sous la direction de - Università degli studi di Bergamo
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Y. Lenoir, C. Xypas, C. Jamet (sous la direction de), École et citoyenneté. Un défi multicultural, Armand Colin, Paris 2007, pp. 264 L’opera miscellanea École et citoyenneté. Un defi multiculturel si inscrive con una propria specificità all’interno dell’ampio dibattito sul multiculturalismo. Se è vero che quando parliamo di multiculturalismo dobbiamo necessariamente riferirci ai processi di globalizzazione che hanno contraddistinto le nostre società, tanto da poterle definire globali o mondializzate – aggettivo forse più vicino al sostantivo francese mondialisation – è necessario che nell’analisi di questi processi si riapra il dibattito non soltanto sulle politiche dei singoli Stati nazionali nel quadro sovranazionale europeo, ma soprattutto sullo stesso concetto di nazione così come esso è stato ereditato dalla tradizione. È a partire da questo snodo centrale della storia, nella seconda metà del Settecento, soprattutto con la Rivoluzione francese, che si affermò l’idea di nazione nella sua accezione più moderna. Essa finì così col racchiudere in sé la totalità del popolo che godeva di quell’insieme di diritti politici ben condensato nell’idea di cittadinanza e che trovava piena realizzazione in uno Stato indipendente. Un processo, questo, sostenuto dall’idea, che via via divenne sempre più evidente per i singoli membri della comunità nazionali, che il cittadino, in quanto parte di uno Stato, dovesse vedersi riconosciuto e, al contempo, riconoscere agli altri cittadini un particolare insieme di diritti politici, per poter essere garantito sia nella propria dimensione individuale, sia in quella comunitaria. In un contesto segnato da profonde lacerazioni sociali, pertanto, doveva prender corpo una nuova forma di partecipazione politica e, per il raggiungimento di tale obiettivo, era indispensabile dare risalto alla scuola. Come rileva nella sua Préface, in apertura al testo, Dominique Shnapper: «L’École républicaine fut en France l’istrument privilégié du “modèle republicaine”, c’est-à-dire du modèle de l’integration nationale depuis la Révolution. Par-delà le contenu même de l’enseignement, l’École, pour les Républicains, constituait, à l’image de la société politique, un espace fictif, dans lequel les élèves, comme les citoyens, devaient être traités de manière égale, indipendamment de leurs caractéristiques familiales et sociales. C’était un lieu, au sens materiel et abstrait du terme, qui était construit contre les inégalités réelles de la vie sociale, pour résister aux mouvements de la société civile. L’ordre de l’École était, comme celui de la citoyenneté, impersonnel et formel»1. La particolare forma statuale affermatasi nei contesti dell’Europa, in particolare dell’Europa Occidentale, affonda, dunque, le proprie radici nell’idea di nazione. La riflessione centrale riguarda la possibilità di pensare criticamente la categoria di cittadinanza e il ruolo che i sistemi scolastici possono ricoprire nel senso di un nuovo modo di intendere quest’ultima. Tale riflessione si è imposta alla considerazione non solo di esperti ma dell’intera opinione pubblica, come conseguenza dei cosiddetti processi di globalizzazione, quando cioè si è resa evidente la «dissociation en cours entre citoyenneté et nation et soulèvant des tensions fortes entre sociétés civile et politique, entre le dimensions 1 Schnapper D., Préface, in Lenoir Y., Xypas C., Jamet C. (sous la direction de), École et citoyenneté. Un défi multicultural, Armand Colin, Paris, 2007, p.15. 1 Cqia Rivista Educazione e Costituzione 1948-2008: analisi di quattro paradigmi didattici Febbraio 2012 politiques, juridiques et identitaires qui structuraient la citoyenneté dans le cadre d’un État- nation»2. Le incalzanti trasformazioni sociali, politiche, economiche hanno determinato un cambiamento non soltanto delle forme, dei contesti, delle modalità di vita, ma un vero e proprio cambiamento antropologico: da un lato, una sorta di ripiegamento su se stessi; dall’altro, il rifiuto della società globale, caratterizzata dalle logiche di un’adesione quasi incondizionata al modello di sviluppo neoliberista – che proprio attualmente, però, sembra scivolare lungo il crinale della propria parabola discendente – amplificando un clima di paura, di ansia e di incertezza. Si tratta di comprendere, dunque, come ridefinire un’educazione alla cittadinanza che sia in grado di andare oltre gli steccati disciplinari, di riflettere sulla complessità, cercando di leggere la matrice storica di quelle forme, di quelle leggi di convivenza e norme morali che si impongono all’essere umano con un’evidenza che fino a non poco tempo fa appariva indiscutibile, dato che il modello nazionale repubblicano rappresentava un luogo neutrale, in cui la realizzazione di ciascun cittadino poteva trovare compimento. Il modello di essere umano generalizzato e astratto, che si è modellato all’interno dei nostri Stati-nazione ergendosi sull’opposizione fra cittadino/individuo e universale/particolare non può reggere di fronte a processi così dirompenti per la cultura e la tradizione dei nostri paesi europei. Il libro, attraverso i contributi di una équipe internazionale di esperti e di docenti nel campo della formazione, si snoda nella prima parte attraverso il tema della riflessione sulla categoria di cittadinanza all’interno degli Statinazione europei e il confronto fra due esempi di cittadinanza, quella repubblicana sul modello francese e quella multiculturale sul modello nordamericano, laddove il filo conduttore dell’intero lavoro è costituito dalla relazione fra sistemi scolastici e cittadinanza. Nella seconda parte, l’analisi prosegue attraverso lo studio di altri esempi di cittadinanza, in America del Nord e del Sud – il Canada e il Brasile – e dei corrispettivi modelli formativi. Nel contesto canadese, si fa il punto sul Québec e, soprattutto, sulla comunità armena formatasi in Canada, in seguito al genocidio subìto ad opera del movimento dei Giovani Turchi nel 1915. In Québec, a partire dal 1970, cominciarono a essere considerati i limiti della politica multiculturalista che non era stata in grado di creare condivisione intorno a norme e valori che potessero essere assunti come punto di riferimento per la comunità. Occorreva operare in vista di un’integrazione interculturale, che non si fondasse soltanto sull’unità linguistica francese. Questo modello, tuttavia, non superava realmente la dicotomia fra la maggioranza della popolazione accogliente, con il proprio bisogno di affermazione rispetto al contesto del Canada, e quello della minoranza armena, che trasferitasi lì in seguito alla diaspora, cercava di preservare la propria identità culturale, come segno del superamento dei limiti derivanti dalla frammentazione della propria comunità, dispersa in diverse parti del mondo. Qui, la classe politica, dopo aver messo in campo strategie che favorissero un’educazione di tipo interculturale, ha privilegiato la coesistenza delle diverse culture secondo una strategia 2 Lenoir Y., Citoyenneté et multiculturalisme, les termes du débat, in Lenoir Y., Xypas C., Jamet C. (sous la direction de), École et citoyenneté. Un défi multicultural, cit., p. 10. 2 Cqia Rivista Educazione e Costituzione 1948-2008: analisi di quattro paradigmi didattici Febbraio 2012 multiculturale. L’educazione alla cittadinanza è diventata materia di studio nei programmi scolastici, ma l’aspetto più interessante nel contesto del Québec risiede nell’affermazione, soprattutto nei giovani armeni, di una prospettiva che superi l’unica appartenenza alla comunità armena «qui sépare nettamente la nation arménienne (Nous) de la société québécoise (Eux)» e che vada verso l’affermazione di una «appartenence hybride»3, testimoniata ad esempio dal fatto che molti ragazzi non frequentano le scuole armene private, ma quelle del Québec e che sono sempre più numerosi fra gli armeni i giovani che conoscono sia il francese che l’inglese. Nella terza parte del testo, la prospettiva si sposta verso la considerazione e l’analisi del modello brasiliano, basato su un approccio di tipo interculturale, anch’esso non senza contraddizioni. Dall’analisi del contesto brasiliano emerge, infatti, come sottolinea Reinaldo Matias Fleuri, che l’essere brasiliano non ci dà informazioni sul fatto che si abiti nel nordest delle grandi proprietà terriere o nel sud, ricco e sviluppato, non ci dice nulla sulla classe sociale, sull’identità di genere, sul colore della pelle poiché l’identità è ibrida, anche se solitamente viene percepita come unificata e stabile. La presenza di una logica dualistica estremamente marcata, il manicheismo di fondo, assunto come criterio per districarsi in una molteplicità identitaria estremamente variegata, prende corpo nello scontro fra culture differenti e nella divisione fra normalità e diversità. La scuola, in questa realtà, è accusata di essere un luogo che favorisce la discriminazione. I docenti, inoltre, di fronte ai conflitti, mettono in atto strategie esclusivamente imperniate sulla punizione. È poi la volta del Portogallo che, invece, viene studiato per comprendere le difficoltà legate al passaggio da una cultura nazionale, bianca e cattolica a una società interculturale, difficoltà che, del resto, è possibile riscontrare in diversi Paesi europei, fra cui l’Italia. Nella quarta parte, si affronta il tema degli Stati-nazione in Europa, laddove una delle contraddizioni essenziali risiede proprio nell’incapacità di ripensare le vecchie strutture statuali in concomitanza con organizzazioni sovranazionali, come appunto l’Europa Unita. Nell’ultima parte, si riflette sulla possibilità di formulare l’educazione alla cittadinanza attraverso un approccio per competenze e, inoltre, si afferma la necessità per una società di negoziare i propri valori, le proprie credenze, proprio per evitare di riproporre quella divisione fra normalità e diversità. La questione tocca anche la tematica della lotta che i soggetti operano per il proprio riconoscimento, una categoria quest’ultima che permette di abbracciare un insieme ampio e complesso di motivazioni che inducono alla lotta, evitando giustamente di ricondurre le cause del conflitto a fattori di natura esclusivamente economica. Nelle conclusioni, infine, vengono sviluppate alcune considerazioni circa le possibilità che i sistemi scolastici nazionali possono mettere in campo per superare le difficoltà e i limiti dell’educazione alla cittadinanza, laddove è proprio la ridefinizione di quel concetto di cittadinanza e di nazione che deve agire da motore per un ripensamento complessivo sulle modalità di 3 Lenoir-Achdjian A., La citoyenneté dans un contexte multiculturel: la diaspora arménienne au Québec, cit., p. 75. 3 Cqia Rivista Educazione e Costituzione 1948-2008: analisi di quattro paradigmi didattici Febbraio 2012 partecipazione alla vita sociale nei contesti democratici. Viene ripresa, a tale proposito, la dicotomia fra il quadro formativo americano e quello europeo. Il primo, espresso dalla cultura pragmatista e dal Dewey, pone particolare attenzione al ruolo che la formazione deve assumere per favorire l’inserimento sociale del soggetto. In quest’ottica, conta non soltanto l’istruzione, ma anche la dimensione educativa più strettamente collegata all’apprendimento valoriale. Nell’ambito del modello europeo, invece, che si sviluppa a partire dall’esperienza francese, conta maggiormente il sapere, l’istruzione che permette la realizzazione e il compimento della propria condizione di cittadino. Da un lato, dunque, il sistema educativo americano che ha mostrato, nel tempo, un certo asservimento alle esigenze del mercato e del sistema economico, sempre alimentando il mito del ‘sogno americano’. Dall’altro, il sistema francese che ha fatto coincidere l’essere umano all’essere cittadino, caratterizzato soprattutto come lavoratore e soggetto politico. Attualmente, però, per far fronte ai nuovi bisogni formativi, in Europa, insieme alla tradizione che ha puntato sul sapere, si tenta di realizzare una valorizzazione delle competenze, tipica del sistema americano, attraverso il richiamo alla triade di ‘sapere, saper fare, saper essere’. Un punto, dunque, risiede certamente nel cercare strategie formative che possano servire a potenziare oltre al ‘sapere’, anche il ‘saper fare’ e il ‘saper essere’, per permettere che ogni uomo realizzi pienamente le proprie capacità. Il volgere della formazione alla sfera delle competenze, però, non risolve l’antinomia apertasi nel contrasto fra cittadino e individuo e, il vero problema per un’educazione alla cittadinanza resta quello di andare al fondo della riflessione sull’agire politico. Infatti, cessato l’effetto dell’anestesia, che aveva sovrapposto individuo e cittadino, le nostre società hanno avvertito il disagio derivato dal crollo della cieca fiducia nel cosiddetto interesse generale e, dove prima abitava il cittadino, lavoratore e soggetto politico, si è insediato il consumatore, attratto non soltanto dalle merci ma anche dai loro simulacri. Pertanto, c’è bisogno di portare a compimento lo iato apertosi fra cittadino e individuo al fine di trovare nuove possibilità per realizzare il legame fra agire politico e sociale. Più che mirare all’integrazione delle minoranze, l’educazione alla cittadinanza, nel nuovo millennio, richiede un’opera formativa capace di reintegrare i più piccoli frammenti delle nostre identità, quelli che rischiano di essere schiacciati da logiche massificanti e pervasive. Maria Isa Carelli 4