i personaggi - Emanuele Turelli

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i personaggi - Emanuele Turelli
PRESENTA
“VITTIME E CARNEFICI”
VITE INCROCIATE
SUI BINARI DI AUSCHWITZ
“Alle vittime perché Dio le abbia in gloria e ai carnefici perché la storia e
l’onnipotente possano, un giorno, perdonare la loro follia”
a cura di Emanuele Turelli
NEDO FIANO
Nedo Fiano nasce a Firenze il 22 aprile 1925, dove la madre Nella gestiva la pensione Castiglioni, in via del
Giglio. Il padre, Olderigo era un alto funzionario delle Poste centrali di Firenze, membro del partito fascista.
Dopo la promulgazione delle leggi razziali fasciste nel 1938, Fiano, che fino ad allora era stato un piccolo
balilla, dovette abbandonare la scuola a 13 anni
perché di religione ebraica. Proseguì gli studi presso
una piccola scuola organizzata autonomamente
all'interno della comunità ebraica fiorentina. La sua
vita cambiò radicalmente fra il 1943 e il 1944.
L’avventura dell’Italia in guerra, iniziata nel 1940 a
fianco della Germania nazista, capitolò in breve
tempo: nel 1943 il regime fascista e Mussolini
caddero. Mussolini tentò l’ultima mossa: venne
arrestato mentre stava scappando per salvarsi la
vita, ma poi venne liberato miracolosamente dai
tedeschi e – grazie al loro aiuto - si ritirò a Salò per
dare vita alla repubblica sociale italiana, ultimo colpo
di coda della dittatura fascista. Nel luglio del 1943 gli alleati sbarcarono in Italia, a settembre venne firmato
l’armistizio. Fu la liberazione da un incubo per gli italiani considerati “ariani”, ma non lo fu per gli ebrei,
perché, anche i tedeschi, in quell’estate, scesero in Italia. Nel novembre del 1943 Buffarini Guidi, che in
quel periodo ricopriva la carica di ministro degli interni della repubblica sociale, tolse la cittadinanza agli
ebrei italiani, con un’apposita ordinanza di polizia. Per la legge, da quel momento, vennero considerati
soltanto cittadini di una potenza straniera e nemica. Il loro destino fu quello di essere fermati, che in fondo
è un modo elegante per dire “arrestati” e spostati in massa in campi “speciali”.
Il 6 febbraio 1944, mentre esce di nascosto dalla clandestinità (era
protetto insieme alla famiglia nello scantinato della famiglia Corsi)
venne arrestato dalla polizia fascista sul ponte delle Grazie e rinchiuso
nel carcere delle Murate, a Firenze. Successivamente fu trasferito al
campo di transito di Fossoli insieme con altri undici membri della sua
famiglia (la madre e il padre, arrestati a loro volta, lo raggiunsero
qualche giorno dopo). Il 16 maggio 1944 venne deportato, insieme
con tutti i suoi familiari arrestati, presso il campo di concentramento
di Auschwitz e lì vi arrivò il 23 maggio. La sua matricola di prigioniero
era: A5405. Al campo di Auschwitz perse prima la madre (appena
arrivata dopo 7 giorni di viaggio su un carico per il trasporto del
bestiame), poi il padre, poi la nonna Gemma. Prima di loro era
toccato al fratello Enzo, con la moglie e il piccolo Sergio (di soli 11
mesi) che vennero gassati direttamente al loro arrivo a Birkenau.
Nedo si salvò grazie alla conoscenza della lingua tedesca: lavorava alla
rampa di arrivo dei deportati traducendo i comandi delle SS.
Dopo Auschwitz, Nedo fu trasferito a Stutthof, vicino a Danzica, poi Echterdinghen a Stoccarda, Krawinkel,
Ohrdruf nella zona di Weimar e infine l'11 aprile 1945 venne liberato dalle forze americane nel campo di
concentramento di Buchenwald, dove era stato abbandonato dai nazisti in fuga. Nedo Fiano fu l'unico
superstite della sua famiglia.
Ritornato in libertà, Fiano si è laureato presso
l'Università Bocconi di Milano ed ha intrapreso la
carriera di manager; nel 1985 ha fondato uno studio di
consulenza aziendale, ma la sua vita dopo la libertà è
stata sempre incentrata su una intensa attività di
testimonianza e memoria dell'Olocausto. Nel 2003 ha
pubblicato il libro “A 5405. Il coraggio di vivere” nel
quale ha raccontato la sua esperienza di deportato. È
quotidianamente
impegnato
in
attività
di
testimonianza attraverso conferenze ed incontri, in
particolare con gli studenti. È stato uno dei consulenti
di Roberto Benigni nel film “La vita è bella”. Il suo
messaggio più grande è riassunto in poche parole: “Chi
ha conosciuto sulla sua pelle l’odio che ha portato alla
creazione dei campi di sterminio nella vita può
insegnare soltanto ad amare”. Un messaggio che Fiano
ha lanciato a migliaia di studenti e uomini adulti
durante le centinaia di conferenze che questo baluardo
della memoria continua a tenere in tutta Europa.
Tanti anni dopo quei fatti, Nedo
Fiano, trovò il coraggio di scrivere
un’immaginaria lettera a mamma
Nella, che gli venne strappata sulla
banchina di Auschwitz: “Mamma, il
tempo mi ha avvicinato sempre di
più alla sventura della nostra
famiglia, distrutta dalla notte del
tempo. Dal nostro ultimo abbraccio
sulla banchina di Birkenau, mamma,
poche ore prima che ti uccidessero,
sono sceso e salito per molte scale,
fra timori e speranze. Nel rumore
del mio tempo, mamma, ho speso
la mia vita come ho potuto, ma il
mio pensiero è sempre stato lì, con
te, papa e Enzo».
PADRE MASSIMILIANO KOLBE
Nato con il nome di Raimondo Kolbe, in una famiglia
dalle condizioni economiche modeste in una zona
polacca sotto il controllo della Russia. Il 4 settembre
1910 vestì come novizio l'abito francescano
assumendo il nome di Massimiliano. Il 28 aprile 1918
venne ordinato sacerdote nella basilica di Sant'Andrea
della Valle, a Roma, e il giorno successivo celebrò la
sua prima messa nella vicina basilica di Sant'Andrea
delle Fratte. Nel 1919, conseguito il dottorato in
teologia presso la Facoltà Teologica di san
Bonaventura, ritornò subito in patria, a Cracovia.
Tornato in Polonia, iniziò ad insegnare nel seminario di
Cracovia, ma presto dovette abbandonare e recarsi a
Zakopane e poi a Nieszawa per curare la tubercolosi.
Pur con un fisico indebolito dalla tubercolosi, nel 1930,
Kolbe partì come missionario alla volta dell'estremo oriente. Dopo una breve sosta a Shanghai, proseguì poi
fino a Nagasaki, in Giappone. Nel 1936 Kolbe lasciò definitivamente il Giappone, rientrando in Polonia. In
Polonia Kolbe si dedicò al rafforzamento di Niepokalanow, il convento mariano da lui creato e nel 1937, si
recò nuovamente in Italia (Roma, Piglio, Assisi, Padova) per partecipare ai festeggiamenti del movimento
mariano. Nel 1938 conseguì la licenza di radioamatore e fu attivo per alcuni anni con il nominativo SP 3 RN,
ed ancora oggi è il santo patrono dei radioamatori italiani. Nel maggio del 1939 si recò quindi in Lettonia
dove intendeva creare, su un terreno offerto in donazione nella località di Romanowska, una nuova "Città
di Maria". Gli eventi in Europa però precipitarono. La Polonia venne occupata dai nazisti e Kolbe fu
arrestato dalle truppe tedesche il 19 settembre 1939 insieme ad altri 37 confratelli. Dopo quasi tre mesi di
prigionia, Kolbe venne liberato l'8 dicembre ad Ostrzeszow. Tornato a Niepokalanow, la trovò bombardata
e presto la trasformò in ospedale e asilo per migliaia di profughi. La sua libertà però durò poco.
Il 17 febbraio 1941 Kolbe venne
nuovamente e definitivamente arrestato
dalla Gestapo. Il 28 maggio 1941 Kolbe
giunse nel campo di concentramento di
Auschwitz, dove venne immatricolato con il
numero 16670 e addetto a lavori umilianti
come il trasporto dei cadaveri. Venne più
volte bastonato, ma non rinunciò a
dimostrarsi solidale nei confronti dei
compagni di prigionia. Nonostante fosse vietato, Kolbe in segreto celebrò due volte una messa e continuò il
suo impegno come sacerdote. Alla fine del mese di
luglio dello stesso anno venne trasferito al Blocco 14 e
impiegato nei lavori di mietitura.
La fuga di uno dei prigionieri causò una rappresaglia da
parte dei nazisti, che selezionarono dieci persone della
stessa baracca per farle morire nel bunker della fame.
Quando uno dei dieci condannati, Francesco
Gajowniczek, scoppiò in lacrime dicendo di avere una
famiglia a casa che lo aspettava, Kolbe uscì dalle file dei
prigionieri e si offrì di morire al suo posto. In modo del
tutto inaspettato, lo scambio venne concesso: i campi
di concentramento erano infatti concepiti per spezzare
ogni legame affettivo e i gesti di solidarietà non erano
accolti con favore. Kolbe venne quindi rinchiuso nel
bunker del Blocco 13. Dopo due settimane di agonia
senza acqua né cibo la maggioranza dei condannati era
morta di stenti, ma quattro di loro, tra cui Kolbe, erano
ancora vivi e continuavano a pregare e cantare inni a
Maria. La calma professata dal sacerdote impressionò
le SS addette alla guardia, per le quali assistere a questa agonia si rivelò scioccante. Kolbe e i suoi compagni
vennero quindi uccisi il 14 agosto, vigilia della Festa dell'Assunzione di Maria, con una iniezione di acido
fenico. Il loro corpo venne cremato il giorno seguente, e le ceneri disperse. All'ufficiale medico nazista che
gli fece l'iniezione mortale nel braccio, Padre Kolbe disse: «Lei non ha capito nulla della vita...» e mentre
l'ufficiale lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «...l'odio non serve a niente... Solo l'amore crea!».
Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria».
San Massimiliano Maria Kolbe fu
beatificato da Paolo VI nel 1971 e
canonizzato da Giovanni Paolo II°.
Francesco Gajowniczek, la persona per
la quale Kolbe si sacrificò, riuscì a
sopravvivere ad Auschwitz. Tornato a
casa, trovò sua moglie viva, ma i suoi
due figli erano rimasti uccisi durante
un bombardamento russo. Morì nel
1995. Ancora oggi la cella dove morì
San Massimiliano Kolbe è uno dei
luoghi più carichi di emozione della
visita di Auschwitz. Non è permesso
fare fotografie in quel posto, ma sono
in molti coloro che si raccolgono per un
momento di preghiera (come fece
anche Giovanni Paolo II° - anch’egli,
come Kolbe, sacerdote polacco).
RUDOLF FRANZ FERDINAND HOSS
Rudolf Franz Ferdinand Höß
(Baden-Baden, 25 novembre 1900
– Auschwitz, 16 aprile 1947), è
stato un militare tedesco, primo
comandante
del
campo
di
concentramento di Auschwitz. A lui
si devono la rapida costruzione del
campo e l'impiego del gas Zyklon B
(acido cianidrico) nelle camere a
gas per semplificare e velocizzare le
uccisioni.
Figlio
di
un
commerciante, Rudolf nacque il 25
novembre 1900 nella Foresta Nera,
in una rigorosa famiglia cattolica; primogenito, aveva due sorelle. Trasferitosi a Mannheim, divenne
volontario alla Croce Rossa e nel 1916, a dispetto delle volontà della famiglia che desiderava iniziasse la vita
sacerdotale, subito dopo la morte del padre il giovane Höß partì volontario, all'età di soli 16 anni, con il 21º
reggimento dei Dragoni del Baden. Inviato al fronte, Höß combatté in Turchia, Iraq e Palestina dove venne
promosso Feldwebel (sergente) all'età di 17 anni, diventando così il più giovane sottufficiale dell'esercito
tedesco, e decorato con la Croce di Ferro di 1ª e 2ª classe. Durante il suo servizio al fronte egli venne ferito
due volte. Alla fine della prima guerra mondiale, Höß entrò a far parte del Freikorps Roßbach combattendo
in alta Slesia, nel Mar Baltico e nella regione della Ruhr.
A novembre del 1922, si iscrisse al partito nazional-socialista (NSDAP) con la tessera numero 3240. Nel 1923
fu condannato a dieci anni di prigione, insieme a Martin Bormann, per l'omicidio del maestro elementare
Walther Kadow, accusato dai nazisti di essere una "spia dei bolscevichi". Nel 1935, Höß prese servizio
presso il campo di Dachau, comandato da Theodor Eicke che era stato nominato da Himmler «Ispettore ai
campi di concentramento» e che fu una delle figure chiave nella creazione del sistema concentrazionario
nazionalsocialista trasformando Dachau in un campo «modello» al quale tutti gli altri lager attinsero idee
ed esperienze negli anni successivi. Il 1º agosto 1938 Höß fu trasferito in qualità di aiutante presso il campo
di Sachsenhausen, su richiesta dello stesso comandante Hermann Baranowski, che aveva specificamente
richiesto Höß.
Il 4 maggio 1940 Höß fu nominato comandante di un lager che avrebbe dovuto lui stesso provvedere a
costruire dopo aver proceduto alla requisizione di una vecchia caserma polacca situata nei pressi della
cittadina di Oświęcim, conosciuta allora con il nome
tedesco di Auschwitz. Nei progetti delle autorità
tedesche il nuovo lager avrebbe dovuto essere un
campo di smistamento per prigionieri polacchi destinato
a contenere circa 10.000 internati e non era quindi
previsto che esso divenisse, come poi accadde, il più
grande centro di sterminio di milioni di persone
innocenti del regime nazionalsocialista. Höß si mise
immediatamente all'opera per essere pronto quanto
prima a ricevere i numerosi deportati previsti,
utilizzando i primi deportati (che giunsero al campo il 20
maggio 1940, provenienti da Sachsenhausen) per i lavori di sistemazione dell'area e di riparazione delle
caserme che erano state danneggiate nel corso dei combattimenti seguiti all'invasione tedesca della
Polonia. Uomo dallo spiccato senso del dovere, abituato a lavorare con orari impossibili, diventò uno
spietato omicida che contribuì al genocidio di milioni di persone innocenti. Il 1º marzo 1941 Himmler
effettuò il primo sopralluogo ad Auschwitz complimentandosi con Höß per il lavoro fin allora svolto ma
esponendo nel contempo nuovi e grandiosi progetti per Auschwitz. Il campo avrebbe dovuto essere
ampliato fino a poter accogliere 30.000 prigionieri e nel contempo si sarebbe dovuto creare un nuovo
campo nell'area del villaggio di Birkenau (che divenne Auschwitz II) della capienza di 100.000 internati.
Inoltre sarebbe stato necessario fornire 10.000 detenuti per la costruzione di un grande impianto per la
produzione di gomma sintetica (Buna) di proprietà della I.G. Farben in località Dwory, quello che divenne il
campo di lavoro di Monowitz, dove lavorava Primo Levi. Il 29 luglio 1941 Höß fu convocato a Berlino da
Himmler per partecipare ad un incontro (strettamente confidenziale) nel quale vennero definiti i particolari
per l'ampliamento di Auschwitz e la creazione del nuovo campo di Auschwitz II - Birkenau nel contesto della
prevista «soluzione finale» ordinata da Hitler. Interrogato nel corso del processo di Norimberga Höß ricordò
così l'incontro con Himmler: “Nell'estate 1941 venni convocato a Berlino dal Reichsführer delle SS Himmler
per ricevere ordini personali. Egli mi disse qualcosa - non ricordo le esatte parole - circa il fatto che il Führer
aveva dato ordine per una
soluzione definitiva della
questione ebraica. Se non
fosse stata portata a
termine allora in seguito
gli
ebrei
avrebbero
distrutto il popolo tedesco.
Era stato scelto Auschwitz
a causa del suo facile
accesso
ferroviario
e
perché il sito poteva
essere
agevolmente
isolato». Nell'agosto 1941,
dopo
l'incontro
con
Himmler, Höß ebbe un
incontro
con
Adolf
Eichmann,
«architetto»
delle deportazioni del
genocidio, per discutere la
Endlösung der Judenfrage
(«Soluzione finale della
questione ebraica») - fumoso termine dietro il quale si nascondeva la Shoah del popolo ebraico. L'incontro
puntualizzò alcune questioni «tecniche»: si decise l'impiego di un gas – non ancora ben precisato – per le
previste uccisioni visto che la morte mediante fucilazione sarebbe stato un compito troppo «pesante» (e
poco efficiente) per le SS destinate all'incarico. Nel contempo vennero esaminati il sito, nei pressi di
Birkenau, sui quali sarebbero sorte le camere a gas ed i forni crematori. L'incontro si concluse con
l'impegno da parte di Eichmann di riferire a Höß circa «l'esistenza di qualche gas di facile produzione e che
non richiedesse installazioni particolari, e che mi avrebbe poi riferito in proposito». Il 3 settembre 1941
mentre Höß era impegnato in un viaggio di servizio, il suo vice l'SS-Hauptsturmführer (capitano) Karl
Fritzsch trovò soluzione al problema che affliggeva Höß ed Eichmann relativo alla scoperta di un gas in
grado di risolvere il «problema» delle uccisioni. Fritzsch utilizzò il gas Zyklon B, impiegato per la
disinfestazione dei parassiti e quindi disponibile in abbondanti quantità nel campo, per uccidere circa 600
prigionieri di guerra sovietici. Ritornato al campo, Fritzsch riferì sui risultati del suo «esperimento» che Höß
fece ripetere con un successivo gruppo di deportati russi, per verificarne personalmente l'efficacia. La
scoperta dello Zyklon B come agente per le gassazioni si dimostrò l'arma vincente del campo di Auschwitz
ed una delle maggiori «conquiste» di Höß: era decisamente superiore in quanto ad efficacia e velocità di
uccisione al monossido di carbonio che venne utilizzato nei primi centri di sterminio creati nel contesto
dell'Operazione Reinhard (Treblinka, Sobibór e Bełżec). Per tutta la seconda metà del 1941 proseguirono
alacremente, sotto l'egida di Höß, i lavori di costruzione di Birkenau che però divenne operativo come
centro di sterminio solo nella primavera 1942. Il 20 gennaio 1942 si tenne a Berlino una conferenza alla
quale parteciparono numerose personalità del Terzo Reich e che diede avvio alla fase operativa della
«soluzione finale». Il 15 febbraio 1942 giunse ad Auschwitz il primo convoglio di deportati ebrei provenienti
dall'Alta Slesia che vennero immediatamente uccisi con il Zyklon B e i cui corpi vennero poi cremati. Il New
York Time, il 25 novembre 1942, alla faccia della leggenda che nessuno sospettava nulla di ciò che accadeva
in quei campi, scriveva: “le informazioni ricevute sui metodi con i quali i tedeschi in Polonia realizzano il
massacro degli ebrei includono resoconti di convogli carichi di adulti e bambini destinati a Oswiencim vicino
a Cracovia”. Da allora, e per tutto il periodo di comando di Höß, Auschwitz continuò ad inglobare trasporti
di deportati da destinare immediatamente alla morte - solo una piccola percentuale veniva selezionata per
il lavoro dai medici del campo tra i quali si «distinse» Josef Mengele che venne soprannominato l'angelo
della morte. Höß ebbe modo di mettere in mostra le sue innegabili qualità di manager, supervisionando con
inflessibilità e distacco le operazioni di sterminio, tanto da ricevere più volte i complimenti di Himmler che
lo ammirava per la puntuale esecuzione degli ordini. Così si espresse Adolf Eichmann su Höß: « Höß, il
comandante, mi disse che utilizzava acido solforico per le uccisioni. Dei tamponi in cotone venivano
imbevuti di questo veleno e poi gettati all'interno delle camere ove erano stati radunati gli ebrei; il veleno
era immediatamente fatale. Egli bruciava i corpi su di una grata di ferro all'aria aperta. Mi condusse a
vedere una fossa poco profonda dove era
stato appena bruciato un gran numero di
corpi.». Il
10 novembre 1943 Höß fu
sostituito come comandante di Auschwitz da
Arthur Liebehenschel. I motivi della
sostituzione non sono chiari - l'operato di Höß
fu sempre molto apprezzato ma è certo che in
quel periodo una commissione d'indagine
delle SS stava effettuando un sopralluogo al
campo alla ricerca di prove sulle
malversazioni che vi avvenivano e che
coinvolgevano numerosi ufficiali del lager
incluso lo stesso Höß. Nei mesi successivi
proseguirono le indagini - relative alla
sottrazione di beni e valori appartenuti ai
deportati - fino a quando uno degli ispettori non scomparve senza lasciar traccia proprio mentre, all'inizio
del 1944, stava interessandosi più specificatamente di Höß. Probabilmente si era scoperto qualcosa circa la
relazione sentimentale che Höß aveva avuto con l'internata Eleanor Hodys, da lui messa in cinta e che
aveva poi cercato di uccidere per far scomparire le tracce del suo atto, passibile di grave condanna secondo
i regolamenti delle SS. Questi indizi inducono a pensare che Höß abbia deciso di «cambiare aria» per evitare
una possibile condanna.
L'8 maggio 1944, Höß ritornò a Auschwitz per sovrintendere alla Ungarn-Aktion, denominata poi in suo
onore Aktion Höß, ovvero lo sterminio degli ebrei ungheresi, unica comunità ebraica ancora parzialmente
risparmiata tra quelle sottoposte direttamente ed indirettamente al dominio nazionalsocialista. In questo
periodo il complesso di sterminio di Auschwitz II - Birkenau raggiunse il suo massimo potenziale distruttivo
con la morte di circa 400.000 vittime in circa tre mesi di «operazioni». I convogli venivano dirottati
direttamente nel campo di concentramento di Auschwitz, l'unico centro di sterminio ancora a disposizione
nei territori occupati, comodo per l'arrivo dei vagoni ferroviari e nascosto agli occhi del mondo. Dopo una
sommaria «selezione» i prigionieri ungheresi ritenuti sani e forti - chiamati Depot-Häftlinge, detenuti in
deposito - venivano alloggiati temporaneamente nel settore BII di Birkenau senza essere segnati nei registri
del lager. Alla fine di novembre, ormai nell'ottica della sconfitta tedesca, Himmler diede ordine di
distruggere i crematori; restò in funzione fino all'ultimo nel lager solamente il Crematorio V. Terminata
l'Aktion alla fine di luglio 1944 Höß rientrò ad Oranienburg, sede dell'Ispettorato ai campi di
concentramento (Dipartimento D) del WVHA, e si trovò impegnato ad organizzare lo sgombero dei lager
minacciati dall'avanzata delle forze sovietiche ed Alleate. Höß nel suo ultimo incontro con Himmler, quando
ormai era chiara la sconfitta della Germania, ottenne una capsula di cianuro e l'ordine di cercare di
nascondersi nella Wehrmacht: fuggì assumendo la falsa identità di Rudolf Lang.
Catturato
nei
giorni
immediatamente successivi al
termine del conflitto dalle forze
inglesi, Höß fu rinchiuso in un
campo di prigionia per uomini
delle SS, ma chi l'aveva catturato
non si accorse della sua reale
identità e presto venne rilasciato
trovando lavoro in un'azienda
agricola nei pressi di Flensburg.
Per i successivi otto mesi le
autorità britanniche cercarono di
risalire ad Höß attraverso la
famiglia che venne tenuta sotto
stretto controllo. L'11 marzo 1946 la signora Höß ammise il nome fittizio ed il luogo dove si nascondeva il
marito. Egli fu catturato lo stesso giorno dalle forze britanniche; sfortunatamente per lui, la capsula di
cianuro gli si era rotta pochi giorni prima. In seguito ad un primo e rude interrogatorio egli firmò, il 14 o 15
marzo una dichiarazione che descriveva a grandi linee le operazioni di sterminio portate a termine nel
complesso di Auschwitz. Dopo avere testimoniato nel corso del processo di Norimberga, il 25 maggio 1946
fu trasferito in Polonia per rispondere in giudizio dei crimini che aveva commesso ad Auschwitz e venne
imprigionato a Cracovia. Dopo un lungo dibattimento nel quale Höß ancora una volta espresse senza
nessuna emozione visibile i meccanismi di funzionamento di Auschwitz, la Corte Suprema di Varsavia lo
giudicò colpevole delle accuse che gli erano state rivolte. Il 2 aprile 1947 egli venne condannato alla pena di
morte mediante impiccagione, eseguita il 16 aprile 1947 davanti all'ingresso del crematorio di Auschwitz.
Höß aveva cinque figli. Pochi giorni prima di essere giustiziato scrisse loro una lettera d'addio e rivolgendosi
al figlio maggiore Klaus così lo esortava: « Mio caro Klaus! tu sei il più grande. stai per affacciarti sul mondo.
Ora devi trovare la tua strada nella vita. Hai delle buone capacità. Usale! Conserva il tuo buon cuore.
Diventa una persona che si lascia guidare soprattutto dal calore e dall'umanità. Impara a pensare e
giudicare responsabilmente da solo. Non accettare tutto acriticamente e come assolutamente vero, impara
dalla vita. Il più grave errore della mia vita è stato credere fedelmente a tutto ciò che venisse dall'alto senza
osare d'avere il minimo dubbio circa la verità che mi veniva presentata. Cammina attraverso la vita con gli
occhi aperti. Non diventare unilaterale: esamina i pro ed i contro in ogni argomento. In ogni tua impresa
non lasciare parlare solo la tua mente, ma ascolta soprattutto la voce del tuo cuore».
JOSEF MENGELE
Nato a Günzburg, Baviera, il 16 marzo 1911,
fu primo di quattro figli di Karl e Walburga
Mengele. Il padre, persona con forte
personalità ed autorevolezza, era un noto
industriale e dirigeva la Karl Mengele und
Sohn, importante ed affermata azienda
produttrice di macchine agricole che
impiegava circa 200 dipendenti; la madre, di
fede cattolica, era anche lei una persona
decisa ed autoritaria. Della sua infanziaadolescenza non si conosce molto. Quel
poco che si sa, proviene da testimonianze
che lo ritraggono come una persona
socievole, educata e soprattutto molto
ambiziosa; Mengele infatti era ossessionato dal suo futuro: voleva ad ogni costo diventare un medico che la
storia avrebbe ricordato per le sue scoperte. La storia lo ricorderà, ma per ben altro. Aveva ferme idee
politiche, che lo portarono a vent'anni ad iscriversi negli Stahlhelm, Bund der Frontsoldaten (Elmetti
d'Acciaio), per poi entrare nel 1934 nelle Sturmabteilungen. In quegli stessi anni, iniziò i suoi studi
all'Università Ludwig Maximilian, dove conseguì la laurea in antropologia nel 1935, con una tesi sulla
"Ricerca morfologico-razziale sul settore anteriore della mandibola in quattro gruppi di razze". Nel gennaio
1937, presso l'"Istituto per la biologia ereditaria e per l'igiene razziale" di Francoforte, divenne assistente di
Otmar von Verschuer, un illustre scienziato, conosciuto per le sue ricerche nella genetica, con un
particolare interesse per i gemelli, ricerche che influenzarono Mengele. Nel 1937, Mengele si iscrisse al
partito nazionalsocialista e nel 1938 alle Schutzstaffeln (SS); nello stesso anno, si laureò in medicina,
presentando una tesi intitolata "Ricerche sistematiche in ceppi familiari affetti da cheiloschisi o da fenditure
mascellari o palatali". Sposato, aveva un figlio.
Nel maggio 1943, Mengele rimpiazzò un
altro dottore, che si ammalò, nel campo di
concentramento di Auschwitz, per poter
portare avanti i propri studi e ricerche. Il 24
maggio, divenne medico del campo nomadi
di Auschwitz-Birkenau. In seguito Mengele
divenne medico capo del campo principale di
Birkenau. Durante i 21 mesi di permanenza
ad Auschwitz, l'atteggiamento di Mengele
nel campo fu registrato da numerose
testimonianze. Alcune parlano di un
Mengele "buono", che salva dei gemelli dalla
camera a gas per analizzarli, che si occupava
dei bambini portando loro dello zucchero (i bambini zingari paradossalmente lo chiamavano "Zio
Mengele"). Mengele veniva anche chiamato "der weiße Engel" ("l'angelo bianco") dai deportati, per
l'atteggiamento e per il camice che indossava quando si apprestava a scegliere chi avesse dovuto fare parte
delle sue ricerche, chi avesse dovuto lavorare e chi era destinato alle camere a gas. Più spesso tuttavia si
mostrava crudele, tanto da guadagnarsi l'appellativo di "angelo della morte"; uccideva senza pietà
prigionieri a calci, colpi di pistola o iniezioni di fenolo; in un battito di ciglio decideva alla banchina, se una
persona era da destinare al lavoro o alle camere a gas. Egli disegnò una linea sul muro del blocco dei
bambini, alta circa 150 centimetri, ordinando le esecuzione nella camera a gas di chi non raggiungeva tale
misura. Fra le pratiche più orribili, quella di scegliere una ragazza per passarvi la notte e poi ucciderla il
giorno dopo assicurandosi il suo silenzio. Quando un capannone venne infestato dai pidocchi, Mengele
decise di uccidere tutte le 750 deportate che vi risiedevano. Uno dei sopravvissuti disse che aveva uno
sguardo che diceva "Io sono il potere". Secondo molti, il suo sdoppiamento di personalità era dovuto alla
sua assoluta fedeltà all'ideologia nazista e quindi l'estrema dedizione che osservava quando era chiamato a
svolgere il suo "dovere" (selezionare e analizzare), nello svolgimento del quale era assolutamente
distaccato e non tradiva alcuna emozione. Tuttavia in momenti meno formali, al tempo stesso risultava
essere una persona paradossalmente piacevole e comprensibile come raccontano gli stessi medici che con
lui collaborarono. Ad ogni modo, molto spesso Mengele altalenava momenti di calma e pacatezza e rispetto
(alcuni gemelli ricordano come se pur analizzati nudi, Mengele fosse stato sempre corretto e educato e li
avesse trattati con gentilezza, con la professionalità di un dottore) a scatti d'ira incontrollabili (in un
episodio, diversi assistenti raccontano, come si
irritò per la lentezza con cui venivano fatte le
iniezioni di fenolo dallo stesso personale SS e come
lui stesso abbia strappato dalle mani di uno di
questi la siringa per mostrare come doveva essere
fatto). Uno dei disturbi di Mengele era infatti legato
alla sua estrema attenzione per i dettagli,
l'efficienza e la cura dei particolari in ogni cosa
facesse, avendo un'attenzione maniacale per
l'igiene. Alcuni prigionieri ricordano infatti di
Mengele il suo portamento elegante, gli abiti
(quando non era in divisa bianca e guanti bianchi)
sempre impeccabili e il profumo. Paradossalmente, alcune prigioniere dello stesso campo, erano infatuate
di lui. La fermezza ed il rigore di Mengele nello svolgere le mansioni assegnate si evidenziarono fino alla sua
ultima ora trascorsa nel campo. Il giorno prima dello sgombero dello stesso, Mengele continuò
imperturbabilmente, senza alcun'agitazione o preoccupazione, nell'eseguire le selezioni: esaminò l'ultimo
treno con circa 506 prigionieri condannandone alle camere a gas circa 480.
L'ingresso ad Auschwitz venne vissuto da Mengele come un'occasione
unica ed irripetibile: poteva eseguire ricerche su qualsiasi soggetto lo
interessasse, poteva analizzarli, operarli, sezionarli e ucciderli senza
essere esposto a nessuna responsabilità. È per questa ragione che
Mengele, a differenza di altri medici SS, dedicò tutte le sue energie
alle ricerche e ai suoi studi, proprio perché sapeva che in nessuna
parte del mondo era possibile svolgere le sue ricerche in un modo
anche solo simile. L'obiettivo di Mengele, secondo la maggior parte
degli studiosi, consisteva proprio nel riuscire tramite gli esperimenti
nel campo di concentramento ad effettuare quelle scoperte (soprattutto riguardo alla trasmissione dei
caratteri e nell'ambito dell'eugenetica) tali da consacrarlo alla storia per sempre. Nel periodo che trascorse
ad Auschwitz, Mengele sfruttò tutto il tempo a sua disposizione: organizzò una squadra composta
essenzialmente da medici e infermiere, in particolare un'antropologa (Teresa W.) e un patologo (Nyiszli),
tutti reclutati all'interno dello stesso campo e quindi a loro volta prigionieri. La squadra così composta
godeva di protezione e il semplice fatto di ricoprire questo ruolo li salvò da morte quasi certa. I suoi studi
nel campo riguardarono essenzialmente due aspetti: "il fondamento biologico dell'ambiente sociale", "la
trasmissione dei caratteri" e "i tipi razziali" e infine "persone con elementi di anormalità (difformità,
sviluppi morfologici anomali)". Tali studi vennero condotti quasi esclusivamente sui gemelli, che
rappresentavano la sua principale ossessione. Oltre a questi, studiò anche zingari e mostrò un certo
interesse anche per i nani ed ebrei, che Mengele reputava delle forme umane "anomale”. Tra gli studi di
Mengele a carattere meno scientifico e di natura prettamente nazista, si ricordano quelli legati agli occhi; di
questi, Mengele seguì due filoni, uno riguardante l'eterocromia e l'altro la possibilità di riuscire a mutare il
colore degli occhi. Dopo la morte, i cadaveri erano sottoposti ad autopsia e spesso alcune parti dei corpi o
interi feti conservati grazie alla formalina venivano inviati al di fuori del campo per effettuare su di essi
ulteriori e più approfonditi esami.
Tra le ricerche condotte da Mengele nel campo, quelle a cui dedicò più
energia e attenzione (praticate già un anno prima dell'entrata ad
Auschwitz) furono riservate ai gemelli. In particolar modo, Mengele
concentrò la sua attenzione sui gemelli monozigoti. Lo stesso Mengele
si recava alla banchina, dove arrivano i treni dei prigionieri, per
selezionare egli stesso i gemelli non appena scendevano. Alcuni gemelli
superstiti affermano che le ricerche di Mengele riguardarono le più
diverse pratiche: utilizzo di sostanze chimiche per analizzare la reazione
della pelle, o pressioni su parte del corpo per misurare la resistenza o
iniezioni. Si spinse addirittura ad un'operazione su due bambini zingari
che vennero uniti per creare dei gemelli siamesi artificiali. Abitudine
dello stesso Mengele era quella di uccidere personalmente, dopo gli
esperimenti, i gemelli. Ne uccise in una sola notte, uno dopo l'altro, 14. Gli esami iniziavano dalla testa che
veniva misurata accuratamente anche per più giorni. Successivamente erano sottoposti ad un esame
completo ai raggi X in tutto il corpo. Il giorno successivo erano svegliati di mattina presto e condotti in una
stanza nella quale vi era un tino con acqua calda e una serie di tavole. Dapprima erano costretti ad
immergersi nel tino e poi, venivano legati ad una tavola in modo che i capelli ricadessero all'esterno. Una
parte dei capelli veniva strappata in modo da estrarne anche la radice. Dopo questa operazione erano
reimmersi nel tino parecchie volte e l'operazione veniva ripetuta diverse volte. Infine, quando il numero di
capelli raccolti era stata ritenuta sufficiente, i bambini erano completamente rasati, depilati e nuovamente
fotografati. La fase successiva consisteva nel praticare clisteri di due litri dolorosissimi. In diversi giorni
venivano sottoposti ad esami rettali e gastrointestinali senza alcuna anestesia. Solitamente, a causa delle
urla di dolore, venivano imbavagliati. Il giorno successivo era la volta di un doloroso esame urologico con
prelevamento di tessuti dai reni, dalla prostata e - nei maschi - dai testicoli. Dopo tre settimane di esami i
due gemelli venivano uccisi simultaneamente con un'iniezione al cuore; i cadaveri venivano dissezionati e
gli organi interni inviati al professor Verschuer all'Istituto di ricerca biologico-razziale di Berlino. Mengele si
interessava particolarmente alla eterocromia, uno scoloramento dell'iride dell'occhio causato da atrofia del
pigmento. l suo obiettivo era trovare il modo di influire sul colore degli occhi trasformandoli da scuri ad
azzurri. Per far questo iniettava nell'iride metilene blu. Il risultato erano atroci sofferenze, cecità e nessun
cambiamento. È interessante notare che questi esperimenti non avevano alcuna base scientifica. Dopo
l'eliminazione dei gemelli i loro occhi venivano espiantati e inviati a Berlino. A Berlino si interessavano allo
studio delle proteine del sangue e inseguivano il sogno di riuscire a trovare una differenza sostanziale tra il
sangue degli ebrei e quello degli ariani. Per questo Mengele si impegnava nell'operare prelievi di sangue da
inviare a Berlino. Spesso il prelievo di sangue era totale e terminava soltanto con la morte del bambino.
Altra "passione" di Mengele era lo studio di una malattia chiamata "Noma" (una cancrena che aggredisce il
viso). Quando Mengele si accorse che i bambini zingari venivano particolarmente colpiti se ne interessò
immediatamente. Credeva che questa particolare esposizione alla malattia fosse dovuta a predisposizione
razziale. La malattia colpisce gli angoli delle labbra, le guance, e le gengive provocando ulcerazioni va via più
vaste e orribili. Mengele, anziché curare i bambini, lasciava che la malattia proseguisse il suo corso
prelevando con il bisturi campioni di tessuto da studiare. Quando lo studio era terminato i bambini
venivano "pietosamente" avviati alle camere a gas. A disposizione di Mengele vi erano anche 400 persone
contemporaneamente. Su queste persone la fantasia criminale di Mengele si sbizzarrì: trasfusioni incrociate
di sangue di tipo differente tra i gemelli, esperimenti sul midollo osseo e altri orribili, quanto inutili, studi
pseudo scientifici.
Nell'immediato dopoguerra iniziò la ricerca dei criminali di guerra nazisti, tra questi vi era anche Mengele.
Alla sua ricerca si dedicarono in particolar modo i servizi segreti israeliani Mossad, ma anche il governo
americano e quello tedesco. Per agevolare la sua cattura venne anche fissata una taglia di circa 3.000.000 di
dollari per chi lo avesse
catturato e consegnato alle
autorità. Le modalità della fuga
furono simili a quelle di Adolf
Eichmann. Gli furono infatti
forniti documenti falsi che
asserivano si chiamasse Helmut
Gregor, nato in Alto Adige. Nel
1949 si imbarcò con una nave
dal porto di Genova diretto
nell'America
meridionale,
arrivando in Paraguay dove rimase diversi anni. Finché, allertato dall'avvocato di famiglia, fuggì dopo
qualche anno, prima in Argentina a Buenos Aires e poco tempo dopo, nel 1955, in Brasile, dove rimase per
circa 25 anni, fino alla sua morte. Durante questo periodo, visse prima in una casa con due sorelle
ungheresi anticomuniste, simpatizzanti per il regime nazista e poi con una famiglia del luogo, mantenendo
sempre nascosta la sua vera identità. Nel 1979 morì in Brasile, all'età di 67 anni, in conseguenza di un
attacco cardiaco mentre stava nuotando. Fu sepolto nel cimitero di Nostra Signora del Rosario, a Embu das
Artes, sotto la falsa identità di Wolfgang Gerhard. Nel 1985 il suo corpo fu scoperto, nel 1992 la salma fu
riesumata e il suo DNA fu confrontato con quello del fratello. L'esame accertò, con una probabilità pari al
99,69%, che la persona lì sepolta fosse proprio Josef Mengele, l’angelo della morte.