Carrara, così deludente da non essere Vera
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Carrara, così deludente da non essere Vera
OLIMPIADE 2008 Carrara, così deludente da non essere Vera Ciclismo su pista: mai in gara la bergamasca, tra le favorite nella corsa a punti, che chiude al 14° posto. Oro alla Vos La ventottenne di Ranica lascerà a fine stagione, nel suo futuro una scuola di pet therapy per aiutare i bambini autistici ■ Che Vera Carrara non intendesse invecchiare in bicicletta era noto da tempo e lo avevamo ribadito noi stessi sul giornale di ieri. Così, non ha stupito granché l’annuncio della decisione di smettere, manifestata subito dopo essere scesa dalla bicicletta al termine della corsa a punti dell’Olimpiade di Pechino. Ma non c’entra la delusione per il flop di ieri, o per lo meno c’entra fino a un certo punto. Siamo convinti che la decisione fosse già stata presa, a prescindere dal risultato olimpico. Vera è una donna in gamba, piena di interessi, ricca di risorse. Non ha mai vissuto in funzione esclusivamente della bicicletta, anche se vi si è impegnata con la massima dedizione, riservandole grandi risorse tecniche, atletiche, morali. Adesso, decidendo di attaccarla al chiodo al termine della stagione, ne tesaurizza l’insegnamento e, forte di questa scuola di vita, schiude l’orizzonte su quella che sarà d’ora in avanti la sua vera esistenza: probabilmente aprirà una scuola di pet therapy per aiutare i bambini autistici. Capito lo spessore della donna? Di certo, in lei il ciclismo resterà per sempre un piacevolissimo ricordo oltre che, come abbiamo detto, una preziosa scuola di vita. Il rammarico vero, a questo punto, è che una carriera luminosa come quella che si è srotolata per più di vent’anni davanti alle ruote della bella ragazza di Ranica si chiuda con la corsa più brutta mai disputata: un disastro, come lei stessa l’ha definita. A voler ben guardare, non si può nemmeno dire che Vera abbia corso male: semplicemente non ha corso. Lei non c’era, ieri, nel velodromo di Pechino. Al suo posto c’era una sbiadita controfigura, senz’arte né parte, che ha pedalato pigramente intruppata nella pancia del gruppo. S’è visto subito che non ci sarebbe stato niente da fare. Non era giornata. Mentre la sua avversaria dichiarata, l’olandese Marianne Vos, ha preso in mano l’iniziativa sin dai primi giri, scattando a ripetizione e conquistando punti a ogni volata, Vera non ne ha disputata nemmeno una. Soltanto sullo slancio del settimo sprint, chiuso in quarta posizione - quando la Vos, però, aveva già conquistato il giro -, ha provato a insistere, ma si è arresa ben presto a una condizione approssimativa, ripiegata sul telaio. In quel preciso momento, Vera ha capito che l’orgoglio non sarebbe stato sufficiente a propiziarle una medaglia e si è fatta da parte: conoscendola, non ci riesce difficile immaginarne la tristezza, che abbiamo il dovere di rispettare sia dal punto di vista sportivo sia sotto il profilo umano. Inutile aggiungere, a questo punto, che della gara si è letteralmente impadronita la Vos, autentico asso pigliatutto del ciclismo moderno, che l’ha già vista vincere tutto alla bella età di poco più di vent’anni: campionessa del mondo su strada, su pista, nel ciclocross ed ora anche campionessa olimpica. Che di più? La cubana Gonzalez e la spagnola Olaberria sono apparse ben liete di farle da vallette sul podio di Pechino. Ildo Serantoni IIE LE MEDAGLIE ITALIANEM FRA OTTIMISTI E PESSIMISTI QUOTA 30 È ANCORA POSSIBILE GIOCHI AMARI Vera Carrara a ruota della colombiana Maria Luisa Calle (LaPresse) CCI ROSA SHOCKING CHE VOGLIA DI FERMARE TUTTO E URLARE «RIFO» NNT di DONATELLA TIRABOSCHI «Sono de-lu-so» e se lo dice lui, il buon Alessandro Fabretti, che per tutto il tempo della telecronaca aveva fatto il tifo per lei, con quel grido strozzato al microfono negli ultimi giri, «Forza Vera!», figuriamoci noi. Bisognerebbe mettere il rewind al video registratore, o come nei giochi da piccoli, quando le cose non andavano come piacevano a noi, fermare tutto e urlare «Rifo». Dai, rifacciamo tutto, ma visto che non si può ci piacerebbe almeno capire che cosa è successo. Perché diciamoci la verità, se questa brufolosa olandesina Vos, a ventun anni scarsi, è un mezzo fenomeno su due ruote, una che da febbraio ad agosto ha vinto quasi tutto il vincibile, vedere una cubana papparsi la medaglia d’argento è una cosa che non riusciamo a mandar giù. Che forse all’Avana sono pieni così di velodromi? Fat- to sta che la Gonzales (non proprio una sorpresa) è stata davvero Speedy. Cosa non si andrebbe a pensare pur di trovare un minimo appiglio logico all’attapiramento pechinese della gara olimpica di Vera, una delusione direttamente proporzionale alle speranze di medaglia. E pensare che in avvio di gara, fasciata nell’elastomere bianco della divisa italiana, la nostra pupilla su due ruote ci era sembrata perfetta, bellissima e fascinosa come certe modelle che sono pronte per sfilare. Sarà una passerella, avevamo pensato, mentre cominciavano a girare le prime ruote lenticolari. E, quasi quasi avremmo voluto fare a meno anche del commento del duo Fabretti-Cassani, immaginarci le urla del pubblico e quel rumore, quel voom voom della bici sul parquet, le pedalate decise a fare da contraltare ai bat- titi del cuore. Nel giorno in cui tutto doveva girare per il verso giusto, il vento di Vera si è fermato, impigliandosi chissà dove. Un giorno nero, lontano anni luce dai colori del serpentone delle altre atlete, che sembrano correre come treni, e lei, Vera, locomotiva bianca che sbuffa e fatica a tenere la scia. Viene da piangere. Piangerà Vera, di rabbia e delusione. Lacrime diverse da quelle che scorrono sui volti delle medagliate, con la spagnola Olaberria che ha aperto il rubinetto e non riesce a fermarsi. Per Vera «domani non sarà un altro giorno», per chi sta sul podio «è il giorno di gloria», con qualcosa di bergamasco che spunta e che ci consola, il marchio del glorioso «Santini Maglificio Sportivo». Grazie Rosino, quel pezzo di stoffa cucito accanto alla medaglia di bronzo, è stato come zucchero nel veleno. Il primo giorno senza podi per l’Italia, ferma a 18 medaglie, equamente ripartite tra i tre metalli, induce a riflettere sugli obiettivi sbandierati prima della partenza. «Trenta medaglie è il muro da superare perché si possa considerare un’ottima Olimpiade. Sotto quota 27 vorrebbe dire che siamo andati maluccio», aveva dichiarato il segretario generale del Coni, Raffaele Pagnozzi, ricordando come ad Atene 2004 e a Sydney 2000 le medaglie erano state 34. Più realista Gianni Petrucci, presidente del Coni, che aveva predetto come obiettivo minimo 25-27 medaglie. Decisamente ottimista la Gazzetta dello Sport, che aveva pronosticato 13 ori e 41 medaglie (15 argenti e 13 bronzi). Di parere opposto il settimanale Sports Illustrated: per l’Italia previsto un bottino di 7 ori e 27 medaglie e l’11° posto nel medagliere, dietro persino alla Bielorussia. Ma dei 9 ori bielorussi finora non c’è traccia, solo 3 argenti e 7 bronzi. Rispetto alle previsione della Gazzetta, ad oggi lamentiamo il 50 per cento di ori e di medaglie in meno: in bacheca avremmo infatti dovuto già avere 9 ori, 10 argenti e 8 bronzi, cioè 27 medaglie. Colpa soprattutto del tradimento degli sport acquatici: la Rosea aveva previsto, per le gare completate, 5 medaglie dal nuoto, 3 dalla vela, 2 dal canottaggio e 1 a testa da tuffi e canoa. Di queste 12 medaglie ne sono arrivate solo 3, 2 dal nuoto e 1 dal canottaggio. Quasi completamente sballata anche la previsione-ori: i soli azzeccati sono quelli su Valentina Vezzali e Federica Pellegrini, che però ha vinto i 200 stile invece dei 400. Guardando invece le gare restanti, per la Gazzetta l’Italia dovrebbe ottenere 4 ori, 5 argenti e 4 bronzi. I 4 ori sono ancora tutti possibili perché riguardano Alessandra Sensini, in testa nella vela a 2 regate dalla fine; la nazionale femminile di volley, ai quarti di finale; il marciatore Alex Schwazer, in gara venerdì; il pugile Roberto Cammarelle, già sicuro di una medaglia. Più problematico invece ottenere i 5 argenti che dovrebbero incamerare la squadra di ginnastica ritmica, la nazionale maschile di volley, il pugile Clemente Russo (già a medaglia), Mauro Sarmiento nel taekwondo e Negri-Viale nella vela, al 12° posto dopo 4 regate. Sono già svaniti 2 dei 5 bronzi per le eliminazioni del Settebello e della nazionale di Casiraghi, mentre potrebbero ancora farcela il K4 di Rossi, Josefa Idem nel K1 e Igor Cassina alla sbarra. Ma per Sports Illustrated da tutte queste gare l’Italia dovrà accontentarsi di 3 argenti (Cammarelle, le nazionali di ritmica e di volley femminile) e 3 bronzi (Schwazer, la Idem e Russo). Considerando eventuali outsider, potrebbero anche scapparci una o due medaglie con Diego Romero nella vela (a soli 3 punti dal podio) e Valerio Cleri nel nuoto di fondo. Insomma, gli 11 ori del 2004 sembrano una chimera mentre, con un po’ di fortuna, le 30 medaglie totali potrebbero realizzarsi. Purché lo Stellone italiano continui a funzionare. Giovanni Cortinovis