RACCONTARE: FIABE, LEGGENDE, CANZONI E ALTRE STORIE

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RACCONTARE: FIABE, LEGGENDE, CANZONI E ALTRE STORIE
RACCONTARE:
FIABE, LEGGENDE, CANZONI E
ALTRE STORIE
Prima dello scrivere c’è il cantare, prima del
romanzo la poesia. Queste forme primordiali e
potenti ci fanno persone capaci di comunicare ai
nostri simili non solo oggi, ma anche domani e nel
tempo futuro. Le poesie, e le canzoni che di esse
sono la versione musicale, se pure nate all’alba della
storia e forse anche prima che essa incominciasse a
essere scritta, continuano anche oggi nella società
postmoderna, a farsi portatrici delle verità più
profonde, forse lontane dal rigore della scienza e
dall’operosità dei progetti, ma pur sempre capaci di
farci pensare. Senza essere costretti a scrivere versi –
e poi chi non ha mai scritto una poesia? – anche solo
leggere o ascoltare una lirica è un atto creativo, ossia
poetico. Perché la poesia (la poiesis degli antichi
Greci trae l’ori-gine del suo nome dal verbo poiein,
che esprime il lavoro del vasaio, che modellando la
creta, un po’ come fece Dio, crea il suo mondo).
La poesia della montagna e dell’acqua, le liriche
che comunicano questo rapporto di odio e amore, di
pericolo e di sostegno, non ha bisogno di commenti:
è sufficiente ascoltare.
A fianco delle poesie, delle canzoni e delle
cantilene, la saggezza popolare si è sempre
accompagnata con i proverbi, che diventano un
caposaldo nella nostra ricerca di nessi tra l’acqua e
la montagna, e la loro storia.
La neve, anche se è conosciuta in pianura, trova
nella montagna il suo ambiente più naturale e la
montagna da sempre deve convivere a lungo con
questa acqua fredda, bianca e solida. Neve in
Piemonte e Lombardia si dice fiòca, in Trentino e in
Friuli è nef, in Calabria diventa gravaìllu e nei
dialetti greci del meridione è detta hòni.
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Le montagne e l’acqua
In Sardegna la neve è nìe, ma infinite sono le
varianti da paese a paese, da regione a regione e lo
stesso si potrebbe dire dell’acqua. La storia delle
parole è una storia spesso curiosa, strana e ricorda le
vicende degli uomini e le loro migrazioni. Ma si
torni alla neve. I proverbi sulla neve sono numerosi
e coprono l’intero territorio del nostro Paese.
Sut l’aqua fam, sut la fioca pan (Sotto la pioggia
fame e sotto la neve pane, Piemonte).
La fiocca desembrina per tri mes la confinna (La
neve di dicembre resta per tre mesi, Lombardia).
La nef dezembrina mai la camina e la fa la bina
(La neve di dicembre non si scioglie mai e fa i
solchi, Trentino).
An di nef, an di ben (Anno nevoso, anno propizio,
Friuli)
‘O cielo addò vede ‘a nneve, spanne ‘o sole (Il
cielo dove vede la neve, spande il sole, ovvero: Dio
vede e Dio provvede, Campania).
‘A nivi ‘e marzu du quantu i pecuri allu stazzu
(La neve di marzo dura quanto le pecore all’ovile,
Calabria).
La nivi marzalora, la notti cadi e lu iornu ‘un si
trova (La neve marzolina cade la notte e scompare la
mattina, Sicilia).
Notte isteddada, nie a carrada (Notti stellate,
neve a carrettate, Sardegna).
“L’acqua di marzo non si può bere, fa male, porta
i vermi e la tosse. È l’umore della terra piena di
veleni – racconta Bruna Dal Lago nelle sue Storie di
magia. Errabonda cultura lunare fra le custodi del
tempo promesso nelle Valli Ladine, Roma: lato Side,
1979 – non ancora decisa fra la fecondità e la
sterilità. Questa acqua malefica in valle si ha solo di
marzo, mentre in montagna dura tutto l’anno.
Naturalmente si può bere, ma previ gli scongiuri di
bagnarsi prima i polsi, poi la fronte e di farsi il segno
della croce (tre volte). Lavarsi con quest’acqua poi
porta ad avere una pelle dura e screpolata, bruna
come il cuoio. Le ragazze di Castelrotto, che vanno a
fare il fieno sull’Alpe, si portano da casa un fiasco
d’acqua e con questo si lavano per tutta la settimana.
Così sperano di tornare a casa con una faccia bella
pallida, da sembrare delle signore”.
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Vittorio Marchis
Dopo i proverbi arrivano le storie che sempre
partono da un fatto reale per approdare in un mondo
fantastico che le trasfigura e, lasciando spazio alla
fantasia, le porta al di fuori del tempo.
L’homo selvaticus impersonifica la saggezza della civiltà
montana
Scriveva Carlo Sgorlon, nel suo romanzo Il trono
di legno (Milano: Mondadori, 1973), che “i miti non
erano soltanto bei racconti, ma anche affascinanti
criptografie. Bastava un minimo di distanza dalle
cose per cogliere il loro significato profondo. Il
perenne senso umano dei fatti che ci accadono tutti i
giorni. Tutto diventava più lieve, era stranamente
diminuito se si pensava che gli antichi avevano già
conosciuto qualcosa di simile, e l’avevano inserito in
maniera esemplare in uno dei loro racconti.” Animali strani e divinità magiche popolavano le nostre
montagne ed erano la personificazione delle forze
della natura, selvaggia e libera, come era l’homo
selvaticus, profondo conoscitore delle risorse dei
monti in cui viveva. Le sue esperienze erano
trasmesse agli uomini con un’aura di magia che
nascondeva le fatiche che comporta ogni
innovazione: insegnare a usare le erbe medicinali,
prevedere il tempo guardando il cielo, conoscere la
bontà di una fonte.
L’Anguana è una divinità antica; le leggende
dicono che popolasse le montagne sotto forma di
serpente, ma poteva essere anche solo un rivolo
d’ac-qua. L’Anguana è comune, in maniera
sorprendente, a tutte le culture montane dell’Europa,
ma la troviamo anche in Sud America, sulle Ande,
dove si chiama Amaru, ed era venerata sotto la
forma di un serpente. Sul Machu Pichu, la favolosa
capitale dell’impero Inca, presso Cusco, in Perù,
esiste un tempio dedicato ai quattro serpenti. Ma
ritornando a noi non dimentichiamo che Anguana è
anche donna, e madre, il principio della vita.
Enio Sartori, riprendendo antiche leggende locali,
ha composto una lirica in dialetto veneto, reperibile
in Internet sul sito Parole suonate in controcanto
all’indirizzo:
http://www.ilnarratore.com/voices/texts/sartori/
anguana.
PDF;
http://www.ilnarratore.com/ita/
archivio.shtml
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Le montagne e l’acqua
L’Anguana di Enio Sartori
(quadro I – la presenza)
Ninna nanna. Nota/ d’anguana, canto/ che incanta,/
coccola divina/ nenia che
dondola/ voce di strega// Esce
dal buco/ più profondo, da
nascosta/ fucina, regina/
d’antichi tesori/ si raddrizza
nell’aria/ in viso di pioggia/
con passo felpato/ forma e
fiamma/ in danza ubriaca/
pare quasi fatta di fiato//
Si libera, rimonta/ e lento si
infiamma/ il fiato della terra/
in lingua di anguana// E
sbianca la lana/ scioglie il filo
di schiuma/ l’onda spaventa/
e spettina l’acqua/ in magica
forma// Mi tengo/ sull’orlo
del ruscello// Oh, la voglia/ il
desiderio/ di guardarla negli
occhi/ di toccarla/ almeno
una volta/ solo un po’// Den
tro la piena/ mi passa vicino/
passa oltre/ lei scivola/ pene
tra nella tana// Falla saltare,
falla ballare/ girale attorno/
ma lasciala andare//
QUADRO 1 (la presenza) Nina nana. Nota
d’anguana, canto che incanta, divina moina nenia
che ninnola, vose che stria Sguissa dal bojo pì
fondo, da sconta fusina, reina d’antichi tesori
s’indrissa ne l’aria in viso de piova con passo felpà
sagoma e vampa in dansa imbriaga par fata de fià
Se sbroca, remonta e lento s’infiama el fià de la tera
in lengua d’anguana E sbianca la lana scatija el filo
de s-ciuma l’onda scontorna e spetena l’aqua in
magica forma Me tegno sul sejo del grebo Oh! la
voja el morbin de vardarla nei oci de tocarla
almanco na volta un ninin
Rento a la brentana ela la passa rente ela la passa
oltra ela la va de onda ela slavina in tana. Fala
saltar, fala balar faghe un giro ma lassela andar
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Vittorio Marchis
(quadro II – la morte dell’anguana)
Uomo dal cavallo bianco/ di alla Tita Tata/
che la Tita Tela/ e’ ammalata di morte/–
Dov’e’ la Tita Tata?/ – È alla fontana/
a fare il bucato/ a lavar la lana./
Arriva alla fontana/ l’uomo dal cavallo bianco/ –
Corri, corri Tita Tata/ che la Tita Tela/ e’ ammalata di
morte// Di colpo sparisce / così la Tita Tata/
dentro alla fontana/ scivola giù per un sifone/…
arriva nella Valle d’Anguana./
E quasi per incanto/ dal ruscello sale un canto/
o forse è una nenia o pianto.//
La Tita Tata guarda/ in fondo alla valle vede/
Nel buco oscuro/ sghignazza il cavaliere/
con la mano rovescia/ l’acqua bastona/
uomo di malagrazia/ e sbatte l’onda viva/
e strappa, e sfascia/ e straccia e toglie il fiato//
Sghignazza il becchino/ uomo dal cavallo bianco//
Toccata nel suo segreto/ sbanda la Tita Tela/
sopra un filo tirato/ tra la vita e la morte/
piano si allontana/ sopra un cavallo bianco/
a passo, a passo di morte//
Cavaliere di malasorte/ verso il buco della morte/
cavalca, cavalca e canta//
QUADRO 2 (la morte dell’anguana)
– Omo dal cavalo bianco
dighe a la Tita Tata che la Tita Tela xe malà de
morte.
– Onde ela ‘ndà la tita tata?
– La xe a la fontanaa far la lissia a strissar la lana.
Riva a la fontana l’omo dal cavalo bianco
– Curi curi Tita Tata che la Tita Tela xe malà de
morte. De boto se desfanta cussi la Tita Tata
drentro a la fontana scantona par na sanca …riva
in val de l’anguana E quasi par incanto dal ghebo
sale un canto o forse nenia o pianto. La Tita Tata
varda in fondo a la vale vede. Nel scuro bojo del
grebo sganassa el cavaliere a man roersa l’aqua
bastona omo de malagrassia e squassa l’onda
viva e sbrega, e sfassa e strassa e cava el fià
Sganassa el becamorto omo dal cavalo bianco
Tocà nel so segreto sbala la Tita Tela sora el
spago tirà tra la vida e la morte pian pian se
alontana sora un cavalo bianco a passo, a passo
de morte Cavalier de mala sorte verso el buso dea
morte cavalca, cavalca e canta
La leggenda di Anguana rimane viva anche oggi
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Le montagne e l’acqua
(quadro III – la sparizione) Dentro si chiude la voce/ come
fiore di notte/ l’anima si disfa/ come soffione al vento/ dolce
nella pazienza/ sparisce sotto terra// Sopra, l’acqua stanca e
lenta/ dondola quattro stracci bagnati/ dentro, l’onda scura e
intorpidita/ dibatte in agonia: “amore, sogno, follia”/ voce e
parola che in gola/ strozza e in fiacco/ miagolio smorza
l’acqua/ e porta via// Ah vuota traccia della mente/ ah
mormorio del niente/ vento di assenza è quello/ che scivola
giù per il ruscello// E canto con voce muta…//.
QUADRO 3 (la sparizione) Rento se sara la vose
s’ingropa e in fiaco come fiore de note
sgnaolamento l’anema se desfa smorza l’aqua come
supion al vento e porta via. dolse ne la pasiensa Ah
peca voda de la mente sparisse sototera ah
mormorio del gnente Sora, l’aqua straca e mola
vento d’assensa ze quelo dindola quatro strasse
moje che slissa zo par el grebo. Rento, l’onda scura
e turbia E canto con vose muta sguarata ne la
mortura: e danso con passo perso “amor, sogno,
follia” come salbanelo in sielo vose e parola che in
gola o anzelo petà par tera.
Viaggiando si conosce il mondo
A questo punto dovrebbe aprirsi un intero
capitolo contenente l’antologia dei racconti che
parlano di acqua e di montagna: sarebbe troppo
lungo: solo alcuni nomi per facilitare i primi passi
della ricerca: Dino Buzzati, Mario Rigoni Stern,
Carlo Sgorlon e moltissimi altri.
E dove mettere i libri di memorie dei grandi
alpinisti e delle guide alpine?
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