band: faun fables

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band: faun fables
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BAND: SILVER JEWS
TITLE: LOOKOUT MOUNTAIN,
LOOKOUT SEA
LABEL: DRAG CITY
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LIVEROCK
http://www.liverock.it/tuttarec.php?chiave=927&chiave2=Silver%5EJews
David Berman, nonostante giunga ora al suo sesto album con i Silver Jews, sta ancora sgomitando per
ritagliarsi lo spazio che meriterebbe nell’olimpo dell’indie-rock degli ultimi due decenni. Non sono bastati né
quell’”American water”, né quel “Tanglewood numbers” di ormai tre anni fa a far guadagnare a Berman una
posizione un po’ più invidiabile di quella di eterno secondo o, peggio ancora, di eterno side-project, di
qualcun altro. Soprattutto quell’album del 2005 sembrava essere destinato ad essere la definitiva vendetta di
Berman rispetto alla sfiga, ma guarda caso, ad accorgersene sono stati sempre i soliti e i complimenti
sempre un po’ troppo sussurrati. E nell’immaginario collettivo i Silver Jews sono ancora un side-project
minore dei Pavement.
Nemmeno il nuovo “Lookout mountain, lookout sea”, siamo pronti a scommetterci, riuscirà a ribaltare il
destino di Berman o, tantomeno, a migliorarne la situazione del portafoglio: Malkmus ha da poco pubblicato
un nuovo album e, siamo certi, dalla mai sedata disputa tra i due, Berman e la sua barba usciranno
nuovamente sconfitti. “Lookout mountain, lookout sea” sarà probabilmente ricordato come il primo disco
della vera maturità dei Silver Jews, quello in cui la scrittura di Berman sembra passata definitivamente ad
una classicità cantautorale vissuta sempre più pacificamente in forme meno sghembe, sorrette in diverse
occasioni anche dal piano di Tony Crow dei Lambchop. I brani funzionano tutti –forse meglio nella prima
metà, ma il divario non è sensibile- e alcuni passaggi davvero notevoli, come l’iniziale What is not but could
be if, Suffering jukebox e Strange victory, strange defeat, testimoniano quella maturità nei toni cui
accennavamo prima. Berman, d’altronde, belle canzoni è sempre stato capace di scriverne, ed è in fondo
questo che bisogna chiedergli. L’eccessiva calma con cui i Silver Jews affrontano questa via placidamente
americana può rendere ogni tanto l’album ripetitivo e manieristico in certe trovate un po’ prevedibili, ma
“Lookout mountain, lookout sea” svolge bene il suo ruolo di disco di transizione e pur continuando a
preferire il suo predecessore, non possiamo non concedergli la sufficienza che merita.
SENTIREASCOLTARE
http://www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Monografie/SilverJews.htm#loo
Il David Berman che avevamo lasciato poco meno di tre anni fa, ai tempi di Tanglewood Numbers, era un
uomo finalmente riappacificato, sereno e pronto ad affrontare il futuro di petto, con una nuova attitudine,
radicalmente opposta a quella schiva e misteriosa di sempre; così, ha smesso di guardare dentro se stesso,
e cominciato ad esplorare il mondo là fuori. Non è un caso che, oltre alla – sorprendente, dato il personaggio
– decisione di andare professionalmente in tour per la prima volta dopo quindici anni di attività discografica,
si sia totalmente aperto al pubblico (vedi l’inserto con gli accordi delle canzoni ad uso e consumo di vecchi e
nuovi fan). Tutto, però, a scapito di quella inimitabile vena poetica - sardonica, agrodolce, intelligente,
immediata - che aveva resto semplicemente unico il suo progetto, con o senza Stephen Malkmus – assente
in questo episodio della saga, per lasciare spazio alla scafata touring band che oggi compone l’ossatura dei
Joos. Sì, ha sicuramente i suoi momenti (la trascinante Aloysius, Bluegrass Drummer, la velvettiana e
torrenziale San Francisco B.C., la toccante e desertica My Pillow Is The Threshold, la piacevole cover di Open
Field a firma di Maher Shalal Hash Baz); ma questo Lookout Mountain, Lookout Sea è solo un onesto, e tutto
sommato ordinario, disco di folk rock. Proprio quello che, fino a non troppo tempo fa, non ti saresti
aspettato, dai Silver Jews. (6.1/10)
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VITAMINIC
http://www.vitaminic.it/2008/07/silver-jews-lookout-mountain-lookout-sea-drag-city/
David Berman con i Silver Jews fa oggi esattamente quello che avrebbe dovuto fare Stephen Malkmus nella
sua carriera solista dopo i Pavement: ottimi dischi che non cercano di inventare niente. Questa riflessione
riporta agli albori degli anni ’90, quando i due diedero luce quasi per caso a una band ormai affidata in tutto
e per tutto alle mani del solo David, che ha scelto la strada più semplice e più efficace rispetto al blasonato
collega. Lookout Mountain, Lookout Sea è un lavoro country, saldamente ancorato alla tradizione classica del
rock americano. Suona molto bene ed è estremamente prevedibile: ci vuole un ottimo autore per creare
l’alchimia giusta tra due aspetti che ci siamo abituati a veder convivere (e non sempre bene). L’intelaiatura è
folk; le sovrastrutture strumentali bagnano il suono di un rock a fedeltà discretamente bassa, che in parte
ricorda il Lou Reed pop-oriented, in parte Dylan, in parte proprio quei Pavement che lo stesso Malkmus non
è mai riuscito a emulare così bene nei suoi dischi. Prendiamo come esempio Strange Victory, Strange Defeat,
con quelle melodie rock indolenti ed immediate, impreziosite da controcanti femminili a donare quel pizzico
di leggerezza in più indispensabile alla riuscita di una perfetta canzone. Ed è nell’immediatezza dei brani e
nella scrittura molto solida che risiede il pregio maggiore di questo lavoro: Berman non fa altro che
raccogliere i frutti della propria esperienza senza zavorrare il processo di scrittura con inutili ed involuti
assoli. Probabilmente, anche se più per attitudine che per forma, abbiamo trovato il degno successore del
sound pavementiano - ironia della sorte, si tratta di qualcuno che in quella band non c’è mai stato.
XL ONLINE
http://xl.repubblica.it/recensionidettaglio/72467
Nell’arte come nella vita non si cambia mai troppo e i migliori si evolvono senza farlo notare: quidici anni fa
David Berman pareva una fusion fra Lou Reed e Pavement. Oggi, al sesto cd coi Silver Jews, fa pensare ai
Rem in session immaginaria con Dillard & Clark. E sempre restando ironico e poetico, laconico e stralunato.
Lookout Mountain, Lookout Seapotrebbe essere il suo miglior disco o in ogni caso quello con più canzoni
memorabili (What Is Not But Could Be If, Suffering Jukebox) e gli arrangiamenti più fluidi. E quando, sul
finale, si avverte un po’ di stanchezza, spunta Candy Jail che mischia John Fogerty e marimbas e potrebbe
diventare la canzone indie dell’estate. (4/5)
DISCOCLUB65
http://www.discoclub65.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2214&Itemid=36
Dalla bassa fedeltà all’alta scuola della canzone, così si potrebbe riassumere il viaggio (perlopiù solitario) di
Mr. David Berman, titolare e anima della sigla Silver Jews. David, scrittore e poeta oltre che musico, incastra
in semplici impalcature rock (melodie rotonde che strizzano l’occhio ora al country ora all’elettricità) testi
splendidi e stratificati, veicolando il tutto con la sua voce unica e pigra. Intorno, gli arrangiamenti, che prima
erano di cartapesta, brillano di mille malizie e molto buon gusto. E così il disco scorre, senza mai concedersi
il vizio di auto compiacersi, cambiando canzone e soggetto con efficacia e rapidità. Tanto in superficie che in
profondità, un disco meraviglioso: buono per ascolti distratti al sole estivo come per sessioni notturne con
vocabolario alla mano.
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EXTRA MUSIC MAGAZINE
http://www.xtm.it/DettaglioMusicAffair.aspx?ID=7334
Considerati (erroneamente) come un progetto collaterale dei Pavement di Stephen Malkmus, i Silver Jews di
David Berman, poeta e compositore americano, cercano con “Lookout Mountain Lookout Sea” una
collocazione definitiva nell’ambito della scena indie rock. Il nuovo disco, per la precisione il sesto fin qui
pubblicato dalla band, possiede tutte le carte in regola per piacere. Ballate come “What Is Not But Could Be
If”, “Suffering Juke Box”, “Open Field” e “Strange Victory Strange Defeat” sono molto intense, ma sanno
anche come diventare davvero gradevoli. Merito questo delle tonalità profonde della voce di Berman e
dell’originalità dei testi delle canzoni, che sanno essere ironiche e profonde al tempo stesso. L’album si
compone di tutta una serie di ballate rock rallentate ad arte, che evidenziano arrangiamenti squisiti e il
raggiungimento di una piena maturità compositiva. Da segnalare inoltre l’intervento come special guest” in
sala di incisione di Tony Crow, il pianista dei Lambchop, una band a cui i Silver Jews possono anche essere
accostati. E’ un rock and roll morbido, dall’andamento sognante, ma non per questo facile o edulcorato. E’
davvero un bel disco, fatto di brani più o meno tutti sullo stesso livello, composizioni vagamente sixties, ma
intelligenti e fresche come raramente capita di incontrare.
INDIEFORBUNNIES
http://www.indieforbunnies.com/
Storia di vecchi jukebox e importanti amicizie quella dei Silver Jews.
Vecchie amicizie perché David Berman, leader, poeta, chitarrista del combo del Tennessee, iniziò la sua
avventura quasi vent’anni fa dividendola con un illustre eroe nerd della cultura americana contemporanea,
quello Stephen Malkmus che con i suoi Pavement avrebbe successivamente ridisengnato, influenzandolo
pesantemente, il pentagramma di gran parte del rock degli anni a venire.
Da studenti squattrinati alla ricerca di uno spazio sonoro da conquistare, queste due icone della musica
americana si sono ritrovate a percorrere strade diametralmente opposte: i riflettori per Malkmus, l’aria
ombrosa di un platano per Berman, da sempre restio ad apparire in pubblico, ligio ad una timidezza schiva,
vessillo dell’antieroe per eccellenza.
Vecchi jukebox invece, perché “Lookout Mountain, Lookout Sea” è un liso giradischi con dentro canzoni folkrock di un tempo perduto, affogate come alici sott’olio nella dura voce raffreddata di Berman, menestrello
biblico, ideale anello di congiunzione tra le paturnie dei National ed un’estate passata a sudare in provincia
guardando la grandiosità serale della volta celeste. Un disco semplice questo, annodato attorno ad un pugno
di canzoni classicamente ammalianti, formidabili quando decidono di alzare la testa come nell’incalzante
“Strange Victory, Strange Defeat”, ma che spesso si dondolano nelle acque sicure di un porticciolo diroccato.
C’è una bella fetta della Nashville che fu, Johnny Cash in primis, ammorbidita da un atteggiamento
consolatorio verso il mondo che gli danza attorno, con una buona spruzzata di modernariato country in stile
(e che stile) Wilco.
Un buon album di artigianato folk, dove una musica dai sapori tradizionali inorgoglisce papille gustative
refrattarie a qualsiasi sapore innovativo, felici solamente di essere assuefatte da piccole storie cantate da
una vecchia volpe del rock americano. Alla fin fine è sempre un piacere ascoltare un album di Mr. Berman.
(4/5)
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BEAT MAGAZINE ONLINE
http://www.beatmag.it/beat_receinterna.php?id=1388
David Berman, loser, musicista, apprezzato poeta, co-fondatore dei Pavement e vera icona del rock
indipendente americano, giunge al sesto capitolo della sua travagliata storia fatta di dipendenze, lunghe
pause, ritrosia da palco ed inaspettate rinascite. Dieci brani all’insegna di una ritrovata stabilità, in ogni
senso. Una voce (mai così) sicura da consumato crooner country, una band rodata da tre anni di live e la
moglie Cassie che, musa e balia allo stesso tempo, con i suoi sgraziati cameo garantisce quel tocco di lo-fi
casalingo, compensando in questo modo la totale mancanza di approssimazione nei brani: la vera,
sostanziale, novità rispetto alla produzione precedente dei “Joos”.