MC 12,1-12 E PAR.

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MC 12,1-12 E PAR.
La Scala 65/4 (2011) 237-244
LA PARABOLA DEI PERFIDI VIGNAIOLI
(MC 12,1-12 E PAR.)
DONATO BONO
È fuor di dubbio la portata notevole delle parabole di Gesù e la loro consistente
entità all’interno del messaggio evangelico. Esse costituiscono, indubbiamente,
un’ossatura speciale dell’annuncio fatto da Gesù di Nazareth1. Tra di esse sembrano
assumere un ruolo speciale soprattutto quelle che potremmo definire le parabole
allegoriche, nel cui racconto i singoli personaggi o più generalmente i protagonisti in
azione hanno un riferimento immediato con la realtà, cui essi rimandano. Tale, infatti,
sembra il significato delle parabole spiegate da Gesù stesso, di cui un esempio è dato
dalla parabola del seminatore (Mc 4,1-9; 14-20 o dalla parabola della zizzania (Mt
13,24-30; 36-43).
Ancora più sconcertante sembra il caso della parabola dei vignaioli omicidi,
dove il racconto ha senza dubbio un chiaro e problematico riferimento al contesto
storico di Gesù, attraverso un’allegoria, nella quale personaggi in azione sembrano
rimandare alle personalità storiche del suo tempo (cfr Lc 11,47-54; 13,34; Mt 23,2932.37; anche 2Cr 24,19-22)2. È questo il
1
Cfr A. MAGGI, Parabole come pietre, Assisi 2001; D. MCBRIDE, Les paraboles de Jésus. La Bible tout
simplement, Paris 2004; G. DE ROSA, «Le parabole di Gesù nei Sinottici», in Civiltà Cattolica 161/2 (2010) 149-160.
2
Tra i commentari, segnaliamo S. LÉGASSE, Marco, Roma 2000, 600-612; S. GRASSO, Luca, Roma 1999. Cfr
anche l’ampia analisi di G. DE VIRGILIO - A. GIONTI, Le parabole di Gesù. Itinerari: esegetico-esistenziale; pedagogicodidattico, Trapani 2007, 225-240; X. ALEGRE, «La parábola dels vinyates homicides segons la versió de Marc (Mc 12,112)», in Revista Catalana de Teologia 14 (1989) 163-174; D. MERLI, «La parabola dei vignaioli infedeli», in Bibbia e
Oriente 15 (1973) 93-108; J.S. KLOPPENBORG, The Tenants in the Vineyard:
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punto più interessante, riguardante questa peculiare parabola, dove l’allegoria, che
sembra caratterizzarla, non solo è un rimando alla storia salvifica del popolo
d’Israele, ma assume un chiaro riferimento alla vicenda storica del profeta Gesù di
Nazareth. Balza subito all’occhio che la sua collocazione è posta negli ultimi giorni,
vissuti da Gesù a Gerusalemme, dopo il suo ingresso trionfale nella città santa. È qui
che gli evangelisti inseriscono le ultime e spietate polemiche con gli avversari e la
posizione chiara e netta di Gesù rispetto a loro.
La parabola è riportata, sostanzialmente identica, dai tre evangelisti sinottici3, e
non c’è motivo di dubitare che la fonte sia Marco, che presenta la versione originaria
del racconto parabolico e che sarà pertanto il nostro testo di riferimento 4
Ideology, economics, and agrarian Conflict in Jewish Palestine, Tübingen 2006. Più in generale, sul sangue dei profeti
cfr F. O’FEARGHAIL, «Il rendiconto per il sangue dei profeti (Lc 11,50s)», in F. VATTIONI (edito da), Sangue e
antropologia biblica, II, Roma 1981, 675-688
3
Rispetto a Marco, in Matteo l’uomo generico, che pianta la vigna, diviene un pater-familias; i servi,
maltrattati dai vignaioli, sono inviati in gruppo; è eliminato il titolo di prediletto; l’uccisione del figlio avviene fuori
della vigna, come del resto anche in Luca, laddove in Marco il figlio ucciso è gettato fuori; la risposta di condanna è
posta in bocca agli avversari e soprattutto Matteo rincalza eccessivamente la condanna in bocca a Gesù con l’aggiunta
dei vv. 43-44. Da parte sua, Luca sembra voler snellire il racconto, per motivi probabilmente stilistici (cfr C. GHIDELLI,
Luca, Cinisello Balsamo 1986, 383): egli elimina le sfumature sul lavoro iniziale dell’uomo nei confronti della vigna,
dicendo semplicemente che egli la piantò e l’affidò a dei coltivatori; sottolinea la partenza e il ritardo del padrone con
l’espressione per molto tempo, forse in sintonia con la teologia lucana relativa alla parusia; del Salmo 118 riporta solo
la prima parte (v. 22), forse perché ripresa nella medesima forma in At 4,11, mentre Marco e Matteo citano anche il v.
23. Ma la variante più significativa, rispetto al parallelo marciano (Mc 12,6), sembra l’espressione il figlio mio
prediletto, posta in bocca al padrone della vigna, forse per collegare direttamente la parabola con le voci precedenti del
Padre al Battesimo (Lc 3,22) e alla Trasfigurazione (9,35).
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L’unica difficoltà è data dalla presenza in Matteo e Luca dell’espressione Chi cadrà sopra questa pietra sarà
sfracellato; qualora essa cada su qualcuno lo stritolerà, assente in Marco, che fa pensare a una possibile versione
differente, in possesso dei due evangelisti (cfr a riguardo la tesi di J.A. FITZMYER,
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1. La parabola nel suo contesto
La parabola è collocata nella grande sezione conclusiva del ministero di Gesù a
Gerusalemme (Mc 11,1-13,37 e par. sinottici), prima della definitiva condanna e
morte. E qui gli evangelisti inseriscono una serie di episodi miranti ad accentuare la
tensione e a condurre i nemici ad un totale allontanamento da Gesù, richiamando
forse le polemiche iniziali presenti nel vangelo di Marco (Mc 2,1-3,6), che si
concludono con la decisione di Farisei ed Erodiani di condannarlo a morte (Mc 3,6).
Immediatamente preceduta dal rifiuto da parte di Gesù di rivelare ai suoi
avversari con quale autorità egli agiva nel Tempio (Mc 11,27-33), la parabola è
seguita da una serie di controversie su questioni politiche (Mc 12,13-17), religiose
(Mc 12,18-27; 28-34), messianiche (Mc 12,35-37) e dal giudizio negativo nei
confronti degli Scribi (Mc 12,38-40; 41-44).
Non c’è dubbio, quindi, che in questo contesto la parabola accentui in modo
forte la tensione, che si sta creando, evidenziata particolarmente dall’amaro
commento dell’evangelista (Mc 12,12), che evidenzia non solo la decisione di fare
fuori Gesù, ma anche la comprensione della parabola da parte dei nemici, rispetto al
loro comportamento. L’espressione: E co-
Luke, II, Garden City 1981, 1278). Sulla forma originaria della parabola cfr H. HUBAUT «La parabole des vignerons
homicides: son authenticité, sa visée première», in Revue Théologique de Louvain 6 (1975) 51-61; M. LOWE, «From the
Parable of the Vineyard to a Pre-Synoptic Source», in New Testament Studies 28 (1982) 257-263. La presenza di un
racconto analogo nel Vangelo di Tommaso 65-66, più che ad una fonte diversa dai Sinottici, come vorrebbe J.A.
FITZMYER, ibid., 1279-1280, è dovuta forse ad una rilettura in chiave gnostica a partire dal testo sinottico. Sul rapporto
tra Marco e il Vangelo di Tommaso cfr B. DEHANDSCHUTTER, «La parabole des vignerons homicides (Mc, XII,1-12) et
l’Évangile selon Thomas», in M. SABBE (edited by), L’Évangile selon Marc, tradition et rédaction, (BETL 34),
Gembloux 1974, 203-219. Un racconto simile è conosciuto anche nella tradizione giudaica, e precisamente nell’opera
rabbinica detta Sifra Deuteronomio 312 (cfr Dt 32,9), che potrebbe aver esercitato qualche influenza sulla parabola
evangelica (cfr S. GRASSO, Luca…, cit., 514, soprattutto nota 8).
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minciò a parlare loro in parabole (v. 1) delinea l’inizio del racconto, mentre la frase
E, lasciatolo se ne andarono (v. 12) non solo segna la conclusione dell’intera
pericope, ma sembra anche evidenziare la conclusione drammatica e dolorosa di una
lacerazione, ormai realizzatasi tra Gesù e i capi del popolo, che lo manderanno a
morte.
2. La struttura narrativa della parabola
Anche se la maggior parte degli esegeti la considera un’aggiunta posteriore e
pertanto non facente parte del racconto originale, sembra tuttavia che la parabola,
almeno nella forma trasmessaci dagli evangelisti culmini nel suo tratto conclusivo,
dato dalla citazione scritturistica del Salmo 118,22-23. La citazione, unico caso in
tutte le parabole raccontate dal Signore, si presenta come una sorta di condanna nei
confronti degli avversari, che in questo modo si collocano definitivamente fuori dal
piano o progetto divino5. Essa è introdotta solennemente dall’espressione in forma
retorica Non avete forse letto questa Scrittura (cfr l’espressione analoga in Mc 2,25)
ed è posta come effettiva conclusione del dramma raccontato.
L’inizio è caratterizzato dall’azione di un uomo, un pater-familias o un padrone,
che con la sua decisione di realizzare una vigna, mette in moto il racconto parabolico.
La descrizione non solo risente dell’eco delle grandi immagini profetiche sulla vigna,
che è Israele (Is 5,1-7; 27,2-5; Os 10,1; Ger 2,21; 5,10; 6,9; 12,10; Ez 15,1-8; 17,310; 19,10-14; cfr anche Sal 80,9-17), ma anche dell’opera creatrice di Dio, che crea
l’Eden e vi colloca l’uomo (cfr Gn 2,8). Si tratta, quindi, dell’iniziativa divina
5
Sul valore di questa citazione e sul suo significato cfr S. CIPRIANI, «Significato cristologico o anche
ecclesiologico nella citazione del Salmo 118,22-23 al termine della parabola dei vignaioli omicidi?», in Asprenas 26
(1979) 235-249; P. DARD, «La pierre rejetée et devenue pierre d’angle. Analyse intertextuelle à partir de Mc 12,1-12»,
in Semiotica Biblica 90 (1998) 3-42; sulla pietra angolare cfr J.D.M. DERRETT, «The Stone that the Builders
Rejected», in Studia Evangelica 4/1 (1968) 180-186; T. BAARDA, «“The Corner Stone”: An Aramaism in the
Diatessaron and the Gospel of Thomas?», in Novum Testamentum 37 (1995) 285-300.
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che ha donato a Israele il lavoro delle sue mani, ossia la vigna/la terra, affinché
l’uomo/Israele, la custodisca e la coltivi (cfr Gn 2,15).
Nei confronti della vigna viene evidenziata una serie di azioni compiute dal
padrone:
- la piantò (cfr Gn 2,8; Ger 2,21; Ez 17,5.10);
- la circondò con una siepe;
- in essa scavò un torchio (Is 5,2d);
- vi costruì una torre (Is 5,2c);
- infine la affittò e se ne andò.
Si tratta di 6 verbi, che esprimono una particolare cura e attenzione riguardo alla
vigna:
- piantare la vigna, ossia creare e realizzare un luogo fecondo;
- circondarla con una siepe, ossia proteggere quel luogo fecondo;
- scavare un torchio, in vista cioè del vino, il dono della vigna;
- costruire una torre, che servisse per un’ulteriore protezione;
- affittarla a dei vignaioli, ossia l’espressione della totale fiducia nei loro
confronti;
- andarsene, che probabilmente esprime un’ulteriore volontà di affidamento e di
fiducia verso gli affittatari.
I vv. 2-5 descrivono le reiterate missioni dei servi, che sistematicamente
vengono afferrati, bastonati; picchiati sulla testa, coperti di insulti, con il solito
risultato di essere rimandati a mani vuote o addirittura, per alcuni di loro, essere
persino uccisi.
Il v. 6 presenta la decisione di inviare per ultimo (novissimum) il proprio figlio
prediletto, con la certezza espressa con forza dal padrone che di lui avranno rispetto
(reverebuntur filium meum)6. L’espressione figlio prediletto riecheggia vicende molte
note al lettore, e cioè l’episodio del Battesimo al Giordano e quello della
Trasfigurazione sul monte, dove
6
La concezione del dono del Figlio è una categoria neotestamentaria molto arcaica (cfr Gal 2,20; Ef 5,2.25;
Rm 8,32; Gv 3,16; 1Gv 3,16), la cui formula originaria aveva Dio o il Padre per soggetto e il Figlio come complemento
oggetto. A questo primitivo nucleo vanno aggiunte anche le formule col verbo inviare (Gal 4,4; Rm 8,3; Gv 3,17; 1Gv
4,9), che probabilmente costituiscono un vero e proprio schema tradizionale della fede cristiana (cfr .V. FUSCO, Le
prime comunità cristiane. Tradizioni e tendenze nel cristianesimo delle origini, Bologna 1997, 91-92.
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la voce del Padre ha espressamente indicato in Gesù il Figlio amato e prediletto di
Dio7; ma rimanda anche all’amore unico e incondizionato di Abramo nei confronti
del figlio della promessa (Gn Gn 22,1; Rm 8,32).
Ma anche nei confronti del figlio la reazione dei perfidi vignaioli non è diversa
rispetto alla sorte assegnata ai servi (vv. 7-8). Riecheggiando storie simili dell’Antico
Testamento (cfr soprattutto Gn 37,19-20; ma anche Gn 4,8 e le vicende dei profeti in
genere), essi progettano un futuro vantaggioso per loro, svincolandosi del tutto dal
loro padrone: ucciso l’erede, avranno essi l’eredità. Il figlio unico e prediletto viene
afferrato, ucciso, gettato fuori della vigna:
- afferrandolo, i vignaioli dimostrano di non avere nessun rispetto nei confronti
dell’unico figlio prediletto del loro padrone;
- uccidendolo, compiono l’azione obbrobriosa, che li rende colpevoli di una
colpa immane, senza precedenti;
- cacciandolo fuori della vigna, non riconoscono al padrone nessun potere nei
loro confronti.
Si giunge, così, alla conclusione del racconto. Il v. 9, posto da Marco sulla bocca
di Gesù, mentre Matteo fa pronunciare la risposta dagli ascoltatori/avversari, è
costituito da una domanda retorica e dalla risposta data da Gesù stesso: di fronte a
tanta empietà il padrone, venendo, stermina quegli uomini malvagi e affida la
vigna ad altri. Segue la giustificazione scritturistica di questa decisione, data dalla
citazione del Salmo 118,22-23, che sembra porre il sigillo finale al racconto. Essa,
infatti, parla di una pietra scartata dai costruttori, ma divenuta paradossalmente la
pietra angolare dell’edificio.
Questa azione è lodata come realizzata da Dio stesso e ammirata ora dal noi
spettatore. Non si tratta semplicemente di una storia a lieto fine, ma di un dramma
umano, che rimane tale nonostante tutto, e nel quale gli occhi credenti, convertiti e
rinati dallo spirito, mirano l’azione sconvolgente e meravigliosa di Dio.
7
Non c’è motivo, infatti, di dubitare che l’espressione Figlio prediletto (Mc 12,6), sia da collegare
direttamente con la voce al Battesimo (Mc 1,11; cfr anche 9,7), tanto più che Luca, con l’aggiunta dell’articolo tón,
sembra voler rimarcare la peculiare dignità del Figlio.
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La morte dei tanti servi, inviati dal padrone, e la stessa morte del figlio
prediletto costituiscono un dramma senza precedenti, che rimane dramma e dolore
ogni oltre misura. Il ribaltamento della situazione non modifica, di fatto, la realtà di
morte e di sopruso. Al contrario esso diventa possibile grazie alla prospettiva nuova
di Dio, che paradossalmente rende pietra angolare ciò che l’uomo nella sua
arroganza e superbia ha scartato. È quel figlio prediletto la pietra e il sasso
d’inciampo, “scandalo per i Giudei” (cfr 1Cor 1,23), ma per i credenti “potenza di
Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1,24). È Gesù la pietra scartata, emarginata, reietta e
disprezzata dai costruttori, ma divenuta testata d’angolo8. È questo il prodigio
mirabile, realizzato da Dio, perché la pietra disprezzata è ora diventata la chiave di
lettura della storia, resa da Dio capolavoro della sua Grazia 9.
3.
Conclusione
Non c’è dubbio che la citazione del Salmo 118,22-23 segni la conclusione e il
senso stesso del racconto. Il ricorso a un testo autorevole dell’Antico Testamento
rende senz’altro peculiare il messaggio conclusivo della parabola. Anche se forse non
presente nel racconto originale e pertanto non facente parte delle intenzionalità
dell’autore, tuttavia la sua presenza qui, alla fine della parabola, è piuttosto
sconcertante e paradossale.
Tale operazione non può non essere attribuita che all’evangelista Marco, e
accolta dagli altri due Sinottici. Considerando, infatti, l’attuale redazione del testo,
più che una storia a lieto fine, si tratta piuttosto di una storia con un finale a
sorpresa. Tale finale scaturisce da una storia drammatica, ossia la storia
8
Più volte nel Nuovo Testamento Gesù è identificato con la pietra: At 4,11; 1Cor 3,11; Ef 2,20; 1Pt 2,4.7.
Oltre al Sal 1l8,22 (citato qui, nei tre vangeli sinottici, e in At 4,11 e 1Pt 2,7-8), a tale identificazione avranno
contribuito anche i testi di Is 8,14 e 28,16 (cfr Rm 9,32-33; 10,11; 1Pt 2, 6).
9
Cfr la dettagliata analisi di M. BASTIN, Jésus devant sa passion, Paris 1976, 56-70.
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della Vigna, affidata a quei vignaioli malvagi, di cui il padrone si era fidato, affidando
loro la sua creatura più bella, appunto la sua vigna, da lui fondata, circondata con una
siepe, posta al sicuro dalla torre di guardia e finalizzata al frutto dell’uva e al dono del
vino nuovo della festa. Questo progetto del padrone è stato infranto
dall’atteggiamento mediocre e malvagio dei vignaioli che, maltrattando o uccidendo i
servi, respingendo la loro parola profetica e persino non accogliendo con rispetto e
riconoscenza l’invio del figlio prediletto, non hanno saputo riconoscere il tempo
prezioso del frutto.
Ma la dinamica del racconto non si ferma davanti a questa storia di morte, di
ingiustizie e di atrocità. Al contrario, essa mette il lettore dinanzi a quel finale a
sorpresa della pietra ribaltata e disprezzata, che segna la svolta definitiva della
storia, dove l’ultima parola non è del male, ma del bene, perché tutto ciò che l’uomo
pensa male Dio lo pensa bene (cfr Gn 50,20) ed è sua l’ultima parola della storia
dell’umanità e della vita di ciascuno di noi.
È stata questa la storia di Gesù di Nazareth: i discepoli, convertiti e rinati alla
grazia della luce pasquale, contemplano stupiti la storia paradossale del loro Signore,
scartato, disprezzato e reietto, ma divenuto ora la pietra angolare della comunità
ecclesiale (cfr At 4,11).
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