avv. elena sica - Ordine Ingegneri Bergamo

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avv. elena sica - Ordine Ingegneri Bergamo
CONVEGNO :
La prevenzione Infortuni nei luoghi di lavoro
Secondo la moderna strategia di derivazione Europea
Bergamo, 16 novembre 2012
LE AZI O N I D I R I VA LS A D ELL ’ INA IL
CO NS EG U ENT I A I N F O RT UN I O O
M A LA TTI A P R OF E S S IO N AL E
Avv. ELENA SICA
(Avvocatura Distrettuale INAIL di Brescia)
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INDICE
I. Premessa. L'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni Sul Lavoro: brevi cenni sulla nascita dell'ente e sull'evoluzione delle sue funzioni 3
II. Le azioni di rivalsa dell'INAIL: presupposti e condizioni
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III. L'azione di regresso quale eccezione (inevitabile) alla regola dell'esonero da
responsabilità della parte datoriale
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IV. I soggetti contro i quali può essere esperita l'azione di regresso
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V. L'oggetto della domanda di regresso: il limite interno ed il limite esterno
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VI Profili processuali: l'azione di regresso in sede penale ed in sede civile
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I. Premessa. L'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni
Sul Lavoro: brevi cenni sulla nascita dell'ente e sull'evoluzione delle sue funzioni.
La platea di professionisti, alla quale è indirizzato il Convegno è troppo qualificata per non
conoscere, anche con un elevato grado di approfondimento, la natura e la funzione dell’INAIL. Tuttavia, l’introduzione dell’argomento oggetto della presente relazione non può prescindere da un
breve excursus sulle origini dell’ente e sull’evoluzione dei compiti ad esso demandati dalla legge,
compiti in seno ai quali le azioni di rivalsa si collocano, come un tassello necessario
all’adempimento efficace appunto della funzione previdenziale.
Molto sinteticamente: l’ente nasce nel 1898 con la nomenclatura di Cassa Nazionale Infortuni, per l’assicurazione dei soli lavoratori dell’industria, in relazione agli infortuni patiti sul luogo
di lavoro1; allora, tuttavia, era possibile alternativamente la stipulazione di polizze con compagnie
private.
Di seguito, nel volgere di pochi decenni, fra gli anni 20 e 30 del secolo successivo, la tutela
previdenziale ha conosciuto diverse modifiche sempre nel senso dell’ampliamento; dapprima la
tutela degli infortuni è stata estesa ai lavoratori dell’agricoltura; quindi, l’oggetto è stato ampliato
con estensione alle malattie professionali, inizialmente solo per gli operai dell’industria e dopo anni
anche per gli agricoltori.
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Sia consentita sin d’ora una specificazione banale ma rilevante al tempo stesso: l’infortunio sul lavoro è il trauma
patito dal lavoratore per una “causa violenta” consumatasi “in occasione lavorativa” (art. 1 DPR 1124/65); in antitesi, si
definisce “malattia professionale”, la patologia insorta nella persona del lavoratore per l’esposizione a “fattore morbigeno” sul luogo di lavoro protratta nel tempo. Comune denominatore delle due fattispecie sono l’occasione lavorativa e
la conseguenze lesive sulla persona del lavoratore. L’elemento di differenziazione è rappresentato dal fatto che
l’infortunio è un evento lesivo istantaneo, conseguente ad un trauma verificatosi per una causa violenta anch’essa istantanea (es. precipitazione da un’impalcatura durante l’esecuzione di lavori in edilizia); la malattia professionale insorge
nel tempo, a causa della protratta esposizione a fattori di rischio (si pensi all’ipoacusia conseguente all’esposizione prolungata a rumorosità elevata nei luoghi di lavoro).
La differenza evidenziata ha indiretti riflessi anche sulle azioni di rivalsa e, in particolare sul regresso di cui ci occuperemo in massima parte della presente relazione: infatti, il regresso presuppone l’addebitabilità delle lesioni – derivanti
da infortunio o malattia professionale – alla parte datoriale, per la mancata adozione delle misure di prevenzione imposte dalla legge. Tuttavia, mentre nel caso di infortunio, siccome trattasi di evento istantaneo, è sempre possibile individuare la parte datoriale presso la quale si è verificato, non di rado è complessa la ricerca del datore di lavoro presso il
quale è stata contratta la malattia professionale, quando il lavoratore tecnopatico abbia prestato la propria attività presso
diverse imprese, anche svolgendo mansioni analoghe.
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Importanti passaggi ulteriori dell’evoluzione della funzione assicurativa in esame sono rappresentati dalla nascita dell’INAIL, in sostituzione della soppressa Cassa; l’introduzione del principio dell’automaticità delle prestazioni assicurative, per effetto del quale il lavoratore infortunato o
tecnopatico riceve comunque l’erogazione delle indennità previdenziali, anche nel caso in cui la
parte datoriale non abbia versato i dovuti premi assicurativi ed anche nell’ipotesi versasse in condizione di lavoro irregolare al momento dell’evento.
Quindi, con il DPR 1124/1965 è intervenuta una riorganizzazione della normativa regolante
la funzione dell’Istituto, tanto che ancor oggi tale legge è denominata Testo Unico INAIL; sono
seguite “miniriforme” (ultima la Legge 88/1989), sui contenuti delle quali non è il caso di soffermarsi in questa sede per non rischiare di tradire l’intento di sinteticità dichiarato.
Viceversa, una menzione particolare e più dettagliata deve farsi della riforma dell’ente, realizzata con il Decreto Legislativo n. 38/2000, perché essa ha ampliato in modo molto significativo
l’ambito di operatività dell’ente, per almeno tre profili, che si cercherà di riassumere di seguito:
1) estensione della tutela previdenziale INAIL agli infortuni “in itinere”: all’art. 12 del
D.Lgs. 38/2000 viene affermata la tutelabilità - nelle stesse forme e con gli stessi indennizzi previsti per gli eventi lesivi consumatisi sul luogo di lavoro – anche degli incidenti stradali, nei quali il
lavoratore rimanga coinvolto nel percorso quotidiano dalla propria abitazione al luogo di lavoro e
viceversa. Invero, la disposizione in esame ha recepito una estensione di tutela, che già si era affermata in diverse pronunce della giurisprudenza: questa sin dagli anni ’80 aveva elaborato
l’interpretazione estensiva – rectjus analogica – del concetto di “occasione lavorativa” espresso nel
T.U. DPR 1124/65, quale condizione essenziale per la tutela indennitaria di un infortunio. Infatti, la
giurisprudenza era pervenuta a ritenere che il viaggio dall’abitazione al luogo di lavoro potesse considerarsi come attività prodromica dell’attività lavorativa, e quindi, già esso dovesse qualificarsi
parte della giornata lavorativa; rilevato che durante tale percorso il lavoratore si espone al “rischio
della strada” per esigenze connesse al lavoro, ritenevano i giudici che questo fosse assimilabile ai
rischio sul luogo di lavoro e perciò egualmente meritevole di tutela. Il pregio dell’art. 12 del D.Lgs.
38/2000 è stato, dunque, quello di dare espressa copertura normativa ad una estensione di tutela, di
fatto già affermatasi in giurisprudenza, ma sino ad allora legata solo ad una interpretazione analogica delle norme vigenti.
2) Estensione della tutela INAIL al danno biologico: trattasi dell’ampliamento espresso
nell’art. 13 del D.Lgs. 38/2000, per effetto del quale, in luogo della tradizionale rendita rapportata
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al solo danno da perdita della capacità lavorativa (unico contemplato nel TU DPR 1124/65), le prestazioni indennitarie a carico del’INAIL comprendono ora anche la copertura del danno da menomazione dell’integrità psicofisica “o danno biologico”, purché suscettibile di apprezzabile valutazione medico legale.
Anche in questo, si deve riconosce alla giurisprudenza di avere aperto la strada a nuove
frontiere di tutela; il concetto di “danno biologico” nasce dai Tribunali che per primi (dagli anni
’70) si preoccupano del fatto che un individuo, quando vittima di lesioni, riporta un danno che non
consiste soltanto nella perdita o limitazione della sua attitudine al lavoro o capacità di produrre reddito, ma anche in una significativa diminuzione della qualità della vita in ogni suo aspetto (onde la
nomenclatura di questo danno – non patrimoniale – come danno “biologico”).
Tuttavia, tale estensione della gamma di danni riconoscibili ad un soggetto vittima di lesioni, è stata operata dalla giurisprudenza in riferimento a casistiche diverse dall’ambito degli eventi
tutelati dall’INAIL; quanto alle prestazioni erogate dall’ente, siccome regolamentate dal TU del
1965, le stesse erano fino al 2000 ancorate ai parametri rigidamente patrimoniali, ossia riferiti alla
sola incidenza delle lesioni sulla capacità del lavoratore di produrre reddito. E’ solo con l’avvento
dell’art. 13 D.Lgs. 38/2000 che le modalità di liquidazione delle indennità INAIL sono state riscritte
ed ampliate per comprendere accanto alla voce del danno patrimoniale, la voce del danno biologico.
3) Estensione della funzione dell’INAIL al finanziamento delle imprese con incentivi per il
miglioramento della sicurezza: la terza innovazione introdotta dal D.Lgs. 38/2000, agli art. 23 e 24,
consiste nell’attribuzione all’ente di una nuova “missione” nell’ambito della prevenzione. Le norme
citate prevedono che l’INAIL finanzi progetti delle imprese preordinati al miglioramento della sicurezza dei dipendenti, mediante l’adozione di misure di prevenzione.
A parere di chi scrive, si tratta di una aspetto della riforma del 2000 immeritatamente meno
noto dei primi due: senza nulla voler togliere all’importanza della tutela agli infortuni in itinere e
del danno biologico, le disposizioni degli artt. 23 e 24 sono forse ancora più innovative, perché vedono l’INAIL promotore della cultura della sicurezza e non più solo chiamato a “riparare il danno
fatto”, peraltro mai pienamente riparabile.
Non a caso, la funzione dell’INAIL quale ente promotore della prevenzione e sicurezza è
stata da ultimo ribadita e rafforzata anche Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (d. leg.vo 9 aprile 2008, n. 81), all’art. 5 .
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Delineato come sopra, il quadro delle funzioni dell’ente, sia pure con la incompletezza inevitabile per la sinteticità che ci si è imposti ab initio, si cercherà ora di definire con maggiore specificità le azioni di rivalsa , alle quali l’intervento è dedicato.
II. Le azioni di rivalsa dell'INAIL: presupposti e condizioni.
Lo scritto che segue non ha la presunzione di costituire un saggio sull’argomento enunciato,
ma - molto più semplicemente - si presenta come una sorta di excursus pratico sugli aspetti principali di tale tema.
Preliminarmente preme precisare che, sotto la generica nomenclatura di azioni di rivalsa
dell’INAIL, si ricomprendono tre diverse azioni giudiziarie esperibili dall’ente, il cui minimo denominatore comune è ravvisabile in questi tratti: tutte seguono la consumazione dell’evento lesivo
in danno del lavoratore e l’erogazione da parte dell’INAIL delle indennità di legge in favore del
medesimo; tutte presuppongono che l’evento lesivo non sia stato accidentale e/o non sia dipeso esclusivamente da colpa del lavoratore infortunato (nel qual caso l’ente previdenziale eroga prestazioni senza dare corso a rivalsa), ma sia dipeso da responsabilità di “altri”; tutte sono preordinare a
consentire all’INAIL di recuperare dai responsabili i costi sostenuti per la tutela dell’infortunio.
Ciò posto, le tre azioni di rivalsa si differenziano quanto ai casi in cui sono esperibili ed ai
soggetti contro i quali l’INAIL può intentarle.
La prima è contemplata all’art. 1916 cod. civ., a mente del quale “l’assicuratore sociale”
(quindi non solo l’Inail, ma anche l’Inps), quando eroga prestazioni conseguenti ad un evento lesivo
ascrivibile a responsabilità di terzi, può rivalersi contro il responsabile surrogandosi (id est sostituendosi) al soggetto assicurato (il lavoratore tutelato). Come accennato, è un’azione dall’ambito di
operatività ampio, non riservata specificamente al solo INAIL, ed esperibile contro qualunque soggetto che possa individuarsi responsabile del danno coperto dall’ente, in base ad un illecito civile
(contrattuale o extracontrattuale) o ad un illecito di rilevanza penale.
A titolo esemplificativo: questa è l’azione che l’INAIL esperisce contro il responsabile di
un’aggressione fisica (si pensi ai casi di lavoratori addetti alle vendite in un esercizio commerciale,
aggrediti e lesi durante una rapina sul luogo di lavoro); più frequentemente, questo è il titolo in base
al quale l’INAIL agisce in rivalsa contro il conducente di un mezzo responsabile delle lesioni patite
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da un lavoratore in un infortunio in itinere; sempre ex art. 1916 cod. civ., l’INAIL può agire anche
contro il proprietario del mezzo investitore, se persona diversa dal conducente, essendo il primo coobbligato con il secondo ex art. 2054 cod. civ.
In sintesi, il destinatario dell’azione di rivalsa in surrogazione ex art. 1916 cod. civ. è sempre un terzo rispetto al rapporto di lavoro mentre, come vedremo di seguito, l’azione di regresso è
immaginata dal legislatore come rivalsa intentata contro il datore di lavoro.
La seconda azione di rivalsa esperibile dall’ente è contemplata all’art. 142 D.lgs. 209/2005
Codice delle Assicurazioni Private: trattasi della disposizione che consente all’INAIL di surrogarsi
al lavoratore infortunato “in itinere”, agendo direttamente contro la compagnia di assicurazione garante del mezzo investitore, in base alle vigenti disposizioni in materia di RCA (responsabilità civile
automobilistica).
La terza ed ultima azione di rivalsa dell’INAIL, non è una surroga – nel senso che non è
un’azione risarcitoria nella quale l’ente si sostituisce al lavoratore infortunato – ma è un’azione speciale concessa all’Istituto jure proprio nel corpo del T.U. del 1965, e che ha come destinatario il datore di lavoro dell’infortunato, con estensione a terzi solo se coobbligati con il datore di lavoro e ad
esso legati (come meglio infra).
Ebbene, alle prime due azioni si è fatto cenno per completezza del quadro delle “rivalse INAIL”: ma quel poco che si è detto appare sufficiente per comprende come le stesse non meritino
maggiore approfondimento in questa sede, siccome non hanno attinenza con il tema del convegno,
che si prefigge la disamina della prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro e delle strategie per
porla in essere.
Al contrario, rispetto a tale tema, l’azione di rivalsa pertinente ed interessate è la terza, ovvero il regresso contro il datore di lavoro, al quale perciò verrà dedicata tutta la sessione che segue.
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III. L'azione di regresso quale eccezione (inevitabile) alla regola dell'esonero da
responsabilità della parte datoriale.
L’azione di regresso trova compiuta disciplina negli artt. 10 e 11 del T.U. INAIL DPR
1124/’65, ove in effetti rappresenta una eccezione alla regola dell’esonero da responsabilità, di cui
le aziende-parti datoriali beneficiano proprio per l’esistenza dell’ente previdenziale.
L’assicurazione in esame, pur obbligatoria per legge, è strutturata sulla falsa riga di una polizza a favore di terzo, in cui il datore di lavoro è il soggetto obbligato al versamento dei premi assicurativi all’INAIL, che funge da ente assicuratore preposto all’erogazione delle prestazioni indennitarie in favore del lavoratore vittima di infortunio (o M.P.), il quale è dunque il terzo beneficiario
della copertura.
Ebbene, il sistema previdenziale assicurativo è congeniato in modo tale per cui la stipulazione di detta “polizza” esonera il datore di lavoro da ogni obbligo risarcitorio per infortuni e malattie dei dipendenti: salvo il limite del reato.
Ove egli (o terzi del cui fatto sia responsabile ex art. 2049 cod. civ.) commetta un reato perseguibile d’ufficio, che sia esso stesso causa dell’infortunio o della malattia, viene meno l’esonero
da ogni responsabilità.
Pertanto, in simili casi, l’INAIL eroga le prestazioni indennitarie in favore dell’lavoratore
vittima, ma con funzione soltanto anticipatoria, poiché di seguito si rivale contro la parte datoriale
in via di regresso, andando a recuperare gli esborsi economici sostenuti.
Più specificamente, esaminando le norme richiamate: l’art.10 cit., al primo comma, prevede
la regola generale, secondo la quale l’assicurazione dei lavoratori presso l’INAIL esonera il datore
di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro; il secondo comma del medesimo
articolo prevede che “nonostante l’assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico
di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato.”.
Inoltre, l’art. 10 cit., al comma terzo, sancisce che “permane la responsabilità civile del datore di
lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l’infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione e sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il codice civile.”. Infine, il successivo art. 11 TU 1124/65 prevede l’obbligo a
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carico dell’INAIL di pagare comunque “le indennità anche nei casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso” nei confronti dei responsabili.
Per sinteticità, non può darsi conto analitico, in questa sede, delle pronunce giurisprudenziali
che sono intervenute sul tema del regresso, ma si devono necessariamente enunciare i risultati innovativi da esse prodotti: per effetto di molteplici sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione, l’azione di regresso oggi non presuppone più un giudicato penale di condanna, ma soltanto la
consumazione di un reato perseguibile d’ufficio, ascrivibile al datore di lavoro o ad altro soggetto
del cui fatto egli sia responsabile (si pensi ai dipendenti e/o preposti, del cui operato ogni parte datoriale è responsabile ex art. 2049 cod. civ.).
Se si è consumato il reato perseguibile d’ufficio da parte dei soggetti indicati, l’INAIL comunque può agire in regresso, a prescindere dal fatto che il reato sia divenuto oggetto di un giudicato penale di condanna; dunque, le citate disposizioni dell’art. 10 TU, nella parte in cui fanno espresso riferimento a “condanna penale “ o “sentenza penale”, vanno rilette nel senso che è sufficiente si
sia consumato un reato perseguibile d’ufficio, a prescindere dal fatto che sia stato accertato in un
processo penale. 2
Ed ancora, si rileva che l’INAIL, al pari di qualunque parte danneggiata da reato, non vigendo più il principio della pregiudizialità necessaria dell’accertamento penale rispetto a quello civile (ex pluribus Cass. S.U. sentenza n. 14670/03), può scegliere di costituirsi parte civile nel processo penale, come espressamente riconosciuto oggi dall’art. 61 D.lgs. 81/2008, ovvero chiedere al
Giudice del Lavoro l’accertamento incidentale del fatto-reato, ai soli fini della decisione sul regresso; ma su questo si tornerà nella parte VI.
Va da sé che, essendo comunque il reato presupposto essenziale per legittimare l’INAIL
all’azione di regresso, sarà onere dell’Istituto dimostrare che il reato di parte datoriale si è consumato, e tale onere sarà tanto più complesso da assolvere, quando non vi è stato un processo penale o
quando il processo penale si è risolto in modo diverso dalla formazione di un giudicato di condanna.
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Sul tema del regresso INAIL si richiamano comunque anche i principi affermati dalle seguenti pronunce: Corte Cost., n.
405 del 1999, n. 22 del 3.2.1994, n. 372 del 31.3.1988, n. 74 del 1981, n. 2 del 9.3.1977, n. 134 del 1971; Cass. SS.UU., n.
3288 del 13.2.1997; Cass., n. 8196 del 16.6.00; Cass., n. 3102 del 1.4.1999; Cass., n. 12447 del 1999; Cass., n. 8467 del
18.10.1994; Cass., n. 937 del 26.1.1993; Cass., n. 10762 del 29.10.1993; Cass., n. 6077 del 7.9.1988; Cass., n. 1097 del
4.2.1987.
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Ovviamente, trattandosi di infortuni sul lavoro e malattie professionali, il reato, cui finora si
è fatto generico riferimento può consistere, alternativamente, nel reato di lesioni colpose aggravato
dalla violazione della normativa antinfortunistica o nel reato di omicidio colposo con violazione
della normativa medesima.
Dunque, la condotta della parte datoriale, che l’azione di regresso tende a sanzionare, è
l’omissione colposa delle misure di prevenzione previste dalla legge, ove il loro rispetto avrebbe
consentito di evitare l’evento lesivo occorso al dipendente.
In definitiva, se è lecito – ed anzi necessario per espressa previsione di legge - che
l’assicurazione dei dipendenti presso l’INAIL esoneri la parte datoriale dalle responsabilità per eventuali infortuni (accidentali o dovuti a colpa dello stesso lavoratore o di terzi), non può immaginarsi che tale esonero da responsabilità permanga anche quando la parte datoriale violi la legge,
omettendo quelle misure di prevenzione obbligatorie da essa imposte, che avrebbero evitato
l’evento lesivo.
Onde la conclusione enunciata nel titolo della presente sezione, ove il regresso è stato qualificato come una eccezione inevitabile alla regola dell’esonero da responsabilità del datore di lavoro.
Invero, sulla necessità di tale eccezione, si registrano da sempre opinioni significativamente
contrastanti.
Da un lato vi sono quanti ritengono che, versando i premi assicurativi all’Inail per la copertura del rischio di infortuni e malattie a cui sono esposti i propri dipendenti, le aziende non dovrebbe subire alcuna ulteriore azione dall’istituto, qualunque sia la causa dell’evento lesivo ed il contributo causale che le aziende medesime hanno offerto alla sua consumazione.
Dal lato diametralmente opposto, si collocano quanti ritengono che il combinato disposto
degli artt. 10 e 11 DPR 1124/65 rappresenti una delle più efficaci previsioni normative con funzione
antinfortunistica, per il potere deterrente che il timore del regresso esercita sulle parti datoriali, rispetto alla tentazione di tagliare i costi della sicurezza.3
Evidentemente chi scrive, facendo parte dell’INAIL, non è in grado di esprimere una voce
terza ed obiettiva sull’argomento: sinceramente, tuttavia, appare arduo pensare che un ente pubblico
3
Questa l’opinione espresso dal Dr. Raffaele Guariniello – Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Penale di
Torino – in occasione di diversi dibattiti sul tema del regresso, ai quali la sottoscritta ha avuto modo di assistere.
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previdenziale, nato con la funzione di tutela del lavoratore, possa offrire una copertura alla parte
datoriale anche nel caso che questa si renda responsabile di un reato in danno del lavoratore medesimo.
Per illustrare meglio le ragioni dell’opinione appena espressa, sia consentita una breve digressione su un episodio di vita personale: quando la scrivente era una giovane studentessa, iscritta
al primo anno del corso di laurea in giurisprudenza (diversi lustri or sono), il Professore di Istituzioni di Diritto Privato espresse un concetto che nella memoria (certamente imprecisa, causa i lustri
di cui sopra) risuona grossomodo come segue: Il buon cittadino rispetta la legge non per il timore
di incorrere nella sanzione, ma per la consapevolezza della giustizia della regola ivi sancita.
Ad una giovane “aspirante giurista” quel concetto parve Vangelo: in un mondo ideale, si
dovrebbe essere felici ed orgogliosi di attenersi alle regole nella consapevolezza che le stesse sono
alla base del vivere e del convivere civile.
Ma i lustri cambiano le persone: e l’esperienza del diritto – in concreto – ha insegnato alla
sottoscritta avvocatessa che anche un cittadino, il quale non scelga deliberatamente di essere un
“cattivo cittadino”, può incorrere nella tentazione di infrangere le regole, ove onerose, se non viene
frenato dal timore di una sanzione ancor più onerosa.
E non vi è dubbio che ottemperare agli obblighi imposti dalla normativa antinfortunistica sia
un pesante onere per le imprese (seppure mai paragonabile ai costi di un infortunio4), per cui è faci4
Quando si parla dei costi dell’infortunio, evidentemente si fa riferimento in primis ai costi irreparabili patiti dal lavoratore, poi anche ai costi che ricadono sulla collettività, fra cui i costi sopportati dall’INAIL per le prestazioni previdenziali, dal contenuto peraltro non adeguatamente conosciuto.
Parafrasando una rubrica di una nota pubblicazione, “forse non tutti sanno che” l’INAIL si pone l’obiettivo della presa
in carico totale del lavoratore vittima dell’infortunio. In primis, mediante l’erogazione delle prestazioni per indennizzo
dell’inabilità temporanea (dall’infortunio sino alla stabilizzazione dei postumi), poi con l’erogazione della rendita (nelle
due componenti del danno biologico e del danno patrimoniale), ma non solo. Nei casi più gravi, l’INAIL eroga anche
un assegno continuativo preordinato a coprire le spese di assistenza, di cui il grande invalido non può fare a meno; inoltre, l’istituto fornisce protesi a chi subisce amputazioni, assistendo l’invalido con personale specializzato per accompagnarlo nel difficile percorso per l’utilizzo efficace di tali strumenti. E ancora, l’INAIL si fa carico delle spese per
l’abbattimento delle barriere architettoniche (dalla fornitura del servo-scale, all’adattamento del bagno, alla fornitura del
letto ad hoc) all’interno dell’abitazione dell’infortunato; per coloro che possono, l’INAIL si fa carico delle spese per
l’adattamento della vettura con i comandi a motore; l’INAIL offre poi agli invalidi la consulenza qualificata di assistenti
sociali che si adoperano per il loro reinserimento sociale e lavorativo, organizzando anche gruppi di auto-mutuo- aiuto
per affrontare i gravissimi problemi psicologici che essi soffrono inevitabilmente.
Tutta questa elencazione non vuol essere pubblicità dell’ente, ma serve a chiarire come, nei casi più gravi, il costo complessivo sostenuto dall’INAIL, per un solo infortunato, arrivi a superare il milione di euro.
Un costo enorme, eppure mai riparatore in modo efficace del danno personale patito dal lavoratore.
Basta porsi un interrogativo: se la sorte consentisse a noi di scegliere il nostro destino, e ci offrisse una cifra esorbitante,
come cento milioni di euro, a condizione che accettassimo di diventare paraplegici, esisterebbe una sola persona capace
di aderire all’offerta? Esiste un numero che possa realisticamente indicare il danno da paraplegia?
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le immaginare che cederebbero alla tentazione di infrangere tali obblighi, ove non esistesse il deterrente della sanzione- regresso.
In ultima analisi, la necessità del regresso può essere efficacemente misurata con una “prova
del contrario”: cosa succederebbe se le previsioni normative sull’azione di regresso venissero abrogate?
Essendo il regresso un’ eccezione alla regola dell’esonero, la sua abrogazione provocherebbe la riespansione della regola generale. L’esonero da responsabilità risarcitorie della parte datoriale opererebbe comunque, qualunque fosse la causa dell’infortunio e qualunque fosse l’entità
del danno conseguente.
E’ di intuitiva evidenza che questo provocherebbe, quanto meno, un “calo di attenzione”
delle aziende rispetto alla normativa antinfortunistica, se non addirittura la scelta cosciente della sua
violazione, per l’abbattimento dei costi; l’effetto ulteriore certo sarebbe un incremento del numero
degli infortuni sul lavoro, che invece negli ultimi anni ha conosciuto un importante trend in discesa.
Alla sottoscritta avvocatessa (alla quale i lustri non hanno tolto ogni capacità di pensiero positivo) piace immaginare che nei prossimi anni la funzione dell’INAIL si focalizzi sempre più sul
momento della prevenzione, piuttosto che sulla riparazione del danno e sulla sanzione del responsabile; piace immaginare che l’ente sarà sempre più al fianco delle imprese, per sostenerle con contributi economici – quali quelli ex artt. 23 e 24 D.lgs.38/0000 – per il finanziamento di programmi
preordinati al miglioramento della sicurezza sul luogo di lavoro, nel comune obiettivo della salvaguardia dell’integrità psico-fisica dei lavoratori.
Ma l’azione di regresso rimane un deterrente necessario, per quanto si è cercato di illustrare
sinora, e dunque rimane una eccezione (inevitabile) alla regola dell’esonero.
IV. I soggetti contro i quali può essere esperita l'azione di regresso.
Il titolo della presente sezione parrebbe privo di ogni utilità, se ci si fermasse alla lettura letterale delle disposizioni degli articoli 10 e 11 DPR 1124/’65, ove il soggetto destinatario dell’azione
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di regresso è indicato testualmente come il “datore di lavoro”. Ma non è così, ancora una volta per i
risultati cui si è pervenuti attraverso una importante opera ermeneutica svolta dalla Cassazione.
Si è già dato conto dell’esistenza di altre tipologie di azioni di rivalsa, in particolare la rivalsa in surrogazione ex art. 1916 cod. civ., concessa all’INAIL contro terzi responsabili.
Dalla lettura combinata delle citate norme, parrebbe legittimata la conclusione secondo cui il
regresso è esperibile solo contro il datore di lavoro, mentre eventuali terzi responsabili possono essere convenuti solo con l’azione di surrogazione.
Dunque, parrebbe scontata l’ulteriore considerazione che – se per uno stesso infortunio si
configurano diverse responsabilità concorrenti, del datore di lavoro da un lato e di terzi dall’altro l’INAIL debba promuovere diverse azioni di rivalsa, regresso contro il D.L. e surroga contro terzi.
A maggior complicazione, le due azioni dovrebbero promuoversi in diverse sedi processuali, essendo il regresso attratto alla competenza del Tribunale del Lavoro ex art. 442 cpc, mentre la surrogazione è azione da proporsi avanti la Tribunale Civile Ordinario. Tutto ciò è evidentemente macchinoso, e provoca il rischio di contrasto fra giudicati .
Si consideri il caso frequente, in cui la parte datoriale è una società di capitali, in seno alla
quale l’Amministratore Unico (dirigente dipendente della stessa società) assolve il ruolo di responsabile della sicurezza.
Qualora si verifichi un infortunio in danno di un operaio conseguente alla violazione della
normativa antinfortunistica, chiaramente il soggetto imputato in sede penale sarà l’Amministratore
Unico nella sua veste di responsabile della sicurezza; e non vi è dubbio che, quale autore del reato,
egli sia anche responsabile dei danni conseguenti, chiamato a risarcirli ex art. 2043 cod. civ. Dunque, egli è obbligato personalmente anche al risarcimento dei danni sopportati dall’INAIL, pari alle
prestazioni erogate all’operaio leso.
Nel contempo, del reato commesso dall’Amministratore Unico – nella veste di responsabile
della sicurezza – è certamente responsabile la società per la quale egli lavora, società che dovrà risarcire i danni in forza dell’art. 2049 Cod. Civ.
Ebbene, in una situazione del genere, applicando alla lettera le disposizioni sulle rivalse,
l’INAIL dovrebbe agire contro la società a titolo di regresso avanti al Tribunale del Lavoro, per invocare il risarcimento dei danni cagionati dall’Amministratore Unico, del cui fatto la società ri-
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sponde ex art. 2049 cod. civ.: ma contro lo stesso Amministratore Unico, e per lo stesso fatto,
l’INAIL dovrebbe promuovere l’azione di rivalsa in surrogazione ex art. 1916 cod. civ. avanti al
Tribunale Civile: con la conseguenza che due diversi giudici dovrebbero, in separati giudizi, ricostruire lo stesso fatto, la colpa ascrivibile allo stesso soggetto Amministratore Unico, per arrivare
alla condanna allo stesso risarcimento, per lo stesso danno, in favore dello stesso Ente.
Fortunatamente, la macchinosità di tale sistema è stata risolta dalla Suprema Corte di Cassazione, che è pervenuta, attraverso una interpretazione logica e sistematica delle norme, ad affermare che la speciale azione di regresso ex art. 11 DPR 1124/65 può essere intentata non solo contro
il datore di lavoro in senso stretto, ma anche nei confronti di tutti i soggetti dei quali lo stesso si avvalga nella propria organizzazione aziendale, in particolare per ottemperare ai dettami della normativa antinfortunistica.
In altri termini, essendo i collaboratori del datore di lavoro una sorta di longa manu
dell’azienda, anche contro di essi, ove corresponsabili, può essere intentata l’azione di regresso che
nasce precipuamente contro l’azienda, e ciò a prescindere dalla tipologia del contratto che li lega
alla medesima (si pensi al responsabile della sicurezza che non sia un dipendente ma un professionista).
Ne consegue che, in casi come quello sopra richiamato a titolo esemplificativo, l’INAIL potrà promuovere una sola azione giudiziaria, convenendo tutti i corresponsabili in via di regresso.
Sul tema, la Suprema Corte di Cassazione, nella
pronuncia della Sezione Lavoro n.
8135/2008 ha chiarito in modo esemplare la problematica e la sua soluzione.
Poiché la citata pronuncia ha il pregio di riassumere i principi elaborati dalla giurisprudenza
di legittimità in materia, sia consentito trascrivere i passaggi salienti della sua motivazione:” (omissis) …questa Corte ha ritenuto l'effetto estensivo automatico dell’azione di regresso in tutti i casi di
soggetti direttamente obbligati (Cass. 21 marzo 2003 n. 4145; Cass. 23 novembre 1995 n. 11855;
Cass. 1 giugno 1991 n. 6164, Cass. 18 febbraio 1987 n. 1746). In particolare, in una fattispecie che
presenta analogie con la presente, di appalto e di responsabilità ex art. 1669 cod. civ., per rovina o
difetti dell'opera, ha ritenuto che la natura extracontrattuale di tale responsabilità trova applicazione anche a carico di coloro che abbiano collaborato nella costruzione, sia nella fase di progettazione o dei calcoli relativi alla statica dell'edificio, che in quella di direzione dell'esecuzione
dell'opera, qualora detta rovina o detti difetti siano ricollegabili a fatto loro imputabile; ne ha de-
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dotto che la chiamata in causa del progettista e/o direttore dei lavori da parte dell'appaltatore,
convenuto in giudizio per rispondere, ai sensi dell'art. 1669 cod. civ., dell'esistenza di gravi difetti
dell'opera, e la successiva chiamata in causa di chi ha effettuato i calcoli relativi alla struttura e
statica dell'immobile da parte del progettista e/o direttore dei lavori, effettuata non solo a fini di
garanzia ma anche per rispondere della pretesa dell'attore, comporta, in virtù di quest'ultimo aspetto, che la domanda originaria, anche in mancanza di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, trattandosi di individuare il responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unico (Cass. 3 maggio 2003 n. 881).
Rapportando i principi giurisprudenziali sopra ricapitolati alla peculiarità dell' azione di
regresso, si deve notare che in origine soggetto passivamente legittimato rispetto all'azione di regresso poteva essere unicamente il datore di lavoro, per qualunque altro soggetto configurandosi,
viceversa, la legittimazione passiva all'azione di surroga (Cass. Sezioni Unite 6 maggio 1952, n.
1267).
L'ampliamento della sfera di responsabilità del datore di lavoro ex art. 10 del T.U., di cui
sono note le vicende legislative e giurisprudenziali, ha avuto un effetto di ampliamento corrispondente del diritto di regresso dell'Istituto assicuratore. La sentenza n. 22 del 1967 della Corte Costituzionale - ampliando l'area della responsabilità civile indiretta del datore e segnatamente ricomprendendovi il fatto illecito di qualunque suo dipendente - ha corrispondentemente esteso anche
l'ambito dell'azione di regresso dell'INAIL (Cass. 7 febbraio 1992, n. 11336); siamo però ancora
nell'ambito dei dipendenti del datore di lavoro. Le Sezioni Unite, con la sentenza 16 aprile 1997, n.
3288, hanno compiuto un passo ulteriore, pervenendo alla qualificazione in termini di regresso (e
non già di surroga) dell'azione di rivalsa dell'Istituto nei confronti non solo del direttore tecnico
dell'impresa, ma altresì dell'amministratore, così ampliando l'area soggettiva (passiva) di operatività della speciale azione di regresso a soggetti non dipendenti del datore di lavoro. L'irruzione di
legittime forme di lavoro trilaterale, ha posto il problema dei limiti dell'azione di regresso nei confronti dei diversi soggetti partecipi della complessa tipologia lavorativa. La dottrina, con orientamento condiviso da più Autori, ha ritenuto che l'azione di regresso possa essere esperita contro
qualsiasi soggetto responsabile di un obbligo di sicurezza nei confronti del lavoratore. La libertà
organizzativa del datore di lavoro, di avvalersi nell'assolvimento dell'obbligo di sicurezza di soggetti legati a lui con diverse tipologie contrattuali, accomuna i diversi soggetti nell'obbligo di sicurezza, li rende responsabili civili, soggetti passivi solidali dell'azione di regresso, che è attribuita
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all'Inail jure proprio, ed ha come base giuridica necessaria la responsabilità diretta di ciascuno dei
soggetti passivi dell'azione di regresso nella causazione dell'evento infortunistico, per un titolo di
responsabilità che rimane unico, quello di responsabile della sicurezza, anche se per ruoli professionali diversi (Cass. Sez. Un. 16 aprile 1997, n. 3288; v. in senso conf. Cass. 9 dicembre 1997, n.
12457; 24 giugno 1998, n. 6220; 9 novembre 1999, n. 12447; 9 gennaio 2001, n. 220; Cass. 18 agosto 2004 n. 16141). Si deve conclusivamente affermare, in coerenza con i principi civilistici riassunti, il seguente principio di diritto, specifico per l'azione di regresso Inail: "l'azione di regresso
proposta dall'Inail nei confronti del datore di lavoro si estende automaticamente nei confronti degli
altri responsabili civili dell'infortunio sul lavoro che il datore di lavoro abbia chiamato in causa,
quali soggetti responsabili di un comune obbligo di sicurezza gravante su ciascuno di essi, anche se
per diverso ruolo professionale, e perciò direttamente responsabili dell' infortunio sul lavoro e dei
conseguenti obblighi patrimoniali nei confronti dell' istituto assicuratore".
Conseguenza riflessa dell’ampliamento della sfera dei soggetti destinatari del regresso, derivante dalla interpretazione della Cassazione appena ricordata, è un correlativo restringimento
dell’ambito di operatività dell’azione di rivalsa in surrogazione ex art. 1916 cod.civ.
Questa rimane utilizzabile, in via residuale, ove il terzo sia l’unico responsabile del fatto e
non abbia alcun rapporto con la parte datoriale, essendo del tutto estraneo all’organizzazione aziendale; si ricordano ancora gli esempi del rapinatore che percuote e ferisce il lavoratore addetto alle
vendite in un esercizio commerciale, o il conducente (ed il proprietario) di un mezzo che investa in
lavoratore in itinere.
V. L'oggetto della domanda di regresso: il limite interno ed il limite esterno
Essendo l’azione di rivalsa preordinata al risarcimento del
danno economico
subito
dall’INAIL, l’oggetto della domanda evidentemente coincide con il costo sostenuto dall’ente per le
prestazioni indennitarie riconosciute all’infortunato. Trattasi del cosiddetto limite interno, che non
consente all’Istituto di chiedere più di quanto erogato.
In effetti, ove le lesioni patite da un lavoratore siano state causa di costi per l’ente pubblico,
e ove le stesse lesioni siano dipese da responsabilità di altri – datore di lavoro o terzi – l’Inail avrà
diritto alla riparazione del danno in misura pari ai costi sostenuti. Ma in nessuna azione di rivalsa
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contro i responsabili l’Istituto potrà esigere più di quanto erogato, in quanto l’azione è meramente
recuperatoria e non può essere fonte ed occasione di arricchimento per l’ente pubblico.
Posto che, comunque, le erogazioni dell’INAIL vengono liquidate all’infortunato applicando
parametri previdenziali, che non coincidono con i criteri civilistici di liquidazione del danno nei
giudizi risarcitori ordinari, può accadere che le indennità dell’ente siano inferiori al cosiddetto calcolo di diritto comune; in questa ipotesi, l’istituto si rivarrà nei limiti del pagato verso i responsabili,
che saranno tenuti al pagamento del maggior danno (cd. danno differenziale) in favore del lavoratore, ad integrazione della tutela anticipatoria della quale egli ha beneficiato in sede previdenziale.
Ma proprio per la differenza fra parametri indennitari previdenziali e parametri civilistici risarcitori, può verificarsi anche il caso inverso; può accadere che le somme erogate dall’ente a titolo
indennitario superino il valore del risarcimento quantificato secondo i parametri civilistici ordinari.
In questo caso, per giurisprudenza costante, l’INAIL potrà rivalersi verso i responsabili ma
solo nei limiti del calcolo civilistico, ossia nei limiti del risarcimento che i responsabili sarebbero
tenuti ad erogare all’infortunato danneggiato, ove questi non avesse ricevuto la tutela previdenziale.
Quello da ultimo indicato viene comunemente definito “limite esterno”, la cui spiegazione è
di intuitiva evidenza.
Si pensi al caso del sinistro stradale: il conducente che cagiona un danno è certamente tenuto
al risarcimento, ma il risarcimento che comunemente grava sul responsabile non può essere maggiorato per il fatto – del tutto indipendente dalla condotta colposa dell’investitore – che il soggetto investito si stesse recando al lavoro; in altri termini, se il sistema previdenziale, per la logica della tutela speciale del lavoratore, consente l’erogazione di prestazioni a volte “più generose” di quelle
ordinarie risarcitorie, ciò non può essere addebitato al responsabile del sinistro.
Lo stesso ”limite esterno” viene applicato anche all’azione di regresso verso il datore di lavoro; si è ampiamente illustrato il fatto che la regola derivante dall’assicurazione INAIL è l’esonero
da responsabilità risarcitorie del datore di lavoro, mentre l’eccezione è rappresentata dal regresso,
che viene esercitato quando viene meno tale esonero, per l’avvenuta commissione di un reato ascrivibile alla parte datoriale.
Ora, se il regresso (essendo conseguente alla commissione di un reato) legittima
l’affermazione che il datore di lavoro non debba essere esonerato dalle sue responsabilità, ciò determina che lo stesso datore di lavoro dovrà risarcire i danni come se non avesse mai stipulato
un’assicurazione previdenziale, come se l’Inail non esistesse; ma i danni che dovrebbe risarcire se
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l’INAIL non esistesse, sarebbero i danni computati secondo i parametri civilistici, non quelli previdenziali.
Conclusivamente, si ripete che le azioni di rivalsa dell’ente incontrano due limiti, uno interno ed uno esterno, non potendo l’Istituto esigere dai responsabili più di quanto erogato
all’infortunato, e non potendo esigere più di quanto i responsabili risarcirebbero al lavoratore leso
in una azione ordinaria, ove verrebbero applicati i parametri di diritto comune.
V. Profili processuali: l’azione di regresso in sede penale ed in sede civile .
Conclusivamente un breve cenno merita il profilo processuale del luogo di esercizio delle
azioni di rivalsa, ed in particolare del regresso.
Si è detto che le azioni di rivalsa presuppongono l’affermazione di responsabilità da fatto illecito, che sia stata causa determinante dell’infortunio tutelato dall’ente.
Con particolare riferimento al regresso, si è detto che il presupposto di tale azione è la
commissione di un reato, ascrivibile alla parte datoriale o a soggetto terzo, del cui fatto la parte datoriale sia chiamata a rispondere; si è fatto breve cenno alla evoluzione della giurisprudenza che ha
portato ad escludere che l’esperimento del regresso presupponga la formazione di un giudicato penale di condanna, essendo sufficiente la dimostrazione della consumazione del reato, il cui onere
probatorio ricade sull’ente.
Da ultimo, si è accennato al principio generale della
indipendenza dell’azione civile
dall’azione penale, per effetto del quale ogni parte danneggiata da un reato può scegliere di far valere le proprie pretese risarcitorie, o mediante costituzione di parte civile nel processo penale, ovvero
promovendo l’azione risarcitoria avanti al giudice civile, ivi invocando l’accertamento “incidentale”
del reato, quale presupposto e condizione per il diritto al risarcimento.
Ebbene, in passato, è stata molto controversa la possibilità che l’INAIL partecipasse al processo penale, proponendo domanda di regresso mediante costituzione di parte civile.
Oggi la questione è stata definitivamente risolta in senso affermativo, anche grazie ad una
norma processuale.
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E’ noto a tutti che, con la Legge 123/2007, il Parlamento delegò il Governo ad adottare decreti con cui ridisegnare un Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro ; in quella erano contenute anche norme immediatamente esecutive, tra le quali va annoverato l’art. 2 che così disponeva:
“in caso di esercizio dell’azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro
o relative all’igiene del lavoro oche abbia determinato una malattia professionale, il pubblico ministero ne dà immediata notizia all’INAIL ai fini dell’eventuale costituzione di parte civile e
dell’azione di regresso”.
Successivamente, il decreto approvato dal Governo, con cui viene rassegnato il nuovo Testo
Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (d. leg.vo 9 aprile 2008,
n. 81), all’art. 61, primo comma, sotto la rubrica “esercizio dei diritti della persona offesa”, così
dispone: “in caso di esercizio dell’azione penale per i delitti di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni
sul lavoro o relative all’igiene del lavoro oche abbia determinato una malattia professionale, il
pubblico ministero ne dà immediata notizia all’INAIL ed all’IPSEMA, in relazione alle rispettive
competenze, ai fini dell’eventuale costituzione di parte civile e dell’azione di regresso”.
La norma, nell’individuare un obbligo endoprocessuale in capo al Pubblico Ministero nel
momento in cui esercita l’azione penale, di fatto legittima la costituzione di parte civile dell’Inail. A
dire il vero, anche precedentemente a queste due norme, l’Istituto aveva esercitato, in alcune circostanze, la costituzione di parte civile in processi penali con imputazioni identiche a quelle ora indicate nell’art. 61 citato. Non sempre il Giudice penale aveva ritenuto legittima la costituzione
dell’Istituto ed, in alcuni casi, era stata dichiarata l’esclusione della parte civile Inail.
Già ad una prima lettura del citato art. 61, appare di tutta evidenza come eventuali dubbi in
ordine alla legittimità della costituzione dell’Inail in detti processi debbano essere chiaramente fugati, anche se alcuni primi commenti non furono in linea col tenore letterale della norma. In particolare autorevole dottrina (G. Frigo, “Nuove parti civili nel giudizio penale”, Inserto a Guida al diritto
n. 21 - 24 maggio 2008, pag. XV) escluse di poter ravvisare nell’Inail, quando esercita l’azione di
regresso, un soggetto legittimato a costituirsi parte civile nel processo penale. Non è questa la sede
per affrontare questa tematica, essendo qui sufficiente evidenziare come a chiarire – direi definitivamente – la questione sull’ammissibilità della costituzione di parte civile dell’Inail nei processi per
infortuni sul lavoro sia intervenuta la Suprema Corte, con una pronuncia che ne riconosce la pecu-
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liare posizione quale soggetto garante dell’attuazione del principio costituzionale di tutela
dell’integrità psico fisica dei lavoratori. La Corte riconosce, infatti, che “la disposizione in esame
(art. 61 d. l.vo n. 81/2008) deve essere intesa nel significato atto a conferirle la più ampia pregnanza nella prospettiva anzidetta di un rafforzamento degli strumenti che possono rendere efficace la
protezione dei lavoratori, tra i quali va annoverato quello della costituzione di parte civile e
dell’esercizio dell’azione di regresso nella sede penale ... a cui l’Istituto deve ritenersi legittimato
per espressa previsione normativa” (Cass. pen., IV^ sez., 19 dicembre 2008, n. 47374).
La costituzione dell’INAIL quale parte civile, consente anche di chiamare in seno al processo penale il responsabile civile, che è un soggetto al quale la legge attribuisce obblighi di garanzia
per i fatti illeciti compiuti dall’imputato e che, pertanto, assume un’obbligazione solidale con
quest’ultimo per il risarcimento dei danni subiti dalla parte civile.
Tale è, per esempio nel caso citato sopra, la società parte datoriale ove l‘imputato sia
l’Amministratore Unico- responsabile della sicurezza.
Dunque, lo strumento della chiamata del responsabile civile consente di agire in regresso –
in sede penale – contro tutti i coobbligati al risarcimento; in via alternativa, si è già detto che
l’azione risarcitoria di regresso potrà essere proposta avanti al Giudice del Lavoro, competente ex
art.442 cpc.
Nella piena consapevolezza del carattere non esaustivo della presente relazione, si spera
comunque che la stessa sia valsa a fornire qualche delucidazione sulla complessa materia delle rivalse dell’Istituto Previdenziale.
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