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“… lontane, ma distinte come tre obelischi, si ergono le Drei
Zinnen (Tre Cime). Il
sole splende
attraverso una foschia
leggera: i raggi orizzontali penetrano una
nube trasparente e,
come lame
luminose, le accendono
simili ora a rosei icebergs fluttuanti in un
mare di nebbia dorata…”
(Amelia B. Edwards,
1872)
Tramonto alle Tre Cime
di Lavaredo
(Ph
NicolòdiMiana)
Tre Cime
Lavaredo
disegno di E.T. Compton
(arch. CAI)
Tre Cime di Lavaredo da
Forcella Passaporto del
Paterno
(Ph Ugo Scortegagna)
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Luglio
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Gli abitati permanenti
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La casa alpina in legno
e la variante con le lobbie
dell’alta Valsesia
Cadini di Misurina
di Misurina
(Ph M.S.)
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La casa alpina per antonomasia è quella in legno, una cassa
costituita da tronchi di conifera incrociati all’estremità (modulo a blockbau), sovrastata da un tetto che, a seconda delle
zone, può essere in tavolette di legno (scàndole) o in lastre di
pietta (lose o piode). Questo edificio si trova in Valle d’Aosta,
Ossola, Valtellina, Trentino, Alto Adige, Friuli.
In alta Valsesia (prevalentemente nei Comuni di Alagna e Riva
Valdobbia) vi è invece un edificio molto particolare perché la
sua principale caratteristica è data dalla presenza delle lobbie
(loggiati, o balconate delimitate da pertiche orizzontali) che
talvolta circondano l’edificio anche su tutti e quattro i lati. All’interno della lobbia si trova invece il cuore dell’edificio, in
legno (prevalentemente larice). Negli ultimi trent’anni questo
tipo di edificio è stato sempre chiamato “casa walser”, tanto
che ormai è entrato come denominazione corrente anche nelle
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agenzie immobiliari, ma il termine è decisamente sbagliato e
proverò a spiegarne i motivi. Il popolo walser, che a partire dalla
metà del Duecento valicò le Alpi per insediarsi sul versante sud
del Monte Rosa e poi in Ossola, nel Canton Ticino e addirittura
molto più a est nel canton Grigioni e in Austria, non ha una propria architettura tradizionale definita. In poche parole l’edificio
che si trova in alta Valsesia non si trova (salvo che in valle del
Lys) nelle altre località; né in Vallese (che ho pure battuto palmo
a palmo in anni lontani valle dopo valle) e nemmeno a Macugnaga, che pure è vicinissima in linea d’aria ad Alagna Valsesia,
né men che meno nelle località più lontane abitate dai walser.
Definire quindi “casa walser” l’edificio con le lobbie dell’alta
Valsesia è improprio; molto meglio indicare questa tipologia
come la casa valsesiana con le lobbie oppure la casa dei walser
della sola Valsesia. Tanto più che edifici molto simili con balconate in legno delimitate da pertiche orizzontali si trovano in
altre vallate delle Alpi non abitate dai walser. Penso per esempio all’area di Castelrotto e delle valli Gardena e Badia in Alto
Adige, e a diverse località del Cadore e della Carnia. A Sauris,
per esempio, ma anche a Sappada e a Forni di sopra.
Resta però il fatto, incontrovertibile, che fra tutti gli edifici con
le lobbie, quelle “walser” dell’alta Valsesia sono le più belle, non
solo esteticamente, per la loro perfezione geometrica e modulare, che sembra ispirata all’uomo di Leonardo da Vinci.
Cadini di Misurina
di Misurina
(Ph M.S.)
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Rifugio Zsigmondy-Comici
e Cima Undici
(Ph D.B.)
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Come nasce quindi (e perché) la casa con le lobbie così originale e geniale? La spiegazione verrebbe dal clima dell’alta
Valsesia, estremamente piovoso e quindi molto diverso da
quello del Vallese (non a caso qui ci sono le bisses, i canali
d’irrigazione), per esempio, molto asciutto (la teoria non si
applica però per la valle di Macugnaga... pure piovosa ma
senza case con le lobbie...). Il raccolto, la segale soprattutto,
ma anche il fieno, una volta tagliati vanno essiccati all’aria
prima di essere riposti nei fienili; e solitamente il contadino
tende a lasciare sul campo in covoni di varia forma, anche
su picchetti di legno (come in Alto Adige e in Cadore) il proprio raccolto. Ma ciò ha senso se la zona gode di un clima
asciutto. Se ci troviamo in una zona piovosa nasce il problema: il raccolto deve essere protetto ed ecco quindi che
nasce la soluzione di portarlo in casa, sotto lo stesso tetto
dell’edificio che fa contemporaneamente da ricovero per gli
animali e per l’uomo (la cosiddetta casa “unitaria”).
L’idea geniale poi di portare le pertiche orizzontali sotto un
tetto per costituire un loggiato nasce peraltro dal fatto che
in alcune aree delle Alpi (nei cantoni Ticino e Grigioni, in
Alto Adige, in Tirolo, in Cadore e in Slovenia) erano in uso le
rascane (in ticinese) ossia le arpe (o harfe), in Alto Adige,
essiccatoi lineari con lunghe pertiche orizzontali posti nei
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prati, talvolta sormontati da un piccolo tetto. Evidentemente la
cultura materiale dell’uomo alpino (che come ci insegna Otzi,
l’uomo dei ghiacci, già cinquemila anni fa si spostava da un versante all’altro della catena) era tale e onnicomprensiva che ha
saputo accostare un modulo, quello dell’arpa, alla casa tradizionale di legno a blocco, inventando di fatto la casa con le lobbie.
Il granaio
L’edificio del granaio, che per la sua funzione non aveva certo
la necessità di avere una lobbia, era tradizionalmente costituito
da un unico locale in legno con la struttura a blockbau sollevato da terra attraverso alcuni pilastrini in legno sormontati da
una larga pietra orizzontale. Questo modulo architettonico, proveniente dal Nordeuropa, ma diffuso con una variante in tutta
pietra anche in Portogallo, probabilmente fu portato sulle Alpi
dai walser. Popolazione che si continua a definire di stirpe alemanna, originaria della Svevia, poi calata nel Goms e quindi nel
Vallese, ma che invece secondo recentissimi studi essenzial-
Rifugio Zsigmondy-Comici
e Cima Undici
(Ph D.B.)
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mente linguistici (del prof. Sergio Maria Gilardino) pubblicati in
occasione dell’uscita del Dizionario del dialetto walser di Alagna
Valsesia sembra sia Sassone, originaria dell’attuale regione
compresa fra Brema e Berlino. Ebbene è facile quindi immaginare che questo popolo nordico (che avrà avuto molti contatti
con le vicine popolazioni scandinave – il Museo etnografico di
Skansen, in Svezia, è ricco di esempi di granai in legno sollevati da terra per mezzo dei cosiddetti funghi e di edifici con le
pertiche orizzontali assimilabili alle lobbie valsesiane) abbia
portato così a sud la struttura del granaio così fatta, al fine di
permettere un’ideale areazione dei cereali conservati all’interno e isolare gli stessi dall’attacco dei roditori. Oggi, mentre
questi granai sono ancora relativamente diffusi in Valle d’Aosta
(nelle laterali Ayas e Valtournenche) dove sono chiamati rascard e nel Vallese (specie nell’area di Zermatt e di Saas Fee)
dove sono chiamati stadel, (stodal ad Alagna Valsesia) sono
ormai pressoché estinti in Valsesia, ma i pochi rimasti sono
chiamati ancor oggi con il nome medievale di torba.
Piero Carlesi
(CAI Milano - GISM)
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Gli edifici in pietra, a secco
e intonacati
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Tali costruzioni sono diffuse sia sulle Alpi, sia sugli Appennini
e sj trovano prevalentemente nei luoghi dove non vi è presenza
di conifere, quindi nelle basse valli delle Alpi, fino a 1000 metri
, e sulla catena appenninica.
Le tipologie delle case in pietra, a secco nei modelli più spartani,
o intonacate negli esempi più eleganti sono le più varie. Generalizzando si può dire che l’edificio in materiali inerti come la
pietra è preferibilmente usato in montagna come casa di abitazione mentre l’edificio in legno, molto spesso, è destinato al
ricovero degli animali, degli attrezzi e del raccolto. Edifici in pietra sono quindi diffusi ogni dove, dalle cascine a corte dell’alta
pianura padana alle baite delle Prealpi e delle Alpi, dalle Marittime alle Giulie e per tutta la dorsale appenninica. Fra le varie
tipologie si distinguono per caratteristiche particolari gli edifici
in pietra dell’Ossola, assai rustici pur nella loro bellezza lineare
e spartana e quelli dell’Engadina e della val Venosta, invece,
per l’eleganza dei graffiti colorati. L’uso del legno in questo caso
è limitato alle balconate.
Il tetto, forme e materiali
Trascuriamo tutti i materiali più recenti, dall’uso del cotto in
poi e concentriamoci sui materiali tradizionali. I tetti degli edi-
Sondrio
(Ph )
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Glorenza
(Ph )
fici in montagna sono stati da sempre realizzati con tre materiali: legno, pietra e paglia.
I tetti con copertura in legno (costituiti da tavolette di legno di
conifera chiamate scàndole) sono diffusi soprattutto in Trentino e in Alto Adige; la maggior paste di questa copertura essendo leggera e quindi soggetta causa colpi di vento a
ribaltamenti, necessita di essere trattenuta (effetto fermacarte
sulla scrivania) da tronchi sormontati da grosse pietre.
I tetti in pietra, i più diffusi sono per lo più costituiti da lastre di
roccia scistosa (famosa la pietra di Luserna e dell’Ossola), ma
è utilizzato anche il porfido (sui monti Lessini) e l’ardesia (Val
Malenco). La forma dei tetti in pietra è varia e si va dal posizionamento orizzontale delle lastre con conseguente ripidità del
tetto stesso, caratteristico dell’area orobica (specie in val Taleggio e Brembilla), al posizionamento obliquo nelle due varianti: con il bordo inferiore della lastra parallelo alla falda del
tetto (Ossola, valli lombarde, Friuli) o con l’angolo della lastra a
valle (area piemontese e valle d’Aosta).
Infine la copertura in paglia, sempre più rara, è visibile ancora
in Alto Adige, ma fino a pochi decenni fa era diffusa nelle valli
cuneesi, nelle valli biellesi e della bassa Valsesia e in Carnia. Gli
edifici con questa copertura o con la naturale evoluzione moderna della lamiera si caratterizzano per avere un tetto assai ripido; certamente il più ripido di tutti gli edifici tradizionali della
montagna. Ciò perché avendo una struttura relativamente debole la neve doveva subito essere scaricata a valle.
Piero Carlesi
(CAI Milano - GISM)
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Lunedì
Martedì
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38. Le civiltà protostoriche
(Nuragica, Camuna,
di Golasecca, dei Castellieri)
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S. Teobaldo e S. Aronne
26 . 183 - 183 4,39 - 19,49
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S. Ottone e S. Urbano
27 . 184 - 182 4,39 - 19,49
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S. Tommaso apostolo
27 . 185 - 181 4,40 - 19,49
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MERCOLEDÌ
S. Elisabetta regina
27 . 186 - 180 4,40 - 19,48
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39. Gli insediamenti permanenti di fondovalle (abitazioni e rustico)
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S. Antonio Maria Zaccaria
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S. Maria Goretti
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27 . 187 - 179 4,41 - 19,48
27 . 188 - 178 4,42 - 19,48
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SABATO
S. Claudio e S. Edda
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DOMENICA
S. Adriano III
27 . 189 - 177 4,42 - 19,47
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27 . 190 - 176 4,43 - 19,47
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S. Fabrizio e S. Veronica Giuliani
28 . 191 - 175 4,44 - 19,47
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S. Felicita e S. Vittoria
28 . 192 - 174 4,44 - 19,46
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MERCOLEDÌ
S. Benedetto da Norcia
28 . 193 - 173 4,45 - 19,46
LUGLIO
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40. Gli insediamenti permanenti di versante (abitazione e rustico)
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S. Felice e S. Nabore martiri
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28 . 194 - 172 4,46 - 19,45
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VENERDÌ
S. Enrico imperatore
28 . 195 - 171 4,47 - 19,45
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SABATO
S. Camillo De Lellis
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S. Bonaventura
28 . 196 - 170 4,47 - 19,44
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28 . 197 - 169 4,48 - 19,43
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Beata Vergine del Carmine
29 . 198 - 168 4,49 - 19,43
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S. Alessio confessore
29 . 199 - 167 4,50 - 19,42
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MERCOLEDÌ
S. Federico
29 . 200 - 166 4,51 - 19,41
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41. I cimiteri e gli affreschi murari
doppio
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GIOVEDÌ
S. Giusta
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29 . 201 - 165 4,52 - 19,41
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VENERDÌ
S. Elia profeta e S. Apollinare
29 . 202 - 164 4,53 - 19,40
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SABATO
S. Lorenzo da Brindisi
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Santa Maria Maddalena
29 . 203 - 163 4,53 - 19,39
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29 . 204 - 162
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S. Brigida
30 . 205 - 161 4,55 - 19,37
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S. Cristina
30. 206 - 160 4,56 - 19,36
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MERCOLEDÌ
S. Giacomo apostolo
30 . 207 - 159 4,57 - 19,35
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42. I Cimiteri e gli affreschi murari
In montagna i piccoli insediamenti hanno come fulcri principali il municipio, ove presente, e
la chiesa, spesso attorniata da
piccoli cimiteri di antica memoria. Un caso singolare si ha proprio nelle Alpi orientali nella
zona di lingua germanofona
che vede un particolare culti funerario e una ritualità che si
perde nella notte dei tempi. I cimiteri presentano delle croci in
ferro battuto di fattura assai
pregevole e una cura molto accurata delle tombe con la
messa a dimora di piante e fiori
che vengono cambiati ad ogni
stagione. Lungo i muri che cingono il campo santo vi sono
conservate le lapidi in marmo o
pietra risalenti ai secoli passati.
Quando cala la sera questi cimiteri sono ancora di più suggestivi poiché si tingono delle
fioche luci di lumini conservati
all’interno di lanterne rosse. Le
recinzioni, spesso in legno, o
ferro o pietra, ma quasi tutte
basse fanno compenetrare il
paesaggio esterno con quello
interno tanto da farli rassomigliare a dei giardini. Non dimentichiamo poi i cimiteri militari, in particolare nei luoghi
che hanno visto caduti i soldati
della Prima Guerra Mondiale.
Le chiese poi presentano affreschi murari a volte imponenti,
spesso relativi a santi apotropaici, come il celebratissimo
San Cristoforo, soprattutto presente in luoghi nei pressi di
corsi d’acqua, per la sua funzione di protezione dagli alluvioni, o di San Martino o San
Giorgio. Gli affreschi hanno
sempre valore didascalico e
permettevano a chi non sapeva
leggere di essere istruito riguardo la storia e la tradizione
religiosa. Troviamo poi affreschi
murari anche su particolari
case o in edicole e capitelli, utilizzati come segnavia in punti
pericolosi o in prossimità di
ponti, spesso definiti del diavolo. Questo tipo di affreschi
raffigurano il più delle volte la
Madonna con il Bambino, a
volte anche mora (la Modaonna
di Loreto) di cui vi sono molti
santuari proprio nella zona alpina. Maria viene invocata come
protettrice e molto frequentemente la troviamo associata a
elementi naturali tipici della
montagna: le fonti, particolari
specie di alberi, le grotte e
anche alcuni animali.
Marta Villa
(CAI SAT Trento)
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S. Anna e S. Gioacchino
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30 . 208 - 158 4,58 - 19,34
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27
VENERDÌ
S. Liliana
30 . 209 - 157 4,59 - 19,33
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SABATO
S. Nazario e S. Celso
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DOMENICA
S. Marta
30 . 210 - 156 5,00 - 19,32
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30 . 211 - 155 5,01 - 19,31
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S. Pietro Crisologo vescovo
31 . 212 - 154 5,02 - 19,30
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S. Ignazio di Loyola
31 . 213 - 153 5,03 - 19,29
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43. Le meridiane e il tempo: un patrimonio storico e culturale
In Italia il termine “meridiana” è
sinonimo di “orologio solare” ma
il termine corretto per indicare
quei curiosi strumenti dipinti sulle
facciate delle case per misurare il
trascorrere del tempo è “quadrante solare”. In senso stretto,
con meridiana si dovrebbe intendere unicamente l’indicatore del
passaggio del Sole a mezzogiorno in una determinata località. Nel corso dei millenni l’uomo
ha imparato ad osservare il Sole e
le sue posizioni nel cielo in modo
da regolare le proprie attività,
prevalentemente agricole, con
metodi empirici ma comunque efficaci. La misura del Tempo si è
identificata da sempre con l’osservazione delle ombre create dal
Sole, dal loro apparire, dal loro allungarsi ed infine dissolversi. Dall’ombra di un bastone piantato al
suolo l’uomo ha imparato perfino
a misurare le altezze dei monumenti, come fece Talete con l’altezza di una piramide. La
riscoperta delle meridiane è iniziata a partire dagli anni ’80,
quando l’uomo ha sentito la necessità di staccarsi dalla frenetica
concezione del tempo imposta
dalla società moderna e di considerarlo come facevano i nostri
nonni, quando il lavoro nei campi
o in famiglia si svolgeva dall’alba
al tramonto.
Contemporaneamente si è risvegliata l’attenzione per l’arte e il
gusto del bello: dipingere una meridiana su una parete o inciderla
su una pietra orizzontale diventa
un atto creativo. Una meridiana,
infatti, può essere personalizzata
come meglio si crede, general2
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mente incidendo un motto che invita a riflettere sul lento trascorrere del tempo, sui valori della
vita e sulla piccolezza dell’uomo
di fronte al mistero della morte. I
quadranti solari verticali sono generalmente più comuni, soprattutto nei paesi montani, ma un
tempo le meridiane orizzontali
caratterizzavano giardini rinascimentali e parchi inglesi. Per le
meridiane orizzontali i calcoli da
eseguire variano in funzione della
latitudine, mentre per quelle verticali i calcoli variano soprattutto
in funzione dell’esposizione al
sole della parete.
Sui quadranti solari si riscontrano
principalmente tre tipi di ore diverse: le ore babilonesi, molto
rare, in cui il giorno inizia e finisce con il sorgere del sole ed il
numero su cui cade l’ombra indica
il numero di ore trascorse dal sorgere del sole; le ore italiche, nelle
quali il punto di riferimento è il
tramonto del sole, il giorno è suddiviso in 24 ore (in tal caso se una
meridiana indica le 21 significa
che mancano 3 ore al termine
della giornata), e le ore francesi,
nelle quali giorno è ancora diviso
in 24 ore ma l’inizio e il termine
della giornata coincidono con la
mezzanotte.
Quest’ultimo sistema di misura è
quello attualmente in vigore: se
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LUGLIO
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l’ombra dello gnomone segna le 11
significa che sono passate 11 ore
dalla mezzanotte. Le linee orarie
sono sempre delle linee rette,
qualunque sia il modo di misurare
il tempo, mentre quelle che segnano le date o i segni zodiacali
(linee diurne) sono linee curve, ad
eccezione della retta degli equinozi.
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L’indicatore dell’ora è lo stilo, o
gnomone, che viene detto polare
quando è parallelo all’asse di rotazione terrestre e l’ora è indicata
da tutta l’ombra dello stilo, oppure può essere perpendicolare
al muro, in tal caso l’ora è indicata
solo dalla punta dell’ombra. Per i
francesi del XVII secolo i costruttori di orologi solari si chiamavano “cadraniers” ed il termine
“quadrante” riferito al quadrante
solare è rimasto inalterato nel lessico francese con l’espressione di
“cadran solare”; per gli italiani
erano gli gnomonisti.
Serena Maccari
(CAI Pinasca)
027. Un quadrante solare con ore
italiche e ore babilonesi, gnomone
perpendicolare al muro e linea
equinoziale. Il motto, scritto in occitano, recita “avena corta, raccoglitore
per cereali pieno”
028. Un quadrante solare moderno con
motto in francese
029. Un quadrante solare con
gnomone polare
030. Una meridiana, con la clasica curca
ad 8 detta lemniscata
16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31
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