MANDELA SUL TRONO DEI BIANCHI

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MANDELA SUL TRONO DEI BIANCHI
Repubblica — 10 maggio 1994 pagina 11 sezione: POLITICA ESTERA
CITTA' DEL CAPO - Il sorriso di un uomo felice spunta dietro la balaustra. Nella piazza il frastuono
soverchia ogni cosa. Centomila persone in delirio. Dal palco le note di un canto assordante, We
love you South Africa. I barellieri vanno e vengono trasportando gente svenuta, schiacciata contro
le transenne dalla calca che preme. Sul balcone Nelson Mandela, capo dello Stato da poco più di
un' ora, continua a sorridere. Poi alza le grosse mani da pugile in pensione, che stringono una
colomba bianca e la liberano nell' aria. L' uccello vola via e il vecchio, seguito dagli occhi della
folla, lo saluta beato agitando la mano. Un segno di festa, di pace. Il gesto più mite che ci si poteva
aspettare dal prigioniero diventato presidente. Sembrava uno sposo, un anziano bambino, Nelson
Mandela. In un abito scuro, una rosa bianca all' occhiello, neanche dovesse portare una nazione
all' altare. Il suo straordinario destino, tra i più grandi del secolo che ormai si chiude, lo ha riportato
nella città che per vent' anni della sua vita ha intravisto, nei giorni nitidi del vento di sud-est, dall'
isola-prigione di Robben Island. Quel miraggio di libertà era infine ai suoi piedi. Lui, grande vecchio
africano, lo dominava dall' alto del Palazzo municipale, già sede del governo coloniale britannico,
greve costruzione vittoriana così poco consona alle note struggenti di ' Dio benedica l' Africa' , il
nuovo inno nazionale. Il Parlamento appena eletto si era riunito per la prima volta in mattinata a
Città del Capo. Albertina Sisulu, la grande mama dell' African National Congress, la moglie di
Walter, il suo amico e compagno di prigionia, la rivale brutta e per bene di sua moglie Winnie, s' è
alzata tra i banchi e ha fatto il suo nome, Nelson Rolihlahla Mandela, candidandolo alla presidenza
della Repubblica. Nel silenzio, nessuno ha proposto altre candidature. Dai banchi del National
Party, dove in prima fila sedeva taciturno e tirato F.W. de Klerk, da quelli degli altri partiti, nessuno
ha parlato. Mandela sedeva contratto, impassibile, la bocca piegata in quella sua smorfia amara,
da maschera greca. La storia è passata in fretta, rincorsa dall' applauso liberatorio dell'
Assemblea. Lui si è alzato, ha stretto le mani vicine, poi chiuso nelle sue emozioni è tornato a
sedersi. Una cosa soltanto il vecchio regime bianco ha lasciato in eredità al nuovo Sudafrica. Sono
gli arditi cappellini che le signore in vista indossano per le grandi occasioni. A giudicare dalle
toilettes che si vedevano imboccare intorno alle 10 il portone del Parlamento, nulla è cambiato dai
ferrei tempi di P.W. Botha o da quelli innovatori di de Klerk. Cappelli a larga tesa, con i fiori finti e
nastri dai colori squillanti, come se ne vedrebbero soltanto in un film di Robert Altman. Sotto gli
occhi del mondo, guidato da un leader che è un idolo internazionale, il Sudafrica non rinuncia a
quel suo tono da robusta società provinciale. Passavano dunque, tra due ali di cronisti incuriositi, i
quattrocento deputati appena eletti, riuniti per la prima volta in quell' aula. C' erano tutti. Winnie, l'
ex moglie di Nelson Mandela, scesa dalla sua fiammante Bmw rossa. Il generale Viljoen, leader
della destra bianca punita dalle urne. Koos van der Merwe, lunatico afrikaner passato nei ranghi
del partito zulu, l' Inkatha. Clarence Makwetu, spento leader dell' estrema sinistra, a capo di una
sparuta pattuglia di deputati. La graziosa Melanie Verwoerd nel suo abbottonatissimo tailleur: porta
il cognome del grande edificatore dell' apartheid, ma due generazioni dopo è stata eletta nei ranghi
dell' African National Congress. C' era Mac Maharaj, l' indiano, ex comunista, ex detenuto politico,
ex organizzatore del tentato ' golpe rosso' di fine anni Ottanta (la famigerata ' Operazione Vula' ),
anima del negoziato costituzionale e futuro ministro dei Trasporti. "E' un grande giorno", dice prima
di entrare, e le telecamere registrano frenetiche questa banalità. Ex ministri bianchi e nuovi ministri
neri, molte donne, il volto rivoluzionario del Sudafrica democratico. Il Parlamento di Città del Capo
è stato per cinquant' anni il simbolo dell' oppressione razziale. Della "democrazia dentro una
tirannia", come la definì un politologo americano: democrazia per i bianchi, tirannia per la
maggioranza della popolazione, esclusa dai diritti politici. Da ieri è diventato il simbolo di un paese
libero e rinnovato, che traversa un momento di gioia e di apertura coraggiosa al futuro, tra gli
applausi dell' opinione pubblica mondiale. "Per anni gli abbiamo dato l' assalto", dice Cyril
Ramaphosa, segretario generale dell' African National Congress. "Finalmente ci ha aperto le sue
porte". Arriva Thabo Mbeki, che accanto a de Klerk sarà vicepresidente. Arriva Joe Slovo, ebreo
lituano, presidente del South African Communist Party, confessa di essersi messo un paio di calze
rosse per questa storica prima. Arriva il vescovo Tutu accompagnato dal muftì musulmano, delizia
i reporter con i suoi numeri da uomo-spettacolo. Benedice quest' incredibile assemblea di ogni
colore e di ogni fede che lui chiama "il popolo arcobaleno del Signore". Sono stati loro, i
quattrocento, ad eleggere Nelson Mandela. Non c' è stato neanche bisogno di un voto, di un'
alzata di mano: era l' unico candidato. E' bastato un minuto, appena passato mezzogiorno. Con
tono compassato, il giudice della Corte Suprema che occupava lo scranno più alto dell' aula gli ha
rivolto la formula di rito: "A nome dei presenti, Le comunico, sir, che Lei è stato eletto presidente
della Repubblica del Sudafrica". Poi il presidente appena nominato è uscito sotto il caldo sole
autunnale, con la gente pigiata a rimirarlo da dietro i cancelli, ed è andato al municipio per
pronunciare il suo primo discorso da capo dello Stato. Ancora una volta, il vescovo Tutu è stato il
gran maestro delle cerimonie. Ha riscaldato, ammansito, deliziato i centomila ammassati sulla
Grand Parade, come solo lui sa fare. "Siamo tutti sudafricani, adesso!", ha gridato alla piazza,
quattrocento, ad eleggere Nelson Mandela. Non c' è stato neanche bisogno di un voto, di un'
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l' unico candidato.
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tono compassato, il giudice della Corte Suprema che occupava lo scranno più alto dell' aula gli ha
rivolto la formula di rito: "A nome dei presenti, Le comunico, sir, che Lei è stato eletto presidente
della Repubblica del Sudafrica". Poi il presidente appena nominato è uscito sotto il caldo sole
autunnale, con la gente pigiata a rimirarlo da dietro i cancelli, ed è andato al municipio per
pronunciare il suo primo discorso da capo dello Stato. Ancora una volta, il vescovo Tutu è stato il
gran maestro delle cerimonie. Ha riscaldato, ammansito, deliziato i centomila ammassati sulla
Grand Parade, come solo lui sa fare. "Siamo tutti sudafricani, adesso!", ha gridato alla piazza,
"Siamo un' unica nazione, bianchi e neri. E possiamo dire tutti insieme no al razzismo, all'
ingiustizia, all' odio. E sì alla libertà, al perdono, alla riconciliazione". Mentre Mandela prendeva a
sua volta la parola, le agenzie di stampa battevano la lista dei sei ministri bianchi designati dal
secondo partito della coalizione, il National Party di de Klerk. Nel nuovo governo di unità
nazionale, che verrà formato alla fine della settimana, tre ministri occuperanno gli stessi posti che
avevano nel vecchio. Sono Derek Keys alle Finanze; Roelf Meyer - il migliore della squadra di de
Klerk - agli Affari costituzionali; e Krai Van Niekerk all' Agricoltura. Continuità strategica, in tre
portafogli-chiave. L' altro ministero economico di grande importanza, quello dell' Industria mineraria
e dell' Energia, va a Pik Botha, ex titolare degli Esteri. Questa mattina, davanti agli Union Buildings
di Pretoria, Nelson Mandela giurerà. Ci sarà mezzo mondo, una platea di re, presidenti, capi di
governo quale raramente s' è vista. Boutros-Ghali e Filippo d' Edimburgo; Hillary Clinton e il
vicepresidente Al Gore; teste coronate d' Africa e d' Oriente, ministri, ambasciatori. La Cnn
trasmetterà la cerimonia in diretta. Ma sarà un evento ad uso e consumo della televisione,
spettacolo destinato a una platea planetaria. Per il Sudafrica, il futuro è già cominciato ieri, fragile
come quella colomba che è volata via verso l' oceano, verso la libertà. - dal nostro inviato PIETRO
VERONESE