SottoVoce n.09 (Aprile 2010)

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SottoVoce n.09 (Aprile 2010)
Questa è la notte in cui Cristo
ha distrutto la morte!
“ Morte e vita si sono affrontate in
un prodigioso duello l’autore della
vita era morto, ma ora, vivo,
trionfa.”
Pasqua
è
la
solennità
più
importante per i cristiani, perché
nel Cristo risorto è radicata la
nostra fede, si concretizza la nostra
speranza e veniamo proiettati nella
carità.
Chi crede che Gesù è morto e risorto
per la nostra salvezza avrà la vita
eterna, così annunciano gli apostoli.
Su questo annuncio e sulla sua
verità si fonda anche l’annuncio
pasquale della Chiesa di oggi,
annuncio che dona incessantemente
una speranza al mondo ferito da
tante manifestazioni del male.
Gesù Risorto è la nostra gioia e la
nostra certezza di una vita che è
aperta per sempre alla comunione
con Dio qui e nell’eternità, sapendo
che risorgeremo anche con il corpo
trasformato da Colui che è la
primizia della nuova umanità.
Dal sepolcro vuoto bisogna ripartire
per andare incontro a Gesù , per
poterlo riconoscere nelle varie
situazioni della nostra vita.
Per
poterlo
riconoscere
nell’Eucarestia, nella Chiesa, nei
poveri, nei sofferenti. Riconoscerlo
per annunciarlo senza timore anzi,
mossi dal Suo Spirito proclamare
con coraggio che al di fuori di Cristo
non c’è salvezza.
Risuoni oggi l’Alleluja pasquale,
nei nostri cuori e in quanti soffrono
e sono tristi. Si faccia spazio alla
gioia vera quella che viene dalla certezza della fede: che Gesù ci ha liberato
dalla morte del peccato e dalla morte corporale e che la nostra vita ha un
futuro di gioia che non avrà mai fine. E’ anche questo l’augurio sincero che ci
scambiamo nel giorno di Pasqua: rinascere tutti nella luce del Signore Risorto.
Il che significa verità, rettitudine, fedeltà, bontà, solidarietà verso ogni fratello,
misericordia e perdono.
La Pasqua è questo e molto più di questo, ma soprattutto passaggio da una vita
di peccato ad una vita di grazia secondo il modello di Cristo morto e risorto per
noi.
Gino Raso
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Appuntamenti della SETTIMANA SANTA
28 Marzo - Domenica delle Palme
ore 9.30 Benedizione delle Palme a Largo Favino, Processione
ore 11.30 Benedizione delle Palme davanti alla Croce, processione e S. Messa
1 Aprile – Giovedì Santo
ore 9.00 S. Messa Crismale in S. Pietro
ore 18.00 Santo Rosario
ore 18.30 MESSA IN COENA DOMINI
dalle ore 21.30, per tutta la notte Adorazione Eucaristica
2 Aprile – Venerdì Santo
ore 7.30 Preghiera Comunitaria
ore 15.00 Via Crucis con i bambini e i ragazzi del Catechismo
ore 18.00 ADORAZIONE DELLA CROCE
ore 20.30 Via Crucis Vivente – Sacra rappresentazione in parrocchia
3 Aprile – Sabato Santo
ore 7.30 Preghiera Comunitaria
ore 22.30
VEGLIA PASQUALE
PASQUA DI RESURREZIONE (Domenica 4 Aprile)
SS. Messe ore 8.00 – 10.00 – 11.30 – 18.00
Pellegrinaggio alla Madonna del Divino Amore
Lunedì 3 Maggio 2010, si svolgerà l’ormai consueto Pellegrinaggio al Santuario della Madonna del Divino
Amore, per inaugurare il mese mariano. La partenza dalla parrocchia è prevista per le ore 18.00 con un
pulman per chi si è prenotato oppure con mezzi propri.
La Madonna Pellegrina
Come nella tradizione consolidata della nostra parrocchia, in tutto il mese di maggio, dedicato alla Madre
di Gesù, si reciterà il S. Rosario presso le case che a turno ospiteranno la piccola statua della Vergine, la
Madonna Pellegrina. Orari e calendario verranno predisposti quanto prima.
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Vieni a fare
Pasqua con noi !
Oggi pensiamo a torto di essercene un po’ affrancati, ma dalla
notte dei tempi, la vita degli uomini è stata appesa al ciclo
vitale della natura. D’inverno i greggi riposavano negli stazzi a
valle e i pastori si nutrivano del latte delle pecore e si coprivano
della loro lana.
Ma il fieno, prolungandosi la cattiva stagione, sarebbe venuto a
mancare, se, come d’improvviso, la vita non fosse tornata a
rifiorire; i prati ubertosi di nuovi pascoli e le pecore madri a
partorire, come un passa parola, agnellini in quantità ad
allietare l’aria di nuovi canti e il cuore degli uomini di grande
festa. È la Pasqua che trionfa dopo il gelo, il buio e la fame.
La primavera dispone i suoi colori sulla tavolozza della vita.
Anche i contadini hanno sempre salutato la pasqua primaverile
con gioia e grande attesa, perché le sementi cominciano a
fiorire e la speranza riscalda i cuori e i progetti dei figli
dell’uomo.
Accadeva così anche ai tempi della lunga schiavitù degli Ebrei
in terra d’Egitto. La vita era dura sotto i colpi degli aguzzini, ma
almeno ci si poteva nutrire del buon frumento e delle cipolle,
che a primavera verdeggiavano nelle piane bagnate dal Nilo.
Mosè, l’inviato di Dio, fece loro assaporare il nuovo cibo della
libertà, guidandoli dalla schiavitù fino alla Terra promessa,
dove scorre latte e miele.
conduttore, il principio del loro agire, educando anche i loro
figli a questo. Gesù era ebreo e ogni anno festeggiava la Pasqua.
Quell’anno era una Pasqua particolare per Lui. Sentiva la sua
ora avvicinarsi per portare gli uomini, novello Mosè, ad una
nuova meta, in una nuova Terra: la libertà dalla morte, il più
potente dei Faraoni che ha il potere di piegarci il collo e farci
impastare, umiliandoci, i mattoni per il suo superbo dominio.
Quel giorno i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero:
“Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?”
Quindi nella cosiddetta ultima cena Gesù e i suoi non si erano
radunati lì per caso, ma stavano celebrando la Pasqua.
Cosa bisognava dunque preparare? Questo non ci viene detto
nei vangeli perché i primi destinatari degli evangelisti erano
tutti ben a conoscenza di come si svolgesse il rito pasquale e
quello che hanno scritto si riferisce solo alle novità apportate
dal Maestro. È come se qualcuno, scrivendoci dal Malawi, ci
volesse descrivere una loro Eucarestia.
Ci direbbe delle particolarità, per esempio che loro cantano,
ballano e battono le mani per fare festa, a differenza nostra che
sembriamo stare ad un funerale, ma non ci parlerebbero delle
letture o del modo di consacrare, perché già lo sappiamo.
Per prima cosa si distruggono tutti i pezzi di pane lievitato per
poter entrare nella pasqua rinnovati e senza la vecchia
mentalità ( da qui deriva l’usanza delle pulizie pasquali;
sacramentalmente la Confessione, un precetto della Chiesa è
quello infatti di confessarsi almeno una volta a Pasqua).
Li fece uscire in una notte di primavera, facendo intingere gli
stipiti degli ingressi delle loro misere case con il sangue degli
agnelli, sacrificati per la Pasqua. L’angelo sterminatore colpì i
primogeniti d’Egitto, che sono i frutti degeneri del nostro
orgoglio e delle nostre dipendenze, e passò oltre le case degli
ebrei, permettendo loro l’esodo, l’uscita da un mondo di
schiavitù e progettare la loro nuova vita nell’abbandono a Dio e
nella libertà.
È da quella notte, da millenni, che i nostri fratelli Ebrei,
celebrano la Pasqua, e di pasqua in pasqua inneggiano al
Liberatore: oggi schiavi in Egitto, ma domani liberi a
Gerusalemme. Questo è il loro programma di vita, Il filo
Poi si apparecchia una ricca mensa con i pani azzimi, con
abbondante vino e coppe, con l’agnello e le erbe amare,con le
uova sode (antesignane delle uova di Pasqua) con un dolce il
cui colore e impasto richiamano i mattoni che gli schiavi erano
costretti a confezionare. ma di accomodarsi il più piccolo della
famiglia lava le mani al padre di famiglia o a chi presiede
l’assemblea. Per questo i vangeli ci parlano di una discussione
fra i discepoli su chi era il più grande, per stabilire il ruolo.
Gesù sovverte lo schema e lava i piedi a tutti, come colui che
serve.
Poi c’ è un lungo racconto che il padre inneggia ai prodigi
compiuti dal Signore per liberare Israele e risponde alle
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domande curiose dei bambini. Durante il racconto c’è la
distribuzione di un pane azzimo. È a questo punto che Gesù
innesta una novità, dopo la benedizione prevista dice:”
Prendete e mangiate, questo è il mio corpo (Lui è il nuovo
agnello), offerto per voi, fate questo in memoria di me”.
L’uovo di Pasqua
e Maria Maddalena
E verso la fine del pasto, sotto la tremula attenzione dei suoi
discepoli, già impressionati dalla fuga di Giuda, dal terribile
progetto che ha loro appena delineato e dalle sue accorate
parole di commiato, Gesù prende un calice di vino, rende grazie
al Padre e dice:” Prendete e bevete, questo è il calice della
nuova alleanza sul mio sangue”. Non più un patto fondato sulla
Legge, ma sul sangue di Cristo, che ci trasporta verso la nuova
terra della vita e dell’amore: vi do un comandamento nuovo
(una nuova meta), che vi amiate gli uni gli altri, come io ho
amato voi.
Poi quella notte stessa Gesù viene arrestato, massacrato e
crocifisso per dare compimento alle sue parole. Aprendoci una
strada, dopo aver annientato il faraone, perché noi lo
potessimo seguire e gustare la gloria di una quotidiana
resurrezione. Come se dicesse, così dice ogni Israelita al suo
prossimo: vieni a fare Pasqua con noi. Non un rito scialbo e
sterile, senza una esplosione di gioia e senza voglia di mettersi
in cammino.
“Guardatevi dal lievito dei farisei”, dovrebbe risuonare come un
mantra alle nostre orecchie. Il pane che mangiamo per la
pasqua è azzimo, perché senza il lievito dell’ipocrisia.
Ma noi proclamiamo con enfasi: prendete e mangiate, ma
nessuno mangia il Suo corpo…vuole solo garantire il proprio
corpo.
Prendete e bevete… ma nessuno beve. Fate questo in memoria
di me… cioè fate anche voi la vostra pasqua, appoggiandovi a
me. Ma noi facciamo solo gesti, simboli e basta. “ Se uno mi
vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo
- Questo è il succo del fare memoria - Se il chicco di grano
caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la
sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna.”
Livio Bottone
Secondo la leggenda, santa Maria Maddalena donò
il primo uovo pasquale all’imperatore romano
Tiberio. Poco dopo l'Ascensione di Cristo, Maria
Maddalena andò a Roma a predicare il vangelo.
Si supponeva che le persone che andavano a far
visita all'imperatore gli portassero un dono. Le
persone ricche portavano gioielli mentre quelle
povere, ciò che potevano permettersi; perciò, Maria
Maddalena, una volta donna nobile e ricca, che
rifiutò tutto per la sua fede in Gesù, offrì
all’imperatore Tiberio un uovo esclamando: «Cristo
è risorto!».
L'imperatore, mise in dubbio le sue parole, che
nessuno poteva risorgere dai morti così come un
uovo bianco non poteva diventare rosso. Tiberio
stava ancora dicendo queste parole quando l'uovo
cominciò a cambiare il suo colore e diventò
scarlatto. Così, dal primo secolo del Cristianesimo,
le uova colorate sono sempre state il simbolo della
risurrezione di Gesù. Le uova di colore rosso
simboleggiano il sangue di Cristo e nello stesso
tempo la sua Risurrezione.
Donando un uovo pasquale ad un altro, il cristiano
professa la sua fede nella Risurrezione. Se la
Risurrezione di Cristo non fosse avvenuta, secondo
l'Apostolo Paolo, vana sarebbe la nostra fede, non
donando la salvezza; ma Cristo è risuscitato, il
primo fra tutti coloro che sono nati sulla terra,
dimostrando la sua divinità.
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Magistero
Il cristianesimo
non è un moralismo
LECTIO DIVINA del Santo Padre
ai seminaristi di Roma del 22.2.2010
Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei
comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho
osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo
amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la
vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri,
come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di
questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se
farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché
il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati
amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto
conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e
vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro
frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel
mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni
gli altri. Gv. 15, 9-17
Rimanete in me, nel mio amore
Il rimanere nel Signore è fondamentale come primo tema di
questo brano. Rimanere: dove? Nell’amore, nell’amore di
Cristo, nell’essere amati e nell’amare il Signore. Il capitolo 15
inizia con la parabola della vite: "Io sono la vite e voi i rami". La
vite ha un duplice significato:
1. Il popolo di Dio è la sua vigna. Egli ha piantato una vite in
questo mondo, ha coltivato questa vite, ha coltivato e protetto
questa sua vigna, e con quale intento? Naturalmente, con
l’intento di trovare frutto, di trovare il dono prezioso dell’uva,
del vino buono.
2. Il vino è simbolo, è espressione della gioia dell’amore. Il
Signore ha creato il suo popolo per trovare la risposta del suo
amore e così questa immagine della vite, della vigna, ha un
significato sponsale, è espressione del fatto che Dio cerca
l’amore della sua creatura, vuole entrare in una relazione
d’amore.
Ma poi la storia concreta è una storia di infedeltà: invece di uva
preziosa, vengono prodotte solo piccole "cose immangiabili",
non giunge la risposta di questo grande amore. L’uomo si ritira
in se stesso, vuole avere se stesso solo per sé, vuole avere Dio
per sé, vuole avere il mondo per sé. E così, la vigna viene
devastata, il cinghiale del bosco, tutti i nemici vengono, e la
vigna diventa un deserto.
Ma Dio non si arrende: Dio trova un nuovo modo per arrivare
ad un amore libero, irrevocabile, al frutto di tale amore, alla
vera uva: Dio si fa uomo, e così diventa Egli stesso radice della
vite, diventa Egli stesso la vite, e così la vite diviene
indistruttibile. Questo popolo di Dio non può essere distrutto,
perché Dio stesso vi è entrato, si è impiantato in questa terra.
Nel discorso sul vino il Signore non parla esplicitamente
dell’Eucaristia, ma, naturalmente, dietro il mistero del vino sta
la realtà che Egli si è fatto frutto e vino per noi, che il suo
sangue è il frutto dell’amore che nasce dalla terra per sempre e,
nell’Eucaristia, il suo sangue diventa il nostro sangue, noi
diventiamo nuovi, riceviamo una nuova identità, perché il
sangue di Cristo diventa il nostro sangue. Noi siamo rami uniti
con il Figlio.
Osservate i miei comandamenti
Se continuiamo a leggere troviamo anche un secondo
imperativo: "Osservate i miei comandamenti". "Osservate" è
solo il secondo livello; il primo è quello del "rimanere", il livello
ontologico, cioé che siamo uniti con Lui, che ci ha dato in
anticipo se stesso, ci ha già dato il suo amore, il frutto. Non
siamo noi che dobbiamo produrre il grande frutto; il
cristianesimo non è un moralismo, non siamo noi che
dobbiamo fare quanto Dio si aspetta dal mondo, ma dobbiamo
innanzitutto entrare in questo mistero ontologico: Dio si dà
Egli stesso. Il suo essere, il suo amare, precede il nostro agire e,
nel contesto del suo Corpo, nel contesto dello stare in Lui,
identificati con Lui, nobilitati con il suo Sangue, possiamo
anche noi agire con Cristo.
L’etica è conseguenza dell’essere: prima il Signore ci dà un
nuovo essere, questo è il grande dono; l’essere precede l’agire e
da questo essere poi segue l’agire, come una realtà organica,
perché ciò che siamo, possiamo esserlo anche nella nostra
attività. E così ringraziamo il Signore perché ci ha tolto dal
puro moralismo; non possiamo obbedire ad una legge che sta
di fonte a noi, ma dobbiamo solo agire secondo la nostra nuova
identità. Quindi non è più un’obbedienza, una cosa esteriore,
ma una realizzazione del dono del nuovo essere.
Amatevi come io vi ho amato
Nessun amore è più grande di questo: "dare la vita per i propri
amici". Che cosa vuol dire? Anche qui non si tratta di un
moralismo. Si potrebbe dire: "Non è un nuovo comandamento;
il comandamento di amare il prossimo come se stessi esiste già
nell’Antico Testamento". Alcuni affermano: "Tale amore va
ancora più radicalizzato; questo amare l’altro deve imitare
Cristo, che si è dato per noi; deve essere un amare eroico, fino
al dono di se stessi". In questo caso, però, il cristianesimo
sarebbe un moralismo eroico. La vera novità non è quanto
facciamo noi, la vera novità è quanto ha fatto Lui: il Signore ci
ha dato se stesso, e il Signore ci ha donato la vera novità di
essere membri suoi nel suo corpo, di essere rami della vite che
è Lui. Quindi, la novità è il dono, il grande dono, e dal dono,
dalla novità del dono, segue anche, come ho detto, il nuovo
agire.
Non vi chiamo più servi, il servo non sa quello
che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici
perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto
conoscere a voi
Non più servi, che obbediscono al comando, ma amici che
conoscono, che sono uniti nella stessa volontà, nello stesso
amore. Dio non è più un Dio ignoto. Dio si è fatto vedere: nel
volto di Cristo, e così ci ha fatto amici. Pensiamo come nella
storia dell’umanità, in tutte le religioni arcaiche, si sa che c’è un
Dio. Ma questo Dio rimane molto lontano, sembra che non si
faccia conoscere, non si faccia amare. Perciò le religioni si
occupano poco di questo Dio, la vita concreta si occupa degli
spiriti, delle realtà concrete che incontriamo ogni giorno e con
le quali dobbiamo fare i calcoli quotidianamente. Ed ecco, in
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Cristo, Dio si è mostrato nella sua totale verità, ha mostrato che
è ragione e amore. Purtroppo anche oggi molti vivono lontani
da Cristo, non conoscono il suo volto e così l’eterna tentazione
del dualismo, si rinnova sempre, cioè che forse non c’è solo un
principio buono, ma anche un principio cattivo, un principio
del male; che il mondo è diviso e sono due realtà ugualmente
forti: e che il Dio buono è solo una parte della realtà. Anche
nella teologia, compresa quella cattolica, si diffonde
attualmente questa tesi: Dio non sarebbe onnipotente. In
questo modo si cerca un’apologia di Dio, che così non sarebbe
responsabile del male che troviamo ampiamente nel mondo.
Ma che povera apologia! Un Dio non onnipotente! Il male non
sta nelle sue mani! E come potremmo affidarci a questo Dio?
Come potremmo essere sicuri nel suo amore se questo amore
finisce dove comincia il potere del male?
Ma Dio non è più sconosciuto: nel volto del Cristo Crocifisso
vediamo Dio e vediamo la vera onnipotenza, non il mito
dell’onnipotenza. Per noi uomini potenza, potere è sempre
identico alla capacità di distruggere, di far il male. Ma il vero
concetto di onnipotenza che appare in Cristo è proprio il
contrario: in Lui la vera onnipotenza è amare fino al punto che
Dio può soffrire: qui si mostra la sua vera onnipotenza, che può
giungere fino al punto di un amore che soffre per noi. E così
vediamo che Lui è il vero Dio e il vero Dio, che è amore, é
potere: il potere dell’amore. E noi possiamo affidarci al suo
amore onnipotente e vivere in questo, con questo amore
onnipotente.
Dio ha mostrato con Cristo la sua faccia, il suo volto. Il velo del
tempio è squarciato, è aperto, il mistero di Dio è visibile. Il
primo comandamento che esclude immagini di Dio, perché
esse potrebbero solo sminuirne la realtà, è cambiato,
rinnovato, ha un’altra forma. Possiamo adesso, nell’uomo
Cristo, vedere il volto di Dio, possiamo avere icone di Cristo e
così vedere chi è Dio.
Io penso che chi ha capito questo, chi si è fatto toccare da
questo mistero, che Dio si è svelato, si è squarciato il velo del
tempio, mostrato il suo volto, trova una fonte di gioia
permanente. Possiamo solo dire: "Grazie. Sì, adesso sappiamo
chi tu sei, chi è Dio e come rispondere a Lui". E penso che
questa gioia di conoscere Dio che si è mostrato, mostrato fino
all’intimo del suo essere, implica anche la gioia del comunicare:
chi ha capito questo, vive toccato da questa realtà, deve fare
come hanno fatto i primi discepoli che vanno dai loro amici e
fratelli dicendo: "Abbiamo trovato colui del quale parlano i
Profeti. Adesso è presente". La missionarietà non è una cosa
esteriormente aggiunta alla fede, ma è il dinamismo della fede
stessa. Chi ha visto, chi ha incontrato Gesù, deve andare dagli
amici e deve dire agli amici: "Lo abbiamo trovato, è Gesù, il
Crocifisso per noi".
Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e
il frutto vostro rimanga
Con questo ritorniamo alla parabola della vite: essa è creata per
portare frutto. E qual è il frutto? Come abbiamo detto, il frutto
è l’amore. Nell’Antico Testamento, il frutto era compreso come
giustizia, cioè vivere secondo la Parola di Dio, vivere nella
volontà di Dio, e così vivere bene. La vera giustizia non consiste
in un’obbedienza ad alcune norme, ma è amore, amore
creativo, che trova da sé la ricchezza, l’abbondanza del bene. E
chi è unito con Cristo, chi è ramo nella vite, vive di questa
legge, non chiede: "Posso ancora fare questo o no?", "Devo fare
questo o no?", ma vive nell’entusiasmo dell’amore che non
domanda: "questo è ancora necessario oppure proibito", ma
semplicemente, nella creatività dell’amore, vuole vivere con
Cristo e per Cristo e dare tutto se stesso per Lui e così entrare
nella gioia del portare frutto.
Questo vi dico: Tutto quello che chiederete al
Padre nel mio nome ve lo conceda
Più volte il Signore dice "Quanto chiederete vi do" .Ma noi
vorremmo dire: "Ma no, Signore, non è vero". Tante preghiere
buone e profonde di mamme che pregano per il figlio che sta
morendo e non sono esaudite, tante preghiere perché succeda
una cosa buona e il Signore non esaudisce. Che cosa vuol dire
questa promessa? Nel capitolo 16 il Signore ci offre la chiave
per comprendere: ci dice quanto ci dà, che cosa è questo tutto,
la charà, la gioia: se uno ha trovato la gioia ha trovato tutto e
vede tutto nella luce dell’amore divino. Come San Francesco, il
quale ha composto la grande poesia sul creato in una situazione
desolata, eppure proprio lì, vicino al Signore sofferente, ha
riscoperto la bellezza dell’essere, la bontà di Dio, e ha composto
questa grande poesia.
È utile ricordare dal Vangelo di Luca: "Se già voi che siete
cattivi date cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre nel
cielo darà a voi suoi figli lo Spirito Santo". Lo Spirito Santo è
gioia: la gioia è lo Spirito Santo e lo Spirito Santo è la gioia, o,
in altre parole, da Dio non chiediamo una qualsiasi cosa, da
Dio invochiamo il dono divino; questo è il grande dono che Dio
ci dà: Dio stesso. In questo senso dobbiamo imparare a
pregare, perché Egli ci dia se stesso, ci dia il suo Spirito e così
possiamo rispondere alle esigenze della vita e aiutare gli altri
nelle loro sofferenze. Naturalmente, il Padre Nostro ce lo
insegna, possiamo pregare per tante cose, in tutti i nostri
bisogni possiamo pregare: "Aiutami!". Questo è molto umano e
Dio è umano. Ma, nello stesso tempo, il pregare è un cammino,
direi una scala: dobbiamo imparare sempre più per quali cose
possiamo pregare e per quali cose non possiamo pregare,
perché sono espressioni del mio egoismo. Non posso pregare
per cose che sono nocive per gli altri, non posso pregare per
cose che aiutano il mio egoismo, la mia superbia. Così il
pregare, davanti agli occhi di Dio, diventa un processo di
purificazione dei nostri pensieri, dei nostri desideri. Come dice
il Signore nella parabola della vite: dobbiamo essere potati,
purificati, ogni giorno; vivere con Cristo, in Cristo, rimanere in
Cristo, è un processo di purificazione, e solo in questo processo
di lenta purificazione, di liberazione da noi stessi e dalla
volontà di avere solo noi stessi, sta il cammino vero della vita,
si apre il cammino della gioia.
Parola e Sacramenti Tutte queste parole del Signore
hanno un sottofondo sacramentale. Il sottofondo fondamentale
per la parabola della vite è il Battesimo: siamo impiantati in
Cristo; e l’Eucaristia: siamo un pane, un corpo, un sangue, una
vita con Cristo. E così anche questo processo di purificazione
ha un sottofondo sacramentale: il sacramento della Penitenza,
della Riconciliazione nel quale accettiamo questa pedagogia
divina che giorno per giorno, lungo una vita, ci purifica e ci fa
sempre più veri membri del suo corpo. In questo modo
possiamo imparare che Dio risponde alle nostre preghiere,
risponde spesso con la sua bontà anche alle preghiere piccole,
ma spesso anche le corregge, le trasforma e le guida perché
possiamo essere finalmente e realmente rami del suo Figlio,
della vite vera, membri del suo Corpo.
Papa Benedetto XVI
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Fede e Carità
Di tutte più grande
è la Carità
Alla fine guardare gli altri, se stessi e la realtà con gli occhi di
Dio, questo è la carità. Non può esserci carità finché la mia
mente è presa dall’amor proprio e dall’autoaffermazione.
Quando nasce la carità? Quando comincio ad avvertire
qualcosa di simile a quello che commosse Gesù davanti alla
gente: ne ebbe compassione perché erano come pecore senza
pastore. Il termine greco Chàris significa benevolenza.
Quando si vuol bene a qualcuno si dice che ci è caro (dal latino
carus). È un moto dell’anima, un principio di azione.
È la carità che fa di un genitore o di un insegnante un
educatore. È la carità che spinge un medico a sentire il suo
mestiere una missione, non solo una fonte di guadagno o di
potere. La molla dell’evangelizzazione è la carità. Occuparsi di
situazioni difficili e dolorose, a livello familiare, sociale o
politico, è carità. Dire la verità, esporsi affinché la mentalità
corrente, culturale e nei rapporti sociali diventino sempre più
autentiche, è carità.
Una visione riduttiva e a volte meschina della carità, che il
demonio ha saputo sedimentare nella percezione comune, è
quella che la identifica con una pelosa elemosina verso chi si
trova in difficoltà, previo processo sommario dei meriti e
demeriti di chi porge la mano.
La carità per quanto la possiamo conoscere e definirla non è
tuttavia nostra; non viene dalla nostra intelligenza o capacità.
Lo prova anche il fatto che oggi, pur in presenza di più risorse e
più intelligenza, è andata in crisi la famiglia, si afferma
l’individualismo e il disagio giovanile. Cioè prevale l’approccio
egoistico alla vita. In realtà è in crisi la carità.
La carità è Dio e solo Lui ce la può donare.
È una virtù teologale. Fintanto che la nostra ricerca di senso
non volgerà l’attenzione a Dio, la carità non può fiorire. Se devi
costruire una casa, riparare qualcosa, hai bisogno del
muratore, devi avvalerti di un tecnico. Non pretendi di essere
tutto tu. Invece in campo morale ed esistenziale vogliamo
restare soli con i nostri “punti di vista” finché Qualcuno non ti
chiama per nome e ti apre un orizzonte. Spesso con timore e
tremore. Questa è la carità, portare la Parola nel silenzio delle
angosce del fratello.
L’amore, che è il carattere distintivo della carità, volge al bene
di chi si ama. Il padre e la madre amano i figli quando
partoriscono con loro
obbiettivi: l’ autonomia, la
responsabilità, una visione della vita, la fede.
Quando non c’è una mèta l’amore è possessività, egoistica
felicità, proiezione di propri desideri o paure. Così nel
matrimonio l’amore è “portare frutto” non tanto palpiti di
cuore. È progetto, poter sperimentare la possibilità di amare
come Dio. E’ un falso che l’amore fra due coniugi può
resistere soltanto finche dura quella eccitazione che chiamiamo
“innamorarsi”.
La carità verso situazioni difficili: malviventi, handicap,
immigrati scomodi, ribellismi giovanili, non attecchisce finché
non scopriamo di essere stati amati “quando eravamo malvagi
e peccatori”. È una luce che si accende, a volte improvvisa,
spesso dopo aver raccolto i cocci dei nostri moralismi e dopo il
fastidio di sentire il “fango negli occhi”. La carità è anche
fantasia, creatività, perché Dio è Amore creativo. La carità è la
capacità divina di inventare, di fare cose
nuove, di trovare risposte al grido di aiuto dei fratelli. Dio è
amore. Se, tanto per fare un solo esempio, don Carlo Gnocchi
avesse fatto prevalere gli innumerevoli ostacoli e opposizioni al
suo progetto di aiuto all’infanzia mutilata, noi non staremmo
qui, ma a mendicare chissà dove. Se non hai sperimentato che
almeno una volta la tua vita ha svoltato a seguito di un atto
d’amore coraggioso, non conosci l’amore. Si dice spesso:
preghiamo per queste situazioni, ma la preghiera non è un
surrogato o un facile sostituto dell’azione e della responsabilità,
anzi ne è l’alimento.
Tuttavia tutti abbiamo dentro il germe della carità perché
siamo stati tutti pensati e creati a immagine di Dio, che è
amore. Infatti ci sentiamo soddisfatti quando siamo stati utili a
qualcuno e teneramente grati quando qualcuno ci dà il suo
cuore. L’amore è dentro di noi!
Come liberare l’amore che è in noi? Che non è un semplice
sentimento da soap opera, una canzonetta, una fiction
commovente. N0! Ma una passione che viene dal Signore.
Sono le passioni che muovono le persone. La misericordia è la
passione del cuore, che chiamiamo carità.
Il termine misericordia in ebraico, rehamim, richiama l’utero
materno che partorisce una nuova vita, non è pietismo sterile.
Le passioni di Dio si contrappongono alle passioni ingannatrici
di cui parla san Paolo. La carità è una passione divina perché
senti amore per il diverso, il difficile, per chi ti scomoda, per le
situazioni impossibili. E’ in questo contesto che va letto l’inno
alla carità di san Paolo che non è certo un inno alla buona
educazione e al non disturbarci:
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma
non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un
cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e
conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la
pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non
avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le
mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non
avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è
benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non
si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse,
non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode
dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto
crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine
(1Cor.13, 1-8)
Giovanni Fani e Livio Bottone
pagina 8
Fede e Società
pagina 9
Sazi, disperati
e senza figli
L’Italia, di destra e di sinistra, è corrotta?
Sì. E’ al tappeto. Questa la risposta di Galli della Loggia sul
Corriere del 17 febbraio. Andando a cercare il perché di tanto
disastro “nella nostra storia profonda” Galli enumera fra le
varie cause, anche quella della «troppa famiglia».
I dati Istat comparsi l'altro giorno raccontano di un disastro
annunciato: il saldo fra nati e morti è negativo. Da decenni
nasce un numero irrisorio di bambini.
La classe politica se ne preoccupa? La cultura se ne occupa?
Analizza e divulga le conseguenze economiche e sociali del
suicidio della nostra plurimillenaria civiltà?
Gli immigrati ci sono indispensabili perché noi non abbiamo
giovani a sufficienza, ma qualcuno ha pensato nel corso dei
decenni ad educarli al nostro patrimonio religioso, culturale e
artistico? No. Noi ci siamo limitati a ripetere supinamente la
leggenda del «familismo amorale» diffusa negli anni cinquanta
dalla "scientifica" e protestante sociologia americana. Secondo
questa vulgata la scarsa socialità che contraddistinguerebbe noi
italiani sarebbe imputabile ad un eccesso di famiglia. Per
rimediare sarebbe sufficiente prendere qualche lezione dalla
"civile" cultura protestante.
Di fronte a tanta scienza ci siamo fatti una risata? Macché!
Abbiamo appena ristampato quella vecchia cariatide (Edward
Banfield, Le basi morali di una società arretrata) e continuiamo
a divulgarne le tesi. Cattolici? No. Meglio protestanti. A noi
cattolici conviene sparire. Conviene non fare figli.
Siamo stati così arretrati nel passato, così pateticamente
attaccati alla famiglia! Meglio crescere, maturare, emanciparci.
Arrivare alla vita adulta. Vivere soli. Senza famiglia. Senza
famiglia, ma con tanti diritti: quello all'aborto (definito diritto
di civiltà), quello alla sessualità libera da qualsiasi limite,
quello all'eugenetica, quello alla compassione dell'altro.
Leggi eliminazione del dolore dell'altro. Leggi eliminazione del
dolore mio. Leggi soppressione fisica dell'altro.
È vero che la cultura cattolica abbia qualcosa da invidiare a
quella protestante? No. E, per capirlo bene, basta studiare un
po' di storia. Altro che asociale! La civiltà cattolica, attraverso
la creazione di una miriade di confraternite e di ordini religiosi,
si è da sempre curata delle ricadute sociali del proprio credo.
Si è fatta carico dei bisogni di ogni tipo di povertà. In una
parola: la nostra cultura si è fatta carico della vita. Che, spesso,
comporta sacrificio e sofferenza. La nostra civiltà ha sempre
saputo che la famiglia è un bastione fondamentale per
difendere la vita.
Disprezzando noi stessi, abbiamo accettato la cultura relativista
ed anticattolica che ci veniva proposta, non prestandoci caso.
Come sovrappensiero. Abbiamo fatto finta che tutto fosse
uguale, che bene e male dipendessero dai nostri desideri, che
peccato fosse una parola senza senso.
Il cardinale Biffi aveva un'espressione significativa per
descrivere la grassa e rossa Bologna: sazia e disperata. Ma sazi
e disperati siamo diventati tutti. La mancanza di figli è il
segnale del degrado culturale, economico, religioso e sociale, in
cui siamo precipitati. Il nostro male, parafrasando Pavese, è
che abbiamo rinunciato a vivere. Perché la politica (e la
cultura) continuano a far finta di niente?
Angela Pellicciari
Il fabbro
(dal sito www.missioninweb.it)
Si racconta di un fabbro che, dopo una gioventù piena di vizi,
decise di dare una svolta alla sua inutile esistenza: Dio
divenne l'unico punto di riferimento della sua vita. Durante
molti anni lavorò con onesta, correttezza, praticò il bene e il
senso del dovere, però, malgrado tutta questa sua dedizione,
sembrava che nulla andasse bene nella sua vita, al contrario, i
suoi problemi e i suoi debiti crescevano di giorno in giorno.
Una bellissima sera, un amico che era andato a trovarlo, e che
provava compassione per questa sua situazione difficile, gli
disse: "E' realmente una cosa molto strana che, dopo aver
deciso di cambiare la tua vita e diventare un uomo timoroso di
Dio, la tua vita abbia cominciato a peggiorare. Non voglio
diminuire la tua speranza, però, nonostante la tua fede in Dio,
non hai migliorato in niente la tua vita".
Il fabbro non rispose subito, aveva riflettuto queste cose
parecchie volte, senza capire quello che stava succedendo
nella sua vita, però, siccome voleva dare una risposta al suo
amico, cominciò a parlare, e finì per trovare la spiegazione che
cercava. Ecco cosa disse il fabbro: "In questa officina io ricevo
il ferro prima di essere lavorato e devo trasformarlo in spade.
Sai tu come si fanno le spade? Prima si scalda il ferro ad una
caloria infernale fin che non diventa di un rosso vivo, subito
dopo, senza nessuna pietà, prendo la mazza più pesante che
ho e comincio a martellarlo parecchie volte finché il pezzo non
prende la forma desiderata subito dopo lo immergo dentro un
secchio pieno di acqua fredda, e tutta l'officina si riempie di
rumore e di vapore, perché il pezzo molto caldo immerso
nell'acqua fredda scoppietta a causa del violento cambiamento
di temperatura. E devo ripetere questa operazione parecchie
volte se voglio ottenere una spada perfetta, una sola volta non
è sufficiente!"
Il fabbro fece una lunga pausa e poi proseguì: "A volte il ferro
che ho tra le mie mani non sopporta questo trattamento.
Il calore, le martellate e l'acqua fredda lo riempiono di
screpolature. Ed è in questo momento che mi rendo conto
chemai si trasformerà in una bella lama di spada ed è allora
che lo butto in una montagna di ferri vecchi che tu vedi
all'ingresso della mia officina". Fece un'altra pausa e il fabbro
così terminò: "So che Dio mi sta mettendo nel fuoco della
sofferenza.
Accetto le martellate che la vita mi dà, e a volte mi sento tanto
freddo e insensibile come l'acqua che fa soffrire l'acciaio. Però,
l'unica cosa che penso è: Dio mio, non smettere, fintanto che
non riesco a prendere la forma che ti aspetti da me. Fammela
prendere nella maniera che ti sembra migliore, impiegaci
tutto il tempo che vuoi, però per favore, non mi buttare mai
nel mucchio dei ferri vecchi che non servono a niente!"
"Accetta quanto ti capita, sii paziente nelle vicende
dolorose, perché con il fuoco si prova l´oro, e gli
uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore."
Persone e storie
pagina 10
Le carezze strappate
Ho conosciuto Fernando a metà di febbraio accompagnato da
amici che gli portavano la Comunione, in qualità di Ministri
straordinari dell’Eucarestia. La casa è di quelle storiche: i muri,
i pavimenti e gli infissi che si usavano a cavallo degli anni
cinquanta/sessanta; il periodo in cui la Romanina si stava
delineando come una delle tante borgate della periferia
romana. Abusive le case, “abusivi” gli abitanti con le loro storie
abusive, come quelle raccontate da Pier Paolo Pasolini.
Quella di Fernando è una di queste storie, che scivolano in una
scarpata e restano ai margini. Ha conosciuto la violenza sin
dalla tenera età, la più odiosa delle violenze, che ti straccia a
brandelli il bisogno di essere amato e trasforma l’affettività in
una malattia dell’anima.
Fernando mi ha subito fatto tanta tenerezza. È una persona
gentile, composta. Parla con un fare signorile che ti cattura.
E’ ospitale come lo sanno essere i romani dei quartieri
popolari. La sua casa è trasparente, i mobili e soprattutto i
soprammobili sono icone di una spiritualità incantata. Ci ha
fatto accomodare nella camera da letto. Sembra un santuario di
rosari, immagini, candele accese. Io lo capisco, queste sono le
carezze, cha gli hanno strappato nella sua infanzia.
Non è stato sempre così. Fino a 19 anni – ci racconta – ha
vissuto come uno spaesato, che non sapeva cosa fare della sua
vita. Gli muore anche la madre e comincia così la sua vita
disordinata, di locale in locale, in cerca di avventure. Ma ben
presto contrae il virus HIV, per 15 anni sieropositivo, fino alla
implacabile realtà dell’AIDS. La sua vita è una spola tra casa e
l’Ospedale Spallanzani, da circa 10 anni, la sua salute è appesa
a un filo e…a 30 pillole al giorno.
L’inferno esiste, eccome, ne sa qualcosa il nostro amico, ma
anche lì aleggia leggera la brezza soave di Dio. Misteriosa e
inaspettata. Per via della sua malattia, Fernando cade in coma;
sembra irreversibile. Una condanna inappellabile. Si sente
come disteso fra le braccia amorose di una madre; vede Madre
Teresa di Calcutta china su di lui, che gli accarezza
teneramente il viso. E gli sorride; sembra dirgli: Coraggio,
figlio, non temere, abbi fiducia.
Si risveglia dal coma con le sue mani strette nelle mani di due
sorelle di Madre Teresa, a destra e a sinistra del capezzale. Non
è più una visione, sono vere e gli danno il benvenuto.
Da allora Fernando vive del calore di quelle carezze ed è
diventato molto religioso. Ottempera costante ad alcuni voti e
fa la comunione tutte le domeniche. Qualche suo parente lo va
a trovare, anche la Comunità di S. Egidio lo sostiene un po’.
Vediamo se potrà iscriversi al Centro Sociale Anziani per
scambiare qualche parola. Ma Fernando, che prima o poi
tornerà ad abbracciare la sua Madre Teresa in cielo, vive ora
quasi sempre solo con le sue tre fedeli compagne: la solitudine,
la malattia e la preghiera.
Quel giorno, dopo aver consumato compunto e assorto la Santa
Comunione, ha voluto che ascoltassimo la preghiera del
malato, che è – ci assicura – la sua medicina più efficace.
L’ha letta lui, con tono solenne, come fosse un giuramento di
un soldato che andava alla guerra:
O Gesù, che hai accettato di soffrire per amore nostro e
ti sei sacrificato per la nostra salvezza, mi rivolgo a te
ora che sono ammalato per aprirti il mio animo e
chiedere il tuo aiuto.
Io soffro, sono abbattuto e non più coraggio.
In questo momento mi è difficile ripetere: ”Sia fatta la
tua volontà.” Ma anche nello scoraggiamento, Signore,
voglio provare a dire di sì alla mia situazione, ai miei
dolori, alla mia debolezza.
Non permettere che la mia sofferenza sia vana, ma
giovi a chi non ti conosce e non ti ama, oppure a chi
lavora e soffre per te. O Signore, benedici tutte le
persone che mi assistono e mi fanno del bene; benedici
quelli che soffrono come me.
Ti prego anche di darmi il sollievo e la guarigione
affinché, nella serenità e nella gioia, possa lodare te che
sei il datore della vita. Amen
Livio Bottone
pagina 11
Rose fresche e fresche viole
La signora Palma Miconi compirà nella domenica
delle Palme la bella età di 89 anni.
Quante primavere, tanti Natali, tante Pasque. Lei è
visitata di tanto in tanto da una nostra ministra
straordinaria dell’Eucarestia.
Palma ne è contenta e ricambia con questi doni.
Sono due poesie della sua infanzia (parliamo di prima
ancora della 2° guerra mondiale); composte non si sa
da chi, che esprimono suggestioni e atmosfere per molti
di noi ormai del tutto tramontate. Parlano di due
stagioni, simili, per molti aspetti, alle stagioni della
vita. Alla fine della quale canterà soave la preghiera
dell’amore.
Alla signora Palma, grazie e buon compleanno.
A tutte le nostre nonne e nonni, auguri di una Santa
Pasqua.
AUTUNNO
Cadono giù le foglie e sono stanche,
hanno visto tanta acqua e tanto sole,
sbocciate come tenere viole
cadono prima delle nevi candide.
La loro vita dura una stagione,
cadono a sciami a sciami frusciando.
I bimbi le sparpagliano passando
e le colgono per farsene corone.
Là nella macchia il vecchio boscaiolo
con un rastrello lieto le raduna ;
saranno fiamma sotto il suo paiolo,
saranno il letto della mucca bruna.
SAN GIUSEPPE
San Giuseppe vecchierello
cosa avete nel cestello ?
Rose fresche e fresche viole,
nidi uccelli e lieto sole.
Nel cantuccio più piccino
ho di neve un fiocchettino.
Ho un piattino di frittelle
e poi altre cose belle.
Quando arriva primavera
canta a tutti una preghiera
la preghiera dell’amore
di Gesù Nostro Signore
Riflessi di vita dentro una vetrata
Mi sono sempre piaciute le due vetrate colorate poste in alto ai
due lati dell’altare e sono stata contenta di rivederle al loro
posto dopo la ricostruzione seguita all’incendio.
Tutte le domeniche, dal mio solito posto durante la messa, mi
ritrovo a osservare la vetrata a destra dell’altare e un giorno,
quasi per caso, ho trovato che alcune scene rappresentate
erano parte della mia vita.
Mi sono rivista in quella donna in basso a sinistra che nuota
con le braccia alzate in cerca di aiuto guardando verso la barca
e ho ripensato ad un periodo molto lontano della mia vita
quando mi sentivo sola, lontana dalla Chiesa, da quella barca
accogliente e sicura.
Io nuotavo e mi sembrava di affogare in un mare di tenebre e
ricordo perfettamente che guardavo con nostalgia ai ragazzi
che stavano nella Chiesa, li chiamavo dentro di me i “figli della
luce” e mi sembrava impossibile salire, insieme a loro, in quella
zattera di salvezza.
Poi il Signore, nella sua grande misericordia, ha permesso per
vie misteriose che ritornassi nella Chiesa, da cui non mi sono
più allontanata e che ancora mi dà sostegno e sicurezza.
Mi rivedo poi in quella donna che, ai bordi della barca,
abbraccia e protegge un bambino nascondendolo sotto il
mantello e ripenso a quando ho abbracciato un bambino non
mio e l’ ho fatto entrare, insieme a mio marito, nella nostra
famiglia e nella Chiesa. In quell’abbraccio è racchiusa una
lunga storia, una storia di salvezza reciproca, di fatica, di
crescita e di testimonianza.
Infine, a destra della vetrata, mi rivedo nella donna che con le
mani giunte tocca insieme ad un uomo il suolo, come dopo un
naufragio, e mi rivedo nella vita di ogni giorno che, insieme a
mio marito, grazie ad un lungo cammino di fede, tocco con
gioia e trepidazione la terra promessa, che è la vita in Cristo,
fatta di combattimenti quotidiani, ma anche di gioia e di lode.
La vita di un cristiano è sempre vicina ai flutti e so che il primo
quadro, quello della donna che chiede aiuto e sta per affogare,
può essere rivissuto in un momento qualsiasi della vita; la mia
storia e quella dei miei fratelli mi ha insegnato, però, che il
Signore è sempre pronto a salvarti, non ti abbandona e ti porta
sempre in salvo fino a farti alzare le braccia in segno di
benedizione, come fa l’ultima figura della vetrata, in basso a
destra.
Anna Maria Scorcu
pagina 12
V ita di Com u nità
Cammino di Conversione
Il 2, 9 e 16 marzo 2010, don Pietro Strappa,
presbitero della Parrocchia di San Policarpo, ha
condotto la meditazione sul Salmo 51 (50):
Miserere, con tre catechesi , rispettivamente sulla
nostra condizione di peccato, sul perdono e la
rigenerazione in Cristo e sulla testimonianza della
vita cristiana.
A coronamento della predicazione la giornata del
martedì successivo, 23 marzo 2010, è stata dedicata
al Sacramento della Riconciliazione.
La redazione di questo giornale ha raccolto
le catechesi in un libretto dal titolo:
Ritornate a me con tutto il cuore! Chiunque
è interessato ad averne una copia lo può
richiedere in parrocchia.
Appello del Centro Caritas
Nel ricordare che la distribuzione dei viveri avviene
dalle ore 16.00 dei martedì pari, mentre la
distribuzione degli indumenti è prevista nei
martedì dispari, alla medesima ora, la signora
Antonietta lancia un appello a tutti i parrocchiani,
affinché riforniscano il Centro Caritas delle
buste di plastica, per facilitare il carico e il
trasporto dei viveri e degli indumenti stessi.
Sono stati battezzati
Il 7 febbraio 2010 DAVIDE Patrizi, LORENZO Fiore, LUCA
Ruslan Rami
Il 14 febbraio 2010 AURORA Costantini, GABRIELE Ippoliti,
TIZIANO Falciglia
“In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea
e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E,
uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo
Spirito discendere su di lui come una colomba. E
si sentì una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio
prediletto, in te mi sono compiaciuto”. (Mc 1, 911)
Sono tornati al Padre
Il 10 febbraio 2010 la signora Maria Venuto di anni 79
Il 16 marzo 2010 il signor Francesco Pellicciotta di anni 71
“Corro verso la mèta per arrivare al premio che
Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.”
(Fil 3,14)
pagina 13
LA PAROLA DEL PARROCO
CRISTO E’ RISORTO !
Carissimi parrocchiani,
“Gesù è davvero risorto”! Questo è
l’annuncio sconvolgente di “quel giorno
Santo” che ha cambiato per sempre la
storia. Sì, Gesù è vivo e da qui parte
ogni fede, la fede della Chiesa, la fede di
ogni uomo, la fede di tutti noi.
Tutto è superato, tutto è oltre, tutto è al
di là. Giovanni e Pietro corrono al
sepolcro, trovano delle bende: non un
segno esplicito, non una manifestazione
sfolgorante, non un gesto evidente,
eclatante: la fede obbliga a sbilanciarsi,
non s'impone, Gesù chiede di
schierarsi, di cogliere i segni talora
impalpabili, con cui si rende presente.
Il Signore risorto anche a noi, come ai suoi discepoli,
dice ancora oggi, non abbiate paura! Viviamo in un
periodo storico in cui sembra che la paura, il timore
prevalga su tutto. Abbiamo spesso paura di chi ci vive
accanto, abbiamo paura del futuro che apparentemente
vediamo con colori sempre più scuri, abbiamo paura di
fare scelte coraggiose ed impegnative.
Non abbiate paura ci dice Gesù, allora ripartiamo in
questa Santa Pasqua proprio da questa consapevolezza,
la luce del Risorto possa illuminare il buio delle nostre
tante paure.
Gesù è risorto, e noi? Siamo come le donne, intenti
ad imbalsamare un crocifisso? Ascolteremo l'angelo che
ci dice: "perché cercate tra i morti uno che è vivo?"
Perché la nostra fede ci spinge ancora a cercare un
morto, magari da portarci dietro ognuno secondo le sue
esigenze, i suoi bisogni del momento: Gesù è davvero
risorto!
Oggi siamo sempre più distratti dalle tante opportunità
che ci vengono offerte dal mondo e dalla società, che
sempre più spesso subiamo più che vivere. Gesù non è
un soprammobile da poter mostrare orgogliosi nella
illusione che noi lo possediamo a differenza di altri, Gesù
è vivo, Lui è la vita, perciò dobbiamo riscoprire la
nostra vocazione cristiana, il nostro impegno ad essere
testimoni credibili in un periodo in cui tutti cerchiamo
disperatamente un po’ di luce; come ci ricorda Lui stesso
nel vangelo, noi siamo la luce del mondo, e non
possiamo restare nascosti, ma dobbiamo fare luce.
Questa è resurrezione: amare … amare senza
misura. Amare la gente, i poveri soprattutto, e amare
Gesù Cristo.
La nostra diocesi, come ho avuto modo più volte di
ricordarvi, sta riflettendo in questo anno pastorale sulla
carità che non vuole essere uno dei tanti temi sui quali ci
soffermiamo per riflettere, ma un ricordare quello che è
il fondamento della fede e del nostro essere cristiani:
l’amore-carità.
Allora domandiamoci in questi giorni di
festa, che Pasqua io posso celebrare se non
mi accorgo del Cristo sofferente che mi è
accanto in quelle tante persone che
quotidianamente la vita mi fa incontrare?
Dio per amore ha dato la vita, educhiamoci
quindi alla carità, quella che, come ci
ricorda l’apostolo Paolo, delle tre virtù
teologali è la più grande di tutte.
Auguro, quindi, a tutti voi carissimi
parrocchiani, una Buona e Santa Pasqua,
ripetendovi con umiltà il primo saluto di
Gesù Risorto ai discepoli: «Pace a voi».
Pace alle famiglie e quindi solidità di affetti e di
appartenenza reciproca. Pace specialmente ai giovani
che sono tutti protesi alla vita, alla gioia, alla speranza.
Pace a voi da Colui che è «il Primo e l’Ultimo, che era
morto ed è tornato alla vita» (Ap 2,8).
La Santa Pasqua che celebriamo ci aiuti a vivere una
esperienza nuova di Cristo, le cose vecchie sono passate;
coraggio andiamo sempre avanti perché, credetemi,
proprio come con i discepoli di Emmaus Lui ci cammina
accanto; quando ci sentiamo soli, delusi amareggiati
quando pensiamo che Dio non si rivela nelle tante
difficoltà che ci schiacciano, proprio allora come ci
ricorda una preghiera Lui c’è, non solo è presente ma ci
porta in braccio.
Questa certezza vi accompagni sempre, Dio ci ama!
per amore è venuto ad abitare in mezzo a noi, per amore
ci ha rivelato il volto del Padre, per amore è morto sulla
croce e nel suo infinito amore è risuscitato dai morti.
Coraggio, sempre avanti, abbiate fede, non abbiate
paura: il Signore è Risorto. Auguri – Alleluia
Don Antonio