percorsi - Società Italiana di Fisica

Transcript

percorsi - Società Italiana di Fisica
percorsi
Il filo di Ariane:
la nascita dell’europa
spaziale
Arturo Russo
Dipartimento di Fisica e Tecnologia Relative, Università di Palermo
La collaborazione spaziale europea rappresenta un elemento importante del processo
di integrazione economica e politica dei paesi europei. La nascita dell’Agenzia Spaziale
Europea rappresenta un esempio di come tale processo si sia realizzato risolvendo le
contraddizioni tra interessi nazionali e finalità dell’impegno collettivo.
Agli occhi di molti dei suoi cittadini, l’Europa ha il volto
delle personalità politiche che rappresentano i diversi
paesi dell’Unione nel Parlamento di Strasburgo o nella
Commissione di Bruxelles. Essa fa parlare di sé quando i
ministri si riuniscono per discutere della politica agricola,
dell’armonizzazione dei sistemi fiscali o del rispetto di
astratti parametri economici. A volte l’Europa impone
regole il cui carattere burocratico appare spesso estraneo,
se non ostile, rispetto a consolidate tradizioni nazionali;
altre volte essa richiama antichi ideali quando i capi di
stato e di governo sono chiamati a delineare nuovi confini
e nuove forme istituzionali. È un’Europa che offre risorse e
occasioni di sviluppo alle sue tante e variegate regioni, ma
che le costringe anche a confrontarsi su un terreno sempre
più competitivo. È l’Europa della moneta unica e delle
frontiere aperte, ma anche l’Europa che stenta a trovare un
ruolo determinante nell’arena decisiva della grande politica
internazionale.
Accanto a questa Europa dell’economia e della politica
ce n’è un’altra, meno nota, ma forse più solida nelle sue
strutture istituzionali e nel suo sentimento di appartenenza.
Si tratta dell’Europa delle grandi istituzioni scientifiche
e tecnologiche quali l’Organizzazione Europea per la
Ricerca Nucleare, l’Agenzia Spaziale Europea, il Laboratorio
Europeo di Biologia Molecolare, l’Osservatorio Australe
Europeo (ESO), l’Infrastruttura Europea per la Radiazione di
Sinchrotrone (tab. I). La creazione e lo sviluppo di queste
istituzioni si sono intrecciate, a partire dagli anni ‘50, con il
36 < il nuovo saggiatore
processo di integrazione europea. Esse hanno stimolato e
sostenuto tale processo attraverso l’azione consapevole di
una vasta comunità intellettuale che ha riconosciuto nella
collaborazione internazionale la sola possibilità di operare
con successo sulla frontiera più avanzata della ricerca
scientifica. Fisici, chimici, biologi, astronomi, matematici,
ingegneri sono stati i primi a sentirsi parte di una nuova
cittadinanza continentale in cui la diversità di culture e
linguaggi, un tempo fonte di incomprensione e inimicizia,
diventava la risorsa più importante. Essi hanno intessuto una
solida rete di rapporti umani, professionali e istituzionali che
hanno contribuito, in modo spesso determinante, a orientare
l’azione dei governi e a costruire una credibile identità
europea.
La storia della collaborazione spaziale europea rappresenta
una parte importante di questa identità, e in essa possiamo
riconoscere molti aspetti caratteristici del faticoso processo
di integrazione tra i diversi paesi europei. Tra questi aspetti,
uno dei più importanti è certamente la ricerca continua
di meccanismi capaci di risolvere le contraddizioni tra gli
interessi nazionali e gli scopi dell’impegno collettivo. Le
nazioni europee, infatti, hanno bisogno di collaborare per
garantire al Vecchio Continente una collocazione importante
nello scenario mondiale, ma tale collaborazione può essere
accettata e avere successo solo se ogni Stato riconosce che
essa favorisce anche il perseguimento dei propri interessi
nazionali.
European Organisation for Nuclear Research (1954)
Ricerca sulla fisica delle particelle elementari
Sede a Ginevra (CH)
20 paesi membri
European Southern Observatory (1962)
Ricerca astronomica nel cielo australe
Quartier generale a Garching (D)
Due grandi sistemi di telescopi in Cile
13 paesi membri
European Molecular Biology Laboratory (1974)
Ricerca di base nel campo della biologia molecolare
Laboratorio principale a Heidelberg (D)
Altri laboratori: Hamburg (D), Grenoble (F), Hinxton (UK),
Monterotondo (I)
19 paesi membri
European Space Research (1975) [1964]
Promozione e sviluppo delle attività spaziali
Quartiere generale a Parigi (F)
Centri tecnico-operativi: Noordwjik (NL), Darmstadt (D), Frascati (I), Köln
(D), Villafranca (E), Kourou (Guyane Fr.)
17 paesi membri
European Synchrotron Radiation Facility (1988)
Studio delle proprietà dei materiali con luce di sincrotrone
Sede a Grenoble (F)
18 paesi membri
Tab. I Organizzazioni europee per la ricerca scientifica e tecnologica.
1 I primi programmi spaziali europei
Le prime idee sulla possibilità di una collaborazione europea
in campo spaziale furono discusse in un pomeriggio di
primavera nel 1959 da due esponenti di primo piano della
fisica europea, l’italiano Edoardo Amaldi e il francese Pierre
Auger, nel corso di una passeggiata nel Jardin du Luxemburg
a Parigi. L’iniziativa era partita dal fisico italiano qualche
mese prima, nella prospettiva di ripetere nel campo della
ricerca spaziale quanto era stato realizzato per la fisica delle
particelle elementari con la creazione del CERN.
Come la maggior parte dei fisici europei, Amaldi era stato
fortemente impressionato dagli importanti risultati scientifici
ottenuti dai primi satelliti sovietici e americani, e riteneva che
solo attraverso una collaborazione internazionale sarebbe
stato possibile realizzare anche in Europa un programma
spaziale di ampio respiro. Toccava alla comunità scientifica
definire un progetto credibile e ottenere dai governi nazionali
le risorse necessarie. Il percorso, in sostanza, era lo stesso che
Amaldi e Auger avevano già sperimentato nel caso del CERN,
il grande laboratorio europeo per la fisica della particelle
elementari realizzato vicino Ginevra con il contributo di 12
paesi europei, che proprio alla fine del 1959 avrebbe visto
entrare in funzione il più potente acceleratore di particelle del
mondo: un protosincrotrone da 25 miliardi di elettronvolt.
Occorre ricordare che il primo satellite artificiale, denominato
Sputnik 1, era stato lanciato dall’Unione Sovietica nell’ottobre
del 1957. Ad esso erano seguiti altri satelliti lanciati sia dai
sovietici che dagli Stati Uniti, e al tempo della passeggiata
di Amaldi e Auger la competizione spaziale tra le due
superpotenze rappresentava un aspetto centrale della guerra
fredda. Per gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica lo spazio era
un importante terreno di confronto politico. Attraverso gli
spettacolari successi dei rispettivi programmi spaziali, la Casa
Bianca e il Cremlino volevano dimostrare ai paesi del Terzo
Mondo la superiorità dei loro valori ideologici, l’efficienza
delle loro istituzioni politiche, la capacità dei loro sistemi
industriali, la potenza delle loro forze armate. Il 12 aprile 1961,
il cosmonauta sovietico Yuri Gagarin fu il primo essere umano
nello spazio. Il mese dopo il presidente americano John
Kennedy impegnò il proprio paese a portare un astronauta
americano sulla luna prima della fine del decennio.
Nulla di paragonabile all’impegno di americani e sovietici
era possibile in Europa, anche se alcuni dei principali
paesi europei avevano avviato dei programmi spaziali nel
corso degli anni ‘50. Nel Regno Unito era stato sviluppato
un importante programma scientifico con l’uso di razzi
lanciati nell’alta atmosfera. Inoltre era stata avviata una
collaborazione con gli Stati Uniti per la realizzazione di una
vol24 / nO1-2 / anno2008 >
37
percorsi
serie di satelliti scientifici denominati Ariel, il primo dei quali
fu lanciato da Cape Canaveral il 26 aprile 1962.
In Francia, un deciso impegno in questo campo fu avviato
a partire dal 1958, in seguito alla decisione del presidente
Charles De Gaulle di dotare il paese di una force de frappe
indipendente. Nel 1961 fu creato il Centre National d’Etudes
Spatiales (CNES), il cui primo compito fu quello di sviluppare
il razzo Diamant, capace di mettere in orbita un satellite
artificiale. I frutti di tali investimenti non si fecero attendere. Il
26 novembre 1965 un vettore Diamant lanciò il primo satellite
francese, denominato Astérix, dalla base di Hammaguir, in
Algeria. La Francia divenne così la terza potenza spaziale,
confermando il proprio impegno a un ruolo indipendente in
questo settore di grande importanza strategica.
Anche l’Italia non mancò di avviare un programma spaziale
già nella prima metà degli anni ‘50, in collaborazione con gli
Stati Uniti. Va detto, a questo riguardo, che il primo satellite
europeo fu il satellite italiano San Marco, lanciato da un razzo
americano Scout il 15 dicembre 1964.
Malgrado questi sforzi, non c’era alcuna possibilità per i
paesi europei di competere con i programmi spaziali delle
due superpotenze. Entrambe, infatti, erano motivate da forti
interessi politici e militari, ed erano pronte a investire enormi
risorse materiali e intellettuali per conseguire i propri obiettivi
strategici.
La competizione politica e militare nella guerra fredda, però,
non era il solo aspetto della conquista dello spazio. L’uso
di tecnologie spaziali apriva nuove prospettive di ricerca
scientifica in molti settori della fisica e dell’astronomia, e la
comunità scientifica europea non voleva mancare questa
grande opportunità. Inoltre, si potevano ipotizzare sviluppi
significativi in importanti settori applicativi a carattere non
militare, quali le telecomunicazioni o la meteorologia. Infine,
agli occhi di molti ambienti industriali, lo spazio appariva
come un elemento decisivo per il rinnovamento tecnologico
dell’industria europea nel quadro della competizione
economica internazionale. Nessun paese europeo poteva
farcela da solo, ma se si fosse riusciti a sviluppare uno
sforzo collettivo sarebbe stato possibile ottenere le risorse
necessarie.
2 La creazione della European Organization for
Space Research (ESRO)
La prima iniziativa, come abbiamo visto, venne dalla
comunità scientifica. Dopo l’incontro tra Amaldi e Auger,
furono organizzate, a Parigi e a Londra, una serie di riunioni
cui parteciparono autorevoli esponenti delle comunità
scientifiche di diversi paesi per mettere a punto il progetto di
una organizzazione europea per la ricerca spaziale. Momento
conclusivo di questa informale fase di preparazione fu la
riunione dei delegati di vari governi organizzata al CERN a
38 < il nuovo saggiatore
fine novembre 1960. Al termine di quella riunione fu creata
una commissione preparatoria con il compito di definire
il programma scientifico e gli aspetti legali della futura
organizzazione. Dopo tre anni di lavoro la commissione
si sciolse dando vita alla European Organisation for Space
Research (ESRO), la cui Convenzione entrò ufficialmente in
vigore il 20 marzo 1964. Qualche mese dopo ESRO lanciò con
successo i sui primi razzi per lo studio delle proprietà dell’alta
atmosfera. I primi satelliti furono lanciati nel 1968.
Della nuova organizzazione facevano parte 10 paesi (Belgio,
Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito,
Spagna, Svezia e Svizzera), i quali contribuivano al suo
bilancio in proporzione al rispettivo prodotto interno lordo
(tab. II). È importante osservare che l’elenco comprende
anche la Spagna del regime franchista, che per la prima
volta si ritrova in un’organizzazione che raccoglie le grandi
democrazie dell’Europa occidentale.
Tre aspetti vanno messi in evidenza per quanto riguarda
ESRO. In primo luogo, ESRO fu concepita fin dall’inizio come
un’organizzazione esclusivamente dedicata alla ricerca
scientifica. In nessun momento della lunga fase preparatoria
si parlò dell’opportunità di sviluppare un impegno nel campo
dei satelliti applicativi, ad esempio per le telecomunicazioni
o la meteorologia. Questo dava alla comunità scientifica il
pieno controllo del programma dell’organizzazione. Tale
programma veniva discusso dagli scienziati dei diversi paesi
membri attraverso un complesso sistema di comitati e gruppi
di esperti che proponevano infine gli obiettivi delle varie
missioni spaziali e gli strumenti tecnici per realizzarli.
In secondo luogo, tra i compiti dell’organizzazione non
c’era quello di costruire i razzi per lanciare i propri satelliti.
Gli scienziati, in altre parole, volevano costruire i satelliti
e gli strumenti scientifici da collocare a bordo di essi, ma
non erano interessati a chi avrebbe fornito i razzi necessari
a metterli in orbita, a patto che questi fossero forniti ad
un costo ragionevole e fossero sufficientemente affidabili.
E anche se alcuni paesi europei, come vedremo, erano
impegnati a costruire un razzo capace di lanciare satelliti di
grande dimensione, restava il fatto che i razzi americani erano
già disponibili e offrivano un ampio spettro di prestazioni.
Inoltre, un impegno nel campo dei vettori di lancio aveva
ovvie implicazioni militari e i paesi formalmente neutrali (non
membri della NATO), quali la Svezia o la Svizzera avrebbero
avuto difficoltà a partecipare in questo sforzo comune.
Infine, è opportuno sottolineare alcuni aspetti del
programma scientifico di ESRO, così come era stato definito
dagli scienziati che ne erano stati i padri fondatori Tale
programma, che avrebbe dovuto svilupparsi in un arco di
Tra questi, oltre ad Amaldi e Auger, è opportuno ricordare l’inglese
Harrie Massey, il tedesco Reimar Lüst, l’olandese Hendrik van de Hulst, lo
svedese Bengt Hultqvist
A. russo: il filo di ariane: la nascita dell’europa spaziale
otto anni, era molto ambizioso. Esso comprendeva razzi da
inviare nell’alta atmosfera, piccoli satelliti, sonde spaziali e
grandi telescopi spaziali. Praticamente tutti i settori della
ricerca spaziale erano inclusi nel programma, senza che fosse
indicata una precisa scala di priorità. Non c’è da sorprendersi,
dunque, se ben presto i responsabili di ESRO furono costretti
a confrontarsi con la dura realtà delle difficoltà tecniche, della
scarsità delle risorse finanziarie, della forte competizione
tra i diversi settori della comunità scientifica. Ciò implicò
un doloroso processo di riduzione e ridefinizione del
programma, con una drastica diminuzione del numero di
satelliti e la fine dell’illusione di potere coprire tutti i campi di
ricerca.
3 La nascita della European Launcher Development
Organization (ELDO)
Nello stesso periodo in cui gli scienziati erano impegnati
nella costruzione di ESRO, un’altra organizzazione spaziale
veniva creata in Europea, la European Launcher Development
Organization (ELDO). Il suo scopo era quello di costruire
un razzo capace di mettere in orbita satelliti di grandi
dimensioni; i suoi paesi membri erano i quattro grandi
europei (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) insieme
a Belgio e Olanda, più l’Australia. Le origini di ELDO furono
molto diverse da quelle di ESRO. La sua nascita non derivò
da un impegno diretto della comunità scientifica ma da
laboriosi negoziati intergovernativi. E gli interessi nazionali
furono di gran lunga predominanti rispetto alla generosa
visione europea che aveva caratterizzato l’iniziativa di Amaldi
e Auger.
I primi passi furono compiuti dal governo britannico nel corso
del 1960. Per capirne le motivazioni occorre ricordare che già
da qualche anno gli inglesi erano impegnati nello sviluppo di
un missile balistico a medio raggio da usare su un eventuale
teatro di guerra europeo. Tale missile, denominato Blue Streak,
era un missile a combustibile liquido e il tempo richiesto
per la preparazione al lancio era molto più lungo di quello
richiesto dai missili di nuova generazione a combustibile
solido che sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica stavano
introducendo nei rispettivi arsenali. In altre parole, Blue Streak
era divenuto obsoleto sul piano militare prima ancora di
essere stato realizzato.
Pur decidendo di abbandonare il progetto militare, il
governo di Sua Maestà decise di studiare la possibilità di
trasformare Blue Streak nel primo stadio di un razzo per
lanciare satelliti civili e di sollecitare altri governi europei a
collaborare in un progetto comune. Due erano i motivi alla
base di tale iniziativa. In primo luogo, il desiderio di salvare gli
investimenti già fatti e preservare le infrastrutture tecniche
e industriali create in funzione del programma Blue Streak.
In secondo luogo, l’invito ad una collaborazione europea nel
campo della tecnologia spaziale era parte di una più generale
strategia del governo britannico tendente a creare rapporti
politici ed economici più stretti con gli alleati d’oltre Manica.
Vale la pena ricordare che nel 1961 il governo britannico
chiese di entrare nella Comunità Economica Europea e l’anno
successivo fu avviato il progetto franco-britannico per lo
sviluppo dell’aereo Concorde.
Furono necessari molti incontri e molti negoziati prima che si
arrivasse ad un accordo. La convenzione che dava vita a ELDO
entrò ufficialmente in vigore il 29 febbraio 1964 (tab. III).
Il programma di ELDO consisteva nella progettazione e
costruzione di un razzo a tre stadi, chiamato Europa 1,
capace di lanciare un grande satellite in orbita bassa. Il primo
stadio sarebbe stato Blue Streak, di cui la Gran Bretagna
avrebbe curato il completamento e l’operatività. La Francia
avrebbe costruito il secondo stadio, denominato Coralie, e
la Germania il terzo stadio, denominato Astris. All’Italia era
affidato il compito di realizzare il satellite di prova, mentre
Belgio e Olanda avrebbero fornito rispettivamente il centro
di controllo a terra e i sistemi di telemetria. L’Australia, infine,
avrebbe attrezzato la base di lancio a Woomera. La Gran
Bretagna si era impegnata a fornire il maggiore contributo
finanziario, pari a circa il 39% del costo totale.
L’Europa entrò dunque nell’arena spaziale con due diverse
organizzazioni, distinte tra loro non solo per gli obiettivi e
i paesi membri, ma anche dal punto di vista della struttura
organizzativa. Al vertice di entrambe stava un consiglio
composto dai rappresentanti degli stati membri, ma
la struttura esecutiva era molto diversa nei due casi. Il
programma di ESRO era sviluppato da un Direttore Generale
con il supporto di un grande centro tecnologico realizzato
a Noordwjik, in Olanda. Grazie al legame diretto con la
comunità scientifica europea, il management di ESRO godeva
di un notevole livello di autonomia rispetto ai governi degli
stati membri.
Del tutto diverso era il caso di ELDO, la cui organizzazione
era diretta da un Segretario Generale che godeva di
poca autonomia nella gestione tecnica e finanziaria del
programma. Ogni stato membro restava responsabile
della realizzazione della propria parte del programma, che
mancava per questo di una gestione unitaria e coordinata
nei suoi diversi aspetti. Questa mancanza di controllo
centralizzato fu la causa principale del fallimento di ELDO.
4 La ricerca di una coerente politica spaziale
europea
Nella seconda metà degli anni ’60 e all’inizio del decennio
successivo, i governi europei furono impegnati in un aspro
confronto sulla definizione di una politica spaziale unitaria
e coerente, e quindi sulla opportunità di unificare le due
organizzazioni esistenti in un’unica agenzia. Tale confronto
vol24 / nO1-2 / anno2008 >
39
percorsi
1965
1968
Belgio
4,4
4,0
Danimarca
Francia
Germania
Italia
Olanda
Spagna
Svezia
Svizzera
Regno Unito
2,2
19,1
22,6
11,2
4,2
2,7
5,2
3,4
25,0
2,2
20,0
23,8
11,6
4,2
2,2
4,6
3,4
24,1
Tab. II I paesi membri di ESRO e il loro contributo al budget (%).
ruotava intorno ad una questione centrale e decisiva, ovvero
se l’Europa dovesse sviluppare razzi sempre più potenti per
lanciare i suoi satelliti e acquisire così una completa autonomia
in campo spaziale, oppure se dovesse affidarsi almeno in parte
agli Stati Uniti. La questione risultò estremamente controversa
e fonte di conflitti sempre più aspri tra i vari stati membri di
ESRO e ELDO, rischiando di portare al fallimento ogni forma di
collaborazione spaziale europea. Per capire il senso di quelle
discussioni è opportuno considerare separatamente tre diversi
aspetti, ovvero: (a) l’incapacità di ELDO di realizzare il proprio
programma; (b) la crescente importanza dei satelliti per
telecomunicazioni; (c) la proposta americana di collaborare nel
programma post-Apollo. Vediamo questi aspetti uno ad uno.
Nel giugno 1964, Blue Streak fu lanciato per la prima volta
con pieno successo. Nei due anni successivi la qualificazione
del razzo britannico come primo stadio del futuro lanciatore
europeo fu definitivamente confermata. Malgrado tale
successo, però, ELDO si ritrovò presto in grave crisi a causa di
difficoltà tecniche e costi sempre crescenti. La data del primo
lancio di Europa 1, originariamente prevista per il 1965 fu
posticipata al 1967. Anche questo spostamento si dimostrò
ottimistico. Nell’agosto di quell’anno, infatti, il razzo fu
lanciato per la prima volta con il secondo stadio francese e un
terzo stadio posticcio. Ancora una volta Blue Streak funzionò
perfettamente, ma i motori di Coralie non si accesero. Un
secondo tentativo, in dicembre, fu un nuovo fallimento, e
l’intero programma Coralie dovette essere rivisto.
La data del primo lancio di Europa 1 nella sua configurazione
finale fu fissata per novembre 1968. Questa volta Coralie
funzionò perfettamente, ma fallì il terzo stadio tedesco, Astris.
Analogo fallimento si ripeté sette mesi più tardi. Finalmente,
l’ultimo lancio di prova di Europa 1 avvenne il 12 giugno 1970,
con l’obiettivo di mettere in orbita il satellite di prova costruito
40 < il nuovo saggiatore
in Italia. Ancora un fallimento: il terzo stadio funzionò solo
parzialmente, la carenatura non si aprì e il satellite non poté
essere liberato dal suo abitacolo.
Insieme al fallimento tecnico si registrava una drammatica
escalation dei costi. Nel 1966, i governi dei paesi membri
decisero di aumentare il finanziamento di ELDO, concordando
allo stesso tempo una redistribuzione che riduceva
significativamente il contributo della Gran Bretagna. Oltre a
completare il programma di Europa 1 fu deciso anche di avviare
un programma supplementare per realizzare una versione più
potente, denominata Europa 2. Ancora una volta, la previsione
di dimostrò ottimistica, e già alla fine del 1967 si riconobbe la
necessità di un drastico ridimensionamento del programma
Europa 2 per restare entro il limiti di spesa previsti.
A questo punto le divergenze tra gli stati membri divennero
distruttive. La Gran Bretagna, avendo completato con successo
il programma Blue Streak, non era più interessata ad impegnarsi
in un programma che sembrava sempre più fallimentare sul
piano tecnico e del tutto fuori controllo sul piano finanziario.
Alla fine del 1968 i governo britannico annunciò che non
avrebbe più contribuito al programma Europa 2. Francia e
Germania, insieme a Belgio e Olanda, decisero di andare avanti
da soli, decidendo inoltre di avviare lo studio di un nuovo
razzo, denominato Europa 3, molto più potente e basato su un
progetto completamente diverso, che non richiedeva più Blue
Streak come primo stadio.
Contemporaneamente a questi sviluppi di ELDO, si registrava
l’avvento dei satelliti per telecomunicazioni. Dopo vari satelliti
sperimentali, nel giugno 1965 il satellite americano Early Bird
inaugurò il primo servizio commerciale di telecomunicazioni
transatlantiche per conto dell’organizzazione internazionale
Intelsat. Il suo successo dimostrava da un lato la fattibilità
tecnica e dall’altro la convenienza economica dei satelliti in
A. russo: il filo di ariane: la nascita dell’europa spaziale
1965
1967
Regno Unito
38,8
27
Francia
23,9
25
Germania
22,0
27
Italia
9,8
12
Belgio
2,9
Olanda
2,6
Australia
9
Woomera
Tab. III I paesi membri di ELDO e il loro contributo al budget (%).
orbita geostazionaria per le comunicazioni a grande distanza.
Oltre alla dimensione politica, militare e scientifica, lo spazio si
rivelava come un settore strategicamente importante anche
dal punto di vista economico. E se l’Europa voleva giocare
un ruolo non marginale in questa nuova dimensione doveva
impegnarsi in un programma di ricerca e sviluppo nel campo
dei satelliti per telecomunicazioni. Inoltre, doveva dotarsi di un
razzo capace di lanciare un satellite in orbita geostazionaria,
ovvero a 36000 km di altezza sulla superficie terrestre.
Europa 1 non aveva questa capacità, essendo stato progettato
per lanciare grandi satelliti in orbita bassa. Quanto a Europa 2,
la sua capacità era limitata a satelliti di piccole dimensioni, e
non poteva garantire quindi una strategia di lungo periodo.
Questo tipo di considerazioni aveva determinato la decisione
di alcuni paesi di impegnare ELDO nella realizzazione di
Europa 3, ma sul futuro di questa organizzazione, come
abbiamo visto, non si poteva essere ottimisti.
Due diverse iniziative furono avviate in Europa nel campo
dei satelliti per telecomunicazioni. La prima vide impegnate
congiuntamente Francia e Germania nella realizzazione di un
piccolo satellite denominato Symphonie, che avrebbe dovuto
essere lanciato con Europa 2. La seconda fu avviata da ESRO,
con uno studio sulla possibilità di realizzare un grande satellite
per la telefonia e la distribuzione di programmi televisivi sul
continente europeo e l’area mediterranea.
ESRO, come sappiamo, era stata creata come un’organizzazione
dedicata unicamente alla ricerca scientifica, ma dopo il
successo di Early Bird, il consiglio aveva autorizzato l’avvio di
studi di fattibilità nel campo dei satelliti per telecomunicazioni.
Il passaggio ad una fase di realizzazione richiedeva però un
accordo unanime degli stati membri per cambiare i suoi statuti
e provvedere al necessario finanziamento. Ciò non era facile
per almeno tre motivi.
In primo luogo, i governi dei paesi membri di ESRO non erano
ugualmente interessati ad impegnarsi direttamente nello
sviluppo delle telecomunicazioni via satellite. In secondo
luogo, le amministrazioni postali e telefoniche dei vari paesi,
che a quel tempo erano gli unici potenziali utilizzatori dei
satelliti per telecomunicazioni, avevano calcolato che i costi
di gestione di un sistema spaziale su scala europea sarebbero
stati di gran lunga più elevati di quelli connessi alla gestione
della fitta rete di cavi già esistente sul Vecchio Continente. In
terzo luogo, gran parte della comunità scientifica era contraria
alla prospettiva di cambiare la natura di ESRO, nel timore che
gli interessi scientifici sarebbero stati sacrificati sull’altare delle
applicazioni di interesse commerciale.
Accanto ai problemi di ELDO e all’avvento delle
telecomunicazioni via satelliti, il quadro delle attività spaziali
europee fu ulteriormente complicato da un terzo elemento,
in questo caso proveniente dagli Stati Uniti. Nel luglio del
1969, come sappiamo, i primi astronauti americani sbarcarono
sul suolo lunare, realizzando così l’ambizioso obiettivo del
programma Apollo della NASA. Pochi mesi dopo, in ottobre,
la stessa NASA propose ai governi europei di collaborare con
gli Stati Uniti nella realizzazione del cosiddetto programma
post-Apollo. Il principale elemento di tale programma era
la realizzazione di una navetta spaziale, il cosiddetto Space
Shuttle, che si presentava come una vera e propria rivoluzione
tecnologica. Con un veicolo riutilizzabile, infatti, i costi connessi
alla messa in orbita di un satellite sarebbero stati ridotti di
un fattore dieci − così almeno sostenevano i responsabili
dell’agenzia spaziale americana − e i costosissimi razzi a
perdere si sarebbero rivelati del tutto obsoleti.
Il programma post-Apollo rappresentava un’opportunità di
eccezionale interesse per l’Europa. Esso offriva la possibilità
di accedere alla tecnologia spaziale americana ed entrare
vol24 / no1-2 / anno2008 >
41
percorsi
nel settore del tutto sconosciuto in Europa dei voli spaziali
con esseri umani. Di fronte ai governi europei si presentava
quindi un dilemma di non facile soluzione: abbandonare
definitivamente il programma Europa 3 e impegnarsi con la
NASA nello sviluppo dello Space Shuttle; oppure lasciar cadere
l’offerta americana e proseguire nello sviluppo di un’autonoma
capacità di lancio al fine di acquisire una reale indipendenza
in campo spaziale. Nel primo caso, l’industria europea
avrebbe beneficiato delle sofisticate competenze tecniche
e manageriali d’oltre-oceano, ma l’Europa sarebbe stata
dipendente dai vettori americani per il lancio dei propri satelliti
commerciali. Nel secondo caso, la ricerca dell’autonomia
avrebbe implicato con ogni probabilità la realizzazione di
un razzo tecnicamente obsoleto ed economicamente non
competitivo.
5 Ha senso costruire un razzo europeo?
È in questo quadro che si sviluppò un aspro dibattito sul ruolo
e sul futuro di ELDO. Da una parte vi erano paesi sempre
più scettici e pessimisti circa le possibilità di realizzare un
vettore di lancio europeo affidabile ed economicamente
conveniente. Altri, al contrario, erano fermamente convinti
della necessità per l’Europa di acquisire una piena autonomia
in campo spaziale. Gran Bretagna e Francia guidavano i due
opposti schieramenti, come spesso accade negli affari europei.
Il governo britannico sottolineava i costi elevatissimi dei
futuri vettori europei in confronto con quelli americani già
disponibili; il governo francese, da parte sua, insisteva che
l’Europa non avrebbe potuto sviluppare una credibile politica
spaziale se non avesse avuto una autonoma capacità di lancio
dei propri satelliti commerciali.
Di fronte alle crescenti difficoltà di ELDO, i britannici
argomentavano che non aveva senso continuare a sviluppare
un razzo che sarebbe stato un fallimento dal punto di
vista economico. I francesi, sostenuti da tedeschi e belgi,
affermavano che il futuro dell’Europa spaziale non poteva
essere condizionato da fattori esclusivamente commerciali.
L’impegno in questo campo, sostenevano, era un aspetto
essenziale di una politica industriale di lungo periodo,
tendente a ridurre il divario tecnologico con gli Stati Uniti
nel settore chiave dell’industria aerospaziale nell’era delle
telecomunicazioni su scala planetaria.
Accanto ai temi economici, non mancavano gli aspetti più
squisitamente politici. L’insistenza della Francia sulla necessità
di garantire all’Europa piena autonomia in campo spaziale
rifletteva la particolare visione del governo gollista circa il ruolo
dell’Europa nel confronto tra le due super-potenze e la volontà
di garantire alla Francia una piena autonomia politica e militare
rispetto al potente alleato d’oltre oceano.
Dietro la posizione britannica c’era da un lato la tradizionale
“relazione speciale” che legava Londra e Washington sui grandi
42 < il nuovo saggiatore
temi internazionali, dall’altro un radicale ripensamento della
politica di ricerca e sviluppo da parte del nuovo governo
laburista. Le nuove priorità, infatti, implicavano un progressivo
disimpegno dai costosi programmi ad alto contenuto
tecnologico, ma privi di sbocchi commerciali, quali quelli nei
settori nucleare e aerospaziale. Inoltre, la decisa opposizione
di de Gaulle all’ingresso del Regno Unito nella Comunità
Economica Europea aveva fatto venir meno un importante
aspetto politico dell’impegno britannico nei programmi di
collaborazione europei.
Il conflitto tra i due principali paesi europei fu ulteriormente
complicato dall’offerta americana di partecipare al programma
post-Apollo. La NASA, infatti, era sempre stata disponibile a
offrire i propri razzi per lanciare i satelliti scientifici europei,
ma la sua posizione era piuttosto ambigua riguardo ai satelliti
applicativi. In particolare, il governo americano aveva detto
chiaramente che la NASA non avrebbe reso disponibili i
propri razzi per lanciare satelliti per telecomunicazioni che
avrebbero potuto colpire gli interessi commerciali di Intelsat,
l’organizzazione internazionale impegnata nel campo delle
telecomunicazioni via satellite su scala mondiale, di cui anche
i paesi europei facevano parte ma sostanzialmente controllata
dagli Stati Uniti.
In questa situazione lo scontro tra Francia e Gran Bretagna non
poteva che irrigidirsi. Gli inglesi sostenevano che ci si poteva
fidare degli Stati Uniti per quanto riguardava la disponibilità a
lanciare i satelliti europei senza sostanziali limitazioni. I francesi,
al contrario, erano più che convinti della necessità per l’Europa
di acquisire una propria autonoma capacità di lancio, e quindi
della necessità di non rinunciare al programma di sviluppo di
Europa 3.
Lo scontro raggiunse il punto di rottura alla riunione della
Conferenza Spaziale Europea tenuta a Bruxelles nel novembre
del 1970, qualche mese dopo il drammatico fallimento di
Europa 1. Le discussioni furono bruscamente interrotte dopo il
primo giorno, con Francia, Germania e Belgio che dichiaravano
che avrebbero comunque continuato per la loro strada mentre
la Gran Bretagna annunciava l’intenzione di abbandonare
ELDO. In attesa di un chiarimento definitivo, la Francia decise
inoltre di bloccare il bilancio di ESRO per il 1971 e annunciò
la decisione di lasciare l’Organizzazione allo scadere della
Convenzione, nel 1972.
6 La ricerca di un “package deal”
La situazione politica circa il futuro dell’Europa spaziale rimase
piuttosto disastrata per buona parte del 1971. Delusione,
frustrazione e rabbia dividevano i governi che per quasi
cinque anni si erano sforzati di trovare un accordo sulla politica
spaziale. Ogni forma di collaborazione spaziale europea
sembrava sull’orlo del fallimento e due sole alternative
sembravano presentarsi: abbandonare tutto oppure cercare un
A. russo: il filo di ariane: la nascita dell’europa spaziale
compromesso globale, un “package deal” come fu definito, che
potesse soddisfare gli interessi di tutti i protagonisti.
Sul finire di quell’anno drammatico due importanti eventi
segnarono il punto di svolta. In primo luogo, grazie al paziente
lavoro diplomatico del presidente del Council di ESRO, il
fisico italiano Giampietro Puppi, i paesi membri di questa
Organizzazione riuscirono a trovare l’accordo su un package
deal che offriva una base per il suo ulteriore sviluppo. In base
a tale accordo, ESRO veniva definitivamente trasformata
da un’organizzazione esclusivamente dedicata alla ricerca
scientifica in una impegnata principalmente nello sviluppo
di satelliti applicativi. Il programma scientifico, fortemente
ridimensionato sul piano del supporto finanziario, rimase
obbligatorio per tutti gli stati membri, mentre i programmi
applicativi furono resi opzionali, ciascun paese essendo libero
di scegliere se parteciparvi o meno in proporzione al proprio
prodotto interno lordo (fig. 1). Nel quadro dell’accordo,
Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia si impegnarono
a partecipare a tutti i programmi applicativi in modo da
garantirne il sostegno finanziario. Su questa base, dopo cinque
anni di studi di fattibilità, fu possibile avviare il programma di
telecomunicazioni, che avrebbe portato in seguito al sistema
Eutelsat. Insieme a questo, furono avviati altri due programmi
applicativi: uno per lo sviluppo di un satellite meteorologico,
che diventerà Meteosat; l’altro per un satellite destinato al
controllo del traffico aereo, che però non avrà successo.
Il secondo evento significativo fu il drammatico fallimento
del primo lancio di prova di Europa 2. Questo vettore era
una versione potenziata di quello previsto nel programma
originario di ELDO, ed era stato progettato per lanciare in
orbita geostazionaria un piccolo satellite per telecomunicazioni
dalla base di lancio di Kourou, nella Guyane francese. Il conto
alla rovescia andò avanti in modo impeccabile e il distacco
avvenne all’ora prevista del 5 novembre 1971, alla presenza di
un nutrito gruppo di dignitari e giornalisti. Dopo circa 2 minuti
di volo regolare fu evidente che qualcosa non andava, il razzo
deviò dalla traiettoria prevista e dovette essere distrutto.
Il fallimento di Europa 2 determinò una radicale revisione della
politica spaziale da parte di alcuni governi. Il cambiamento
più rilevante si ebbe in Germania, il cui governo era stato uno
dei più convinti sostenitori del vettore europeo. Frustrato
dal persistente fallimento tecnico del terzo stadio e sempre
più preoccupato per l’escalation dei costi di ELDO, il governo
tedesco si convinse che l’Europa doveva abbandonare
ogni illusione di indipendenza tecnologica nel campo dei
grandi vettori di lancio e doveva piuttosto impegnarsi nella
collaborazione con gli Stati Uniti nel quadro del programma
post-Apollo. Più precisamente, l’Europa doveva accettare
di sviluppare l’ambizioso progetto Spacelab, un laboratorio
scientifico trasportato nello spazio a bordo dello Space Shuttle.
Senza il sostegno della Germania il destino di ELDO era
segnato. E infatti il governo francese annunciò che il CNES
stava studiando un razzo di nuova concezione, le cui
prestazioni erano analoghe a quelle di Europa 3, ma con una
tecnologia più semplice. La Francia si impegnava a finanziare
lo sviluppo di tale razzo fino al 60 % del suo costo totale, e
invitava altri paesi interessati a unirsi al progetto coprendo la
parte restante. Doveva essere chiaro, però, che il programma
sarebbe stato realizzato al di fuori del contesto di ELDO, che il
CNES ne avrebbe avuto la responsabilità tecnica e manageriale
e che l’industria francese avrebbe avuto il ruolo guida. Il razzo
era stato provvisoriamente denominato L3S, una sigla il cui
significato era lanceur trois étages de substitution, ovvero in
sostituzione di Europa 3.
Il primo package deal aveva dato a ESRO una nuova ragione di
essere; il fallimento di Europa 2 e la successiva divaricazione tra
Francia e Germania avevano privato ELDO della sua. Nell’aprile
del 1973, dopo un anno di ulteriori negoziati, il Consiglio di
ELDO decise di interrompere definitivamente il programma
Europa 2 e richiamare indietro il secondo esemplare del razzo
già in navigazione verso la Guyane per un nuovo lancio di
prova. Alla fine dello stesso anno, l’Organizzazione fu messa in
liquidazione.
Le basi per un nuovo package deal furono poste nel corso
di una riunione interministeriale nel dicembre 1972. Era
evidente che la ripresa di un impegno collettivo avrebbe
potuto verificarsi solo se ciascuno dei paesi coinvolti avesse
riconosciuto che gli obiettivi della collaborazione risultavano
coerenti con il perseguimento dei propri interessi nazionali.
Nessun programma spaziale che fosse onnicomprensivo e
obbligatorio poteva soddisfare tale requisito. Il sistema di
programmi opzionali definito nell’ambito del package deal
di ESRO del 1971 era solo una soluzione parziale, in quanto
prevedeva una distribuzione di costi proporzionale al prodotto
interno lordo dei paesi partecipanti. Il passo successivo non
poteva che essere un sistema à la carte, ovvero in sistema
in cui ogni paese fosse libero di decidere non solo la sua
partecipazione a ciascuno dei programmi, ma anche il livello
del proprio contributo finanziario, ricevendo in cambio un
ritorno equivalente in termini di commesse industriali.
Fu il ministro britannico Michael Heseltine, responsabile
per le attività spaziali nel nuovo governo conservatore, a
suggerire la via d’uscita dalla crisi. Egli propose la creazione
di un’unica agenzia spaziale europea al posto di ESRO ed
ELDO, nella quale confluissero i programmi spaziali nazionali
a condizione che, sommando i contributi di tutti i paesi
partecipanti, si arrivasse a coprire il 100 % del costo previsto.
Solo il programma scientifico sarebbe rimasto obbligatorio per
tutti, con una distribuzione dei costi proporzionale al prodotto
interno lordo di ciascuno dei paesi membri. In questo nuovo
contesto istituzionale, la Francia e la Germania proposero di
sviluppare in un contesto europeo i loro programmi preferiti,
rispettivamente il razzo L3S e il laboratorio spaziale Spacelab.
La Gran Bretagna, da parte sua, propose di integrare nella
vol24 / no1-2 / anno2008 >
43
percorsi
Fig. 1 Il “package deal” su ESRO (dicembre 1971).
L3S
(Ariane)
Spacelab
Marots
Francia
62,5%
10%
15%
Germania
320 MDM
52,55%
20%
Regno Unito
11,25 MAU
6,3%
56%
Italia
6%
21,1%
8%
MDM : milioni di marchi tedeschi
MAU : milioni di “accounting units”, unità monetaria convenzionale
corrispondente circa a un dollaro USA
Tab. IV Il secondo “package deal” (contributo dei “quattro grandi” ai
programmi principali).
44 < il nuovo saggiatore
collaborazione europea un programma
nazionale per un satellite per telecomunicazioni
marittime denominato Marots.
Ci vollero molti mesi di aspri negoziati prima
che si arrivasse ad un accordo. Il problema
principale, come si può immaginare, era la
distribuzione dei costi tra i diversi paesi al fine
di arrivare al 100% di copertura finanziaria per
i tre progetti principali: L3S, Spacelab e Marots.
Il risultato fu raggiunto al termine di un ultimo
giro di frenetiche consultazioni nel corso della
conferenza interministeriale tenuta a Bruxelles
il 31 Luglio 1973. In quella occasione si decise
anche di denominare Ariane il razzo (francese)
che, nella speranza di tutti, avrebbe finalmente
portato l’Europa nello spazio (tab. IV).
Con l’accordo sul secondo package deal furono
poste finalmente le basi per il rilancio della
collaborazione spaziale europea. Nell’aprile del
1975, i ministri riuniti nuovamente a Bruxelles
approvarono la Convenzione della nuova
European Space Agency, la quale cominciò a
operare formalmente il successivo 31 maggio.
Il 9 agosto dello stesso anno i colori di ESA
furono portati per la prima volta nello spazio
con il satellite scientifico COS-B, dedicato
all’astronomia a raggi gamma, il cui progetto
era stato sviluppato in ESRO nel corso dei
cinque anni precedenti. Il 23 novembre 1977 fu
lanciato il primo satellite applicativo, il satellite
meteorologico Meteosat, seguito sei mesi dopo
(12 maggio 1978) da OTS, il primo satellite
europeo per telecomunicazioni. Infine, la vigilia
di Natale 1979, il primo razzo Ariane fu lanciato
con successo dalla base di Kourou: l’autonomia
dell’Europa in campo spaziale era stata infine
raggiunta.
7 Considerazioni conclusive
A conclusione di questa rievocazione storica
è opportuno sottolineare gli aspetti più
significativi del lungo processo che ha portato
alla definizione di un efficace contesto
istituzionale per lo sviluppo della collaborazione
spaziale europea. Il primo di tali aspetti è
certamente il successo di ESRO. Malgrado
difficoltà e ostacoli, grazie all’impegno della
comunità scientifica e alla capacità dei suoi
A. russo: il filo di ariane: la nascita dell’europa spaziale
responsabili operativi, questa Organizzazione si
dimostrò sufficientemente affidabile e capace
di realizzare con successo i propri programmi.
All’inizio degli anni ‘70, nel momento più
critico della storia dell’Europa spaziale, ESRO
aveva raggiunto piena maturità e competenza
nella gestione di progetti molto avanzati dal
punto di vista tecnologico e molto complessi
dal punto di vita manageriale; aveva stabilito
solidi rapporti con l’industria aerospaziale nei
diversi paesi europei; e aveva posto solide
basi per lo sviluppo dei satelliti applicativi. La
nuova Agenzia Spaziale Europea sarà fondata
essenzialmente sulla struttura tecnica e
manageriale di ESRO.
La stretta intesa tra Francia e Germania è il
secondo importante aspetto che occorre
sottolineare. Nel campo della politica spaziale
come in molti altri settori del processo di
integrazione europea, il rapporto tra questi
due paesi è il nodo centrale di ogni sviluppo
significativo. Il governo tedesco era stato
sempre uno dei più convinti sostenitori della
posizione francese riguardo ai vettori di lancio.
Il suo interesse principale, però, non era tanto
il perseguimento dell’autonomia spaziale
europea quanto lo sviluppo dell’industria
aerospaziale tedesca. Quando il fallimento
di Europa 2 segnò la fine delle ambizioni
tedesche nel campo della tecnologia dei vettori
di lancio, la Germania si volse al progetto
Spacelab, che apriva la porta alla sofisticata
tecnologia connessa alla presenza umana
nello spazio. Tuttavia, per il governo tedesco
la collaborazione con gli Stati Uniti non
poteva andare a detrimento dei consolidati
legami europei. La definizione di un nuovo
contesto istituzionale e programmatico per
la collaborazione franco-tedesca in campo
spaziale divenne una necessità politica nella
primavera del 1972, e la diplomazia di entrambi
i paesi fu molto impegnata nei mesi successivi.
Il risultato fu la decisione tedesca di contribuire
al progetto Ariane e, contemporaneamente,
l’impegno francese nel progetto Spacelab.
Questo fu il reale fondamento del package deal
del 1973.
Infine, dobbiamo ricordare il ruolo degli Stati
Uniti, vero e proprio “convitato di pietra” sul
palcoscenico della politica spaziale europea.
L’offerta americana di partecipare al programma
post-Apollo piombò fragorosamente sul tavolo
dei negoziati europei modificando radicalmente
le coordinate entro le quali venivano discussi
il contesto e gli obiettivi della collaborazione
spaziale europea. La persistente ambiguità
circa la disponibilità dei vettori di lancio
americani fu una delle principali ragioni perché
il governo francese tenesse ferma la sua politica
spaziale. La Francia non poteva accettare alcun
accordo in cui gli Stati Uniti si riservassero
l’ultima decisione riguardo al lancio dei satelliti
applicativi europei. Tale convincimento fu
rafforzato quando, in seguito al fallimento di
Europa 2, fu necessario ricorrere a un razzo ThorDelta americano per lanciare il satellite francotedesco Symphonie. I molti vincoli imposti
dalle autorità degli Stati Uniti circa l’eventuale
uso operativo (non sperimentale) di questo
satellite dimostrò drammaticamente quanto
fosse necessaria la disponibilità di un vettore di
lancio europeo per sostenere un impegno nei
settori con significative implicazioni di carattere
economico.
In un certo senso, possiamo concludere questa
nostra piccola storia della nascita dell’Europa
spaziale dicendo che Ariane, e quindi la stessa
Agenzia Spaziale Europea, hanno un debito di
gratitudine nei confronti degli Stati Uniti.
Arturo Russo
Professore ordinario di Storia della Fisica all’Università
di Palermo, è impegnato in attività di ricerca sulla
storia della fisica del Novecento, anche in riferimento
al contesto culturale e sociale dell’impresa scientifica
nel suo complesso. Si interessa inoltre alle possibili
ricadute della ricerca storica sulla didattica della fisica.
Ha pubblicato libri e saggi riguardanti la storia della
teoria dei quanti, la storia della fisica dei raggi cosmici,
il rapporto tra scienza e industria negli Stati Uniti e in
Italia tra le due guerre mondiali, la storia della fisica delle
particelle elementari, la storia della ricerca spaziale.
Ha collaborato al progetto per la storia del CERN ed è
stato promotore e animatore del progetto per la storia
dell’Agenzia Spaziale Europea.
vol24 / no1-2 / anno2008 >
45
percorsi
L’ONDA EVANESCENTE E LA
NANO-OTTICA
Maria Allegrini
Dipartimento di Fisica “E. Fermi”, Università di Pisa
In parallelo alle nanoscienze e alle nanotecnologie si sta rapidamente sviluppando l’ottica a
scala nanometrica o nano-ottica. Adriano Gozzini, con la prima osservazione dell’onda evanescente nel visibile e l’applicazione alla misura di spostamenti molto più piccoli della lunghezza d’onda della luce, può essere considerato come un precursore della nano-ottica.
1 Introduzione
Il XCIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Fisica
(SIF), tenutosi a Pisa dal 24 al 29 settembre 2007, ha dedicato
una sessione in onore del professor Adriano Gozzini.
Ringrazio il professor Vergara Caffarelli per avermi invitata a
contribuire con una presentazione e il professor Bassani per
avermi chiesto di riportarne i contenuti in questa nota.
Argomento della presentazione è l’onda evanescente e la
nano-ottica, cioè quella parte dell’ottica che tratta i fenomeni
ottici e le interazioni della luce con la materia a scala
nanometrica, ben sotto la lunghezza d’onda della luce nel
visibile (~350–800 nm) e ben al di là del limite di risoluzione
(~λ/2) posto dal fenomeno della diffrazione. In particolare,
presento l’esperimento che tra i tanti proposti dal professor
Gozzini scelsi per la mia tesi di laurea e che portò alla prima
osservazione sperimentale diretta dell’onda evanescente
nel visibile. L’articolo che ne derivò, pubblicato su Optics
Communications [1], a mio parere anticipò di circa 20 anni la
microscopia ottica a scansione in campo prossimo (SNOM)
e la nano-ottica. In realtà Gozzini non pensò di usare l’onda
evanescente per fare microscopia ottica con risoluzione oltre
il limite di diffrazione, ma per misurare piccoli spostamenti.
Forse per questo l’articolo [1] è praticamente sconosciuto alla
comunità SNOM, che per altro ignora anche il contributo di
Giuliano Toraldo di Francia “Resolving power and information”
[2]. Per quanto famoso in ottica classica e nonostante la sua
rilevanza in microscopia ottica, il lavoro [2] non si trova quasi
mai citato negli articoli di microscopia in campo prossimo.
46 < il nuovo saggiatore
D’altra parte non c’è da stupirsi, visto che anche i lavori di
fisica atomica di Ettore Majorana, poco citati a suo tempo,
sono stati “riscoperti” solo recentemente grazie ad una
iniziativa della SIF [3].
Come illustrato da Francesco Maccarrone nella stessa
sessione del congresso, il professor Gozzini dedicava tanto
del suo tempo alle tesi di laurea e seguiva con grande cura
i suoi numerosi laureandi. Qui ho l’occasione di riportare la
mia testimonanzia come una dei laureandi che hanno avuto
il privilegio di averlo avuto come relatore. “Prendere la tesi”
con il professor Gozzini era una esperienza unica e anche un
pò avventurosa perché era un vulcano di idee che amava
illustrare portandoci a prendere il caffé al mitico bar pisano
“Il Battellino”. E questo succedeva tante volte al giorno, come
ricorderanno quanti lo hanno conosciuto. A quell’epoca,
ormai 40 anni fa, non bevevo caffé, ma non rifiutavo mai un
invito di Gozzini ad accompagnarlo al Battellino perché era
affascinante sentirlo parlare di fisica (e non solo di fisica). Il
pericolo era che, presi dall’entusiasmo per le idee sempre
nuove, si rischiava di cambiare argomento di tesi tra un caffé
della mattina ed uno del pomeriggio.
Arriviamo dunque all’argomento della mia tesi di laurea
dal titolo “La rivelazione di fononi generati nella risonanza
paramagnetica”. Quando a novembre del 1967, alla fine
del terzo anno di studi, chiesi la tesi al professor Gozzini
si sentiva forte l’impatto del premio Nobel dell’anno
precedente assegnato a Alfred Kastler per il pompaggio
ottico e anch’io ero molto attratta da quell’argomento. Ebbi
M. Allegrini: L’onda evanescente e la nano-ottica
tuttavia l’impressione che la vera passione di Gozzini fosse
la risonanza magnetica, passione che trasmetteva direi
“magneticamente”, e così scelsi questa tesi che ha portato
alla rivelazione dell’onda evanescente nel visibile. Leggendo
il titolo dell’articolo che riporta i risultati dell’esperimento
sull’onda evanescente (“Measurement of changes in length by
an inhomogenous wave device”) non è facile capirne il legame
con l’argomento della tesi, e per questo motivo cercherò di
spiegare la connessione così come l’aveva vista e proposta
Gozzini.
2 La rivelazione di fononi generati nella risonanza
paramagnetica
Nel fenomeno della risonanza magnetica un sistema di spin
paramagnetici, sottoposto ad un campo statico che separa i
livelli con spin up e spin down, assorbe energia da un campo
a radiofrequenza (r.f.) applicato, cedendola successivamente
al reticolo. La rivelazione della risonanza paramagnetica
elettronica (EPR) usualmente era fatta esaminando la
variazione, prodotta dal fenomeno, dell’intensità e della
polarizzazione del campo a r.f.. Gozzini era invece più
interessato a metodi alternativi per esaminare globalmente
sul reticolo il fenomeno della risonanza, come:
• l’aumento della temperatura T del campione;
• l’esame del momento angolare assorbito, (il famoso
“pendolino”, trattato da Cesare Ascoli in questa stessa
sessione del Congresso della SIF);
• la rivelazione diretta dei fononi, di frequenza dell’ordine
di 104 MHz (ipersuoni) prodotti durante il ritorno
all’equilibrio delle popolazioni dei sottolivelli Zeeman.
In realtà c’era un’altra, e forse più forte, ragione per la quale
Gozzini voleva rivelare i fononi emessi direttamente nel
rilassamento degli spin elettronici. Pensava di usare la EPR
come sorgente di ipersuoni e più precisamente di realizzare
un maser a fononi con sorgente di potenza gli spin elettronici
e basato sul fenomeno detto phonon bottleneck. È questa la
situazione in cui, a causa dell’impossibilità di raggiungere
con sufficiente rapidità l’equilibrio termico, i fononi in una
banda di frequenza paragonabile alla larghezza di riga EPR
sono eccitati in numero superiore al loro valore di equilibrio
e rimangono concentrati nel cristallo. Una situazione che
ricorda da vicino la condizione di inversione di popolazione
nei laser. Il bottleneck era stato osservato esaminando la
variazione dei tempi di rilassamento degli spin elettronici,
(tipicamente brevi ~10-4 – 10-5 s), quando il numero di
fononi presente nel cristallo è molto superiore a quello
termico. Gozzini, secondo il suo stile, voleva osservare i
fononi direttamente e conosceva molto bene l’esperimento
basato sullo scattering di Brillouin a cui stavano lavorando
nei laboratori Bell i colleghi americani Brya, Geschwind e
Devlin [4] e che era stato proposto [5] più di 30 anni prima
dal suo grande amico Alfred Kastler. Da parte sua pensò
ad un metodo assolutamente originale per l’osservazione
diretta dei fononi generati nel rilassamento spin-reticolo che
consiste nella misura delle vibrazioni del cristallo attraverso
la modulazione di una onda evanescente. Lo stato dell’arte a
quel tempo sui metodi di misura di piccoli spostamenti era
limitato a un metodo a radiofrequenza, già sperimentato nel
laboratorio di Gozzini (6), e a metodi ottici:
• Il metodo a r.f. consiste nel connettere il mezzo che si
deforma al pistone di una cavità in modo che la misura
dello spostamento viene riportata alla misura di una
variazione di frequenza. Il metodo è molto sensibile e
permette di misurare piccolissime variazioni di lunghezza
(∆Lmin ∼ 1Å), ma a causa della massa del pistone ha tempi
di risposta troppo lenti (dell’ordine del secondo), per
essere usato come rivelatore di vibrazioni del cristallo.
• Il sistema ottico più avanzato in quel momento era
costituito da due laser montati dentro un tubo di quarzo
ad alta stabilità meccanica e protetto da rumore acustico
per una stabilità in frequenza di ∆ν = 100 Hz. La frequenza
di battimento tra i due laser liberi è facilmente misurata
con un analizzatore di spettro. Applicando un campo
(dc o ac) ad un materiale piezoelettrico che sostiene uno
specchio della cavità, si ottengono piccole variazioni ∆L
della lunghezza L0 = 35 cm della cavità di uno dei due
laser. ∆L a sua volta comporta una variazione ∆ν nella
frequenza di battimento tra i due laser. Con questo
dispositivo era stato misurato un rapporto ∆ν/∆L = ν0/L0 =
1,35 × 105 HzÅ-1 corrispondente a variazioni di lunghezza
dell’ordine di 10-11 cm [7]. La sensibilità di questo metodo,
capace di misurare un minimo spostamento ∆Lmin ∼ 10-3Å,
era quindi largamente sufficiente per osservare i fononi
del bottleneck, ma l’apparato era troppo ingombrante e
tecnicamente molto complesso.
Gozzini propose dunque di usare l’onda evanescente per
misurare piccoli spostamenti. L’idea era semplice ed elegante,
ma generare, osservare e raccogliere con un qualche
dispositivo un’onda evanescente nel visibile era a quell’epoca
un’impresa formidabile. La riuscita dell’esperimento si deve
soprattutto alla eccezionale abilità sperimentale di Cesare
Ascoli. Oltre all’osservazione dell’onda evanescente nel range
ottico, furono dimostrate le prospettive della tecnica per la
rivelazione di piccoli spostamenti di un cristallo, quali appunto
quelli generati nel bottleneck, e per la modulazione di luce
laser. Anche se non si pensò all’applicazione di microscopia
ottica in campo prossimo, le soluzioni tecniche originali ed
innovative che furono messe in opera nell’esperimento si
ritrovano negli attuali microscopi a scansione a sonda e di
fatto, senza saperlo, l’idea di Gozzini aveva aperto quel nuovo
campo che oggi va sotto il nome di nano-ottica.
vol24 / no1-2 / anno2008 >
47
percorsi
3 Apparato sperimentale per la
rivelazione dell’onda evanescente
L’esperimento era basato sul fenomeno della
riflessione totale della luce alla superficie
di separazione tra due mezzi di indice
di rifrazione n1 ed n2 e del conseguente
andamento dell’intensità dell’onda trasmessa
in un terzo mezzo, di opportuno indice
di rifrazione n3, che si ha in condizioni di
riflessione interna totale (RIT) frustrata. In fig. 1
è riportata l’introduzione dell’articolo su Optics
Communications [1] e le referenze relative
agli esperimenti fatti fino a quel momento
per l’osservazione di onde evanescenti. Tutti
gli esperimenti erano a frequenze hertziane
o a microonde quindi lo stato dell’arte era
ben lontano dalla regione del visibile. Ho
48 < il nuovo saggiatore
evidenziato la frase tra parentesi “neglecting
multiple reflections” per sottolineare
quanto profondamente Gozzini conoscesse
il fenomeno, in cui le riflessioni multiple
all’interfaccia sono il fattore primario per lo
scostamento dall’andamento perfettamente
esponenziale vicino al contatto, ma come
decisamente preferisse semplificare il modello
trascurandole. L’esperimento avrebbe mostrato
l’andamento reale, in seguito perfettamente
riprodotto da calcoli più accurati, e per me
la piena fiducia di Gozzini nell’osservazione
sperimentale è stata un grande insegnamento.
Lo schema dell’apparato sperimentale con
cui abbiamo osservato l’onda evanescente
nel visibile è riportato in fig. 2, ripresa
direttamente dalla mia tesi [8].
Fig. 1 Introduzione di rif. [1]
Fig. 2 Schema dell’apparato
sperimentale, da rif. [8]
M. Allegrini: L’onda evanescente e la nano-ottica
+
+
+
+
Pacchetto di 4
ceramiche
piezoelettriche
Rivelatore
+
-
Elevatore di tensione
V0
HT al piezo
2V0
x
Fig. 3 Dettagli tecnici
dell’apparato sperimentale.
L’onda evanescente è prodotta dal fascio di
un laser He-Ne (λ = 6328 Å) fatto passare
attraverso un prisma di vetro con angolo
di incidenza maggiore dell’angolo limite.
Il dispositivo raccoglitore, indicato con P
in figura, è una pallina di vetro, (ne furono
provate diverse con indice di rifrazione da
1,48 a 1,6), solidale al campione C costituito da
un pacchetto di 4 ceramiche piezoelettriche
collegate in parallelo in modo da aumentare
l’ampiezza delle vibrazioni del sistema senza
dover ricorrere a differenze di potenziale molto
alte. Per l’approccio grossolano al prisma, il
campione è fissato ad una leva comandata da
una vite micrometrica differenziale e in questo
modo i movimenti necessari alla messa a
punto risultano notevolmente demoltiplicati.
BT, dal partitore all’asse
x del registratore x-y
Per l’approccio fine e quindi la rivelazione del
decadimento della luce con la distanza, la
ceramica è pilotata con una rampa di
Vmax ~ 1500 V e una modulazione regolabile di
un amplificatore lock-in. La rampa lenta (1–2
minuti) di alta tensione è ottenuta dal dente di
sega di un oscillografo attraverso un elevatore
di tensione a diodi e transistor, meglio
conosciuto in elettronica come moltiplicatore
di tensione di Villard. Dall’uscita calibrazione
dello stesso oscillografo (i famosi, robusti
Tektronix di un tempo) viene prelevata anche
l’onda quadra a 1 kHz per modulare l’elevatore
di tensione per cui il sistema è di una
semplicità estrema e non richiede nemmeno
un alimentatore esterno.
La fig. 3 raccoglie e schematizza alcuni
vol24 / no1-2 / anno2008 >
49
percorsi
Fig. 4 Ripresa dalla fig. 1 di
rif. [1].
dettagli tecnici di questo apparato che
oggi si ritrovano, in versione ovviamente
evoluta, negli attuali SNOM, ma che erano
assolutamente innovativi in quel tempo.
Forse anche in questo senso possiamo
affermare che l’esperimento messo a punto
per la rivelazione dell’onda evanescente
nel visibile è stato pioniere della nanoottica. Siccome non esistevano attuatori
piezoelettrici per una escursione sufficiente
di avvicinamento, la soluzione fu di tagliare
in quattro fette una striscia piezoelettrica di
circa 8 cm × 2 cm, incollare un elettrodo tra
ogni fetta e sovrapporre le quattro ceramiche
con polarizzazioni alternate. Il montaggio
elettrico in parallelo fa in modo che dando
tensione tutte le fettine del pacchetto si
dilatano con effetto cumulativo, proprio
come nei piezostack oggi usati nei microscopi
a scansione di sonda. Con questo semplice
dispositivo si poteva arrivare a spazzate di
2 mm, pochi rispetto al centinaio di micron
facilmente dati dai piezo commerciali attuali,
ma sufficienti per registrare la curva dell’onda
evanescente. L’uscita HT era connessa al
piezo mentre quella a bassa tensione BT,
presa con un partitore, arrivava all’asse x di
un registratore a carta x-y. In questo modo
si ottiene una modulazione lineare della
distanza prisma-pallina (Amax~1.5 × 104 Å) più
una modulazione alternata alla frequenza
(variabile) di lavoro del lock-in di Amax~100 Å.
Rispetto agli SNOM manca in questo schema
la scansione a rastrello nel piano del
campione da cui si ricostruisce l’immagine
in campo prossimo. Tuttavia, ciascuna curva
50 < il nuovo saggiatore
registrata è l’equivalente di un punto di una
linea di scansione. Come rivelatore avevamo
usato un fotodiodo a Si montato secondo il
semplicissimo schema riportato in fig. 3. Prima
di passare al risultato vale la pena dire che
un miglioramento significativo fu ottenuto
sostituendo alla pallina di vetro un piccolo
prisma che fu lavorato otticamente da un
ottico locale di nome Stefanini il cui negozio,
sulla vecchia via Aurelia a Pisa, è rimasto
aperto fino a pochi anni fa. Gozzini aveva una
capacità notevole di individuare sul territorio
competenze tecniche anche individuali e di
reperire materiale per gli esperimenti che non
era disponibile sui normali circuiti commerciali.
Come laureandi, infatti, si diventava subito
familiari con il “mercatino americano” di Livorno
dove si trovava ogni sorta di materiale e
strumentazione di surplus militare americano
(e nei primi anni magari solo di contrabbando).
Per un fisico sperimentale anche questo era un
insegnamento molto fuori dall’usuale, unico
nel suo genere che si riceveva in modo del
tutto naturale dal professor Gozzini.
Lo schema sperimentale pubblicato
sull’articolo su Optics Communications riporta
la configurazione con il prismetto con faccia
curva (fig. 4) con cui è stato ottenuto il risultato
pubblicato e ripreso in fig. 5.
La fig. 5 riporta due esempi di curve
sperimentali osservate; la prima è la luce
trasmessa, ripresa direttamente dalla fig. 2 di
rif. [1] e la seconda è la derivata della
prima curva ottenuta tramite lock-in, con
una modulazione di 2 × 10-2 Å, da cui si
misura il ∆Lmin. Nella parte destra di fig. 5 è
M. Allegrini: L’onda evanescente e la nano-ottica
riportato l’andamento dell’onda evanescente
calcolato nel 1994 da Bert Hecth nella sua
tesi di dottorato, praticamente per i valori
di indici di rifrazione e configurazione del
nostro esperimento. La curva (a) indica
l’interferenza di campo lontano, la curva
(b) è il vero andamento calcolato tenendo
conto delle riflessioni multiple e trovato da
noi sperimentalmente mentre la curva (c)
indica il puro andamento esponenziale che si
avrebbe se non ci fossero le riflessioni multiple
all’interfaccia. Quando riguardo questa figura
non posso fare a meno di essere ancora
ammirata per la chiarezza con cui Gozzini
aveva visto il fenomeno e l’onestà intellettuale
che rifletteva la sua totale fiducia nel risultato
sperimentale. In figura è riportato anche il
valore minimo di variazione di lunghezza
misurato applicando questo metodo basato
sulla modulazione dell’onda evanescente e il
limite teorico che risulta dal rumore Shottky
legato alla natura corpuscolare dei fotoni.
Non essendo abituati a pensare in termini
di scala nanometrica, molte discussioni e
riflessioni furono fatte sul significato fisico di
una misura dell’ordine di 10-3 Å visto che è
al di sotto della dimensione atomica, ma nel
caso di vibrazioni di un reticolo cristallino si
interpretava bene come uno spostamento
medio e in fase.
4 Microscopia ottica in campo prossimo
La microscopia ottica a scansione in campo
prossimo è nata nel 1984 con due esperimenti
indipendenti e simultanei [9,10]; una
trattazione generale molto bella si trova nel
recente libro di Novotny e Hecht [11]. L’idea
di base per superare il limite di risoluzione
imposto dalla diffrazione è quella di eliminare
Fig. 5 Registrazioni dell’onda
evanescente riprese da rif. [1]
e paragone con l’andamento
teorico di Bert Hecht,
cortesemente concesso
dall’autore.
Esperimento: $Lmin (misurato) ^10-3Å
$Lmin (teorico) ^10-4Å
Teoria: B. Hecht, Ph.D. Thesis, 1996
vol24 / no1-2 / anno2008 >
51
percorsi
SNOM con Apertura
RIT Frustrata
z
SNOM senza apertura
Onda Evanescente
Campione
Prisma
θ
Onda Incidente
Riflessione Totale
~ 50 nm
< 10 nm
Fig. 6 Schemi di SNOM.
la propagazione della luce, in altri termini
di contare sulle onde evanescenti
(il campo prossimo) invece che sulle normali
onde propaganti (il campo lontano), dove
la terminologia evanescente, propagante,
campo prossimo, campo lontano, è quella
corrente nella comunità SNOM [12]. Le tre
configurazioni correnti di microscopia in
campo prossimo sono schematizzate in fig. 6.
Nella prima, il campo prossimo è generato
proprio con la riflessione totale interna
frustrata, equivalente ottico dell’effetto
tunnel elettronico. La seconda va sotto il
nome di SNOM ad apertura perché il campo
prossimo è generato forzando la luce
attraverso una apertura, tipicamente una
fibra ottica rastremata ad una estremità, di
dimensioni molto più piccole (~ 50 nm per
sonde commerciali) della sua lunghezza
d’onda. Per il principio di reciprocità di
Babinet, questa è equivalente alla terza
configurazione, detta SNOM senza apertura
o scattering SNOM in cui la sonda di campo
prossimo è un nanoscatteratore (curvatura
apicale <10 nm), tipicamente una punta
metallica di microscopio a effetto tunnel STM
52 < il nuovo saggiatore
o una sonda di microscopio a forza atomica
AFM. L’immagine ottica in campo prossimo
è raccolta durante una scansione a rastrello
della superficie del campione, mantenuto con
estrema stabilità in campo prossimo, a distanza
nanometrica dalla sonda, proprio con tecniche
come quelle introdotte nel nostro esperimento
per l’osservazione dell’onda evanescente.
Come il microscopio ottico classico, lo
SNOM non è invasivo, ha svariati modi di
contrasto ottico, ma non essendo limitato
dalla diffrazione raggiunge risoluzioni spaziali
oltre il limite di Abbe o criterio di Rayleigh
(∆x ~ λ/2NA, con NA apertura numerica dello
strumento), ben sotto la lunghezza d’onda.
Per questo lo SNOM è stato lo strumento
di caratterizzazione e manipolazione ottica
che ha aperto il campo detto nano-ottica.
Tuttavia, va detto che lo SNOM non è ancora
un microscopio di facile uso, come oggi è l’AFM
e l’STM, e ha lo svantaggio intrinseco rispetto
alla microscopia ottica tradizionale di essere un
processo lento perché l’informazione è raccolta
punto per punto e non permette la proiezione
diretta di immagini in tempo reale.
M. Allegrini: L’onda evanescente e la nano-ottica
5 Conclusioni
La visione che Gozzini aveva della fisica era
globale, nel senso che spaziava con continuità
da un campo all’altro e vedeva connessioni
tra argomenti in apparenza molto distanti.
I suoi interessi anticipavano i tempi e le sue
idee originali hanno ispirato ricerche anche a
distanza di tanti anni. Come esempi personali
cito l’affascinante problema della pressione di
radiazione, riconosciuta da tempo come causa
dell’orientazione della coda delle comete e che
in anni recenti ha avuto un ruolo cruciale nel
campo del raffreddamento laser. A distanza
di oltre venti anni da quando Gozzini si era
interessato a questo problema, nel gruppo
di Cesare Ascoli abbiamo misurato in aria e a
temperatura ambiente l’effetto della pressione
di radiazione sulle levette di microscopi AFM
[13]. Lavorando in vuoto e con una levetta AFM
ricoperta da un piccolo strato di oro colleghi
tedeschi riportarono simultaneamente la
stessa misura [14]. Come effetto spettacolare
osservarono inoltre che la levetta
risultava letteralmente bruciata, a seguito
dell’assorbimento della luce da parte dell’oro
e della difficoltà di dissipazione termica in
vuoto. Il secondo esempio, sempre legato
al fenomeno della pressione di radiazione,
riguarda il trasferimento del momento
lineare del fotone in un dielettrico e l’annosa
controversia tra l’espressione di Abraham
p = ħ k/n e quella di Minkowski p = n ħ k, dove
p indica il momento del fotone, n l’indice di
rifrazione del mezzo e k il vettore d’onda.
La letteratura su questo vecchio problema
è ricchissima, per cui mi limito a riportare
l’affascinante libro di Peierls [15], due recenti
punti di vista [16, 17], l’articolo di rassegna più
recente [18] e il nostro modesto contributo di
esperimento [19] che, basato sull’uso di levette
AFM come quello sulla pressione di radiazione
di rif. [13], tentava una indagine diretta del
fenomeno.
Come ultima figura riporto una foto che mi
è particolarmente cara, presa durante una
conferenza [20] alla Scuola Normale Superiore
dove Gozzini nel 1985 si era trasferito
fondando il primo laboratorio della Scuola. La
terza persona della foto, Sebastiano Barbarino
che veniva da Catania per passare lunghi
periodi in laboratorio con Gozzini quando si
dedicava ai fenomeni di bistabilità ottica, mi
vol24 / no1-2 / anno2008 >
53
percorsi
offre l’opportunità di ricordare altri aspetti della personalità
di Gozzini e della ricchezza di insegnamenti di vita che
infondeva al di là della fisica. Gozzini amava profondamente
la Sicilia dove coltivava rapporti fortissimi di amicizia e
stima reciproca. Quando nel 1994 sono stata chiamata sulla
cattedra di Ottica Quantistica all’Università di Messina, dove
ho passato sei anni, ho trovato tra i colleghi siciliani tutti quei
valori che Gozzini apprezzava e che io ho avuto la fortuna di
conoscere ed apprezzare a mia volta.
Anche nella vita normale fuori dal lavoro, i suoi riferimenti a
Danilo Dolci e Leonardo Sciascia mi hanno aiutata a capire la
realtà siciliana.
Concludo con la speranza di aver dimostrato che Adriano
Gozzini è stato non solo un pioniere della nano-ottica, ma
anche un “maestro”, un grande maestro che pensava in
grande, e una figura scientifica e umana il cui impatto e
insegnamento rimane per tutta la vita.
Ringraziamenti
Desidero ringraziare Cesare Ascoli, Franco Bassani e Silvia
Gozzini per l’interesse dimostrato e i suggerimenti sul testo.
Maria Allegrini
Professore di Struttura della Materia presso la Facoltà di Ingegneria
dell’Università di Pisa, si è laureata con il professor Adriano Gozzini
con una tesi sull’onda evanescente nel visibile. Il suo percorso
di ricerca è partito dalla fisica atomica e molecolare, affrontata in
particolare con la spettroscopia laser ad alta risoluzione, per arrivare
a scienze dei materiali e in particolare a tematiche di nano-ottica
(http://www.df.unipi.it/gruppi/struttura/ma/
page.html).
54 < il nuovo saggiatore
Bibliografia
[1] M. Allegrini, C. Ascoli, A. Gozzini, Optics Commun., 2 (1971) 435.
[2] G. Toraldo di Francia, J. Opt. Soc. Am., 45 (1955) 497.
[3] “Ettore Majorana Scientific Papers, On occasion of the centenary
of his birth”, a cura di G. F. Bassani and the Council of the Italian
Physical Society (SIF, Bologna; Springer, Berlin) 2006.
[4] W. J. Brya, S. Geschwind, G. E. Devlin, Phys. Rev. Lett., 21 (1968)
1800.
[5] A. Kastler, Experientia VIII, (1952) 1.
[6] A. Battaglia, F. Bruin, A. Gozzini, Nuovo Cimento, 7 (1958) 1.
[7] G. Herziger, H. Lindner, Phys. Lett. A, 24 (1967) 684.
[8] M. Allegrini, “La rivelazione dei fononi generati nella risonanza
paramagnetica”, Tesi di Laurea in Fisica, Università degli Studi di
Pisa, Anno Accademico 1967-1968.
[9] D. W. Pohl, W. Denk, M. Lanz, Appl. Phys. Lett., 44 (1984) 651.
[10] A. Lewis, M. Isaacson, A. Harootunian, A. Murray, Ultramicroscopy,
13 (1984) 227.
[11] L. Novotny, B. Hecht, “Principles of Nano-optics” (Cambridge
University Press) 2006.
[12] D.W. Pohl, Philos. Trans. R. Soc. Lond. A, 362 (2004) 701.
[13] M. Allegrini, C. Ascoli, P. Baschieri, F. Dinelli, A. Lio, T. Mariani,
Ultramicroscopy, 42-44 (1992) 371.
[14] O. Marti, A. Ruf, M. Hipp, H. Bielefeldt, J. Colchero, J. Mlynek,
Ultramicroscopy, 42-44 (1992) 345.
[15] R. Peierls, “More Surprises in Theoretical Physics” (Princeton
University Press) 1991.
[16] U. Leonhardt, Nature, 444 (2006) 823.
[17] M. Buchanan, Nature. Phys., 3 (2007) 73.
[18] R. N. C. Pfeifer, T. A. Nieminen, N. R. Heckenberg, H. RubinszteinDunlop, Rev. Mod. Phys., 79 (2007) 1197.
[19] M. Labardi, G. C. La Rocca, F. Mango, G. F. Bassani, M. Allegrini, J.
Vac. Sci. Technol. B, 14 (1996) 868.
[20] “Interaction of Radiation with Matter”, A volume in honour of
Adriano Gozzini, Scuola Normale Superiore, Quaderni, Pisa 1987.