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Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 27 marzo 2014, n. 7269
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere
Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16170/2012 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS),
rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
- intimati avverso la sentenza n. 219/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI del 20/12/11, depositata il
29/02/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/01/2014 dal Consigliere
Relatore Dott. CESARE ANTONIO PROTO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega avvocato (OMISSIS)) difensore del ricorrente che si riporta
agli scritti.
FATTO E DIRITTO
Ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., il relatore nominato per l’esame del ricorso ha depositato la
seguente relazione:
“Osserva in fatto.
Con citazione del 20/3/2001 (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di un appartamento al secondo
piano di uno stabile in (OMISSIS), convenivano in giudizio (OMISSIS), proprietario
dell’appartamento sottostante per sentirlo condannare alla rimozione di una tettoia installata su un
suo balcone a distanza inferiore a 3 metri da una loro finestra.
Il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Monopoli, rigettava la domanda ritenendo non applicabile
l’articolo 907 c.c., in quanto la tettoia insisteva esattamente sull’area del balcone sottostante cosi’
che non poteva limitare la veduta.
I coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano appello al quale resisteva il (OMISSIS).
La Corte di Appello di Bari con sentenza del 29/2/2012 accoglieva l’appello e condannava il
(OMISSIS) alla rimozione della tettoia osservando che la tettoia, non precaria, non rispettava la
distanza di 3 metri dalla soprastante finestra e quindi limitava la servitu’ di veduta attiva
pacificamente esistente.
Il (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a due motivi; (OMISSIS) e (OMISSIS) sono rimasti
intimati.
Osserva in diritto.
1. Con il primo motivo del ricorso il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione
dell’articolo 907 c.c., sostenendo che la sua veranda, costruita sull’esatto perimetro del suo balcone
non comprometteva il diritto del proprietario dell’appartamento soprastante di veduta in avanti e
appiombo, mentre la facolta’ di veduta verso l’interno della sottostante proprieta’ non rientrava
nella previsione dell’articolo 907 c.c.; la realizzazione della tettoia, inoltre, costituiva esercizio del
diritto del condomino di servirsi della cosa comune.
2. Con il secondo motivo del ricorso il ricorrente deduce il vizio di motivazione sostenendo:
- che il diritto di veduta non era limitato essendo consentito l’affaccio dritto e in appiombo;
- che devono ritenersi consentite le opere che precludono ai proprietari dei piani superiori
l’inspectio e la prospectio verso l’interno dell’appartamento sottostante.
3. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto si risolvono nell’unitaria censura
della sentenza impugnata con riferimento all’ambito di applicazione dell’articolo 907 c.c., nella
situazione di fatto in cui, nell’ambito del condominio, l’ostacolo alla veduta e’ limitato all’area
privata costituita dal balcone sottostante.
La tesi del ricorrente richiama l’orientamento gia’ espresso da questa Corte (Cass. n. 9562 del 1997;
Cass. n. 17317/2007) secondo il quale il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in
veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, non e’ soggetto, rispetto a questa,
all’osservanza delle distanze prescritte dall’articolo 907 c.c., nel caso in cui la veranda insista
esattamente nell’area del balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la
veduta in avanti e appiombo del proprietario del balcone sovrastante; e’ invece soggetto alla
normativa sulle distanze quando la costruzione insista su altra area del terrazzo non ricadente in
quella del sovrastante balcone.
La ratio di tale orientamento deve ravvisarsi nel fatto che tra le normali facolta’ attribuite al titolare
della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone e’ compresa senz’altro quella di inspicere e
prospicere in avanti ed appiombo, ma non quella di sogguardate verso l’interno della sottostante
proprieta’ coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela, salvo che non esista al
riguardo una specifica disciplina negoziale, la sua pretesa di esercitare la veduta con modalita’
abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto (cfr.
Cass. n. 13012/2000).
Tuttavia il principio, come sopra enunciato non e’ applicabile alla fattispecie perche’ il ricorrente ha
costruito, sul proprio terrazzo, una tettoia pur in assenza, al piano soprastante, di un balcone
aggettante. Nella sentenza impugnata, infatti, si da atto che era stata ostruita la visuale da una
finestra e non da un balcone e ne discende che la veduta dalla finestra e’ stata sicuramente limitata
rispetto alla situazione precedente alla costruzione; in tal senso si e’ espressa anche questa Corte
con la sentenza 15186/2011, richiamata in ricorso dal ricorrente e che, contrariamente a quanto
dallo stesso sostenuto, aveva appunto confermato la sentenza della Corte di Appello nella parte in
cui aveva ritenuta illegittima la costruzione in caso identico. In fatto, pertanto, la costruzione, come
rilevato dalla Corte di Appello, ha impedito effettivamente il diritto di veduta appiombo. La
sentenza della Corte di Appello e’ inoltre immune da critiche, con riferimento ai principi di diritto
applicati, che sono conformi alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 12033/2011; Cass.
955/2013) che ha affermato:
- che l’articolo 907 c.c., che vieta di costruire a distanza inferiore di tre metri dalle vedute dirette
aperte sulla costruzione del fondo finitimo, pone un divieto assoluto, la cui violazione si realizza in
forza del mero fatto che la costruzione e’ a distanza inferiore a quella stabilita, a prescindere da ogni
valutazione in concreto se essa sia o meno idonea ad impedire o ad ostacolare l’esercizio della
veduta (v., in precedenza, Cass. n. 11199 del 2000; Cass. n. 12299 del 1997); la norma infatti
enuclea in favore del titolare della veduta un diritto perfetto al rispetto della distanza legale da parte
della costruzione del vicino, senza introdurre ulteriori condizioni;
- che non possono rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprieta’ ed alla
riservatezza del vicino, avendo operato gia’ l’articolo 907 cod. civ. il bilanciamento tra l’interesse
alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria
assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita;
- che non divergono da tale principio le pronunce di questa Corte che, in determinati casi, ai fini
della tutela del diritto di veduta, richiedono una valutazione circa l’idoneita’ dell’opera del vicino
ad ostacolarne l’esercizio, valorizzando, in tale prospettiva, la finalita’ della norma, che e’
indubbiamente quella di assicurare al titolare del diritto una quantita’ sufficiente di aria e di luce e
di consentirgli la inspectio e la prospectio nel fondo altrui (Cass. n. 5764 del 2004; Cass. n. 1598
del 1993); tale valutazione e’ ritenuta necessaria non in tutti i casi, ma soltanto laddove l’opera
eseguita non integri un fabbricato in senso tecnico e proprio, ma un manufatto diverso (quale ad
esempio una rete plastificata o una recinzione in telo), non costituente costruzione in senso tecnico,
pur nell’accezione molto ampia accolta dalla giurisprudenza; con riferimento a tali manufatti si
sostiene che essi, ai fini della tutela del diritto di veduta, appaiono assimilabili al fabbricato soltanto
a condizione che effettivamente ne ostacolino l’esercizio;
- che questo stesso orientamento conferma che nel caso in cui l’opera abbia le caratteristiche di
costruzione in senso proprio tale accertamento non e’ necessario;
- che la valutazione che l’opera ostacoli in concreto il diritto del vicino e’ richiesta non gia’ in
funzione limitativa del relativo diritto di veduta, ma al fine di estenderne la tutela anche a quei
manufatti non aventi la caratteristica di fabbricato in senso proprio.
Alla luce di tali principi, le censure sollevate dal ricorrente non possono essere accolte, tenuto conto
che la Corte di Appello ha rilevato l’impedimento alla veduta in appiombo e non ha dubitato che
l’opera integrasse un fabbricato, sottolineando che era stata realizzata in modo e con caratteristiche
non precarie (pag. 3 della sentenza).
4. In conclusione il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articoli
380 bis e 375 c.p.c., per essere dichiarato manifestamente infondato”.
Il ricorso e’ stato fissato per l’esame in camera di consiglio e sono state effettuate le comunicazioni
al ricorrente, unica parte costituita.
Il ricorrente ha depositato memoria ex articolo 380 bis c.p.c., nella quale riproponendo in buona
parte gli argomenti gia’ sviluppati in ricorso sostiene:
a) che la veranda (aperta) costituirebbe costruzione precaria;
b) che la veranda, costruita nei limiti del perimetro del proprio balcone, non sarebbe soggetta
all’osservanza delle distanze previste dall’articolo 907 c.c.;
c) che la precedente veduta dal fondo vicino non sarebbe ostruita essendo limitata solo la facolta’ di
violare la privacy del vicino.
Le argomentazioni sviluppate nella memoria non inficiano le ragioni di rigetto del ricorso come
illustrate nella relazione ex articolo 380 bis c.p.c..
Giova preliminarmente ricordare i principi in materia affermati da questa Corte (in parte gia’
richiamati nella relazione alla quale si rinvia anche per gli ulteriori precedenti di questa Corte),
secondo i quali:
- le norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti tra
condomini di un edificio in quanto l’articolo 1102 cod. civ. non deroga al disposto dell’articolo 907
c.c. (Cass. n. 4190 del 2000);
- nel caso in cui vi sia gia’ una finestra preesistente, il proprietario puo’ imporre al suo vicino di non
costruire a meno di 3 metri; tale distanza si calcola sia in linea diritta od obliqua, sia a piombo.
- se due balconi sono uno sovrastante l’altro, il vicino del piano di sotto puo’ chiudere il suo con
una veranda solo se non si spinge oltre il perimetro non gia’ del proprio balcone, ma del balcone
sovrastante da quale si esercita la veduta;
- il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie
aperture la veduta fino alla base dell’edificio e di opporsi, conseguentemente, ad ogni costruzione
degli altri condomini che direttamente o indirettamente pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto,
senza che possa rilevare la lieve entita’ del pregiudizio arrecato” (Cass., 11/2/1997, n. 1261).
Tanto premesso, risulta evidente l’infondatezza e comunque l’irrilevanza degli argomenti ribaditi
nella memoria:
- che la veranda (aperta) costituirebbe costruzione solo precaria costituisce affermazione priva
dell’indicazione di specifici elementi idonei a contrastare quanto valutato dal giudice di appello che
ha affermato che la tettoia era stata costruita con caratteristiche non precarie e, d’altra parte,
neppure rileva tenuto conto che la Corte di Appello ha valutato che comunque la tettoia precludeva
la veduta;
- la circostanza che veranda sia stata costruita nei limiti del perimetro del balcone del ricorrente non
comporta che la stessa non sia soggetta all’osservanza delle distanze previste dall’articolo 907 c.c.,
posto che nel caso concreto non esisteva un sovrastante balcone dal quale il vicino, sporgendosi,
intendesse sogguardare all’interno dell’altrui proprieta’, ma, come risulta dalla sentenza di appello,
una finestra dalla quale era impedita, per effetto del manufatto, la normale possibilita’ di veduta e
cio’ conferma anche l’infondatezza dell’ulteriore argomento per il quale la precedente veduta dal
fondo vicino non sarebbe ostruita essendo limitata solo la facolta’ di violare la privacy del vicino.
In conclusione questo collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore.
Non v’e’ luogo ad una pronuncia sulle spese in quanto gli intimati non hanno svolto attivita’
difensive.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso.