leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri

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BIOS
PSYCHÈ
| La memoria
1
Lucy Freeman
La storia di Anna O.
Premessa di Massimo Fagioli
Traduzione di Adriana Bottini
e Michele Sampaolo
In copertina:
disegno di Massimo Fagioli (1998)
Titolo originale:
The Story of Anna O.
Walker and Company, New York
© 1972 by Lucy Freeman, New York
Prima edizione parziale
Giangiacomo Feltrinelli Editore 1979
Prima edizione con la Premessa di Massimo Fagioli
e un aggiornamento bibliografico
L’Asino d’oro edizioni 2013
L’editore rimane a disposizione degli eredi
dell’autrice e di eventuali altri aventi diritto,
che non è stato possibile rintracciare
© 2013 L’Asino d’oro edizioni s.r.l.
Via Saturnia 14, 00183 Roma
www.lasinodoroedizioni.it
e-mail: [email protected]
ISBN 978-88-6443-164-2
ISBN ePub 978-88-6443-165-9
ISBN pdf 978-88-6443-166-6
| Indice
Premessa | Ipnosi di Massimo Fagioli
Ringraziamenti
VII
5
Parte prima | La paziente
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Il balbettio
Le parole
La frase
Due mondi
Le favole
Il grande trauma
La cura con le parole
La negazione
Il terzo mondo
Il volto della morte
L’ultimo sintomo
L’ultima seduta
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19
22
24
29
34
42
50
53
61
65
71
Parte seconda | La paladina
1.
2.
3.
4.
5.
6.
La mensa dei poveri
L’orfanotrofio
La femminista
L’organizzatrice
Contro la tratta delle bianche
La quarta morte
77
83
89
94
98
105
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
La nuova casa
Il terzo uccellino
I viaggi all’Est
La Grande Guerra
La celebrazione
Il dopoguerra
La voce di una donna sconosciuta
Il nemico all’interno
La lotta finale
La fine
I tributi
108
115
119
137
144
148
164
178
194
198
201
Parte terza | La donna
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
Il caso di Anna O.
La rivelazione
Gli anni persi
L’amore devastato
Il misterioso dramma della guarigione
Il vulcano
La prostituta in fantasia
La girovaga
L’ultimo abbandono
La «piccola fiamma»
217
227
237
247
254
272
284
293
301
313
Bibliografia al testo di Lucy Freeman
317
Nota bibliografica a cura di Francesca Fagioli
319
La storia di Anna O.
Avvertenza
In vari luoghi del testo l’autrice fa riferimento a personaggi – parenti, amici,
conoscenti di Bertha Pappenheim – segnalandoli come ancora viventi; va
ricordato che la segnalazione riguarda gli inizi degli anni Settanta, quando
la Freeman licenziò il volume.
A Walter A. Stewart
maestro e amico
| Ringraziamenti
Benché lo stile delle prime due parti di questo libro sia quello
del romanzo, tutti i fatti descritti poggiano su una realtà storica. La prima parte si basa sul caso clinico di Anna O. descritto da Josef Breuer negli Studi sull’isteria; la seconda raccoglie
fatti e aneddoti forniti sia da Bertha Pappenheim attraverso i
suoi scritti, sia da persone che la conobbero.
È probabile che la personalità di Bertha Pappenheim sarebbe stata ricordata semplicemente in relazione al famoso
caso di isteria di Breuer e Freud, se Dora Edinger non le
avesse conferito una nuova prospettiva con il suo libro Bertha
Pappenheim: Leben und Schriften [Bertha Pappenheim: vita e scritti], pubblicato a Francoforte nel 1963 da Ner-Tamid-Verlag.
Cinque anni dopo apparve la traduzione in lingua inglese
dal titolo Bertha Pappenheim: Freud’s Anna O., pubblicata dalla
Congregation Solel, a Highland Park, Illinois, su iniziativa
dell’Institute for Psychoanalysis di Chicago, che riteneva doverosa la diffusione di un contributo di tale importanza al
mondo psicoanalitico. La biografia conteneva numerose lettere e scritti di Bertha Pappenheim tradotti dalla stessa Dora
Edinger.
Storica, biografa e pedagogista, Dora Edinger collaborò
con Mary Ritter Beard alla redazione di biografie di donne
per l’Encyclopaedia Britannica. Fu bibliotecaria e si occupò
di educazione degli adulti a Evanston, nell’Illinois. Attual-
5
La storia di Anna O.
mente è responsabile della biblioteca della Society for the Advancement of Judaism che ha sede a New York.
Dora Edinger mi ha fornito innumerevoli dati non inclusi
nella sua biografia di Bertha Pappenheim, durante la stesura
della quale intervistò, personalmente o per lettera, centinaia
di persone che l’avevano conosciuta, controllando sempre, accuratamente, tutte le informazioni; fu inoltre in corrispondenza con molte personalità autorevoli, compreso Ernest Jones, e
cercò di rintracciare gli scritti ancora esistenti di Bertha Pappenheim.
Oltre a questo aiuto concreto Dora Edinger mi ha dato anche un prezioso appoggio morale, mantenendosi sempre
estremamente coscienziosa, paziente, infaticabile e disponibile. Ottima storica quale è, è sempre stata attenta a controllare
il materiale a disposizione, facendomi notare le eventuali contraddizioni e consigliandomi di non inserire certi particolari
quando non trovavano conferma sicura, ad esempio la notizia
di una storia d’amore giovanile di Bertha Pappenheim.
Molte compagne di lavoro di Bertha Pappenheim riuscirono a sfuggire alle stragi di Hitler ed emigrarono negli Stati
Uniti dove continuarono l’opera da lei iniziata. Eugene Kamberg, presidente della società Help and Reconstruction, finanzia un nido e un asilo d’infanzia a Washington Heights,
New York, e invia annualmente alle colonie estive oltre duecento bambini bisognosi. Un altro membro del direttivo del
Centro di Isenberg, Jenny Wolf, ora residente a Chicago, è
stata generosa nell’offrirmi il suo tempo e i suoi ricordi raccontandomi della sua amicizia durata quattordici anni con
Bertha Pappenheim e del lavoro svolto insieme in favore delle
ragazze madri e dei loro bambini. Jenny Wolf mise in salvo
portandoli con sé negli Stati Uniti un tavolino e uno scrittoio
di Bertha Pappenheim nonché molte delle collane da lei fabbricate e alcuni appunti vergati mentre ascoltava alla radio il
primo discorso di Hitler. Con altre cinque donne, Jenny Wolf
6
Ringraziamenti
fondò, appena arrivata a Chicago, nel 1938, l’associazione
Self-Help, che nel 1951 costruì un ricovero per persone anziane, cui seguì un secondo nel 1963.
Alice Bock, moglie di un cugino di primo grado di Bertha
Pappenheim, Leo Goldschmidt, mi mostrò le due coppe d’argento della famosa collezione di Sigmund Pappenheim, il padre di Bertha, attualmente di sua proprietà. Gliele spedì in
America Wilhelm Pappenheim, fratello di Bertha, affinché,
come le scrisse nella lettera di accompagnamento, potesse disporle sull’altare il giorno del matrimonio delle sue figlie. La
corrispondenza tra Alice Goldschmidt e Wilhelm Pappenheim continuò fino alla morte di questi nel 1937. Alice possiede ancora una vecchia agenda in cui si possono leggere il
suo nome, indirizzo e numero di telefono: «Gardisonsgasse
7, Vienna 9. A 20517 (Privato)».
I miei più sentiti ringraziamenti vanno anche alla moglie
del defunto Adolph Pappenheim, di Riverdale, New York,
uno dei cinque figli di Wolf Pappenheim II, cugino primo di
Bertha; nonché al dottor Wolfgang Pappenheim, di New York,
pronipote di Wolf Pappenheim II, e membro dell’International Psychoanalytic Association. Anche la famiglia di Breuer
ha un rappresentante negli Stati Uniti, nella persona di Ernst
Hammerschlag, nipote acquisito di Breuer, che del famoso
zio mi fornì un interessante ritratto verbale. Vorrei ringraziare
anche altri membri della famiglia Breuer residenti negli Stati
Uniti, che preferiscono tuttavia mantenere l’anonimato.
Un particolare ringraziamento è dovuto a tutti gli psicoanalisti che mi hanno offerto il loro incoraggiamento nella stesura del libro: il dottor George H. Pollock, direttore dell’Institute for Psychoanalysis di Chicago, autore di alcuni articoli
sul rapporto tra Bertha Pappenheim, Breuer e Freud; il dottor
Walter A. Stewart, docente presso lo Psychoanalytic Institute
di New York, a cui mi sono riferita per l’interpretazione dei
sintomi di Anna O. riesaminati alla luce delle nostre conoscen-
7
La storia di Anna O.
ze circa la sua vita; e lo psicoanalista dottor Richard Karpe, di
Hartford, Connecticut che ha condotto ricerche sulla vita di
Anna O. Desidero inoltre ringraziare il dottor Kurt Eissler, fondatore degli Archivi Sigmund Freud, e il dottor Henri Ellenberger, psichiatra del Dipartimento di criminologia dell’Università di Montreal, che sta svolgendo ricerche sulla vita di
Bertha Pappenheim negli anni che seguirono il trattamento
da parte di Breuer.
Preziosissimo mi è pure stato l’aiuto di Arnold Jacob Wolf,
rabbino della Congregation Solel di Highland Park, Illinois,
e di Louis I. Heller, direttore amministrativo della Congregation Solel.
Helene Kramer, una delle persone che conobbero per più
tempo Bertha Pappenheim e che vive ora nella Casa delle figlie di Jacob, nel Bronx, a New York, era troppo malata per
potermi concedere un colloquio. Fu però intervistata a lungo
anni addietro da Dora Edinger, a cui fornì copiose e importanti informazioni sulla vita di Bertha Pappenheim.
Desidero inoltre esprimere la mia gratitudine ad Arnold
Heller, per la sua descrizione di Francoforte: la zia Rika Heller, ora scomparsa, aveva diretto un ospizio per bambini nella
vicina Hofheim Taunus; e allo scrittore John Wykert, di Vienna, che seppe tracciarmi un quadro oltremodo vivace della
città natale di Bertha.
Sono anche grata alla bibliotecaria dello Psychoanalytic
Institute di New York, Phyllis Rubinton, che mi ha aiutato a
rintracciare sulle riviste di psicoanalisi gli articoli concernenti
Anna O. e Bertha Pappenheim. Il mio sentito ringraziamento
va anche a Glenn Miller, bibliotecaria dell’Institute for Psychoanalysis di Chicago.
Desidero infine esprimere la mia più profonda gratitudine
a Ghislaine Boulanger, redattrice capo presso la Walker and
Company, per la fiducia accordatami fin dall’inizio, fiducia
che ha reso possibile la stesura di questo libro, che da tanti
8
Ringraziamenti
anni volevo scrivere. A lei, che ne è stata la redattrice, esso deve molto. Furono i suoi suggerimenti a indicarmi come ricostruire in tutta la sua drammaticità il caso clinico di Anna O.
e la vita di Bertha Pappenheim senza venir meno alla verità
dei fatti. Collaborare con lei e imparare da lei è stata per me
un’esperienza tanto entusiasmante quanto felice.
Lucy Freeman
New York, febbraio 1972
9
Parte prima | La paziente
...ebbi modo di conoscere la sua vita come raramente
è dato a qualcuno di conoscere la vita di un altro.
Josef Breuer, Vienna 1895
1 | Il balbettio
Un giovane snello, i capelli biondo-rossicci sotto il cappello
calato sulla fronte contro il freddo maligno di dicembre, entrò con passo deciso nel vecchio palazzo sulla Lichtensteinstrasse. Rimase ad attenderlo davanti al portone la carrozza a
nolo con tiro a due: ché un cavallo soltanto sarebbe stato disdicevole per uno dei medici più rinomati di Vienna.
Il giovane salì le due rampe di scale fino all’ultimo piano,
e sollevò il battente ovale di ottone.
Una cameriera gli aprì la porta, gli prese i guanti e il cappello, lo fece accomodare in un salotto arredato con mobili
antichi. In un angolo, alto fin quasi al soffitto, stava uno stipo
Biedermeier nero, luccicante di coppe d’oro e d’argento; dalle pareti, ritratti di avi corrucciati fissavano severi il visitatore.
Una donna magra, dai capelli neri, con un’espressione
malinconica sul viso si alzò dal sofà damascato e gli si fece incontro tendendogli la mano.
«Grazie per essere venuto, dottor Breuer», disse. «Sono così preoccupata per la tosse di mia figlia».
Breuer, che abitava poco lontano, nel cuore di Vienna, al
numero 8 di Brandstätte, era accorso immediatamente. Capiva la preoccupazione di quella madre: il terrore che si trattasse
di tubercolosi. Quindici anni addietro, il fratello del giovane
medico viennese ne era morto, all’età di vent’anni. Mentre
danzavano alle note dei valzer di Strauss, andavano all’Opera
13
La storia di Anna O. | Parte prima
e a teatro, mangiavano Sachertorte dietro i vetri istoriati dei
caffè, i viennesi erano ossessionati dallo spettro di una malattia che aveva mietuto tante vittime da far più paura di qualunque esercito nemico.
«Quando è cominciata la tosse di sua figlia?».
«Un paio di settimane fa, e da una settimana ormai, dal 7
dicembre, non vuole più alzarsi dal letto. L’ho fatta visitare
da diversi neurologi, perché il braccio destro e le gambe sembrano completamente paralizzati. Ma i neurologi non sono
riusciti a trovare alcuna causa organica. Le dita della mano sinistra riesce a muoverle un po’, ma non abbastanza da mangiare da sola. Deve imboccarla la governante, anche se accetta
di mangiare solo arance. Fatica inoltre a girare la testa. Anche
il collo sembra paralizzato».
Dopo un attimo di esitazione, la madre continuò: «Lamenta poi forti dolori al lato sinistro della fronte. E dice che gli
occhi le si annebbiano, sicché non riesce a leggere né a scrivere. L’oculista sostiene che ha uno strabismo dovuto alla paralisi di un muscolo. È sempre stanca, ma non riesce ad addormentarsi che all’alba».
«Posso vederla?», chiese Breuer.
«Ma certo».
Lo condusse lungo un ampio corridoio coperto da un tappeto marrone. Giunta davanti a una porta chiusa, la aprì lentamente, quasi provasse timore ad affrontare chi occupava
quella stanza. Breuer si trovò così in una camera da letto elegantemente arredata e molto femminile. Le finestre erano incorniciate da pesanti tendaggi di taffetà verde, il comò, i tavoli
e lo schienale delle poltrone erano coperti di pizzi intricati.
Una donna corpulenta, la governante, sedeva accanto al
letto, dove sotto una coperta di raso bianco era distesa la ragazza, immobile, come morta.
Non volse neppure il capo all’ingresso del visitatore: rimase inerte, sprofondata in una sua cupa disperazione. I lunghi
14
La paziente
capelli scuri erano raccolti con un nastro sulla nuca; i tratti
del viso erano delicati.
D’improvviso ebbe un accesso di tosse; nella stanza silenziosa risuonò come una fucilata. La governante diede un’occhiata nervosa alla madre.
Breuer si fece più vicino. Vide che gli occhi della ragazza
erano azzurri e un po’ vitrei. Aveva l’aria assente, lontana, pareva chiusa in un suo mondo, un mondo che non aveva relazione con la Vienna di quel Natale del 1880.
Chinandosi su di lei, sussurrò: «Mi sente?».
Gli occhi azzurri si volsero a fissarlo, ma le labbra non si
mossero. A Breuer parve di riconoscere i sintomi dell’isteria;
ne aveva riscontrati diversi casi. Una malattia che colpiva le
donne: il termine ‘isteria’ derivava dal greco hystèra, utero,
ventre. Le donne che ne erano affette venivano improvvisamente colpite da paralisi alle gambe o alle braccia, o accusavano improvvisi capogiri o emicranie, oppure perdevano la vista o l’udito, il tutto senza un’evidente causa organica. Questi
sintomi costituivano da secoli un enigma per i medici europei,
che non sapevano a quale causa attribuirli né come trattarli,
e avevano in genere scarsa comprensione per le pazienti isteriche, che sospettavano di fingere la malattia.
Breuer, uno dei medici più famosi d’Austria, continuava
una tradizione familiare: suo nonno era stato medico condotto a Mattersdorf, e lui stesso, a soli 26 anni, si era fatto un nome in campo scientifico con la scoperta del controllo automatico della respirazione da parte del nervo vago, il cosiddetto
riflesso di Hering-Breuer, così designato in onore suo e di
Ewald Hering, il docente che l’aveva avviato a quel tipo di ricerca. Un secondo contributo fondamentale al sapere scientifico l’aveva dato a 32 anni, quando studiando la spirale ossea
dell’orecchio interno aveva scoperto che quei canali semicircolari presiedono all’equilibrio. Nel frattempo, dall’età di 29
anni, aveva aperto uno studio medico privato. Ben presto si
15
La storia di Anna O. | Parte prima
era guadagnato la fama di ‘medico dei medici’, e contava tra
i suoi pazienti il dottor Ernst Brücke, direttore dell’Istituto di
fisiologia presso l’Università di Vienna, la più antica università
di lingua tedesca, fondata nel 1365. La sua fama gli derivava
anche dalla sua abilità diagnostica, qualità piuttosto importante a quei tempi, in cui non si poteva ricorrere ai raggi X e
ad altri moderni test diagnostici. Era noto altresì come il dottore dalla mano d’oro, perché spesso ridava la salute là dove
altri avevano fallito.
Negli ultimi tempi Breuer aveva cominciato a interessarsi
dell’isteria e del suo trattamento attraverso l’ipnosi. Solo pochi medici avevano osato seguire le orme di Mesmer, che era
stato costretto a lasciare Vienna accusato di ciarlataneria da
parte dei circoli medici ufficiali per aver propugnato l’uso dell’ipnosi nella cura delle sindromi isteriche.
Ora però, a un secolo di distanza, non faceva più scandalo
che un medico intraprendente visitasse una paziente con una
diagnosi di isteria, la ipnotizzasse e quindi, mentre la donna
era in stato di trance, la ‘esortasse’ a non avere più al risveglio
i sintomi di cui soffriva. In certi casi la cura era efficace, almeno temporaneamente, soprattutto se il medico era un uomo
dotato di fascino, che la paziente desiderava compiacere. Ma
non appena il medico cessava di averla in cura, i sintomi ricomparivano.
Convinto che la ragazza soffrisse di isteria, Breuer domandò alla madre: «C’è qualcosa che preoccupa sua figlia?».
Un’espressione di dolore passò sul viso della donna. «Lo
stato di suo padre l’ha sconvolta. È nella stanza accanto». E
indicò con un cenno del capo la parete alla sua sinistra. «I medici dicono che ha un ascesso al polmone sinistro, e che non
guarirà. È dall’autunno, quando si ammalò nella nostra casa
di campagna, che non appena il polmone si riempie di liquido
glielo incidono per drenarlo».
Breuer capì che l’uomo stava probabilmente morendo di
16
La paziente
tubercolosi. L’incisione e il drenaggio del liquido accumulato
nella cavità pleurica servivano a permettergli di respirare, a
tenerlo in vita per qualche tempo ancora.
«Dapprincipio io e mia figlia facevamo a turno ad assisterlo», disse la madre. «Io stavo con lui durante il giorno, lei lo
vegliava la notte».
«Per quanto tempo?», domandò Breuer.
«Cinque mesi. Poi, alcune settimane fa, mia figlia cominciò
a comportarsi in modo molto strano. Si interrompeva a metà
di una frase, come se avesse dimenticato quello che stava per
dire. Ripeteva le ultime parole e di nuovo si interrompeva senza riuscire a terminare la frase. Perse l’appetito. Non riusciva
più a dormire. Allora feci venire un’infermiera per la notte.
Lo stesso, mia figlia peggiorava di giorno in giorno. Chiamai
diversi specialisti, che la visitarono senza riuscire a trovarle
nulla. Furono loro a consigliarmi di rivolgermi a lei. Dissero
che se c’era qualcuno che poteva venirne a capo, era lei».
Di nuovo la ragazza diede un colpo di tosse: sembrava la
sua unica forma di comunicazione con gli altri. Era una tosse
nervosa, pensò Breuer, non la tosse di un polmone malato.
«Vorrei provare a ipnotizzare sua figlia», disse. «Non abbiamo la certezza che serva. Ma è l’unica cosa che resta da
provare, visto che gli specialisti hanno escluso qualunque causa organica».
«La prego, faccia qualunque tentativo le sembri utile, dottor Breuer». C’era una nota di gratitudine nella sua voce.
«Vuole lasciarci soli?».
«Certamente». La madre fece cenno alla governante di accompagnarla fuori.
Breuer andò verso la grande finestra e accostò gli scuri per
fare buio nella stanza. Quindi avvicinò una sedia al letto della
ragazza. Le pose sulla fronte le lunghe dita sensibili, dita che
con tanta precisione avevano saputo condurre minuziose delicate ricerche nel laboratorio di fisiologia.
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La storia di Anna O. | Parte prima
Con voce suadente le disse: «Ora chiuda gli occhi. Respiri
profondamente. Si rilassi. Ecco le viene sonno... sonno... sonno».
La ragazza sbatté le palpebre, quasi volesse resistere al comando, poi lentamente gli occhi azzurri si chiusero. Il respiro
si fece più profondo, regolare. Eccola entrata nel trance ipnotico: era un soggetto facilmente suggestionabile.
Dolcemente, Breuer le chiese: «Che cosa la preoccupa?».
La ragazza scosse più volte la testa, in segno di diniego. È
davvero un caso di isteria, pensò Breuer con un senso di trionfo, riesce a muovere i muscoli del collo, si è rilassata sotto l’ipnosi.
«Ne è sicura?». La voce suadente.
Una babele di parole si riversò dalle labbra della ragazza:
«usc-kid-rupbach-non». Totalmente inintelligibili.
«Non può parlare più lentamente?». Sperava così di riuscire a cogliere qualche parola che avesse senso.
Di nuovo un balbettio incomprensibile.
Breuer non cercò neppure di capire. Lasciò che la ragazza
continuasse così. Se non altro stava tentando di parlare, mentre prima era rimasta muta.
18
2 | Le parole
Il giorno successivo Breuer attraversò di nuovo la città nel gelo
del dicembre per recarsi in quella casa dove in una stanza giaceva un padre agonizzante e in un’altra una figlia paralizzata.
Di nuovo allontanò la madre e la governante, chiuse gli
scuri, sedette accanto al letto della ragazza e la ipnotizzò.
Di nuovo la ragazza parlò una lingua incomprensibile.
Breuer stette ad ascoltare con tutta l’attenzione di cui era capace.
«Non può parlare più lentamente?», chiese.
La ragazza si sforzò di farlo. Ora gli riuscì di cogliere qualche parola: «Jamais... acht... nobody... bella... mio... please...
Liebchen... nuit».
Breuer si rese conto che parlava in quattro lingue: tedesco,
inglese, francese, italiano.
D’improvviso la ragazza si interruppe. Di nuovo la tosse
nervosa. «La prego, continui». La voce di Breuer era bassa e
calda.
Non sapeva perché, ma era restio a fare come altri medici
avrebbero fatto, a ‘esortare’ la paziente ipnotizzata a ‘rinunciare’ ai suoi sintomi, alla paralisi, alla vista annebbiata, alla
tosse. Lo interessava di più quello che la ragazza diceva. Perché usava quattro lingue? Cosa cercava di comunicargli? Poteva esserci qualche relazione tra i pensieri della ragazza e la
sua malattia? Breuer avvertiva che sotto l’ipnosi una parte del-
19
La storia di Anna O. | Parte prima
la sua mente continuava a pensare, una parte che nessuno
scienziato aveva mai potuto esplorare, una parte forse altrettanto importante di quella che controllava i pensieri nello stato di veglia. E a Breuer interessava ‘il controllo’. Non erano
state le sue ricerche sugli organi che ‘controllano’ il respiro
e l’equilibrio a meritargli il riconoscimento del mondo scientifico? Ora si trattava del ‘controllo’ dell’equilibrio mentale,
un problema altrettanto stimolante. Perché la paziente non
riusciva a ‘controllare’ i suoi pensieri disorganizzati?
Per mezz’ora cercò di dare un senso alla congerie di parole in quattro lingue. Poi la risvegliò dal trance: «Ora si sveglierà. Aprirà gli occhi. Ecco, ora è sveglia».
La ragazza sbatté le palpebre, gli occhi azzurri si aprirono.
Ma lo sguardo di quegli occhi fissava le cose senza vederle.
La madre lo attendeva ansiosa nel salotto. «C’è qualche
miglioramento?».
«È troppo presto per dirlo». Poi, preso da curiosità, domandò: «Quante lingue conosce sua figlia?».
«Tedesco, inglese, francese e italiano», rispose la madre.
«Come sta suo marito oggi?».
«Male». Il viso sempre triste esprimeva ora una profonda
angoscia. «I medici non sperano più. Non ho il coraggio di
dirlo a mia figlia».
«Meglio di no», disse Breuer. «Sembra già abbastanza infelice così».
«Pensa di poterla aiutare, dottor Breuer?». C’era una supplica nella sua voce.
«Farò del mio meglio». Gli occhi caldi, espressivi, che sapevano essere teneri a volte e a volte assorti, quasi distaccati,
le comunicarono che un’unica cosa stava a cuore al giovane
medico: alleviare le sofferenze di sua figlia.
«Verrò di nuovo domani», le disse, per rassicurarla.
«Fino a quando... continuerà?», le labbra della madre ebbero un tremito.
20
La paziente
«Fino a quando sarà necessario».
Lo disse con decisione. C’era tutto il tempo: Breuer aveva
solo 38 anni. Anche per la sua paziente c’era tutto il tempo:
aveva solo 21 anni.
21
3 | La frase
Giorno dopo giorno, Breuer continuò a recarsi dalla giovane
paziente, deciso ad alleviarne le sofferenze. A volte la ragazza
parlava solo in quella sua lingua incomprensibile, a volte persino sotto ipnosi rimaneva muta, a volte dalle sue labbra usciva un torrente di parole in quattro lingue.
Un giorno Breuer invece di far buio nella stanza le porse
sotto ipnosi carta e matita e le chiese di scrivere con la mano
sinistra i suoi pensieri. Forse scrivendo si sarebbe fatta capire
meglio che parlando, pensava. Ma anche le parole che a fatica
la ragazza scarabocchiò sul foglio erano incomprensibili. Ripresero allora la seduta nel modo consueto; Breuer la incoraggiava a continuare a parlare, a esprimersi, per incomprensibili che fossero le sue parole, ogni volta che la ragazza
cadeva in silenzio.
«Dica qualunque cosa si sente di dire. Qualunque cosa».
Una sera (ora si recava da lei dopo cena, essendo molto
occupato di giorno), non appena la ragazza entrò in trance,
le chiese: «A che cosa ha pensato oggi?», aspettandosi la solita
risposta incoerente.
Invece, d’improvviso, la giovane paziente disse, in inglese
perfetto, con il tono di chi si confida con un amico: «Non mi
piace per nulla quella. Proprio non mi piace».
«Chi?». Breuer cercò di non tradire la propria euforia.
«Quella presuntuosa di governante che sta in agguato in
22
La paziente
questa stanza come la strega di Hänsel e Gretel, quasi volesse
farmi al forno per mangiarmi». Lo disse in tono irato.
Poi tacque.
«La prego, continui».
Ma non ci fu nulla da fare. Breuer pensò che forse la ragazza si vergognava di avere espresso con tanta franchezza
sentimenti che le avevano insegnato bisogna nascondere: aveva tutta l’aria di essere una signorina molto per bene, così come la madre era una signora molto per bene.
La risvegliò dal trance. «Si ricorda quello che mi ha detto
pochi minuti fa?», le chiese.
Per la prima volta la ragazza lo guardò come se si accorgesse di lui. Gli occhi azzurri lo fissarono, dai capelli biondorossicci, agli espressivi occhi grigi, alla bocca sensuale.
«No». Fu poco più che un sussurro. Ma era la prima parola
che avesse mai pronunciato fuori dal trance.
«Lei sa chi sono?», le chiese.
Un altro sussurro. «Sì... Il dottore».
«E sa chi è lei?».
Le labbra si incurvarono per un attimo in un lieve sorriso,
il primo. «Sì».
Breuer sentì nelle ossa – era una sensazione fisica, non solo intellettuale – la stessa eccitazione che lo prendeva ogni
volta che faceva una scoperta, un senso di esultanza per essere
giunto dove nessuno era mai giunto prima.
Anche se non ne capiva il motivo, in quel momento la sua
giovane paziente era uscita dall’abisso di terrore in cui viveva,
ed era stato lui a tenderle la mano per condurla fuori.
23