percorsi - Società Italiana di Fisica
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percorsi Il filo di Ariane: la nascita dell’europa spaziale Arturo Russo Dipartimento di Fisica e Tecnologia Relative, Università di Palermo La collaborazione spaziale europea rappresenta un elemento importante del processo di integrazione economica e politica dei paesi europei. La nascita dell’Agenzia Spaziale Europea rappresenta un esempio di come tale processo si sia realizzato risolvendo le contraddizioni tra interessi nazionali e finalità dell’impegno collettivo. Agli occhi di molti dei suoi cittadini, l’Europa ha il volto delle personalità politiche che rappresentano i diversi paesi dell’Unione nel Parlamento di Strasburgo o nella Commissione di Bruxelles. Essa fa parlare di sé quando i ministri si riuniscono per discutere della politica agricola, dell’armonizzazione dei sistemi fiscali o del rispetto di astratti parametri economici. A volte l’Europa impone regole il cui carattere burocratico appare spesso estraneo, se non ostile, rispetto a consolidate tradizioni nazionali; altre volte essa richiama antichi ideali quando i capi di stato e di governo sono chiamati a delineare nuovi confini e nuove forme istituzionali. È un’Europa che offre risorse e occasioni di sviluppo alle sue tante e variegate regioni, ma che le costringe anche a confrontarsi su un terreno sempre più competitivo. È l’Europa della moneta unica e delle frontiere aperte, ma anche l’Europa che stenta a trovare un ruolo determinante nell’arena decisiva della grande politica internazionale. Accanto a questa Europa dell’economia e della politica ce n’è un’altra, meno nota, ma forse più solida nelle sue strutture istituzionali e nel suo sentimento di appartenenza. Si tratta dell’Europa delle grandi istituzioni scientifiche e tecnologiche quali l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, l’Agenzia Spaziale Europea, il Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare, l’Osservatorio Australe Europeo (ESO), l’Infrastruttura Europea per la Radiazione di Sinchrotrone (tab. I). La creazione e lo sviluppo di queste istituzioni si sono intrecciate, a partire dagli anni ‘50, con il 36 < il nuovo saggiatore processo di integrazione europea. Esse hanno stimolato e sostenuto tale processo attraverso l’azione consapevole di una vasta comunità intellettuale che ha riconosciuto nella collaborazione internazionale la sola possibilità di operare con successo sulla frontiera più avanzata della ricerca scientifica. Fisici, chimici, biologi, astronomi, matematici, ingegneri sono stati i primi a sentirsi parte di una nuova cittadinanza continentale in cui la diversità di culture e linguaggi, un tempo fonte di incomprensione e inimicizia, diventava la risorsa più importante. Essi hanno intessuto una solida rete di rapporti umani, professionali e istituzionali che hanno contribuito, in modo spesso determinante, a orientare l’azione dei governi e a costruire una credibile identità europea. La storia della collaborazione spaziale europea rappresenta una parte importante di questa identità, e in essa possiamo riconoscere molti aspetti caratteristici del faticoso processo di integrazione tra i diversi paesi europei. Tra questi aspetti, uno dei più importanti è certamente la ricerca continua di meccanismi capaci di risolvere le contraddizioni tra gli interessi nazionali e gli scopi dell’impegno collettivo. Le nazioni europee, infatti, hanno bisogno di collaborare per garantire al Vecchio Continente una collocazione importante nello scenario mondiale, ma tale collaborazione può essere accettata e avere successo solo se ogni Stato riconosce che essa favorisce anche il perseguimento dei propri interessi nazionali. European Organisation for Nuclear Research (1954) Ricerca sulla fisica delle particelle elementari Sede a Ginevra (CH) 20 paesi membri European Southern Observatory (1962) Ricerca astronomica nel cielo australe Quartier generale a Garching (D) Due grandi sistemi di telescopi in Cile 13 paesi membri European Molecular Biology Laboratory (1974) Ricerca di base nel campo della biologia molecolare Laboratorio principale a Heidelberg (D) Altri laboratori: Hamburg (D), Grenoble (F), Hinxton (UK), Monterotondo (I) 19 paesi membri European Space Research (1975) [1964] Promozione e sviluppo delle attività spaziali Quartiere generale a Parigi (F) Centri tecnico-operativi: Noordwjik (NL), Darmstadt (D), Frascati (I), Köln (D), Villafranca (E), Kourou (Guyane Fr.) 17 paesi membri European Synchrotron Radiation Facility (1988) Studio delle proprietà dei materiali con luce di sincrotrone Sede a Grenoble (F) 18 paesi membri Tab. I Organizzazioni europee per la ricerca scientifica e tecnologica. 1 I primi programmi spaziali europei Le prime idee sulla possibilità di una collaborazione europea in campo spaziale furono discusse in un pomeriggio di primavera nel 1959 da due esponenti di primo piano della fisica europea, l’italiano Edoardo Amaldi e il francese Pierre Auger, nel corso di una passeggiata nel Jardin du Luxemburg a Parigi. L’iniziativa era partita dal fisico italiano qualche mese prima, nella prospettiva di ripetere nel campo della ricerca spaziale quanto era stato realizzato per la fisica delle particelle elementari con la creazione del CERN. Come la maggior parte dei fisici europei, Amaldi era stato fortemente impressionato dagli importanti risultati scientifici ottenuti dai primi satelliti sovietici e americani, e riteneva che solo attraverso una collaborazione internazionale sarebbe stato possibile realizzare anche in Europa un programma spaziale di ampio respiro. Toccava alla comunità scientifica definire un progetto credibile e ottenere dai governi nazionali le risorse necessarie. Il percorso, in sostanza, era lo stesso che Amaldi e Auger avevano già sperimentato nel caso del CERN, il grande laboratorio europeo per la fisica della particelle elementari realizzato vicino Ginevra con il contributo di 12 paesi europei, che proprio alla fine del 1959 avrebbe visto entrare in funzione il più potente acceleratore di particelle del mondo: un protosincrotrone da 25 miliardi di elettronvolt. Occorre ricordare che il primo satellite artificiale, denominato Sputnik 1, era stato lanciato dall’Unione Sovietica nell’ottobre del 1957. Ad esso erano seguiti altri satelliti lanciati sia dai sovietici che dagli Stati Uniti, e al tempo della passeggiata di Amaldi e Auger la competizione spaziale tra le due superpotenze rappresentava un aspetto centrale della guerra fredda. Per gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica lo spazio era un importante terreno di confronto politico. Attraverso gli spettacolari successi dei rispettivi programmi spaziali, la Casa Bianca e il Cremlino volevano dimostrare ai paesi del Terzo Mondo la superiorità dei loro valori ideologici, l’efficienza delle loro istituzioni politiche, la capacità dei loro sistemi industriali, la potenza delle loro forze armate. Il 12 aprile 1961, il cosmonauta sovietico Yuri Gagarin fu il primo essere umano nello spazio. Il mese dopo il presidente americano John Kennedy impegnò il proprio paese a portare un astronauta americano sulla luna prima della fine del decennio. Nulla di paragonabile all’impegno di americani e sovietici era possibile in Europa, anche se alcuni dei principali paesi europei avevano avviato dei programmi spaziali nel corso degli anni ‘50. Nel Regno Unito era stato sviluppato un importante programma scientifico con l’uso di razzi lanciati nell’alta atmosfera. Inoltre era stata avviata una collaborazione con gli Stati Uniti per la realizzazione di una vol24 / nO1-2 / anno2008 > 37 percorsi serie di satelliti scientifici denominati Ariel, il primo dei quali fu lanciato da Cape Canaveral il 26 aprile 1962. In Francia, un deciso impegno in questo campo fu avviato a partire dal 1958, in seguito alla decisione del presidente Charles De Gaulle di dotare il paese di una force de frappe indipendente. Nel 1961 fu creato il Centre National d’Etudes Spatiales (CNES), il cui primo compito fu quello di sviluppare il razzo Diamant, capace di mettere in orbita un satellite artificiale. I frutti di tali investimenti non si fecero attendere. Il 26 novembre 1965 un vettore Diamant lanciò il primo satellite francese, denominato Astérix, dalla base di Hammaguir, in Algeria. La Francia divenne così la terza potenza spaziale, confermando il proprio impegno a un ruolo indipendente in questo settore di grande importanza strategica. Anche l’Italia non mancò di avviare un programma spaziale già nella prima metà degli anni ‘50, in collaborazione con gli Stati Uniti. Va detto, a questo riguardo, che il primo satellite europeo fu il satellite italiano San Marco, lanciato da un razzo americano Scout il 15 dicembre 1964. Malgrado questi sforzi, non c’era alcuna possibilità per i paesi europei di competere con i programmi spaziali delle due superpotenze. Entrambe, infatti, erano motivate da forti interessi politici e militari, ed erano pronte a investire enormi risorse materiali e intellettuali per conseguire i propri obiettivi strategici. La competizione politica e militare nella guerra fredda, però, non era il solo aspetto della conquista dello spazio. L’uso di tecnologie spaziali apriva nuove prospettive di ricerca scientifica in molti settori della fisica e dell’astronomia, e la comunità scientifica europea non voleva mancare questa grande opportunità. Inoltre, si potevano ipotizzare sviluppi significativi in importanti settori applicativi a carattere non militare, quali le telecomunicazioni o la meteorologia. Infine, agli occhi di molti ambienti industriali, lo spazio appariva come un elemento decisivo per il rinnovamento tecnologico dell’industria europea nel quadro della competizione economica internazionale. Nessun paese europeo poteva farcela da solo, ma se si fosse riusciti a sviluppare uno sforzo collettivo sarebbe stato possibile ottenere le risorse necessarie. 2 La creazione della European Organization for Space Research (ESRO) La prima iniziativa, come abbiamo visto, venne dalla comunità scientifica. Dopo l’incontro tra Amaldi e Auger, furono organizzate, a Parigi e a Londra, una serie di riunioni cui parteciparono autorevoli esponenti delle comunità scientifiche di diversi paesi per mettere a punto il progetto di una organizzazione europea per la ricerca spaziale. Momento conclusivo di questa informale fase di preparazione fu la riunione dei delegati di vari governi organizzata al CERN a 38 < il nuovo saggiatore fine novembre 1960. Al termine di quella riunione fu creata una commissione preparatoria con il compito di definire il programma scientifico e gli aspetti legali della futura organizzazione. Dopo tre anni di lavoro la commissione si sciolse dando vita alla European Organisation for Space Research (ESRO), la cui Convenzione entrò ufficialmente in vigore il 20 marzo 1964. Qualche mese dopo ESRO lanciò con successo i sui primi razzi per lo studio delle proprietà dell’alta atmosfera. I primi satelliti furono lanciati nel 1968. Della nuova organizzazione facevano parte 10 paesi (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna, Svezia e Svizzera), i quali contribuivano al suo bilancio in proporzione al rispettivo prodotto interno lordo (tab. II). È importante osservare che l’elenco comprende anche la Spagna del regime franchista, che per la prima volta si ritrova in un’organizzazione che raccoglie le grandi democrazie dell’Europa occidentale. Tre aspetti vanno messi in evidenza per quanto riguarda ESRO. In primo luogo, ESRO fu concepita fin dall’inizio come un’organizzazione esclusivamente dedicata alla ricerca scientifica. In nessun momento della lunga fase preparatoria si parlò dell’opportunità di sviluppare un impegno nel campo dei satelliti applicativi, ad esempio per le telecomunicazioni o la meteorologia. Questo dava alla comunità scientifica il pieno controllo del programma dell’organizzazione. Tale programma veniva discusso dagli scienziati dei diversi paesi membri attraverso un complesso sistema di comitati e gruppi di esperti che proponevano infine gli obiettivi delle varie missioni spaziali e gli strumenti tecnici per realizzarli. In secondo luogo, tra i compiti dell’organizzazione non c’era quello di costruire i razzi per lanciare i propri satelliti. Gli scienziati, in altre parole, volevano costruire i satelliti e gli strumenti scientifici da collocare a bordo di essi, ma non erano interessati a chi avrebbe fornito i razzi necessari a metterli in orbita, a patto che questi fossero forniti ad un costo ragionevole e fossero sufficientemente affidabili. E anche se alcuni paesi europei, come vedremo, erano impegnati a costruire un razzo capace di lanciare satelliti di grande dimensione, restava il fatto che i razzi americani erano già disponibili e offrivano un ampio spettro di prestazioni. Inoltre, un impegno nel campo dei vettori di lancio aveva ovvie implicazioni militari e i paesi formalmente neutrali (non membri della NATO), quali la Svezia o la Svizzera avrebbero avuto difficoltà a partecipare in questo sforzo comune. Infine, è opportuno sottolineare alcuni aspetti del programma scientifico di ESRO, così come era stato definito dagli scienziati che ne erano stati i padri fondatori Tale programma, che avrebbe dovuto svilupparsi in un arco di Tra questi, oltre ad Amaldi e Auger, è opportuno ricordare l’inglese Harrie Massey, il tedesco Reimar Lüst, l’olandese Hendrik van de Hulst, lo svedese Bengt Hultqvist A. russo: il filo di ariane: la nascita dell’europa spaziale otto anni, era molto ambizioso. Esso comprendeva razzi da inviare nell’alta atmosfera, piccoli satelliti, sonde spaziali e grandi telescopi spaziali. Praticamente tutti i settori della ricerca spaziale erano inclusi nel programma, senza che fosse indicata una precisa scala di priorità. Non c’è da sorprendersi, dunque, se ben presto i responsabili di ESRO furono costretti a confrontarsi con la dura realtà delle difficoltà tecniche, della scarsità delle risorse finanziarie, della forte competizione tra i diversi settori della comunità scientifica. Ciò implicò un doloroso processo di riduzione e ridefinizione del programma, con una drastica diminuzione del numero di satelliti e la fine dell’illusione di potere coprire tutti i campi di ricerca. 3 La nascita della European Launcher Development Organization (ELDO) Nello stesso periodo in cui gli scienziati erano impegnati nella costruzione di ESRO, un’altra organizzazione spaziale veniva creata in Europea, la European Launcher Development Organization (ELDO). Il suo scopo era quello di costruire un razzo capace di mettere in orbita satelliti di grandi dimensioni; i suoi paesi membri erano i quattro grandi europei (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) insieme a Belgio e Olanda, più l’Australia. Le origini di ELDO furono molto diverse da quelle di ESRO. La sua nascita non derivò da un impegno diretto della comunità scientifica ma da laboriosi negoziati intergovernativi. E gli interessi nazionali furono di gran lunga predominanti rispetto alla generosa visione europea che aveva caratterizzato l’iniziativa di Amaldi e Auger. I primi passi furono compiuti dal governo britannico nel corso del 1960. Per capirne le motivazioni occorre ricordare che già da qualche anno gli inglesi erano impegnati nello sviluppo di un missile balistico a medio raggio da usare su un eventuale teatro di guerra europeo. Tale missile, denominato Blue Streak, era un missile a combustibile liquido e il tempo richiesto per la preparazione al lancio era molto più lungo di quello richiesto dai missili di nuova generazione a combustibile solido che sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica stavano introducendo nei rispettivi arsenali. In altre parole, Blue Streak era divenuto obsoleto sul piano militare prima ancora di essere stato realizzato. Pur decidendo di abbandonare il progetto militare, il governo di Sua Maestà decise di studiare la possibilità di trasformare Blue Streak nel primo stadio di un razzo per lanciare satelliti civili e di sollecitare altri governi europei a collaborare in un progetto comune. Due erano i motivi alla base di tale iniziativa. In primo luogo, il desiderio di salvare gli investimenti già fatti e preservare le infrastrutture tecniche e industriali create in funzione del programma Blue Streak. In secondo luogo, l’invito ad una collaborazione europea nel campo della tecnologia spaziale era parte di una più generale strategia del governo britannico tendente a creare rapporti politici ed economici più stretti con gli alleati d’oltre Manica. Vale la pena ricordare che nel 1961 il governo britannico chiese di entrare nella Comunità Economica Europea e l’anno successivo fu avviato il progetto franco-britannico per lo sviluppo dell’aereo Concorde. Furono necessari molti incontri e molti negoziati prima che si arrivasse ad un accordo. La convenzione che dava vita a ELDO entrò ufficialmente in vigore il 29 febbraio 1964 (tab. III). Il programma di ELDO consisteva nella progettazione e costruzione di un razzo a tre stadi, chiamato Europa 1, capace di lanciare un grande satellite in orbita bassa. Il primo stadio sarebbe stato Blue Streak, di cui la Gran Bretagna avrebbe curato il completamento e l’operatività. La Francia avrebbe costruito il secondo stadio, denominato Coralie, e la Germania il terzo stadio, denominato Astris. All’Italia era affidato il compito di realizzare il satellite di prova, mentre Belgio e Olanda avrebbero fornito rispettivamente il centro di controllo a terra e i sistemi di telemetria. L’Australia, infine, avrebbe attrezzato la base di lancio a Woomera. La Gran Bretagna si era impegnata a fornire il maggiore contributo finanziario, pari a circa il 39% del costo totale. L’Europa entrò dunque nell’arena spaziale con due diverse organizzazioni, distinte tra loro non solo per gli obiettivi e i paesi membri, ma anche dal punto di vista della struttura organizzativa. Al vertice di entrambe stava un consiglio composto dai rappresentanti degli stati membri, ma la struttura esecutiva era molto diversa nei due casi. Il programma di ESRO era sviluppato da un Direttore Generale con il supporto di un grande centro tecnologico realizzato a Noordwjik, in Olanda. Grazie al legame diretto con la comunità scientifica europea, il management di ESRO godeva di un notevole livello di autonomia rispetto ai governi degli stati membri. Del tutto diverso era il caso di ELDO, la cui organizzazione era diretta da un Segretario Generale che godeva di poca autonomia nella gestione tecnica e finanziaria del programma. Ogni stato membro restava responsabile della realizzazione della propria parte del programma, che mancava per questo di una gestione unitaria e coordinata nei suoi diversi aspetti. Questa mancanza di controllo centralizzato fu la causa principale del fallimento di ELDO. 4 La ricerca di una coerente politica spaziale europea Nella seconda metà degli anni ’60 e all’inizio del decennio successivo, i governi europei furono impegnati in un aspro confronto sulla definizione di una politica spaziale unitaria e coerente, e quindi sulla opportunità di unificare le due organizzazioni esistenti in un’unica agenzia. Tale confronto vol24 / nO1-2 / anno2008 > 39 percorsi 1965 1968 Belgio 4,4 4,0 Danimarca Francia Germania Italia Olanda Spagna Svezia Svizzera Regno Unito 2,2 19,1 22,6 11,2 4,2 2,7 5,2 3,4 25,0 2,2 20,0 23,8 11,6 4,2 2,2 4,6 3,4 24,1 Tab. II I paesi membri di ESRO e il loro contributo al budget (%). ruotava intorno ad una questione centrale e decisiva, ovvero se l’Europa dovesse sviluppare razzi sempre più potenti per lanciare i suoi satelliti e acquisire così una completa autonomia in campo spaziale, oppure se dovesse affidarsi almeno in parte agli Stati Uniti. La questione risultò estremamente controversa e fonte di conflitti sempre più aspri tra i vari stati membri di ESRO e ELDO, rischiando di portare al fallimento ogni forma di collaborazione spaziale europea. Per capire il senso di quelle discussioni è opportuno considerare separatamente tre diversi aspetti, ovvero: (a) l’incapacità di ELDO di realizzare il proprio programma; (b) la crescente importanza dei satelliti per telecomunicazioni; (c) la proposta americana di collaborare nel programma post-Apollo. Vediamo questi aspetti uno ad uno. Nel giugno 1964, Blue Streak fu lanciato per la prima volta con pieno successo. Nei due anni successivi la qualificazione del razzo britannico come primo stadio del futuro lanciatore europeo fu definitivamente confermata. Malgrado tale successo, però, ELDO si ritrovò presto in grave crisi a causa di difficoltà tecniche e costi sempre crescenti. La data del primo lancio di Europa 1, originariamente prevista per il 1965 fu posticipata al 1967. Anche questo spostamento si dimostrò ottimistico. Nell’agosto di quell’anno, infatti, il razzo fu lanciato per la prima volta con il secondo stadio francese e un terzo stadio posticcio. Ancora una volta Blue Streak funzionò perfettamente, ma i motori di Coralie non si accesero. Un secondo tentativo, in dicembre, fu un nuovo fallimento, e l’intero programma Coralie dovette essere rivisto. La data del primo lancio di Europa 1 nella sua configurazione finale fu fissata per novembre 1968. Questa volta Coralie funzionò perfettamente, ma fallì il terzo stadio tedesco, Astris. Analogo fallimento si ripeté sette mesi più tardi. Finalmente, l’ultimo lancio di prova di Europa 1 avvenne il 12 giugno 1970, con l’obiettivo di mettere in orbita il satellite di prova costruito 40 < il nuovo saggiatore in Italia. Ancora un fallimento: il terzo stadio funzionò solo parzialmente, la carenatura non si aprì e il satellite non poté essere liberato dal suo abitacolo. Insieme al fallimento tecnico si registrava una drammatica escalation dei costi. Nel 1966, i governi dei paesi membri decisero di aumentare il finanziamento di ELDO, concordando allo stesso tempo una redistribuzione che riduceva significativamente il contributo della Gran Bretagna. Oltre a completare il programma di Europa 1 fu deciso anche di avviare un programma supplementare per realizzare una versione più potente, denominata Europa 2. Ancora una volta, la previsione di dimostrò ottimistica, e già alla fine del 1967 si riconobbe la necessità di un drastico ridimensionamento del programma Europa 2 per restare entro il limiti di spesa previsti. A questo punto le divergenze tra gli stati membri divennero distruttive. La Gran Bretagna, avendo completato con successo il programma Blue Streak, non era più interessata ad impegnarsi in un programma che sembrava sempre più fallimentare sul piano tecnico e del tutto fuori controllo sul piano finanziario. Alla fine del 1968 i governo britannico annunciò che non avrebbe più contribuito al programma Europa 2. Francia e Germania, insieme a Belgio e Olanda, decisero di andare avanti da soli, decidendo inoltre di avviare lo studio di un nuovo razzo, denominato Europa 3, molto più potente e basato su un progetto completamente diverso, che non richiedeva più Blue Streak come primo stadio. Contemporaneamente a questi sviluppi di ELDO, si registrava l’avvento dei satelliti per telecomunicazioni. Dopo vari satelliti sperimentali, nel giugno 1965 il satellite americano Early Bird inaugurò il primo servizio commerciale di telecomunicazioni transatlantiche per conto dell’organizzazione internazionale Intelsat. Il suo successo dimostrava da un lato la fattibilità tecnica e dall’altro la convenienza economica dei satelliti in A. russo: il filo di ariane: la nascita dell’europa spaziale 1965 1967 Regno Unito 38,8 27 Francia 23,9 25 Germania 22,0 27 Italia 9,8 12 Belgio 2,9 Olanda 2,6 Australia 9 Woomera Tab. III I paesi membri di ELDO e il loro contributo al budget (%). orbita geostazionaria per le comunicazioni a grande distanza. Oltre alla dimensione politica, militare e scientifica, lo spazio si rivelava come un settore strategicamente importante anche dal punto di vista economico. E se l’Europa voleva giocare un ruolo non marginale in questa nuova dimensione doveva impegnarsi in un programma di ricerca e sviluppo nel campo dei satelliti per telecomunicazioni. Inoltre, doveva dotarsi di un razzo capace di lanciare un satellite in orbita geostazionaria, ovvero a 36000 km di altezza sulla superficie terrestre. Europa 1 non aveva questa capacità, essendo stato progettato per lanciare grandi satelliti in orbita bassa. Quanto a Europa 2, la sua capacità era limitata a satelliti di piccole dimensioni, e non poteva garantire quindi una strategia di lungo periodo. Questo tipo di considerazioni aveva determinato la decisione di alcuni paesi di impegnare ELDO nella realizzazione di Europa 3, ma sul futuro di questa organizzazione, come abbiamo visto, non si poteva essere ottimisti. Due diverse iniziative furono avviate in Europa nel campo dei satelliti per telecomunicazioni. La prima vide impegnate congiuntamente Francia e Germania nella realizzazione di un piccolo satellite denominato Symphonie, che avrebbe dovuto essere lanciato con Europa 2. La seconda fu avviata da ESRO, con uno studio sulla possibilità di realizzare un grande satellite per la telefonia e la distribuzione di programmi televisivi sul continente europeo e l’area mediterranea. ESRO, come sappiamo, era stata creata come un’organizzazione dedicata unicamente alla ricerca scientifica, ma dopo il successo di Early Bird, il consiglio aveva autorizzato l’avvio di studi di fattibilità nel campo dei satelliti per telecomunicazioni. Il passaggio ad una fase di realizzazione richiedeva però un accordo unanime degli stati membri per cambiare i suoi statuti e provvedere al necessario finanziamento. Ciò non era facile per almeno tre motivi. In primo luogo, i governi dei paesi membri di ESRO non erano ugualmente interessati ad impegnarsi direttamente nello sviluppo delle telecomunicazioni via satellite. In secondo luogo, le amministrazioni postali e telefoniche dei vari paesi, che a quel tempo erano gli unici potenziali utilizzatori dei satelliti per telecomunicazioni, avevano calcolato che i costi di gestione di un sistema spaziale su scala europea sarebbero stati di gran lunga più elevati di quelli connessi alla gestione della fitta rete di cavi già esistente sul Vecchio Continente. In terzo luogo, gran parte della comunità scientifica era contraria alla prospettiva di cambiare la natura di ESRO, nel timore che gli interessi scientifici sarebbero stati sacrificati sull’altare delle applicazioni di interesse commerciale. Accanto ai problemi di ELDO e all’avvento delle telecomunicazioni via satelliti, il quadro delle attività spaziali europee fu ulteriormente complicato da un terzo elemento, in questo caso proveniente dagli Stati Uniti. Nel luglio del 1969, come sappiamo, i primi astronauti americani sbarcarono sul suolo lunare, realizzando così l’ambizioso obiettivo del programma Apollo della NASA. Pochi mesi dopo, in ottobre, la stessa NASA propose ai governi europei di collaborare con gli Stati Uniti nella realizzazione del cosiddetto programma post-Apollo. Il principale elemento di tale programma era la realizzazione di una navetta spaziale, il cosiddetto Space Shuttle, che si presentava come una vera e propria rivoluzione tecnologica. Con un veicolo riutilizzabile, infatti, i costi connessi alla messa in orbita di un satellite sarebbero stati ridotti di un fattore dieci − così almeno sostenevano i responsabili dell’agenzia spaziale americana − e i costosissimi razzi a perdere si sarebbero rivelati del tutto obsoleti. Il programma post-Apollo rappresentava un’opportunità di eccezionale interesse per l’Europa. Esso offriva la possibilità di accedere alla tecnologia spaziale americana ed entrare vol24 / no1-2 / anno2008 > 41 percorsi nel settore del tutto sconosciuto in Europa dei voli spaziali con esseri umani. Di fronte ai governi europei si presentava quindi un dilemma di non facile soluzione: abbandonare definitivamente il programma Europa 3 e impegnarsi con la NASA nello sviluppo dello Space Shuttle; oppure lasciar cadere l’offerta americana e proseguire nello sviluppo di un’autonoma capacità di lancio al fine di acquisire una reale indipendenza in campo spaziale. Nel primo caso, l’industria europea avrebbe beneficiato delle sofisticate competenze tecniche e manageriali d’oltre-oceano, ma l’Europa sarebbe stata dipendente dai vettori americani per il lancio dei propri satelliti commerciali. Nel secondo caso, la ricerca dell’autonomia avrebbe implicato con ogni probabilità la realizzazione di un razzo tecnicamente obsoleto ed economicamente non competitivo. 5 Ha senso costruire un razzo europeo? È in questo quadro che si sviluppò un aspro dibattito sul ruolo e sul futuro di ELDO. Da una parte vi erano paesi sempre più scettici e pessimisti circa le possibilità di realizzare un vettore di lancio europeo affidabile ed economicamente conveniente. Altri, al contrario, erano fermamente convinti della necessità per l’Europa di acquisire una piena autonomia in campo spaziale. Gran Bretagna e Francia guidavano i due opposti schieramenti, come spesso accade negli affari europei. Il governo britannico sottolineava i costi elevatissimi dei futuri vettori europei in confronto con quelli americani già disponibili; il governo francese, da parte sua, insisteva che l’Europa non avrebbe potuto sviluppare una credibile politica spaziale se non avesse avuto una autonoma capacità di lancio dei propri satelliti commerciali. Di fronte alle crescenti difficoltà di ELDO, i britannici argomentavano che non aveva senso continuare a sviluppare un razzo che sarebbe stato un fallimento dal punto di vista economico. I francesi, sostenuti da tedeschi e belgi, affermavano che il futuro dell’Europa spaziale non poteva essere condizionato da fattori esclusivamente commerciali. L’impegno in questo campo, sostenevano, era un aspetto essenziale di una politica industriale di lungo periodo, tendente a ridurre il divario tecnologico con gli Stati Uniti nel settore chiave dell’industria aerospaziale nell’era delle telecomunicazioni su scala planetaria. Accanto ai temi economici, non mancavano gli aspetti più squisitamente politici. L’insistenza della Francia sulla necessità di garantire all’Europa piena autonomia in campo spaziale rifletteva la particolare visione del governo gollista circa il ruolo dell’Europa nel confronto tra le due super-potenze e la volontà di garantire alla Francia una piena autonomia politica e militare rispetto al potente alleato d’oltre oceano. Dietro la posizione britannica c’era da un lato la tradizionale “relazione speciale” che legava Londra e Washington sui grandi 42 < il nuovo saggiatore temi internazionali, dall’altro un radicale ripensamento della politica di ricerca e sviluppo da parte del nuovo governo laburista. Le nuove priorità, infatti, implicavano un progressivo disimpegno dai costosi programmi ad alto contenuto tecnologico, ma privi di sbocchi commerciali, quali quelli nei settori nucleare e aerospaziale. Inoltre, la decisa opposizione di de Gaulle all’ingresso del Regno Unito nella Comunità Economica Europea aveva fatto venir meno un importante aspetto politico dell’impegno britannico nei programmi di collaborazione europei. Il conflitto tra i due principali paesi europei fu ulteriormente complicato dall’offerta americana di partecipare al programma post-Apollo. La NASA, infatti, era sempre stata disponibile a offrire i propri razzi per lanciare i satelliti scientifici europei, ma la sua posizione era piuttosto ambigua riguardo ai satelliti applicativi. In particolare, il governo americano aveva detto chiaramente che la NASA non avrebbe reso disponibili i propri razzi per lanciare satelliti per telecomunicazioni che avrebbero potuto colpire gli interessi commerciali di Intelsat, l’organizzazione internazionale impegnata nel campo delle telecomunicazioni via satellite su scala mondiale, di cui anche i paesi europei facevano parte ma sostanzialmente controllata dagli Stati Uniti. In questa situazione lo scontro tra Francia e Gran Bretagna non poteva che irrigidirsi. Gli inglesi sostenevano che ci si poteva fidare degli Stati Uniti per quanto riguardava la disponibilità a lanciare i satelliti europei senza sostanziali limitazioni. I francesi, al contrario, erano più che convinti della necessità per l’Europa di acquisire una propria autonoma capacità di lancio, e quindi della necessità di non rinunciare al programma di sviluppo di Europa 3. Lo scontro raggiunse il punto di rottura alla riunione della Conferenza Spaziale Europea tenuta a Bruxelles nel novembre del 1970, qualche mese dopo il drammatico fallimento di Europa 1. Le discussioni furono bruscamente interrotte dopo il primo giorno, con Francia, Germania e Belgio che dichiaravano che avrebbero comunque continuato per la loro strada mentre la Gran Bretagna annunciava l’intenzione di abbandonare ELDO. In attesa di un chiarimento definitivo, la Francia decise inoltre di bloccare il bilancio di ESRO per il 1971 e annunciò la decisione di lasciare l’Organizzazione allo scadere della Convenzione, nel 1972. 6 La ricerca di un “package deal” La situazione politica circa il futuro dell’Europa spaziale rimase piuttosto disastrata per buona parte del 1971. Delusione, frustrazione e rabbia dividevano i governi che per quasi cinque anni si erano sforzati di trovare un accordo sulla politica spaziale. Ogni forma di collaborazione spaziale europea sembrava sull’orlo del fallimento e due sole alternative sembravano presentarsi: abbandonare tutto oppure cercare un A. russo: il filo di ariane: la nascita dell’europa spaziale compromesso globale, un “package deal” come fu definito, che potesse soddisfare gli interessi di tutti i protagonisti. Sul finire di quell’anno drammatico due importanti eventi segnarono il punto di svolta. In primo luogo, grazie al paziente lavoro diplomatico del presidente del Council di ESRO, il fisico italiano Giampietro Puppi, i paesi membri di questa Organizzazione riuscirono a trovare l’accordo su un package deal che offriva una base per il suo ulteriore sviluppo. In base a tale accordo, ESRO veniva definitivamente trasformata da un’organizzazione esclusivamente dedicata alla ricerca scientifica in una impegnata principalmente nello sviluppo di satelliti applicativi. Il programma scientifico, fortemente ridimensionato sul piano del supporto finanziario, rimase obbligatorio per tutti gli stati membri, mentre i programmi applicativi furono resi opzionali, ciascun paese essendo libero di scegliere se parteciparvi o meno in proporzione al proprio prodotto interno lordo (fig. 1). Nel quadro dell’accordo, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia si impegnarono a partecipare a tutti i programmi applicativi in modo da garantirne il sostegno finanziario. Su questa base, dopo cinque anni di studi di fattibilità, fu possibile avviare il programma di telecomunicazioni, che avrebbe portato in seguito al sistema Eutelsat. Insieme a questo, furono avviati altri due programmi applicativi: uno per lo sviluppo di un satellite meteorologico, che diventerà Meteosat; l’altro per un satellite destinato al controllo del traffico aereo, che però non avrà successo. Il secondo evento significativo fu il drammatico fallimento del primo lancio di prova di Europa 2. Questo vettore era una versione potenziata di quello previsto nel programma originario di ELDO, ed era stato progettato per lanciare in orbita geostazionaria un piccolo satellite per telecomunicazioni dalla base di lancio di Kourou, nella Guyane francese. Il conto alla rovescia andò avanti in modo impeccabile e il distacco avvenne all’ora prevista del 5 novembre 1971, alla presenza di un nutrito gruppo di dignitari e giornalisti. Dopo circa 2 minuti di volo regolare fu evidente che qualcosa non andava, il razzo deviò dalla traiettoria prevista e dovette essere distrutto. Il fallimento di Europa 2 determinò una radicale revisione della politica spaziale da parte di alcuni governi. Il cambiamento più rilevante si ebbe in Germania, il cui governo era stato uno dei più convinti sostenitori del vettore europeo. Frustrato dal persistente fallimento tecnico del terzo stadio e sempre più preoccupato per l’escalation dei costi di ELDO, il governo tedesco si convinse che l’Europa doveva abbandonare ogni illusione di indipendenza tecnologica nel campo dei grandi vettori di lancio e doveva piuttosto impegnarsi nella collaborazione con gli Stati Uniti nel quadro del programma post-Apollo. Più precisamente, l’Europa doveva accettare di sviluppare l’ambizioso progetto Spacelab, un laboratorio scientifico trasportato nello spazio a bordo dello Space Shuttle. Senza il sostegno della Germania il destino di ELDO era segnato. E infatti il governo francese annunciò che il CNES stava studiando un razzo di nuova concezione, le cui prestazioni erano analoghe a quelle di Europa 3, ma con una tecnologia più semplice. La Francia si impegnava a finanziare lo sviluppo di tale razzo fino al 60 % del suo costo totale, e invitava altri paesi interessati a unirsi al progetto coprendo la parte restante. Doveva essere chiaro, però, che il programma sarebbe stato realizzato al di fuori del contesto di ELDO, che il CNES ne avrebbe avuto la responsabilità tecnica e manageriale e che l’industria francese avrebbe avuto il ruolo guida. Il razzo era stato provvisoriamente denominato L3S, una sigla il cui significato era lanceur trois étages de substitution, ovvero in sostituzione di Europa 3. Il primo package deal aveva dato a ESRO una nuova ragione di essere; il fallimento di Europa 2 e la successiva divaricazione tra Francia e Germania avevano privato ELDO della sua. Nell’aprile del 1973, dopo un anno di ulteriori negoziati, il Consiglio di ELDO decise di interrompere definitivamente il programma Europa 2 e richiamare indietro il secondo esemplare del razzo già in navigazione verso la Guyane per un nuovo lancio di prova. Alla fine dello stesso anno, l’Organizzazione fu messa in liquidazione. Le basi per un nuovo package deal furono poste nel corso di una riunione interministeriale nel dicembre 1972. Era evidente che la ripresa di un impegno collettivo avrebbe potuto verificarsi solo se ciascuno dei paesi coinvolti avesse riconosciuto che gli obiettivi della collaborazione risultavano coerenti con il perseguimento dei propri interessi nazionali. Nessun programma spaziale che fosse onnicomprensivo e obbligatorio poteva soddisfare tale requisito. Il sistema di programmi opzionali definito nell’ambito del package deal di ESRO del 1971 era solo una soluzione parziale, in quanto prevedeva una distribuzione di costi proporzionale al prodotto interno lordo dei paesi partecipanti. Il passo successivo non poteva che essere un sistema à la carte, ovvero in sistema in cui ogni paese fosse libero di decidere non solo la sua partecipazione a ciascuno dei programmi, ma anche il livello del proprio contributo finanziario, ricevendo in cambio un ritorno equivalente in termini di commesse industriali. Fu il ministro britannico Michael Heseltine, responsabile per le attività spaziali nel nuovo governo conservatore, a suggerire la via d’uscita dalla crisi. Egli propose la creazione di un’unica agenzia spaziale europea al posto di ESRO ed ELDO, nella quale confluissero i programmi spaziali nazionali a condizione che, sommando i contributi di tutti i paesi partecipanti, si arrivasse a coprire il 100 % del costo previsto. Solo il programma scientifico sarebbe rimasto obbligatorio per tutti, con una distribuzione dei costi proporzionale al prodotto interno lordo di ciascuno dei paesi membri. In questo nuovo contesto istituzionale, la Francia e la Germania proposero di sviluppare in un contesto europeo i loro programmi preferiti, rispettivamente il razzo L3S e il laboratorio spaziale Spacelab. La Gran Bretagna, da parte sua, propose di integrare nella vol24 / no1-2 / anno2008 > 43 percorsi Fig. 1 Il “package deal” su ESRO (dicembre 1971). L3S (Ariane) Spacelab Marots Francia 62,5% 10% 15% Germania 320 MDM 52,55% 20% Regno Unito 11,25 MAU 6,3% 56% Italia 6% 21,1% 8% MDM : milioni di marchi tedeschi MAU : milioni di “accounting units”, unità monetaria convenzionale corrispondente circa a un dollaro USA Tab. IV Il secondo “package deal” (contributo dei “quattro grandi” ai programmi principali). 44 < il nuovo saggiatore collaborazione europea un programma nazionale per un satellite per telecomunicazioni marittime denominato Marots. Ci vollero molti mesi di aspri negoziati prima che si arrivasse ad un accordo. Il problema principale, come si può immaginare, era la distribuzione dei costi tra i diversi paesi al fine di arrivare al 100% di copertura finanziaria per i tre progetti principali: L3S, Spacelab e Marots. Il risultato fu raggiunto al termine di un ultimo giro di frenetiche consultazioni nel corso della conferenza interministeriale tenuta a Bruxelles il 31 Luglio 1973. In quella occasione si decise anche di denominare Ariane il razzo (francese) che, nella speranza di tutti, avrebbe finalmente portato l’Europa nello spazio (tab. IV). Con l’accordo sul secondo package deal furono poste finalmente le basi per il rilancio della collaborazione spaziale europea. Nell’aprile del 1975, i ministri riuniti nuovamente a Bruxelles approvarono la Convenzione della nuova European Space Agency, la quale cominciò a operare formalmente il successivo 31 maggio. Il 9 agosto dello stesso anno i colori di ESA furono portati per la prima volta nello spazio con il satellite scientifico COS-B, dedicato all’astronomia a raggi gamma, il cui progetto era stato sviluppato in ESRO nel corso dei cinque anni precedenti. Il 23 novembre 1977 fu lanciato il primo satellite applicativo, il satellite meteorologico Meteosat, seguito sei mesi dopo (12 maggio 1978) da OTS, il primo satellite europeo per telecomunicazioni. Infine, la vigilia di Natale 1979, il primo razzo Ariane fu lanciato con successo dalla base di Kourou: l’autonomia dell’Europa in campo spaziale era stata infine raggiunta. 7 Considerazioni conclusive A conclusione di questa rievocazione storica è opportuno sottolineare gli aspetti più significativi del lungo processo che ha portato alla definizione di un efficace contesto istituzionale per lo sviluppo della collaborazione spaziale europea. Il primo di tali aspetti è certamente il successo di ESRO. Malgrado difficoltà e ostacoli, grazie all’impegno della comunità scientifica e alla capacità dei suoi A. russo: il filo di ariane: la nascita dell’europa spaziale responsabili operativi, questa Organizzazione si dimostrò sufficientemente affidabile e capace di realizzare con successo i propri programmi. All’inizio degli anni ‘70, nel momento più critico della storia dell’Europa spaziale, ESRO aveva raggiunto piena maturità e competenza nella gestione di progetti molto avanzati dal punto di vista tecnologico e molto complessi dal punto di vita manageriale; aveva stabilito solidi rapporti con l’industria aerospaziale nei diversi paesi europei; e aveva posto solide basi per lo sviluppo dei satelliti applicativi. La nuova Agenzia Spaziale Europea sarà fondata essenzialmente sulla struttura tecnica e manageriale di ESRO. La stretta intesa tra Francia e Germania è il secondo importante aspetto che occorre sottolineare. Nel campo della politica spaziale come in molti altri settori del processo di integrazione europea, il rapporto tra questi due paesi è il nodo centrale di ogni sviluppo significativo. Il governo tedesco era stato sempre uno dei più convinti sostenitori della posizione francese riguardo ai vettori di lancio. Il suo interesse principale, però, non era tanto il perseguimento dell’autonomia spaziale europea quanto lo sviluppo dell’industria aerospaziale tedesca. Quando il fallimento di Europa 2 segnò la fine delle ambizioni tedesche nel campo della tecnologia dei vettori di lancio, la Germania si volse al progetto Spacelab, che apriva la porta alla sofisticata tecnologia connessa alla presenza umana nello spazio. Tuttavia, per il governo tedesco la collaborazione con gli Stati Uniti non poteva andare a detrimento dei consolidati legami europei. La definizione di un nuovo contesto istituzionale e programmatico per la collaborazione franco-tedesca in campo spaziale divenne una necessità politica nella primavera del 1972, e la diplomazia di entrambi i paesi fu molto impegnata nei mesi successivi. Il risultato fu la decisione tedesca di contribuire al progetto Ariane e, contemporaneamente, l’impegno francese nel progetto Spacelab. Questo fu il reale fondamento del package deal del 1973. Infine, dobbiamo ricordare il ruolo degli Stati Uniti, vero e proprio “convitato di pietra” sul palcoscenico della politica spaziale europea. L’offerta americana di partecipare al programma post-Apollo piombò fragorosamente sul tavolo dei negoziati europei modificando radicalmente le coordinate entro le quali venivano discussi il contesto e gli obiettivi della collaborazione spaziale europea. La persistente ambiguità circa la disponibilità dei vettori di lancio americani fu una delle principali ragioni perché il governo francese tenesse ferma la sua politica spaziale. La Francia non poteva accettare alcun accordo in cui gli Stati Uniti si riservassero l’ultima decisione riguardo al lancio dei satelliti applicativi europei. Tale convincimento fu rafforzato quando, in seguito al fallimento di Europa 2, fu necessario ricorrere a un razzo ThorDelta americano per lanciare il satellite francotedesco Symphonie. I molti vincoli imposti dalle autorità degli Stati Uniti circa l’eventuale uso operativo (non sperimentale) di questo satellite dimostrò drammaticamente quanto fosse necessaria la disponibilità di un vettore di lancio europeo per sostenere un impegno nei settori con significative implicazioni di carattere economico. In un certo senso, possiamo concludere questa nostra piccola storia della nascita dell’Europa spaziale dicendo che Ariane, e quindi la stessa Agenzia Spaziale Europea, hanno un debito di gratitudine nei confronti degli Stati Uniti. Arturo Russo Professore ordinario di Storia della Fisica all’Università di Palermo, è impegnato in attività di ricerca sulla storia della fisica del Novecento, anche in riferimento al contesto culturale e sociale dell’impresa scientifica nel suo complesso. Si interessa inoltre alle possibili ricadute della ricerca storica sulla didattica della fisica. Ha pubblicato libri e saggi riguardanti la storia della teoria dei quanti, la storia della fisica dei raggi cosmici, il rapporto tra scienza e industria negli Stati Uniti e in Italia tra le due guerre mondiali, la storia della fisica delle particelle elementari, la storia della ricerca spaziale. Ha collaborato al progetto per la storia del CERN ed è stato promotore e animatore del progetto per la storia dell’Agenzia Spaziale Europea. vol24 / no1-2 / anno2008 > 45 percorsi L’ONDA EVANESCENTE E LA NANO-OTTICA Maria Allegrini Dipartimento di Fisica “E. Fermi”, Università di Pisa In parallelo alle nanoscienze e alle nanotecnologie si sta rapidamente sviluppando l’ottica a scala nanometrica o nano-ottica. Adriano Gozzini, con la prima osservazione dell’onda evanescente nel visibile e l’applicazione alla misura di spostamenti molto più piccoli della lunghezza d’onda della luce, può essere considerato come un precursore della nano-ottica. 1 Introduzione Il XCIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Fisica (SIF), tenutosi a Pisa dal 24 al 29 settembre 2007, ha dedicato una sessione in onore del professor Adriano Gozzini. Ringrazio il professor Vergara Caffarelli per avermi invitata a contribuire con una presentazione e il professor Bassani per avermi chiesto di riportarne i contenuti in questa nota. Argomento della presentazione è l’onda evanescente e la nano-ottica, cioè quella parte dell’ottica che tratta i fenomeni ottici e le interazioni della luce con la materia a scala nanometrica, ben sotto la lunghezza d’onda della luce nel visibile (~350–800 nm) e ben al di là del limite di risoluzione (~λ/2) posto dal fenomeno della diffrazione. In particolare, presento l’esperimento che tra i tanti proposti dal professor Gozzini scelsi per la mia tesi di laurea e che portò alla prima osservazione sperimentale diretta dell’onda evanescente nel visibile. L’articolo che ne derivò, pubblicato su Optics Communications [1], a mio parere anticipò di circa 20 anni la microscopia ottica a scansione in campo prossimo (SNOM) e la nano-ottica. In realtà Gozzini non pensò di usare l’onda evanescente per fare microscopia ottica con risoluzione oltre il limite di diffrazione, ma per misurare piccoli spostamenti. Forse per questo l’articolo [1] è praticamente sconosciuto alla comunità SNOM, che per altro ignora anche il contributo di Giuliano Toraldo di Francia “Resolving power and information” [2]. Per quanto famoso in ottica classica e nonostante la sua rilevanza in microscopia ottica, il lavoro [2] non si trova quasi mai citato negli articoli di microscopia in campo prossimo. 46 < il nuovo saggiatore D’altra parte non c’è da stupirsi, visto che anche i lavori di fisica atomica di Ettore Majorana, poco citati a suo tempo, sono stati “riscoperti” solo recentemente grazie ad una iniziativa della SIF [3]. Come illustrato da Francesco Maccarrone nella stessa sessione del congresso, il professor Gozzini dedicava tanto del suo tempo alle tesi di laurea e seguiva con grande cura i suoi numerosi laureandi. Qui ho l’occasione di riportare la mia testimonanzia come una dei laureandi che hanno avuto il privilegio di averlo avuto come relatore. “Prendere la tesi” con il professor Gozzini era una esperienza unica e anche un pò avventurosa perché era un vulcano di idee che amava illustrare portandoci a prendere il caffé al mitico bar pisano “Il Battellino”. E questo succedeva tante volte al giorno, come ricorderanno quanti lo hanno conosciuto. A quell’epoca, ormai 40 anni fa, non bevevo caffé, ma non rifiutavo mai un invito di Gozzini ad accompagnarlo al Battellino perché era affascinante sentirlo parlare di fisica (e non solo di fisica). Il pericolo era che, presi dall’entusiasmo per le idee sempre nuove, si rischiava di cambiare argomento di tesi tra un caffé della mattina ed uno del pomeriggio. Arriviamo dunque all’argomento della mia tesi di laurea dal titolo “La rivelazione di fononi generati nella risonanza paramagnetica”. Quando a novembre del 1967, alla fine del terzo anno di studi, chiesi la tesi al professor Gozzini si sentiva forte l’impatto del premio Nobel dell’anno precedente assegnato a Alfred Kastler per il pompaggio ottico e anch’io ero molto attratta da quell’argomento. Ebbi M. Allegrini: L’onda evanescente e la nano-ottica tuttavia l’impressione che la vera passione di Gozzini fosse la risonanza magnetica, passione che trasmetteva direi “magneticamente”, e così scelsi questa tesi che ha portato alla rivelazione dell’onda evanescente nel visibile. Leggendo il titolo dell’articolo che riporta i risultati dell’esperimento sull’onda evanescente (“Measurement of changes in length by an inhomogenous wave device”) non è facile capirne il legame con l’argomento della tesi, e per questo motivo cercherò di spiegare la connessione così come l’aveva vista e proposta Gozzini. 2 La rivelazione di fononi generati nella risonanza paramagnetica Nel fenomeno della risonanza magnetica un sistema di spin paramagnetici, sottoposto ad un campo statico che separa i livelli con spin up e spin down, assorbe energia da un campo a radiofrequenza (r.f.) applicato, cedendola successivamente al reticolo. La rivelazione della risonanza paramagnetica elettronica (EPR) usualmente era fatta esaminando la variazione, prodotta dal fenomeno, dell’intensità e della polarizzazione del campo a r.f.. Gozzini era invece più interessato a metodi alternativi per esaminare globalmente sul reticolo il fenomeno della risonanza, come: • l’aumento della temperatura T del campione; • l’esame del momento angolare assorbito, (il famoso “pendolino”, trattato da Cesare Ascoli in questa stessa sessione del Congresso della SIF); • la rivelazione diretta dei fononi, di frequenza dell’ordine di 104 MHz (ipersuoni) prodotti durante il ritorno all’equilibrio delle popolazioni dei sottolivelli Zeeman. In realtà c’era un’altra, e forse più forte, ragione per la quale Gozzini voleva rivelare i fononi emessi direttamente nel rilassamento degli spin elettronici. Pensava di usare la EPR come sorgente di ipersuoni e più precisamente di realizzare un maser a fononi con sorgente di potenza gli spin elettronici e basato sul fenomeno detto phonon bottleneck. È questa la situazione in cui, a causa dell’impossibilità di raggiungere con sufficiente rapidità l’equilibrio termico, i fononi in una banda di frequenza paragonabile alla larghezza di riga EPR sono eccitati in numero superiore al loro valore di equilibrio e rimangono concentrati nel cristallo. Una situazione che ricorda da vicino la condizione di inversione di popolazione nei laser. Il bottleneck era stato osservato esaminando la variazione dei tempi di rilassamento degli spin elettronici, (tipicamente brevi ~10-4 – 10-5 s), quando il numero di fononi presente nel cristallo è molto superiore a quello termico. Gozzini, secondo il suo stile, voleva osservare i fononi direttamente e conosceva molto bene l’esperimento basato sullo scattering di Brillouin a cui stavano lavorando nei laboratori Bell i colleghi americani Brya, Geschwind e Devlin [4] e che era stato proposto [5] più di 30 anni prima dal suo grande amico Alfred Kastler. Da parte sua pensò ad un metodo assolutamente originale per l’osservazione diretta dei fononi generati nel rilassamento spin-reticolo che consiste nella misura delle vibrazioni del cristallo attraverso la modulazione di una onda evanescente. Lo stato dell’arte a quel tempo sui metodi di misura di piccoli spostamenti era limitato a un metodo a radiofrequenza, già sperimentato nel laboratorio di Gozzini (6), e a metodi ottici: • Il metodo a r.f. consiste nel connettere il mezzo che si deforma al pistone di una cavità in modo che la misura dello spostamento viene riportata alla misura di una variazione di frequenza. Il metodo è molto sensibile e permette di misurare piccolissime variazioni di lunghezza (∆Lmin ∼ 1Å), ma a causa della massa del pistone ha tempi di risposta troppo lenti (dell’ordine del secondo), per essere usato come rivelatore di vibrazioni del cristallo. • Il sistema ottico più avanzato in quel momento era costituito da due laser montati dentro un tubo di quarzo ad alta stabilità meccanica e protetto da rumore acustico per una stabilità in frequenza di ∆ν = 100 Hz. La frequenza di battimento tra i due laser liberi è facilmente misurata con un analizzatore di spettro. Applicando un campo (dc o ac) ad un materiale piezoelettrico che sostiene uno specchio della cavità, si ottengono piccole variazioni ∆L della lunghezza L0 = 35 cm della cavità di uno dei due laser. ∆L a sua volta comporta una variazione ∆ν nella frequenza di battimento tra i due laser. Con questo dispositivo era stato misurato un rapporto ∆ν/∆L = ν0/L0 = 1,35 × 105 HzÅ-1 corrispondente a variazioni di lunghezza dell’ordine di 10-11 cm [7]. La sensibilità di questo metodo, capace di misurare un minimo spostamento ∆Lmin ∼ 10-3Å, era quindi largamente sufficiente per osservare i fononi del bottleneck, ma l’apparato era troppo ingombrante e tecnicamente molto complesso. Gozzini propose dunque di usare l’onda evanescente per misurare piccoli spostamenti. L’idea era semplice ed elegante, ma generare, osservare e raccogliere con un qualche dispositivo un’onda evanescente nel visibile era a quell’epoca un’impresa formidabile. La riuscita dell’esperimento si deve soprattutto alla eccezionale abilità sperimentale di Cesare Ascoli. Oltre all’osservazione dell’onda evanescente nel range ottico, furono dimostrate le prospettive della tecnica per la rivelazione di piccoli spostamenti di un cristallo, quali appunto quelli generati nel bottleneck, e per la modulazione di luce laser. Anche se non si pensò all’applicazione di microscopia ottica in campo prossimo, le soluzioni tecniche originali ed innovative che furono messe in opera nell’esperimento si ritrovano negli attuali microscopi a scansione a sonda e di fatto, senza saperlo, l’idea di Gozzini aveva aperto quel nuovo campo che oggi va sotto il nome di nano-ottica. vol24 / no1-2 / anno2008 > 47 percorsi 3 Apparato sperimentale per la rivelazione dell’onda evanescente L’esperimento era basato sul fenomeno della riflessione totale della luce alla superficie di separazione tra due mezzi di indice di rifrazione n1 ed n2 e del conseguente andamento dell’intensità dell’onda trasmessa in un terzo mezzo, di opportuno indice di rifrazione n3, che si ha in condizioni di riflessione interna totale (RIT) frustrata. In fig. 1 è riportata l’introduzione dell’articolo su Optics Communications [1] e le referenze relative agli esperimenti fatti fino a quel momento per l’osservazione di onde evanescenti. Tutti gli esperimenti erano a frequenze hertziane o a microonde quindi lo stato dell’arte era ben lontano dalla regione del visibile. Ho 48 < il nuovo saggiatore evidenziato la frase tra parentesi “neglecting multiple reflections” per sottolineare quanto profondamente Gozzini conoscesse il fenomeno, in cui le riflessioni multiple all’interfaccia sono il fattore primario per lo scostamento dall’andamento perfettamente esponenziale vicino al contatto, ma come decisamente preferisse semplificare il modello trascurandole. L’esperimento avrebbe mostrato l’andamento reale, in seguito perfettamente riprodotto da calcoli più accurati, e per me la piena fiducia di Gozzini nell’osservazione sperimentale è stata un grande insegnamento. Lo schema dell’apparato sperimentale con cui abbiamo osservato l’onda evanescente nel visibile è riportato in fig. 2, ripresa direttamente dalla mia tesi [8]. Fig. 1 Introduzione di rif. [1] Fig. 2 Schema dell’apparato sperimentale, da rif. [8] M. Allegrini: L’onda evanescente e la nano-ottica + + + + Pacchetto di 4 ceramiche piezoelettriche Rivelatore + - Elevatore di tensione V0 HT al piezo 2V0 x Fig. 3 Dettagli tecnici dell’apparato sperimentale. L’onda evanescente è prodotta dal fascio di un laser He-Ne (λ = 6328 Å) fatto passare attraverso un prisma di vetro con angolo di incidenza maggiore dell’angolo limite. Il dispositivo raccoglitore, indicato con P in figura, è una pallina di vetro, (ne furono provate diverse con indice di rifrazione da 1,48 a 1,6), solidale al campione C costituito da un pacchetto di 4 ceramiche piezoelettriche collegate in parallelo in modo da aumentare l’ampiezza delle vibrazioni del sistema senza dover ricorrere a differenze di potenziale molto alte. Per l’approccio grossolano al prisma, il campione è fissato ad una leva comandata da una vite micrometrica differenziale e in questo modo i movimenti necessari alla messa a punto risultano notevolmente demoltiplicati. BT, dal partitore all’asse x del registratore x-y Per l’approccio fine e quindi la rivelazione del decadimento della luce con la distanza, la ceramica è pilotata con una rampa di Vmax ~ 1500 V e una modulazione regolabile di un amplificatore lock-in. La rampa lenta (1–2 minuti) di alta tensione è ottenuta dal dente di sega di un oscillografo attraverso un elevatore di tensione a diodi e transistor, meglio conosciuto in elettronica come moltiplicatore di tensione di Villard. Dall’uscita calibrazione dello stesso oscillografo (i famosi, robusti Tektronix di un tempo) viene prelevata anche l’onda quadra a 1 kHz per modulare l’elevatore di tensione per cui il sistema è di una semplicità estrema e non richiede nemmeno un alimentatore esterno. La fig. 3 raccoglie e schematizza alcuni vol24 / no1-2 / anno2008 > 49 percorsi Fig. 4 Ripresa dalla fig. 1 di rif. [1]. dettagli tecnici di questo apparato che oggi si ritrovano, in versione ovviamente evoluta, negli attuali SNOM, ma che erano assolutamente innovativi in quel tempo. Forse anche in questo senso possiamo affermare che l’esperimento messo a punto per la rivelazione dell’onda evanescente nel visibile è stato pioniere della nanoottica. Siccome non esistevano attuatori piezoelettrici per una escursione sufficiente di avvicinamento, la soluzione fu di tagliare in quattro fette una striscia piezoelettrica di circa 8 cm × 2 cm, incollare un elettrodo tra ogni fetta e sovrapporre le quattro ceramiche con polarizzazioni alternate. Il montaggio elettrico in parallelo fa in modo che dando tensione tutte le fettine del pacchetto si dilatano con effetto cumulativo, proprio come nei piezostack oggi usati nei microscopi a scansione di sonda. Con questo semplice dispositivo si poteva arrivare a spazzate di 2 mm, pochi rispetto al centinaio di micron facilmente dati dai piezo commerciali attuali, ma sufficienti per registrare la curva dell’onda evanescente. L’uscita HT era connessa al piezo mentre quella a bassa tensione BT, presa con un partitore, arrivava all’asse x di un registratore a carta x-y. In questo modo si ottiene una modulazione lineare della distanza prisma-pallina (Amax~1.5 × 104 Å) più una modulazione alternata alla frequenza (variabile) di lavoro del lock-in di Amax~100 Å. Rispetto agli SNOM manca in questo schema la scansione a rastrello nel piano del campione da cui si ricostruisce l’immagine in campo prossimo. Tuttavia, ciascuna curva 50 < il nuovo saggiatore registrata è l’equivalente di un punto di una linea di scansione. Come rivelatore avevamo usato un fotodiodo a Si montato secondo il semplicissimo schema riportato in fig. 3. Prima di passare al risultato vale la pena dire che un miglioramento significativo fu ottenuto sostituendo alla pallina di vetro un piccolo prisma che fu lavorato otticamente da un ottico locale di nome Stefanini il cui negozio, sulla vecchia via Aurelia a Pisa, è rimasto aperto fino a pochi anni fa. Gozzini aveva una capacità notevole di individuare sul territorio competenze tecniche anche individuali e di reperire materiale per gli esperimenti che non era disponibile sui normali circuiti commerciali. Come laureandi, infatti, si diventava subito familiari con il “mercatino americano” di Livorno dove si trovava ogni sorta di materiale e strumentazione di surplus militare americano (e nei primi anni magari solo di contrabbando). Per un fisico sperimentale anche questo era un insegnamento molto fuori dall’usuale, unico nel suo genere che si riceveva in modo del tutto naturale dal professor Gozzini. Lo schema sperimentale pubblicato sull’articolo su Optics Communications riporta la configurazione con il prismetto con faccia curva (fig. 4) con cui è stato ottenuto il risultato pubblicato e ripreso in fig. 5. La fig. 5 riporta due esempi di curve sperimentali osservate; la prima è la luce trasmessa, ripresa direttamente dalla fig. 2 di rif. [1] e la seconda è la derivata della prima curva ottenuta tramite lock-in, con una modulazione di 2 × 10-2 Å, da cui si misura il ∆Lmin. Nella parte destra di fig. 5 è M. Allegrini: L’onda evanescente e la nano-ottica riportato l’andamento dell’onda evanescente calcolato nel 1994 da Bert Hecth nella sua tesi di dottorato, praticamente per i valori di indici di rifrazione e configurazione del nostro esperimento. La curva (a) indica l’interferenza di campo lontano, la curva (b) è il vero andamento calcolato tenendo conto delle riflessioni multiple e trovato da noi sperimentalmente mentre la curva (c) indica il puro andamento esponenziale che si avrebbe se non ci fossero le riflessioni multiple all’interfaccia. Quando riguardo questa figura non posso fare a meno di essere ancora ammirata per la chiarezza con cui Gozzini aveva visto il fenomeno e l’onestà intellettuale che rifletteva la sua totale fiducia nel risultato sperimentale. In figura è riportato anche il valore minimo di variazione di lunghezza misurato applicando questo metodo basato sulla modulazione dell’onda evanescente e il limite teorico che risulta dal rumore Shottky legato alla natura corpuscolare dei fotoni. Non essendo abituati a pensare in termini di scala nanometrica, molte discussioni e riflessioni furono fatte sul significato fisico di una misura dell’ordine di 10-3 Å visto che è al di sotto della dimensione atomica, ma nel caso di vibrazioni di un reticolo cristallino si interpretava bene come uno spostamento medio e in fase. 4 Microscopia ottica in campo prossimo La microscopia ottica a scansione in campo prossimo è nata nel 1984 con due esperimenti indipendenti e simultanei [9,10]; una trattazione generale molto bella si trova nel recente libro di Novotny e Hecht [11]. L’idea di base per superare il limite di risoluzione imposto dalla diffrazione è quella di eliminare Fig. 5 Registrazioni dell’onda evanescente riprese da rif. [1] e paragone con l’andamento teorico di Bert Hecht, cortesemente concesso dall’autore. Esperimento: $Lmin (misurato) ^10-3Å $Lmin (teorico) ^10-4Å Teoria: B. Hecht, Ph.D. Thesis, 1996 vol24 / no1-2 / anno2008 > 51 percorsi SNOM con Apertura RIT Frustrata z SNOM senza apertura Onda Evanescente Campione Prisma θ Onda Incidente Riflessione Totale ~ 50 nm < 10 nm Fig. 6 Schemi di SNOM. la propagazione della luce, in altri termini di contare sulle onde evanescenti (il campo prossimo) invece che sulle normali onde propaganti (il campo lontano), dove la terminologia evanescente, propagante, campo prossimo, campo lontano, è quella corrente nella comunità SNOM [12]. Le tre configurazioni correnti di microscopia in campo prossimo sono schematizzate in fig. 6. Nella prima, il campo prossimo è generato proprio con la riflessione totale interna frustrata, equivalente ottico dell’effetto tunnel elettronico. La seconda va sotto il nome di SNOM ad apertura perché il campo prossimo è generato forzando la luce attraverso una apertura, tipicamente una fibra ottica rastremata ad una estremità, di dimensioni molto più piccole (~ 50 nm per sonde commerciali) della sua lunghezza d’onda. Per il principio di reciprocità di Babinet, questa è equivalente alla terza configurazione, detta SNOM senza apertura o scattering SNOM in cui la sonda di campo prossimo è un nanoscatteratore (curvatura apicale <10 nm), tipicamente una punta metallica di microscopio a effetto tunnel STM 52 < il nuovo saggiatore o una sonda di microscopio a forza atomica AFM. L’immagine ottica in campo prossimo è raccolta durante una scansione a rastrello della superficie del campione, mantenuto con estrema stabilità in campo prossimo, a distanza nanometrica dalla sonda, proprio con tecniche come quelle introdotte nel nostro esperimento per l’osservazione dell’onda evanescente. Come il microscopio ottico classico, lo SNOM non è invasivo, ha svariati modi di contrasto ottico, ma non essendo limitato dalla diffrazione raggiunge risoluzioni spaziali oltre il limite di Abbe o criterio di Rayleigh (∆x ~ λ/2NA, con NA apertura numerica dello strumento), ben sotto la lunghezza d’onda. Per questo lo SNOM è stato lo strumento di caratterizzazione e manipolazione ottica che ha aperto il campo detto nano-ottica. Tuttavia, va detto che lo SNOM non è ancora un microscopio di facile uso, come oggi è l’AFM e l’STM, e ha lo svantaggio intrinseco rispetto alla microscopia ottica tradizionale di essere un processo lento perché l’informazione è raccolta punto per punto e non permette la proiezione diretta di immagini in tempo reale. M. Allegrini: L’onda evanescente e la nano-ottica 5 Conclusioni La visione che Gozzini aveva della fisica era globale, nel senso che spaziava con continuità da un campo all’altro e vedeva connessioni tra argomenti in apparenza molto distanti. I suoi interessi anticipavano i tempi e le sue idee originali hanno ispirato ricerche anche a distanza di tanti anni. Come esempi personali cito l’affascinante problema della pressione di radiazione, riconosciuta da tempo come causa dell’orientazione della coda delle comete e che in anni recenti ha avuto un ruolo cruciale nel campo del raffreddamento laser. A distanza di oltre venti anni da quando Gozzini si era interessato a questo problema, nel gruppo di Cesare Ascoli abbiamo misurato in aria e a temperatura ambiente l’effetto della pressione di radiazione sulle levette di microscopi AFM [13]. Lavorando in vuoto e con una levetta AFM ricoperta da un piccolo strato di oro colleghi tedeschi riportarono simultaneamente la stessa misura [14]. Come effetto spettacolare osservarono inoltre che la levetta risultava letteralmente bruciata, a seguito dell’assorbimento della luce da parte dell’oro e della difficoltà di dissipazione termica in vuoto. Il secondo esempio, sempre legato al fenomeno della pressione di radiazione, riguarda il trasferimento del momento lineare del fotone in un dielettrico e l’annosa controversia tra l’espressione di Abraham p = ħ k/n e quella di Minkowski p = n ħ k, dove p indica il momento del fotone, n l’indice di rifrazione del mezzo e k il vettore d’onda. La letteratura su questo vecchio problema è ricchissima, per cui mi limito a riportare l’affascinante libro di Peierls [15], due recenti punti di vista [16, 17], l’articolo di rassegna più recente [18] e il nostro modesto contributo di esperimento [19] che, basato sull’uso di levette AFM come quello sulla pressione di radiazione di rif. [13], tentava una indagine diretta del fenomeno. Come ultima figura riporto una foto che mi è particolarmente cara, presa durante una conferenza [20] alla Scuola Normale Superiore dove Gozzini nel 1985 si era trasferito fondando il primo laboratorio della Scuola. La terza persona della foto, Sebastiano Barbarino che veniva da Catania per passare lunghi periodi in laboratorio con Gozzini quando si dedicava ai fenomeni di bistabilità ottica, mi vol24 / no1-2 / anno2008 > 53 percorsi offre l’opportunità di ricordare altri aspetti della personalità di Gozzini e della ricchezza di insegnamenti di vita che infondeva al di là della fisica. Gozzini amava profondamente la Sicilia dove coltivava rapporti fortissimi di amicizia e stima reciproca. Quando nel 1994 sono stata chiamata sulla cattedra di Ottica Quantistica all’Università di Messina, dove ho passato sei anni, ho trovato tra i colleghi siciliani tutti quei valori che Gozzini apprezzava e che io ho avuto la fortuna di conoscere ed apprezzare a mia volta. Anche nella vita normale fuori dal lavoro, i suoi riferimenti a Danilo Dolci e Leonardo Sciascia mi hanno aiutata a capire la realtà siciliana. Concludo con la speranza di aver dimostrato che Adriano Gozzini è stato non solo un pioniere della nano-ottica, ma anche un “maestro”, un grande maestro che pensava in grande, e una figura scientifica e umana il cui impatto e insegnamento rimane per tutta la vita. Ringraziamenti Desidero ringraziare Cesare Ascoli, Franco Bassani e Silvia Gozzini per l’interesse dimostrato e i suggerimenti sul testo. Maria Allegrini Professore di Struttura della Materia presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pisa, si è laureata con il professor Adriano Gozzini con una tesi sull’onda evanescente nel visibile. Il suo percorso di ricerca è partito dalla fisica atomica e molecolare, affrontata in particolare con la spettroscopia laser ad alta risoluzione, per arrivare a scienze dei materiali e in particolare a tematiche di nano-ottica (http://www.df.unipi.it/gruppi/struttura/ma/ page.html). 54 < il nuovo saggiatore Bibliografia [1] M. Allegrini, C. Ascoli, A. Gozzini, Optics Commun., 2 (1971) 435. [2] G. Toraldo di Francia, J. Opt. Soc. Am., 45 (1955) 497. [3] “Ettore Majorana Scientific Papers, On occasion of the centenary of his birth”, a cura di G. F. Bassani and the Council of the Italian Physical Society (SIF, Bologna; Springer, Berlin) 2006. [4] W. J. Brya, S. Geschwind, G. E. Devlin, Phys. Rev. Lett., 21 (1968) 1800. [5] A. Kastler, Experientia VIII, (1952) 1. [6] A. Battaglia, F. Bruin, A. Gozzini, Nuovo Cimento, 7 (1958) 1. [7] G. Herziger, H. Lindner, Phys. Lett. A, 24 (1967) 684. [8] M. Allegrini, “La rivelazione dei fononi generati nella risonanza paramagnetica”, Tesi di Laurea in Fisica, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 1967-1968. [9] D. W. Pohl, W. Denk, M. Lanz, Appl. Phys. Lett., 44 (1984) 651. [10] A. Lewis, M. Isaacson, A. Harootunian, A. Murray, Ultramicroscopy, 13 (1984) 227. [11] L. Novotny, B. Hecht, “Principles of Nano-optics” (Cambridge University Press) 2006. [12] D.W. Pohl, Philos. Trans. R. Soc. Lond. A, 362 (2004) 701. [13] M. Allegrini, C. Ascoli, P. Baschieri, F. Dinelli, A. Lio, T. Mariani, Ultramicroscopy, 42-44 (1992) 371. [14] O. Marti, A. Ruf, M. Hipp, H. Bielefeldt, J. Colchero, J. Mlynek, Ultramicroscopy, 42-44 (1992) 345. [15] R. Peierls, “More Surprises in Theoretical Physics” (Princeton University Press) 1991. [16] U. Leonhardt, Nature, 444 (2006) 823. [17] M. Buchanan, Nature. Phys., 3 (2007) 73. [18] R. N. C. Pfeifer, T. A. Nieminen, N. R. Heckenberg, H. RubinszteinDunlop, Rev. Mod. Phys., 79 (2007) 1197. [19] M. Labardi, G. C. La Rocca, F. Mango, G. F. Bassani, M. Allegrini, J. Vac. Sci. Technol. B, 14 (1996) 868. [20] “Interaction of Radiation with Matter”, A volume in honour of Adriano Gozzini, Scuola Normale Superiore, Quaderni, Pisa 1987.