidendo con diverse
coltellate la custode che gli aveva
aperto la porta. La donna, tuttavia,
era riuscita poco prima a chiamare
le forze dell’ordine. I primi ad arrivare sono state una quindicina di
teste di cuoio di stanza nella regione, raggiunte poi dai gendarmi e
da altri reparti. I sessanta monaci,
le suore, i cinque o sei impiegati
laici che lavoravano in quel momento nella casa di riposo, sono
stati tutti messi in salvo. L’attentatore è riuscito a fuggire, facendo
perdere le tracce di sé.
«Il direttore della casa mi ha
detto che nessuno parlava arabo e
che non hanno avuto l’impressione
di una minaccia jihadista. Stiamo
attendendo che si trovi l’assassino.
Solo allora si potranno capire molte cose» ha dichiarato l’arcivescovo
non è finita — ha detto Renzi —.
Nessuno può tirare oggi un sospiro
di sollievo, la partita è ancora lunga». Squadre di soccorritori sono in
azione a Perosa Argentina, a pochi
chilometri dal capoluogo piemontese, dove una persona risulta dispersa in località Clot di Ciampiano. Il
disperso, 69 anni, è stato inghiottito
dalle acque del Rio Albona; sembra
che stesse camminando sul fiume
per recuperare i suoi cavalli quando
il terreno è smottato. Complessivamente sono circa 400 gli sfollati,
250 nel cuneese e 150 nel torinese.
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GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Il Tanaro è esondato nell’astigiano allagando la valle Bormida. Problemi per l’acqua anche ad Asti. A
Torino preoccupa il Po, salito un
metro sopra il livello di pericolo, ma
anche alcuni suoi affluenti come il
Chisola, lo Stura di Lanzo, la Dora
Riparia.
Anche la Liguria chiede lo stato
di emergenza per il maltempo che
ha colpito soprattutto il ponente.
Non ci sono ancora analisi definitive dei danni, ma le prime stime della giunta dicono che si tratta di almeno 100 milioni di euro.
Servizio vaticano: [email protected]
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caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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di Montpellier, Pierre-Marie Carré,
che questa nella prima mattina di
oggi si è recato nella casa di riposo. «Non si sa ancora la ragione
dell’attacco, tutte le piste sono ancora aperte. Non si conosce il motivo dell’uccisione di questa donna.
Ci hanno detto che non è per forza
per motivi religiosi. Possono essere
ragioni diverse». In ogni caso, ha
aggiunto Carré, «la vita continua:
vogliamo che si sappia che non ci
sentiamo minacciati. È quello che
abbiamo fatto anche dopo l’assassinio di padre Hamel: affrontare la
situazione con atteggiamento solido, non perdere la fiducia negli altri, avere prudenza ma non cedere
all’angoscia, andare avanti senza
paura con i cuori nella pace».
In giornata, ieri, da fonti della
polizia erano trapelate voci su possibili attacchi terroristici e obiettivi.
Le informazioni erano emerse soprattutto dopo l’arresto, avvenuto
nella notte tra sabato e domenica,
di un gruppo di terroristi nelle zone di Strasburgo e Marsiglia. Le
misure di sicurezza erano state elevate al massimo.
Appena superato il primo anniversario delle stragi del 13 novembre, la Francia sembra essere subito
ripiombata nel clima di paura che
si respira nel paese ormai da due
anni.
L’Is attacca nel Sinai
e uccide otto soldati egiziani
Sfollati e danni per Piemonte e Liguria
Emergenza maltempo nel nord Italia
ROMA, 25. Emergenza maltempo in
Italia. Un disperso nel torinese, torrenti in piena nell’astigiano e
nell’alessandrino, il Po e i suoi affluenti che superano il livello di pericolo a Torino e fanno paura: questa la situazione in Piemonte dopo
l’ondata di piogge che ha investito
il nord-ovest.
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è recato a Torino, dove
ha incontrato il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, e la sindaca di Torino, Chiara
Appendino. «La fase di emergenza
BRUXELLES, 25. Trasferimenti di alcuni richiedenti asilo «tra i più gestibili», chiusura delle frontiere interne, misure «come la detenzione»
per trattenere i migranti. Sono i
punti centrali della bozza di revisione sul regolamento di Dublino
presentata ieri dalla presidenza slovacca dell’Ue, che ha suscitato critiche, in particolare da parte
dell’Italia.
In realtà per capire in quale direzione sarà rivisto il regolamento
sulle procedure di richiesta del diritto di asilo bisognerà aspettare il
prossimo consiglio dei ministri
dell’interno dell’Unione europea il
9 dicembre e il summit dei capi di
stato e di governo previsto il 15 e
16 dello stesso mese. Per il momento, la proposta presentata dalla
Slovacchia, che è presidente di turno del consiglio Ue fino alla fine
di dicembre, è stata fatta circolare
nelle ultime ore a Bruxelles ed è
stata oggetto di incontri ristretti: al
tavolo si sono seduti i rappresentanti slovacchi con quelli maltesi,
che assumeranno la presidenza dal
primo gennaio, con alcuni espo-
IL CAIRO, 25. Un gruppo armato
ha attaccato ieri un posto di blocco
dell’esercito egiziano nella turbolenta provincia del Sinai, nel nord
dell’Egitto, uccidendo otto soldati.
Lo ha riferito il portavoce delle
forze armate, Mohamed Samir, in
una nota citata dal sito del quotidiano governativo «Al-Ahram».
Secondo il portavoce, un commando a bordo di un veicolo 4x4,
imbottito di esplosivo, ha attaccato
il posto di blocco, scatenando uno
scontro a fuoco e facendo poi
esplodere il veicolo e una seconda
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
bomba. Negli incidenti hanno perso la vita anche tre terroristi.
Nessun gruppo ha finora rivendicato la responsabilità dell’attacco,
ma nell’area sono stati diversi gli
agguati messi in atto da una fazione affiliata al cosiddetto stato islamico (Is), ritenuta responsabile, tra
l’altro, dell’abbattimento di un aereo russo nell’ottobre del 2015, a
bordo del quale si trovavano 224
persone. Da mesi, le forze di sicurezza dislocate nella penisola del
Sinai sono spesso prese di mira.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
nenti della commissione e rappresentanti di vari paesi.
Forti critiche sono state espresse
dall’Italia, paese più esposto agli
sbarchi di migranti dal Mar Mediterraneo e in assoluto quello con
più arrivi nel 2016. Anzitutto, l’Italia respinge l’idea di trasferimenti
solo per alcune categorie di richiedenti asilo, «quelli più facilmente
integrabili» o «solo i soggetti vulnerabili». Infine, l’ipotesi di “detenzione” per i migranti per evitare
il loro spostamento pone serie questioni di violazioni di diritti umani.
Intanto, nelle acque del Mediterraneo è stata intercettata una barca
a vela con 70 persone, guidata dalle coste turche verso l’Italia da tre
scafisti ucraini. Mentre in Bulgaria
si è conclusa la rivolta nel campo
profughi di Harmanly, che ospita
3000 migranti. Sono state arrestate
400 persone tra le 1500 che avevano protestato contro il divieto di
uscita dal campo.
Entrata in vigore
dell’accordo
tra Santa Sede
e Francia
La Santa Sede e la Repubblica
francese, con rispettive Note Verbali del 22 agosto 2016 e del 23 novembre 2016, hanno notificato il
compimento delle relative procedure, richieste per l’entrata in vigore
dell’Avenant alle Convenzioni diplomatiche del 14 maggio e dell’8
settembre 1828 e agli Avenants del
4 maggio 1974, del 21 gennaio 1999
e del 12 luglio 2005, relativi alla
chiesa e al convento della Trinità
dei Monti, che era stato firmato il
25 luglio 2016.
Pertanto, l’Avenant è entrato in
vigore il 23 novembre 2016, a norma dell’Articolo 4 dell’Accordo
medesimo.
Bambini
scudi umani
in Libia
TRIPOLI, 25. Nuovi orrori in Libia
sono stati denunciati ieri dall’assistente del comandante delle truppe
impegnate a Sirte contro i miliziani
del cosiddetto stato islamico (Is), il
generale di fanteria Abdel Hadi
Dara. Il militare — scrive il portale
di notizie Alwasat — ha infatti reso
noto di avere trovato i cadaveri di
due bambini, di dieci e dodici anni, con indosso cinture esplosive.
I bambini sono stati rinvenuti
all’interno di un’abitazione nel
quartiere di Giza al Bahareya, dove
sono asserragliati i jihadisti dell’Is.
I terroristi dell’Is li avrebbero “utilizzati” come scudi umani, hanno
precisato fonti militari, che hanno
anche trovato in un palazzo del
quartiere alcuni jihadisti con arti
amputati e altri feriti, oltre a un ingente quantitativo di armi, munizioni ed esplosivi.
Anche a Sirte prosegue senza sosta l’offensiva contro l’Is. Lo scrive
la missione Africom sul suo sito,
precisando che dallo scorso primo
agosto fino a ieri sono stati condotti ben 420 raid aerei contro postazioni di combattimento dei jihadisti. Nonostante tutto, un gruppo di
bambini è tornato ieri a scuola ad
Al Sawawa, un sobborgo orientale
della città di Sirte.
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sabato 26 novembre 2016
pagina 3
In fuga dalle fiamme
nei pressi di Haifa (Ap)
L’ultimo discorso ufficiale del presidente Obama
Appello all’unità
Toni concilianti anche da Trump
WASHINGTON, 25. Un appello
all’unità: questo il filo conduttore
del messaggio rivolto da Barack
Obama agli statunitensi in occasione della festa del Ringraziamento
(Thanksgiving) che viene celebrata
tradizionalmente l’ultimo giovedì
Rinvenute
fosse
comuni
in Messico
CITTÀ DEL MESSICO, 25. Il Messico continua a registrare nuovi
orrori nella violenza collegata ai
cartelli della droga: una vera e
propria “guerra” innescata dalla
lotta per il controllo del territorio
e delle rotte del narcotraffico, che
recentemente ha visto crescere il
coinvolgimento di bande criminali minori al fianco di quelle
più conosciute ed efferate.
Fosse comuni con 32 cadaveri
e nove teste sono state rinvenute
ieri dalla polizia nella località di
Pochahuixco, nella municipalità
di Zitlala, nello stato meridionale
del Guerrero. Molto probabilmente, sono convinti gli inquirenti, si tratta di vittime della feroce faida in atto tra bande locali
per il controllo del rimunerativo
traffico di sostanze stupefacenti.
Le autorità dello stato del
Guerrero — lo stesso dove nel
settembre del 2014 scomparvero
43 studenti — hanno riferito che i
cadaveri, in avanzato stato di decomposizione, sono stati rinvenuti in 17 diverse fosse comuni.
Intanto, il tribunale civile di
giustizia di Città del Messico ha
dichiarato ieri «ricevibile» il ricorso presentato dalla difesa del
leader dei narcos messicani Joaquín Guzmán (meglio conosciuto
come “el chapo”) contro l’estradizione verso gli Stati Uniti.
L’appello, presentato al quinto
tribunal
colegiado,
intende
bloccare il trasferimento, deciso
da un tribunale del Texas, del
narcotrafficante in un carcere statunitense, dove è legale la pena
di morte. Guzmán attualmente è
detenuto nel carcere di massima
sicurezza di Ciudad Juárez, vicino alla frontiera con El Paso, in
Texas. Secondo i suoi avvocati le
richieste di estradizione e i trattati firmati dal Messico e dagli
Stati Uniti in materia non soddisfano gli standard richiesti per
un giusto processo. I legali osservano inoltre che i reati per i quali
l’imputato è ricercato in Texas
ricadono sotto la giurisdizione
del Messico, quindi Guzmán dovrebbe essere giudicato in quel
paese. Si attende ora la decisione
ufficiale.
del mese di novembre. Ieri il 44°
presidente degli Stati Uniti, che lascerà la Casa Bianca il 20 gennaio
prossimo, ha voluto così mettere la
parola fine alle polemiche che hanno segnato la campagna elettorale.
«Il Thanksgiving ci ricorda che
non importano le nostre differenze.
Noi siamo sempre un unico popolo,
parte di un qualcosa che è più grande di noi stessi» ha detto Obama.
«Riflettiamo su ciò che ci lega veramente come americani. Non è mai
stato più importante. Come paese,
siamo appena usciti da una campagna elettorale rumorosa, appassionata e talvolta piena di divisioni. Le
elezioni sottolineano spesso quello
che ci divide: ci si divide tra un
“noi” e un “loro”». E tuttavia «il
Ringraziamento ci ricorda che non
importano le differenze: siamo un
solo popolo, parte di qualcosa di
più grande» ha spiegato Obama.
Che poi ha fatto riferimento all’eredità di Lincoln, in un omaggio solenne alla storia e alla tradizione.
«Oggi, continuiamo a rendere grazie. Rendiamo grazie a uomini e
Numerosi incendi devastano Israele e la Cisgiordania
Giorni di fuoco
TEL AVIV, 25. Emergenza incendi in
Israele e Cisgiordania. Questa mattina le fiamme hanno raggiunto le
colline di Beit Meir, a dieci chilometri circa da Gerusalemme, mentre
ad Haifa la situazione — complice
una diminuzione del vento — sembra essere tornata sotto controllo.
Oltre 80.000 persone sono state costrette ad abbandonare le loro case.
La polizia e le forze di sicurezza
hanno fatto sapere di aver fermato
circa dodici palestinesi, accusati di
aver appiccato il fuoco o di aver
istigato azioni in tal senso. Il ministro della sicurezza, Gilad Erdan, e
lo Shin Bet (il servizio di sicurezza
interno israeliano) hanno confermato l’arresto «di alcune persone». Per
il momento, comunque, non sono
Rientra l’allarme maremoto
Terremoto scuote l’America centrale
SAN SALVAD OR, 25. Un forte terremoto ha scosso ieri diversi paesi
dell’America centrale, poche ore dopo che l’uragano Otto si era abbattuto sul Nicaragua e sulla Costa Rica con piogge torrenziali e forti venti. In un primo momento, le autorità hanno dichiarato allerta maremoto. Tuttavia — secondo quanto diffuso da un bollettino dell’agenzia me-
teorologica statunitense che monitorizza il Pacifico — l’allerta è rientrata
già in tarda serata e l’emergenza è
calata.
L’epicentro del sisma di magnitudo 7,2 della scala Richter è stato localizzato al largo del Nicaragua e
della costa di Usulutan, nello stato
di El Salvador, a una profondità di
33 chilometri, secondo i dati del-
l’agenzia governativa statunitense
Geological Survey. Ma la scossa è
stata avvertita chiaramente anche a
Managua, capitale del Nicaragua, in
Costa Rica e in Guatemala.
I servizi di emergenza delle zone
coinvolte hanno riferito che al momento non risultano notizie di vittime o di danni rilevanti. Come detto, subito dopo la scossa, le autorità
Forze dell’ordine del Nicaragua sulla spiaggia di Masachapa dopo l’allerta tsunami (Afp)
Accuse reciproche
tra India e Pakistan
ISLAMABAD, 25. Non accenna a diminuire di intensità il confronto tra
Pakistan e India sul Kashmir. In
una nota ufficiale, il governo di
Islamabad ha fatto sapere ieri di
«non essere disposto a tollerare ulteriormente che propri civili muoiano per attacchi deliberati da parte
delle forze militari indiane» lungo
la cosiddetta Linea di controllo
(Loc) che funge da confine ufficioso indo-pakistano in Kashmir.
Islamabad ha denunciato che un
bombardamento di artiglieria indiana in vari settori pakistani della regione himalayana ha causato la
morte di undici civili e tre militari.
Parlando in una riunione di alto
livello, il primo ministro, Nawaz
Sharif, ha detto che «il Pakistan
non può tollerare che propri civili
innocenti, particolarmente donne e
bambini, ambulanze e automezzi
per il trasporto di passeggeri, siano
donne coraggiosi che difendono la
libertà in ogni angolo del mondo. E
onoriamo tutte le persone che continuano ad arricchire il nostro patrimonio e dare significato ai nostri
valori fondanti. In America — ha
aggiunto — non siamo legati da una
razza o una religione, ma dall’adesione a una credenza comune: che
tutti noi siamo uguali».
Parole concilianti sono giunte anche dal presidente eletto, Donald
Trump, che ha festeggiato il Ringraziamento a Palm Beach. «Le tensioni non si superano in una notte» ha
detto Trump. Tuttavia, «è ora di recuperare i rapporti di fiducia tra i
cittadini».
Intanto, si registrano nuove polemiche sui risultati del voto. Jill
Stein, del partito Verde, ha lanciato
una campagna per chiedere il riconteggio in tre stati: Wisconsin, Michigan e Pennsylvania. Diversi studiosi avevano sottolineato irregolarità nelle procedure, non escludendo
peraltro l’ipotesi dell’intervento di
hacker.
deliberatamente colpiti». Al riguardo il premier ha ricordato che «il
Pakistan ha mantenuto un atteggiamento prudente nonostante le continue violazioni del cessate il fuoco
da parte delle forze di sicurezza indiane».
Alcuni giorni fa, anche l’India
aveva accusato le forze militari di
Islamabad di ripetute violazioni
della già fragile tregua. «L’esercito
pakistano — si legge in un comunicato diffuso da New Delhi — ha
aperto il fuoco senza essere stato
provocato nel settore di Manjakot
del distretto di Rajouri nella regione di Jammu». Negli scontri è rimasto ucciso un soldato e altri sette
sono stati feriti. La tensione rimane
molto alta.
Per il controllo del Kashmir, India e Pakistan — paesi entrambi dotati di arsenale nucleare — hanno
combattuto due guerre.
hanno diramato per precauzione un
allarme maremoto, ordinando alla
popolazione di ritirarsi ad almeno
un chilometro dalla costa.
Il Nicaragua e la Costa Rica avevano già predisposto piani di emergenza a causa dell’arrivo di Otto
sulle coste caraibiche dei due paesi,
provvedendo allo sfollamento di circa diecimila persone, poiché l’uragano aveva già causato almeno quattro
morti e ingenti danni a Panama.
In Costa Rica l’uragano ha provocato un numero imprecisato di
vittime e dispersi, secondo quanto
dichiarato dal presidente costaricano
Luis Guillermo Solis, il quale ha annunciato la firma del decreto di
emergenza nazionale, affermando
che «è necessaria per snellire le procedure burocratiche al fine di utilizzare risorse umane, tecniche e finanziarie e far fronte agli effetti
dell’uragano».
Per quanto riguarda invece il Nicaragua, anche il presidente Daniel
Ortega ha dichiarato lo stato di
emergenza nazionale in tutto il paese. La protezione civile ha riferito
che l’uragano ha danneggiato migliaia di abitazioni e interrotto le linee telefoniche, ma al momento non
risultano vittime. Tuttavia migliaia
di persone sono state sfollate e necessitano di aiuti.
Nell’Atlantico la stagione degli
uragani ha avuto inizio il 1° giugno
e si concluderà il 30 novembre.
Alla ricerca di una soluzione al conflitto afghano
I talebani e il dialogo di pace
KABUL, 25. I talebani sono impegnati in un ampio dibattito per valutare la possibilità di intavolare
colloqui con «interlocutori stranieri
e con la controparte afghana», al fine di trovare una soluzione al
conflitto.
Lo scrive il quotidiano «Express
Tribune» di Islamabad. Citando
una fonte dell’ufficio politico
dell’emirato islamico dell’Afghanistan in Qatar, il giornale precisa che
per la prima volta nel dibattito sono
stati coinvolti i comandanti delle
forze che combattono sul terreno. Il
quotidiano ha sottolineato che «si
tratterà di una decisione presa a livello nazionale e che le consultazioni sono in corso a tutti i livelli».
L’ufficio politico dei talebani ha
voluto quindi smentire di ricercare
una vittoria militare, sottolineando
che noi «vogliamo una soluzione
non-militare».
Bambini afghani in un campo per sfollati interni vicino Kabul (Epa)
segnalate vittime. Israele ha chiesto
aiuto alla comunità internazionale
per ottenere più aerei per spegnere
le fiamme.
«Ogni incendio doloso, o anche
chi incita a fare incendi — ha sottolineato Netanyahu — è un atto di
terrorismo e così sarà considerato.
Già ieri abbiamo detto che ci sono
incendi per negligenza e altri appiccati volontariamente. Questi ultimi
stanno crescendo. Fronteggiamo un
terrorismo dei piromani. Chi cerca
di bruciare la terra di Israele sarà
punito con la massima durezza».
Come detto, la situazione è particolarmente critica ad Haifa, terza
città del paese. Il sindaco Yona
Yahav ha parlato di «disastro nazionale». Non siamo — ha detto — «in
grado di dire quanta gente è coinvolta. Stiamo chiedendo a quelli che
sono ancora a casa di lasciarla».
Da stanotte molti sobborghi di
Haifa saranno senza elettricità. La
situazione altrove non è delle migliori: nel centro del paese, oltre a
Gerusalemme e Modiin, sono state
pesantemente colpite altre località
come Nirit, dove alcune case sono
in fiamme. E anche le foreste intorno a Nazareth sono minacciate.
Secondo i media israeliani, Hamas, da Gaza, avrebbe espresso soddisfazione per i roghi. Tuttavia, da
Ramallah, Al Fatah ha condannato
tali espressioni di giubilo e il presidente palestinese, Mahmoud Abbas,
ha anche offerto aiuti a Israele.
Denunciate
violenze
sui rohingya
NAYPYIDAW, 25. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha denunciato ieri «pulizia etnica» contro la minoranza musulmana dei rohingya nel Myanmar.
Secondo quanto dichiarato da
John McKissick, rappresentante
dell’Unhcr, l’esercito governativo sarebbe impegnato «in azioni di rappresaglia» contro i rohingya dopo
l’uccisione di nove guardie di frontiera a ottobre scorso. «Le forze di
sicurezza — accusa ancora il funzionario — hanno massacrato bambini,
violentato donne, ucciso uomini, dato fuoco ad abitazioni e costretto la
popolazione ad attraversare un fiume per entrare in Bangladesh».
Il governo di Naypyidaw ha negato ogni violenza e responsabilità,
sostenendo che sarebbero stati i
rohingya a incendiare le loro stesse
abitazioni.
Da circa un mese, sono in corso
scontri tra l’esercito governativo e la
minoranza musulmana. Dal 9 ottobre scorso, quando un gruppo di
rohingya ha assaltato diverse postazioni delle forze di sicurezza, riuscendo a portare via centinaia di armi da fuoco, le autorità hanno chiuso la zona a giornalisti e operatori
umanitari, intensificando la presenza dell’esercito.
Nonostante la pressione internazionale, indicano gli analisti politici,
i disordini continuano e si rischia
un’escalation. Privati della cittadinanza e considerati immigrati illegali provenienti dal Bangladesh, i
rohingya — come ricordano le Nazioni Unite — sono la minoranza etnica più perseguitata al mondo.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
sabato 26 novembre 2016
Giuseppe De Luca e Giovanni Papini
verso la metà degli anni Trenta
di PAOLO VIAN
uello con Giovanni Papini fu,
per don Giuseppe De Luca, il
grande rapporto della vita. Il
triennio 1930-1932, ora rispecchiato nell’esemplare edizione
del carteggio a cura di Anna Scarantino,
si presenta come un periodo particolare
(G. De Luca - G. Papini, Carteggio, II:
1930-1932, a cura e con un saggio introduttivo di A. Scarantino, Roma, Edizioni
di Storia e Letteratura; I: 1930, pp. CXXVI
+ 234, 2015; II: 1931, pp. XII + 283, 2015;
III: 1932, pp. XII + 179, 2016).
Dal 1927 De Luca è archivista presso la
Congregazione per la Chiesa Orientale
ma vive con crescente insofferenza l’impegno burocratico, che lo distrae dagli studi
e dalla scrittura. L’anelito alla liberazione
dalle catene dell’ufficio curiale coincide
con l’acuta consapevolezza che il nuovo
decennio chiude una fase e ne apre un’altra. Il prete romano avverte che si sta ormai compiendo la sua «faticosa uscita di
giovinezza»; si sente «sul limitare degli
anni buoni, degli anni che spero e voglio
laboriosi e grandi» (I, 152). La morte
(maggio 1931) del cardinale vicario Basilio
Pompili, che «mi volle e fece un bene
grandissimo» ma fu anche «il nemico
maggiore e irremovibile del mio studio»,
gli conferma che si è consumata «la liquidazione del ventennio 1911-1931» (II, 67).
Con gli anni Venti di fatto termina il periodo di formazione; gli anni Trenta vedranno De Luca, immerso nella sua sta-
Q
Il carteggio fra Giuseppe De Luca e Giovanni Papini
Confronto ricchissimo
207). Infine, a unire i due è lo spirito antiborghese che a Papini fa preferire agli «albergoni di gente ammodo» (Nuova antologia, Pegaso) una «locanduccia di campagna» come il «Frontespizio», dove si
«può dire tutto ciò che oggi è concesso
dire» (II, 64).
Fra confessioni e sfoghi scorrono così
questi 243 messaggi, sostanzialmente estranei alla dimensione politica, ma non a
soggetti che appassionano i corrispondenti. Scegliamone due.
Il primo, fra il luglio e il settembre
1930, è costituito da Gioacchino da Fiore
e dalla sua posterità e si allarga a comprendere il ruolo dello Spirito santo, del
clero e dell’eresia nella
vita della Chiesa. Sono
questi gli anni in cui ErEntrambi conducono una duplice battaglia
nesto Buonaiuti, privato
della cattedra universitaContro la cultura ufficiale
ria, si sta dedicando a
che vorrebbe eliminare quella cattolica
una rivisitazione storica
dell’abate
calabrese.
dal patrimonio nazionale
L’edizione di testi e la
Ma anche contro l’Italia religiosa ignara di sé
stesura di una monografia (1930), segnata da
un’interpretazione radigione letteraria, prendere il largo con nuo- cale ed eversiva del personaggio e del suo
ve e più vaste esperienze: la collaborazio- messaggio, condizioneranno a lungo la
ne al «Frontespizio», con i rapporti sem- comprensione del personaggio. De Luca e
pre più stretti con Piero Bargellini, e quel- Papini sembrano condividerla, ma mentre
la con la Morcelliana di Brescia, rappre- il primo rifiuta questo Gioacchino buosentata da Fausto Minelli. Nuovi interlo- naiutiano, Papini ne sembra attratto. Concutori soppiantano i vecchi. Nel vorticoso fessando una debolezza per Gioacchino (I,
scenario di “porte girevoli” Papini rappre- 104), si domanda se sia necessario spengesenta la stagione della giovinezza e dei re ogni fiamma perché la casa a uso dei
primi, incerti passi, lo specchio e il testi- mediocri non bruci. Ogni volta che la
mone della crescita e delle sue difficoltà, Chiesa ha represso i moti apocalittici —
in una parola, la continuità della sua vita sostiene Papini riprendendo Buonaiuti —
ne è derivata una rifioritura di paganesie, in fondo, la garanzia della sua fedeltà.
Chi è dunque Papini per De Luca? Si mo. In realtà la promessa di Gesù circa il
potrebbe rispondere: è colui che difende
De Luca da se stesso, dalle sue contraddizioni, dalle sue incertezze; è colui che ha
compreso il De Luca migliore e più vero e
vuole salvarlo a tutti i costi, dai pericoli
costanti della dispersione, per spingerlo al
lavoro sulla storia della pietà italiana che
sarà il sogno, mai realizzato, di tutta la
sua vita. De Luca lo affermerà con implacabile chiarezza il 29 agosto 1931: ha ben
presenti nella memoria «certe sue (scil.: di
Papini) parole sulla mia vera vocazione, e
sull’amicizia che anche lei ha per questo
mio me migliore, quasi ella stia testimone
contro ogni mio attentato contro di esso, e
incoraggiatore ad amarmi anch’io così»
(II, 148-149). In questo intreccio di affetti
e contraddizioni, rampogne e propositi, si
dipana un’amicizia unica e profondissima,
consolidata da impegni e atteggiamenti
comuni.
Sia Papini che De Luca conducono una
duplice battaglia, contro la cultura ufficiale, che ignora quella cattolica e la vorrebbe anzi eliminare dal patrimonio nazionale; ma anche contro l’Italia religiosa, «vecchia oziosa e lenta» (Petrarca, Canzoniere,
XI, 12; II, 174), ignara di sé, inconsapevole
della sua storia e della sua tradizione,
spenta in un’aria asfittica da sacrestia.
Per essa De Luca sogna un rinnovamento profondo. Il «Frontespizio» e la
Morcelliana devono esserne strumento
spezzando «la muraglia cinese fra cattolici
e il resto del mondo» (I, 161), tanto più in
una Chiesa divisa fra «chiesoline e campanili» (I, 162) che lo irrita e lo indispone.
Gli fa eco Papini che tuona contro «tanti
cattolicuzzi rinserrati nel devozionalismo
esterno» (I, 68) e si dice paradossalmente
convinto che la salvezza del cristianesimo
verrà dai non cristiani (I, 69). Entrambi
sentono poi che il cristianesimo non è calGiuseppe De Luca rappresentato
ma quiete (I, 207) o sonno (I, 213), è piutnella Porta della Morte di Giacomo Manzù
tosto un «terribile lievito» (II, 15), che in(San Pietro, 1964)
duce «l’insonnia della responsabilità» (I,
Paraclito non si è esaurita nella Pentecoste. E, se è giusto condannare gli eretici,
guai se non ci fossero, a scuotere il perbenismo borghese e tranquillo di tanti cristiani. Si comprende come il Papini profetico delle Lettere agli uomini del papa Celestino VI (1946) e de Il diavolo (1953), che
vede «questa civiltà (...) già avvolta da vaporazioni apocalittiche» (I, 186), abbia radici profonde e lontane. De Luca conviene sull’accezione papiniana di eretico (I,
106-107) ma stigmatizza la fantasia gioachimita dell’amico. La discesa dello Spirito santo nel giorno di Pentecoste non ammette altre venute in particolari fasi storiche ma si consuma continuamente nelle
anime. De Luca sente nell’amico il pericolo di un cristianesimo non ecclesiastico e
reagisce con forza a favore dell’istituzione,
anche nelle sue miserie e nei suoi grigiori:
«Io non saprei amar Cristo, sentendomi
solo» (I, 91), scrive il 5 luglio. Che Papini
non disprezzi gli uomini, ma li ami, perché essere cristiani significa «sormontare
ogni ora sé stesso» (I, 92).
Il confronto prosegue vivace (I, 114-115,
116-117). Papini riconosce che il gioachimismo come forma storica dell’attesa del terzo Regno è morto ma rivendica con forza
che il cristianesimo è Attesa, è «una religione di aspettanti» (I, 118-119) e confessa
di preferire Bonaventura a Tommaso, che
è «tedesco di sangue e d’indole tedeschissimo» (I, 120). Le due risposte di De Luca, del 6 e del 9 settembre 1930, sono di
straordinario interesse e valore (I, 127-128,
132-141).
Non viene solo considerato il ruolo dello Spirito santo nella vita della Chiesa e
del cristiano, ma contro la «pregiudiziale
antiecclesiastica» di Papini. De Luca torna
ad affermare la dimensione sociale del cristianesimo che di necessità postula la
Chiesa, a sostenere il valore del concilio di
Trento e del Vaticano I, a difendere e al
tempo stesso a circoscrivere il ruolo del
clero che, come categoria di uomini, può
essere criticato ma, come custode del deposito della fede, non è soggetto al giudizio degli uomini. Contro le ricostruzioni
alla Sabatier e le tentazioni “spirituali”,
De Luca afferma che lo stesso francescanesimo “puro”, quello delle origini della
«fraternitas», per essere fecondo e vitale
doveva essere «inalveato» nella Chiesa,
anche rinunciando a taluni suoi caratteri
originari. In realtà la Rivelazione è compiuta. La discesa dello Spirito santo nei
cuori non è una rivelazione successiva e il
cristiano può attendere solo la Parusia,
non altro, ripetendo sempre le parole
dell’Apocalisse (22, 20): Veni, Domine Jesu
(saranno le ultime parole di De Luca morente, il 19 marzo 1962, al Fatebenefratelli
dell’Isola Tiberina). Lo Spirito santo dunque non rivela un’altra verità ma rende
presente Cristo in noi; e se la vita cristiana, quando è autentica, non è un ricordo
archeologico ma una compagnia vitale, ciò
è possibile solo grazie allo Spirito (I, 136138). Lo scambio su Gioacchino, sul gioachimismo e sullo Spirito santo rappresenta
uno dei momenti più alti del carteggio,
ma anche una pagina importante del dibattito del Novecento italiano sull’abate
calabrese e meriterà di essere ricordato.
L’anno dopo, le parti si rovesciano.
L’«apocalittico» Papini difende l’istituzione, mentre l’«integrato» De Luca mostra
insofferenza per essa. Nel giugno 1931, in
uno dei suoi frequenti momenti di scoramento, De Luca scrive di provare certe
volte noia del suo sacerdozio; si sente un
isolato; beninteso non vuole lasciare, vuole solo essere prete migliore o meglio vuole solo esserlo «davvero» (II, 89). Per tale
motivo si lamenta dell’«accentramento curiale», della «papalatria» «a danno del
sia né la storia: «Quel che cerco» è
«l’amore di Dio» (II, 172).
Un dibattito che sembra rievocare l’incubo di Girolamo, nel quale il dalmata
viene duramente accusato da un angelo di
non essere cristiano, ma ciceroniano. De
Luca, che già si era detto convinto della
necessità che i preti pensassero solo al loro
ministero (I, 34) e aveva tuonato contro il
prete-impiegato (I, 50), forse però si conferma nell’idea che il prete deve comunque essere senza altri impegni e aggettivi,
prete-prete. Un’idea che negli anni successivi gli sarà molto cara, diventerà anzi una
costante della sua concezione del sacerdozio cattolico e alla quale forse ha contribuito questo confronto col laico Papini.
Il ricchissimo confronto del triennio
non può ridursi a questi due momenti del
dibattito. Nelle lettere vi sono frasi e brani
bellissimi, che colpiscono, come quella che
De Luca dedica a Cristo, che «non sarà
amato, sino a che apparisce un fantasma,
un mito, una divozioncella, e non il Signore delle anime, e il Maestro dell’uomo
e l’Amico» (I, 74).
Ma dal carteggio si possono anche raccogliere una serie di elevazioni decisamente meno mistiche, con giudizi taglienti e
talvolta fulminanti, forse non sempre giusti ma comunque «intelligenti», nel senso
di capacità di cogliere una personalità nei
suoi aspetti più veri e profondi.
Eccone alcuni di De Luca. Umberto
Benigni, «che ha più malignità che ingegno e ha moltissimo ingegno» (I, 3-4); Ernesto Buonaiuti, «nato prete, non studioso
né poeta. E così ora è condannato a non
far altro che il prete, sia pure il prete spretato» (I, 114-115); ancora su Buonaiuti, ma
riferendo le valutazioni del cardinale Pompili, a proposito di «questo suo prete incredulo del tutto» che «non è né cristiano
più né figlio della Chiesa» (II, 80); Agostino Gemelli, «grosso uomo da fiera, senza una sensibilità al mondo» (II, 185). Ma
anche il fiorentinissimo Papini non è da
meno, a proposito di Giuseppe Ungaretti,
«il Valery dei Castelli», «poeta stitico e
senso cristiano nei fedeli», dei molti istituti umani che poco hanno a che fare con
Cristo (II, 90). In seguito precisa e ribadisce: non ne può più dell’ambiente curiale;
non è il sacerdozio a provocargli disagio
ma talune traditiones seniorum (II, 105-106).
Per quanto De Luca senta il bisogno di
chiarire che queste idee nulla hanno a che
fare col modernismo, Papini si allarma e il
29 giugno 1931 risponde preoccupato (II,
100-104) e non senza imbarazzo: «Posso
io, ultimo venuto nella Chiesa, ricordare a
un prete quel che significa esser prete?
Posso
io,
vecchio
anarchico,
riprovare
certe letture — e, vecchio letterato, biasimare certe amicizie?».
Papini conviene sui
pericoli di un disseccamento della ecclesia
ridotta a papismo; ma
la Chiesa è la Chiesa.
Soprattutto è inquieto,
sul piano personale,
per i rischi che corre
De Luca per le sue
letture di Voltaire («lo
stile non fa d’un porco un uomo», II, 104),
per il suo «epicureismo della parola» (II,
102), per le amicizie
con Antonio Baldini e
Pietro Pancrazi, ai
quali riserva critiche
severe.
De Luca replica piccato a proposito delle
letture e delle amicizie
con i letterati: «Ma lei
sa che io miro altrove:
miro a farmi leggere, a
non permettere, mai,
che nessuno de’ miei
amici non credenti
possa credere che io
credo perché non ho letto. No, no, mai. Io ho
«Gioacchino da Fiore nel suo studio» (1516, incisione)
letto né più né meno
quel che leggono loro,
e credo» (II, 107). E
nella lettera si dilunga a spiegare metodo, presuntuoso» con «la più velenosa lingua
modalità, intenti delle sue amicizie con i del Regno» (II, 215); di Mario Missiroli,
«il Gesuita senza Compagnia» (ibid.); di
letterati.
Questa del 2 luglio 1931 è una delle let- Ardengo Soffici, «un cattolico alla Maurtere più belle di don Giuseppe, nella qua- ras» (II, 222).
Significative sono le indicazioni che De
le spiega come meglio non si potrebbe il
senso della sua missione ai confini del Re- Luca offre a Papini a proposito del «Frongno, fra i letterati, nell’amore per le belle tespizio». Don Giuseppe lo vuole strulettere. De Luca risponde colpo su colpo mento per vedere il mondo in Dio (II,
(II, 119-123), ma anche Papini rincara la 130), lo immagina strumento per «iniziare
dose: il letterato non è compatibile col una nuova intelligenza della Storia d’Italia» (II, 193); non scrivendo
solo di religione o di arte religiosa, aprendosi anche ad
Dalle lettere si possono anche raccogliere
«autori non nostri» (II, 198199). De Luca invita quindi
una serie di elevazioni
Papini a scendere nell’agone
decisamente meno mistiche
dell’impegno, forse con la
direzione di un giornale (I,
con giudizi taglienti e talvolta fulminanti
171-173); e lui non si schermiForse non sempre giusti
sce ma non nasconde perplessità perché «i violenti
ma comunque intelligenti
che dovrebbero rapire il cielo son divenuti scaldapanche
o ronds-de-cuir» (I, 176). Di
prete (II, 125-127) e un uomo che veramen- più, De Luca vuole che divenga «il leader
te vive con Dio non è mai solo. De Luca dell’anima italiana, cristiana e nazionale,
riconosce che «soffro d’amore alla lettera- specie dell’animo giovanile» (II, 174). Il
tura» (II, 145) e offre a Papini il destro per momento, subito dopo la Conciliazione
ribadire nuovamente: De Luca prete ama del 1929, è unico perché sino ad allora i
troppo la letteratura (II, 167-168). Provo- cattolici erano stati partito, i clericali,
cando ancora la reazione di De Luca che mentre ora possono divenire nazione, reail 20 settembre, senza preoccuparsi di con- lizzando veramente l’unità italiana finora
traddirsi, afferma risolutamente di non mancata. Per i due amici sarà l’impegno,
amare in fondo né la letteratura né la poe- instancabile e generoso, degli anni Trenta.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 26 novembre 2016
pagina 5
Beato Angelico,
«Storie di san Nicola di Bari» (1437)
La vita eterna nella visione cristiana
Verso
il mare senza confini
stiana nella vita degli uomini. Poiché,
secondo la promessa della fede cristiahe speranza sarebbe una na, è la vita presente che verrà glorifisperanza valida soltanto cata nel futuro in Dio, la speranza nelper questa vita terrena e la la vita dopo la morte riporta l’attencui unica forza consiste- zione del cristiano alla vita presente
rebbe in ultima analisi prima della morte. Lo sguardo fidunell’avvicinarci alla fine certa della no- cioso che si spinge oltre i confini della
stra vita nella tomba? Allora davvero, morte verso il compimento della vita
come dice giustamente Paolo, sarem- nell’aldilà non può dunque mai distomo «da compiangere più di tutti gli gliere il cristiano dai compiti del preuomini» (1 Corinzi, 15, 19). Ma la spe- sente; piuttosto, esso lo induce ad afranza cristiana degna di questo nome frontare questi compiti in maniera deha un più ampio respiro. Essa dà pro- cisa e ad impegnarsi a favore della vita
va di sé anche e precisamente oltre la degli altri uomini e di tutto il creato.
Questa conseguenza logica della femorte. Difatti, il vero amore vuole
l’eternità, come ha sottolineato in ma- de ha trovato conferma in vari modi
niera pertinente il poeta francese Ga- nella storia del cristianesimo. Basti ribriel Marcel: amare davvero qualcuno cordare l’esempio eloquente di quelle
significa dirgli che non morirà. La ve- comunità monastiche e religiose che,
ra speranza dà prova di sé nel fatto per desiderio della vita eterna quale
che accordiamo ai morti la vita eterna. patria, hanno lasciato la loro patria
Ancor più, l’amore infinito di Dio terrena per cercare e testimoniare Crivuole l’eternità per ogni uomo. In sto come stranieri in terre straniere,
questo consiste la grande speranza entrando così a far parte dei principali
della fede cristiana, come
ha espresso Papa Benedetto XVI con parole molto belle nella Spe salvi, riferendosi a quanto detto
da Giuseppina Bakhita:
«Io sono definitivamente
amata e qualunque cosa
accada — io sono attesa
Pubblichiamo uno stralcio della relazione
da questo Amore» (n. 3).
del cardinale presidente del Pontificio
L’escatologia cristiana
Consiglio per la promozione dell’unità dei
promette all’uomo il futucristiani pronunciata il 25 novembre
ro, se l’uomo vive in
durante il simposio internazionale
quella grande speranza
sull’escatologia promosso dalla Fondazione
che può essere soltanto
Ratzinger. L’incontro si conclude il 26
Dio, il quale è il solo che
novembre con la consegna del premio
può donarci ciò che non
Ratzinger.
possiamo ottenere da soli,
ovvero la vita eterna. La
dinamica di questa speranza nella vita dell’uomo
è stata descritta dal pilota
e scrittore francese Antoine de Saint- diffusori di civiltà e di cultura nel paeExupéry: «Se vuoi costruire una barca, saggio europeo.
non radunare uomini per tagliare leSimilmente, noi cristiani ci troviamo
gna, dividere i compiti e impartire or- oggi davanti alla sfida di mantenere in
dini. Ma desta in loro il desiderio per un sano equilibrio ciò che non può esil mare vasto e infinito». Se trasferia- sere diviso, preservando le giuste priomo questa massima alla fede cristiana rità, come ha osservato in maniera
e al suo annuncio, possiamo declinarla pertinente Christoph Schönborn (Exinel senso seguente: è più importante stenz im Übergang. Pilgerschaft, Reindestare nell’uomo di oggi il desiderio karnation, Vergöttlichung, Einsiedeln
per l’ampio oceano della vita eterna 1987, p. 94): «La vera “responsabilità
che organizzare la vita presente.
per l’aldiqua” cresce soltanto in base
Si fraintenderebbe la massima di
all’autentica “speranza nell’aldilà”. Ma
Saint-Exupéry se la si intendesse come
vale anche l’inverso: la responsabilità
un invito all’evasione dal mondo e
per la vita eterna dà, ancora di più,
una promessa illusoria dell’aldilà, secondo quanto rinfacciato al cristianesi- vera gioia a questa vita: dalla “responmo da Ludwig Feuerbach e da Karl sabilità per l’aldilà” cresce la vera
Marx. Si deve cogliere dunque anche “speranza nell’aldiqua”».
di KURT KO CH
C
Un’iniziativa senza precedenti
Capolavori vaticani a Mosca
di SILVIA GUIDI
n’iniziativa che sarebbe
piaciuta moltissimo allo
scrittore
russo
Vassilij
Grossman, perdutamente
innamorato della Madonna
Sistina di Raffaello e conquistato dalla
dolcezza della pittura italiana, in particolare dei capolavori custoditi nei Musei
vaticani. Grossman, autore dello splendi-
U
Caravaggio, «La Deposizione» (1602-1604 circa)
do affresco letterario Vita e destino, per
tutta la sua esistenza non ha mai smesso
di riflettere e interrogarsi sul valore estetico della grande arte, e soprattutto sul
suo potente, misterioso messaggio simbolico e spirituale. Stiamo parlando della mostra «Roma Aeterna» appena inaugurata presso la Galleria Tetryakov di
Mosca, che porta sul suolo russo un
gran numero di tesori e capolavori vaticani, da Raffaello a Caravaggio.
Gli ambasciatori non sono solo persone in carne e ossa; possono esserlo o diventarlo anche le grandi opere d’arte,
ha ribadito l’arcivescovo Celestino Migliore, nunzio della Santa Sede nella
Federazione russa durante i festeggiamenti per l’inaugurazione. «Crediamo
fermamente — ha detto Migliore — che i
buoni rapporti tra le persone e le religioni siano di vitale importanza al fine
di favorire la crescita e il progresso della
società umana e ci auguriamo che questa mostra di alcuni capolavori dei Musei vaticani, ospitata dalla Galleria Tetryakov, così come lo scambio di esposizioni che avverrà nei Musei vaticani, favoriscano la reciproca conoscenza, comprensione e cooperazione tra la Santa
Sede e la Federazione russa. In realtà, la
Santa Sede e la Federazione russa hanno mantenuto buoni rapporti ufficiali e
diplomatici nell’antico passato e più recentemente, ormai da un quarto di secolo. Indubbiamente, lo storico incontro
tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill,
lo scorso febbraio all’Avana, fu un punto di arrivo di questa mutua intesa e allo stesso tempo un punto di partenza
per una rinnovata e sempre più intensa
cooperazione».
Lo Stato della Città del Vaticano —
ha detto il cardinale Giuseppe Bertello,
presidente del Governatorato, parlando
ai moscoviti presenti all’inaugurazione
— è nel cuore di quella città eterna che è
stata nei secoli passati, ed è ancora oggi,
oggetto di grande ammirazione e amore
da parte del popolo russo.
«Questa iniziativa non ha precedenti:
per la prima volta nella storia dei Musei vaticani sono
state prestate opere d’arte in
numero e qualità così eccezionali. I 42 capolavori ora
esposti nella Galleria Tetryakov rappresentano un’importante nucleo della raccolta di dipinti della Pinacoteca vaticana. Pietro Lorenzetti, Beato Angelico, Melozzo
da Forlì, Giovanni Bellini,
Perugino, Raffaello, Correggio, Veronese, Guido Reni,
Guercino e Caravaggio sono
solo alcuni dei numerosi artisti presenti in questa mostra. Ci sono voluti tre anni
di preparativi e una complessa organizzazione, ma i
Musei vaticani hanno voluto
che queste meraviglie arrivassero nella vostra città in
un emblematico esempio
della loro missione». Iniziative come questa rappresentano una vera eccezione.
Tre anni fa — conferma
Barbara Jatta, vice direttore
dei Musei vaticani — Antonio Paolucci e la direttrice
della Galleria Tetryakov Zelfira Tregulova hanno iniziato a prendere gli accordi
preliminari che hanno portato alla selezione delle opere
ora esposte a Mosca. Quarantadue capolavori che di
rado escono dallo Stato della Città del Vaticano, e se
questo avviene, mai tutti insieme. «Si è voluto dar conto — spiega Jatta — della
specificità della collezione di
dipinti mobili della Pinacoteca vaticana,
che è parte del complesso sistema dei
Musei. Le opere esposte sono state selezionate da ognuna delle sale, operando
una scelta cronologica che desse conto
della specificità della raccolta e in grado
di offrire un sintetico viaggio nell’arte
italiana di sette secoli».
L’itinerario viene aperto cronologicamente da una preziosa immagine, databile al XII secolo del Cristo Benedicente, prototipo ancora bizantineggiante
del culto del Cristo Pantocrator. Il secolo successivo, il Trecento è narrato da
artisti come Pietro Lorenzetti (Cristo di
fronte a Pilato), probabile parte di un
piccolo altare portatile, o il giottesco
Alesso d’Andrea e l’elegante Mariotto di
Nardo. Al gusto del gotico internazionale rimanda l’immagine di san Nicola
che salva una nave da un naufragio,
predella del noto Polittico Quarantesi di
Gentile da Fabriano, e le due opere di
Giovanni di Paolo, la Natività e L’annuncio ai pastori. «Tra i più noti, Beato
Angelico, che nelle Storie di san Nicola
ci illustra il lato cristiano del linguaggio
figurativo rinascimentale, limpide e
chiare immagini di religione e preghiera,
teologia in figura» spiega Jatta.
Il Seicento ha il suo massimo capolavoro nella Deposizione di Caravaggio, attorniata da un gruppo di dipinti di al-
Gli ambasciatori
non sono solo persone in carne e ossa
possono esserlo o diventarlo
anche le opere d’arte
tissimo valore come Trinità con Cristo
morto di Ludovico Carracci, o le pitture
eteree di Guido Reni, o quelle coloristiche e intense di Guercino. Ma anche la
Giuditta con la testa di Oloferne di Orazio Gentileschi o le opere di Pietro da
Cortona. «È un allestimento — continua
Jatta — che ha spogliato la Pinacoteca
Vaticana di alcuni dei suoi pezzi più celebri e lasciato dei vuoti nelle sale che
abbiamo dovuto faticosamente colmare
con sostituzioni e iniziative espositive
che non facessero sentire la loro mancanza (nella dodicesima sala, quella Barocca di Caravaggio, Poussin e Guercino abbiamo aperto la scorsa settimana
una mostra dedicata a Giovan Lorenzo
Bernini). Ma il sacrificio di questi prestiti, che pure è stato grande, ha avuto
per noi il significato di un atto di gratitudine nei confronti dell’antico amore
della Russia per la città eterna».
Fondazione Ratzinger
l’altro lato della massima di SaintExupéry: per quanto, nel voler costruire una barca, sia meglio destare
nell’uomo il desiderio per il mare vasto e infinito piuttosto che tagliare la
legna, dividere i compiti e impartire
ordini, non appena il desiderio per il
mare vasto e infinito sarà stata destato,
gli uomini si metteranno immediatamente al lavoro e costruiranno la barca
come previsto.
Analogamente, la speranza cristiana
nella vita eterna non offusca minimamente lo sguardo rivolto alla vita presente, terrena, ma mostra in modo
particolare l’importanza della fede cri-
La carta d’identità di Albino Luciani
A quasi tre mesi dall’inaugurazione,
avvenuta lo scorso 26 agosto, il
museo Albino Luciani (Musal) a
Canale d’Agordo si arricchisce di
nuovi cimeli appartenuti al “Papa del
sorriso” nel corso della sua vita
pastorale. Tra i doni c’è lo zucchetto
episcopale, che si aggiunge così allo
zucchetto patriarcale e a quello
papale già presenti all’interno del
museo. Il copricapo rosso, indossato
da Luciani in occasione della
nomina, da parte di Paolo VI, a capo
del patriarcato di Venezia è stato
consegnato da monsignor Ettore
Fornezza insieme con un biglietto
autografo del 1971 che lo stesso
patriarca Luciani inviò ai chierichetti
della sua diocesi augurando loro
buona Pasqua. Don Andrea Tison,
già parroco di Canale d’Agordo, ha
donato alcuni oggetti personali
appartenuti a don Albino: tra questi,
un apparecchio telefonico e una teca
d’argento per la conservazione del
santissimo viatico, utilizzata da
Luciani per portare l’eucaristia ai
malati e agli infermi quando era
prete e vicario generale della diocesi
di Belluno-Feltre. Inoltre don Tison
ha consegnato a Loris Serafini,
curatore del Musal, fotografie
dell’Osservatore Romano raffiguranti
alcuni momenti del papato di
Giovanni Paolo I e la visita di
Giovanni Paolo II a Canale
d’Agordo. Il Musal ha quindi
ricevuto un altro prezioso
documento: la carta d’identità di
Albino Luciani del 1976, quando era
patriarca di Venezia. Questo cimelio,
arrivato dal Belgio grazie a padre
Johan Goossens, priore dell’abbazia
di Sankt Norbert a Grimbergen, è
stato accolto con grande emozione
poiché viene a sostituire la fotocopia
del documento esposta finora al
museo.
Il Musal a Canale d’Agordo
Un recupero
per san Luigi
Un modo concreto per rendere
omaggio a san Luigi Gonzaga: il
25 novembre viene presentato
all’Oratorio del Caravita a Roma
il lavoro di ripulitura e recupero
di alcuni ambienti del Collegio
Romano e della chiesa di
Sant’Ignazio di Loyola in
Campo Marzio, note come le
“camerette” di san Luigi presso
la chiesa di Sant’Ignazio. Il
recupero è stato possibile grazie
al contributo del Fec, del
MiBac, della Fondazione Pro
Musica e Arte Sacra e della
Fondazione Sorgente Group.
Visitate ogni anno da un
migliaio di persone, le stanze
prendono il nome dal giovane
Luigi Gonzaga (1568-1591) che
rinunciò ai privilegi della vita
nobiliare, contro il parere della
famiglia, per dedicarsi alla vita
religiosa nella Compagnia di
Gesù, morendo di peste a 23
anni. Il restauro viene illustrato
da Claudio Strinati, direttore
scientifico della Fondazione
Sorgente Group, da Emanuela
Settimi, che ha diretto i restauri
per le Soprintendenze, da
Susanna Sarmati, che li ha
realizzati e da padre Francesco
De Luccia che ha seguito i
lavori. Colonna sonora
dell’incontro, brani eseguiti con
l’organo di fine Settecento
dell’Oratorio del Caravita,
restaurato quattro anni fa.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
sabato 26 novembre 2016
Impegno ecumenico delle Chiese in Brasile
D iritti
e giustizia per le donne
«Come il movimento ecumenico
può combattere la violenza contro le donne? Come affermare e
difendere i diritti delle donne?»:
questi gli interrogativi centrali
del convegno «Mulheres: direitos e justiça – Compromisso
Ecumênico» (Donne: diritti e
giustizia - Impegno ecumenico)
promosso a San Paolo dal Conselho Nacional de Igrejas Cristãs (Conic) del Brasile, in collaborazione con Christian Aid.
L’incontro, che si inserisce in un
progetto pluriennale portato
avanti dal Conic per la promozione del ruolo della donna nella Chiesa e nella società, è stato
pensato soprattutto per discutere della violenza di cui è continuamente
vittima
l’universo
femminile. Un modo per proseguire il cammino che da anni
vede i cristiani del Brasile impegnati nella denuncia dei casi di
sopraffazione e dell’emarginazione delle donne così pure nella definizione di specifici percorsi culturali e sociali.
Il convegno è stato così l’occasione per un incontro tra oltre
cento donne di diverse Chiese e
comunità ecclesiali, non solo del
Brasile, per favorire una sempre
maggiore condivisione delle
esperienze ecumeniche delle
realtà locali e per definire progetti e iniziative. Tra le partecipanti anche Glória Ulloa, membro della presidenza del World
Council of Churches, e Deolinda Teka, segretaria generale del
Conselho de Igrejas Cristãs de
Angola: la loro presenza ha voluto sottolineare come riflettere
ecumenicamente sul ruolo e sui
diritti della donna nella vita della Chiesa costituisca una delle
sfide centrali per il cammino
ecumenico del XXI secolo.
Uno spazio particolare è stato
destinato anche al recupero della memoria storica di cosa è stato fatto per la lotta alla violenza
contro le donne dal movimento
ecumenico, con riferimento soprattutto al decennio 2001-2011
dedicato al superamento della
violenza nella vita quotidiana. Si
è tracciato così un bilancio, partendo dalla realtà brasiliana, per
indicare quali devono essere i
campi nei quali il movimento
ecumenico può e deve operare
per affermare l’effettiva l’ugua-
I vescovi di Inghilterra e Galles preoccupati per l’effetto della Brexit
Prima di tutto chi ha bisogno
LEEDS, 25. Giubileo, Brexit e il congresso eucaristico del 2018 sono stati
i principali temi affrontati dalla
Conferenza episcopale di Inghilterra
e Galles riunita nei giorni scorsi a
Leeds per l’assemblea plenaria. Durante i lavori i presuli hanno pregato per la pace nel mondo, soprattutto per il Sud Sudan, l’Ucraina e il
Medio oriente e hanno sottolineato
l’atteggiamento più duro dei media
nei confronti dei rifugiati che, «sempre più spesso, vengono descritti come un problema invece che come
esseri umani con una storia e un
grande bisogno di aiuto». Al riguardo, l’episcopato ha sottolineato
quanto sia importante la presenza
degli immigrati in Gran Bretagna e
Galles anche per la comunità cattolica: «Un segno della diversità della
Chiesa in questo Paese che conta oltre cinquanta lingue diverse in alcune parrocchie e sessanta cappellani
etnici nella capitale».
«I vescovi — ha spiegato al Sir il
portavoce della Conferenza episcopale — sono critici verso chi promuove ostilità nei confronti degli
stranieri, come è avvenuto durante
la campagna referendaria sulla Brexit, pur riconoscendo che c’è una
parte della popolazione che ha votato contro l’Unione europea perché
si sente impoverita dalla crisi economica ed esclusa dal processo politico. È importante che la voce di questi ultimi venga ascoltata evitando
un’agenda ostile nei confronti degli
stranieri».
I presuli hanno confermato che,
qualsiasi forma prenda la Brexit, la
procedura di uscita dall’Unione europea, essi continueranno a partecipare alle organizzazioni episcopali
europee del Consiglio delle Conferenze dei vescovi d’Europa (Ccee) e
della Commissione delle Conferenze
episcopali della comunità europea
(Comece) e sono «preoccupati dei
Durante il giubileo ogni vescovo
ha visitato le prigioni nella sua diocesi, portando l’invito di Papa Francesco a ogni carcerato a considerare
la porta della prigione come una
porta santa. La conferenza episcopale ha anche lanciato un appello
affinché si abolisca la richiesta di indicare una precedente esperienza
carceraria nei moduli per la richiesta
di lavoro. Necessario anche, secondo la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, un numero maggiore di personale in servizio all’interno delle carceri.
Come accennato, i vescovi hanno
anche dato il via libera al congresso
eucaristico del 2018 che si svolgerà a
Liverpool a settembre. Soltanto il
secondo, dopo quello del 2005 di
Birmingham, nella storia della Chiesa cattolica di Inghilterra e Galles.
più poveri che rischiano di pagare il
prezzo maggiore» della decisione
del Regno Unito.
Altro tema affrontato dall’episcopato è il giubileo della misericordia,
appena concluso, che ha portato
grandi frutti. «Prima di tutto l’enorme successo del sacramento della riconciliazione, che è stato riscoperto
da migliaia di persone. In oltre diecimila — ha aggiunto il portavoce
dei vescovi — sono saliti sul bus della misericordia, organizzato dalla
diocesi di Salford, che ha girato le
città del nord di Inghilterra con tre
sacerdoti a disposizione per la confessione, una benedizione o una
semplice chiacchierata, testimoniando la vitalità della devozione anche
da parte di tanti non cattolici raggiunti nei più importanti centri
commerciali del nord».
La presidenza della Ccee dopo la chiusura del Giubileo
Continua misericordia
ST. GALLEN, 25. «Nei prossimi mesi, il Ccee sarà sollecito nell’aiutare
le Conferenze episcopali a individuare i modi migliori per rispondere alle diverse proposte concrete
fatte dal Santo Padre sia nella pastorale sia nell’impegno sociale di
ogni fedele e di ogni comunità locale. Aderendo alle intuizioni di
Papa Francesco, si auspica un rinnovamento del volto della Chiesa
tramite una conversione pastorale
che renda più luminosa una “cultura della misericordia” (cfr. Misericordia et misera, 20)»: è quanto si
legge in una nota della presidenza
del Consiglio delle Conferenze
episcopali europee (Ccee), diffusa
oggi. «La Chiesa cattolica in Europa — continua la nota — ha vissuto
con gioia e speranza l’Anno giubilare che si è appena concluso» nella convinzione che alla base dei
problemi attuali c’è «lo scollamento dei grandi valori promossi e sostenuti dal Vangelo che hanno
ispirato la cultura europea». L’impegno del Ccee allora «vuole essere anche una concreta risposta alla
proposta di Papa Francesco presente nella lettera apostolica «Misericordia et misera», pubblicata a
conclusione del Giubileo straordinario della Misericordia.
glianza tra uomo e donna. Tanto da contribuire alla testimonianza dell’amore di Dio per il
mondo e alla creazione di una
nuova società, ispirata ai valori
biblici, che costituiscono una
fonte perenne di unità tra i cristiani.
Il dibattito sui criteri ermeneutici nella lettura delle Scritture è stato un altro aspetto discusso nella convinzione che
proprio la riscoperta della Parola di Dio può alimentare forte-
delle organizzazioni ecumeniche
di denuncia della violenza contro le donne e della costruzione
di percorsi di giustizia. Tali progetti, è stato rimarcato, devono
coinvolgere la vita quotidiana
delle comunità cristiane, dal momento che, come emerso da una
recente ricerca, nel 40 per cento
delle comunità avvengono, con
forme e modalità molto diverse
tra di loro, degli atti di violenza
e di discriminazione nei confronti delle donne. Nella formu-
mente il ripensamento della figura della donna, offrendo quegli elementi fondanti una reale
cultura della giustizia. Al tempo
stesso, come è stato sottolineato
nella liturgia ecumenica di apertura, a commento di un celebre
passo di Giovanni (8, 1-11), la
Parola di Dio ricorda a tutti i
cristiani che negare la sacralità e
la dignità del corpo femminile è
un peccato che non può essere
più tollerato. Per questo, è stato
detto
ricordando
l’episodio
dell’incontro di Gesù con l’adultera, deve finire il tempo di giudicare le donne «con le pietre».
La lettura delle Scritture deve
quindi aiutare i cristiani a seguire la strada indicata da Dio per
una giustizia della riconciliazione, che parta dalla condanna di
ogni forma di violenza.
A San Paolo si è discusso anche di come sostenere i progetti
lazione di nuovi progetti, soprattutto nel campo dell’educazione al rispetto dei diritti delle
donne, si è notato quanto ancora deve essere fatto, nonostante i
tanti passi ecumenici compiuti
in questi ultimi anni per affermare come non si possa mai invocare la Parola di Dio per giustificare la violenza contro una
donna. (riccardo burigana)
Un volume sul confronto teologico fra le Chiese
Dialogo a oriente
GINEVRA, 25. Argomenti antichi,
che si perdono nella notte dei tempi, ma che lasciano tuttora i loro
strascichi fatti di diffidenza e incomprensione. Questioni teologiche
cruciali, riguardanti il cuore stesso
della fede cristiana, che restano irrisolte nonostante decenni di incontri
e tentativi di riconciliazione. Parla
del dialogo fra le Chiese ortodosse
di tradizione bizantina e le Chiese
ortodosse orientali (o precalcedonesi) il libro di Christine Chaillot, laica ortodossa svizzera, The dialogue
between eastern orthodox and oriental
orthodox Churches (Volos, Volos
Academy Publications, 2016, pagine 520, dollari 27), presentato venerdì scorso a Ginevra, nella sede
del World Council of Churches,
sotto il patronato della Delegazione
permanente del patriarcato ecumenico. È stato lo stesso patriarca
Bartolomeo, arcivescovo di Costantinopoli, a scrivere la prefazione del
volume che raccoglie trentaquattro
articoli e importanti documenti.
L’obiettivo è contribuire alla conoscenza reciproca di tali Chiese e alla promozione delle relazioni panortodosse.
Com’è noto, dopo il 451 queste
due branche antiche del cristianesimo sono separate attorno alla definizione delle due nature, umana e
divina, di Cristo in una persona,
formulata al concilio di Calcedonia
(la natura divina e la natura umana
di Gesù sono unite «senza confusione e senza separazione»). Tale
affermazione fu rigettata dalle
Chiese copta, armena apostolica,
etiope, eritrea e sira (con le sue ramificazioni indiane) le quali continuarono a professare la dottrina di
san Cirillo d’Alessandria — «una
sola natura incarnata di Dio il Verbo» — approvata durante il terzo
concilio ecumenico di Efeso (431).
Queste Chiese, per le quali il logos
è carne, non hanno dunque mai accettato la definizione calcedonese
delle «due nature in Cristo», considerandola in contrasto con la professione di fede del concilio di Efeso nella quale si era definita
«un’unione perfetta della divinità e
dell’umanità di Cristo». In pratica
queste Chiese credono che mai,
nemmeno per un momento, la natura umana del Signore sia esistita
separata dalla sua natura divina.
Da qui l’appellativo di “precalcedonesi” perché condividono con gli
altri cristiani solo le decisioni dei
concili precedenti a quello di Calcedonia. Su di loro, nel corso dei
secoli, anche l’accusa di monofisismo, forma cristologica secondo la
quale la natura umana di Gesù era
assorbita da quella divina, e di conseguente eresia in quanto tale teoria
negherebbe l’umanità del Figlio di
Dio e la fede nell’incarnazione.
Dal 1964 in maniera informale,
dal 1985 ufficialmente, si è instaurato un tavolo di dialogo con l’obiettivo di tentare di risolvere le differenze teologiche e giungere a una
piena comunione fra le due famiglie ecclesiali. I partecipanti ai colloqui hanno affermato tra l’altro
che, nonostante i malintesi di interpretazione, i due gruppi di Chiese
avrebbero nei secoli «mantenuto
l’autentica fede cristologica ortodossa e la continuità ininterrotta
della tradizione apostolica, benché
abbiano utilizzato termini cristologici in modo diverso» (Dichiarazione di Chambésy, novembre 1993).
Conclusioni, queste ultime, non accettate da tutti. C’è chi teme di
scendere a compromessi sulla fede,
chi sostiene la necessità di ulteriori
approfondimenti.
Il libro include, fra gli altri, articoli di Aram I, catholicos di Cilicia
della Chiesa armena apostolica, del
metropolita di Monte Libano,
Georges, del metropolita di Francia, Emmanuel, e del metropolita
di Volokolamsk, Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni
ecclesiastiche esterne del patriarcato
di Mosca. (giovanni zavatta)
«Il concilio di Efeso», Lione, basilica di Notre-Dame de Fourvières (particolare del mosaico)
I greco-ortodossi
di Alessandria
sul diaconato
femminile
IL CAIRO, 25. Il sinodo greco-ortodosso
di Alessandria e di tutta l’Africa, riunito
sotto la presidenza del patriarca Teodoro
II, ha deciso di ripristinare l’istituto del
diaconato femminile e ha nominato una
commissione di vescovi «per un esame
approfondito della questione». A esporre
in una relazione all’assemblea sinodale il
potenziale
ruolo
delle
diaconesse
nell’opera missionaria, riferisce l’agenzia
Fides, è stato il metropolita Gregorio del
Camerun. Nel comunicato finale dei lavori, i membri del sinodo hanno voluto
sottolineare che «i diversi approcci ai
problemi della vita della Chiesa non sono per noi deviazioni dalla verità ortodossa, ma rappresentano l’adattamento
alla realtà africana». La discussione
sull’eventuale ripristino del diaconato
femminile è aperta da tempo all’interno
di istituzioni teologiche dell’ortodossia
calcedonese.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 26 novembre 2016
pagina 7
Pontormo, «Visitazione» (1528-1530)
di BENIAMINO STELLA
Maria santissima, l’“onnipotente
per grazia”, come recita la supplica alla regina del rosario di Pompei, è l’icona più bella: toccata
dalla misericordia di Dio, che si è
chinata su di lei. Ella è diventata
madre amorevole e compassionevole, pellegrina di fede in cammino con gli uomini e le donne di
ogni tempo, sicura speranza per
tutti coloro che cercano Dio. Maria — come ha scritto il Santo Padre — «è entrata nel santuario
della misericordia divina perché
ha partecipato intimamente al mistero del suo amore» (Misericordiae vultus, 24). Allo stesso modo,
possiamo chiederci: chi entra nei
nostri santuari partecipa al mistero dell’amore di Dio? I nostri
luoghi di culto e di pellegrinaggio favoriscono l’incontro con il
Signore e con la sua misericordia,
o restano solo dei luoghi decorativi della nostra religiosità? Questi interrogativi stimolano il nostro impegno pastorale a fare dei
santuari i simboli della fede del
nostro popolo; luoghi nei quali le
persone, arrivando da strade diverse, portano a Dio le loro fatiche e le loro speranze; spazi di
preghiera, di silenzio, di riconci-
A Pompei
Accolti dall’arcivescovo prelato
Tommaso Caputo, i rettori
e gli operatori pastorali dei santuari
italiani si incontrano in questi giorni
(21-25 novembre) a Pompei
per il loro cinquantunesimo
convegno nazionale sul tema «Maria,
Madre di Misericordia».
Pubblichiamo ampi stralci
dell’omelia tenuta dal cardinale
prefetto della Congregazione
per il clero e della relazione svolta
dall’arcivescovo di Chieti-Vasto.
L’incontro con l’amore di Dio
Sulle nostre stesse strade
liazione e di carità, nei quali, in
mezzo alle vicende della vita, anche le più dolorose, è possibile
incontrare l’amore misericordioso
di Dio, che libera e guarisce.
Ce lo ricorda bene il Vangelo
di oggi, che descrive, con le tinte
forti del linguaggio apocalittico, i
segni di decadenza della creazione e gli avvenimenti umani, talvolta feriti dalla violenza e dal
male; è proprio in mezzo a questi
eventi che il Signore viene a salvarci: «Quando cominceranno ad
accadere queste cose, risollevatevi
e alzate il capo, perché la vostra
liberazione è vicina» (Luca, 21,
28). È una Parola che semina speranza nel nostro cuore, diradando
la nube tossica della paura, della
rassegnazione e della tentazione
di credere che il male sia più forte e che abbia l’ultima parola su
di noi: Dio scaccia il male e vince
la morte, intessendo una storia di
salvezza dentro le trame della nostra vita quotidiana. È questo che,
anche oggi, il Popolo di Dio viene a cercare nei nostri santuari.
Essi permettono l’esperienza della
preghiera, della carità e della riconciliazione e, così, sono luoghi
che aiutano la gente a “risollevarsi” e “alzare il capo”, rinnovando
la fede in Dio e ricevendo la sua
liberazione.
«Alzate il capo»: è bello vedere
che il Signore desidera figli capa-
ci di «stare in piedi», che non
siano cioè ripiegati sotto il peso
del male e della paura. Il verbo
“alzatevi”, usato dal Vangelo, è lo
stesso che viene utilizzato per la
risurrezione di Gesù: siamo risorti
con Cristo e, per questo, anche
nelle difficoltà, possiamo vivere la
nostra vita restando in piedi e
guardando in alto.
Ogni giorno entriamo nelle
battaglie della vita, lavoriamo e ci
impegniamo in tante cose, talvolta fronteggiamo situazioni di disagio o di dolore, e ci portiamo
dentro pesi, angustie e attese; eppure, forti dell’amorevole compagnia di Dio, che percorre le nostre stesse strade, restiamo in piedi; non cediamo al male, non ci
lasciamo andare allo scoraggiamento, non ci irrigidiamo nella
paura. Noi camminiamo guardando sempre avanti, perché sappiamo che Dio ci viene incontro con
la sua salvezza.
L’incontro con Dio deve essere
misurato nella vita concreta: o ha
cambiato il nostro modo di pensare e di agire o ancora deve maturare e diventare autentico. Accogliere Dio significa lasciare che
la nostra umanità venga trasformata a immagine di Gesù, cioè
diventare capaci di amare gratuitamente e fino al dono sé, di abbattere le ostilità che ci separano
dagli altri, di saperci fermare
presso i fratelli feriti e farci loro
prossimi. I nostri santuari, perciò,
sono il luogo in cui, dalla relazione con Dio e dalla devozione a
Maria e ai santi, impariamo la carità, che è il cuore del Vangelo.
Sarebbe una fede povera, comoda
e perfino rischiosa, quella che ci
conducesse verso la cima del
monte di Dio senza donarci, però, il desiderio e il coraggio di
scendere verso la pianura, in mezzo ai fratelli e nel cuore dei loro
tormenti e delle loro fatiche.
La Vergine nel racconto evangelico
Gioia della misericordia
di BRUNO FORTE
La convinzione che la contemplazione della figura di Maria sia via
privilegiata verso la conoscenza e
l’adorazione del mistero salvifico fa
parte della grande tradizione cristiana indivisa: Zwinglio, il riformatore di Zurigo, non esitava ad affermare che «quanto più cresce la gloria e l’amore di Cristo Gesù fra gli
uomini, tanto più cresce la valorizzazione e la gloria di Maria, perché
Maria ci ha generato un Signore e
Redentore così grande e ricco di
grazia» (Marienpredigt). E Karl Barth, il grande teologo evangelico che
nella Kirchliche Dogmatik strenua-
mente aveva difeso il dogma della
verginità di Maria, diceva: «Maria è
semplicemente l’essere umano a cui
accade il miracolo della rivelazione».
Chi contempla Maria si approssima insomma al cuore stesso della
rivelazione e si apre alla verità più
profonda dell’essere della creatura
davanti al Creatore. Mosso da questa convinzione, Paul Claudel asseriva: «Semplicemente perché tu esisti, madre di Gesù, che tu sia ringraziata». E il poeta Novalis non
esitava a scrivere: «Chi, madre, t’ha
veduta una volta, non subirà mai
più l’incanto del male». Alle voci
del cristianesimo occidentale, si
Simposio internazionale organizzato dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica
Come coniugare economia e carisma
È giunto il momento di ripensare
in profondità l’economia e la gestione del denaro e delle opere
proprie dei consacrati alla luce
della fedeltà al Vangelo e al carisma. L’invito viene dall’arcivescovo José Rodríguez Carballo, che
nel pomeriggio di venerdì 25 novembre ha aperto il simposio internazionale sul tema: «Nella fedeltà al carisma ripensare l’economia degli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica».
Promosso dal dicastero, l’incontro
si svolge a Roma, presso la Pontificia università Antonianum, fino
a domenica 27.
Nel suo intervento il segretario
della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società
di vita apostolica ha sottolineato
come i due principi di fedeltà al
Vangelo e al carisma, non opponendosi certamente a una gestio-
Prima riunione della commissione
Si studia
il diaconato
delle donne
È iniziata venerdì 25 novembre la prima riunione della Commissione di studio sul diaconato delle donne, istituita
da Papa Francesco lo scorso 2 agosto
per compiere uno studio oggettivo sulla situazione nei primi tempi della
Chiesa. Sotto la presidenza dell’arcivescovo Luis Francisco Ladaria Ferrer, i
membri della Commissione si riuniscono nel corso di due giornate, in sessioni mattutine e serali, presso la sede della Congregazione per la dottrina della
fede.
ne professionale degli istituti religiosi, «sono irrinunciabili per tutti i consacrati e, in quanto tali,
devono contrassegnare qualunque
altro criterio». È quindi importante «passare dall’atteggiamento
di spettatori di ciò che succede
nel mondo dell’economia» a
quello di «seminatori di cambiamento» delle strutture economiche. Si tratta, come ha detto Papa
Francesco ai partecipanti all’incontro mondiale dei movimenti
popolari del 5 novembre scorso,
di essere «promotori di un processo in cui convergono milioni
di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, per camminare verso un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione
dell’indifferenza».
In questo contesto, non si può
dimenticare che lungo i secoli, i
consacrati, in determinati momenti critici, «hanno fatto scelte
innovatrici e profetiche nell’ambito dell’economia per il servizio
dell’intera società, come nel caso
della creazione dei monti di pietà
da parte dei francescani». Infatti,
ha aggiunto il presule, «chi sceglie la povertà è obbligato a parlare molto del denaro per mettere
in atto la povertà liberamente abbracciata». In questo senso, perché una scelta ideale «non rimanga pura utopia» devono esserci
scelte istituzionali che «permettano a esse di prendere consistenza». È questa, ha ribadito, una
responsabilità a cui non possono
venir meno i consacrati di tutti i
tempi: quella di formarsi — ha
detto — «alla dimensione economica in linea con il carisma proprio, affinché la gestione delle
opere proprie e le scelte di missione possano essere veramente
profetiche e non semplicemente
continuative».
Una parola, infine, sulla riconciliazione. È una delle esperienze
più belle che un pellegrino possa
vivere arrivando in un santuario.
Ritrovare il silenzio interiore,
avere la possibilità di guardare
alla propria vita attraverso le lenti
della Parola di Dio e, soprattutto,
potersi accostare al torrente di
grazia della Sua misericordia attraverso il sacramento della confessione. La festa di questo incontro con la misericordia di Dio
rinnova il nostro cuore ferito, ristora le nostre membra stanche,
ci solleva dai pesi che talvolta incombono su di noi, abbatte le
barriere
create
dall’egoismo,
dall’orgoglio e dall’indifferenza;
quando sperimentiamo lo sguardo misericordioso di Dio sulla
nostra vita, davvero siamo capaci
di rialzarci e di ripartire con rinnovate energie.
mico, gestionale e fi- nomica che crei fraternità e conanziario
è
sempre munione; a una gestione econodell’istituto e non può mica che ci faccia ospiti e ospitaessere lasciata a laici o a li, non padroni; a una gestione
membri di altri istituti». economica che ci conduca alla reL’arcivescovo ha poi sponsabilità come attenzione al
invitato a non separare creato e agli altri, come sobrietà
«la gestione economica di vita e capacità di vincere l’indalla logica del dono». differenza, che ci aiuti a esproLo sviluppo economico, priarci di noi stessi». L’arcivescoanche quello degli isti- vo ha anche invitato a riflettere
tuti, ha bisogno di fare sulla tutela dei beni ecclesiastici,
spazio al principio di «intesa come salvaguardia del pa«gratuità come espres- trimonio stabile, in quanto beni
sione di fraternità».
necessari per garantire l’autosuffiTutto questo è un invito
cienza economica e la sopravvi«a uscire dalla notte del
venza dell’istituto, come pure la
pensiero in cui l’economia ruggisce e cammina sua missione nella Chiesa e nel
a tentoni, costringe e mondo». Questa tutela dei beni
comporta
anche
soffoca»: un invito a ecclesiastici
«vivere la povertà che «scelte coerenti, in caso di alienacostruisce comunione e zione, con il principio che i beni
degli istituti di vita consacrata socomunità».
Monsignor
Rodrí- no beni della Chiesa».
Riguardo alla sostenibilità delle
guez Carballo ha poi
Gonfalone del Monte di pietà di Milano (XVI secolo)
sottolineato come con opere, il presule ha detto infine
Papa Francesco, i con- che ciò «richiede di elaborare
sacrati devono «dire no preventivi adeguati e di vigilare
Occorre inoltre compiere, ha a una economia che uccide, no a sul loro compimento mediante
aggiunto l’arcivescovo, «un discer- una economia che mette la ric- una periodica verifica». Occorre
nimento comunitario e personale chezza in mano a pochi, che ten- anche un impegno di trasparenza,
che porti ad azioni concrete nel de a escludere e che genera, per ossia la capacità di rendere conto
campo economico della vita di sua natura, “periferie esistenzia- degli atti e dei risultati della geogni comunità e istituto, in coe- li”». Al contrario, i consacrati de- stione economica, sempre adeguarenza con la nostra condizione di vono dire sì «a una gestione eco- ta alle leggi civili e canoniche.
poveri, con i poveri e come poveri». È necessario, cioè, «aprire
strade, cambiando strutture, in
primo luogo le strutture mentali,
che spostino il primato del denaro
e mettano nuovamente al centro
del nostro agire l’essere umano,
l’uomo e la donna». Serve predisporre «strutture economiche, anContinua in Vaticano la solidarietà per le popolazioni del centro
che in collaborazione con le ChieItalia colpite dal terremoto e per i senzatetto: tra le varie iniziative,
se locali e con altri istituti, avvaè in corso la quarta edizione della «Lotteria di beneficenza per le
lendosi della consulenza di tecnici
opere di carità del Santo Padre» organizzata dal Governatorato. I
in materia», sapendo che «la rebiglietti, al costo di 10 euro ciascuno, sono acquistabili on line
sponsabilità ultima delle decisioni
(www.vaticanstate.va) e sul territorio vaticano. L’estrazione dei biin campo amministrativo, econoglietti vincenti si svolgerà il 2 febbraio 2017.
Lotteria in Vaticano
uniscono quelle dell’Oriente cristiano: «Il solo nome della Madre di
Dio contiene tutto il mistero
dell’economia
dell’Incarnazione»
(san Giovanni Damasceno, De fide
orthodoxa). Non stupisce pertanto
che anche la misericordia — cuore
del Vangelo e tratto fondamentale
del Dio con noi — si trovi riflessa e
offerta compiutamente in Maria,
non a caso invocata come Mater
misericordiae.
Che Maria, Vergine dell’ascolto,
sia ricolma della misericordia divina
ce lo fa comprendere la scena
dell’annunciazione, che l’evangelista
Luca (1, 26-38) presenta secondo un
modello biblico pregnante, da lui
seguito anche nel racconto dell’annuncio a Zaccaria, padre del Battista (cfr. Luca, 1, 11-20). Si tratta del
modello delle annunciazioni, frequente nell’antico testamento — per
esempio nella storia di Mosé — articolato in cinque momenti: l’apparizione di un angelo; la reazione del
destinatario; l’annuncio; l’obiezione
umana; l’offerta di un segno. Si
possono mettere a confronto questi
cinque elementi così come sono
presenti nel racconto dell’annuncio
a Maria e in quello dell’annuncio a
Zaccaria. Da questo confronto
emerge chiaramente il messaggio
che Luca ha voluto trasmettere riguardo alla misericordia di cui la
Vergine è ricolma.
Il racconto evangelico della scena
della visitazione si conclude con il
canto di Maria, il Magnificat (Luca,
1, 46-55), il cantico che mostra come lei sia la Sposa delle nozze messianiche, in cui l’Eterno è venuto a
realizzare nel tempo le meraviglie
dell’alleanza del Suo amore. Il testo
esprime la fede pasquale nel Crocifisso-Risorto: ne è indizio l’uso dei
verbi al passato, che presuppone
come già avvenuta la manifestazione gloriosa del Messia.
Presentando Maria come portavoce dell’attesa messianica dei poveri, che trova il suo compimento
nell’agire di Dio nella Pasqua di
Gesù, Luca vuole indicare in lei la
figura esemplare della prima discepola cristiana: “beata” perché ha
creduto (cfr. Luca, 1, 45), Maria è
colei in cui si realizza in maniera
esemplare la novità del Vangelo, il
nuovo inizio che Dio opera a partire dai poveri. Proprio così, il Magnificat è il canto della salvezza
possibile per chi non ritiene di avere alcun titolo a meritarla, è il canto
della pura grazia che colma il cuore
di gioia e fa della Chiesa la comunità delle nozze messianiche.
Il cantico di Maria, allora, ci fa
comprendere che accogliere e donare fedelmente la misericordia di Dio
ci rende felici come nulla e nessuno
al mondo potrebbe renderci: è la
gioia di chi si riconosce amato dal
Padre, la gioia contagiosa dell’incontro sempre nuovo col Signore
Gesù, la gioia di chi per la fede e la
carità dimora nella Trinità.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 26 novembre 2016
Il Papa ricorda che stare in mezzo alla gente arricchisce persone e società
Rischio d’isolamento
«Si corrono più rischi quando ci isoliamo di
quando ci apriamo all’altro»: lo afferma
Papa Francesco nel videomessaggio inviato ai
partecipanti alla sesta edizione del festival
della dottrina sociale della Chiesa, che si è
aperto nella serata di giovedì 24 novembre a
Verona. Di seguito la trascrizione del testo
pronunciato dal Pontefice:
Un caro saluto a tutti voi che partecipate
al VI Festival della Dottrina sociale della
Chiesa. Il tema di quest’anno è: “In mezzo
alla gente”. Esso esprime una grande verità: noi siamo fatti per stare con gli altri —
lo ricordavo all’indomani della mia elezione a vescovo di Roma. La nostra umanità
si arricchisce molto se stiamo con tutti gli
altri e in qualsiasi situazione essi si trovano. È l’isolamento che fa male non la condivisione. L’isolamento sviluppa paura e
diffidenza e impedisce di godere della fraternità. Bisogna proprio dirci che si corrono più rischi quando ci isoliamo di quando ci apriamo all’altro: la possibilità di
farci male non sta nell’incontro ma nella
chiusura e nel rifiuto. La stessa cosa vale
quando ci facciamo carico di qualcun altro: penso a un ammalato, a un vecchio, a
un immigrato, a un povero, a un disoccupato. Quando ci prendiamo cura dell’altro
ci complichiamo meno la vita di quando
siamo concentrati solo su noi stessi.
Stare in mezzo alla gente non significa
solo essere aperti e incontrare gli altri ma
anche lasciarci incontrare. Siamo noi che
abbiamo bisogno di essere guardati, chiamati, toccati, interpellati, siamo noi che
abbiamo bisogno degli altri per poter es-
Al festival della dottrina sociale della Chiesa
Il videomessaggio di Papa Francesco ha
aperto nella serata del 24 novembre la sesta
edizione del festival della dottrina sociale a
Verona. L’iniziativa, intitolata «In mezzo alla
gente», è organizzata dall’Istituto Toniolo e si
chiuderà domenica 27 con la messa presieduta
dal presidente del Comitato per le settimane
sociali dei cattolici italiani, l’arcivescovo di
Taranto Filippo Santoro. Le attività hanno
come fulcro logistico il Cattolica Center di
Verona, ma prevedono anche numerosi
appuntamenti in varie sedi cittadine. Filo
conduttore della manifestazione, spiega il
coordinatore monsignor Adriano Vincenzi, è il
dialogo, l’incontro tra alcuni attori della vita
sociale: imprenditori, giovani, medici,
insegnanti, avvocati, operai, commercialisti.
«Fondamentale — afferma — è parlarsi e
guardarsi negli occhi per provare a cambiare
la percezione della realtà e mettere in
relazione le buone pratiche, l’operatività
virtuosa e la creatività». Tema introduttivo è
stato, giovedì 24, proprio quello della
comunicazione e dei nuovi media. A parlarne
monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto
della Segreteria per la comunicazione, in un
intervento di cui pubblichiamo uno stralcio in
questa pagina.
sere resi partecipi di tutto ciò che solo gli
altri ci possono dare. La relazione chiede
questo scambio tra persone: l’esperienza ci
dice che di solito dagli altri riceviamo di
più di quanto diamo. Tra la nostra gente
c’è un’autentica ricchezza umana. Sono
innumerevoli le storie di solidarietà, di
aiuto, di sostegno che si vivono nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità. Impressionante è come alcune persone vivono con dignità la ristrettezza economica, il
dolore, il lavoro duro, la prova. Incontrando queste persone tocchi con mano la loro
grandezza e ricevi quasi una luce per cui
diventa chiaro che si può coltivare una
speranza per il futuro; si può credere che
il bene è più forte del male perché ci sono
loro. Stando in mezzo alla gente abbiamo
accesso all’insegnamento dei fatti. Faccio
un esempio: mi hanno raccontato che poco tempo fa è morta una ragazza di 19 anni. Il dolore è stato immenso, in tantissimi
hanno partecipato al funerale. Ciò che ha
colpito tutti è stata non solo l’assenza di
disperazione, ma la percezione di una certa serenità. Le persone dopo il funerale si
comunicavano lo stupore di essere uscite
dalla celebrazione sollevate da un peso.
La mamma della giovane ha detto: “Ho
ricevuto la grazia della serenità”. La vita
quotidiana è intessuta di questi fatti che
segnano la nostra esistenza: essi non perdono mai efficacia anche se non entrano a
far parte dei titoli dei quotidiani. Succede
proprio così: senza discorsi o spiegazioni
si capisce cosa nella vita vale o non vale.
Stare in mezzo alla gente significa anche avvertire che ognuno di noi è parte di
un popolo. La vita concreta è possibile
perché non è la somma di tante individualità, ma è l’articolazione di tante persone
che concorrono alla costituzione del bene
comune. Essere insieme ci aiuta a vedere
l’insieme. Quando vediamo l’insieme, il
nostro sguardo viene arricchito e risulta
evidente che i ruoli che ognuno svolge
all’interno delle dinamiche sociali non
Messa a Santa Marta
Basta una parola
Dio è sempre pronto a salvarci, sempre lì,
come un padre, che aspetta solo che gli diciamo «Signore»: basta questa parola «e lui
farà il resto», aiutandoci a evitare la superbia di cadere nella «dannazione eterna» per
l’orgoglio di volersela «cavare da soli». Nella messa celebrata venerdì mattina, 25 novembre, nella cappella della Casa Santa
Marta, Papa Francesco ha messo in guardia
dalle «seduzioni del diavolo» e ha ricordato
che «la dannazione eterna non è una sala di
tortura» ma proprio il volersi «allontanare»
da Dio dando ascolto, appunto, alle «bugie» del diavolo.
«Il regno di Dio è vicino, Gesù ci aveva
detto che il regno di Dio è in mezzo a noi,
ma si sviluppa e cammina verso la sua maturità, verso la sua fine», ha affermato il Papa, facendo subito notare che «la Chiesa, in
questi due giorni ultimi dell’anno liturgico,
oggi e domani, ci fa riflettere sull’ultima
giornata del mondo, prima della fine o come sarà la fine nell’ultima giornata».
L’apostolo Giovanni, nella prima lettura
tratta dal libro dell’Apocalisse (20, 1-4.11-21,
2), «ci parla del giudizio universale: tutti saremo giudicati». E «prima di tutto il diavolo, lui sarà il primo giudicato». C’è
«quell’angelo», ha proseguito Francesco riferendosi al brano dell’Apocalisse, «che viene e afferrò il drago, il serpente antico, che
è il diavolo e il Satana — chiaro, perché si
capisca bene di chi sta parlando — e lo incatenò e lo gettò nell’abisso». Dunque, ecco
«il diavolo, il serpente antico, incatenato
perché non seducesse più le nazioni, perché
lui è il seduttore».
Ma il diavolo, ha detto il Pontefice, è il
seduttore «dall’inizio: pensiamo ad Adamo
ed Eva, come ha incominciato a parlarle con
quella voce dolce», dicendo che il frutto «è
buono» da mangiare. È proprio quello della
«seduzione» il suo linguaggio: «lui è un bugiardo; di più, è il padre della menzogna,
lui genera menzogne, è un truffatore» ha affermato il Papa. Il diavolo «ti fa credere che
se mangi questa mela sarai come un Dio; te
la vende così, e tu la compri e alla fine ti
truffa, ti inganna, ti rovina la vita».
A questo punto però occorre chiedersi
«come possiamo fare noi per non lasciarci
ingannare dal diavolo». L’atteggiamento
giusto ce lo insegna proprio Gesù: «mai
dialogare col diavolo». E infatti, ha spiegato
Francesco, «cosa ha fatto Gesù col diavolo?
Lo cacciava via, gli domandava il nome»,
ma non si metteva a fare «il dialogo». Si
potrebbe obiettare che «nel deserto, nella
tentazione, ci fu un dialogo»; ma, ha aggiunto il Papa, «badate bene, Gesù non ha
mai usato una parola propria perché era ben
consapevole del pericolo». E così «nelle risposte, nelle tre risposte che ha dato al diavolo, ha preso le parole dalla Bibbia, dalla
parola di Dio: si è difeso con la parola di
Dio». Così facendo, «Gesù ci dà l’esempio:
mai dialogare con lui; non si può dialogare
con questo bugiardo, con questo truffatore
che cerca la nostra rovina». E, per questo,
«il seduttore sarà gettato nell’abisso».
«La narrazione di Giovanni continua», ha
spiegato il Pontefice riprendendo il filo del
brano dell’Apocalisse. E così appaiono «le
anime dei martiri, quelli che hanno dato testimonianza di Gesù Cristo e non hanno
adorato la bestia — cioè il diavolo e i suoi
seguaci — non hanno adorato il denaro, non
hanno adorato la mondanità, non hanno
adorato la vanità, non si sono immischiati
nell’orgoglio». Sono «gli umili», che «hanno dato la vita pure per questo e per questo
appaiono davanti». E poi ecco «il trono dove sarà il Signore a giudicarci: i vivi e i morti, grandi e piccoli in piedi davanti al trono». E quindi «i libri furono aperti», scrive
ancora san Giovanni, perché «il giudizio incomincia: “I morti vennero giudicati secondo le loro opere in base a ciò che era scritto
in quei libri”». Dunque, ha ribadito il Papa,
«ognuno di noi sarà giudicato secondo le
nostre opere».
E Giovanni prosegue ancora: «Poi la
morte e gli inferi furono gettati nello stagno
di fuoco». Si tratta di «quelli dannati». Il
Papa ha voluto soffermarsi proprio su questa frase dell’Apocalisse: «Questa è la seconda morte, lo stagno di fuoco». In realtà, ha
spiegato, «la dannazione eterna non è una
sala di tortura, questa è una descrizione di
questa seconda morte: è una morte». E
«quelli che non saranno ricevuti nel regno
di Dio — ha spiegato — è perché non si sono avvicinati al Signore: sono quelli che sono sempre andati per la loro strada, allontanandosi dal Signore e passano davanti al Signore e si allontanano da soli». Perciò «la
dannazione eterna è questo allontanarsi continuamente da Dio, è il dolore più grande:
un cuore insoddisfatto, un cuore che è stato
fatto per trovare Dio ma per la superbia,
per essere stato troppo sicuro di se stesso, si
è allontanato da Dio».
Invece Gesù ha cercato di attrarre i superbi «con parole di mitezza» dicendo:
«Vieni». E lo dice per perdonare. «Ma i superbi — ha proseguito Francesco — si allontanano, vanno per la loro strada e questa è
la dannazione eterna: lontani per sempre
dal Dio che dà la felicità, dal Dio che ci
vuole tanto bene». In realtà «non sappia-
mo» se «sono tanti», ma «sappiamo soltanto che questa è la strada della dannazione
eterna». L’allontanamento, dunque, è «il
fuoco di non potersi avvicinare a Dio perché non voglio». È l’atteggiamento di coloro «che ogni volta che il Signore si avvicinava loro dicevano: “va’ via, me la cavo da solo”. E continuano a cavarsela da soli
nell’eternità: questo è tragico».
Il passo dell’Apocalisse si conclude così:
«E vidi il cielo, un cielo nuovo e una terra
nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi. E vidi anche la città santa, la
Gerusalemme nuova». In queste parole, ha
annotato il Papa, «c’è proprio la fine, la
gioia finale, dove tutti saremo salvati se
apriamo il nostro cuore alla salvezza di Gesù». Il Signore, infatti, «ci chiede soltanto
questo: aprire il cuore».
Magari qualcuno potrebbe confidarsi e riconoscere: «Se lei, padre, sapesse le cose
che ho fatto...». Ma «Gesù le sa», ha assicurato Francesco. Perciò, ha suggerito, «apri
il cuore e lui perdona»; però «non andare
per conto tuo, non andartene per la tua
strada, lasciati carezzare da Gesù, lasciati
perdonare». Basta «soltanto una parola, “Signore”, lui fa il resto, lui fa tutto». Invece
«i superbi, gli orgogliosi, vanno per la loro
strada e non riescono a dire parola, e l’unica
parola che dicono è: “me la cavo da solo”».
E «così finiscono nell’orgoglio e fanno tanto
male nella vita». Ma per loro, ha insistito il
Papa, tutto è iniziato proprio ascoltando e
seguendo «le seduzioni del serpente antico,
del diavolo, del bugiardo, del padre della
menzogna».
In conclusione Francesco, anticipando la
liturgia di sabato, ha annunciato: «Domani,
ultimo giorno dell’anno liturgico, Gesù ci
ammonirà» — come riporta Luca nel suo
Vangelo (21, 34-26) — con queste parole:
«State attenti a voi stessi, che i vostri cuori
non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita». In pratica Gesù
ci dice: «Contemplate quello che vi aspetta,
che il vostro cuore non si appesantisca con
gli affanni e le preoccupazioni della vita;
guardate avanti e abbiate speranza»: quella
«speranza che apre i cuori all’incontro con
Gesù». Proprio «questo ci aspetta, l’incontro con Gesù: è bello, è molto bello!». E
«lui ci chiede soltanto di essere umili e di
dire: “Signore”. Basterà quella parola e lui
farà il resto».
possono mai essere isolati o assolutizzati.
Quando il popolo è separato da chi comanda, quando si fanno scelte in forza del
potere e non della condivisione popolare,
quando chi comanda è più importante del
popolo e le decisioni sono prese da pochi,
o sono anonime, o sono dettate sempre da
emergenze vere o presunte, allora l’armonia sociale è messa in pericolo con gravi
conseguenze per la gente: aumenta la povertà, è messa a repentaglio la pace, comandano i soldi e la gente sta male. Stare
in mezzo alla gente quindi fa bene non
solo alla vita dei singoli ma è un bene per
tutti.
Stare in mezzo alla gente evidenzia la
pluralità di colori, culture, razze e religioni. La gente fa toccare con mano la ricchezza e la bellezza della diversità. Solo
con una grande violenza si potrebbe ridurre la varietà a uniformità, la pluralità
di pensieri e di azioni ad un unico modo
di fare e di pensare. Quando si sta con la
gente si tocca l’umanità: non c’è mai solo
la testa, c’è sempre anche il cuore, c’è più
concretezza e meno ideologia. Per risolvere i problemi della gente bisogna partire
dal basso, sporcarci le mani, avere coraggio, ascoltare gli ultimi. Penso ci venga
spontaneo chiederci: come si fa a fare così? Possiamo trovare la risposta guardando
a Maria. Ella è serva, è umile, è misericordiosa, è in cammino con noi, è concreta,
non è mai al centro della scena ma è una
presenza costante. Se guardiamo a Lei troviamo il modo migliore di stare in mezzo
alla gente. Guardando a Lei possiamo
percorrere tutti i sentieri dell’umano senza
paure e pregiudizi, con Lei possiamo diventare capaci di non escludere nessuno.
Questo è il mio augurio per tutti voi.
Prima di salutarvi desidero ringraziare il
Vescovo di Verona per l’accoglienza, tutti i
volontari per la loro disponibilità e generosità, don Adriano Vincenzi per il lavoro
svolto per la conoscenza e l’attualizzazione della dottrina sociale della Chiesa. E
mi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
Nel mondo digitale
Capaci di sognare
di DARIO ED OARD O VIGANÒ
La vita on line e quella off line chiedono
una profonda integrazione anche perché
l’una rende autentica l’altra e di fatto,
oggi, non si ha più una separazione netta tra l’essere in rete o l’esserne fuori.
Si è sempre e comunque parte di questo
nuovo mondo digitale il cui reticolato,
che sia frequentato o meno consapevolmente, ci avvolge tutti. Certamente anche da questo punto di vista le potenzialità sono straordinarie e fanno auspicare
una piena valorizzazione di questo nuovo contesto ad elevata capacità di socializzazione. Siamo, però, anche consapevoli che questo processo richiede un di
più di responsabilità etica, con una attenta gestione di questa nuova realtà.
Potremmo parlare della necessità di una
“ecologia della rete e dell’ambiente digitale” affinché sia fruibile da tutti, non
comporti rischi e pericoli, soprattutto
per le categorie più esposte e meno attrezzate ad un uso appropriato e anche
critico della rete. Occorre che tutti lavorino consapevolmente per far sì che
l’umanesimo plasmato dalla rete sia davvero integrale e integrato. La rete può
contribuire a far crescere un’antropologia
capace di rafforzare e arricchire le relazioni sociali e nello stesso tempo attenta
a coltivare la dimensione trascendente
dell’esistenza umana, caratteristica senza
la quale nessuna esperienza può essere
e dirsi autenticamente umana.
In questa prospettiva emerge la necessità di una pedagogia del desiderio
e del consumo, nel tentativo di trovare
l’autenticità dell’essere, con un equilibrio che non nasce da una negazione
ma da una apertura alla capacità di
sognare. Siamo chiamati a educare al
desiderio di traguardi alti, per non appiattire l’esistenza su una dimensione
unica, orizzontale, che frena il coraggio di alzare lo sguardo e scorgere
orizzonti più ampi. Educare al desi-
derio significa non spingere alla ricerca
spasmodica di oggetti nuovi da consumare, ma indicare traguardi da raggiungere, frontiere da superare, terreni da
coltivare, relazioni da costruire. Desiderare non può essere sinonimo di fame di
possesso, bulimia da accumulo, in una
pulsione irrefrenabile che si consuma tra
“usa e getta”. Il desiderio vero, umano,
ha nella sua radice la dimensione verticale, il cielo, le stelle, qualcuno che è totalmente “Altro” da me e da tutto ciò che
mi circonda.
La pedagogia del desiderio ci pone di
fronte al fatto che «Il soggetto umano è
abitato anche da un’altra mancanza, da
una mancanza diversa dall’assenza segnalata dai suoi molti bisogni; il modo
d’essere dell’uomo testimonia la presenza
di un desiderio che attesta un tipo di
mancanza che nessun possesso e nessun
godimento ad esso connesso sono in grado di colmare» (Silvano Petrosino, L’idolo. Teoria di una tentazione dalla Bibbia a
Lacan, Milano-Udine, 2015, p. 95). Indirizziamo i nostri sforzi, allora, verso una
progettazione di politiche educative che
trasmettono coraggio per osare il futuro,
fermezza e ragioni per impegnarsi, orientamenti e decisioni per agire. Una visione formativa positiva fa sì che rinasca
l’audacia per superare l’indifferenza,
comprendere la complessità e rinunciare
alla comodità della semplificazione a tut-
ti i costi. Questo itinerario educativo
parte da se stessi, da una corretta percezione della propria identità, del bene e
del male che ci abita, delle luci e delle
ombre che colorano la nostra esistenza,
delle vittorie e delle sconfitte che costellano ogni esistenza umana. In questo itinerario pedagogico un altro passo fondamentale è la formazione alla libertà, che
superi il significato calcolatore ed egoista
che la intende unicamente come pura
scelta tra cose, comportamenti e persone,
senza obblighi né responsabilità, per
orientarla verso una assunzione adulta di
impegni personali e sociali.