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Registrazione
Presso il Tribunale di Rimini del 4 luglio 1986, al n. 303
SOMMARIO
DOTTRINA
R. Mangani, L’obbligo di indicazione nell’offerta degli oneri della
sicurezza tra norme nazionali, interpretazioni giurisprudenziali
e compatibilità comunitaria......................................................»5
M. G. Vivarelli, I soggetti affidatari di contratti pubblici ed i
requisiti oggettivi di partecipazione alle gare pubbliche............... »47
E. M. Barbieri Considerazioni sul contributo unificato nel processo
amministrativo......................................................................... »119
GIURISPRUDENZA
TRGA, Sez. Trento, 29 gennaio 2014, n. 23 (ordinanza) .......
Conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte di giustizia
dell’Unione europea Niilo Jääskinen presentate il 7 maggio
2015, in causa C-61/14, Domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di
Trento (Italia).........................................................................
Corte di giustizia dell’Unione Europea, Sez. V, 6 ottobre 2015,
nella causa C-61/14................................................................
con nota di L. Gili, La decisione della Corte di giustizia sul
contributo unificato in materia di appalti pubblici: “andata e
ritorno” dal sistema italiano di tutela..........................................
»131
»147
»160
»172
LEGGI E CIRCOLARI
Legge regionale Sicilia 10 luglio 2015, n. 14. Modificazioni
all’art. 19 della legge regionale Sicilia 12 luglio 2011 n. 12..... »187
con nota di E. Borghi, G. Carlini, Crisi di impresa e contratti
pubblici. Il favor normativo per la continuità aziendale................. »193
LIBRI
M. Nicolai e W. Tortorella, Partenariato Pubblico Privato
e Project Finance, ed. Maggioli, Rimini, 2016, con commento
di G. Musolino..................................................................... »217
Hanno collaborato a questo numero:
Ezio Maria Barbieri Elisa Borghi
Giovanni Carlini
Luigi Gili
Roberto Mangani
Giuseppe Musolino
Maria Grazia Vivarelli
Presidente onorario TAR Lombardia
Docente di Economia presso
l’Università di Bologna
Dottore commercialista
Avvocato
Avvocato Responsabile Area Legale
Grandi Stazioni s.p.a.
Professore a contratto di Istituzioni di
Diritto privato, Università di Bologna
Consigliere TAR
DOTTRINA
Roberto Mangani
L’ OBBLIGO DI INDICAZIONE NELL’ OFFERTA DEGLI
ONERI DELLA SICUREZZA TRA NORME NAZIONALI,
INTERPRETAZIONI GIURISPRUDENZIALI E COMPATIBILITÀ
COMUNITARIA
Sommario: 1. Gli oneri della sicurezza e la loro indicazione in sede di offerta: un
esempio paradigmatico delle incertezze del sistema. – 2. L’indicazione degli
oneri della sicurezza negli appalti di forniture e di servizi. – 3. L’indicazione
degli oneri della sicurezza negli appalti di lavori. – 4. La giurisprudenza
successiva alla pronuncia dell’Adunanza plenaria. – 5. Oneri della sicurezza
e soccorso istruttorio. – 6. Il profilo della compatibilità comunitaria.
1. Gli oneri della sicurezza e la loro indicazione in sede di offerta:
un esempio paradigmatico delle incertezze del sistema. – Il tema della
corretta modalità di quantificazione e di indicazione degli oneri della sicurezza nell’ambito dei contratti pubblici è stato al centro negli
ultimi anni di un intenso dibattito e di contrastanti interpretazioni
giurisprudenziali. Si tratta di una questione per alcuni versi paradigmatica dello stato di confusione che troppo spesso caratterizza
la disciplina dei contratti pubblici, in cui confluiscono in maniera
emblematica alcuni dei nodi critici che ostacolano un’applicazione
lineare della stessa, con inevitabili ricadute negative sulla certezza
del diritto e sull’efficace funzionamento del sistema.
Il primo e fondamentale punto critico – che emerge in modo
chiaro nella vicenda oggetto delle presenti note – è costituito da una
produzione normativa incessante e originata da istanze contingenti
più che da una visione sistematica delle questioni. In materia di
oneri della sicurezza il legislatore è intervenuto negli ultimi anni con
una serie di disposizioni che si sono succedute in maniera episodica
e non coordinata, con le conseguenti inevitabili sovrapposizioni e
l’emersione di elementi di contraddizione nel complessivo quadro
normativo.
Su queste indicazioni non lineari del legislatore si è poi inserita
un’interpretazione dei giudici amministrativi non univoca, che ha
visto parte della giurisprudenza spingersi fino ai limiti di una vera
e propria funzione creativa della norma, quasi in sostituzione del-
6
rivista trimestrale degli appalti
le scelte legislative. Circostanza che ha comportato un’inevitabile
contrasto con il contrapposto orientamento giurisprudenziale volto
invece a salvaguardare in primo luogo il dato testuale della norma,
anche a scapito di qualche contraddizione nella ricostruzione complessiva del sistema.
È proprio in questo circolo vizioso in cui confluiscono la poca
chiarezza del quadro normativo e gli interventi dei giudici che offrono
un’interpretazione a dir poco evolutiva delle norme che si può riscontrare un esempio paradigmatico dell’incertezza e della confusione
che troppo spesso caratterizza l’ordinamento dei contratti pubblici.
Da un lato il legislatore dà luogo ad una produzione di norme
continua, sovrabbondante e non coordinata; dall’altra il giudice si
spinge, sia pure nell’encomiabile tentativo di trovare comunque una
coerenza al sistema, a leggere nella norma ciò che in realtà la sua
formulazione testuale non dice.
Per comprendere come questo corto circuito si sia prodotto in
relazione al tema degli oneri della sicurezza è necessario partire dal
contenuto delle specifiche disposizioni del d.lgs. n. 163 del 2006 che
si occupano di tale aspetto.
La prima previsione è contenuta all’art. 86, comma 3 bis, secondo
cui nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione
dell’anomalia delle offerte nell’ambito delle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, le stazioni appaltanti sono tenute a
valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto
al costo della sicurezza (oltre che al costo del lavoro), il quale deve
essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture.
La seconda previsione è quella dell’art. 87, comma 4, secondo cui
non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza
e l’ente appaltante, nella valutazione dell’anomalia dell’offerta, deve
tenere conto dei costi per la sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e
alle caratteristiche dei servizi o delle forniture.
La terza previsione è relativa al contenuto dei piani di sicurezza, di cui all’art. 131. Tali piani, secondo l’espressa indicazione del
comma 3, devono contenere la specificazione dei relativi oneri,
che devono essere indicati nei bandi di gara e non sono soggetti a
ribasso d’asta. Tali piani sono redatti dall’ente appaltante, e tuttavia
è previsto che l’appaltatore possa proporre modifiche o integrazioni
ai relativi contenuti.
La semplice riproduzione delle norme indicate rende evidente il
non perfetto coordinamento tra le stesse, che è appunto all’origine
di molti problemi applicativi cui esse hanno dato luogo. Per cercare
di inquadrare tali problemi nel loro contesto di riferimento, è utile
fissare preliminarmente alcuni punti fermi che – almeno ad una
dottrina
7
prima lettura – sembrerebbero emergere in maniera inequivoca
dal quadro normativo.
La prima considerazione è che sia le prescrizioni dell’art. 86 che
quelle dell’art. 87 sono sostanzialmente finalizzate all’attuazione del
procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte. Emerge cioè
una stretta correlazione tra il tema degli oneri della sicurezza e la
verifica dell’anomalia dell’offerta, nel senso che la corretta quantificazione dei primi viene indicata dal legislatore come un elemento
imprescindibile su cui si deve basare la seconda.
Va peraltro sottolineato che l’assolutezza di questo collegamento
viene in parte attenuata dall’indicazione contenuta in apertura del
comma 3 bis dell’art. 86, dove si precisa che il valore economico
degli oneri della sicurezza deve essere valutato dagli enti appaltanti
(anche) ai fini della predisposizione dei bandi di gara. Si tratta di una
previsione il cui corretto ambito di riferimento non è del tutto chiaro.
Sembrerebbe infatti potersi affermare che gli oneri della sicurezza
da considerare in sede di predisposizione del bando siano quelli la
cui determinazione è di competenza dell’ente appaltante, e cioè i così
detti oneri da interferenze 1. Mentre gli oneri di sicurezza aziendali,
rientrando nelle esclusive valutazioni dei concorrenti, sono quelli che
effettivamente rilevano ai fini della verifica di anomalia.
Emerge quindi una prima parziale incongruenza – certamente
non la più rilevante – del quadro normativo: se da un lato la tematica
degli oneri della sicurezza appare considerata dal legislatore ai fini
della verifica di anomalia dell’offerta, dall’altro viene inserito un
elemento distonico, che fa riferimento a una valutazione che non
attiene a tale verifica, ma ai criteri di redazione del bando di gara.
Il secondo punto fermo attiene all’individuazione dei destinatari delle richiamate disposizioni. Essi sono in primo luogo gli enti
appaltanti, che degli oneri della sicurezza devono tenere conto sia
in sede di verifica dell’anomalia delle offerte che in sede di predisposizione dei bandi di gara. Ma sono anche i concorrenti, che
devono indicare tali oneri in sede di offerta, almeno – secondo il
dato testuale della norma – per gli appalti di servizi e forniture.
In sostanza, le previsioni in oggetto pongono un vincolo sia per
l’ente appaltante che per i concorrenti. Il primo deve assicurarsi che
il valore degli oneri della sicurezza risulti congruo, e ciò sia in sede
di predisposizione del bando – ma, sembrerebbe coerente, solo con
riferimento agli oneri da interferenza – che in sede di verifica di
(1) Come si dirà meglio appresso, si tratta di quella specifica categoria di
oneri della sicurezza che non dipendono dall’organizzazione aziendale del singolo
concorrente, ma dai rischi di interferenza che possono derivare dalla contestuale
presenza nel luogo di svolgimento delle prestazioni di personale del committente
e dell’impresa e/o del personale di diverse imprese.
8
rivista trimestrale degli appalti
anomalia. I concorrenti, dal canto loro, li devono indicare nell’offerta
per consentire all’ente appaltante di accertare che gli stessi siano
congrui, cioè non siano sottostimati con grave pregiudizio per la
sicurezza dei lavoratori 2.
Rispetto a questo quadro d’insieme, molte sono le questioni che
sono sorte in sede applicativa. La questione fondamentale ha riguardato l’esatta individuazione dell’ambito di applicazione dell’onere
che grava sui concorrenti, se cioè l’obbligo di indicazione degli oneri
della sicurezza in sede di offerta riguardi solo gli appalti di servizi
e forniture o anche gli appalti di lavori.
Ma anche altre questioni, in parte derivate dalla prima, sono
emerse in fase operativa e sono state oggetto di variegati interventi
giurisprudenziali. Si è posto così il tema se, nonostante la dizione
testuale dell’art. 84, comma 3 – apparentemente inequivoca – l’indicazione degli oneri in sede di offerta costituisca un obbligo effettivamente sussistente negli appalti di servizi e forniture e se tale
obbligo possa comunque subire deroghe in relazione alla particolare
natura di determinati servizi.
Ci si è chiesti poi se la mancata indicazione degli oneri in sede
di offerta comporti l’esclusione del concorrente dalla gara solo se
il relativo obbligo sia stato previsto dal bando a pena di esclusione,
ovvero se non sia necessaria una specifica clausola in tal senso,
operando comunque il principio dell’eterointegrazione.
Altra questione di primario rilievo ha riguardato la possibilità o
meno di ricorrere al soccorso istruttorio per integrare l’offerta che
fosse mancante dell’indicazione degli oneri. Ancora, ci si è interrogati se tale indicazione dovesse riguardare solo gli oneri così detti
aziendali o anche gli oneri da interferenze.
L’analisi delle diverse questioni indicate – che testimonia appunto la scarsa chiarezza del quadro normativo – va operata avendo
come punto di riferimento essenziale la sentenza dell’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 20 marzo 2015. Anche se
essa non affronta tutte le tematiche sorte né – come vedremo meglio
più avanti – appare risolutiva neanche in relazione alla specifica
questione su cui il massimo giudice amministrativo era stato sollecitato a pronunciarsi.
2. L’indicazione degli oneri della sicurezza negli appalti di forniture e di servizi – Relativamente agli appalti di forniture e servizi,
una prima questione che si è posta ha riguardato la sussistenza o
(2) In questo senso cfr. A. Lupo, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza:
alla ricerca di un punto di equilibrio tra l’esigenza di tutela della par condicio ed il
principio del favor partecipationis, in giustamm.it, gennaio 2012. In giurisprudenza,
cfr. Cons. St., Sez. IV, 28 agosto 2012, n. 4622.
dottrina
9
meno di un vero e proprio obbligo per gli enti appaltanti di indicare gli oneri della sicurezza in sede di bando. La tesi negativa si
è basata sulla considerazione che mentre per gli appalti di lavori
l’art. 131 relativo alla predisposizione del piano della sicurezza da
parte dell’ente appaltante impone che di tali oneri – almeno con
riferimento a quelli da interferenze – sia data evidenza negli atti di
gara, analoga previsione manca per gli appalti di servizi e forniture.
Tale obbligo, infatti, non si può ricavare dalle prescrizioni dell’art.
86, che impongono agli enti appaltanti unicamente di valutare la
congruità del costo relativo alla sicurezza nella predisposizione
della gare e nella valutazione dell’anomalia delle offerte, ma senza
specificare che i relativi oneri debbano essere preventivamente
quantificati nel bando 3.
Si deve tuttavia rilevare che anche se manca una previsione
esplicita, il riferimento alla necessità di tenere in considerazione gli
oneri della sicurezza ai fini della predisposizione delle gare dovrebbe
essere interpretato come un’indicazione implicita sulla necessità
che degli stessi sia data evidenza nei relativi atti.
In questo senso, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato
che la mancata indicazione da parte dell’ente appaltante degli oneri
di sicurezza da interferenze impedisce la corretta e consapevole
formulazione dell’offerta da parte dei concorrenti, con conseguente
illegittimità dei relativi atti di gara 4.
Per quanto riguarda invece l’adempimento che grava sui concorrenti, a una prima lettura la disposizione normativa sembrerebbe
non lasciare spazio a dubbi. Il comma 4 dell’art. 87 prevede espressamente che i costi relativi alla sicurezza debbano essere indicati
nell’offerta e risultare congrui “rispetto all’entità e alle caratteristiche
dei servizi e delle forniture”.
Coerentemente al dato letterale della norma, una parte significativa della giurisprudenza ha evidenziato come l’indicazione in sede
di offerta degli oneri della sicurezza costituisca un adempimento
(3) Così A. Lupo, op. cit.
(4) Cfr., tra le altre, TAR Lazio, Sez. III quater, 5 novembre 2013, n. 9435; Cons.
St., Sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671; Sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421. Come
ulteriore conseguenza, è stato affermato che in questi casi è necessario procedere
all’impugnativa immediata degli atti di gara, poiché la mancata indicazione nel
bando degli oneri della sicurezza da interferenze pregiudica il corretto svolgimento
della procedura, violando il principio fondamentale della par condicio . La stessa
giurisprudenza ha evidenziato anche che a tali carenze non è possibile ovviare
neanche ricorrendo all’istituto dei chiarimenti da parte dell’ente appaltante, poiché
non si tratta di fornire informazioni complementari sui documenti di gara ma
piuttosto di colmare gravi lacune della lex specialis, sanabili solo attraverso l’integrale
rinnovo della relativa procedura.
10
rivista trimestrale degli appalti
imposto direttamente dalla legge 5. Ed anzi, la forza precettiva della
previsione è tale che, anche in mancanza di un’esplicita previsione
in tal senso del bando di gara, l’obbligo di indicare gli oneri della
sicurezza sussisterebbe comunque, con la conseguente esclusione
del concorrente in caso di mancato adempimento dello stesso 6.
In questo senso opererebbe pienamente il principio dell’eterointegrazione, secondo cui la norma legislativa, in quanto posta a tutela
del diritto fondamentale alla salute dei lavoratori, verrebbe a completare la disciplina di gara imponendo comunque ai concorrenti
l’obbligo di indicare in sede di offerta gli oneri della sicurezza. E
ciò proprio per consentire all’ente appaltante di verificare il rispetto
delle prescrizioni poste a tutela della salute sui luoghi di lavoro 7.
Una più approfondita analisi della disposizione in commento
pone tuttavia alcuni problemi applicativi, che hanno infatti ricevuto
attenzione anche da parte della giurisprudenza.
In primo luogo è stata sollevata la questione se l’obbligo di indicazione nell’offerta riguardi solo gli oneri di sicurezza aziendali o
anche quelli da interferenze. Per dare risposta a tale questione occorre definire con chiarezza la diversità tra le due tipologie di oneri.
Gli oneri o costi della sicurezza da interferenze sono quelli diretti
a eliminare i rischi collegati a contatti potenzialmente generatori di
pericoli che possono intercorrere tra il personale del committente
e quello dell’appaltatore o tra personale di imprese diverse che
operano nella medesima sede. Essi, per gli appalti di forniture e
servizi, sono quantificati in via preliminare dall’ente appaltante nel
Documento Unico per la Valutazione dei Rischi da Interferenze –
DUVRI (mentre per gli appalti di lavori la relativa quantificazione
è contenuta nel Piano di sicurezza) e non sono soggetti a ribasso 8.
Gli oneri o costi della sicurezza aziendali (o interni) sono invece
quelli propri di ciascuna impresa e connessi allo specifico appalto,
la cui quantificazione quindi non può che essere rimessa al singolo
concorrente e varia in relazione alla qualità ed entità della relativa
offerta 9. Tali oneri, di conseguenza, sono soggetti al confronto
(5) Cons. St., Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 721; Cons. St., Sez. V, 29 febbraio
2012, n. 1172.
(6) Così Cons. St., n. 721 del 2015, secondo cui “anche a fronte della eventuale
mancata previsione, nella lex specialis di gara, dell’onere dichiarativo e della correlata
causa specifica di esclusione, le citate disposizioni normative devono ritenersi
immediatamente precettive ed idonee a eterointegrare le regole della procedura selettiva”
(7) Cons. St., n. 1172 del 2012.
(8) In questo senso la giurisprudenza costante; v., per tutte, Cons. St., Sez. V,
ord. 16 gennaio 2015, n. 88.
(9) Rientrano in tale categoria, ad esempio, i costi di formazione dei lavoratori
nonché quelli sostenuti per dotare gli stessi di dispositivi di protezione individuale.
In giurisprudenza v. Cons. St., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 348; TAR Lazio, Sez. I,
dottrina
11
concorrenziale. In sostanza si tratta di oneri che riguardano i rischi
specifici che l’appaltatore affronta per un determinato appalto in
relazione ai contenuti propri dell’offerta formulata e tenuto conto
della sua organizzazione aziendale.
Sulla base di questa distinzione, sembra da preferire la tesi
secondo cui gli oneri che i concorrenti devono indicare in sede di
offerta sono solo quelli aziendali. Questi ultimi, infatti, sono gli
unici sottoposti a un confronto concorrenziale, poiché la loro esatta
quantificazione dipende dalle valutazioni operate da ogni singolo
concorrente sulla base della propria specifica organizzazione aziendale, dei correlativi rischi e dei costi stimati per farvi fronte.
Al contrario, gli oneri da interferenze sono estranei alle modalità
organizzative del singolo concorrente, vengono definiti dall’ente
committente e, di conseguenza, sono determinati in una misura fissa
e immodificabile, non essendo neanche soggetti a ribasso d’asta.
Ne deriva che mentre è ragionevole richiedere che i costi di sicurezza aziendali siano indicati in sede di offerta, costituendo una
componente della stessa, non ha senso che la medesima indicazione
sia prevista per i costi da interferenze, posto che questi ultimi sono
uguali per tutti i concorrenti e risultano immodificabili.
Va tuttavia rilevato che una parte della giurisprudenza ha invece accolto la tesi opposta, estendendo l’obbligo di indicazione
in sede di offerta anche agli oneri da interferenze. Ciò sulla base
della considerazione che anche i relativi costi rappresenterebbero
una componente dell’offerta, cosicché la loro mancata indicazione
renderebbe la stessa non compiutamente determinata. In sostanza,
l’omessa specificazione nell’offerta dei costi per la sicurezza da interferenze non consentirebbe di avere la certezza che i concorrenti li
hanno tenuti nella dovuta considerazione ai fini della formulazione
della stessa. Tali oneri andrebbero quindi indicati, anche se in concreto si tratterebbe di riportare, senza alcun margine di modifica,
la quantificazione operata dalla stazione appaltante. In mancanza,
risulterebbe indeterminato un elemento essenziale dell’offerta, con
conseguente esclusione del concorrente 10.
Le argomentazioni da ultimo richiamate non appaiono convincenti. Appare infatti improprio ritenere che l’omessa indicazione
degli oneri da interferenze possa essere considerata come indice
della mancata valutazione degli stessi ai fini di una corretta e compiuta formulazione dell’offerta. I concorrenti, infatti, nel predisporre
l’offerta sono ben consapevoli sia dell’esistenza che della misura di
tali oneri, giacché questi sono stati preventivamente quantificati
15 gennaio 2014, n. 7; TAR Lombardia, Sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36.
(10) Cons. St., n. 348 del 2014.
12
rivista trimestrale degli appalti
dall’ente appaltante nei documenti di gara. Tali oneri rappresentano
quindi un dato acquisito, ben conosciuto dai concorrenti e dal quale
essi non possono prescindere, e che quindi in qualche modo essi
non possono che fare proprio ai fini della formulazione dell’offerta,
senza necessità che vi sia un’esplicita evidenza in questo senso.
Una seconda questione che è stata sollevata è se la mancata
indicazione degli oneri di sicurezza (aziendali) comporti comunque l’esclusione del concorrente dalla gara, anche in mancanza di
un’esplicita previsione in tal senso nel bando di gara. Una parte
della giurisprudenza ha infatti ritenuto che, anche per gli appalti di
servizi e forniture, nonostante la previsione normativa del comma
4 dell’art. 87, l’esclusione possa essere disposta solo in presenza di
una clausola del bando che esplicitamente la preveda 11.
Questa tesi si basa su argomentazioni di natura sostanzialistica,
che trovano fondamento nella ratio della norma. L’obbligo di indicare gli oneri di sicurezza aziendale è infatti funzionale all’efficace
svolgimento del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
rispetto a questo obbligo, l’imposizione della loro indicazione già
in sede di offerta costituirebbe un adempimento eccessivo e sproporzionato rispetto all’esigenza sottesa. Infatti, anche qualora tali
oneri risultassero congrui, per il solo fatto che essi non siano stati
indicati in sede di offerta scatterebbe il provvedimento di esclusione del concorrente, con un’evidente sproporzione tra l’obiettivo
sostanziale perseguito e gli effetti che deriverebbero da una carenza
che rileva solo sotto il profilo formale 12.
Questo argomento risulta rafforzato alla luce della finalità ultima
della norma, che è quella di garantire la tutela dei lavoratori. Tale
finalità, infatti, può essere efficacemente perseguita effettuando
un’attenta valutazione in merito alla congruità degli oneri della
sicurezza in fase di verifica dell’anomalia, senza che sia necessario
che gli stessi siano portati preventivamente a conoscenza dell’ente
appaltante già in sede di offerta 13.
(11) Cons. giust. amm. Sic., 24 marzo 2014, n. 305, secondo cui l’omessa
indicazione degli oneri di sicurezza aziendali non è legittimamente sanzionabile
con l’esclusione, dovendosi accordare prevalenza, rispetto al meccanismo di
eterointegrazione, al principio di affidamento.
(12) Così Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375.
(13) Ancora Cons. St. n. 1375 del 2015, secondo cui se è vero che “le norme
sopra richiamate perseguono l’obiettivo di assicurare la tutela dei lavoratori e se va
riconosciuto che tale fine trascende i contrapposti interessi delle stazioni appaltanti
di aggiudicare i contratti pubblici alle migliori condizioni consentite dal mercato e
delle imprese partecipanti alle relative procedure di massimizzare l’utile ritraibile dal
contratto, va rilevato che detto fine può essere realizzato anche attraverso l’obbligo
per le stazioni appaltanti di effettuare una specifica valutazione della congruità del
costo per la sicurezza nella appropriata sede della verifica dell’anomalia dell’offerta”.
dottrina
13
Anche alla luce di tali considerazioni, è stato evidenziato che nel
caso in cui il bando non abbia specificato l’obbligo di indicare gli
oneri di sicurezza in sede di offerta a pena di esclusione, procedere
all’esclusione stessa comporta una violazione dei principi di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento e del favor partecipationis .
Ciò specialmente tenuto conto della circostanza che la normativa
ha come destinatari in primo luogo gli enti appaltanti, che quindi
sono tenuti a darvi coerente applicazione prevedendo esplicitamente nel bando, a pena di esclusione, che l’offerta indichi gli oneri di
sicurezza. Cosicché la mancanza di una previsione in tal senso nel
bando costituisce un’omissione dell’ente appaltante, i cui effetti non
possono ricadere sul concorrente che ha fatto legittimo affidamento
sulle regole della gara, fino al punto da penalizzare quest’ultimo con
la più gravosa delle sanzioni, e cioè l’esclusione dalla gara stessa 14.
Ultimo ma non meno rilevante argomento è quello secondo cui
procedere all’esclusione del concorrente in mancanza di un’esplicita previsione del bando di gara costituirebbe una violazione del
principio di tassatività delle cause di esclusione dalla gara, sancito
dall’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006 15.
La tesi richiamata prende anche in considerazione, al fine di
escluderne l’applicabilità nel caso di specie, il principio dell’eterointegrazione, in base al quale le previsioni del bando, in quanto
lex specialis della gara, vanno integrate con le prescrizioni normative che impongono a carico dei concorrenti determinati oneri o
adempimenti. L’eterointegrazione, infatti, non può spingersi fino
al punto di dedurre dalle regole della gara, che non lo prevedano
esplicitamente, un obbligo potenzialmente in grado di ledere l’affidamento in buona fede dei concorrenti determinando l’esclusione
degli stessi dalla procedura 16. A sostegno di questa conclusione,
viene anche richiamato quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il principio dell’eterointegrazione va applicato con cautela, poiché l’inserzione automatica di clausole cui esso dà luogo
può pacificamente operare nei casi in cui occorra rendere coerenti
i contenuti di contratti già conclusi con norme dirette a tutelare
esigenze di natura imperativa, come tali non disponibili da parte
dei contraenti. Al contrario, è assai dubbio che tale principio possa
trovare spazio in relazione ad aspetti che attengono allo svolgimen-
(14) In tal senso TAR Lombardia, Sez. I, 18 aprile 2014, n. 1001; TAR Campania,
Sez. I, 12 marzo 2014, n. 1492; TAR Piemonte, Sez. I, 22 novembre 2013, n. 1254.
(15) Cons. St., Sez. III, 10 luglio 2013, n. 3706.
(16) Cfr. Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375, in cui è stato affermato che
“non sono consentite interpretazioni volte ad enucleare significati impliciti nella
normativa di agra, potenzialmente in grado di ledere l’affidamento dei terzi e il
principio della massima partecipazione alla gara”.
14
rivista trimestrale degli appalti
to delle procedure di gara e, in particolare, alle modalità con cui i
concorrenti formulano le loro offerte e definiscono il corrispettivo
per l’esecuzione delle prestazioni richieste 17.
Le argomentazioni sviluppate a sostegno della tesi secondo cui
negli appalti di forniture e servizi l’esclusione del concorrente per
la mancata indicazione nell’offerta degli oneri della sicurezza non
può essere disposta in mancanza di un’esplicita previsione del bando di gara colgono una serie di elementi che, in una logica attenta
più ai profili sostanziali che a quelli formali, appaiono ragionevoli
e degni di considerazione.
Tuttavia, non si può fare a meno di osservare che essi finiscono
per relegare in secondo piano il dato letterale della norma. L’art. 87,
comma 4, infatti, mentre – come vedremo – pone oggettivi dubbi interpretativi in relazione ai lavori, è esplicito nel prevedere che per le
forniture e i servizi i concorrenti debbano indicare nelle loro offerte
gli oneri della sicurezza.
Non sembra che questa chiara indicazione letterale possa essere
superata invocando la ratio della norma o la non applicabilità del
principio di eterointegrazione, che normalmente opera proprio con
riferimento a quelle ipotesi in cui l’inequivoca formulazione delle
norme impone che le relative previsioni vengano a conformare lo
svolgimento della gara, a prescindere dall’esplicito richiamo delle
stesse nella lex specialis. Tale superamento finisce quindi per porsi
quasi in funzione creativa di una norma diversa, con il giudice che –
anche se con argomenti che possono apparire condivisibili – non si
limita a interpretare la legge, ma sostanzialmente la modifica.
Un’altra questione si è posta con riferimento a particolari tipologie di servizi, quali i servizi intellettuali. Un primo orientamento
giurisprudenziale più rigoroso ha ritenuto che anche per tali servizi,
come per tutti gli altri, sussista l’obbligo di indicazione nell’offerta
degli oneri della sicurezza aziendali. Anche per essi, infatti, si pone
un problema di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori impiegati
che, tenuto conto del rilievo costituzionale degli interessi protetti,
deve trovare adeguata considerazione attraverso l’evidenza dei costi
che il concorrente intende destinare a tale tutela.
Nessun rilievo può assumere la circostanza che l’ente appaltante,
in sede di predisposizione del DUVRI, abbia indicato come pari a
(17) Così Cons. St., Sez. III, 18 ottobre 2013, n. 5069, dove si trova affermato
che “il meccanismo sostitutivo di cui all’art. 1339, cod. civ. può operare soltanto in
presenza di norme imperative recanti una rigida predeterminazione dell’elemento
destinatario a sostituirsi alla clausola difforme; viceversa tale principio non può
trovare applicazione laddove siano comunque affidati alle parti la quantificazione e
l’esatto corrispettivo, nonché il metodo e la concreta manifestazione dell’elemento,
così come avviene per i costi per la sicurezza da rischio specifico”.
dottrina
15
zero i costi della sicurezza proprio in considerazione della natura
intellettuale del servizio da svolgere. Il DUVRI, infatti, si riferisce
esclusivamente ai costi da interferenze e cioè – come sopra ricordato – ai rischi che possono derivare dai contatti tra il personale
del committente e quello dell’appaltatore o tra personale di imprese
diverse che operano nella medesima sede. È evidente che tali rischi
possono ben essere considerati assenti nel caso di servizi intellettuali
che, proprio per la loro natura, vengono svolti esclusivamente presso
la sede dell’appaltatore.
Ciò tuttavia non esime l’appaltatore dall’individuare – e conseguentemente evidenziare in sede di offerta – i costi di sicurezza interni, che attengono cioè all’organizzazione aziendale dell’appaltatore
e che sono comunque presenti anche nei servizi di natura intellettuale, in cui si pone un tema di tutela della salute e della sicurezza
del personale impiegato (ad esempio, con riferimento all’utilizzo di
strumenti informatici) 18.
In senso diametralmente opposto si è espressa altra parte della
giurisprudenza. La tesi da essa prospettata si fonda sulla considerazione che per i servizi intellettuali caratterizzati dall’integrale
svolgimento della relativa attività nella sede propria dell’appaltatore
non si porrebbe un tema di tutela della sicurezza e salute sul lavoro,
non venendo in rilievo la presenza di specifici fattori di rischio. Di
conseguenza, l’imposizione di un obbligo di indicazione di tali oneri
in sede di offerta, per di più sanzionato con l’esclusione, si configura
come un onere del tutto meccanicistico e formale che non risponde
ad alcuna reale esigenza e che non può comportare l’esclusione del
concorrente che non vi abbia adempiuto 19.
La contrapposizione tra i due orientamenti è quindi legata alla
diversa valutazione che gli stessi operano in merito all’effettiva sussistenza di fattori di rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori
nei servizi di natura intellettuale. Al riguardo, fermo restando che ogni
singola fattispecie presenta delle caratteristiche peculiari, non sembra
si possa affermare in termini assoluti che tutti i servizi intellettuali,
per il solo fatto di avere tale natura, non comportino rischi potenziali
per la salute e la sicurezza dei lavoratori che debbano essere tenuti
in considerazione ai fini della determinazione dei relativi oneri di
sicurezza aziendale.
Sembra quindi corretto concludere che la tesi che esclude la
sussistenza dell’indicazione di tali oneri – la quale comunque presuppone un’interpretazione quanto meno evolutiva del dato normativo
– possa eventualmente essere accolta solo per quei servizi che, oltre
(18) Cons. St., Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 721.
(19) Cons. St., Sez. V, 22 gennaio 2014, n. 330.
16
rivista trimestrale degli appalti
che ad avere natura intellettuale, si caratterizzano in concreto per
uno svolgimento delle relative prestazioni secondo modalità tali che
escludono ogni fattore di rischio per i lavoratori impiegati.
L’esclusione dell’obbligo di indicazione nell’offerta degli oneri
della sicurezza è stata prospettata anche per un’altra categoria di
servizi, e cioè quelli rientranti nell’Allegato II B del d.lgs. n. 163 del
2006. Infatti, per tali servizi l’art. 20 del medesimo d.lgs. n. 163 del
2006 prevede che debbano trovare applicazione esclusivamente le
disposizioni di cui agli artt. 68 (specifiche tecniche), 65 (avviso sui
risultati della procedura di affidamento), 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Nel contempo, occorre considerare la previsione
del successivo art. 27, relativa a tutti i contratti esclusi – in tutto o in
parte – dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 163, e quindi anche
agli appalti di servizi in questione. In base ad essa, l’affidamento di tali
contratti è comunque soggetto ai principi di economicità, efficacia,
imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità.
Ne deriva che l’applicazione delle specifiche norme relative all’indicazione degli oneri della sicurezza, e in particolare dell’art. 87, comma
4 che impone tali indicazione in sede di offerta, agli appalti di servizi
di cui all’Allegato II B potrebbe derivare solo dal considerare tali norme come espressione dei principi generali sopra richiamati. Tuttavia,
un’interpretazione di questo tipo non appare sorretta da valide argomentazioni, posto che si tratta di disposizioni tipicamente di dettaglio
che impongono l’assolvimento di un mero adempimento procedurale,
come tale non idonee ad assurgere al rango di principio generale 20.
Né questa inidoneità può essere superata facendo riferimento
al rilievo costituzionale degli interessi – la tutela della salute dei
lavoratori – che tali disposizioni tenderebbero a garantire. Ai fini di
tale tutela infatti – come più volte rilevato – non appare strettamente
necessario imporre la preventiva specificazione degli oneri della
sicurezza, posto che la loro effettiva congruità – che è l’unico vero
parametro per stabilire se il valore costituzionale della salute dei
lavoratori sia assicurato nello specifico appalto – può essere accertata dall’ente appaltane in sede di verifica di anomalia dell’offerta.
Ne consegue quindi che, non potendo essere utilmente invocato il
rispetto dei principi generali richiamati dall’art. 27, per gli appalti di
servizi di cui all’Allegato II B non si può ritenere sussistente l’obbligo
della preventiva indicazione degli oneri di sicurezza in sede di offerta.
3. L’indicazione degli oneri della sicurezza negli appalti di lavori. –
Se nonostante l’apparente chiarezza del dato normativo numerose
sono le questioni sorte in merito alle corrette modalità di adempi-
(20) Cons. St., Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4907.
dottrina
17
mento dell’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza con
riferimento agli appalti di forniture e servizi, è facile comprendere
come la situazione si presenti ancora più complessa con rifermento agli appalti di lavori, dove manca invece la piena chiarezza del
quadro normativo.
Per gli appalti di lavori, infatti, le disposizioni che si occupano
del tema presentano una distonia sostanziale. Da un lato, l’art. 86,
comma 3 bis, nell’ imporre che il costo della sicurezza sia adeguato e
che di esso si debba tenere conto nella predisposizione delle gare di
appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte, prevede che
tale costo deve essere specificamente indicato e risultare congruo
rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, delle forniture e dei
servizi. La formulazione è quindi omnicomprensiva, riguardando
l’indicazione del costo della sicurezza in relazione a tutti gli appalti,
compresi quelli di lavori.
Dall’altro lato, il successivo art. 87, comma 4 stabilisce che, sempre ai fini della valutazione dell’anomalia delle offerte, i costi della
sicurezza devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare
congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi e delle forniture. In questo caso, quindi, l’obbligo di indicazione è limitato agli
appalti di forniture e servizi, con esclusione degli appalti di lavori.
Dal confronto tra le due norme nasce quindi la questione che
per anni ha suscitato un acceso dibattito: negli appalti di lavori
sussiste un obbligo in capo ai concorrenti di indicare gli oneri della
sicurezza in sede di offerta ? La questione ha trovato nel tempo due
opposte soluzioni, ognuna delle quali è stata accolta da una parte
della giurisprudenza.
Secondo una prima tesi, l’obbligo di indicazione degli oneri
della sicurezza nell’offerta sussisterebbe anche per gli appalti di
lavori. Ad avviso di autorevole dottrina, il mancato riferimento ai
lavori operato dall’art. 87, comma 4, sarebbe il frutto di una mera
omissione materiale, da ricondurre a un vero e proprio lapsus del
legislatore 21.
Decisamente più articolate sono le motivazioni addotte dalla
giurisprudenza che ha aderito a questa tesi. Il principale argomento a sostegno della sussistenza del suddetto obbligo è di natura
sistematica, trovando il suo fondamento in una lettura coordinata
dell’art. 86, comma 3 bis e dell’art. 87, comma 4. In sostanza, la
previsione dell’art. 87, comma 4 andrebbe letta unitamente a quella
del precedente art. 86, comma 3 bis: solo in questo modo il quadro
(21) In questo senso F. Caringella, M. Protto, in Codice dei contratti pubblici,
Roma, 2012, p. 650; A. Carullo, G. Iudica, Commentario breve alla legislazione sugli
appalti pubblici e privati, Padova, 2009, p. 653.
18
rivista trimestrale degli appalti
normativo troverebbe una sua coerenza interna, nel senso che soltanto la configurabilità di un obbligo generalizzato di indicazione
degli oneri della sicurezza – come tale esteso anche agli appalti di
lavori – consentirebbe all’ente appaltante di svolgere con cognizione di causa la verifica di anomalia dell’offerta 22 . Detto altrimenti,
il comma 4 dell’art. 87 non andrebbe letto in maniera isolata, ma
andrebbe interpretato alla luce del contesto complessivo in cui è
inserito e in ragione della finalità che in tale contesto il legislatore
ha inteso perseguire. Il compiuto raggiungimento di tale finalità
presupporrebbe che anche per gli appalti di lavori gli oneri della
sicurezza siano portati alla preventiva attenzione dell’ente appaltante, permettendo a quest’ultimo di avere fin dal principio la piena
conoscenza di tutti gli elementi in merito ai costi della sicurezza ai
fini di della relativa verifica di anomalia.
A rafforzare tale argomento è stato invocato poi il valore costituzionalmente rilevante degli interessi che la norma mira a tutelare.
La finalità ultima cui l’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza è indirizzato è quella di garantire che i lavoratori operino in
condizioni tali da non pregiudicare il diritto alla salute, provvisto
di copertura costituzionale. Tale garanzia assumerebbe un significato particolarmente pregnante proprio nel settore dei lavori dove
– ancor più che negli appalti di forniture e servizi – i rischi per la
salute dei lavoratori sono significativi, cosicché la quantificazione
degli oneri della sicurezza e la loro preventiva indicazione in sede
di offerta deve essere considerata con particolare rigore.
Infine, altro argomento a sostegno della tesi positiva è stato rinvenuto nella collocazione sistematica della norma. L’art. 87, comma
4 è infatti inserito nella parte del d.lgs. n. 163 del 2006 intitolata
“Contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, a conferma
che il suo ambito di applicazione deve intendersi generalizzato,
esteso cioè a tutte le tipologie di appalti, compresi quindi quelli di
lavori.
La conclusione accolta dai sostenitori di questa tesi è quindi
netta: i concorrenti alle gare per l’affidamento di lavori debbono
indicare nelle loro offerte gli oneri della sicurezza e, secondo l’interpretazione più rigorosa – ma anche maggiormente coerente con
le argomentazioni svolte e sopra riassunte – tale obbligo riguarderebbe non solo gli oneri cosiddetti aziendali ma anche quelli da
interferenze, per i quali andrebbe replicata l’indicazione contenuta
nei documenti di gara elaborati dall’ente appaltante 23.
(22) Così, tra le altre, Cons. St., Sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421; Cons. St., Sez.
III, 19 gennaio 2012, n. 2102; Cons. St., Sez. III, 3 luglio 2013, n. 3565.
(23) Cons. St., n. 212 del 2012.
dottrina
19
Le ulteriori conseguenze di questa impostazione discendono
quali naturali corollari della stessa. La prima conseguenza è che in
caso di omessa indicazione nell’offerta degli oneri della sicurezza
il concorrente va escluso dalla gara. Ciò in quanto tale mancata
indicazione comporterebbe un’incertezza assoluta sul contenuto
dell’offerta per mancanza di un elemento essenziale, configurando
quindi una delle cause tassative di esclusione previste dall’art. 46,
comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006 24. Ed anzi, l’esclusione opererebbe anche in mancanza di una clausola del bando che esplicitamente
la preveda, poiché varrebbe il principio dell’eterointegrazione del
bando in considerazione del carattere immediatamente precettivo
della norma legislativa 25.
La seconda conseguenza è che l’omissione compiuta dal concorrente non potrebbe essere sanata neanche con il ricorso al soccorso
istruttorio. Infatti, incidendo tale omissione sul contenuto dell’offerta,
consentire che in un momento successivo al termine ultimo di presentazione della stessa il concorrente possa indicare la misura degli oneri
della sicurezza comporterebbe un utilizzo distorto del soccorso istruttorio, in violazione del principio della par condicio tra i concorrenti 26.
In senso diametralmente opposto si pone la seconda opzione
interpretativa, che nega decisamente, in relazione all’appalto di lavori, la sussistenza dell’obbligo di indicare gli oneri della sicurezza
in sede di offerta 27.
Tale tesi fa leva in primo luogo sul dato letterale della norma.
Viene infatti rilevato che nessuna previsione normativa prescrive tale
obbligo, né tanto meno stabilisce che dalla mancata indicazione di
tali oneri possa discendere l’esclusione del concorrente dalla gara
28
. Il dato letterale, peraltro, troverebbe conferma in un argomento
di tipo teleologico: negli appalti di lavori, proprio in ragione dei
maggiori rischi che essi comportano in merito ai profili di sicurezza
e salute dei lavoratori, la definizione delle misure per farvi fronte
e la determinazione dei relativi costi è operata in via autonoma
dall’ente appaltante, che vi provvede in sede di redazione del Piano
di sicurezza e coordinamento ex art. 100, d.lgs. n. 81 del 2008 29. In
sostanza, per gli appalti di lavori la determinazione degli oneri della
(24) Cons. St., Sez. V. ord. 5 febbraio 2014, n. 522.
(25) TAR Lombardia, Sez. I, 9 maggio 2011, n. 1217.
(26) Cons. St., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 348; Cons. St., Sez. III, 3 luglio
2013, n. 3565.
(27) Cons. St., Sez. V, 3 febbraio 2015, n. 512; Cons. St., Sez. V, 9 ottobre 2013,
n. 4964; Cons. St., Sez. V, 7 maggio 2014, n. 2343.
(28) Cons. St., Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3056.
(29) TAR Sicilia, Sez. I, 18 luglio 2014, n. 2517; Cons. St., Sez. V, 7 maggio 2014,
n. 2343; Cons. St., Sez. V, 9 ottobre 2013, n. 4964.
20
rivista trimestrale degli appalti
sicurezza presuppone un’attenta e puntuale analisi preventiva da
parte dell’ente appaltante, configurandosi come una componente
essenziale della progettazione e dei relativi piani di sicurezza, come
tale di competenza esclusiva del committente.
Altro argomento di natura sistematica a sostegno della tesi
indicata viene tratto dalla collocazione delle disposizioni che si
occupano degli oneri della sicurezza. Tali disposizioni sono infatti
inserite nella disciplina che regola il procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte; se ne deduce che è solo in tale sede che viene
in considerazione la valutazione in merito alla congruità di tali
oneri, mentre appare del tutto ingiustificato ed eccedente rispetto
alle finalità perseguite dalla norma richiedere che degli stessi sia
data preventiva evidenza in sede di presentazione dell’offerta 30.
Né appare convincente l’argomento che fa riferimento al rilievo
costituzionale del valore – la salute dei lavoratori – che la norma
vuole tutelare. Anche in questo caso viene infatti evidenziato che
la tutela di tale valore ben può essere assicurata attraverso un’adeguata valutazione della misura degli oneri della sicurezza in sede di
verifica di anomalia, cosicché non si rinvengono ragioni plausibili
per obbligare i concorrenti ad anticipare l’indicazione di tale misura
specificandola nell’offerta. Se ciò che il legislatore ha voluto garantire è che i profili della sicurezza e della salute dei lavoratori siano
salvaguardati, tale garanzia riguarda l’adeguatezza (sostanziale) dei
relativi oneri e non certo il momento (procedurale) in cui la stessa
viene evidenziata e conseguentemente accertata.
Sulla base dell’insieme di queste argomentazioni, la conclusione
cui giunge questa tesi è netta: negli appalti di lavori la formulazione
testuale delle norme non prevede l’obbligo di indicazione in sede
di offerta degli oneri della sicurezza, né tale obbligo può ricavarsi
da ragioni di natura sistematica o teleologica, che anzi depongono
in senso contrario 31.
Disporre l’esclusione del concorrente per la ritenuta violazione di
un obbligo che, sulla base del mero dato letterale, la norma neanche
impone sarebbe ingiustificatamente penalizzante, con una evidente
sproporzione tra fini perseguiti e mezzi adottati. Infatti, si precluderebbe al concorrente di partecipare alla gara per il solo fatto di non aver
indicato gli oneri della sicurezza nella sua offerta, ancorché gli stessi
possano in realtà essere congrui e tali risultare nella sola sede deputata al relativo accertamento, e cioè in fase di verifica di anomalia 32.
(30) Cons. St., Sez. V, 9 ottobre 2013, n. 4964; Cons. St., Sez. V, 7 maggio 2014,
n. 2343.
(31) Cons. giust. amm. Sic., 24 marzo 2015, n. 305.
(32) Cons. St., Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3056.
dottrina
21
Né infine si può ritenere che nel caso di specie possa operare
il principio dell’eterointegrazione. Tale principio, infatti, non può
trovare spazio laddove verrebbe a superare il dato testuale della
norma attraverso un’interpretazione della stessa volta ad enuclearne
significati impliciti. Inoltre, esso va applicato con estrema cautela.
Come ricordato anche con riferimento agli appalti di forniture e
servizi, è infatti pacifico che ad esso si possa far ricorso per conformare, ai sensi dell’art. 1339, cod. civ., il contenuto delle obbligazioni
e dei diritti nascenti da contratti già conclusi a esigenze di ordine
imperativo non disponibili da parte dei contraenti 33. Ma se il suo
corretto utilizzo deve essere inteso in questi termini, è quanto meno
dubbio che possa trovare applicazione per integrare aspetti che
attengono allo svolgimento della procedura di gara e in particolare
alle modalità di formulazione delle offerte.
Le due tesi illustrate si sono contrapposte per molto tempo,
fino a che della questione è stata investita l’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato, a seguito dell’ordinanza di rimessione della Sez.
V, 16 gennaio 2015, n. 8.
Con la sentenza del 20 marzo 2015, n. 3, l’Adunanza plenaria ha
optato in maniera netta per la prima tesi. L’argomento fondamentale
posto a base di questa scelta è stato individuato in ragioni di natura
sistematica. Il massimo organo di giustizia ammnistrativa ha infatti
sostenuto che se l’art. 86, al comma 3 bis, prevede espressamente che
ai fini della predisposizione delle gare di appalto e della valutazione
dell’anomalia delle offerte gli enti appaltanti devono tenere conto
degli oneri della sicurezza in relazione a tutti gli appalti – compresi
quindi gli appalti di lavori – sarebbe illogico e contraddittorio rispetto alla coerenza complessiva del sistema ritenere che l’obbligo
di indicazione di tali oneri in sede di offerta sussista solo per gli
appalti di servizi e forniture, e non invece per gli appalti di lavori.
In sostanza, la previsione dell’art. 87, comma 4 – che letteralmente si riferisce solo agli appalti di servizi e forniture – non andrebbe
letta in maniera isolata, bensì in maniera integrata e coordinata con
la disciplina dettata dal precedente art. 86, comma 3 bis. Da questa
lettura sistematica consegue il superamento del mero dato testuale
della norma, e quindi l’estensione dell’obbligo di indicazione degli
oneri di sicurezza in sede di offerta anche agli appalti di lavori.
In mancanza di questa interpretazione sistematica, infatti,
l’esatta determinazione degli oneri della sicurezza finirebbe per
evidenziarsi solo in fase di verifica dell’anomalia dell’offerta. Ma
poiché tale fase è eventuale – nel senso che non è necessariamente
(33) Cons. St., Sez. V, 13 gennaio 2014, n. 72; Cons. St., Sez. V, 16 gennaio 2013,
n. 238; Cons. St., Sez. V, 7 gennaio 2013, n. 7.
22
rivista trimestrale degli appalti
presente nell’ambito della procedura di gara – potrebbe accadere
che l’ente appaltante non abbia in alcun modo cognizione prima
dell’aggiudicazione della misura degli oneri che il concorrente intende destinare alle misure di sicurezza nell’ambito dello specifico
appalto.
Questa situazione appare del tutto illogica e contraria alla ratio
complessiva delle norme relative agli oneri di sicurezza, poiché
potrebbe impedire di conoscere un elemento essenziale dell’offerta
– quello relativo alla sicurezza dei lavoratori impiegati – proprio
in relazione agli appalti di lavori, che notoriamente comportano
rischi sensibilmente più elevati di quelli che sono ordinariamente
presenti negli appalti di forniture e di servizi. Questa conclusione
appare paradossale – e quindi da respingere – anche alla luce della
tutela costituzionale che ricevono gli interessi che le norme intendono proteggere – la sicurezza e la salute dei lavoratori – che quindi
impone di procedere a una lettura costituzionalmente orientata
delle norme medesime.
Per altro verso, occorre considerare che il dato relativo agli oneri
di sicurezza aziendali o interni può essere fornito solo dall’impresa
concorrente, l’unica in grado di operare una razionale ed esatta
determinazione di costi che sono strettamente legati alla propria
organizzazione aziendale e alle modalità con cui essa intende dare
esecuzione all’appalto.
In ragione di quanto detto, non può quindi trovare accoglimento
l’argomento utilizzato dai sostenitori della tesi opposta, secondo
cui negli appalti di lavori gli oneri della sicurezza sarebbero determinati in via autonoma dall’ente appaltante nel Piano di sicurezza
e coordinamento di cui agli artt. 100, d.lgs. n. 81 del 2008 e 131,
d.lgs. n. 163 del 2006. Gli oneri contenuti nel Piano, infatti, sono
solo quelli così detti da interferenze, ma non possono certo essere
quelli aziendali, che variano in funzione dell’organizzazione della
singola impresa e non possono quindi che essere quantificati dalla
stessa 34.
La conclusione delle argomentazioni riassunte è inequivoca: per
tutti gli appalti, compresi quindi quelli di lavori, l’ente appaltante
deve indicare in sede di predisposizione degli atti di gara e anche al
fine della valutazione dell’anomalia delle offerte la quantificazione
(34) Secondo la pronuncia dell’Adunanza plenaria l’interpretazione delle
norme non può che essere “nel senso che l’obbligo di indicazione specifica dei
costi di sicurezza aziendali non possa che essere assolto dal concorrente, unico
in grado di valutare gli elementi necessari in base alle caratteristiche della realtà
organizzativa e operativa della singola impresa , venendo altrimenti addossato
un onere di impossibile assolvimento alla stazione appaltante, stante la sua non
conoscenza degli interna corporis dei concorrenti”.
dottrina
23
degli oneri di sicurezza cosiddetti da interferenze. I concorrenti, a
loro volta, devono indicare già in sede di offerta gli oneri di sicurezza
aziendali, nonché quelli da interferenze, per i quali evidentemente
andrà ribadita la quantificazione precedentemente operata dall’ente
appaltante.
L’Adunanza plenaria compie poi uno sforzo ulteriore per dare
giustificazione del fatto che nell’art. 87, comma 4, l’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza nell’offerta sia stato previsto per i
soli appalti di servizi e forniture e non anche per gli appalti di lavori.
Secondo il giudice amministrativo, la ragione di tale scelta
andrebbe individuata nella particolare natura delle prestazioni relative a tali tipologie di appalti. Nelle forniture e nei servizi, infatti,
il livello di rischio che si accompagna alla relativa esecuzione è
oggettivamente più basso di quello che ordinariamente si riscontra
negli appalti di lavori. Ciò avrebbe indotto il legislatore a richiedere
per dette tipologie di appalti la preventiva specificazione degli oneri
della sicurezza, così da fornire all’ente appaltante tutti gli elementi
per valutarli, anche e soprattutto in sede di verifica di anomalia.
Il principio affermato comporta, come inevitabile conseguenza, che la mancata indicazione degli oneri della sicurezza in sede
di offerta dà luogo, anche negli appalti di lavori, all’esclusione del
concorrente che si sia reso colpevole dell’omissione, anche qualora
non vi sia una specifica clausola del bando di gara che esplicitamente la preveda. Tale omissione, infatti, costituisce un mancato
adempimento alle prescrizioni normative previste dal d.lgs. n. 163
del 2006 idoneo peraltro a determinare una carenza in merito a un
elemento essenziale dell’offerta, dando quindi luogo a una tipica
causa di esclusione indicata all’art. 46, comma 1 bis del medesimo
d.lgs. n. 163 del 2006.
Né infine si può consentire che per sanare la richiamata omissione il concorrente ricorra al soccorso istruttorio. Si tratterebbe infatti
di un’ipotesi di vera e propria integrazione successiva dell’offerta
inizialmente carente di un elemento da considerare essenziale, in
palese violazione del principio della par condicio tra i concorrenti.
La soluzione accolta dall’Adunanza plenaria non appare pienamente convincente. Significative sono infatti le zone d’ombra che
residuano in un ragionamento che appare caratterizzato da alcune
oggettive forzature.
Le argomentazioni sviluppate, infatti, sembrano indirizzate, più
che a una fedele interpretazione del quadro normativo vigente, alla
volontà di colmare un vuoto che si ritiene esso presenti. Così da avvalorare quella tesi, sopra ricordata, che per giustificare l’omissione
che l’art. 87, comma 4 opera con riferimento ai lavori, ha parlato
di un mero lapsus del legislatore.
Tuttavia, non si può fare a meno di osservare che questo modo
24
rivista trimestrale degli appalti
di argomentare e le conclusioni cui lo stesso conduce finiscono per
legittimare un’operazione che potremmo definire di vera e propria
giurisprudenza creativa, che va molto al di là della mera interpretazione della norma vigente. In sostanza sembra che il giudice, di
fronte a un’oggettiva incongruenza del quadro normativo e sulla
base di istanze tutto sommato ragionevoli, abbia deciso di colmare autonomamente un vuoto dello stesso, quasi sostituendosi al
legislatore.
È in questa logica che va letta la prevalenza che la pronuncia
dell’Adunanza plenaria assegna all’interpretazione sistematica
rispetto a quella meramente letterale. Infatti, l’esigenza di ridare
coerenza a un quadro normativo che sulla base di una lettura testuale delle relative disposizioni ne sarebbe privo porta il giudice a
un vero e proprio superamento della lettera della legge.
È infatti innegabile che la formulazione testuale del comma 4
dell’art. 87 non lascia dubbi: l’obbligo di indicazione degli oneri
della sicurezza in sede di offerta non è previsto per gli appalti di
lavori, ma solo per quelli di servizi e forniture. Questa evidenza
viene totalmente superata dall’Adunanza plenaria, nel senso che la
semplice lettura del dato normativo viene considerata regressiva
rispetto a superiori ragioni di coerenza del sistema.
Si tratta di un’operazione ermeneutica quanto meno audace,
anche perché si pone in conflitto con la regola generale sancita
dall’art. 12 delle Preleggi, secondo cui nell’applicazione della legge
bisogna in primo luogo fare salvo il senso che ne risulta dal significato proprio delle parole e solo in un secondo momento si può
ricorrere all’ intenzione del legislatore. Nel nostro caso, invece, i
parametri interpretativi sembrano essere stati invertiti, e la ratio
della norma viene utilizzata per azzerare il valore del dato testuale.
Né sembra convincente, a supporto della tesi accolta dall’Adunanza plenaria, invocare l’esigenza di accogliere un’interpretazione
della norma costituzionalmente orientata, volta cioè a salvaguardare
in misura massima i valori della salute e sicurezza dei lavoratori che
sarebbero appunto forniti di una tutela rafforzata, in quanto dotati
di copertura costituzionale. Infatti, come è stato correttamente
rilevato 35- e come più volte sottolineato in precedenza – la tutela
di tali valori può comunque essere assicurata in sede di verifica
di anomalia, nel senso che nell’ambito del relativo procedimento
l’ente appaltante, qualora abbia dubbi sulla congruità dell’offerta,
può operare gli opportuni approfondimenti diretti ad accertare che
(35) In dottrina v. C. Mucio, Indicazione degli oneri per la sicurezza negli appalti
di lavori, in Urbanistica e appalti, 2014, n. 11, p. 1208; in giurisprudenza, Cons. St.,
Sez. III, 4 marzo 2014, n. 1030.
dottrina
25
anche lo specifico profilo degli oneri della sicurezza risulti adeguato
rispetto al quel particolare appalto.
Ciò è confermato dal fatto che l’art. 87 è inserito tra le norme
che disciplinano il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, a testimonianza che le previsioni in esso contenute devono
considerarsi funzionali allo svolgimento di detto procedimento. Di
conseguenza, appare coerente che l’accertamento della congruità
degli oneri della sicurezza sia effettuato in questa sede, senza che
emerga la necessità – in mancanza di un’espressa previsione normativa – che di tali oneri sia fornita preventiva evidenza in fase di
offerta.
Ma il punto forse più critico della pronuncia dell’Adunanza plenaria è quello in cui il giudice amministrativo cerca di fornire una
spiegazione della ragione per la quale l’art. 87, comma 4 prevede
che la preventiva indicazione degli oneri della sicurezza in sede di
offerta sia effettuata solo per gli appalti di forniture e servizi e non
anche per gli appalti di lavori.
Come ricordato più sopra, la ragione di questa scelta del legislatore sarebbe da ricercare nel minor rischio che le relative prestazioni presenterebbero rispetto all’ipotesi dei lavori. In realtà, logica
vorrebbe che l’esatta determinazione degli oneri della sicurezza – e
correlativamente la loro preventiva evidenziazione – sia tanto più
importante quanto maggiore è il rischio che si accompagna allo svolgimento delle relative prestazioni. Per cui affermare che il legislatore
non ha ritenuto di prevedere esplicitamente l’obbligo della preventiva indicazione di tali oneri proprio per gli appalti più rischiosi,
cioè quelli di lavori, appare una conclusione contraddittoria rispetto
alla premessa del ragionamento. Si tratta di una di quelle tipiche
affermazioni che – come si usa dire – “provano troppo”, nel senso
che si basano su uno sforzo ermeneutico che rischia di suscitare
dubbi maggiori di quelli che intenderebbe risolvere.
La pronuncia dell’Adunanza plenaria suscita poi ulteriori perplessità per un altro aspetto, attinente alla disciplina delle cause
di esclusione dalle gare. Le conclusioni cui giunge non sembrano
infatti pienamente coerenti con il principio di tassatività delle cause
di esclusione, sancito dal comma 1 bis dell’art. 46, d.lgs. n. 163 del
2006.
Sotto questo profilo, il giudice amministrativo richiama contestualmente due diverse cause di esclusione previste dalla norma citata,
operando una commistione tra le stesse che non giova alla linearità
del ragionamento complessivo. La sentenza fa infatti riferimento al
“mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente Codice” cioè dal d.lgs. n. 163 del 2006), che a sua volta determinerebbe
“incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta”. Viene così operato
un contestuale riferimento a due delle cause di esclusione indicate
26
rivista trimestrale degli appalti
dal comma 1 bis dell’art. 46, tra le quali viene peraltro operato un
collegamento logico – sistematico che lascia perplessi.
Al di là di tale collegamento, dubbi significativi sussistono in
relazione a entrambe le cause di esclusione che la pronuncia ha
inteso chiamare in causa. Quanto al “mancato adempimento alle
prescrizioni previste dal presente Codice” è agevole rilevare che in
realtà non vi è nessuna prescrizione normativa che, con riferimento
agli appalti di lavori, esplicitamente sancisca a carico del concorrente l’adempimento – l’indicazione degli oneri della sicurezza in
sede di offerta – il cui mancato assolvimento costituirebbe causa
di esclusione dalla gara. Ed anzi, come ampiamente evidenziato, la
disposizione dell’art. 87, comma 4, nella sua formulazione letterale,
non contempla tale adempimento, la cui sussistenza viene affermata
solo attraverso una ricostruzione sistematica del quadro normativo.
Quanto invece alla “incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta”, la posizione assunta dall’Adunanza plenaria si basa sul presupposto che la puntuale quantificazione degli oneri della sicurezza
costituisca un elemento essenziale della stessa. Solo in questo modo,
infatti, si può ritenere che la mancanza di tale elemento assuma
un valore così significativo da determinare incertezza assoluta sul
contenuto dell’offerta. Si tratta tuttavia di un’interpretazione che
appare quanto meno forzata, poiché la configurazione di tale causa
di esclusione sembrerebbe fare riferimento a elementi essenziali
e fondativi dell’offerta, la cui mancanza o difetto non consentono
l’esatta quantificazione della stessa o la sua compiuta definizione.
Ipotesi che appare difficilmente configurabile in relazione alla
mancata indicazione degli oneri della sicurezza, anche in considerazione del fatto che la loro esatta determinazione può comunque
essere accertata in sede di verifica di anomalia.
Sembra quindi potersi affermare che le conclusioni dell’Adunanza plenaria, se pure non si pongono in aperto contrasto con il
principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare, comportano comunque un vulnus a tale principio, implicando un’interpretazione molto ampia in merito ai contenuti di due delle suddette
cause indicate dalla norma legislativa.
4. La giurisprudenza successiva alla pronuncia dell’Adunanza
plenaria. – I dubbi sollevati dalla pronuncia dell’Adunanza plenaria
hanno trovato puntuale conferma in alcune sentenze successivamente emanate dai giudici amministrativi. Infatti, mentre in alcuni casi
sono stati confermati i principi enunciati dall’Adunanza plenaria
– fornendo peraltro delle specificazioni degli stessi in relazione a
ipotesi particolari – in altri casi gli interventi del giudice amministravo hanno rimesso in discussione le conclusioni raggiunte nella
pronuncia n. 3 del 2015.
dottrina
27
Appartiene al primo filone la sentenza del Consiglio di Stato,
Sez. V, 1° agosto 2105, n. 3769, in cui viene ribadito che gli oneri
di sicurezza aziendali – a differenza degli oneri da interferenze –
costituiscono una voce di costo nell’ambito dell’offerta presentata,
e come tali sono soggetti al ribasso d’asta. Essi infatti sono correlati
alla capacità di ciascuna impresa partecipante alla gara di ottenere
economie anche in relazione al profilo attinente alla salute dei propri
lavoratori impiegati nell’appalto, fermo restando l’accertamento in
merito all’effettiva congruità della misura di tali oneri che la stazione
appaltante può operare in sede di verifica di anomalia.
Nel confermare questo principio – già affermato in passato dalla
giurisprudenza – la sentenza in esame si preoccupa di specificare
che esso non è in alcun modo incompatibile con l’obbligo di preventiva indicazione di tali oneri in sede di offerta. Essi, infatti, rappresentano un elemento dell’offerta al pari di altri, non sussistendo
quindi alcun ostacolo alla loro puntuale indicazione nel corpo della
stessa. D’altro canto, resta ferma la garanzia rappresentata dal fatto
che la loro effettiva congruità è soggetta alla verifica ultima della
stazione appaltante.
In un’altra pronuncia è stato puntualizzato che l’indicazione
in sede di offerta di una percentuale di incidenza degli oneri di
sicurezza aziendali pari a zero equivale in termini logici a una
mancanza assoluta di indicazione 36. Si deve quindi ritenere che,
effettuato nei termini indicati, l’adempimento al dettato normativo
sia solo formale, vanificando tuttavia la ratio della norma. Nei fatti,
l’offerta si deve considerare priva di un elemento essenziale, con
conseguente operatività di una delle cause di esclusione indicate al
comma 1 bis dell’art. 46.
Decisamente più significative sono le sentenze che, pur dopo il
pronunciamento dell’Adunanza plenaria, ne ridimensionano o in
alcuni casi addirittura ne ribaltano le conclusioni.
In alcuni casi il giudice amministrativo – in coerenza con
quanto già sostenuto in alcune sentenze pregresse, come ricordato
supra, § 2 – ha ritenuto che l’obbligo di indicazione preventiva degli
oneri della sicurezza non debba valere per particolari tipologie di
servizi, con ciò negando che i principi affermati dall’Adunanza
plenaria possano essere applicati in termini assoluti.
In questo senso si colloca la sentenza del Consiglio di Stato, Sez.
(36) Così Cons. St., Sez. III, 15 giugno 2015, n. 2941, secondo cui “La percentuale
di incidenza dello 0,0% in effetti equivale oggettivamente e logicamente a mancanza
dell’indicazione dei costi e quindi di un elemento essenziale dell’offerta economica
per come strutturato dall’amministrazione , né può sostenersi che in ogni caso fosse
stato adempiuto l’obbligo formale dell’indicazione salvo a vanificare la previsione
di gara”.
28
rivista trimestrale degli appalti
III, 28 settembre 2015, n. 4537, che ha affermato l’insussistenza di
tale obbligo in relazione agli appalti di servizi di cui all’Allegato II
B, d.lgs. n. 163 del 2006. Questa conclusione viene argomentata
sulla base della considerazione che per tali servizi trovano applicazione esclusivamente le disposizioni puntualmente indicate
all’art. 20, d.lgs. n. 163 del 2006, tra cui non sono ricomprese quelle
di cui agli artt. 86 comma 3 bis e 87, comma 4 relative appunto
agli oneri della sicurezza, né tali ultime disposizioni possono
considerarsi espressione dei principi generali elencati all’art. 27
e come tali comunque applicabili anche a tale tipologia di appalti
di servizi. Di conseguenza, la mancata indicazione degli oneri
della sicurezza non può comportare l’esclusione del concorrente,
potendo e dovendo quest’ultimo fornire il dato mancante in sede
di procedimento di verifica di anomalia 37.
Come accennato, questa pronuncia riprende le affermazioni che
in passato erano già state operate dalla giurisprudenza con riferimento appunto ad alcune categorie di appalti di servizi. Tuttavia,
quello che va evidenziato sono gli effetti paradossali che derivano
dalla conferma dell’orientamento pregresso pur in presenza della
sentenza dell’Adunanza plenaria.
Se infatti quest’ultima ha ritenuto che l’obbligo di indicazione
degli oneri della sicurezza sussista anche per gli appalti di lavori,
nonostante la mancanza di una norma esplicita che lo preveda, e
ciò per ragioni di coerenza sistematica dell’ordinamento, risulta
contraddittorio che tale obbligo sia poi negato per gli appalti di
servizi – anche se con riferimento a specifiche categorie degli stessi
– dove peraltro il dato testuale della norma va in senso contrario.
Non si comprende infatti per quale motivo l’interpretazione di
ordine sistematico dovrebbe valere per gli appalti di lavori e non
per quelli di servizi, tanto più che per questi ultimi essa si porrebbe
in piena coerenza con il dato letterale della norma.
In sostanza, se la pronuncia dell’Adunanza plenaria ha inteso
affermare un principio di carattere generale, ricavandolo da una
ricostruzione sistematica del quadro normativo, tale principio
(37) La pronuncia specifica di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale
secondo cui “nelle gare aventi ad oggetto servizi esclusi dall’applicazione del Codice
dei contratti pubblici (All. II B – Servizi sanitari e sociali), la mancanza nel bando di
una previsione specifica non esenta i concorrenti dal dover indicare gli oneri della
sicurezza aziendale e dall’osservare le norme in materia di sicurezza sul lavoro,
ma comporta soltanto che, ove la stazione appaltante non si sia autovincolata nella
legge di gara ad osservare la disciplina di dettaglio dettata dagli artt. 86, commi 3
bis e 3 ter e 87, comma 4 del Codice dei contratti pubblici, il concorrente che non
abbia indicato i suddetti oneri della sicurezza nella propria offerta deve essere
chiamato a specificarli successivamente, nell’ambito della fase di verifica della
congruità dell’offerta stessa” .
dottrina
29
dovrebbe valere per tutti gli appalti, senza eccezione alcuna.
Perplessità ancora maggiori suscita un’altra sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 7 settembre 2015, n. 4132, che ha escluso la
sussistenza dell’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza in
relazione a tutti gli appalti di servizi, e non quindi solo per i servizi
di cui all’Allegato II B . È stato infatti affermato che, nel caso in cui
il bando di gara non contenga un’espressa previsione in tal senso,
l’omessa indicazione degli oneri della sicurezza non costituisce
motivo di esclusione dalla gara, anche in considerazione del più
volte richiamato principio di tassatività delle cause di esclusione
sancito dall’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006.
Anche in questo caso viene quindi confermato un orientamento
pregresso, che si doveva ragionevolmente ritenere superato dalla
pronuncia dell’Adunanza plenaria per le medesime considerazioni
poco sopra richiamate, che nel caso specifico assumono ancora
maggiore rilievo in considerazione dell’ampiezza del vulnus che
subiscono le conclusioni raggiunte da detta pronuncia.
Ma la massima espressione della contraddizione rispetto al
principio affermato dall’Adunanza plenaria si coglie in un altro intervento operato sempre dal Consiglio di Stato con la sentenza della
Sez. VI, 9 aprile 2015, n. 1798. La fattispecie esaminata riguarda
l’affidamento della fornitura di prodotti multimediali e dei relativi
servizi di installazione, cioè un appalto misto di forniture e servizi
di natura intellettuale.
Il giudice amministrativo, ancora una volta senza tener conto
della novità rappresentata dalla pronuncia dell’Adunanza plenaria,
ha fatto proprio l’orientamento espresso in passato da quel filone
giurisprudenziale secondo cui, proprio in considerazione della natura intellettuale delle prestazioni da rendere, non è configurabile un
obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta
a pena di esclusione 38.
Ma quello che colpisce è che per motivare questa affermazione il
giudice amministrativo prende spunto proprio da un passaggio – in
realtà alquanto criptico – della pronuncia dell’Adunanza plenaria,
che lo porta ad affermare che l’obbligo di preventiva indicazione
degli oneri della sicurezza sussisterebbe per gli appalti di lavori ma
non per quelli di forniture e servizi.
Come si è detto più sopra, per motivare il diverso trattamento
che la disposizione dell’art. 87, comma 4, riserva agli appalti di
(38) Ciò in adesione – come precisato nella pronuncia – a quell’orientamento
giurisprudenziale secondo cui, in relazione agli appalti di forniture e di servizi
intellettuali, proprio perché il rischio cosiddetto specifico o aziendale ha minore
possibilità di incidenza, non sussisterebbe l’obbligo di indicare già in sede di offerta
i relativi oneri della sicurezza.
30
rivista trimestrale degli appalti
forniture e servizi – per i quali l’obbligo in questione viene esplicitamente previsto – rispetto agli appalti di lavori – per i quali invece
esso manca – l’Adunanza plenaria ha chiamato in causa il minore
livello di rischio che le prestazioni relative ai primi presenterebbero rispetto a quelle proprie dei secondi. Da qui conseguirebbe
l’esigenza del legislatore di specificare esplicitamente che proprio
per gli appalti di forniture e servizi gli oneri della sicurezza vanno
indicati, sia pure ai soli fini di consentirne un’adeguata valutazione
in sede di verifica di anomalia.
Da questo passaggio la sentenza n. 1798 del 2015 ricava la
conclusione che mentre per gli appalti di lavori, proprio in considerazione del notevole livello di rischio che li caratterizza, gli oneri
della sicurezza vanno necessariamente indicati in sede di offerta –
in conformità appunto a quanto affermato dall’Adunanza plenaria
– analoga esigenza non sussisterebbe per gli appalti di forniture e
servizi, connotati da elementi di rischio per la salute dei lavoratori
significativamente più contenuti 39.
Questa conclusione, in realtà, produce un vero e proprio ribaltamento del quadro normativo vigente. Infatti, per gli appalti di lavori
le affermazioni operate dall’Adunanza plenaria portano a sancire la
sussistenza dell’obbligo di preventiva indicazione degli oneri della
sicurezza nonostante non vi sia in tal senso un’esplicita previsione
normativa, facendo leva esclusivamente su un’interpretazione sistematica delle disposizioni vigenti. Al contrario, per gli appalti di
forniture e servizi, nonostante la chiarezza del dato letterale della
norma che sancisce l’obbligo in questione, lo stesso non viene considerato cogente sulla base di una valutazione operata dal giudice
in merito al contenuto livello di rischio che essi presenterebbero.
È evidente che questo approccio e le conseguenze che ne derivano pongono un oggettivo problema di coerenza nel percorso
argomentativo sviluppato. Infatti, non solo – con riferimento ai
lavori – si integra una norma ritenuta lacunosa, ma in più – con
riferimento alle forniture e ai servizi – si supera il dato letterale.
Cosicché la disposizione dell’art. 87, comma 4, viene da un lato
“arricchita” di ciò che non c’è e dall’altro “privata” di ciò che invece
c’è, sulla base di un’interpretazione dei giudici.
D’altro canto non si può fare a meno di rilevare che questo com(39) Si legge nella pronuncia che “la ricostruzione in senso costituzionalmente
orientato operata dall’Adunanza plenaria comporta il sostanziale ribaltamento
dell’orientamento giurisprudenziale …secondo cui il combinato disposto del
comma 3 bis dell’art. 86 e del comma 4 dell’art. 87 del Codice dei contratti avrebbe
imposto oneri dichiarativi più pregnanti (e conseguenze escludenti più stringenti) a
carico delle imprese partecipanti ad appalti di servizi e di forniture rispetto a quelle
partecipanti ad appalti di lavori (nonostante la maggiore rischiosità che tipicamente
caratterizza la seconda tipologia di appalti rispetto alla prima)”.
dottrina
31
pleto ribaltamento del quadro normativo trova origine proprio in quel
passaggio della pronuncia dell’Adunanza plenaria in cui la stessa, nel
tentativo di giustificare il diverso trattamento riservato dal legislatore agli appalti di lavori rispetto a quelli di forniture e servizi, finisce
per dare spazio a una conclusione paradossale: a un minor livello di
rischio – come quello che caratterizza le prestazioni nelle forniture
e nei servizi – corrisponderebbe una scelta del legislatore di imporre
un onere dichiarativo più pregnante. Mentre se il rischio è maggiore, ancorché il legislatore sembra non averne tenuto conto, occorre
comunque, attraverso una ricostruzione sistematica del quadro normativo, imporre la preventiva indicazione degli oneri della sicurezza.
È proprio su questa contraddizione che si inserisce agevolmente
il ragionamento della sentenza n. 1798 del 2015. Se negli appalti
di forniture e servizi il rischio è contenuto, non risponde a logica
imporre a pena di esclusione che gli oneri della sicurezza siano
indicati già in sede di offerta.
In questo modo, il quadro complessivo si arricchisce di un ulteriore paradosso: un argomento – la diversa connotazione dell’elemento rischio nelle differenti tipologie di appalti – che l’Adunanza
plenaria aveva valorizzato per ampliare anche ai lavori, pur in
mancanza di un’espressa indicazione normativa, l’obbligo di indicazione preventiva degli oneri della sicurezza, viene successivamente
utilizzato dalla Sezione V del Consiglio di Stato per ritenere che
tale obbligo non sussista per le forniture e i servizi, nonostante in
questo caso la norma invece esista.
Tutto ciò rende evidente le smagliature che caratterizzano il
percorso argomentativo dell’Adunanza plenaria. L’aver incentrato
tutto il ragionamento e avere quindi corroborato le relative conclusioni sull’interpretazione sistematica del quadro normativo ha
finito per costituire un argomento che, come si è già detto, “prova
troppo”. E come tutti gli argomenti che provano troppo, anche in
questo caso si rischia di creare un’ulteriore confusione e dare spazio
a interpretazioni ancora una volta contrastanti.
5. Oneri della sicurezza e soccorso istruttorio. – Un profilo che
merita uno specifico approfondimento è quello relativo alla mancata
indicazione in sede di offerta degli oneri della sicurezza in relazione
ai limiti di utilizzo del soccorso istruttorio.
Come è stato evidenziato in precedenza, la pronuncia n. 3 del
2015 dell’Adunanza plenaria ha sancito in maniera netta l’impossibilità di ricorrere al soccorso istruttorio ai fini di porre rimedio
alla carenza di indicazione nell’offerta degli oneri della sicurezza.
Questa posizione negativa è stata assunta sulla base di un’affermazione altrettanto netta ma anche alquanto apodittica, non essendo
accompagnata da alcuna particolare elaborazione.
32
rivista trimestrale degli appalti
Viene infatti semplicemente operato il richiamo a due delle
cause di esclusione previste dall’art. 46, comma 1 bis del d.lgs. n.
163 del 2006, ritenendosi che la mancata preventiva indicazione
degli oneri della sicurezza costituisca, alternativamente, o “mancato
adempimento alle prescrizioni previste dal presente Codice e dal
regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti” o difetto di un
elemento essenziale dell’offerta che determina incertezza assoluta
sul relativo contenuto. Ciò comporta appunto l’impossibilità di
utilizzare il soccorso istruttorio, in quanto ne conseguirebbe una
palese violazione del principio della par condicio dei concorrenti.
La preclusione in merito all’utilizzo dell’istituto è stata successivamente rafforzata da una seconda pronuncia dell’Adunanza
plenaria, n. 9 del 2 novembre 2015. Questo nuovo intervento è
stato sollecitato dall’ordinanza di rimessione della Sezione IV del
Consiglio di Stato, n. 2707 del 3 giugno 2015, in relazione a un
ulteriore contrasto giurisprudenziale emerso successivamente alla
prima pronuncia dell’Adunanza plenaria con specifico riferimento
alle procedure di gara ancora in corso alla data di emanazione di
quest’ultima.
Infatti, da un lato alcuni giudici hanno aderito senza riserve alla
soluzione prospettata dall’Adunanza plenaria, facendone quindi
puntuale applicazione anche in relazione alle gare non ancora concluse ma per le quali l’offerta era già stata presentata al momento
del pronunciamento della sentenza n. 3 del 2015 40. Dall’altro lato,
invece, vi sono state alcune sentenze che sono andate in senso
opposto. Così, è stato ritenuto che, in aderenza a un approccio di
tipo sostanzialistico, il ricorso al soccorso istruttorio andasse assicurato almeno per le gare ancora in corso, considerata l’incertezza
giurisprudenziale che in passato aveva caratterizzato la materia 41.
Mentre in altra fattispecie, il giudice amministrativo ha ritenuto che
il principio affermato dall’Adunanza plenaria dovesse considerarsi
regressivo a fronte di una clausola del bando di gara che espressamente prevedeva il ricorso al soccorso istruttorio in tutti i casi in
cui l’incompletezza o l’irregolarità delle dichiarazioni fossero state
indotte dal contenuto dei modelli predisposti dall’ente appaltante
e utilizzato dalle imprese concorrenti.
L’esigenza di fare chiarezza in merito agli effetti intertemporali
della sentenza n. 3 del 2015 ha portato quindi la Sezione IV del
(40) In questo senso TAR Lazio, Sez. I, 10 luglio 2015, n. 522.
(41) In questo senso Cons. St., Sez. III, 13 maggio 2015, n. 2388 secondo cui
“anche se l’indicazione dei costi di sicurezza aziendali è obbligatoria, in sua assenza
deve essere richiesta la regolarizzazione mediante il soccorso istruttorio ex art. 46,
comma 1 ter ed ex art. 38, comma 2 bis”. In senso conforme anche Cons. St., Sez.
III, 7 settembre 2015, n. 4132 e Cons. St., Sez. V, 1° ottobre 2015, n. 4583.
dottrina
33
Consiglio di Stato a sollecitare un nuovo intervento dell’Adunanza
plenaria. Nell’ordinanza di rimessione n. 2707 del 2015 si evidenziava che in precedenti occasioni in cui l’Adunanza plenaria si era
pronunciata su questioni controverse destinate a incidere anche su
procedure di gara in corso, la stessa si era preoccupata di stabilire
indirizzi anche in relazione alle situazioni pregresse. E nel fare ciò,
quasi sempre ha consentito il ricorso al soccorso istruttorio per
sanare carenze e irregolarità delle offerte in relazione alla puntuale
applicazione del principio di diritto affermato dalla sentenza da
essa emanata 42.
Da qui la necessità di chiamare nuovamente in causa l’Adunanza
plenaria affinché precisasse se – anche in relazione all’oggettivo
contrasto giurisprudenziale esistente prima della sua pronuncia –
non fosse opportuno prevedere anche in questo caso la possibilità di
utilizzare il soccorso istruttorio in tutte le ipotesi in cui, al momento
di tale pronuncia, le offerte fossero già state presentate – evidentemente senza l’espressa indicazione degli oneri della sicurezza – ma
la gara fosse ancora in corso.
Nel caso di specie l’Adunanza plenaria ha tuttavia negato tale
possibilità. Operando un’applicazione molto rigorosa della sua precedente pronuncia, il massimo giudice ammnistrativo ha sancito
l’illegittimità del ricorso al soccorso istruttorio per supplire alla
mancata indicazione preventiva degli oneri della sicurezza anche
per le procedure di gara ancora in corso alla data della sentenza
n. 3 del 2015.
Alla base di questa soluzione una considerazione di fondo che
si può riassumere nei seguenti termini: accogliere la tesi contraria
significherebbe attribuire all’interpretazione giurisprudenziale un
valore e un’efficacia propriamente normativa, in aperto contrasto
con il principio costituzionale della separazione dei poteri. In sostanza, la decisione del giudice diverrebbe una vera e propria “fonte
di produzione” normativa 43.
La sentenza n. 9 del 2015 precisa poi che nel caso di specie
non ricorrerebbero neanche le condizioni per l’applicazione del
cosiddetto overruling. Infatti, per attribuire carattere innovativo
all’intervento del giudice in sede di interpretazione della norma
vigente, devono ricorrere contestualmente tre presupposti: che la
norma oggetto di interpretazione attenga a una regola processuale;
che l’interpretazione sovverta un pregresso e consolidato orienta(42) Ciò è avvenuto, ad esempio, quando l’Adunanza plenaria ha generalizzato la
regola della pubblicità delle sedute di gara relative all’apertura dei plichi contenenti
le offerte tecniche e la verifica del loro contenuto, sentenza n. 13 del 28 luglio 2011.
(43) L’espressione è testualmente utilizzata nella pronuncia dell’Adunanza
plenaria.
34
rivista trimestrale degli appalti
mento contrario; che essa comporti un effetto preclusivo del diritto
di azione o di difesa 44. Secondo l’Adunanza plenaria, nessuno di
questi presupposti sarebbe presente nel caso oggetto di esame 45.
Anche in questo caso, la rigorosa interpretazione proposta dal
giudice amministrativo suscita più di una perplessità 46. La soluzione sarebbe stata infatti ineccepibile nell’ipotesi in cui l’obbligo di
indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta fosse stato
chiaramente previsto da una specifica disposizione legislativa. In
questo caso, infatti, correttamente si sarebbe potuto sostenere che
l’interpretazione giurisprudenziale non può modificare il dettato
normativo, richiamando in maniera del tutto appropriata i limiti
della funzione giurisdizionale rispetto a quella legislativa.
Nel nostro caso, tuttavia, la situazione sembra presentarsi in
termini diametralmente opposti: non vi è alcuna previsione normativa che sancisca il suddetto obbligo, la cui affermazione – come
ampiamente illustrato in precedenza – è il risultato appunto di
un’elaborazione giurisprudenziale, quella sì “creatrice” della norma.
Cosicché si viene a determinare un paradosso nel paradosso: mentre
l’Adunanza plenaria ammette che il giudice possa supplire a una
carenza legislativa – “creando” un obbligo per i concorrenti laddove
la norma non lo prevede esplicitamente – la stessa nega che questa
funzione possa essere esercitata per regolare le situazioni di natura
transitoria. La conclusione appare appunto paradossale: il giudice
può interpretare una norma fino al punto di “creare” un obbligo che
non c’è, ma non gli è consentito di utilizzare il medesimo schema
interpretativo per consentire di limitare temporalmente gli effetti
del suo intervento “creativo”.
Alla luce di queste considerazioni, viene da chiedersi se non
sarebbe stata più appropriata una soluzione diversa in merito alla
definizione degli effetti intertemporali della sentenza n. 3 del 2015.
Di fronte a una norma che non prevede espressamente l’obbligo di
preventiva indicazione degli oneri della sicurezza, la cui sussistenza
è stata infine affermata dall’Adunanza plenaria superando un contrasto giurisprudenziale molto acceso, sarebbe stata più opportuna
una soluzione che consentisse, almeno per le procedure di gara non
ancora concluse, il ricorso al soccorso istruttorio. E ciò anche a
(44) In questo senso si è ripetutamente espressa la Corte di cassazione; cfr.
sentenze n. 20007 del 2015, n. 19700 del 2015, n. 12704 del 2012 e n. 28967 del 2011.
(45) Viene infatti evidenziato che “nel caso di specie nessuno degli anzidetti
presupposti può ritenersi sussistente non trattandosi di norma attinente ad un
procedimento di carattere giurisdizionale, non preesistendo un indirizzo lungamente
consolidato nel tempo e non risultando precluso il diritto di azione o di difesa per
alcuna delle parti in causa”.
(46) Cfr., in senso critico, A. Marincolo, Gli effetti “intertemporali” della pronuncia
dell’Adunanza plenaria n, 3 del 20 marzo 2015, in giustamm. it, n. 11, 2015.
dottrina
35
tutela del fondamentale principio dell’affidamento dei concorrenti
in buona fede.
Né appare del tutto convincente l’affermazione secondo cui non
ricorrerebbe alcuno dei presupposti per l’applicazione dell’overruling.
In primo luogo, non sembra condivisibile la conclusione secondo cui
nel caso di specie non vi sarebbe una preclusione del diritto di azione
o di difesa. Se infatti è vero che il principio affermato nella sentenza
n. 3 del 2015 non incide su una norma di natura strettamente processuale, è innegabile che vi sia una lesione almeno potenziale del
diritto di azione o difesa dei concorrenti i quali avevano presentato
un’offerta che, fino all’emanazione della richiamata sentenza, poteva
considerarsi conforme ai requisiti di legge 47.
Inoltre, appare un’oggettiva forzatura sostenere che prima della
sentenza n. 3 del 2015 non vi fosse un orientamento giurisprudenziale consolidato in senso contrario a quanto da quest’ultima
statuito. La giurisprudenza più recente, infatti, si era espressa in
maniera prevalente proprio in senso opposto a quanto poi deciso
dall’Adunanza plenaria, cosicché ben si può affermare che si era ragionevolmente ingenerato nei concorrenti un legittimo affidamento
sulla piena regolarità di offerte che non contenessero l’indicazione
degli oneri della sicurezza 48.
Al di là del profilo relativo agli effetti intertemporali della
sentenza n. 3 del 2015, è la stessa affermazione in quest’ultima
contenuta sull’impossibilità in termini generali – e quindi non solo
per le gare ancora in corso – di ricorrere al soccorso istruttorio che
impone una riflessione più ampia, che investe il tema della effettiva
efficacia dell’istituto in relazione al perseguimento degli obiettivi
che il legislatore si è prefissato introducendo le norme dirette a
rafforzarne la funzione .
Per inquadrare correttamente il tema occorre considerare che
l’operatività del soccorso istruttorio è strettamente collegata al
principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare. Infatti,
a fronte di una chiara indicazione di cause di esclusione tipizzate
anche l’effettivo ambito di applicazione del soccorso istruttorio
dovrebbe risultare più facilmente identificabile.
(47) Come osservato da A. Marincolo, op. cit., “seppure tale intervento
innovativo non incide su una norma processuale , ciò non vuol dire che non sussista
una lesione del diritto di azione e/o di difesa nei confronti dei concorrenti dai
gara ovvero della stessa stazione appaltante. In particolare il concorrente che si è
visto “cambiare” le regole della gara (in assenza di una espressa norma di legge),
subisce un evidente “vulnus” non solo in termini economici (in alcuni casi alquanto
rilevante) , ma anche in termini di tutela del proprio diritto di difesa, considerato
che – verosimilmente – si vedrà negata in via “giurisdizionale” un’aggiudicazione
formalmente corretta e legittima, quanto meno sino al 20 marzo 2015”.
(48) In questo senso sempre A. Marincolo, op. cit.
36
rivista trimestrale degli appalti
Così, se la fattispecie rientra in una delle cause di esclusione
individuate dal legislatore in relazione al suo contenuto tipico,
non vi è spazio per consentire l’utilizzo del soccorso istruttorio. Se
invece la carenza o l’irregolarità nella documentazione o nell’offerta
presentata in sede di gara non è tale da integrare una causa di esclusione, le stesse possono essere sanate attraverso il suddetto istituto.
È proprio in relazione a tale profilo che si evidenzia il punto
critico che caratterizza l’attuale disciplina legislativa in materia.
Le cause di esclusione indicate al comma 1 bis dell’art. 46, d.lgs.
n. 163 del 2006 non sembrano infatti connotate da quella nettezza
nella definizione dei relativi contenuti che sarebbe necessaria per
renderne l’applicazione il più possibile certa. L’effetto speculare di
questa situazione è che anche i confini volti a delimitare il legittimo
ricorso al soccorso istruttorio restano non sufficientemente definiti,
con conseguenti dubbi applicativi e contrasti interpretativi.
Proprio la questione relativa all’indicazione degli oneri della
sicurezza rappresenta un esempio emblematico di quanto appena
evidenziato. L’Adunanza plenaria, infatti, ha negato la possibilità
di ricorrere al soccorso istruttorio, paventando una possibile violazione del principio della par condicio tra i concorrenti, invocando
la sussistenza nel caso di specie di due possibili cause di esclusione
indicate dal comma 1 bis dell’art. 46.
La prima è quella che fa riferimento al “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente Codice e dal regolamento
e da altre disposizioni di legge vigenti”. Tuttavia, invocare questa
causa di esclusione – anche tralasciando i dubbi ampiamente illustrati in precedenza sulla effettiva sussistenza di una prescrizione
normativa che imponga l’indicazione preventiva degli oneri della
sicurezza – presuppone comunque che la stessa sia interpretata
nel senso di prevederne l’operatività non solo in quei casi in cui
il legislatore ha esplicitamente imposto l’adempimento “a pena
di esclusione”, ma anche nelle altre ipotesi in cui, pur in mancanza di questa espressa indicazione, l’adempimento omesso sia
comunque ritenuto doveroso. È evidente che in questo contesto
all’interprete e al giudice in particolare sono rimessi ampi margini
di discrezionalità nell’individuazione delle fattispecie idonee ad
integrare ipotesi di adempimenti doverosi. E, correlativamente,
resta affidata a tale valutazione anche l’ampliamento o il restringimento dell’ambito di legittima applicazione del soccorso
istruttorio.
I margini di discrezionalità risultano se possibile ancora più
ampi in relazione all’altra causa di esclusione indicata dall’Adunanza plenaria. Quest’ultima fa infatti riferimento alla mancanza
di “elementi essenziali dell’offerta”, locuzione che implica un’analisi non agevole volta all’individuazione degli elementi dell’offerta
dottrina
37
che possono considerarsi appunto ”essenziali” e la cui mancanza
è quindi idonea a determinare l’esclusione del concorrente, con
conseguente impossibilità di ricorso al soccorso istruttorio.
Il dato che emerge da quanto detto è che se la finalità che
il legislatore intendeva perseguire attraverso l’introduzione del
nuova comma 1 bis dell’art. 46 era quella di restringere le ipotesi
di esclusione dalle gare attraverso l’introduzione di un numerus
clausus di fattispecie e, correlativamente, quella di ampliare il
più possibile il ricorso al soccorso istruttorio in funzione sanante
di carenze ed irregolarità documentali, l’obiettivo appare ancora
lontano dall’essere pienamente realizzato.
Il quadro normativo vigente sembra infatti prefigurare in tema
di cause di esclusione dalle gare una sorta di “tipicità allargata”,
che a sua volta potrebbe facilmente precostituire le condizioni
per il ritorno a una situazione di vera e propria atipicità, non
dissimile da quella esistente in passato e che il legislatore si era
proposto di superare con la riforma introdotta 49.
Questa situazione ha portato alcuni autori ad invocare un
intervento più chiaro e deciso da parte del legislatore volto ad
operare una netta scelta di campo tra l’affermazione del principio di tassatività delle cause di esclusione e l’ampliamento della
possibilità di ricorrere al soccorso istruttorio 50.
Tale istanza, ad avviso di chi scrive, non sembra tuttavia prefigurare una soluzione idonea a risolvere in maniera efficace la questione sollevata. Se infatti è auspicabile un intervento legislativo
che definisca in maniera più chiara le fattispecie che costituiscono
cause di esclusione dalla gara in maniera da restringere gli spazi
di interpretazione degli operatori e dei giudici, appare per alcuni
aspetti illusorio ipotizzare che il tema possa essere affrontato e
risolto una volta per tutte in via legislativa.
Occorre infatti considerare che la minore o maggiore ampiezza
dell’ambito di applicabilità del soccorso istruttorio – questione
cui è indissolubilmente legata la direzione che si intende dare alla
disciplina delle cause di esclusione – è strettamente connessa alla
contestuale presenza di due principi fondamentali delle gare ad
evidenza pubblica, quello del favor partecipationis e quello della
(49) La notazione è di C. Contessa, Oneri per la sicurezza e soccorso istruttorio:
un nodo da sciogliere in vista del nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti
di concessione, in giustamm. it, agosto 2015.
(50) Così C.Contessa, op. cit., secondo cui “Appare evidente a chi scrive che
ormai siano maturi i tempi per un definitivo chiarimento da parte del Legislatore il
quale (anche in questo caso) sarà chiamato ad indicare in modo inequivoco quale
atteggiamento intenda assumere in ordine ai rapporti far la tassatività (peraltro
attenuata) delle cause di esclusione e l’applicazione del soccorso istruttorio”.
38
rivista trimestrale degli appalti
par condicio, e della collocazione del punto di equilibrio tra gli
stessi. È infatti evidente che quanto maggiore è il campo di intervento riconosciuto al soccorso istruttorio, tanto più numerose
risultano le irregolarità è le carenze della documentazione presentata dai concorrenti in sede di gara che possono essere oggetto
di sanatoria successiva. Condizione che, a sua volta, comporta
un oggettivo affievolimento del principio della par condicio a
vantaggio di quello del favor partecipationis.
Al contrario, se la possibilità di ricorso al soccorso istruttorio
viene ristretta, la conseguenza sarà una maggiore penalizzazione
dei concorrenti che hanno compiuto errori od omissioni in sede di
presentazione della documentazione di offerta, a tutto vantaggio
di coloro che hanno puntualmente rispettato le regole della gara.
E ciò a maggiore presidio del principio della par condicio.
Si tratta di una scelta di fondo in merito alla soluzione di
politica legislativa che si ritiene maggiormente idonea al più
efficace svolgimento delle gare e, in ultima analisi, al miglior
perseguimento della tutela della concorrenza. In questa scelta
si scontrano impostazioni sensibilmente diverse: da un lato un
approccio di tipo profondamente sostanzialistico, che mira a
evitare o quanto meno a limitare fortemente il rischio che l’esito
di una gara possa dipendere da fattori puramente formali, nel
senso che l’offerta migliore sotto il profilo tecnico ed economico
venga esclusa sulla base di un errore di forma – magari veniale –
compiuto dal concorrente in sede di predisposizione della relativa
documentazione.
Dall’altro lato, si pone comunque l’esigenza di salvaguardare
gli aspetti formali che inevitabilmente caratterizzano lo svolgimento della gara, posto che gli stessi costituiscono un presidio al
corretto esercizio dell’azione amministrativa e, in ultima analisi,
all’efficace affermazione dei principi di trasparenza e concorrenzialità nell’affidamento dei contratti pubblici.
Entrambe le impostazioni hanno i loro vantaggi e le relative
controindicazioni e la soluzione virtuosa risiede probabilmente
nell’individuazione di un punto di equilibrio che salvaguardi
alcune esigenze fondamentali in merito al corretto svolgimento
della gara senza tuttavia sconfinare in rigidi formalismi.
Ciò che sembra potersi affermare, tuttavia, è che la dialettica
tra i fautori del più ampio riconoscimento del soccorso istruttorio
e coloro che invece vorrebbero limitarne il più possibile l’ambito
di utilizzo difficilmente potrà trovare un’adeguata soluzione definitiva attraverso un intervento del legislatore, proprio perché
investe l’applicazione di principi generali del sistema dei contratti
pubblici per il quale appare imprescindibile il contributo interpretativo della giurisprudenza.
dottrina
39
6. Il profilo della compatibilità comunitaria. – Le perplessità sollevate dai due interventi dell’Adunanza plenaria trovano conferma
anche analizzando il tema oggetto di attenzione sotto il profilo della
compatibilità della soluzione adottata dal giudice amministrativo
con i principi e le norme dell’ordinamento comunitario.
Questo profilo ha trovato la sua plastica espressione nell’ordinanza del TAR Piemonte, Sez. II, n. 1745 del 16 dicembre 2015,
che ha appunto sollevato il tema della compatibilità davanti alla
Corte di giustizia Ue. In particolare l’ordinanza – preso atto della
posizione assunta dall’Adunanza plenaria con le due pronunce che
si sono succedute – ha rimesso al giudice comunitario la questione pregiudiziale se una norma nazionale come interpretata dalla
giurisprudenza, che impone la preventiva indicazione in sede di
offerta degli oneri della sicurezza aziendale a pena di esclusione –
anche in mancanza di un’esplicita previsione in tal senso negli atti
di gara – possa considerarsi compatibile con i principi comunitari
di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto e con gli
altri principi generali posti a tutela della concorrenza.
Nel sollevare la questione davanti al giudice comunitario l’ordinanza del TAR Piemonte sviluppa un percorso argomentativo da cui
sembrano emergere molti dubbi su tale compatibilità. L’insieme di
questi dubbi prende le mosse ancora una volta da una considerazione fondamentale: le norme nazionali che disciplinano le modalità
di evidenziazione e verifica degli oneri della sicurezza nell’ambito
dello svolgimento della gara non sono affatto chiare, tanto che per
dirimere i contrasti interpretativi cui le stesse hanno dato luogo
sono stati necessari due successivi interventi del massimo organo
di giustizia amministrativa.
La conseguenza immediatamente successiva è che l’obbligo
di indicazione preventiva degli oneri della sicurezza già in sede
di offerta non è l’effetto naturale di una specifica disposizione
legislativa che lo impone, bensì deriva dall’interpretazione – peraltro di carattere sistematico – delle norme vigenti fornita dalla
giurisprudenza.
È sulla base di questo assunto che viene inquadrata la questione fondamentale della compatibilità tra il quadro normativo
nazionale e i principi comunitari, tra i quali vengono in rilievo in
primo luogo il principio del legittimo affidamento e quello della
certezza del diritto.
In particolare, è ragionevole sostenere che l’interpretazione
accolta dall’Adunanza plenaria possa comportare una lesione dei
suddetti principi, in quanto fa discendere la più grave delle misure
sanzionatorie nei confronti dei concorrenti – cioè l’esclusione dalla
gara senza alcuna possibilità di rimedio o di contraddittorio – dalla
violazione di un obbligo che non è esplicitamente previsto dalla
40
rivista trimestrale degli appalti
legge, ma la cui sussistenza deriva dall’interpretazione giurisprudenziale 51.
In sostanza il concorrente viene sanzionato in via definitiva e
senza possibilità di appello per non aver adempiuto ad un obbligo
che in realtà non era contemplato né dalla legge né dal bando di
gara. È quindi una sanzione che scatta a fronte di un comportamento per molti aspetti incolpevole, rispetto al quale dovrebbero
appunto operare i principi generali della tutela dell’affidamento e
della certezza del diritto.
La lesione di tali principi, peraltro, appare ancora più significativa se rapportata alla posizione espressa nella seconda pronuncia
dell’Adunanza plenaria, la n. 9 del 2015. Infatti, negare la possibilità di sanare la ritenuta violazione dell’obbligo con il ricorso al
soccorso istruttorio anche per le procedure di gara in corso alla
data della prima pronuncia, significa incidere in maniera ancora
più pregnante sulla tutela dell’affidamento del concorrente, che in
buona fede aveva omesso l’adempimento poi ritenuto necessario,
con i correlati effetti negativi sulla certezza del diritto.
L’insieme di queste considerazioni porta il TAR Piemonte ad
affermare che, accogliendo pedissequamente l’interpretazione
dell’Adunanza plenaria, in ultima istanza quello che si finisce per
chiedere ai concorrenti è di integrare le regole della gara – che nulla
dicono sul punto – con un’ulteriore regola che non deriva direttamente dalla legge ma da una determinata interpretazione che della
stessa è stata data dal giudice amministrativo 52.
Sotto altro profilo, l’ordinanza del TAR Piemonte evidenzia che
la soluzione accolta dall’Adunanza plenaria appare anche contraria
ad altri principi comunitari, quali quelli del favor partecipationis e
della parità di trattamento. L’esclusione del concorrente per la mancata indicazione degli oneri della sicurezza viene infatti disposta in
relazione ad un inadempimento di natura esclusivamente formale,
prescindendo cioè da ogni verifica sulla effettiva sussistenza in capo
all’impresa e relativa congruità dei suddetti oneri. Ciò avrebbe come
effetto – in un’ottica attenta alla visione tipica dell’ordinamento comunitario – un indebito restringimento della platea dei potenziali
(51) Si legge testualmente nell’ordinanza del TAR Piemonte che “la necessità
di tale indicazione deriva con certezza, per l’ordinamento nazionale, non dalla
lettera delle disposizioni di legge ma solo dal cosiddetto diritto vivente, ossia dalla
richiamata interpretazione nomofilattica del quadro normativo vigente”.
(52) “Si assume infatti che tale impresa, nel silenzio degli atti di gara, fosse
tenuta ad eterointegrare la lex specialis non semplicemente con riguardo a quanto
disposto, in via generale, dalla legge (oggettivamente di incerta applicazione)
ma nei sensi derivanti dalla richiamata interpretazione estensiva fatta propria
dall’Adunanza plenaria, anche indipendentemente dal fatto che quest’ultima si sia
pronunciata anteriormente alla conclusione della fase di presentazione delle offerte”.
dottrina
41
concorrenti, con la conseguente violazione dei principi di favor
partecipationis e, più in generale, dei principi di libera concorrenza
e di libera prestazione dei servizi.
Il ragionamento sviluppato nell’ordinanza del TAR Piemonte, sia
nella sua globalità che con specifico riferimento al profilo da ultimo
richiamato, dà evidenza a una tematica di più ampio respiro, che
ha trovato sempre maggiore spazio negli ultimi anni, in merito al
diverso approccio del legislatore nazionale rispetto a quello comunitario in tema di regole che devono sovraintendere allo svolgimento
delle procedure per l’affidamento di contratti pubblici.
In termini concettuali, la questione può essere riportata al
rapporto tra rispetto (formale) della norma e perseguimento dell’obiettivo (sostanziale) di efficacia dell’azione amministrativa. In un
sistema “ideale” i due termini del rapporto dovrebbero porsi in una
relazione non di contrapposizione ma di complementarietà: a un
puntuale rispetto della norma giuridica dovrebbe corrispondere la
scelta del miglior contraente dell’amministrazione, sia in termini
economici che qualitativi. La migliore offerta, cioè, dovrebbe essere
il naturale risultato di una procedura svolta secondo i più rigorosi
canoni normativi.
Nel nostro ordinamento nazionale che sovrintende all’affidamento dei contratti pubblici, questa convergenza in realtà non è
così naturale. E anzi si può dire, un po’ provocatoriamente, che la
circostanza che a una procedura di gara “perfetta” corrisponda la
scelta del miglior contraente rappresenta più il frutto di evenienze
casuali che la logica conseguenza di un percorso.
La ragione di questa situazione per alcuni versi paradossale va
ricercata per molti aspetti nella nozione di “tutela della concorrenza”
accolta nel nostro ordinamento. La tutela della concorrenza viene
infatti spesso identificata nel mero rispetto di una procedura, con
un approccio di tipo formalistico che non necessariamente garantisce il raggiungimento del miglior risultato in sede di conclusione
del contratto.
Le ragioni di questa realtà sono evidentemente complesse e
rappresentano il risultato di una molteplicità di fattori: la specifica
configurazione del nostro sistema industriale, la struttura della
committenza pubblica, la tradizione normativa, il sistema di giustizia amministrativa. Tutti fattori che, a vario titolo e per ragioni
differenti, finiscono per confluire in quella che potremmo definire
la “cultura della regola”.
Non è certo questa la sede per indagare il complesso di tali fattori
e le motivazioni, anche storiche, che ne sono alla base. Più modestamente, può essere utile qualche spunto di riflessione su alcuni
specifici fenomeni degli ultimi anni, che consenta anche di valutare la
possibilità e la convenienza di un approccio legislativo di tipo diverso.
42
rivista trimestrale degli appalti
In primo luogo, occorre considerare che a partire dalla normativa di Contabilità di Stato il nostro sistema di contrattualistica
pubblica è stato tradizionalmente impostato sul principio di base
della massima tutela dell’ente pubblico committente.
Tutta la disciplina più risalente nel tempo era infatti pensata
per offrire all’ente pubblico la più ampia garanzia in merito alla
possibilità di scegliere il contraente ritenuto più idoneo. In questa
logica erano riconosciuti all’ente pubblico, sia pure nel doveroso
rispetto delle norme, degli spazi in cui esso poteva legittimamente
esercitare i suoi margini di discrezionalità 53.
In sostanza, nell’ambito del sistema dell’evidenza pubblica ai
committenti veniva riconosciuta una posizione che, pur nel rispetto dei principi generali che governavano l’azione amministrativa,
consentiva agli stessi di usufruire di un certo grado di autonomia
al fine del raggiungimento del risultato più conveniente.
Questo quadro di riferimento ha subito nel tempo profonde
modifiche in relazione a diversi fattori. Tra questi, si possono
individuare due fenomeni che, per il loro impatto, hanno rappresentato un vero e proprio punto di svolta rispetto all’impostazione
tradizionale.
Il primo è costituito dalla nuova configurazione assunta dalla
giustizia amministrativa. Dopo l’istituzione dei TAR, avvenuta nel
1971, il ricorso al giudice amministrativo è divenuto prassi molto
diffusa. Il controllo giurisdizionale sugli atti degli enti pubblici ha
assunto una capillarità fino ad allora sconosciuta.
Questa nuova cultura del controllo giurisdizionale ha avuto
innegabili effetti positivi sull’assetto complessivo del sistema, consentendo ai soggetti privati di disporre di un efficace strumento di
tutela dei propri interessi coinvolti nell’attività amministrativa. Non
v’è dubbio che ciò ha contribuito anche ad avvicinare i cittadini
all’amministrazione e, in ultima analisi, a favorire un processo di
costate monitoraggio della legittimità dell’azione amministrativa e
di trasparenza complessiva del sistema.
Nel settore dei contratti pubblici, tuttavia, a questi effetti positivi
si sono accompagnate anche conseguenze più discutibili. Specie
da un certo momento in poi, la tutela di fronte al giudice amministrativo ha rappresentato non il rimedio correttamente utilizzato
per reagire alle patologie del sistema, ma uno strumento quasi
fisiologico. Si è diffusa così una prassi per cui quasi a ogni gara ha
(53) Solo per fare alcuni esempi, si può ricordare la discrezionalità di cui l’ente
appaltante godeva in sede di scelta dei soggetti da invitare alla licitazione privata;
ovvero quella che gli era concessa nel deliberare i provvedimenti di esclusione dalla
gara; o ancora, i margini di autonomia che gli erano in qualche modo attribuiti
nella valutazione della convenienza economica delle offerte pervenute.
dottrina
43
finito per corrispondere, in un perverso meccanismo non immune
da vizi, un ricorso in sede giurisdizionale.
Alla diffusione di questo fenomeno hanno certamente contribuito molteplici fattori, primo fra tutti una legislazione sempre
più complessa e farraginosa che non ha facilitato – e non facilita
– il corretto svolgimento delle procedure di gara. In ogni caso, il
risultato ultimo è che nel settore dei contratti pubblici il giudizio
amministrativo si è sempre più indirizzato verso una vera e propria
“caccia all’errore formale”.
Il secondo elemento dirompente è derivato dal prepotente ingresso nel nostro ordinamento delle regole comunitarie. Più o meno
negli stessi anni in cui sono stati istituiti i TAR sono infatti state
emanate le prime Direttive comunitarie.
Queste hanno completamente ribaltato la logica di fondo cui
fino a quel momento si era ispirato il sistema dell’evidenza pubblica. La finalità principale delle norme comunitarie non è infatti
la tutela della stazione appaltante, quanto piuttosto la tutela della
concorrenza.
Al centro del sistema, cioè, non vi è più tanto l’interesse del
committente pubblico alla scelta del miglior contraente, quanto
l’interesse a vedere garantita la massima apertura del mercato
comunitario e il più efficace dispiegamento dei principi della concorrenza. Rispetto a questi obiettivi prioritari, l’individuazione del
miglior contraente costituisce solo un effetto indotto.
Ma è proprio rispetto a questo diverso approccio del diritto comunitario che si è manifestato il punto di crisi del nostro sistema
interno. Nel diritto comunitario, infatti, la tutela della concorrenza
ha un rilievo di carattere sostanziale: il fine ultimo cui deve rispondere una corretta attuazione dei principi di massima concorrenzialità è quello di garantire il risultato, inteso come ottenimento
dal mercato della migliore prestazione da rendere a favore della
stazione appaltante.
Viceversa, calata nel contesto del nostro sistema amministrativo,
la tutela della concorrenza – sulla base dell’impostazione tradizionale
sopra ricordata – ha continuato ad assumere un significato del tutto
diverso, identificandosi essenzialmente nel mero rispetto formale
delle procedure, a prescindere se da ciò derivi anche il raggiungimento
del miglior risultato in termini di economia ed efficienza.
Solo negli ultimi anni, anche sulla scorta di un orientamento
di una parte della giurisprudenza nazionale più attenta alle istanze
proprie dell’ordinamento comunitario, è emerso un diverso approccio anche da parte del nostro legislatore interno. Ne è testimonianza
proprio la recente modifica normativa dell’istituto del soccorso
istruttorio, che pure – come visto – ha assunto un rilievo significativo anche nella vicenda oggetto delle presenti note.
44
rivista trimestrale degli appalti
Le novità introdotte dal d.l. 24 giugno 2104, n. 90, convertito nella l. 11 agosto 2104, n. 114 in materia di modalità di dimostrazione
dei requisiti generali e di soccorso istruttorio sono state indirizzate
a ridisegnare, in un’ottica semplificatoria, la disciplina della cause
di esclusione dalle gare in relazione al possesso e alla conseguente
dimostrazione dei così detti requisiti generali o di idoneità morale,
indicati all’art. 38, d.lgs. n. 163 del 2006. Disciplina che ha sempre
dato luogo a contrasti giurisprudenziali e a defatiganti contenziosi,
spesso basati su contestazioni di tipo meramente formale, quali ad
esempio la mancata produzione di documentazione54
Nell’intento di arginare questo fenomeno, il legislatore ha quindi
optato per una soluzione normativa diretta al superamento del dato
meramente formale a favore di un’impostazione di tipo sostanzialistico. La filosofia di base dell’intervento normativo è quella di
concentrare l’attenzione sull’effettivo possesso dei requisiti necessari
ai fini della partecipazione alla gara, ponendo in secondo piano gli
elementi di imperfezione o di incompletezza della documentazione
finalizzata alla dimostrazione degli stessi.
Questa impostazione pone quindi in secondo piano l’approccio più tradizionale della disciplina sulle cause di esclusione dalle
gare ispirata a un rigido formalismo, giustificato con l’esigenza di
un rigoroso rispetto dei principi di trasparenza e di par condicio.
In quest’ottica, ogni possibilità riconosciuta al concorrente di intervenire sulla documentazione presentata in sede di gara – per
integrarla, regolarizzarla e/o chiarirla – è sempre stata vista come
una potenziale violazione di tali principi, e quindi circondata da
molte cautele e relativi vincoli. La conseguenza è che qualunque
irregolarità formale veniva spesso considerata causa di esclusione
dalle gare, senza dare alcun rilievo alla natura e all’entità della stessa.
La nuova disciplina del soccorso istruttorio opta invece per
un’impostazione meno formalistica, più attenta a porre l’accento
sulla effettiva sussistenza dei requisiti e quindi più aperta a consentire un’attività di regolarizzazione della documentazione prodotta a
comprova degli stessi, andando quindi al di là di quanto fino ad oggi
affermato anche dagli orientamenti giurisprudenziali più evolutivi.
È tuttavia evidente che questo cambio di prospettiva non è e
non potrebbe essere né radicale né totalmente lineare. Proprio la
vicenda relativa all’indicazione degli oneri della sicurezza in sede
di offerta mostra come sia ancora ben presente una linea interpretativa che per molti aspetti continua a privilegiare il dato formale
(54) Tipico esempio è la così detta “battaglia della fotocopia”, incentrata sulla
rilevanza o meno, ai fini di decretare l’esclusione di un concorrente, della mancanza
della fotocopia di un documento di identità dei rappresentanti dell’impresa.
dottrina
45
rispetto a quello sostanziale. Le due pronunce dell’Adunanza plenaria, che penalizzano senza possibilità di appello il concorrente alla
gara in relazione ad un mancato adempimento – la cui sussistenza
viene peraltro ricavata da un’interpretazione delle norme di natura sistematica – testimoniano la presenza di un orientamento in
cui il rispetto delle regole formali appare ancora per molti aspetti
premiante rispetto al perseguimento del miglior risultato per l’ente
committente.
Sotto questo profilo, l’ormai prossimo recepimento delle nuove Direttive comunitarie potrebbe rappresentare l’occasione per
rafforzare la tendenza a disegnare un quadro normativo in cui lo
svolgimento di una procedura conforme alle regole non sia considerato come un dato a sé stante, ma come un elemento funzionale
alla selezione del miglior contraente per l’ente committente. E in
questa logica privilegiare un approccio legislativo in cui la necessaria
osservanza di un certo grado di forma non si traduca in un inutile
e controproducente formalismo.
Si tratta di una sfida indubbiamente ambiziosa, da cui però
si misura la possibilità che anche nel nostro sistema interno che
disciplina il settore dei contratti pubblici si possano conseguire
il risultato di avere non solo procedure formalmente corrette ma
anche la effettiva realizzazione di opere e prestazioni con standard
di qualità adeguati e ai costi preventivati.
Maria Grazia Vivarelli
I SOGGETTI AFFIDATARI DI CONTRATTI PUBBLICI ED I
REQUISITI OGGETTIVI DI PARTECIPAZIONE ALLE GARE
PUBBLICHE
Sommario: 1. Problemi interpretativi dell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006: l’operatore economico. – 2. I consorzi fra società cooperative di produzione e
lavoro costituiti a norma della l. 25 giugno 1909, n. 422, e del d.lgs.C.p.S.
14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, i consorzi tra imprese artigiane di cui alla l. 8 agosto 1985, n. 443 e i consorzi stabili. – 2.1.
Consorzi stabili nei lavori pubblici. – 2.2. Consorzi stabili nei servizi e
forniture. – 2.3. Consorzi stabili in generale: cumulo dei requisiti o requisiti
autonomi. – 3. I raggruppamenti temporanei di concorrenti e i consorzi
ordinari di concorrenti di cui all’art. 2602, cod. civ.. – 3.1. I raggruppamenti
temporanei di concorrenti. – 3.2. I requisiti di partecipazione alla gara
delle ATI/RTI. – 3.3. Modificabilità della composizione del raggruppamento
in corso di gara. – 3.4. Raggruppamenti sovrabbondanti. – 4. Il contratto
di rete. – 4.1. Caratteristiche essenziali del contratto. – 4.2. Tipologie di
contratto. – 4.2.1. La “rete-soggetto”. – 4.2.2. La “rete-contratto”. – 5.
Partecipazione delle reti di impresa alle gare pubbliche. – 5.1 Rete dotata
di organo comune con potere di rappresentanza, ma priva di soggettività
giuridica (rete-contratto). Modalità di partecipazione. – 5.2. Rete dotata
di organo comune privo di potere di rappresentanza o reti sprovviste di
organo comune. Modalità di partecipazione. Qualificazione. – 5.3. Rete
dotata di organo comune e di soggettività giuridica. Modalità di partecipazione. Qualificazione. – 6. La fase esecutiva. – 7. Cenni alla differenza tra
rete-contratto e consorzio (senza attività esterna). – 8. Il gruppo europeo di
interesse economico (GEIE). – 8.1. Modalità di partecipazione dei GEIE
ad appalti pubblici secondo la normativa nazionale di recepimento del
regolamento comunitario.
1. Problemi interpretativi dell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006:
l’operatore economico. – I soggetti affidatari di contratti pubblici
sono indicati nell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 che stabilisce che
“1. Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei
contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente
indicati: a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società cooperative; b) i consorzi fra società
cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della l. 25
giugno 1909, n. 422, e del d.lgs.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, e
successive modificazioni, e i consorzi tra imprese artigiane di cui
48
rivista trimestrale degli appalti
alla l. 8 agosto 1985, n. 443; c) i consorzi stabili, costituiti anche
in forma di società consortili ai sensi dell’art. 2615 ter, cod. civ.,
tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali,
società cooperative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni
di cui all’art. 36; d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti,
costituiti dai soggetti di cui alle lett. a, b e c, i quali, prima della
presentazione dell’offerta, abbiano conferito mandato collettivo
speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario,
il quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti; si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37; e) i consorzi
ordinari di concorrenti di cui all’art. 2602, cod. civ., costituiti tra
i soggetti di cui alle lett. a, b e c del presente comma, anche in
forma di società ai sensi dell’art. 2615 ter, cod. civ.; si applicano
al riguardo le disposizioni dell’art. 37; e bis) le aggregazioni tra le
imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’art. 3, comma 4
ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla
l. 9 aprile 2009, n. 33; si applicano le disposizioni dell’art. 37; f)
i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo
di interesse economico (GEIE) ai sensi del d.lgs. 23 luglio 1991,
n. 240; si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37; f bis)
operatori economici, ai sensi dell’art. 3, comma 22, stabiliti in altri
Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente
nei rispettivi Paesi”.
Va in primo luogo osservato che la normativa vigente prevede
che possono partecipare agli appalti due tipi di soggetti: soggetti
che ai fini della partecipazione utilizzano la qualificazione da essi
stessi posseduta – e cioè imprese individuali, società commerciali,
cooperative, imprese artigiane, consorzi di cooperative di produzione e lavoro (l. 25 giugno 1999, n. 422 e successive modificazioni),
consorzi di imprese artigiane (l. 8 agosto 1985, n. 443 e successive
modificazioni) e consorzi stabili – e soggetti che, ai fini della partecipazione, utilizzano le qualificazioni possedute dai loro associati o
consorziati – e cioè: associazioni temporanee di imprese, consorzi
ordinari costituiti ai sensi dell’art. 2602, cod. civ., le aggregazioni tra
le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’art. 3, comma 4
ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla
l. 9 aprile 2009, n. 33 e i Gruppi europei di interesse economico
(GEIE) ai sensi del d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240.
Sul piano generale si può, quindi, considerare che, da una parte,
ci sono tipologie di soggetti imprenditoriali che hanno soggettività
giuridica in sé e per sé considerata e, quindi, tali da poter essere essi
stessi in possesso dei requisiti di qualificazione, dall’altro esistono
moduli organizzativi attraverso i quali più imprese si presentano
collegate, coordinate, raggruppate tra loro senza che il raggruppamento assuma una soggettività giuridica propria, aprendosi il pro-
dottrina
49
blema circa il possesso dei requisiti di qualificazione e la possibilità
o meno della loro eventuale sommatoria.
La disposizione del Codice si limita ad individuare un elenco di
soggetti affidatari dei contratti pubblici, recependo pressoché letteralmente la previsione già contenuta nell’art. 10, comma 1, della previgente l. 11 febbraio 1994, n. 109 relativa ai soli appalti di lavori. L’art.
3, comma 6, del Codice definisce il soggetto affidatario di contratti
pubblici quale “operatore economico”: termine, questo, che include
“l’imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi”(comma 22 del medesimo art.), affiancando
dunque alla figura dell’imprenditore anche quelle del fornitore e del
prestatore di servizi. Comune denominatore di tutte le figure contemplate dall’art. 34 è, senza dubbio, la nozione di impresa intesa come
esercizio professionale di un’attività economica. Bisogna osservare che
la nozione di “operatore economico”in ambito europeo è molto ampia
e tende ad abbracciare tutta la gamma dei soggetti che potenzialmente
possono prender parte ad una pubblica gara: l’art. 1, comma 8, Direttiva 2004/18/CE, 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture
e di servizi, dopo aver definito gli appalti pubblici come contratti a
titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici
ed una o più amministrazioni aggiudicatrici, designa, con i termini
“imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi”, una persona fisica
o giuridica, o un ente pubblico, o un raggruppamento di tali persone
e/o enti che “offra sul mercato”, rispettivamente, la realizzazione di
lavori e/o opere, prodotti e servizi; la stessa disposizione specifica, poi,
che il termine “operatore economico” comprende l’imprenditore, il
fornitore ed il prestatore di servizi ed è utilizzato allo scopo dichiarato
di semplificare il testo normativo. In ambito italiano, la definizione
comunitaria di “operatore economico” trova riscontro nell’art. 3 del
Codice che prevede, al comma 22, che il termine di “operatore economico” comprende l’imprenditore, il fornitore ed il prestatore di
servizi o un raggruppamento o un consorzio tra gli stessi, mentre, al
comma 19, specifica che i termini “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi”designano una persona fisica o giuridica o un ente
senza personalità giuridica, compreso il gruppo europeo di interesse
economico (GEIE), che offra sul mercato la realizzazione di lavori o
opere, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi.
Quindi, da un primo esame comparativo, le disposizioni dei
due ordinamenti giuridici sembrerebbero perfettamente allineate.
Tuttavia il legislatore nazionale introduce nel Codice (riproponendo
il contenuto dell’art. 10, comma 1, l. n. 109 del 1994) l’art. 34, rubricato “soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici”;
in esso è previsto un elenco di soggetti ammessi a partecipare alle
gare per l’affidamento di commesse pubbliche.
50
rivista trimestrale degli appalti
Un primo problema, che l’articolo pone, è relativo alla natura,
tassativa o meno, dell’elenco contenuto; un secondo, ma strettamente connesso al primo, è legato al significato attribuito al termine
imprenditore espressamente utilizzato.
Se l’imprenditore cui fa riferimento l’art. 34 è solo quello disciplinato dall’art. 2082, cod. civ. (chi esercita professionalmente
un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello
scambio di beni e servizi), si comprende che si è di fronte ad una
categoria più ristretta rispetto a quella abbracciata dalla normativa
comunitaria secondo cui nel concetto di impresa rientra qualsiasi
ente che esercita un’attività economica consistente nell’offerta di
beni e servizi su un determinato mercato, a prescindere dallo status
giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento.
Del resto, al riguardo, è opportuno rammentare che, nel contesto della procedura di infrazione aperta nei confronti dell’Italia
per alcune delle disposizioni contenute nel Codice (poi chiusa in
seguito all’adozione del d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152 cosiddetto
“terzo correttivo”), la Commissione europea ha evidenziato che le
direttive in materia di appalti pubblici non consentono di restringere
la possibilità di partecipare alle gare ad alcune categorie di operatori, escludendone altre. Tale rilievo è, poi, sfociato nell’intervento
additivo della lett. f bis al capoverso dell’art. 34 del Codice, che
permette la partecipazione alle gare degli “operatori economici, ai
sensi dell’art. 3, comma 22, stabiliti in altri Stati membri, costituiti
conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi paesi”.
La giurisprudenza è stata chiamata più volte a pronunciarsi
sull’evidenziata divergenza tra le citate disposizioni nazionali che,
testualmente interpretate, circoscrivono la partecipazione alle
procedure di affidamento dei contratti pubblici alle sole società
commerciali (escludendo società semplici, associazioni, enti pubblici, ecc..) e l’impostazione sostanziale ed oggettiva del diritto
comunitario, estranea a queste distinzioni. Sulla questione, sono
emerse posizioni non univoche. I dubbi erano diretti non tanto
verso gli enti pubblici economici che hanno natura ed a volte anche
struttura imprenditoriale, quanto sugli enti pubblici non economici
a cui è difficile attribuire il carattere dell’imprenditorialità e la cui
partecipazione alle gare è suscettibile di alterare la par condicio,
creando una distorsione dei meccanismi concorrenziali, atteso il
sistema di contribuzione e vantaggi di cui l’ente pubblico gode. A
fianco di un orientamento restrittivo1, ne è emerso un altro che,
partendo dalla considerazione per cui un’opzione pregiudizial-
(1) TAR Campania, Napoli, Sez. I, 12 giugno 2002, n. 3411, in De Agostini
banche dati on-line.
dottrina
51
mente ostile alla partecipazione alle gare di soggetti pubblici mal
si concilierebbe con il principio che riconosce agli enti pubblici
piena autonomia negoziale – la circostanza di essere beneficiari di
contribuzioni pubbliche non è di per sé ostativa alla partecipazione
a gare pubbliche, sempre che si tratti di contribuzioni conseguite
nel rispetto della disciplina comunitaria di riferimento (ne è prova il
fatto che le imprese private beneficiarie di aiuti finanziari pubblici
possono prender parte a gare pubbliche) – esclude un’incompatibilità in astratto e ritiene che la questione vada affrontata in concreto,
verificando caso per caso2 la compatibilità delle finalità istituzionali proprie dell’ente che intende prender parte alla selezione con
l’attività oggetto della prestazione dedotta nell’appalto da affidare.
A tal proposito, il Consiglio di Stato Sez. VI, 16 giugno 2009, n.
38973 ha stabilito che “Anche i soggetti economici senza scopo di
lucro, quali le fondazioni, possono soddisfare i necessari requisiti
ed essere qualificati come “imprenditori”, “fornitori” o “prestatori
di servizi” ai sensi delle disposizioni vigenti in materia, e dunque
essere soggetti legittimati ad accedere ai contratti pubblici, attese
la personalità giuridica che le fondazioni vantano e la loro capacità
di esercitare anche attività di impresa, qualora funzionali ai loro
scopi e sempre che quest’ultima possibilità trovi riscontro nella
disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico”.
L’elencazione dell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006, Codice dei
contratti pubblici, non è, infatti, tassativa4 come ha recentemente
affermato anche l’ANAC 5 : “Si evidenzia che tale elencazione non
è da considerarsi esaustiva e che, ai fini dell’ammissione alla gara,
occorre far riferimento alla nozione di operatore economico, così
come individuato dalla giurisprudenza europea e nazionale (cfr.
determinazione AVCP del 21 ottobre 2010, n. 7)” e tale conclusione
trova conforto in altre norme del codice degli appalti che definiscono la figura dell’imprenditore o fornitore o prestatore di servizi
nell’ambito degli appalti pubblici (art. 3, commi 19 e 20) e nelle
disposizioni comunitarie le quali (art. 1, commi 8, 4 e 44, Direttiva
n. 2004/18/CE) indicano che il soggetto abilitato a partecipare alle
gare pubbliche è l’”operatore economico” che offre sul mercato
lavori, prodotti o servizi, secondo un principio di libertà di forme.
La giurisprudenza comunitaria ha affermato che per “impresa”, pur
in mancanza di una sua definizione nel Trattato, va inteso qualsiasi
soggetto che eserciti attività economica, a prescindere dal suo stato
(2) Cons. St., Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4327; Cons. St. Sez. VI 16 giugno 2009
n. 3897, in De Agostini on-line.
(3) In De Agostini on-line.
(4) TAR Puglia, Bari Sez. I, 03-04-2013, n. 467, in De Agostini on-line.
(5) Bando-tipo n. 2 del 2 settembre 2014, in www.anac.it.
52
rivista trimestrale degli appalti
giuridico e dalle sue modalità di finanziamento; che costituisce
attività economica qualsiasi attività che consiste nell’offrire beni
o servizi su un determinato mercato; che l’assenza di fine di lucro
non esclude che un soggetto giuridico che esercita un’attività economica possa essere considerato impresa. Pertanto, la definizione
comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi,
quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, ma da elementi
puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da scambiare
con altri soggetti, nell’ambito quindi di un’attività di impresa anche
quando non sia l’attività principale dell’organizzazione. Inoltre, non
è rilevante il fatto che una fondazione goda di un regime fiscale di
favore perché il regime fiscale di favore assiste anche altri soggetti,
quali le cooperative, senza che si possa sostenere che queste siano
escluse dagli appalti pubblici (anzi sono espressamente contemplate nell’art. 34, Codice), ovvero le Onlus che secondo la recente
giurisprudenza amministrativa possono essere ammesse alle gare
pubbliche quali “imprese sociali”, cui il d.lgs. 24 marzo 2006, n.
155 ha riconosciuto la legittimazione ad esercitare in via stabile e
principale un’attività economica organizzata per la produzione e
lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare
finalità d’interesse generale, anche se non lucrativa.
L’Autorità per vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture (oggi ANAC) ha avuto occasione di pronunciarsi sull’argomento con la deliberazione n. 119 del 18 aprile 20076; in essa,
esaminando i soggetti che ai sensi dell’art. 34 del Codice possono
partecipare ad una gara pubblica, notava che il comune denominatore degli stessi era rappresentato dall’esercizio professionale di
un’attività economica. Ciò aveva indotto l’Autorità a concludere nel
senso che le Università, non possedendo tale requisito, non potessero essere ammesse alle procedure per l’affidamento di contratti
pubblici, a meno che le stesse non costituissero apposite società,
sulla base dell’autonomia loro riconosciuta dalla l. 9 maggio 1989,
n. 168. Anche per gli istituti di ricerca l’Autorità riteneva necessario
procedere ad una verifica caso per caso degli statuti dei singoli enti al
fine di valutare gli scopi istituzionali che gli stessi erano chiamati a
perseguire. Più recentemente, l’Autorità, alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria, è tornata sulla questione, affrontando,
in linea generale, con il parere n. 127 del 23 aprile 20087, il problema
della possibilità di partecipazione alle gare d’appalto di soggetti
giuridici diversi da quelli indicati nell’elenco dell’art. 34 del Codice,
quali, nel caso di specie, fondazioni, istituti di formazione o di ricer-
(6) www.anac.it.
(7) www.anac.it.
dottrina
53
ca. In detto parere, è stata ricordata la nozione di impresa del diritto
comunitario (cfr. da ultimo, in tal senso, Corte di giustizia CE, 26
marzo 2009, causa C-113/07 P, Selex Sistemi Integrati/ Commissione
e Eurocontrol). Si tratta, quindi, di una nozione dai confini ampi,
che prescindono da una particolare formula organizzativa e dalla
necessità di perseguire finalità di lucro (cfr. sul punto le conclusioni
dell’Avvocato generale Jacobs presentate il 1° dicembre 2005 nella
causa C-5/05, decisa con sentenza della Corte di giustizia CE, 23
novembre 2006, Joustra, nonché la sentenza della Corte di giustizia
CE, 29 novembre 2007, causa C-119/06, Commissione/Italia). Per
quanto concerne gli enti pubblici non economici, quali gli enti di
ricerca CNR, FORMEZ, CENSIS e IFOA, l’Autorità ha esaminato
il rischio di alterazione della par condicio tra i partecipanti ed il
possibile effetto distorsivo della concorrenza, atteso il particolare
regime di agevolazioni finanziarie di cui godono i predetti enti e
la conseguente posizione di vantaggio rispetto ad altri soggetti che
forniscono i medesimi servizi nell’esercizio dell’attività di impresa,
dovendo sopportare integralmente i relativi costi.
In proposito, va sottolineato che la Corte di giustizia CE ha già
avuto modo di precisare che gli enti pubblici che beneficiano di
sovvenzioni erogate dallo Stato, che consentono loro di presentare
offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli altri offerenti
non sovvenzionati, sono espressamente autorizzati dalla Direttiva
a partecipare a procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici
(sentenza 7 dicembre 2000, causa C-94/99, ARGE).
Alla luce delle considerazioni esposte, l’Autorità, nel citato parere
n. 127 del 2008, ha concluso che gli enti pubblici non economici
possono partecipare a quelle gare che abbiano ad oggetto prestazioni corrispondenti ai loro fini istituzionali, con la conseguente
necessità di operare una verifica in concreto dello statuto al fine
di valutare la conformità delle prestazioni oggetto dell’appalto agli
scopi istituzionali dell’ente, optando per un’interpretazione che non
riconosce carattere tassativo all’art. 34 del Codice.
In tale contesto è intervenuta la Corte di giustizia che il 23
dicembre 2009 si è pronunciata sulla causa C-305/08 relativa alla
questione rimessale in via pregiudiziale dal Consiglio di Stato, con
il parere n. 167 del 2008.
Nell’ordinanza di rimessione, il Consiglio di Stato, oltre a riportare le menzionate posizioni della giurisprudenza e dell’Autorità,
evidenziava il rischio per la concorrenza nel mercato dei contratti
pubblici derivante dalla partecipazione delle Università che godono
di una posizione “di privilegio che gli garantirebbe una sicurezza
economica attraverso finanziamenti pubblici costanti e prevedibili
di cui gli altri operatori economici non possono beneficiare”. La
Corte, pur riconoscendo che, in talune circostanze particolari, l’am-
54
rivista trimestrale degli appalti
ministrazione aggiudicatrice ha l’obbligo, o quanto meno la facoltà,
di prendere in considerazione l’esistenza di aiuti non compatibili
con il Trattato, al fine eventualmente di escludere gli offerenti che
ne beneficiano, ha affermato che “le disposizioni della Direttiva
2004/18, ed in particolare quelle di cui al suo art. 1, n. 2, lett. a,
e n. 8, commi 1 e 2, che si riferiscono alla nozione di “operatore
economico”, devono essere interpretate nel senso che consentono
a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non
dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli
istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e
amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico
di servizi”.
Infatti, ribadendo quanto affermato in alcuni precedenti, la Corte
ricorda che è ammesso a presentare un’offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o ente che, considerati i requisiti indicati in un bando
di gara, si reputi idoneo a garantire l’esecuzione di detto appalto, in
modo diretto oppure facendo ricorso al subappalto, indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di diritto privato o di diritto
pubblico e di essere attivo sul mercato in modo sistematico oppure
soltanto occasionale, o, ancora, dal fatto di essere sovvenzionato
tramite fondi pubblici o meno. L’effettiva capacità di detto ente di
soddisfare i requisiti posti dal bando di gara deve essere valutata
durante una fase ulteriore della procedura, in applicazione dei criteri
previsti agli artt. 44-52, Direttiva 2004/18 (cfr. sentenze 18 dicembre
2007, causa C-357/06, Frigerio Luigi & Co.; 12 luglio 2001, causa
C-399/98, Ordine degli architetti; 7 dicembre 2000, causa C-94/99).
La Corte, poi, richiamando l’art. 4, n. 1, Direttiva 2004/18/CE, precisa
che gli Stati membri possono decidere liberamente se autorizzare o
meno determinati soggetti, quali le università e gli istituti di ricerca,
non aventi finalità di lucro, ma volti principalmente alla didattica e
alla ricerca, ad operare sul mercato in funzione della compatibilità
di tali attività con i fini istituzionali e statutari che sono chiamati a
perseguire. Una volta concessa, però, l’autorizzazione, poi, non si
può escludere gli enti in commento dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Pertanto, alla luce
dell’attuale disciplina legislativa, il giudice comunitario conclude
che “la Direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che essa
osta all’interpretazione di una normativa nazionale come quella di
cui trattasi nella causa principale che vieti a soggetti che, come le
università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente
scopo di lucro di partecipare a una procedura di aggiudicazione di
un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal
diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell’appalto
considerato”.
dottrina
55
In armonia con quanto stabilito dalla Corte, anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato che “Alle procedure di gara
possono partecipare anche gli enti senza fine di lucro poiché l’art.
34, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 va interpretato in chiave comunitariamente compatibile, e secondo il diritto comunitario il fine di lucro
non è essenziale per la definizione di un soggetto come operatore
economico, in quanto l’assenza di fini di lucro non esclude che l’ente
eserciti un’attività economica e costituisca impresa ai sensi delle
disposizioni del trattato relative alla concorrenza”8.
L’Autorità per vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi
e forniture (oggi ANAC) con determinazione n. 7 del 21 ottobre
20109 “Questioni interpretative concernenti la disciplina dell’art.
34, d.lgs. n. 163 del 2006 relativa ai soggetti a cui possono essere
affidati i contratti pubblici”, alla luce delle predette considerazioni,
ha stabilito che “alla stregua dell’orientamento espresso dalla Corte
di giustizia con la sentenza in esame, non sembra potersi affermare,
in via generale, l’esistenza di un divieto per gli operatori pubblici
a partecipare alle procedure ad evidenza pubblica. In sostanza, la
definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti
soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, ma da
elementi puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da
scambiare con altri soggetti, nell’ambito, quindi, di un’attività di
impresa che può non essere l’attività principale dell’organizzazione.…
Al contrario, la possibilità per le Università di operare sul mercato
sarebbe espressamente prevista dall’art. 7, comma 1, lett. c, l. n.
168 del 1989, che include, tra le entrate degli atenei, anche i corrispettivi di contratti e convenzioni, nonché dall’art. 66, d.P.R. n. 382
del 1980, rubricato “Riordinamento della docenza universitaria,
relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa
e didattica” che prevede che le Università possano eseguire attività
di ricerca e consulenza, stabilite mediante contratti e convenzioni
con enti pubblici e privati, con l’unico limite della compatibilità
delle suddette attività con lo svolgimento della funzione scientifica e didattica che per gli Atenei rimane prioritaria. Resta ferma
la necessità di effettuare, caso per caso, un esame approfondito
dello statuto di tali persone giuridiche al fine di valutare gli scopi
istituzionali per cui sono state costituite. In sostanza, la stazione
appaltante deve verificare se gli enti partecipanti alla gara possano
statutariamente svolgere attività di impresa offrendo la fornitura
di beni o la prestazione di servizi sul mercato, pur senza rivestire
la forma societaria (cfr. Cons. St., Sez. VI, 16 giugno 2009, n. 3897).
(8) Cons. St. Sez. V, 24 novembre 2009, n. 7347 in De Agostini banche dati on-line.
(9) In www.anac.it.
56
rivista trimestrale degli appalti
In altri termini, anche se non ricompresi nell’elenco di cui all’art.
34 del Codice, qualora i soggetti giuridici in questione annoverino,
tra le attività statutariamente ammesse, quella di svolgere compiti
aventi rilevanza economica possono, limitatamente al settore di
pertinenza, – e se in possesso dei requisiti richiesti dal singolo
bando di gara – partecipare a procedure di evidenza pubblica per
l’affidamento di contratti aventi ad oggetto servizi compatibili con
le rispettive attività istituzionali. È opportuno evidenziare, però, che
la Corte pone a fondamento della sentenza anche la considerazione
che l’esclusione delle Università potrebbe portare a considerare
“non contratti”gli accordi che comunque verrebbero conclusi tra
tali soggetti e le stazioni appaltanti, eludendo l’applicazione delle
Direttive 17/2004/CE e 18/2004/CE. Appare chiaro, allora, quanto la
pronuncia della Corte abbia spostato il baricentro della questione,
fugando ogni dubbio sull’impossibilità per le stazioni appaltanti di
escludere a priori, dalla partecipazione alle gare, gli enti pubblici
non economici, e le Università in particolare, solo perché difettano
del requisito dello scopo di lucro o di un’organizzazione stabile
d’impresa, ma nel contempo escludendo che i contratti conclusi
tra amministrazioni aggiudicatrici e organismi che non agiscono in
base ad un preminente scopo di lucro possano non essere considerati
“appalti pubblici”e, pertanto, venir aggiudicati senza il rispetto della
normativa comunitaria e nazionale dettata in materia”.
Sul solco delle valutazioni espresse dall’AVCP (oggi ANAC), si è
orientata anche la giurisprudenza di merito. A tal proposito il TAR
Calabria, Catanzaro, Sez. II, 8 marzo 2011, n. 34710 ha stabilito che
“Anche soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni,
possono soddisfare i requisiti per essere ammessi alle gare pubbliche
ed essere qualificati come “imprenditori”, “fornitori” o “prestatori
di servizi” ai sensi delle disposizioni statali e comunitarie vigenti
in materia. Ciò in considerazione della personalità giuridica delle
fondazioni e della capacità di esercitare anche attività di impresa, nei limiti in cui ciò sia funzionali ai loro scopi e sempre che
quest’ultima possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del
singolo soggetto giuridico. L’elencazione contenuta nell’art. 34, d.lgs.
12 aprile 2006, n. 163, pertanto, non deve considerarsi tassativa”.
Il TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 22 aprile 2014, n. 41511 ,
con riguardo alla possibilità di partecipazione a pubbliche gare
di società collegate o controllate o partecipate da enti pubblici, ha
affermato che “Non può impedirsi ai titolari di affidamenti diretti
di partecipare alle gare per l’aggiudicazione di servizi pubblici. È
(10) In De Agostini banche dati on-line.
(11) In De Agostini banche dati on-line.
dottrina
57
vero che grazie allo speciale rapporto con l’ente pubblico sussiste
un vantaggio comparativo (il fatto stesso che un servizio sia affidato
senza gara garantisce un flusso di utili non eroso dalla necessità di
offrire, per prevalere sui concorrenti, una massa di controprestazioni ai limiti della sostenibilità economica). Tuttavia, anche ipotizzando che questo vantaggio rappresenti una forma di sovvenzione
pubblica, i beneficiari non potrebbero essere colpiti dalla sanzione
dell’esclusione. In effetti, poiché alle gare sono ammessi a partecipare gli stessi enti pubblici, in qualità di operatori economici, non
sarebbe ragionevole allontanare i soggetti che dagli enti pubblici
ricevono sovvenzioni”.
Vista la non tassatività dell’elencazione contenuta nell’art. 34,
d.lgs. n. 163 del 2006, si è posto il problema della possibilità per le
società semplici di poter partecipare alle procedure di affidamento
dei contratti pubblici. Com’è noto la società semplice costituisce
la forma più elementare di società. La caratteristica fondamentale
della società semplice è data dal fatto che essa può avere per oggetto
esclusivamente l’esercizio di attività economiche lucrative non commerciali (art. 2249, cod. civ.). La sfera di applicazione delle società
semplici può estendersi, pertanto, all’esercizio di:
- attività agricole, con alcune limitazioni in quanto: la società
non può avere ad oggetto il mero godimento di beni, ma l’esercizio comune e concreto di attività economica; le comunioni tacite
familiari, come i gruppi familiari esercenti l’agricoltura su fondi
propri o altrui, sono regolate dagli usi e non dal contratto di società; – attività di gestione di immobili: l’art. 29, l. 27 dicembre 1997
n. 449 ha previsto la trasformazione in società semplici di società
commerciali aventi ad oggetto in via esclusiva la gestione di beni
immobili non strumentali all’esercizio dell’impresa, di beni mobili
registrati, o di quote di partecipazione in società.
È emerso, nella giurisprudenza amministrativa12, un orientamento secondo cui “L’art. 34, lett. a, d.lgs. n. 163 del 2006,
laddove non consente alle società semplici la partecipazione alle
gare di appalti pubblici, non contrasta con il diritto comunitario
dei pubblici appalti che, pur affermando il principio di libertà di
forma del concorrente, tuttavia, non impedisce agli Stati membri
di regolare la capacità giuridica dei soggetti diversi dalle persone
fisiche, e di vietare a determinate categorie di persone giuridiche
di offrire lavori, beni o servizi sul mercato. È pertanto legittimo il
provvedimento di esclusione adottato nei confronti di un’impresa
concorrente che rivesta la forma giuridica di società semplice,
adottato ai sensi dell’art. 10, l. n. 109 del 1994, nonché dell’art. 34,
(12) Cons. St., Sez. VI, 8 giugno 2010, n. 3638, in De Agostini banche dati on-line.
58
rivista trimestrale degli appalti
lett. a, d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti), ciò in quanto
le predette disposizioni normative non contrastano con i principi
comunitari di libera concorrenza e massima partecipazione, i quali
consentono comunque, ai Paesi membri dell’Unione, di valutare
l’opportunità di affidare la realizzazione di lavori e servizi a determinate categorie di imprese; d’altro canto, la disposizione di
cui all’art. 2249, cod. civ., che esclude la possibilità, per le società
semplici, di svolgere un’attività commerciale, appare ragionevole e
non discriminatoria, in virtù del peculiare regime di responsabilità
della società semplice verso i terzi, rispetto a quello che connota,
viceversa, le altre categorie sociali. Peraltro la regola contenuta
nel codice civile è coerente con l’art. 4, § 1, Direttiva n. 2004/18/
CE che lascia agli Stati membri la possibilità di riconoscere o
meno a determinati soggetti la relativa capacità giuridica”. Pertanto, pareva escludersi alle società semplici l’ammissione alla
partecipazione alle gare pubbliche. Tuttavia, il Cons. St., Sez. VI,
17 luglio 2013, n. 389113 ha stabilito che “Il diritto dell’Unione
Europea, e segnatamente l’art. 6, Direttiva n. 37 del 1993, osta
ad una normativa nazionale che vieta a una società (quale una
società semplice) qualificabile come imprenditore ai sensi della
citata Direttiva, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente
a causa della sua forma giuridica”
2. I consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della l. 25 giugno 1909, n. 422, e del d.lgs. C.p.S. 14
dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, i consorzi tra
imprese artigiane di cui alla l. 8 agosto 1985, n. 443 e i consorzi stabili.
– L’art. 2602, cod. civ. contiene la nozione giuridica del consorzio che
è definito come il contratto di con cui più imprenditori istituiscono
un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di
determinate fasi delle rispettive imprese. Stabilisce la norma che
“Il contratto di cui al precedente comma è regolato dalle norme
seguenti, salve le diverse disposizioni delle leggi speciali”.
I consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e quelli
tra imprese artigiane sono disciplinati da leggi speciali cui occorre
fare specifico riferimento in funzione derogatoria alla disciplina
generale prevista codice civile.
In particolare, i consorzi fra società cooperative di produzione e
lavoro sono disciplinati dalla l. n. 422 del 1909 che all’art. 1 stabilisce
che “1. Le Società cooperative di produzione e lavoro legalmente
costituite possono riunirsi in consorzio per assumere in tutte le
parti del Regno appalti di opere pubbliche dello Stato e degli enti
(13) In De Agostini banche dati on-line;
dottrina
59
morali”. L’art. 2 prevede che ai fini del riconoscimento dell’esistenza
del consorzio le società cooperative di produzione e lavoro debbono
farne domanda al Ministero di agricoltura, industria e commercio,
presentando, oltre la proposta di statuto di consorzio i loro statuti
approvati e pubblicati nei modi di legge. Nella proposta di statuto
debbono essere determinati l’oggetto e la durata del consorzio, la
sua sede, il suo patrimonio, i contributi delle singole società, i modi
di versamento, la rappresentanza e gli organi d’amministrazione
del consorzio, le norme relative alla responsabilità, delle singole
società, e degli amministratori fra loro e verso i terzi.
È esplicitamente previsto che il consorzio di cooperative costituisce persona giuridica e soggiace alle norme del codice di commercio per le sue operazioni commerciali e per tutti gli effetti che
ne derivano (art. 4).
Infatti, è stato affermato dalla giurisprudenza amministrativa
che “Il consorzio fra società di cooperative di produzione e di lavoro,
è dotato di soggettività giuridica autonoma e stabile, diversamente
da quanto accade per le riunioni temporanee di imprese. Invero,
il rapporto che lega le cooperative consorziate alla struttura consortile è un rapporto di carattere organico, con la conseguenza che
il consorzio è l’unico soggetto interlocutore dell’amministrazione
appaltante: il consorzio, dunque, partecipa alla procedura non
come mandatario ma ex se, come portatore di un interesse proprio,
anche se finalisticamente collegato allo scopo mutualistico delle
consorziate, destinato ad assumere la veste di parte del contratto,
con relativa assunzione in proprio di tutti gli obblighi, gli oneri e le
responsabilità. Non è allora revocabile in dubbio che il consorzio
possa partecipare alla procedura utilizzando i requisiti suoi propri e,
nel novero di questi, facendo valere i mezzi nella disponibilità delle
cooperative che costituiscono articolazioni organiche del soggetto
collettivo, ossia suoi interna corporis. Il rapporto organico che lega
le cooperative consorziate, ivi compresa quella incaricata dell’esecuzione dei lavori, in sostanza non dissimile mutatis mutandis da
quello che avvince i singoli soci ad una società, è tale che le attività
compiute dalle consorziate è imputata organicamente al consorzio,
come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di
interessi. Conseguentemente, la responsabilità per inadempimento
degli obblighi contrattuali nei confronti della pubblica amministrazione. si appunta esclusivamente in capo al consorzio senza estendersi, in via solidale, alla cooperativa incaricata dell’esecuzione”14.
Ovviamente, in ipotesi in cui il consorzio affidi l’esecuzione
dell’appalto a singole consorziate, troverà applicazione l’art. 36
(14) Cons. giust. amm. Sic., 2 gennaio 2012, n. 12, in De Agostini banche dati on-line.
60
rivista trimestrale degli appalti
comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006 secondo cui “Il regolamento stabilisce le condizioni e i limiti alla facoltà del consorzio di eseguire
le prestazioni anche tramite affidamento ai consorziati, fatta salva
la responsabilità solidale degli stessi nei confronti del soggetto appaltante o concedente”.
I consorzi tra imprese artigiane sono disciplinati dalla l. 8 agosto
1985, n. 443. È imprenditore artigiano, ai sensi dell’art. 1, colui che
esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare,
l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti
gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo
in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo
produttivo. L’art. 6 “Consorzi, società consortili e associazioni tra
imprese artigiane” stabilisce che i consorzi e le società consortili,
anche in forma di cooperativa, costituiti tra imprese artigiane sono
iscritti in separata sezione dell’albo delle Imprese Artigiane. È poi
stabilito che l’iscrizione all’albo è costitutiva.
I consorzi cooperativi ed i consorzi artigiani fanno parte dei
soggetti singoli con idoneità e personalità giuridica individuale.
Il vigente ordinamento prevede la possibilità di partecipare
alle gare di appalto di un altro tipo di consorzio: i consorzi stabili,
costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’art. 2615
ter cod. civ., tra imprenditori individuali, anche artigiani, società
commerciali, società cooperative di produzione e lavoro. L’ art. 2615
ter“Società consortili” stabilisce che “Le società previste nei capi III
e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli
scopi indicati nell’art. 2602, cod. civ.”.
Questi consorzi sono soggetti singoli o con idoneità individuale
definiti dalla legge consorzio stabile (art. 34 comma 1, lett. c)).
Il consorzio stabile è una figura nuova introdotta dalla l. n. 109
del 1994 e poi recepita dall’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 che prevede, infatti, la possibilità di costituire tra imprese individuali, anche
artigiane, società commerciali, società cooperative di produzione e
lavoro consorzi che definisce stabili.
Va osservato, poi, che l’elenco tassativo dei soggetti che possono
costituire i consorzi stabili comporta che non possono far parte di
questi né i consorzi di cooperative, né i consorzi di imprese artigiane e né altri consorzi stabili. Tutti e tre questi tipi di consorzi
possono, invece, partecipare ad associazioni temporanee d’imprese
ed ai consorzi occasionali.
Con queste disposizioni normative, è stata, quindi, accresciuta
la possibilità di concentrazione delle imprese che possono creare
aggregazioni comuni durature con soggettività giuridica propria,
con funzione di cooperazione ed assistenza reciproca nell’affidamento e nell’esecuzione di contratti pubblici, operando come
un’unica impresa.
dottrina
61
Al fine di esaminare la natura e le caratteristiche di questa
nuova figura va ricordato che con il contratto di consorzio, ai sensi
del codice civile, più imprenditori, esercenti la medesima attività
o attività economiche connesse, costituiscono un’organizzazione
comune per il coordinamento della produzione e degli scambi. L’organizzazione comune può avere rilevanza esclusivamente all’interno
del consorzio; può risultare anche dotata di un ufficio destinato ad
operare all’esterno dell’organizzazione, dando vita alla categoria
del cosiddetto consorzio con attività esterna, dotato di un proprio
fondo consortile, che costituisce patrimonio autonomo destinato
alla realizzazione dello scopo istituzionale del consorzio medesimo.
Ed è al modulo organizzativo proprio del consorzio con attività esterna (art. 2612, cod. civ.) che si è riferito il legislatore nel
configurare la categoria dei consorzi stabili. Ai consorzi stabili si
applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al capo II del
titolo X del libro quinto del codice civile, nonché l’art. 118 secondo
il dettato del comma 4 dell’art. 36, d.lgs. n. 163 del 2006.
Un primo punto fermo, dunque, è che le imprese intenzionate
a costituire un consorzio stabile debbono attenersi alle previsioni
degli artt. 2612, cod. civ. e 36, d.lgs. n. 163 del 2006, senza poter
spaziare tra altre figure associative pure contemplate dall’ordinamento. Non potrebbero, ad esempio, costituire una società lucrativa
né una cooperativa né un consorzio privo di uno o più degli elementi necessari ad essere definito stabile ai sensi della normativa
sui contratti pubblici. L’unica variante consentita ai promotori di
un consorzio stabile è quella di dare ad esso un assetto societario,
a norma dell’art. 2615 ter, cod. civ.; è infatti ammesso che lo scopo
consortile (art. 2602, cod. civ.) possa essere assunto come oggetto
sociale dalle società lucrative di cui ai capi III e seguenti del titolo
V dello stesso codice: in nome collettivo, in accomandita semplice,
per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata.
Con riferimento a tale ultima disposizione va, poi, osservato
che in linea generale , se non può escludersi che l’inserimento della
causa consortile in una certa struttura societaria possa comportare
una implicita deroga ad alcune disposizioni altrimenti applicabili
a quel particolare tipo di società, allorquando l’applicazione di
quelle disposizioni si rivelasse incompatibile con aspetti essenziali
del fenomeno consortile , non si può certo ammettere che vengano
stravolti i connotati fondamentali del tipo societario prescelto, al
punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente
modello legale. E tra questi connotati fondamentali , per quel che
riguarda la società a responsabilità limitata , è compresa incontestabilmente la regola (art. 2472, cod. civ.) per la quale è unicamente
la società a rispondere col proprio patrimonio delle obbligazioni
sociali. È questa, dunque, la disposizione che si applica ai consorzi
62
rivista trimestrale degli appalti
costituiti in forma di società a responsabilità limitata e non la diversa
disciplina dettata per i consorzi in genere15. Tale principio, non vi
è dubbio debba valere anche nel caso dei consorzi stabili di cui al
d.lgs. n. 163 del 2006 qualora siano costituiti in forma di società
consortile a responsabilità limitata. I consorzi stabili devono, pertanto, dotarsi di un’autonoma struttura d’impresa attraverso cui essere
in grado d’eseguire direttamente i lavori, servizi e forniture affidati
senza necessariamente doversi avvalere delle strutture aziendali
delle imprese associate. La comune e stabile struttura d’impresa
costituisce, pertanto, elemento indispensabile per l’esistenza del
consorzio stabile; essa identifica l’azienda consortile attraverso
la quale il consorzio, in quanto impresa di imprese, può eseguire
direttamente le attività oggetto di appalto. E spetterà ai consorziati
scegliere se, al fine di dotare il consorzio delle risorse necessarie
al suo funzionamento, convenga loro procurarsi all’esterno forza
lavoro, attrezzature e know how, oppure conferire allo stesso in
tutto o in parte ciò di cui già dispongono le imprese di essi consorziati. La scelta sarà dettata dalla dimensione imprenditoriale che i
consorziati intendono attribuire al consorzio ma, affinché questo
risponda alle caratteristiche prescritte dalla legge, dovrà essere
dotato della necessaria strumentazione.
Tutti i consorzi (di cooperative di produzione e lavoro, di imprese artigiane e stabili), in quanto dotati di personalità giuridica,
soggiacciono alle regole, rispettivamente previste dagli artt. 35 e 36,
d.lgs. n. 163 del 2006 per i servizi e forniture e per i lavori pubblici,
relativamente alla dimostrazione dei requisiti di carattere oggettivo
necessari per la partecipazione alla gara pubblica.
Occorre tuttavia distinguere i consorzi stabili nel settore dei
lavori pubblici da quello dei servizi e forniture.
2.1. Consorzi stabili nei lavori pubblici. – Nell’ambito dei lavori
pubblici l’art. 36, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che:
a) il consorzio deve essere formato da almeno tre consorziati che
abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei lavori,
servizi e forniture pubblici per un periodo di tempo non inferiore a
cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa;
b) il consorzio si qualifica (SOA), sulla base delle qualificazioni
possedute dalle singole imprese consorziate. Per i lavori, la qualificazione è acquisita con riferimento ad una determinata categoria
di opere generali o specialistiche per la classifica corrispondente
alla somma di quelle possedute dalle imprese consorziate. Per la
qualificazione alla classifica di importo illimitato, è in ogni caso
(15) Cfr. Cass., 7 novembre 2003, n. 18113, in De Agostini banche dati on-line;
dottrina
63
necessario che almeno una tra le imprese consorziate già possieda
tale qualificazione ovvero che tra le imprese consorziate ve ne siano almeno una con qualificazione per classifica VII e almeno due
con classifica V o superiore, ovvero che tra le imprese consorziate
ve ne siano almeno tre con qualificazione per classifica VI. Per
la qualificazione per prestazioni di progettazione e costruzione,
nonché per la fruizione dei meccanismi premiali di cui all’art. 40,
comma 7, è in ogni caso sufficiente che i corrispondenti requisiti
siano posseduti da almeno una delle imprese consorziate. Qualora
la somma delle classifiche delle imprese consorziate non coincida
con una delle classifiche di cui al regolamento, la qualificazione
è acquisita nella classifica immediatamente inferiore o in quella
immediatamente superiore alla somma delle classifiche possedute
dalle imprese consorziate, a seconda che tale somma si collochi
rispettivamente al di sotto, ovvero al di sopra o alla pari della metà
dell’intervallo tra le due classifiche.
c) ai fini della partecipazione del consorzio stabile alle gare per
l’affidamento di lavori, la somma delle cifre d’affari in lavori realizzate da ciascuna impresa consorziata, nel quinquennio antecedente
la data di pubblicazione del bando di gara, è incrementata di una
percentuale della somma stessa. Tale percentuale è pari al 20 per
cento nel primo anno; al 15 per cento nel secondo anno; al 10 per
cento nel terzo anno fino al compimento del quinquennio.
2.2. Consorzi stabili nei servizi e forniture. – Nell’ambito dei servizi e delle forniture l’art. 35, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che
“1. I requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle
procedure di affidamento dei soggetti di cui all’art. 34, comma 1,
lett. b e c, devono essere posseduti e comprovati dagli stessi, secondo
quanto previsto dal regolamento, salvo che per quelli relativi alla
disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo
al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”.
La norma – di non chiara formulazione – è stata costantemente interpretata nel senso che “prevede che per i consorzi di cooperative i
requisiti di idoneità finanziaria devono essere posseduti in proprio
dal consorzio e vanno dunque verificati solo in capo ad esso, senza
necessità che il loro possesso sia dimostrato anche dalle imprese
consorziate per le quali il consorzio concorre (ciò a differenza di
quanto avviene per i requisiti di idoneità morale)”16.
(16) TAR Toscana, Firenze, Sez. I, 4 dicembre 2012, n. 1923, in De Agostini
banche dati on-line.
64
rivista trimestrale degli appalti
2.3. Consorzi stabili in generale: cumulo dei requisiti o requisiti
autonomi. – A prescindere dai sistemi di calcolo finalizzati al cumulo
dei requisiti previsti dal codice degli appalti e dal regolamento ai
fini dell’ammissione alle pubbliche gare dei consorzi stabili (e tra
questi dei consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e
dei consorzi tra imprese artigiane), variabili a seconda che l’appalto
sia di lavori o di servizi e forniture, è possibile affermare, senza tema
di smentita, che è senz’altro sufficiente – ai fini dell’ammissione alla
gara – che il consorzio possegga tutti i requisiti oggettivi richiesti
dal bando senza alcuna necessità di verificarne il rispetto da parte
dei consorziati. Nell’ipotesi in cui, tuttavia, il consorzio non sia
da solo in grado di dimostrare detti requisiti potrà cumularli con
quelli posseduti dalle consorziate, nei limiti consentiti dal la legge
e dal regolamento. La lettura della cumulabilità non necessaria,
ma comunque possibile, dei requisiti delle consorziate è stata
fornita recentemente dal Cons. St., Sez. III, 19 novembre 2014, n.
568917 secondo cui “In riferimento alle gare d’appalto, il modulo
del consorzio stabile, posto dagli artt. 34 e 36, d.lgs. n. 163 del 2006
(Codice degli appalti), dà vita ad un’impresa che fa leva sulla causa
mutualistica e che realizza, in sostanza, una particolare forma di
avvalimento basato direttamente sul patto consortile e sulla causa
mutualistica. Tutto ciò consente al consorzio di giovarsi di qualsiasi contributo, maxime dei requisiti dei consorziati, senza dover
ricorrere all’avvalimento di cui al successivo art. 49, ferma sempre
la possibilità alternativa per il consorzio di qualificarsi con requisiti
posseduti in proprio ed in via diretta”.
L’unitarietà della figura consortile è stata sottolineata dalla
giurisprudenza amministrativa che ha affermato che “È legittimo
il provvedimento di aggiudicazione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un consorzio che, in sede di partecipazione,
abbia indicato, quali sue ausiliarie ai fini dell’esecuzione dei lavori,
imprese in possesso di requisiti non corrispondenti ai propri, ciò in
quanto, ai sensi dell’art. 12, l. n. 109 del 1994, nonché dell’art. 36,
d.lgs. n. 163 del 2006, il consorzio e le singole imprese consorziate,
pur conservando una autonoma soggettività giuridica, sono legate
tra loro da un rapporto di tipo organico, in virtù del quale parte
contraente resta il consorzio, il solo competente nell’esecuzione
dell’appalto, il quale stipula in nome proprio, ma per conto delle
stesse singole imprese; pertanto, è ai requisiti di idoneità tecnicofinanziaria da esso posseduti che occorre fare riferimento in sede
di valutazione dei presupposti necessari ai fini della partecipazione
(17) In De Agostini banche dati on-line.
dottrina
65
alla gara”18. Analogamente il Cons. St., Sez. V, 13 marzo 2014, n.
119119 “I consorzi stabili hanno una propria qualificazione, diversa
ed autonoma dalle imprese consorziate, che consente ai medesimi
di partecipare alle gare pubbliche con la conseguenza che essi
assumono su di sé, e con le qualificazioni possedute, l’onere della
esecuzione delle prestazioni contrattuali (a nulla rilevando anche
che abbiano designato una consorziata non in possesso delle qualificazioni necessarie, essendo la prestazione in toto ricadente sul
medesimo consorzio stabile, che potrà provvedervi o direttamente
o per il tramite di un’altra impresa consorziata)”.
In ipotesi in cui il consorzio non possegga di per sé stesso i
requisiti richiesti è invece possibile per il medesimo procedere al
cumulo. Infatti, il Cons. St., Sez. III, 19 novembre 2014, n. 568920
ha affermato che “In riferimento alle gare d’appalto, l’ art. 35, d.lgs.
n. 163 del 2006 va interpretato nel senso che esso sancisce l’applicazione, in ogni caso ed in tutti i periodi di vita del consorzio stabile,
del criterio del cumulo alla rinfusa per i requisiti colà specificamente menzionati, che non contraddice e così ribadisce, in un’ottica
d’interpretazione sistematica, la regola ex art. 36, comma 7, I per.,
del medesimo Codice (“il consorzio stabile si qualifica sulla base
delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”),
affermativa del principio del cumulo dei requisiti”.
È stato poi escluso, per i consorzi stabili, l’obbligo di indicare le quote di partecipazione delle consorziate affermandosi che
“L’obbligo legale di indicare le quote di partecipazione nei lavori
da assumere, strumentale all’accertamento della sussistenza dei
requisiti di qualificazione in capo alle componenti di un’ATI, non
può ritenersi ravvisabile nei riguardi del consorzio (tra imprese
artigiane o cooperative); infatti, è tale soggetto e non le singole
imprese consorziate ad avere, quale soggetto giuridico autonomo,
la qualificazione necessaria per la partecipazione alla procedura”21.
Per quanto riguarda i servizi e le forniture, l’art. 277, d.P.R. 207
del 2010 “Consorzi stabili per servizi e forniture” stabilisce che “3.
Per la partecipazione del consorzio alle gare, i requisiti economicofinanziari e tecnico-organizzativi posseduti dai singoli consorziati
relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera,
nonché all’organico medio annuo sono sommati; i restanti requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi sono sommati con
riferimento ai soli consorziati esecutori”. La regola, pertanto, in
(18) Cons. St., Sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7524, in De Agostini banche dati on-line.
(19) In De Agostini banche dati on-line.
(20) In De Agostini banche dati on-line.
(21) Cons. St., Sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 416, in De Agostini banche dati on-line.
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rivista trimestrale degli appalti
ipotesi in cui il consorzio non possegga di per sé i requisiti richiesti, è quella della sommatoria dei requisiti economico-finanziari e
tecnico-organizzativi posseduti dai singoli consorziati relativi alla
disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo. Con riguardo ai restanti requisiti economicofinanziari e tecnico-organizzativi, essi sono sommati con riferimento
ai soli consorziati esecutori. Ne deriva che solo gli esecutori possono
prestare i requisiti al consorzio. In tal senso, è stato sottolineato
che “Un consorzio (di secondo grado) di cooperative, cui si applica l’art. 27, d.lgs. C.p.S., 14 dicembre 1947, n. 1577, è ammesso a
partecipare alle gare di appalto per l’affidamento di pubblici servizi, ai sensi dell’art. 34, lett. b, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163… Ne
consegue che l’aggiudicatario non poteva comprovare il possesso
del requisito in questione facendo riferimento a quello posseduto
dalle consorziate designate per l’esecuzione del servizio, ma avrebbe
dovuto possederlo e comprovarlo in proprio, con l’unica eccezione
dei requisiti “relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi
d’opera e all’organico medio annuo, i quali solo sono computati
cumulativamente in capo al Consorzio ancorché posseduti dalle
singole consorziate22” .
Il TAR Lazio, Roma ha sintetizzato le regole sopra evidenziate
con una sentenza che mette chiaramente in luce le differenze di
qualificazione in gara del consorzio distinguendo tra servizi e forniture e lavori pubblici “L’art. 35, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce,
ai fini dell’ammissione dei consorzi stabili alle procedure di affidamento, che i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria debbono
essere posseduti e comprovati dagli stessi, secondo quanto previsto
dal regolamento, salvo che per i requisiti attinenti alla disponibilità
delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio
annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio
ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate. Il successivo art. 36, al comma 7, prevede quindi che i consorzi stabili si
qualificano sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole
imprese consorziate, che vengono acquisite con riferimento ad
una determinata categoria di opere generali o specialistiche per
la classifica corrispondente alla somma di quelle possedute dalle
imprese consorziate. La seconda delle disposizioni menzionate non
fa che riprodurre quanto già prevedeva l’art. 11, l. n. 109 del 1994
relativamente ai soli contratti di appalto di lavori pubblici, di talché
– nella misura in cui ai consorzi è oggi consentita la partecipazione
ad ogni tipologia di appalto – essa si pone in rapporto di specialità
(22) TAR Sardegna, Cagliari, 26 gennaio 2010, n. 84, in De Agostini banche
dati on-line.
dottrina
67
rispetto alla disciplina generale dettata dall’art. 35: la conclusione
è, pertanto, nel senso che la possibilità che il consorzio stabile si
qualifichi sulla base delle qualificazioni possedute dalla singole
imprese consorziate si riferisce ai soli contratti di appalto di lavori,
mentre nel settore dei servizi e delle forniture sono i consorzi che
devono dimostrare di possedere in proprio i requisiti richiesti, in
applicazione della regola generale”23.
In via derogatoria a quanto previsto dall’art. 35, cit., può essere
ricordata la disciplina di quegli appalti di servizi elencati dall’All.
II B del Codice che sono notoriamente sottratti alla normativa del
d.lgs. n. 163 del 2006 ai sensi degli artt. 20 e 21. A tal proposito,
è stato affermato dalla giurisprudenza che “Agli appalti di servizi compresi nell’Allegato II B, d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei
contratti pubblici), si applicano i soli artt. 65, 68 e 225 del citato
d.lgs. n. 163 del 2006 (analogamente a quanto disposto dall’art. 20,
Direttiva n. 2004/18/CEE). Pertanto, nel caso di specie, riguardante
l’affidamento del “servizio di assistenza domiciliare” ad un Consorzio non va applicato l’art. 35, d.lgs. n. 165 del 2006, ma la disciplina
specialistica (art. 8, l. n. 381 del 1991), … atteso che, si è in presenza
di un rapporto organico in conseguenza del quale l’attività posta in
essere da ciascuna cooperativa, nella sua qualità di consorziata, è
immediatamente imputabile al Consorzio, con conseguente irrilevanza della mancanza dei requisiti di capacità tecnica e di fatturato
nell’ultimo triennio in capo al Consorzio, atteso il possesso di tali
requisiti da parte delle consorziate. Deve ritenersi, infatti, che la
normativa applicabile alla fattispecie rende possibile, senza limitazioni, il cumulo dei requisiti, in forza del rapporto organico che
regola le società cooperative”.24
Per i consorzi stabili vale il disposto di cui all’art. 36, comma 5,
d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui gli stessi sono tenuti ad indicare,
in sede d’offerta, per quali consorziati il consorzio concorre; ed a
tali consorziati è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi forma,
alla medesima gara. Il che lascia intendere che, diversamente, il
divieto di partecipazione alla medesima gara non sussiste per i
consorziati per conto dei quali il consorzio non ha dichiarato di
voler partecipare. È da segnalare, tuttavia, che è vietata la partecipazione contemporanea alla medesima gara del consorzio stabile
e dei soggetti consorziati; ed è prevista, in caso di inosservanza del
divieto, la configurazione dell’ipotesi di cui all’art. 353, cod. pen.
Con determinazione n. 11, 9 giugno 2004 “Atto di indirizzi inte-
(23) TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, 12 maggio 2011, n. 4145 in De Agostini banche
dati on-line.
(24) Cons. St., Sez. V, 8 ottobre 2010, n. 7346, in De Agostini banche dati on-line.
68
rivista trimestrale degli appalti
grativi sulla natura e sulla qualificazione dei consorzi stabili” l’AVCP
(oggi ANAC) ha stabilito che “La norma indicata non può, però,
essere intesa nel senso che i consorzi stabili in questione debbono
necessariamente indicare, in sede di offerta, per quali consorziati
concorrono, in quanto questi consorzi possono partecipare alla gara
al fine di eseguire in proprio i lavori; deve essere invece intesa nel
senso che è facoltà dei consorzi citati indicare per quali consorziati
concorrono, ove non intendano eseguire direttamente i lavori; in tal
caso solo ai soggetti indicati è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma alla medesima gara; per converso i consorziati non
indicati dal consorzio partecipante alla gara come esecutori dei lavori potranno partecipare alla gara individualmente o nelle maniere
consentite dalle norme. Va comunque tenuto presente che la possibilità di una partecipazione congiunta alla stessa gara del consorzio
stabile e dei consorziati non indicati come direttamente interessati
all’esecuzione del lavoro, secondo l’orientamento giurisprudenziale
relativo alle ipotesi di collegamento sostanziale oltre che alle ipotesi
di controllo societario, resta preclusa nel caso in cui nel consiglio
direttivo del consorzio partecipino amministratori o rappresentanti
legali dell’impresa consorziata che ha fatto domanda di partecipazione autonoma alla stessa gara (Cons. St., Sez. IV, 15 febbraio
2002, n. 949). Sui vari possibili casi di partecipazione congiunta di
consorzi ed imprese consorziate e su altre questioni interpretative
l’Autorità si è già espressa nella determinazione del 29 ottobre 2003,
n. 18 concernente “problematiche relative ai consorzi stabili”. La
possibilità, pertanto, d’una partecipazione congiunta alla medesima
gara del consorzio e dell’impresa consorziata è condizionata da una
strutturazione flessibile dell’organo deliberante del consorzio in
funzione dell’imprescindibile esigenza di salvaguardare comunque
la segretezza delle offerte” 25. Nello stesso senso si è recentemente
pronunciato il Cons. St., Sez. V, 16 febbraio 2015, n. 80126 che ha
ritenuto che “Non può interpretarsi il combinato disposto degli artt.
36, comma 5 e 37, comma 7, d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice degli
appalti), come vietante a priori la partecipazione alla medesima gara
del consorzio stabile e della consorziata non indicataria, laddove
tale preclusione risulti fondata non sulla dimostrazione concreta
della sussistenza di un unico centro decisionale, ma su una sorta
di sillogismo categorico circa l’esistenza di una unicità di rapporti
fra consorzio stabile e proprie consorziate”.
Dal momento, poi, che il consorzio stabile implica la costituzione
di un’autonoma struttura consortile, è il consorzio come tale , inteso,
(25) TAR Puglia, Lecce, 26 giugno 2003, n. 4476 in De Agostini banche dati on-line.
(26) De Agostini banche dati on-line.
dottrina
69
cioè, come soggetto giuridico distinto dalle imprese consorziate di
cui coordina l’attività imprenditoriale , il titolare, formale e sostanziale, del rapporto con la stazione appaltante. Il consorzio stabile è,
infatti, dotato di un fondo proprio (consortile) con il quale risponde
direttamente delle obbligazioni assunte nei confronti della stazione
appaltante. Ed analogamente a quanto avviene per i consorzi tra
cooperative ed imprese artigiane, nei consorzi stabili il rapporto
intercorrente tra consorzio ed imprese consorziate può essere ricondotto al rapporto tra società commerciale e socio, così come l’ipotesi
di contemporanea partecipazione a gara di un consorzio e di una
impresa associata deve essere assimilato all’ipotesi di partecipazione
a gara di due società aventi lo stesso socio di maggioranza o di un
imprenditore individuale che sia anche socio di maggioranza di una
società commerciale partecipante; con la conseguenza che il divieto
di contemporanea partecipazione, quale appare desumibile dall’art.
36, d.lgs. n. 163 del 2006, si riferisce alle ipotesi nelle quali l’impresa
individuale assuma una propria rilevanza anche all’interno della
formazione associativa, non anche quando lo strumento associativo
abbia una sua completa autonomia, senza che vengano in alcun
rilievo le imprese associate27.
Il vincolo in base al quale le imprese consorziate eseguono i
lavori, servizi e forniture deriva dall’assegnazione fatta dal consorzio; assegnazione che non è un contratto di appalto e nemmeno
un subappalto bensì un atto unilaterale ricettizio del consorzio
medesimo. Il vincolo per l’impresa assegnataria deriva dallo stesso
rapporto consortile in forza del quale i consorziati conferiscono
alla struttura consortile l’incarico di stipulare contratti d’appalto
per loro conto ed in nome del consorzio e di indicare, di volta in
volta, a quale tra loro assegnare e far eseguire i lavori. Non vi è,
pertanto, una duplicità di contratti di appalto (un appalto della
stazione appaltante al consorzio ed un subappalto del consorzio
alle imprese consorziate), ma un unico contratto che il consorzio
stipula in nome proprio, ma per conto delle imprese consorziate28.
Queste considerazioni conducono ad affermare che gli atti mediante i quali i consorzi stabili organizzano l’esecuzione mediante
l’assegnazione ad uno o più dei consorziati non hanno rilevanza
esterna. Riconosciuto tale assunto, non può non riconoscersi
anche quello inverso, per il quale il consorzio può procedere, ad
esempio in caso di inadempimento del consorziato, alla revoca
dell’assegnazione originaria ed alla assegnazione ad un altro
consorziato, che non abbia però partecipato autonomamente alla
(27) TAR Sicilia, Palermo, 7 novembre 1997, n. 1707 in De Agostini banche dati on-line.
(28) TAR, Lombardia, 4 febbraio 1988, n. 71 in De Agostini banche dati on-line.
70
rivista trimestrale degli appalti
gara, oppure all’imputazione a se stesso dei lavori, senza che ciò
comporti modificazione dell’offerta29.
A tal proposito, infatti, il Cons. St. Sez. V, 22 gennaio 2015, n.
24430 ha recentemente affermato che “In materia di gare pubbliche
la connotazione di consorzio stabile comporta l’esecuzione delle prestazioni contrattuali ad opera di un soggetto affidatario costituito in
forma collettiva che stipula il contratto in nome proprio e per conto
delle consorziate alle quali affida i lavori e che, in dipendenza di tale
circostanza, l’attività compiuta dall’impresa consorziata si imputa al
consorzio stesso, il quale si qualifica come soggetto giuridico autonomo che opera in base ad uno stabile rapporto organico con le imprese.
In conseguenza di ciò, non solo la responsabilità per inadempimento
degli obblighi contrattuali nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice investe esclusivamente il consorzio senza estendersi in via
solidale all’impresa incaricata dell’esecuzione del contratto, ma la
verifica dei requisiti di qualificazione avviene in capo al consorzio che
a tale fine può cumulare quelli posseduti dalle imprese consorziate”.
3. I raggruppamenti temporanei di concorrenti e i consorzi ordinari
di concorrenti di cui all’art. 2602, cod. civ. – L’art. 34, comma 1, lett. d
ed e, d.lgs. 12 aprile 2006, n 163 individua, tra i soggetti che possono
partecipare alle gare pubbliche “d) i raggruppamenti temporanei di
concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a, b e c, i quali,
prima della presentazione dell’offerta, abbiano conferito mandato
collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato
mandatario, il quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio
e dei mandanti; si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37;
e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all’art. 2602, cod. civ.31,
costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a, b e c del presente comma,
anche in forma di società ai sensi dell’art. 2615 ter, cod. civ.; si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37”.
La norma, pertanto, consente la partecipazione alle selezioni
pubbliche per l’affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture
anche a soggetti “plurimi”, risultanza dell’unione tra più forze imprenditoriali aggregate allo scopo di soddisfare i requisiti di categoria e classi di lavorazioni, non posseduti dal singolo concorrente.
(29) Cfr. Determinazione AVCP, 9 giugno 2004, n.11 “Atto di indirizzi integrativi
sulla natura e sulla qualificazione dei consorzi stabili”, in www.anac.it.
(30) In Giuffrè banche dati on-line.
(31) Art. 2602, cod. civ. “Nozione e norme applicabili”: “Con il contratto di
consorzio più imprenditori” istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina
o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Il contratto di cui
al precedente comma è regolato dalle norme seguenti, salve le diverse disposizioni
delle leggi speciali”.
dottrina
71
Si tratta di soggetti privi di personalità giuridica, meramente
strumentali alla partecipazione alla gara ed all’eventuale svolgimento della commessa.
Le più comuni forme nelle quali il fenomeno si manifesta sono
i raggruppamenti temporanei di imprese ed i consorzi ordinari, la
disciplina dei quali è contenuta al successivo art. 37. Essi possono
essere formati da imprenditori (operanti in forma individuale, societaria o cooperativa), consorzi tra società cooperative di produzione
e lavoro, consorzi stabili, secondo il dettaglio contenuto nelle lettere
a, b, c del citato art. 3432.
Il consorzio occasionale, figura già prevista delle leggi antecedenti anche alla l. n. 109 del 94, fu introdotto dalla l. 17 febbraio
1987, n. 80 (contenente norme straordinarie per l’accelerazione
dell’esecuzione delle opere pubbliche) – con la specificazione, anche
allora, che ad esso si applicavano le disposizioni previste per le associazioni temporanee di imprese – è delineato quale organismo costituito ad hoc per partecipare ad una determinata gara d’appalto33.
Da tenere presente, tuttavia, che la rappresentanza dell’aggregazione nei confronti della stazione appaltante è diversa nei consorzi occasionali rispetto alle associazioni temporanee tipiche: nel
caso dell’associazione temporanea d’imprese, essa spetta a quella
specificamente designata quale mandataria del raggruppamento,
mentre nel caso del consorzio la rappresentanza spetta agli organi
consortili cui è statutariamente attribuita.
Va inoltre precisato che la disposta assimilazione comporta che
i consorzi occasionali non possono avere una propria qualificazione e, quindi, partecipano alle gare utilizzando le qualificazioni
dei propri consorziati34 . Un siffatto consorzio non può, pertanto,
partecipare ad una gara per conto solo di alcuni dei consorziati,
essendo tale possibilità espressamente prevista (art. 37, comma 7,
d.lgs. n. 163 del 2006) soltanto per i consorzi di cooperative, per i
consorzi artigiani e per i consorzi stabili35.
(32) Un’esaustiva trattazione circa i soggetti ammessi a concorrere ai pubblici
appalti ai sensi del d.lgs. n. 163 del 2010 è contenuta in AA.VV., Trattato sui contratti
pubblici, diretto da M.A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli, II, cap. 7 (I soggetti
ammessi alle procedure di affidamento), Milano, 2008, p. 1057 ss. Con riferimento
alla previgente disciplina, peraltro non innovata in punto dal nuovo Codice dei
contratti pubblici, v. R. Garofoli, V. De Gioia, Codice degli appalti di lavori pubblici,
I, p. 296 ss., Milano, 2004, in particolare, 296 ss. (commento all’art. 13 l. 11 febbraio
1994 n. 109).
(33) TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 19 gennaio 2004, n. 126, in De Agostini
Banche dati on-line.
(34) TAR Bologna, Sez. I, 13 febbraio 2003, n. 97, in De Agostini Banche dati on-line.
(35) TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 17 dicembre 2007, n. 3997, in De Agostini
Banche dati on-line.
72
rivista trimestrale degli appalti
Va anche rilevato che è possibile costituire un consorzio occasionale per partecipare a più gare indette in tempi diversi, ma la
partecipazione deve avvenire sempre per tutte le imprese consorziate
e sulla base della qualificazione posseduta da queste.
Poiché ai consorzi occasionali si applica la medesima disciplina
prevista per i raggruppamenti temporanei, la trattazione che segue
sarà incentrata fondamentalmente su questi ultimi, tenendo presente che ai primi si applicano i medesimi principi.
3.1. – I raggruppamenti temporanei di concorrenti. – L’Associazione temporanea di imprese (ATI) ed il Raggruppamento temporaneo
di imprese (RTI) sono aggregazioni temporanee e occasionali tra
imprese costituite per lo svolgimento di un’attività per il periodo
necessario per il suo compimento. Tale forma aggregativa nasce
dalla necessità giuridica o dalla convenienza economica per due o
più imprese che partecipano ad una gara d’appalto a collaborare
tra loro, al fine di raggiungere i requisiti minimi richiesti nel bando
di gara per poter partecipare alla procedura ovvero per ripartire gli
oneri di esecuzione ed assicurarsi le condizioni di miglior favore
delle quali ciascuna singolarmente dispone. Altro importante vantaggio che discende dal ricorso all’ATI o R.T.I. è che consente di
sopportare costi molto più contenuti rispetto alla costituzione di
un’impresa comune o di un consorzio che, in caso di esito negativo
della gara, sarebbe destinato a scomparire immediatamente, con
costi difficilmente recuperabili.
Tali formule aggregative sono autorizzate a partecipare alle gare
pubbliche in attuazione del principio di favor partecipationis e di
libera concorrenza, sia per gli appalti dei lavori che per quelli dei
servizi e forniture e dei settori speciali.
La logica di detto accesso è quella di consentire il frazionamento
dei requisiti di partecipazione alla gara non riferendoli tutti ad un
unico soggetto; ai fini, difatti, della qualificazione assumerà rilevanza la sommatoria dei requisiti tecnici ed economici delle imprese
raggruppate secondo le indicazioni normative (Codice degli appalti
e regolamento attuativo), pur essendo ammissibile, da parte della
stazione appaltante prevedere limitazioni alla facoltà di concorrere
alla gara in forma associata, al fine, ad esempio, di evitare effetti
distorsivi ed anticoncorrenziali da parte di imprese aventi una posizione dominante sul mercato.
La costituzione dell’associazione temporanea permette alle imprese associate di formulare un’offerta congiunta con l’obbligo di
realizzare congiuntamente le attività oggetto di gara, pur restando
giuridicamente soggetti distinti.
Si distingue l’ATI dal RTI a seconda che il raggruppamento, in
fase di presentazione dell’offerta, sia o meno “costituita”.
dottrina
73
L’ATI è un’associazione costituta attraverso la formalizzazione
del rapporto mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata
contenente l’attribuzione del mandato con rappresentanza all’impresa capogruppo (mandataria); l’RTI è un’associazione “costituenda”,
o raggruppamento mero in quanto le imprese che partecipano alla
gara si impegnano a costituire l’ATI e ad attribuire mandato collettivo con rappresentanza alla capogruppo. Con riguardo al RTI
l’art. 37, comma 8 specifica che “8. È consentita la presentazione
di offerte da parte dei soggetti di cui all’art. 34, comma 1, lett. d ed
e, anche se non ancora costituiti. In tal caso l’offerta deve essere
sottoscritta da tutti gli operatori economici che costituiranno i
raggruppamenti temporanei o i consorzi ordinari di concorrenti
e contenere l’impegno che, in caso di aggiudicazione della gara,
gli stessi operatori conferiranno mandato collettivo speciale con
rappresentanza ad uno di essi, da indicare in sede di offerta e qualificata come mandatario, il quale stipulerà il contratto in nome e
per conto proprio e dei mandanti”.
Lo strumento tecnico utilizzato per dare luogo a tale forma
di associazione – ATI se costituita in fase di offerta o RTI se da
costituirsi in caso di aggiudicazione – è quello del mandato con
rappresentanza, anche processuale, ad una società capogruppo
che rappresenta l’aggregazione in tutti i rapporti necessari per lo
svolgimento dell’attività, fino all’estinzione di ogni rapporto.
L’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006, infatti, stabilisce che “14. Ai fini
della costituzione del raggruppamento temporaneo, gli operatori
economici devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di esse, detto mandatario.
15. Il mandato deve risultare da scrittura privata autenticata. La
relativa procura è conferita al legale rappresentante dell’operatore
economico mandatario. Il mandato è gratuito e irrevocabile e la sua
revoca per giusta causa non ha effetto nei confronti della stazione
appaltante. 16. Al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva,
anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti
dall’appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino alla
estinzione di ogni rapporto. La stazione appaltante, tuttavia, può
far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti.
17. Il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione
o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali
conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali”.
Per quanto riguarda il soggetto giuridico, l’aggregazione non
costituisce autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche
soggettive e ogni impresa conserva la propria autonomia ai fini della
gestione degli adempimenti fiscali e previdenziali.
74
rivista trimestrale degli appalti
I raggruppamenti temporanei possono essere orizzontali, verticali o misti.
L’art. 37 stabilisce che “1. Nel caso di lavori, per raggruppamento
temporaneo di tipo verticale si intende una riunione di concorrenti
nell’ambito della quale uno di essi realizza i lavori della categoria
prevalente; per lavori scorporabili si intendono lavori non appartenenti alla categoria prevalente e così definiti nel bando di gara,
assumibili da uno dei mandanti; per raggruppamento di tipo orizzontale si intende una riunione di concorrenti finalizzata a realizzare
i lavori della stessa categoria. 2. Nel caso di forniture o servizi, per
raggruppamento di tipo verticale si intende un raggruppamento di
concorrenti in cui il mandatario esegua le prestazioni di servizi o
di forniture indicati come principali anche in termini economici,
i mandanti quelle indicate come secondarie; per raggruppamento
orizzontale quello in cui gli operatori economici eseguono il medesimo tipo di prestazione; le stazioni appaltanti indicano nel bando
di gara la prestazione principale e quelle secondarie”.
Il raggruppamento temporaneo di tipo verticale è correlato ad
un appalto tecnicamente disomogeneo (lavori di diverse categorie
o, nei servizi e forniture, diverso tipo di prestazione):
- nel caso dell’appalto di lavori, si tratta di un appalto con lavori
appartenenti ad una categoria prevalente e lavori scorporabili,
così definiti nel bando di gara. In questo caso, un’impresa (ordinariamente capace per la prestazione prevalente), si associa ad altre
imprese provviste della capacità per le prestazioni scorporabili.
Il presupposto è che si tratti di appalto complesso, costituito da
prestazioni che richiedono diverse specializzazioni, in relazione
alle quali dovrà essere il bando di gara a indicare quali assumono
carattere prevalente e quali sono scorporabili; l’ esecuzione dei
lavori della categoria prevalente viene assunta dal mandatario;
- nel caso di forniture o servizi, si tratta di servizi e forniture
indicati nel bando di gara come principali ed altri come secondari, in cui il mandatario esegua le prestazioni di servizi o di
forniture indicati come principali anche in termini economici,
e i mandanti quelle indicate come secondarie.
Nei raggruppamenti verticali, ciascuno dei concorrenti risponderà con un diverso regime di responsabilità limitata alle prestazioni
di pertinenza, ferma la responsabilità solidale del mandatario per
tutte le obbligazioni scaturenti dal contratto di affidamento.
Il raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale è correlato
ad un appalto tecnicamente omogeneo (lavori della stessa categoria
o nei servizi e forniture, medesimo tipo di prestazione), implicando
una distribuzione meramente quantitativa del lavoro e la responsabilità solidale di tutte le imprese riunite nei confronti dell’appaltatore. Ciascuna delle imprese riunite è in possesso di una identica
dottrina
75
specializzazione e fra di esse vi è una suddivisione meramente
quantitativa delle prestazioni oggetto del contratto d’appalto; gli
operatori economici associati assumono la responsabilità solidale
nei confronti dell’amministrazione.
Il raggruppamento temporaneo di tipo misto consente di combinare il modello dell’ATI orizzontale con quello dell’ATI verticale,
prevedendo ulteriori sub-raggruppamenti orizzontali che frazionino
tra loro o la prestazione della mandataria o la prestazione della mandante, purché il segmento di ATI verticale che realizza lo scorporo
non coinvolga la prestazione principale. In un’ATI mista vige,difatti,
il divieto di scorporo della prestazione principale.
L’art. 37, comma 6 stabilisce, infatti, che “I lavori riconducibili
alla categoria prevalente ovvero alle categorie scorporate possono
essere assunti anche da imprenditori riuniti in raggruppamento
temporaneo di tipo orizzontale”.
Infatti, è stato affermato dal Cons. giust. amm. Sic., 15 aprile 2005,
n. 25136 che “Giova premettere al riguardo che poiché il bando di gara
individua tre distinte categorie di opere (OG3, prevalente, OG10 e OS21,
scorporabili), la partecipazione in forma congiunta di più imprese associate alla realizzazione di opere di una categoria scorporabile implica
necessariamente la formazione di un ATI mista, nella quale, accanto al
modello associativo di tipo verticale, che inerisce necessariamente alla
previsione di scorporabilità (cfr., in termini, Cons. giust. amm. Sic., 4
novembre 1998, n. 640) si affianca un’associazione di tipo orizzontale
ai soli fini della realizzazione congiunta delle opere della categoria scorporabile. A tale sub-associazione si applicano in toto le regole dettate
per il modello associativo orizzontale dall’art. 95, comma 2, d.P.R. n.
554 del 1999, con conseguente necessità che la mandataria capogruppo
possieda i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti dal bando di gara per le imprese singole nella misura minima del
40% anche con riferimento alla singola categoria scorporabile della cui
realizzazione è partecipe unitamente ad una o più mandanti”.
3.2. I requisiti di partecipazione alla gara delle ATI/RTI. – L’istituto
del raggruppamento di imprese è da ritenersi uno strumento finalizzato ad ampliare la possibilità di partecipare alle gare pubbliche
anche a soggetti singolarmente sprovvisti dei requisiti speciali richiesti (dalla legge o dalla lex specialis di gara). Nel perseguimento
di detta finalità, le disposizioni di cui all’ art. 37, d.lgs. n. 163 del
2006 non dettano norme meramente definitorie o organizzative,
ma si preoccupano di correlare l’organizzazione e le modalità del
raggruppamento con il possesso dei requisiti di affidabilità professionale, e con la responsabilità nel rapporto con il committente.
(36) In De Agostini banche dati on-line.
76
rivista trimestrale degli appalti
L’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che “3. Nel caso di lavori,
i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti
sono ammessi se gli imprenditori partecipanti al raggruppamento
ovvero gli imprenditori consorziati abbiano i requisiti indicati nel
regolamento”. In linea di massima si può dire che i requisiti si cumulano, ciò tuttavia entro rigorosi limiti stabiliti ex lege.
Con riguardo ai lavori pubblici, il calcolo dei requisiti varia a
seconda che si tratti di un raggruppamento orizzontale o verticale:
1) in caso di raggruppamento orizzontale: l’art. 92, comma 2, d.P.R.
5 ottobre 2010, n. 207 “Requisiti del concorrente singolo e di
quelli riuniti” – così come modificato dall’art. 12, comma 9, d.l.
28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla l. 23
maggio 2014, n. 80 – stabilisce che “2. Per i raggruppamenti
temporanei di cui all’art. 34, comma 1, lett. d, Codice, i consorzi di cui all’art. 34, comma 1, lett. e, Codice ed i soggetti di cui
all’art. 34, comma 1, lett. f, Codice, di tipo orizzontale, i requisiti
di qualificazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi
richiesti nel bando di gara per l’impresa singola devono essere
posseduti dalla mandataria o da un’impresa consorziata nella
misura minima del 40 per cento e la restante percentuale cumulativamente dalle mandanti o dalle altre imprese consorziate
ciascuna nella misura minima del 10 per cento. Le quote di
partecipazione al raggruppamento o consorzio, indicate in sede
di offerta, possono essere liberamente stabilite entro i limiti
consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti dall’associato
o dal consorziato. Nell’ambito dei propri requisiti posseduti, la
mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i requisiti in
misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti
con riferimento alla specifica gara. I lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta, fatta
salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione
della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i
requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate.
2) in caso di raggruppamento di tipo verticale: l’art. 92, comma 3,
d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 stabilisce che “3. Per i raggruppamenti temporanei di cui all’art. 34, comma 1, lett. d, Codice, i
consorzi di cui all’art. 34, comma 1, lett. e, Codice, ed i soggetti di
cui all’art. 34, comma 1, lett. f, Codice, di tipo verticale, i requisiti
di qualificazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi
sono posseduti dalla mandataria nella categoria prevalente; nelle categorie scorporate ciascuna mandante possiede i requisiti
previsti per l’importo dei lavori della categoria che intende assumere e nella misura indicata per l’impresa singola. I requisiti
relativi alle lavorazioni scorporabili non assunte dalle mandanti
sono posseduti dalla mandataria con riferimento alla categoria
dottrina
77
prevalente”, ciò in armonia con l’art. 37, comma 6, d.lgs. n. 163
del 2006 “Nel caso di lavori, per i raggruppamenti temporanei
di tipo verticale i requisiti di cui all’art. 40, sempre che siano
frazionabili, devono essere posseduti dal mandatario per i lavori
della categoria prevalente e per il relativo importo; per i lavori
scorporati ciascun mandante deve possedere i requisiti previsti
per l’importo della categoria dei lavori che intende assumere e
nella misura indicata per il concorrente singolo”.
3) Il comma 5 dell’art. 92, d.P.R. cit. stabilisce poi che “Se il singolo
concorrente o i concorrenti che intendano riunirsi in raggruppamento temporaneo hanno i requisiti di cui al presente art.,
possono raggruppare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione
che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per
cento dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare
complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati”.
Con bando-tipo (determinazione n. 4 del 2012)37, l’AVCP ha
stabilito che “nel caso di lavori pubblici, l’art. 92, comma 2, regolamento, per i raggruppamenti di tipo “orizzontale”, prevede,
all’ultimo periodo, che «nell’ambito dei propri requisiti posseduti,
la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i requisiti in
misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con
riferimento alla specifica gara»; la disposizione conferma l’orientamento più volte espresso dall’Autorità in relazione alla previgente
normativa, secondo cui l’espressione «l’impresa mandataria in ogni
caso possiede i requisiti in misura maggioritaria» si riferisce ai requisiti minimi richiesti per la partecipazione allo specifico appalto,
in relazione alla classifica posseduta risultante dall’attestazione SOA
e concretamente “spesa” ai fini dell’esecuzione dei lavori e non in
assoluto. Si precisa, al riguardo, che la mandataria deve spendere
i requisiti nella percentuale maggioritaria in quella specifica gara
e per ognuna delle categorie presenti nella gara (cfr., da ultimo,
parere AVCP n. 76 del 16 maggio 2012)”.
Se ne desume che la disposizione relativa al possesso dei requisiti in misura maggioritaria in capo alla mandataria si applica
nel caso di raggruppamento di tipo orizzontale o misto (per la sub
associazione orizzontale). Nel caso di raggruppamento verticale
puro, invece, ogni concorrente deve avere i requisiti per la parte
della prestazione che intende eseguire.
Con riguardo ai servizi e forniture, l’art. 275, d.P.R. n. 207 del
2010 “Requisiti dei partecipanti alle procedure di affidamento”
(37) In www.anac.it.
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rivista trimestrale degli appalti
stabilisce che “2. Per i soggetti di cui all’art. 34, comma 1, lett. d, e,
f, e f bis, Codice, il bando individua i requisiti economico-finanziari
e tecnico-organizzativi necessari per partecipare alla procedura di
affidamento, nonché le eventuali misure in cui gli stessi devono
essere posseduti dai singoli concorrenti partecipanti. La mandataria
in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in
misura maggioritaria”.
Con bando-tipo (determinazione n. 4 del 2012)38, l’AVCP ha
stabilito che “Con riguardo ai servizi ed alle forniture, l’art. 275,
comma 2, regolamento prevede che, per i soggetti di cui all’art. 34,
comma 1, lett. d, e, f, e f bis, Codice (RTI, consorzi di concorrenti,
GEIE, operatori economici stabiliti in altri Stati membri), il bando
individua i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi
necessari per partecipare alla procedura di affidamento, nonché le
eventuali misure in cui gli stessi devono essere posseduti dai singoli
concorrenti. Inoltre, viene precisato che la mandataria, in ogni caso,
deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria. Tale inciso è da intendersi nel senso che la mandataria
deve spendere i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a
ciascuna delle mandanti, con riferimento alla specifica gara.
Per i servizi di ingegneria ed architettura, l’art. 261, comma 7,
stabilisce che, in caso di raggruppamenti temporanei, i requisiti
finanziari e tecnici di cui all’art. 263, comma 1, lettere a, b e d,
regolamento devono essere posseduti cumulativamente dal raggruppamento. Ai fini del computo complessivo dei requisiti del
raggruppamento, il bando di gara, la lettera di invito o l’avviso di
gara possono prevedere, con opportuna motivazione, che la mandataria debba possedere una percentuale minima degli stessi requisiti,
la quale, comunque, non può essere fissata in misura superiore al
sessanta per cento; la restante percentuale deve essere posseduta
cumulativamente dal o dai mandanti, senza che sussista la possibilità di richiedere agli stessi percentuali minime di possesso dei
requisiti. La mandataria, in ogni caso, deve possedere i requisiti
in misura maggioritaria percentuale superiore rispetto a ciascuna
dei mandanti. La mandataria, poi, ove sia in possesso di requisiti
superiori alla percentuale prevista dal bando di gara, dalla lettera
di invito o dall’avviso di gara, partecipa alla gara per una percentuale di requisiti pari al limite massimo stabilito. Si precisa che il
suddetto limite del sessanta per cento, valevole per la mandataria,
costituisce il limite massimo che la stazione appaltante può fissare
nel bando e non già il limite minimo, come avviene per i lavori
pubblici. Pertanto, il concorrente che supera il limite indicato nel
(38) In www.anac.it.
dottrina
79
bando può, comunque, partecipare alla gara, fermo restando che
i restanti requisiti devono essere posseduti dalle mandanti, per le
quali, come rilevato, non è possibile stabilire un limite minimo; ciò
non toglie che, ove le mandanti dichiarino di partecipare per una
certa percentuale o parte del servizio, debbano poi dimostrare, di
conseguenza, di possedere i requisiti di qualificazione in misura
corrispondente”.
Il comma 4 dell’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce poi che
“4. Nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai
singoli operatori economici riuniti o consorziati”.
Il comma 13 dell’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006 – oggi abrogato
dall’art. 12, comma 9, d.l. 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con
modificazioni, dalla l. 23 maggio 2014, n. 80 – stabiliva che “13. Nel
caso di lavori, i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo
devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente
alla quota di partecipazione al raggruppamento”. Il principio della
necessaria corrispondenza tra quote di partecipazione al raggruppamento, quote di esecuzione e requisiti di partecipazione era
stato applicato dalla giurisprudenza39 in modo tassativo e rigoroso
non solo negli appalti di lavori, ma anche in quello di servizi. I
concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo dovevano eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di
partecipazione al raggruppamento, sussistendo, come requisito di
ammissione alla gara, una perfetta corrispondenza tra parte dei
lavori/servizio/fornitura eseguiti dal singolo operatore economico
e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento.
Con bando-tipo n. 4 del 2012 l’AVCP aveva trattato la questione
del principio di corrispondenza nei termini di seguito riportati “Il
profilo della corrispondenza tra le quote di partecipazione delle
singole imprese ad un raggruppamento e le quote di esecuzione
del lavoro/servizio/fornitura (e, quindi, la ripartizione delle relative capacità tecniche ed economico-finanziarie) negli appalti di
lavori, servizi o di forniture necessita di alcune precisazioni. Con
riferimento agli appalti di lavori pubblici, l’art. 37, Codice, nel disciplinare le modalità partecipative alle gare per l’aggiudicazione
dei contratti dei raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari
di concorrenti, prevede che «nel caso di lavori, i raggruppamenti
temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti sono ammessi se
gli imprenditori partecipanti al raggruppamento ovvero gli im-
(39) Cons. St., Sez. V, 9 marzo 2015, n. 1179; Cons. St., Sez. IV, 17 febbraio
2014, n. 744; Cons. St., Sez. III, 11 maggio 2011, n. 2805; in senso conforme, Cons.
St., Sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 606 in De Agostini Banche dati on-line.
80
rivista trimestrale degli appalti
prenditori consorziati abbiano i requisiti indicati nel regolamento»
(comma 3). Stabilisce, ancora, il comma 13 dello stesso art. 37 che,
per i lavori, i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo
«devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente
alla quota di partecipazione al raggruppamento. Da tali disposizioni
e da quanto prescritto dal regolamento (cfr. art. 92), consolidata
giurisprudenza, con riguardo ai lavori pubblici, ha concluso che
deve sussistere una corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione (intese come quelle quote percentuali minime che ogni
soggetto deve dimostrare di possedere per accedere alla procedura di
gara), quote di partecipazione (intese quali quote di partecipazione
al raggruppamento) e quote di esecuzione dei lavori. Tale principio
di corrispondenza, che discende direttamente da norme imperative
e prescinde dall’assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria, comporta, quindi, l’obbligo di dichiarare già in sede di
offerta le quote di partecipazione al raggruppamento e le quote di
esecuzione dei lavori, al fine di assicurare che la stazione appaltante
possa verificare il possesso dei requisiti di qualificazione delle singole imprese in corrispondenza alle prestazioni che ciascuna deve
eseguire e, al contempo, evitare partecipazioni fittizie di imprese
effettuate al solo scopo di far conseguire l’aggiudicazione a soggetti
privi delle necessarie qualificazioni. D’altra parte, l’obbligo di indicare le suddette quote non si traduce in un onere eccessivamente
gravoso, risolvendosi in una mera dichiarazione. Proprio in virtù
della particolare valenza ad esso associata, inoltre, il principio di
corrispondenza si impone ai concorrenti senza alcuna necessità di
espressa previsione del bando di gara: quest’ultimo deve intendersi
in ogni caso conformemente integrato (in tal senso, cfr. Cons. St.,
Sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 416). In sintesi, dal combinato disposto
dei commi 3 e 13 dell’art. 37 del Codice consegue che, all’atto della
partecipazione, deve essere formulata l’indicazione delle quote
partecipative al raggruppamento, dalle quali poter desumere la
quota parte dei lavori che saranno eseguiti da ciascun associato,
dovendo sussistere una perfetta corrispondenza tra quota di lavori
e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento: l’indicazione
delle quote di partecipazione – e, conseguentemente dei lavori – si
rivela, dunque, un requisito di ammissione alla gara e deve provvedersi a tale incombente sin dalla presentazione della domanda
di partecipazione/offerta, non essendo sufficiente che ciò avvenga
in una fase successiva (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. V, 21 marzo
2012 n. 1597). Sulla base delle predette indicazioni preventive e
formali, avverrà la verifica della sussistenza della qualificazione.
Si precisa, inoltre, che l’impresa cooptata può eseguire i lavori, ma
non assume lo status di concorrente; essa, di conseguenza, non può
acquistare alcuna quota di partecipazione all’appalto e, quindi, non
dottrina
81
deve (e, in realtà, neppure può) dichiarare la propria quota di partecipazione al raggruppamento temporaneo. Per quanto concerne
i servizi e le forniture, l’art. 37, comma 4, Codice prevede solo che
debbano essere specificate nell’offerta le parti del servizio o della
fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati: a seguito delle modifiche apportate al comma
13 dell’art. 37 dall’art. 1, comma 2 bis, d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (nel
testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135),
infatti, l’obbligo di corrispondenza in fase di esecuzione vale solo
per i lavori pubblici. L’obbligo di specificazione ai sensi del citato
art. 37, comma 4, Codice, deve ritenersi assolto sia in caso di indicazione, in termini descrittivi, delle singole parti del servizio da cui
sia evincibile il riparto di esecuzione tra le imprese associate sia in
caso di indicazione, in termini percentuali, della quota di riparto
delle prestazioni che saranno eseguite tra le singole imprese, tenendo conto della natura complessa o semplice dei servizi oggetto della
prestazione e della sostanziale idoneità delle indicazioni ad assolvere alle finalità di riscontro della serietà e affidabilità dell’offerta,
nonché a consentire l’individuazione dell’oggetto e dell’entità delle
prestazioni che saranno eseguite dalle singole imprese raggruppate.
Così come per i lavori pubblici, anche per i servizi e forniture, la
violazione del precisato obbligo di specificare le parti di prestazione
da eseguire non costituisce una violazione meramente formale. L’incidenza, anzi, risulta sostanziale, considerata la rilevanza che tale
specificazione acquista sulla «serietà, affidabilità, determinatezza e
completezza, e dunque, sugli elementi essenziali dell’offerta, la cui
mancanza, pena la violazione dei principi della par condicio e della
trasparenza, non è suscettibile di regolarizzazione postuma» (cfr.
Cons. St., Ad. plen. n. 26 del 2012). In caso di procedure ristrette,
negoziate o di dialogo competitivo o, più in generale, nelle procedure nelle quali vi è una fase di cosiddetta “prequalifica” a seguito
della quale la stazione appaltante sceglie i concorrenti da invitare,
è comunque necessario, a pena di esclusione, indicare le quote già
nella domanda di partecipazione, al fine di consentire alla stazione
appaltante la verifica del possesso dei prescritti requisiti e la conseguente definizione dell’elenco degli operatori cui inviare le lettere
di invito a presentare offerta. Ai sensi dell’art. 62, comma 5, Codice,
infatti, le stazioni appaltanti non possono invitare candidati che non
abbiano i requisiti richiesti. Quanto precede non inficia la possibilità che intervenga una modificazione del raggruppamento sino
al momento della presentazione dell’offerta (cfr. TAR Lombardia,
Brescia, Sez. II, 10 agosto 2012, n. 1444). Difatti, nella fase precedente la formulazione dell’offerta, il concorrente non assume alcun
impegno particolare in ordine alla partecipazione alla gara: anche
in caso di invito da parte della stazione appaltante, il concorrente
82
rivista trimestrale degli appalti
resta libero di accoglierlo o meno (cfr., sul punto, TAR Toscana, Sez.
I, 20 luglio 2011, n. 1254). Tale modificazione non deve, comunque,
riguardare l’impresa capogruppo, né incidere negativamente sul
livello dei requisiti di qualificazione del raggruppamento: è, quindi,
ammissibile modificare le quote di partecipazione all’interno del raggruppamento, purché corrispondano alla qualificazione richiesta”.
In seguito all’abrogazione del comma 13 dell’art. 37, d.lgs. n.
163 del 2006, l’ANAC, con bando-tipo n. 2 del 201440 ha stabilito
che “Sempre con riguardo ai RTI occorre tener conto, inoltre, di
quanto disposto dall’art. 12 (commi 8 e 9) del citato d.l. 28 marzo
2014, n. 47 che ha abrogato il comma 13 dell’art. 37 e modificato
l’art. 92, comma 2, Codice. Per effetto della novella normativa, è
venuto meno il principio di corrispondenza sostanziale tra quote
di qualificazione, quote di partecipazione al raggruppamento e
quote di esecuzione dei lavori (cfr. determinazione AVCP n. 4 del
10 ottobre 2012). Il novellato art. 92, comma 2 stabilisce, infatti,
che “(...) Le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio, indicate in sede di offerta, possono essere liberamente stabilite
entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti
dall’associato o dal consorziato. Nell’ambito dei propri requisiti
posseduti, la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i
requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle
mandanti con riferimento alla specifica gara. I lavori sono eseguiti
dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta,
fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione
della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate”. Resta
fermo il principio secondo cui la mandataria deve essere in possesso
di almeno il 40% dei requisiti di qualificazione e che le mandanti
devono continuare a coprire, cumulativamente, il restante 60%,
coprendone almeno il 10% ciascuna.
Rispetto alla precedente formulazione dell’art. 92, comma 2, si
evince, quindi, che le quote di partecipazione al raggruppamento
possono essere ora liberamente stabilite, nel rispetto ovviamente dei
limiti di qualificazione di ciascun componente del raggruppamento
e dei vincoli sopra richiamati (almeno il 40% per la mandataria e
almeno il 10% per le mandanti).
Inoltre, l’abrogazione dell’art. 37, comma 13, Codice e la riformulazione dell’art. 92 fanno ritenere che non vi debba essere
necessariamente corrispondenza, come detto, tra le quote di partecipazione e le quote di esecuzione. La disposizione del comma 9
del citato art. 12, come sopra riportato, prevede, infatti, all’ultimo
(40) In www.anac.it.
dottrina
83
periodo, che “i lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo
le quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica
delle stesse, previa autorizzazione della stazione appaltante che
ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate”. La locuzione, riferita ai lavori da
eseguire “secondo le quote indicate in sede di offerta”, a fortiori se
combinata con l’abrogazione dell’art. 37, comma 13, Codice, deve
intendersi riferita alle quote di esecuzione che il concorrente deve
specificare in sede di offerta e che possono essere diverse dalle
quote di partecipazione in raggruppamento. Tale interpretazione è
rafforzata dal fatto che le stesse quote di esecuzione possono essere
successivamente modificate, in fase di realizzazione dell’opera, con
il consenso della stazione appaltante, nei limiti della qualificazione
posseduta da ciascun componente il raggruppamento. Naturalmente, la scelta della quota di esecuzione e l’eventuale modifica in sede
di esecuzione devono avvenire anche nel rispetto delle prescrizioni in
materia di modifiche soggettive di cui all’art. 37, Codice (sul punto si
veda anche la determinazione dell’AVCP del 10 ottobre 2012, n. 4)”.
Con riguardo ai servizi e forniture, poiché – come sopra visto – il
comma 4 dell’art. 37 stabilisce che “4. Nel caso di forniture o servizi
nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o
consorziati”, il principio della corrispondenza tra quote, scardinato
dalla novella del 2014 per gli appalti di lavori, non trova applicazione. A tal proposito, il Consiglio di Stato41 ha stabilito che “Nel
settore dei servizi, in mancanza di una predeterminazione normativa
o regolamentare dei requisiti di capacità tecnico organizzativa ed
economico finanziaria (ben diversi dai restanti requisiti soggettivi
ed oggettivi di partecipazione che ciascuna impresa deve possedere)
e non sussistendo il principio di necessaria corrispondenza tra la
qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di
rispettiva pertinenza, spetta alla stazione appaltante il compito di
definire nella lex specialis, in relazione al contenuto specifico della
prestazione, i requisiti di idoneità che devono essere posseduti dalle
imprese componenti il raggruppamento”; “Nel settore dei servizi, in
mancanza di una predeterminazione normativa o regolamentare dei
requisiti di capacità tecnico organizzativa ed economico finanziaria
(ben diversi dai requisiti soggettivi ed oggettivi di partecipazione che
ciascuna impresa deve possedere) spetta alla stazione appaltante
il compito di definire nella lex specialis, in relazione al contenuto
specifico della prestazione, i requisiti di idoneità che devono essere
(41) Cons. St., Sez. VI, 26 marzo 2015, n. 1594; Cons. St., Sez. VI, 5 gennaio
2015, n. 18, in De Agostini banche dati on-line.
84
rivista trimestrale degli appalti
posseduti dalle imprese componenti il raggruppamento. L’ art. 37,
comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006 si limita a stabilire che nel caso di
forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del
servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori
economici riuniti o consorziati, senza nulla aggiungere in ordine
ai requisiti di qualificazione sul piano tecnico professionale o della
dimostrazione della capacità economica”.
Il Consiglio di Stato (Ad. Plen.) n. 22 del 2012 e n. 26 del 201242
aveva affermato che il comma 4 dell’art. 37 si deve applicare indistintamente a tutte le forme di ATI, orizzontali e verticali. A favore
di tale tesi – secondo il Consiglio di Stato – “milita, anzitutto, l’argomento letterale in virtù del rilievo che la norma in parola, non
contiene alcuna distinzione tra ATI orizzontali e verticali così come
tra associazioni costituite e raggruppamenti costituendi... Si deve,
al riguardo, rimarcare che:
- l’indicazione delle “parti” del servizio o della fornitura imputate
alle singole imprese associate o associande si rende necessaria
onde evitare l’esecuzione di quote rilevanti dell’appalto da parte
di soggetti sprovvisti delle qualità all’uopo occorrenti in relazione
ai requisiti di capacità tecnico-organizzativa ed economicofinanziaria fissati dalla lex specialis;
- siffatte esigenze, di controllo e di trasparenza, si pongono in
modo persino rincarato nei raggruppamenti a struttura orizzontale, in seno ai quali tutti gli operatori riuniti eseguono il
medesimo tipo di prestazioni, per cui, in difetto di specificazione
anche quantitativa delle “parti” di servizi che saranno eseguite
dalle singole imprese, sarebbe inibita alla stazione appaltante
una verifica in ordine alla coerenza dei requisiti di qualificazione con l’entità delle prestazioni di servizio da ognuna di esse
assunte;
- la conoscenza preventiva del soggetto che in concreto eseguirà
il servizio o la fornitura, consente, in modo indifferenziato per
entrambe le associazioni, l’individuazione del responsabile della
prestazione dei singoli segmenti dell’appalto;
- l’obbligo in esame soddisfa l’esigenza, consustanziale alla funzione dei raggruppamenti, che sia assegnato un ruolo operativo
a ciascuna delle imprese associate in ATI o consorziate, allo
scopo di evitare che esse si avvalgano del raggruppamento non
per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per
aggirare le norme di ammissione stabilite dal bando e consentire
così la partecipazione di imprese non qualificate;
- l’obbligo della specificazione delle “parti” di servizio imputate
(42) In De Agostini banche dati on-line.
dottrina
85
alle singole imprese del raggruppamento persegue anche la
finalità di assecondare il corretto esplicarsi delle dinamiche
concorrenziali, assicurando l’effettività del raggruppamento e
impedendo la partecipazione fittizia di imprese, non chiamate
(o chiamate in modo inappropriato) ad effettuare le prestazioni
oggetto della gara.
Si deve quindi concludere, sulla scorta di tali argomenti, che
l’obbligo in questione, da assolvere a pena di esclusione in sede
di formulazione dell’offerta, è espressione di un principio generale che non consente distinzioni legate alla natura morfologica
del raggruppamento (verticale o orizzontale), alla tipologia delle
prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie) o al
dato cronologico del momento della costituzione dell’associazione
(costituita o costituenda).
Si deve ribadire altresì che, ai fini del vaglio dell’ottemperanza
all’obbligo di specificare le “parti” del servizio che saranno eseguite
dalle singole imprese, in ossequio al principio della tassatività delle
cause di esclusione – oggi sancito dall’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n.
163 del 2006, aggiunto dall’art. 4, comma 2 lett. d n. 2, d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per
l’economia), convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106 – dovrà seguirsi
un approccio ermeneutico di natura sostanzialistica che valorizzi il
dato teleologico del raggiungimento dello scopo della norma senza
che assuma rilievo dirimente il profilo estrinseco del modo in cui siffatta esigenza sia soddisfatta. L’obbligo dovrà allora ritenersi assolto
sia in caso di indicazione, in termini schiettamente descrittivi, delle
singole parti del servizio da cui sia evincibile il riparto di esecuzione tra le imprese associate, sia in caso di indicazione quantitativa,
in termini percentuali, della quota di riparto delle prestazioni che
saranno eseguite tra le singole imprese, tenendo conto della natura
complessa o semplice dei servizi e della sostanziale idoneità delle
indicazioni ad assolvere alle rammentate finalità di riscontro della
serietà e affidabilità dell’offerta ed a consentire l’individuazione
dell’oggetto e dell’entità delle prestazioni che saranno eseguite dalle
singole imprese raggruppate”.
In sede di bando-tipo (determinazione 4 del 2012), l’AVCP, nell’elencare le cause di esclusione dalle gare pubbliche inerenti i raggruppamenti e i consorzi ordinari ha riassuntivamente stabilito che “Fatto
salvo quanto già osservato in via generale sul necessario possesso
dei requisiti di partecipazione, per i raggruppamenti temporanei ed
i consorzi ordinari valgono, altresì, le seguenti cause di esclusione:
1) nel caso di lavori, mancato possesso dei requisiti secondo le percentuali minime indicate dal Codice e dal regolamento (art. 92
del regolamento) in relazione alla tipologia di raggruppamento
orizzontale, verticale o misto.
86
rivista trimestrale degli appalti
2) nel caso di forniture e servizi, mancato possesso dei requisiti
secondo la tipologia e la misura indicate nel bando di gara ai
sensi dell’art. 275, regolamento;
3) nel caso di forniture o servizi, mancata indicazione nell’offerta
delle parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai
singoli operatori economici riuniti o consorziati (cfr. Cons, St.,
Ad. plen., n. 22 del 2012);
4) in caso di RTI costituendo:
- mancata sottoscrizione dell’offerta da parte di tutti gli operatori economici;
- mancato impegno alla costituzione del raggruppamento – in
caso di aggiudicazione della gara – mediante conferimento di
mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno degli
operatori stessi, già indicato in sede di offerta e qualificato
come mandatario;
5) nel caso di raggruppamento costituito, violazione delle prescrizioni
relative al conferimento del mandato (art. 37, commi 14 e 15);
6) violazione del divieto di associazione in partecipazione;
7) nel caso di lavori pubblici violazione delle norme in tema di indicazione e ripartizione di quote tra le imprese raggruppate secondo
quanto meglio specificato nel prosieguo (art. 37, comma 13).
Per esplicita previsione del comma 10 dell’art. 37, l’inosservanza
dei divieti di cui al comma 9 comporta «l’annullamento dell’aggiudicazione o la nullità del contratto, nonché l’esclusione dei concorrenti
riuniti in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti,
concomitanti o successivi alle procedure di affidamento relative al
medesimo appalto”.
3.3.Modificabilità della composizione del raggruppamento in corso
di gara. – La immodificabilità soggettiva dei raggruppamenti trova
fondamento nelle seguenti disposizioni del Codice degli appalti ed
in particolare:
- nell’art. 51 “Vicende soggettive del candidato, dell’offerente e
dell’aggiudicatario”, secondo cui “1. Qualora i candidati o i
concorrenti, singoli, associati o consorziati, cedano, affittino
l’azienda o un ramo d’azienda, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o scissione della società, il cessionario, l’affittuario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione,
fusione o scissione, sono ammessi alla gara, all’aggiudicazione,
alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine
generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in
base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 62, anche in ragione della cessione, della
locazione, della fusione, della scissione e della trasformazione
previsti dal presente codice”;
dottrina
87
- nell’art. 116 “Vicende soggettive dell’esecutore del contratto”
secono cui “1. Le cessioni di azienda e gli atti di trasformazione,
fusione e scissione relativi ai soggetti esecutori di contratti pubblici non hanno singolarmente effetto nei confronti di ciascuna
stazione appaltante fino a che il cessionario, ovvero il soggetto
risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione,
non abbia proceduto nei confronti di essa alle comunicazioni
previste dall’art. 1, d.P.C.M. 11 maggio 1991, n. 187, e non abbia
documentato il possesso dei requisiti di qualificazione previsti
dal presente codice. 2. Nei sessanta giorni successivi la stazione
appaltante può opporsi al subentro del nuovo soggetto nella
titolarità del contratto, con effetti risolutivi sulla situazione
in essere, laddove, in relazione alle comunicazioni di cui al
comma 1, non risultino sussistere i requisiti di cui all’art. 10
sexies, l. 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.
3. Ferme restando le ulteriori previsioni legislative vigenti in
tema di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre
gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, decorsi
i sessanta giorni di cui al comma 2 senza che sia intervenuta
opposizione, gli atti di cui al comma 1 producono, nei confronti
delle stazioni appaltanti, tutti gli effetti loro attribuiti dalla legge.
4. Le disposizioni di cui ai commi che precedono si applicano
anche nei casi di trasferimento o di affitto di azienda da parte
degli organi della procedura concorsuale, se compiuto a favore
di cooperative costituite o da costituirsi secondo le disposizioni
della l. 31 gennaio 1992, n. 59, e successive modificazioni, e
con la partecipazione maggioritaria di almeno tre quarti di soci
cooperatori, nei cui confronti risultino estinti, a seguito della
procedura stessa, rapporti di lavoro subordinato oppure che si
trovino in regime di cassa integrazione guadagni o in lista di
mobilità di cui all’art. 6, l. 23 luglio 1991, n. 223”;
- nell’art. 37 comma 9 “Salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti
temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella
risultante dall’impegno presentato in sede di offerta” e comma 10
“L’inosservanza dei divieti di cui al precedente comma comporta l’annullamento dell’aggiudicazione o la nullità del contratto,
nonché l’esclusione dei concorrenti riuniti in raggruppamento o
consorzio ordinario di concorrenti, concomitanti o successivi alle
procedure di affidamento relative al medesimo appalto”.
Il principio generale dell’immodificabilità soggettiva è vista come
strumento necessario per la conoscenza dei potenziali contraenti,
dei quali è fatta preliminare ed efficace verifica in ordine ai requisiti
soggettivi di idoneità morale (art. 38), professionale (art. 39, Codice
dei contratti), di qualificazione (art. 40), economico-finanziari (art.
88
rivista trimestrale degli appalti
41) e tecnico-professionali (art. 42): verifica altrimenti eludibile
tramite alterazioni delle compagini offerenti.
Sotto altro profilo, l’alterazione dei componenti “plurimi” determina una disparità di trattamento verso il concorrente singolo, al
quale dopo la consegna dell’offerta è precluso il ritiro della stessa e
che, quindi, ne rimane vincolato sino all’esito della gara.
Il principio di immodificabilità del contraente pubblico va di
pari passo con quello della “personalità” del contratto di appalto
pubblico, a differenza di quello privato.
Il concetto, che il Consiglio di Stato ha da tempo espresso in
modo icastico nella decisione della Sez. V, 10 febbraio 2000, n. 75443,
ha portato sempre la giurisprudenza ad escludere che – al di fuori
dei casi di modificazioni ex art. 51 o 116, Codice (sempre subordinate al consenso della stazione appaltante) – possa verificarsi che
una commessa sia aggiudicata ad una impresa aliena alla gara, i
cui requisiti non siano stati prioritariamente valutati dalla pubblica
amministrazione Sicché, se a determinate condizioni può ammettersi una variazione dell’aggiudicatario, singolo o plurimo, dopo
l’aggiudicazione – ossia nella fase cosiddetta paritetica del rapporto
– si è sempre negato che analoga circostanza potesse aversi prima,
ossia nell’arco temporale compreso tra la presentazione dell’offerta
e la stipulazione del contratto, cioè nella fase pubblicistica della
gara, da parte di un RTI o di un consorzio, in rigida applicazione
dell’art. 37, comma 9, Codice dei contratti pubblici.
A tal riguardo, la rigidità è giustificata dal fatto che la posizione di
partecipante alla gara è ovviamente incedibile: per il che non sussiste
per l’amministrazione alcuna possibilità di procedere – nei confronti
del soggetto subentrato – all’aggiudicazione o alla verifica dei requisiti
oggettivi e soggettivi, con la conseguenza che, ove sia effettuata la
cessione, questa non ha effetto alcuno per il divieto (ieri) dell’art. 15,
comma 5-bis, l. n. 109 del 1994 ed oggi dell’art. 37 comma 9, Codice.
Anzi, l’unico effetto che deriva dalla cessione opera solo per il
cedente, il quale per tale negozio si ritrova privato di quella capacità imprenditoriale dichiarata in sede di offerta per l’esecuzione
della commessa, per il che andrà soggetto anche all’escussione della
polizza fideiussoria che correda la garanzia. Infatti, l’illegittima
modificazione soggettiva del raggruppamento produce, sul piano
pubblicistico, le conseguenze disciplinate dall’ art. 37, comma 10,
d.lgs. n. 163 del 2006, ossia, a seconda dei casi, l’esclusione dalla
procedura, l’annullamento dell’aggiudicazione e la nullità del contratto eventualmente stipulato44.
(43) In De Agostini banche dati on-line.
(44) Cons. St., Sez. V, 20 gennaio 2015, n. 169, in De Agostini banche dati on-line.
dottrina
89
L’art. 37, ai commi 18 e 19, indica i casi in cui sono ammissibili
modifiche soggettive della composizione dei raggruppamenti a seguito del verificarsi di eventi patologici che colpiscono il mandante
o il mandatario: “18. In caso di fallimento del mandatario ovvero,
qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte,
interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei
casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può
proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico
che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice
purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni
la stazione appaltante può recedere dall’appalto. 19. In caso di
fallimento di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o
fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa
antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico
subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è
tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti,
purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori
o servizi o forniture ancora da eseguire”.
Con specifico riguardo alla normativa antimafia, si sottolinea
quanto disposto dall’art. 95, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (“Codice
delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma
degli artt. 1 e 2, l. 13 agosto 2010, n. 136”) circa il fatto che, se
taluna delle situazioni dalle quali emerge un tentativo di infiltrazione mafiosa (cfr. artt. 84, commi 4 e 91, comma 7 del medesimo
Codice delle leggi antimafia) interessa un’impresa diversa da quella
mandataria che partecipa ad un raggruppamento temporaneo, «le
cause di divieto o di sospensione di cui all’art. 67 non operano nei
confronti delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa o sostituita anteriormente alla stipulazione del
contratto. La sostituzione può essere effettuata entro trenta giorni
dalla comunicazione delle informazioni del prefetto qualora esse
pervengano successivamente alla stipulazione del contratto». Detto
principio viene calmierato nelle ipotesi sopra riportate e, quindi, in
caso di fallimento in corso di esecuzione del contratto di uno dei
mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in
caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia; il mandatario,
ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in
possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione,
direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano
i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture
ancora da eseguire.
90
rivista trimestrale degli appalti
Come recentemente affermato dal Consiglio di Stato 45 “L’aggiudicazione di un appalto pubblico disposta in favore di un costituendo
o costituito raggruppamento temporaneo di imprese si intende effettuata in favore della composizione del medesimo raggruppamento,
così come risultante dall’impegno presentato in sede di offerta, in
virtù del principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti
alle gare (ex art. 37, comma 9, d.lgs. n. 163 del 2006, Codice degli
appalti ). A tale principio, si sottraggono le sole ipotesi eccezionali di
cui ai commi 18 e 19 del citato art. 37 nelle ipotesi di fallimento del
mandante, del mandatario e, se si tratta di imprenditore, di morte,
interdizione o inabilitazione (oltre a quelle previste dalla normativa
antimafia), che tuttavia riguardano situazioni indipendenti dalla
volontà del soggetto partecipante alla gara e che trovano giustificazione nell’interesse della stazione appaltante alla continuazione
della gara o dell’appalto affidato”.
Anche al di fuori delle ipotesi espressamente normate, deve
ritenersi ammissibile il recesso di una o più imprese dal raggruppamento (e non l’aggiunta o la sostituzione), a patto che i rimanenti
soggetti siano comunque in possesso dei requisiti di qualificazione
per le prestazioni oggetto dell’appalto. Tale limitata facoltà può essere
esercitata46 a condizione che la modifica della compagine soggettiva,
in senso riduttivo, avvenga per esigenze organizzative proprie del
raggruppamento o del consorzio e non per evitare una sanzione di
esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente
che recede47. In altri termini, il recesso dell’impresa componente, nel
corso della procedura di gara, non può mai valere a sanare ex post una
situazione di preclusione all’ammissione alla procedura in ragione
della esistenza, a suo carico, di cause di esclusione.
3.4. Raggruppamenti sovrabbondanti. – Alcune precisazioni sono
necessarie anche con riguardo alla discussa tematica del cd. raggruppamento sovrabbondante. L’Autorità garante della concorrenza
e del mercato ha sviluppato, nel tempo, un orientamento consistente
nel suggerire alle stazioni appaltanti la possibilità di inserire nei
bandi di gara clausole di esclusione dei raggruppamenti costituiti
da due o più imprese che già singolarmente posseggono i requisiti
finanziari e tecnici per partecipare alla gara.
La costituzione di un raggruppamento che, nel concreto, presenti connotazioni tali da potersi ritenere “macroscopicamente”
anticoncorrenziale si porrebbe in violazione dell’art. 101 del Trat-
(45) Cons. St. Sez. V, 2 marzo 2015, n. 986, in Giuffrè banche dati on-line.
(46) Cfr. Cons. St., Ad. plen., n. 8 del 2012.
(47) Sul punto, v. anche Cons. St., Sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 842.
dottrina
91
tato sul funzionamento dell’Unione europea, che, al pari dell’art.
2, l. 10 ottobre 1990, n. 287, vieta le intese aventi per oggetto o per
effetto quello di falsare e/o restringere la concorrenza. La possibilità di escludere tali raggruppamenti dovrebbe, quindi, fondarsi
sulla contemporanea convergenza di elementi di carattere formale
(il possesso dei requisiti) e sostanziale (le concrete potenzialità
anticoncorrenziali del raggruppamento), la cui verifica andrebbe
operata dalla stazione appaltante per accertare la sussistenza di una
volontà collusiva delle imprese partecipanti al raggruppamento. La
previsione di una siffatta clausola di esclusione era espressamente
consentita per le gare indette per l’affidamento dei servizi pubblici
locali, ai sensi dell’art. 4, comma 11, lett. d, d.l. 13 agosto 2011, n.
138 (convertito dalla l. 15 settembre 2011, n. 148), caducato a seguito
della declaratoria di incostituzionalità da parte della sentenza della
Corte costituzionale n. 199, depositata il 20 luglio 201248. La citata
norma stabiliva che, al fine di promuovere e proteggere l’assetto
concorrenziale dei mercati interessati, il bando di gara o la lettera
di invito potessero prevedere l’esclusione di «forme di aggregazione o di collaborazione tra soggetti che possiedono singolarmente i
requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara, qualora,
in relazione alla prestazione oggetto del servizio, l’aggregazione o la
collaborazione sia idonea a produrre effetti restrittivi della concorrenza sulla base di un’oggettiva e motivata analisi che tenga conto
di struttura, dimensione e numero degli operatori del mercato di
riferimento».
Sul punto, è stato posto in rilievo che la vigente disciplina degli
appalti pubblici non vieta ad imprese già selezionate nella fase
di prequalificazione – e, dunque, già in possesso dei requisiti di
partecipazione – di associarsi temporaneamente in vista della gara
e che, pertanto, un raggruppamento sovradimensionato non può
considerarsi, di per sé, vietato. L’art. 37, comma 12, Codice prevede,
infatti, che, in caso di procedure ristrette o negoziate, ovvero di dialogo competitivo, l’operatore economico invitato individualmente o
il candidato ammesso individualmente nella procedura di dialogo
competitivo hanno la facoltà di presentare un’offerta o di trattare
per se stessi o quali mandatari di operatori riuniti.
Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa, non è
dunque il sovradimensionamento del raggruppamento in sé ad
essere illecito, ma «l’inserirsi di tale sovradimensionamento in un
contesto di elementi di fatto che denotano i fini illeciti perseguiti
con uno strumento, quello dell’ATI, in sé lecito49» ; “L’art. 34, com-
(48) In De Agostini banche dati on-line.
(49) Cons. St. n. 5067 del 2012, in De Agostini banche dati on-line.
92
rivista trimestrale degli appalti
ma 1, lett. d, Codice dei contratti non pone alcun limite all’utilizzo
di raggruppamenti anche tra soggetti operanti nella stessa fase
della filiera produttiva; la chiara lettera della norma, infatti, non
pone dubbi in merito alla circostanza secondo cui le associazioni
temporanee di imprese hanno sempre e comunque la facoltà di presentare offerte a gare di appalto di lavori pubblici senza necessità
di dimostrare incrementi di efficienza nella gestione. Laddove il
legislatore ha inteso impedire l’utilizzo improprio dello strumento
del raggruppamento, dunque, lo ha indicato per il tramite di una
espressa previsione normativa (cfr. art. 37, comma 7, Codice dei
contratti). Allo stesso modo la giurisprudenza amministrativa ha
più volte chiarito che il raggruppamento orizzontale – anche sovrabbondante – non può di per sé costituire uno strumento illecito
né “la partecipazione alla singola gara in raggruppamento temporaneo non è quindi sintomo sufficiente per ritenere sussistente
un’intesa restrittiva della concorrenza in considerazione del fatto
che quest’ultima deve avere un oggetto ben più ampio di quello
riferibile alla singola gara e rappresentare al più una tessera di un
ben più ampio mosaico indiziario dal quale inferire la sussistenza
dell’illecito anticoncorrenziale”. In tale prospettiva, dunque, non può
non rilevarsi come la partecipazione in associazione temporanea
di due o più imprese potrebbe essere sintomatica di una legittima
forma di cooperazione tra concorrenti, utile ad accrescere il tasso
di concorrenzialità del mercato, secondo la stessa ratio sottesa alle
disposizioni normative che favoriscono la partecipazione alle gare
degli enti plurisoggettivi. L’accordo associativo per tali ATI, come
ogni rapporto tra privati, in realtà è neutro e, come tale, soggiace
alle ordinarie regole sulla liceità e la meritevolezza della causa e non
può dirsi di per sé contrario al confronto concorrenziale proprio
dell’evidenza pubblica”50; “L’inserimento nella lex specialis di gara
di un’eventuale clausola escludente di divieto di costituzione di ATI
cc.dd. sovrabbondanti non è comunque possibile, atteso che, in virtù
del disposto di cui all’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006 ,
(in tema di tassatività delle clausole di esclusione), detta clausola
si tradurrebbe, in difetto di una sua copertura a livello legislativo
o regolamentare, in una causa di esclusione atipica, come tale non
ammissibile e, quindi, nulla”51.
Si ritiene, quindi, non ammissibile un divieto generale di partecipazione per i raggruppamenti “sovrabbondanti”52 , dovendo la
(50) TAR Lazio, Roma, Sez. I, 20 marzo 2014, n. 3046, in De Agostini banche
dati on-line.
(51) TAR Puglia, Bari, Sez. I, 8 gennaio 2015, n. 14, in De Agostini banche
dati on-line.
(52) Sul punto, Cons. St., 11 giugno 2012, n. 3402, in De Agostini banche dati on-line.
dottrina
93
questione essere valutata in relazione alla eventuale concreta portata anticoncorrenziale, nella medesima ottica che connota l’art.
38, comma 1, m quater.
In senso contrario, in sede di bando-tipo (determinazione n.
4 del 2012)53, l’AVCP aveva ravvisato la possibilità, per la stazione appaltante, ed entro certi limiti, di introdurre una clausola
di sbarramento ai raggruppamenti sovrabbondanti che limitasse
l’accesso – sebbene non in via automatica – a quei soggetti che non
potevano giustificare, secondo circostanze apprezzabili, la partecipazione plurisoggettiva. A tal proposito si legge nella determina
che “è ammissibile l’inserimento di una clausola di esclusione ad
hoc qualora ciò sia proporzionato e giustificato in relazione alle
esigenze del caso specifico, quali la complessità del servizio e/o
l’assetto del mercato di riferimento, fermo restando che l’esclusione
non potrà mai essere automatica. Deve, infatti, essere assicurata
alle imprese la possibilità di giustificare, di fronte alla stazione
appaltante, la necessità di unirsi in raggruppamento temporaneo
presentando idonea documentazione. Tale giustificazione non dovrà, tuttavia, limitarsi ad una mera “autocertificazione”, ma dovrà
essere basata su precisi elementi in grado di corroborare la tesi
delle imprese associate quali, ad esempio, il piano di business che
evidenzi l’opportunità di partecipare in RTI alla luce del valore/
dimensione/tipologia del servizio richiesto o dell’attuale stato delle
imprese coinvolte (coinvolgimento in altri servizi, stato di difficoltà,
temporanea impossibilità di utilizzare i mezzi a disposizione) (cfr.
AGCM AS987 e AS880; v. inoltre Cons. St., Sez. VI, 24 settembre
2012, n. 5067)”.
4. Il contratto di rete. – Il contratto di rete tra imprese è uno
strumento giuridico che consente alle aggregazioni di imprese
di instaurare tra loro una collaborazione organizzata e duratura,
mantenendo la propria autonomia e la propria individualità (senza
costituire un’organizzazione come la società o il consorzio).
Per aggregazioni di imprese si intende una realtà produttiva
costituita da una molteplicità di imprese tra le quali intercorrono
rapporti di collaborazione ed interdipendenza diversi rispetto al
mero scambio di beni o prestazioni e rispetto alle comuni relazioni
di concorrenza di mercato.
Ci si riferisce alle aggregazioni di imprese quando una pluralità di imprese viene a costituire una realtà economico-produttiva
unitaria. Le singole imprese, pur mantenendo ciascuna la propria
autonomia e la propria indipendenza giuridica ed economica, per-
(53) In www.anac.it.
94
rivista trimestrale degli appalti
seguono, oltre al singolo interesse individuale, un interesse comune
e, a tal fine, strutturano i loro rapporti in modo tale che ciascuna
di esse condiziona ed è condizionata dalle altre.
L’istituto del contratto di rete tra imprese è stato introdotto
nell’ordinamento giuridico dall’art. 3, comma 4 ter ss., d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito in l. n. 33 del 2009, con cui è stato stabilito
che “4 ter. Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo
scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria
capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine
si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle
proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di
natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto
della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione
di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune
incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”.
La recente introduzione della nuova fattispecie del contratto
di rete solleva un importante interrogativo riferito alla configurazione stessa che la rete contrattuale può concretamente assumere,
ponendosi il dubbio se accanto a reti con cui si dà vita a un fascio
di contratti di scambio tra loro uniti da un nesso di collegamento
negoziale e a reti con cui si dà luogo a forme di collaborazione riconducibili alla figura del “contratto plurilaterale con comunione
di scopo”, sia anche ipotizzabile la costituzione di reti di tipo stricto
sensu “associativo”, ove la rete assume dunque la forma giuridica
del soggetto entificato. Il che si riflette, tra l’altro, sulla corretta
individuazione del confine tra reti e consorzi e del significato da
attribuire alla figura dell’”organo comune”, su cui può (facoltativamente) essere incentrato il modello di governo di una rete.
La “rete” cui si dà vita attraverso tale nuova figura contrattuale
costituisce, in tutta evidenza e in primissima approssimazione, una
fattispecie negoziale di tipo lato sensu “aggregativo”, con la quale
cioè si genera un fenomeno di “aggregazione” tra imprese, che si
propongono l’obiettivo di instaurare tra loro una specifica forma
di reciproca collaborazione.
Stando a una prima lettura del dato normativo (v. l’art. 3, comma
4 ter, primo periodo cit.), infatti:
a) con il contratto di rete più imprenditori “perseguono lo scopo di
accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”;
b) il tutto “sulla base di un programma comune di rete”;
c) con il quale “si obbligano” a (c-1) “scambiarsi informazioni o
prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tec-
dottrina
95
nologica”, o (c-2) “a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese” o (c-3) “ad
esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto
della propria impresa”.
Le configurazioni astrattamente prospettabili sarebbero addirittura tre, in correlazione con i tre possibili scopi-mezzi che l’aggregazione reticolare potrebbe proporsi: (i) quella della pluralità o fascio
di contratti di scambio uniti da un nesso di collegamento negoziale
e riassunti in uno schema contrattuale unitario, propria delle reti
che si propongono il fine di “scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica”; (ii)
quella del contratto plurilaterale con comunione di scopo, con o
senza rilevanza esterna, ma in ogni caso privo di base associativa,
sottesa alle (pur variegate e multiformi) reti che si pongono il fine
di “collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese”; (iii) quella del contratto associativo
in senso proprio e tecnico, ravvisabile nelle reti il cui fine sia quello
di “esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto
della propria impresa”.
Va sottolineato che il contratto di rete, ancorchè munito di un
organo comune e di un fondo patrimoniale, non è dotato di soggettività giuridica per espressa previsione normativa contenuta nell’art.
4 ter d.l. cit. secondo cui “Il contratto di rete che prevede l’organo
comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4
quater ultima parte”.
Quest’ultimo, nel disciplinare l’iscrizione del contratto di rete
nel registro delle imprese, dispone che, se è prevista la costituzione
del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del
registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede
e con tale iscrizione «la rete acquista soggettività giuridica» (art. 3,
comma 4 quater, d.l. n. 5 del 2009).
Ai fini dell’acquisto della soggettività giuridica, però, «il contratto
deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25, d.lgs. 7
marzo 2005, n. 82». L’acquisto della soggettività giuridica è, dunque,
interamente rimesso alla libera scelta dei soggetti contraenti. Una
simile opzione, atta ad incidere profondamente sulle caratteristiche
di snellezza dello strumento aggregativo, che contraddistinguono il
contratto di rete sin dalla prima tipizzazione, non è scevra da conseguenze sul piano della partecipazione alle procedure di gara, giacché
comporta una parziale sovrapposizione del contratto di rete con
fattispecie già note a livello normativo e, in particolare, con le forme
consortili. Rispetto a tali fattispecie, tuttavia, il contratto di rete, pur
con soggettività giuridica, continua a presentare una maggiore fles-
96
rivista trimestrale degli appalti
sibilità: si pensi, in proposito, alla necessità dello scopo mutualistico
proprio dei consorzi con attività esterna o alle restrizioni di carattere
organizzativo e patrimoniale derivanti dalla strutturazione secondo
i tradizionali schemi societari. È, altresì, vero che le parti, con la
costituzione dell’organo comune, dimostrano di voler attenuare la
caratteristica di estrema flessibilità propria della rete, privilegiando
una maggiore stabilità del rapporto associativo. Si rammenta, infatti,
che ex art. 3, comma 4 ter, lett. e, d.l. n. 5 del 2009, se il contratto di
rete prevede l’istituzione di un organo comune per l’esecuzione del
contratto, esso deve specificare il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto, i poteri di gestione e di
rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonché le regole relative alla
sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. È, poi, previsto che l’organo comune agisca in rappresentanza della rete, quando
essa acquista soggettività giuridica o, in assenza della soggettività e
“salvo che sia diversamente disposto” nel contratto, in rappresentanza
degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, “nelle
procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni (…)” (art. 3, comma 4 ter, lett. e. È da ipotizzare, pertanto,
che, in forza dell’inciso “salvo che sia diversamente disposto”, l’organo
comune, in assenza di soggettività giuridica, possa essere autorizzato
ad agire per conto delle imprese, ma in nome proprio.
In sintesi, l’organo comune agisce in rappresentanza della rete,
nel caso in cui acquisti soggettività giuridica e, in assenza della
soggettività, degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al
contratto, salvo che sia diversamente disposto nello stesso. Con
specifico riferimento alla partecipazione alle gare, le previsioni illustrate inducono a ritenere possibile una valorizzazione del rapporto
costitutivo della rete, che partecipa di taluni elementi propri del
contratto di mandato, qualora la stessa si sia dotata di un organo
comune di rappresentanza – esso stesso parte della rete – al quale
può essere conferito espressamente anche il potere di presentare
domande di partecipazione od offerte per tutte o determinate tipologie di procedure di gara.
L’AVCP con determinazione n. 3 del 201354 ha stabilito che il contratto di rete “postula, dunque, un’attenta considerazione della volontà negoziale delle parti contraenti, le quali devono pattiziamente
decidere di contemplare la partecipazione congiunta alle procedure
di gara nell’oggetto del contratto di rete – pienamente riconducibile
alla categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo, per
espressa previsione dell’art. 3, comma 4 ter, lett. d) del citato d.l. n.
5 del 2009 – e nel contempo, di norma, prevedere una durata dello
(54) In www.anac.it.
dottrina
97
stesso contratto che sia commisurata agli obiettivi programmatici
e, in ogni caso, ai tempi di realizzazione dell’appalto. Pertanto, la
partecipazione congiunta alle gare deve essere individuata come
uno degli scopi strategici inclusi nel programma comune”.
4.1.Caratteristiche essenziali del contratto. – Il contratto deve
contenere i seguenti elementi essenziali:
a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni
partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per
adesione successiva, nonché la denominazione e la sede della
rete, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale
comune ai sensi della lett. c;
b) l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità
concordate con gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali
obiettivi;
c) la definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante;
le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia
prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura
e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali
contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonché le regole di gestione del fondo medesimo;
se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può
avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato,
costituito ai sensi dell’art. 2447 bis, comma 1, lett. a, cod. civ.;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le
condizioni per l’esercizio del relativo diritto, ferma restando in
ogni caso l’applicazione delle regole generali di legge in materia
di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con
comunione di scopo;
e) se il contratto ne prevede l’istituzione, il nome, la ditta, la ragione
o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere
l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di
una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonché le regole relative alla sua
eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto;
f) le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni
materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è
stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti
a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a
maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma
medesimo”.
98
rivista trimestrale degli appalti
4.2. Tipologie di contratto. – Il contratto di rete può essere costituito secondo due tipologie:
1) contratto di rete con o senza costituzione di fondo patrimoniale comune e con o senza organo comune destinato a svolgere
l’attività con i terzi. In questo caso si ritiene che per le obbligazioni
assunte nell’esecuzione del contratto di rete siano responsabili direttamente ed in via solidale le imprese aderenti alla rete.
Se la rete non è dotata di fondo patrimoniale, non è previsto
debba avere una propria denominazione, né una propria sede, non
è nemmeno soggetta all’obbligo di redazione annuale della situazione patrimoniale.
2) Contratto di rete con costituzione di fondo patrimoniale
comune, inteso quale dotazione patrimoniale destinata all’esecuzione del programma di rete e organo comune destinato a svolgere
l’attività con i terzi. Se il contratto prevede il fondo patrimoniale,
allora la rete può iscriversi presso il registro delle imprese. In questo
caso, per espressa previsione legislativa, con l’iscrizione nel registro
la rete acquista soggettività giuridica.
L’attuale contesto normativo offre, pertanto, agli imprenditori
che intendono costituire una rete di imprese, ai sensi dell’art. 3, d.l.
n. 5 del 2009, l’alternativa fra due diverse forme giuridiche: l’adozione di un modello contrattuale “puro” di rete di imprese (cosiddetta
“rete-contratto”) oppure la creazione di un nuovo soggetto giuridico
(cosiddetta “rete-soggetto”).
4.2.1. La “rete-soggetto”. – I decreti crescita hanno introdotto
la possibilità per la rete dotata di fondo patrimoniale comune di
acquisire la soggettività giuridica, facoltativa e condizionata all’iscrizione del contratto di rete nel registro delle imprese. La rete di
imprese, per effetto dell’iscrizione, diviene un nuovo soggetto di
diritto (rete-soggetto) e, in quanto autonomo centro di imputazione
di interessi e rapporti giuridici, acquista rilevanza anche dal punto
di vista tributario.
La rete-soggetto, infatti, costituisce, sotto il profilo del diritto
civile, un soggetto “distinto” dalle imprese che hanno sottoscritto il
contratto . Per quel che concerne i rapporti tra le imprese partecipanti e la rete, si ritiene che essi debbano essere considerati rapporti
di natura partecipativa analoghi a quelli esistenti tra soci e società.
Con il conferimento al fondo patrimoniale della rete-soggetto,
quindi, l’impresa aderente assume lo status di partecipante. La contribuzione al fondo patrimoniale da parte delle imprese aderenti al
contratto di rete comune deve essere trattata quale “partecipazione”
alla rete-soggetto che rileverà, al pari dei conferimenti in società,
sia contabilmente sia fiscalmente.
dottrina
99
4.2.2. La “rete-contratto”. – Nella rete-contratto la titolarità di
beni, diritti, obblighi ed atti è riferibile alle singole imprese partecipanti.
La titolarità delle situazioni giuridiche rimane individuale dei
singoli partecipanti, sebbene l’organo comune possa esercitare una
rappresentanza unitaria nei confronti dei terzi. Nella rete priva di
soggettività giuridica, infatti, il fondo comune – se esistente – costituisce un complesso di beni e diritti destinato alla realizzazione
del programma comune di rete e i rapporti esistenti tra gli imprenditori partecipanti alla rete e l’organo comune sono riconducibili
alla figura del mandato con rappresentanza. Di conseguenza gli atti
posti in essere da parte del soggetto designato a svolgere l’ufficio di
organo comune incaricato dell’esecuzione del contratto o di una o
più parti di esso – che agisce in veste di mandatario con rappresentanza dei contraenti – produce effetti giuridici direttamente nelle
sfere individuali dei singoli rappresentati. La spendita del nome dei
singoli soggetti rappresentati da parte dell’organo comune rende
possibile, infatti, la diretta imputazione delle operazioni compiute
ai singoli partecipanti. Viceversa gli eventuali atti posti in essere
dalle singole imprese o dall’“impresa capofila” – che operano senza
rappresentanza – non comportano alcun effetto sulla sfera giuridica
delle altre imprese partecipanti al contratto.
Secondo la tesi più diffusa presso i primi commentatori55, le configurazioni o modelli organizzativi che una rete potrebbe di volta in
volta adottare sarebbero riconducibili a due distinte tipologie: quella
delle reti di tipo “associativo” in senso proprio e pieno; e quella
delle reti di tipo meramente “contrattuale interno”, non associativo.
In particolare, per quanto riguarda le reti il cui fine sia quello
di “esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto
della propria impresa”, le argomentazioni spendibili in favore della ammissibilità di una configurazione associativa, sono per vero
numerose.
In primo luogo, parrebbe militare in suo favore un argomento,
(55) V., tra gli altri, F. Cafaggi, P. Iamiceli, La governance del contratto di rete, in,
Il contratto di rete. Commentario, a cura di F. Cafaggi, Bologna, 2009, p. 45 ss.; F.
Cafaggi, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, cit., 919 (ma v. poi Id., Il contratto
di rete nella prassi. Prime riflessioni, in Contratti, 2011, 504 ss.); P. Iamiceli, Dalle reti
di imprese al contratto di rete: un percorso (in)compiuto, cit., p. 25 ss.; D. Corapi, Dal
consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in, Le reti di imprese e i contratti
di rete, a cura di P. Iamiceli, cit., p. 167 ss.; G. Villa, Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, ivi, p. 110 ss.; Id., Reti di imprese
e contratto plurilaterale, in Giur. comm., 2010, I, p. 952 ss.; V. Cuffaro, Contratti di
impresa e contratti tra imprese, in Corr. mer., 2010, p. 7 s.; G.D. Mosco, Frammenti
ricostruttivi del contratto di rete, in Giur. comm., 2010, I, p. 848 ss.
100
rivista trimestrale degli appalti
di taglio nel contempo letterale e sistematico, ricavabile dal riferimento testuale alla possibilità di nominare un “organo” comune
[art. 3, comma 4 ter, secondo periodo, nonché terzo periodo, lett.
e)]. Come è noto, difatti, l’organo è figura di produzione di fattispecie ed effetti giuridici direttamente imputati all’ente per il quale
agisce (ente che, a sua volta e reciprocamente, costituisce appunto
figura o centro di imputazione delle fattispecie e degli effetti giuridici promananti dall’azione dell’organo). Sicché, la presenza di un
organo in senso proprio e tecnico è per sua natura correlata a un
fenomeno di rappresentazione (o imputazione o immedesimazione)
organica: e dunque, per quanto qui interessa, la presenza dell’organo presupporrebbe l’esistenza di un soggetto giuridico entificato,
al quale le relative azioni e i conseguenti effetti giuridici sarebbero
ascritti e imputati.
In questa prospettiva, dunque, sarebbe ragionevole sostenere
che, istituendo un organo di rete, i contraenti darebbero vita a un
centro di “produzione” di regole di azione e/o di atti e/o di attività
imputati all’ente (soggetto giuridico, centro autonomo di “imputazione”) per il quale l’organo agisce: ente che, nel caso di specie,
sarebbe quindi la “rete” stessa, di cui sarebbe per tale via confermata
la natura di soggetto giuridico entificato.
Un secondo argomento, nuovamente di valenza letterale e nello stesso tempo sistematica, è quello che sarebbe dato desumere
dall’espressione “esercitare in comune una o più attività rientranti
nell’oggetto della propria impresa”. La locuzione “esercizio in comune”, difatti, si riscontra significativamente proprio nel corpo
dell’art. 2247, cod. civ., in punto di individuazione dei tratti caratteristici e qualificanti del “contratto di società”, ove è intesa, stando
all’interpretazione oggi forse prevalente e più accreditata, proprio
nel senso di esercizio di attività giuridicamente riferibile non già ai
singoli soci individualmente intesi, ma a un nuovo e separato centro
di imputazione (la società come soggetto entificato) che trae vita
dal contratto di società.
Altro indice ermeneutico in favore della possibile costituzione
di reti associative sarebbe poi quello ricavabile dal rinvio agli artt.
2614 e 2615 cod. civ. [art. 3, comma 4 ter, terzo periodo, lett. c,
ultima parte, a tenore del quale “Al fondo patrimoniale comune
costituito ai sensi della presente lettera si applicano, in quanto
compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 2614 e 2615, cod. civ.”],
idoneo a fondare un regime di autonomia patrimoniale, come tale
ragionevolmente riferibile, per lo meno in prima battuta e sempre
in chiave di interpretazione sistematica, a un centro di imputazione
soggettivo autonomo e separato dalle parti del contratto. Non avrebbe senso, si potrebbe invero opinare, l’applicazione di un regime
di autonomia patrimoniale se non in presenza di un patrimonio
dottrina
101
autonomo e separato da quello dei contraenti; e sarebbe allora ragionevole indurne che detto patrimonio, lungi dall’essere acefalo,
sarebbe per l’appunto ascritto e imputato a quel medesimo centro
soggettivo entificato cui lo stesso organo di rete imputa le proprie
azioni e i correlativi effetti giuridici.
Un’ultima argomentazione, per vero poco significativa, ma
che potrebbe fungere da supporto sul piano storico e teleologico a
conclusioni fondate sulle più solide considerazioni che precedono,
consisterebbe infine nell’ammonire che, a voler invece optare per
un’interpretazione di segno opposto e restrittivo, si finirebbe per
mortificare eccessivamente la portata innovativa e l’efficacia della
nuova disciplina, come voluta e sollecitata dalle stesse associazioni
di categoria che si sono rese fautrici dell’introduzione e del successivo affinamento di una normativa che consentisse un rilancio,
qualitativo oltre che quantitativo, delle opzioni strutturali e funzionali disponibili per la realizzazione di progetti di integrazione
interimprenditoriale.
Ove fosse questa la soluzione sistematicamente più corretta, allora, si potrebbe altresì affermare che la rete associativa costituirebbe
una sorta di figura associativa residuale, che si aggiungerebbe alle
ulteriori figure associative residuali già note alla nostra migliore
dottrina. Come la società semplice e la società in nome collettivo
sono descritte come figure associative residuali di esercizio in comune di attività economiche non commerciali o, rispettivamente,
commerciali, a fini di lucro e come l’associazione non riconosciuta
è descritta come figura associativa residuale di esercizio in comune di attività non economiche o di attività economiche a fini non
di lucro, allo stesso modo oggi la rete associativa potrebbe essere
individuata e descritta come figura associativa residuale per l’esercizio in comune di attività economiche a fini di cooperazione (o
mutualità) interaziendale.
La sua specificità starebbe (un po’ come per l’associazione non
riconosciuta) nella circostanza che si tratterebbe di fattispecie (quasi
completamente) destrutturata e dunque (quasi completamente) rimessa, nella costruzione del suo schema organizzativo/patrimoniale,
alla libera autonomia negoziale. E proprio in ciò potrebbe essere
colta la sua funzione: quella di occupare, nell’ambito delle figure
associative con finalità di cooperazione interaziendale, lo spazio
non coperto da altri contratti tipici e, segnatamente e in prima
battuta, dal consorzio.
Non mancherebbero, dunque, argomenti ermeneutici in favore
della (da più parti) auspicata ammissibilità di reti di tipo associativo.
Ciononostante, soprattutto a seguito delle modifiche apportate
col d.l. n. 78 del 2010, risultano oggi nettamente prevalenti e di
maggior peso le argomentazioni che spingono a negare, de iure con-
102
rivista trimestrale degli appalti
dito, la possibile configurazione associativa del contratto di rete56.
In tal senso già è possibile trarre indicazioni, se non decisive,
per lo meno suggestive, da una valutazione e da un’analisi – per
così dire – in “negativo” della disciplina dettata in riferimento al
contenuto del contratto di rete.
In particolare, non può non apparire significativo il fatto che la
legge non richieda, tra le indicazioni essenziali del contratto di rete,
quella relativa alla denominazione della rete medesima.
E per cogliere appieno la portata della mancata indicazione, è
utile rammentare che nel consorzio, che pure costituisce un archetipo storico e sistematico di riferimento nell’ambito dei fenomeni
aggregativi con cui si attuano forme di collaborazione interaziendale, la “denominazione” sia richiesta dalla legge con riferimento
ai consorzi con attività esterna (art. 2612, comma 2, n. 1, cod. civ.)
e non anche nei consorzi interni (art. 2603, comma 1, n. 1, cod.
civ.), che, per l’appunto, diversamente dai primi, sono contratti
plurilaterali con comunione di scopo, ma di tipo non “associativo”.
Nella stessa prospettiva, è del pari significativo altresì il fatto
che non sia richiesta neanche l’indicazione di una sede della rete.
Ma se quelle appena accennate costituiscono, per l’appunto, suggestioni, la cui valenza potrebbe non apparire decisiva in quanto, si
potrebbe sostenere, si tratta di argomentazioni di segno “negativo”
e per di più superabili attraverso un accorto utilizzo dell’autonomia
negoziale, assai più rilevante, ed anzi decisivo in chiave sistematica,
è il modo in cui è disciplinata la pubblicità della rete (rectius, del
contratto di rete).
Ed invero, è prescritta l’iscrizione nel registro delle imprese del
“contratto” e non già della “rete” come soggetto (art. 3, comma 4
quater). E se è vero che – come si potrebbe obiettare – anche nel
caso delle società, così come in quello dei consorzi con attività
esterna, l’iscrizione dell’ente avviene mediante l’iscrizione del suo
contratto (cfr. ad esempio gli artt. 2296, 2330 e 2612 cod. civ.), non
(56) V. Donativi, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance,
Società, 2011, n. 12, p. 1429; M. Sciuto, Imputazione e responsabilità nel contratto
di rete (ovvero dell’incapienza del patrimonio separato), in www.associazionepreite.
it, p. 10 ss.; E. Briganti, La nuova legge sui “contratti di rete” tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, p. 194; F. Cirianni, Il contratto di rete, in ivi,
2010, p. 442 ss.; A. Gentili, Il contratto di rete dopo la l. n. 122 del 2010, in Contratti,
2011, p. 617 ss.; Id., Una prospettiva analitica su reti di imprese e contratti di rete, in
Obbligazioni e contratti, 2010, p. 90; D. Scarpa, La responsabilità patrimoniale delle
imprese contraenti per le obbligazioni assunte a favore di una rete tra loro costituita,
in Resp. civ., 2010, p. 406; Id., Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale,
in Contr. e impr., 2010, p. 168 ss.; P. Zanelli, Reti di imprese: dall’economia al diritto,
dall’istituzione al contratto, ivi, 2010, p. 952 s. e p. 969; M. Maltoni, Il contratto di
rete. Prime considerazioni alla luce della novella di cui alla L. n. 122/2010, in Notariato, 2011, p. 65 s.
dottrina
103
va però trascurato il fatto che l’iscrizione avviene sempre, in tali
ultimi casi, in una posizione di registro delle imprese autonoma e
separata, aperta proprio in nome dell’ente (la società, il consorzio,
ecc.) che viene costituito. Per contro, nel caso della rete, il contratto
è iscritto all’interno delle posizioni già aperte in nome delle imprese aderenti alla rete (art. 3, comma 4 quater, a tenore del quale “Il
contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro
delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia
del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima
delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati
sottoscrittori originari”).
Altra argomentazione decisiva, sul piano letterale e sistematico,
può trarsi dal riferimento alla figura dell’”organo comune” di rete.
Si è detto poc’anzi come, a stretto rigore, la presenza di un “organo” potrebbe e dovrebbe costituire il principale indice ermeneutico
in favore della possibile configurazione associativa della rete. Eppure, a ben vedere, il modo in cui l’organo è qualificato e disciplinato
offre spunti interpretativi in direzione esattamente opposta.
Ed invero, in primo luogo, l’organo della rete è espressamente
qualificato come “organo comune” [art. 3, comma 4 ter, secondo
periodo, nonché terzo periodo, lett. e]. Ed è allora palese che il significato che gli attribuisce il legislatore, nella norma in commento, non
potrebbe essere quello dell’organo inteso come centro di produzione
e di imputazione nell’ambito di un fenomeno di “immedesimazione
organica” tipico della persona giuridica, poiché in quel caso l’organo
non sarebbe “comune” alle parti contraenti, ma sarebbe riferibile, in
via diretta ed esclusiva, alla rete quale soggetto giuridico entificato.
Ancor più, l’organo in questione è, testualmente, incaricato
di gestire “in nome e per conto dei partecipanti l’esecuzione del
contratto o di singole parti o fasi dello stesso” (art. 3, comma 4
ter, secondo periodo), sicché, per espressa previsione di legge, esso
agisce non già in nome e per conto della rete, ma in nome e per
conto dei “partecipanti” alla rete.
Ed ancora, e sempre testualmente, l’organo può essere investito di poteri di gestione e di rappresentanza che gli verrebbero
conferiti come “mandatario comune” [v. ancora l’art. 3, comma 4
ter, terzo periodo, lett. e)]: ancora una volta, dunque, non già come
centro di produzione e di imputazione di azioni ed effetti giuridici
direttamente in capo al soggetto giuridico cui i partecipanti alla
rete avrebbero dato vita; ma piuttosto come soggetto che agisce,
secondo gli schemi del “mandato”, per conto ed eventualmente in
nome dei partecipanti alla rete come tali.
Né si potrebbe obiettare che quelle menzionate sarebbero attività
che l’organo potrebbe essere chiamato a svolgere in via eventuale
ed accessoria, come un di più rispetto a un’attività comune e ordi-
104
rivista trimestrale degli appalti
naria che svolgerebbe invece in nome e per conto della rete come
soggetto entificato. La formulazione della norma, difatti, è nel senso
che quella descritta sia l’attività tipica e propria dell’organo così
eventualmente costituito.
Resterebbe, da ultimo, da fare i conti col richiamo [ad opera
dell’art. 3, comma 4 ter, terzo periodo, lett. c, ultima parte] agli artt.
2614 e 2615, cod. civ., che, avendo ad oggetto una disciplina con cui
si radica l’autonomia patrimoniale del consorzio con attività esterna, presenta assonanze evocative di una possibile configurazione
associativa della rete.
E tuttavia, a ben guardare, l’argomento che se ne vorrebbe desumere sarebbe anch’esso tutt’altro che decisivo.
In primo luogo, difatti, non potrebbe trascurarsi il fatto che il regime di autonomia patrimoniale scaturente dal rinvio è testualmente
riferito ed ascritto non già alla rete come tale (ovverosia alla rete
come soggetto entificato), ma direttamente al “fondo patrimoniale
comune” costituito con i conferimenti iniziali e con gli eventuali
contributi successivi dei partecipanti.
Esso, inoltre, è accompagnato dalla locuzione “in quanto compatibili”, che avrebbe poco senso se il regime normativo richiamato
dovesse essere applicato secondo lo schema ordinario e comune con
cui è congegnato, ovverosia se desse vita anche qui a un normale
caso di autonomia patrimoniale riferibile a un separato centro
soggettivo di imputazione.
Sembra invece plausibile che il congegno cui il legislatore ha
inteso fare riferimento sia nel senso della costruzione di un’ipotesi (tutt’altro che nuova o sconosciuta al nostro ordinamento) di
patrimonio autonomo acefalo, dotato di una propria autonomia
patrimoniale tendenzialmente perfetta.
Si tratterebbe, in buona sostanza, di una sorta di “cassa comune”, alimentata da conferimenti (iniziali) e contributi (successivi
ed eventuali) e dotata, appunto, di una propria autonomia patrimoniale 57.
Il che spiegherebbe come mai, anche sul piano della formulazione letterale, si parli di “fondo patrimoniale comune”, anziché di
“fondo patrimoniale della rete” (o, meglio ancora, di “patrimonio
della rete”).
Ponendosi in tale prospettiva ermeneutica, infine, si riesce anche
a “smitizzare” la portata sistematica della locuzione “esercizio in
comune”, cui il dettato normativo, come si è visto, fa riferimento.
(57) C. Camardi, Dalle reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva
legislativa, in Reti di imprese e contratto di rete: spunti per un dibattito, a cura di F.
Macario, C. Scognamiglio, cit., p. 931.
dottrina
105
L’espressione, invero, ben potrebbe essere intesa, senza con ciò
privare il dettato normativo di un suo specifico significato, nel senso
di esercizio “coordinato”, o, se si vuole, sottoposto all’attività di direzione e di coordinamento posta in essere dalla rete e attraverso la
rete, ovverosia nel rispetto e col filtro degli schemi organizzativi e di
governo che il contratto di rete avrà cura di individuare. In comune,
dunque, non già nel senso di esercizio imputato a un soggetto entificato emanazione “comune” delle imprese aderenti, ma piuttosto
nel senso di esercizio di attività che, pur rimanendo giuridicamente
imputato alle singole imprese partecipanti alla rete, sarebbe appunto
“coordinato” attraverso un’organizzazione “comune”.
5. Partecipazione delle reti di impresa alle gare pubbliche. – Il
novellato art. 34, comma 1, lett. e bis, ammette a partecipare alle
procedure di affidamento dei contratti pubblici «le aggregazioni tra
le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’art. 3, comma 4
ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla
l. 9 aprile 2009, n. 33»; la medesima disposizione soggiunge, poi,
che «si applicano le disposizioni dell’art. 37».
Benché, secondo il consolidato orientamento dell’AVCP e della
giurisprudenza, l’elenco contenuto nell’art. 34 non abbia natura
tassativa, l’intervenuto chiarimento risulta quanto mai opportuno,
soprattutto in ragione del rinvio espresso all’art. 37 che, come noto,
reca la disciplina dei raggruppamenti temporanei (RTI) e dei consorzi ordinari di concorrenti.
Nello specifico, il nuovo comma 15 bis del citato art. 37 ribadisce
che «le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione,
in quanto compatibili, alla partecipazione alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di
rete, di cui all’art. 34, comma 1, lett. e bis».
Il legislatore lascia, quindi, all’interprete il compito di chiarire
quali siano i limiti di compatibilità tra le ordinarie regole valevoli
per RTI e consorzi e le specificità proprie del contratto di rete.
Quanto alla qualificazione, è, in ogni caso, necessario che tutte
le imprese della rete che partecipano alla procedura di gara siano in
possesso dei requisiti generali di cui all’art. 38 Codice e li attestino in
conformità alla vigente normativa. Ciò a prescindere dalla tipologia
e dalla struttura della rete e, pertanto, in tutti i casi esaminati nei
precedenti paragrafi.
Con riguardo ai requisiti speciali di partecipazione, essendo stata
l’aggregazione tra gli aderenti al contratto di rete “strutturalmente”
assimilata dal Codice al raggruppamento temporaneo di imprese
(RTI), trovano applicazione le regole in tema di qualificazione previste dall’art. 37, Codice e dagli artt. 92 e 275, regolamento (d.P.R.
5 ottobre 2010, n. 207) per gli appalti di lavori, servizi e forniture;
106
rivista trimestrale degli appalti
dall’art. 90, comma 1, lett. g), Codice e dall’art. 261, comma 7, regolamento per quanto riguarda i servizi di ingegneria e architettura.
Le aggregazioni si dovranno strutturare secondo la tipologia dei
raggruppamenti orizzontali e verticali in conformità alle disposizioni dell’art. 37, Codice.
In linea generale, sussiste, inoltre, il divieto di partecipazione alla
gara, anche in forma individuale, delle imprese che già partecipano
per mezzo della aggregazione di imprese retiste, ai sensi dell’art.
37, comma 7, Codice.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si conferma, pertanto, che, come prospettato nell’atto di segnalazione dell’AVCP n.
2 del 201258, occorre effettuare una differenziazione, ai fini della
partecipazione alle gare, a seconda del diverso grado di strutturazione della rete.
5.1. Rete dotata di organo comune con potere di rappresentanza,
ma priva di soggettività giuridica (rete-contratto). Modalità di partecipazione. Qualificazione. – Nel caso di rete priva di soggettività giuridica, ma dotata di organo comune con potere di rappresentanza,
quest’ultimo può svolgere il ruolo di mandataria, laddove in possesso
dei necessari requisiti di qualificazione e qualora il contratto di
rete rechi il mandato allo stesso a presentare domande di partecipazione o offerte per tutte o determinate tipologie di procedure di
gara. Tuttavia, il mandato, contenuto nel contratto di rete, è condizione necessaria, ma non sufficiente, in quanto la volontà di tutte
o parte delle imprese retiste di avvalersi di una simile possibilità,
per una specifica gara, deve essere confermata all’atto della partecipazione, mediante la sottoscrizione della domanda o dell’offerta.
Tale atto formale, unitamente alla copia autentica del contratto di
rete, che già reca il mandato, integra un impegno giuridicamente
vincolante nei confronti della stazione appaltante. Secondo l’AVCP
(determinazione n. 3 del 2013) è altresì, necessario che, a monte, il
contratto di rete sia stato redatto per atto pubblico o per scrittura
privata autenticata ovvero per atto firmato digitalmente a norma
dell’art. 25 del CAD, al fine di fornire idonee garanzie alla stazione
appaltante circa l’identità delle imprese retiste.
Qualora le suesposte condizioni siano rispettate, l’organo comune
stipulerà il contratto in nome e per conto dell’aggregazione di imprese
retiste. Qualora, invece, l’organo comune non possa svolgere il ruolo
di mandataria (ad esempio perché privo di adeguati requisiti di qualificazione, neanche ricorrendo all’istituto dell’avvalimento ex art. 49,
Codice) è sempre possibile ricorrere alla soluzione descritta infra § 5.2.
(58) In www.anac.it.
dottrina
107
Per la qualificazione nel settore dei lavori pubblici, prima
dell’abrogazione del comma 13 dell’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006 ad
opera dell’art. 12 (commi 8 e 9) d.l. 28 marzo 2014, n. 47, trovano
applicazione le regole (dettate dall’art. 37, commi 3 e 13, Codice)
che imponevano una corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione, quote di partecipazione e quote di esecuzione dei lavori.
Le quote di partecipazione erano da riferirsi all’“aggregazione” tra
le imprese retiste partecipante all’appalto.
Restano ferme le ulteriori disposizioni in tema di ripartizione
tra mandataria e mandanti in caso di raggruppamenti di tipo verticale (art. 37, comma 6) nonché quelle in tema di opere di notevole
contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica (art. 37,
comma 11), così come integrate dalle applicabili disposizioni del
regolamento.
In seguito all’abrogazione del comma 13 dell’art. 37, d.lgs. n.
163 del 2006, l’ANAC, con bando-tipo n. 2 del 201459 ha stabilito
che “Sempre con riguardo ai RTI occorre tener conto, inoltre, di
quanto disposto dall’art. 12 (commi 8 e 9) del citato d.l. 28 marzo
2014, n. 47 che ha abrogato il comma 13 dell’art. 37 e modificato
l’art. 92, comma 2, Codice. Per effetto della novella normativa, è
venuto meno il principio di corrispondenza sostanziale tra quote
di qualificazione, quote di partecipazione al raggruppamento e
quote di esecuzione dei lavori (cfr. determinazione AVCP n. 4 del
10 ottobre 2012). Il novellato art. 92 comma 2 stabilisce, infatti, che
“(...) Le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio,
indicate in sede di offerta, possono essere liberamente stabilite
entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti
dall’associato o dal consorziato. Nell’ambito dei propri requisiti
posseduti, la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i
requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle
mandanti con riferimento alla specifica gara. I lavori sono eseguiti
dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta,
fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione
della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate”. Resta
fermo il principio secondo cui la mandataria deve essere in possesso
di almeno il 40% dei requisiti di qualificazione e che le mandanti
devono continuare a coprire, cumulativamente, il restante 60%,
coprendone almeno il 10% ciascuna.
Rispetto alla precedente formulazione dell’art. 92, comma 2, si
evince, quindi, che le quote di partecipazione al raggruppamento
possono essere ora liberamente stabilite, nel rispetto ovviamente dei
(59) In www.anac.it.
108
rivista trimestrale degli appalti
limiti di qualificazione di ciascun componente del raggruppamento
e dei vincoli sopra richiamati (almeno il 40% per la mandataria e
almeno il 10% per le mandanti)”.
Per i servizi e le forniture, il riferimento è al comma 4 dell’art.
37, per cui nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio
o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici retisti.
5.2. Rete dotata di organo comune privo di potere di rappresentanza o reti sprovviste di organo comune. Modalità di partecipazione.
Qualificazione. – Laddove il contratto di rete escluda il potere di
rappresentanza, per cui l’organo comune agisce in nome proprio,
l’aggregazione delle imprese retiste partecipa nella forma del raggruppamento, costituendo o costituito, con applicazione integrale
delle relative regole, salvo quanto si osserverà circa la forma del
mandato. Nel caso di raggruppamento costituendo, devono, quindi,
essere osservate le seguenti formalità: sottoscrizione dell’offerta o
della domanda di partecipazione delle imprese retiste parte dell’aggregazione interessata all’appalto; sottoscrizione dell’impegno che,
in caso di aggiudicazione dell’appalto, sarà conferito mandato
collettivo speciale con rappresentanza ad una delle imprese retiste
partecipanti alla gara, per la stipula del relativo contratto. In alternativa, è sempre ammesso il conferimento del mandato prima della
partecipazione alla gara, alla stessa stregua di una ATI costituita.
Quanto alla forma del mandato l’AVCP con determinazione n. 3 del
2013 ha specificato che, al fine di non gravare di oneri eccessivi le
imprese che hanno già sottoscritto il contratto di rete, il mandato
può avere, alternativamente, la forma di:
1. scrittura privata non autenticata sottoscritta, anche digitalmente, dagli operatori economici aderenti alla rete, purché il contratto di rete sia stato redatto per atto pubblico o per scrittura
privata autenticata o firmata digitalmente ai sensi dell’art. 25
del CAD; in detta evenienza, si reputa che la scrittura non autenticata dovrà essere prodotta unitamente alla copia autentica
del contratto di rete;
2. scrittura privata autenticata, nel caso di contratto di rete redatto
in forme diverse da quelle sub 1).
Per la qualificazione, dal momento che l’aggregazione delle
imprese retiste partecipa nella forma di un vero e proprio RTI, si
applica la disciplina prevista dall’art. 37.
5.3. Rete dotata di organo comune e di soggettività giuridica.
Modalità di partecipazione. Qualificazione. – In tal caso, atteso il
potere riconosciuto all’organo comune di agire in rappresentanza
della rete (nel cui programma strategico rientri la partecipazione
dottrina
109
congiunta a procedure di gara), l’aggregazione tra le imprese aderenti al contratto di rete partecipa a mezzo dell’organo comune,
esso stesso parte della rete e qualora in possesso dei requisiti di
qualificazione previsti per la mandataria. Conseguentemente, la
domanda o l’offerta presentata dall’organo comune, assieme alla
copia autentica del contratto di rete, costituiscono elementi idonei
ad impegnare tutte le imprese partecipanti al contratto di rete, salvo
diversa indicazione in sede di offerta. Può, infatti, ritenersi che, analogamente a quanto previsto dall’art. 37, comma 7, ultimo periodo,
Codice, con riferimento ai consorzi di cui all’art. 34, comma 1, lett. b,
l’organo comune debba indicare, in sede di offerta, la composizione
della aggregazione tra le imprese aderenti al contratto di rete che
partecipa alla specifica gara; alle imprese indicate è fatto divieto di
partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara. Per quanto
riguarda le formalità di partecipazione alla gara, il contratto potrà,
pertanto, essere stipulato mediante atto pubblico, scrittura privata
autenticata, ovvero atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25
del CAD, vale a dire con firma elettronica o altro tipo di firma avanzata autenticata da notaio o altro pubblico ufficiale. Tuttavia, come
rilevato, il contratto di rete deve essere prodotto, in copia autentica,
all’atto della partecipazione alla gara, in quanto da esso emergono
i poteri dell’organo comune a presentare l’offerta/domanda ed a
sottoscrivere il relativo contratto. Qualora le suesposte condizioni
siano rispettate, l’organo comune stipulerà il contratto in nome e
per conto dell’aggregazione di imprese retiste.
Nonostante questa tipologia di rete abbia soggettività giuridica
che la dovrebbe assimilare ai consorzi stabili ai fini della qualificazione alla gara, tuttavia tale completa assimilazione non è possibile
per due ordini di ragioni. In primo luogo, il dato letterale dell’art.
37 comma 15 bis, d.lgs. n. 163 del 2006 che prevede espressamente
che “le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione, in quanto compatibili, alla partecipazione alle procedure di
affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto
di rete, di cui all’art. 34, comma 1, lett. e bis)”. In secondo luogo,
in quanto non esiste alcun’altra disposizione di legge che consenta
una qualificazione autonoma alla rete al pari del consorzio stabile. Si pensi al settore dei lavori pubblici, ove la rete non potrebbe
ricevere un’attestazione SOA cumulativa che la possa autorizzare
alla partecipazione alla gara.
Pertanto, l’AVCP (determinazione n. 3 del 2013) ha ritenuto che
debbano applicarsi le medesime regole esposte per la rete dotata di
organo comune con potere di rappresentanza ma priva di soggettività giuridica. Anche in tale ipotesi, le quote di partecipazione sono
da riferirsi all’“aggregazione” tra le imprese retiste che partecipa
all’appalto.
110
rivista trimestrale degli appalti
6. La fase esecutiva. – Ai sensi del comma 5 dell’art. 37, Codice,
l’offerta dell’aggregazione di imprese retiste che partecipa alla gara
determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione
appaltante, nonché nei confronti del subappaltatore e dei fornitori.
Per gli assuntori di lavori scorporabili e, nel caso di servizi e forniture, per gli assuntori di prestazioni secondarie, la responsabilità è
limitata all’esecuzione delle prestazioni di rispettiva competenza,
ferma restando la responsabilità solidale dell’impresa che svolge il
ruolo di mandataria. Tale responsabilità non è, dunque, estesa ai
soggetti che, seppur sottoscrittori del contratto di rete, non abbiano
partecipato alla specifica procedura di gara tramite l’aggregazione.
Il citato art. 37, comma 5, deve intendersi quale norma speciale prevalente su pattuizioni o norme volte a limitare detta responsabilità
nei confronti della stazione appaltante.
Con riguardo all’eventuale recesso o estromissione dal contratto
di rete, in fase di partecipazione, trova applicazione la disciplina
generale dettata dal combinato disposto dei commi 9, 18 e 19 dell’art.
37 (sul punto, cfr. determinazione AVCP n. 4 del 2012).
A valle della stipulazione del contratto di appalto, deve ritenersi
che l’eventuale recesso o l’estromissione dal contratto di rete non
possano, in alcun caso, essere opposti alla stazione appaltante; in
altri termini, essi non valgono ad alterare i vincoli formalizzati nel
contratto d’appalto stesso.
7. Cenni alla differenza tra rete-contratto e consorzio (senza attività
esterna). – Troppo debole sarebbe l’ipotesi di ravvisare la differenza
nella circostanza che il consorzio avrebbe ad oggetto la disciplina
o lo svolgimento di “fasi” delle imprese consorziate, mentre la rete
(per menzionare il terzo dei possibili scopi-mezzi, che ha maggiore
assonanza col dettato di cui all’art. 2602 cod. civ.) potrebbe avere
ad oggetto l’esercizio in comune di una o più “attività” rientranti
nell’oggetto delle imprese contraenti. E ciò quanto meno perché la
nozione di attività è ben compatibile con l’ipotesi che col contratto
di rete si mettano a fattor comune delle fasi, piuttosto che delle
intere attività d’impresa.
Del pari, sarebbe debole l’argomento che volesse ravvisare nella
rete la risposta a un’istanza di massima flessibilità organizzativa/
strutturale, atteso che la stessa disciplina del consorzio è eminentemente dispositiva e, sotto questo profilo, era ed è già ampiamente
caratterizzata da una altissimo grado di autonomia negoziale.
Sembra invece possibile affermare che il rapporto tra le due
figure possa essere descritto come quello che si pone tra due cerchi
(o insiemi) collocati in posizione di parziale reciproca sovrapposizione. E che, per contro, non si tratta né di cerchi concentrici, né
dottrina
111
di insiemi del tutto separati e privi di qualsiasi sovrapposizione60.
Contro quest’ultima ipotesi, invero, è sufficiente far leva sul
fatto che, sotto il profilo causale, lo scopo-fine del contratto di rete
(“accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità
innovativa e la propria competitività sul mercato”) è solo una species
del genus delle finalità di cooperazione interaziendale che qualificano e connotano i consorzi. Sarebbe assolutamente pacifico e non
dubitabile, cioè, che nulla impedirebbe di costituire un consorzio
che si ponga fini di cooperazione interaziendale tali da consentire
di realizzare lo scopo ultimo di accrescere, individualmente e collettivamente, la capacità innovativa e la competitivà delle imprese
consorziate. E del pari, e correlativamente, nulla impedirebbe di
configurare il consorzio così costituito come consorzio interno o
non, piuttosto, che come consorzio con attività esterna. E ciò pur
senza indugiare sul fatto che, a detta di molti, lo scopo fine delle
reti sarebbe descritto in termini così ampi e generici da impedire di
scorgervi una specificità e da consentire invece di reputarlo sotteso
a qualunque progetto di cooperazione interaziendale.
Così ragionando, allora, potrebbe astrattamente prendere corpo
l’ipotesi della ricostruzione come fattispecie collocabili all’interno
di insiemi che si pongono in termini di reciproca interrelazione
come cerchi concentrici. Ma così facendo non si attribuirebbe il
necessario rilievo al fatto che il consorzio, diversamente dalla rete,
potrebbe realizzare i medesimi obiettivi attraverso una struttura di
tipo associativo; e che la sola rete non associativa, e non anche il
consorzio interno, gode di una disciplina di favore (sul piano della
parziale “rilevanza esterna” della propria operatività) in termini di
autonomia patrimoniale perfetta del fondo comune costituito coi
conferimenti e i contributi delle imprese partecipanti alla rete, di
conferimento ex lege di determinati poteri di rappresenza all’organo comune e di possibilità, offerta alle imprese partecipanti alla
rete, di accedere a specifiche agevolazioni tributarie in termini di
imposta applicabile agli utili destinati alla formazione del fondo
patrimoniale comune.
La differenza tra reti (non associative) e consorzi (senza attività
esterna) va dunque ravvisata in una duplice direzione.
In primo luogo, la differenza sta nel fatto che per costituire una
“rete” nel senso della disciplina qui in commento non è sufficiente
proporsi uno dei tre possibili scopi-mezzi precedentemente rammentati e descritti, ma è necessario che le imprese partecipanti si
prefiggano uno specifico obiettivo finale, necessariamente e indero-
(60) V. Donativi, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance”,
cit., p. 1429.
112
rivista trimestrale degli appalti
gabilmente consistente nell’accrescimento, individuale e collettivo,
della propria capacità innovativa e della propria competitività sul
mercato.
Che si tratti di obiettivo specifico e che la sua presenza debba essere intesa come rispondente a un requisito essenziale e inderogabile
lo si coglie agevolmente, sul piano esegetico e sistematico, dal fatto
che tale obiettivo è inserito nella definizione stessa del contratto di
rete, in cui il legislatore riassume i caratteri essenziali e tipologici
della nuova figura contrattuale; ed è ripreso nell’art. 3, comma 4 ter,
terzo periodo, lett. b, in cui, tra gli elementi essenziali del contratto
di rete, si stabilisce che quest’ultimo deve contenere “l’indicazione
degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della
capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate tra
gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi”.
In secondo luogo, e correlativamente, è solo in presenza di tali
specifiche finalità che entrano in gioco le agevolazioni normative e
fiscali: agevolazioni che il legislatore ha inteso riservare alla rete (e
non estendere genericamente anche ai consorzi o a qualunque altro
contratto di cooperazione interaziendale) quale frutto evidente di
una scelta di politica legislativa di incentivazione alla crescita della
capacità innovativa e competitiva delle (piccole e medie) imprese
che optino, a tal fine, per la partecipazione a “reti” come strumento di crescita alternativa a quella basata su progetti meramente
individuali.
La parziale “rilevanza esterna” così conferita al contratto di rete
e il possibile accesso alle agevolazioni fiscali spiegano altresì perché
della rete (pur non associativa), diversamente dal consorzio interno,
sia prevista l’iscrizione nel registro delle imprese. E ne spiega anche
la ragione per cui si è inteso attribuire a detta iscrizione una valenza
“costitutiva” e la ragione per cui si è predisposto un meccanismo
di iscrizione parcellizzata sulle singole posizioni pubblicitarie di
ciascuna delle imprese partecipanti.
Resta il fatto che, de iure condito, la differenza tra rete e consorzio può essere riassunta nel fatto che:
- lo scopo-fine del contratto di rete è una species degli obiettivi
che possono essere realizzati attraverso un consorzio;
- il consorzio, tra i molteplici possibili fini di cooperazione interaziendale, ben potrebbe anche proporsi quegli più specifici
scopi che sarebbero propri della rete;
- sicché, ove i contraenti si ponessero fini di cooperazione interaziendale non coincidenti con quelli più specifici di cui all’art. 3, comma
4 ter, la scelta dovrebbe necessariamente cadere sul consorzio;
- ove invece i contraenti si ponessero i più specifici fini di cui
all’art. 3, comma 4 ter, la scelta potrebbe legittimamente cadere
tanto sulla rete quanto sul consorzio;
dottrina
113
- in favore dell’opzione verso il contratto di rete, giocherebbe la
possibilità di accedere ai benefici e alle agevolazioni sopra messi
in luce;
- in favore dell’opzione verso il consorzio, giocherebbe la possibilità di attribuirgli configurazione pienamente associativa
(consorzio con attività esterna).
8. Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE). – Il GEIE
è uno strumento giuridico che consente ad imprese e liberi professionisti, appartenenti a Stati diversi della Comunità Europea,
di realizzare forme di cooperazione transnazionale basate su
uno stesso modello contrattuale riconosciuto e tutelato dai diritti
interni e dal diritto comunitario.
Si presenta come un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici, distinto dai membri che lo compongono, risultando
una struttura che permette ai suoi membri, senza comprometterne
l’indipendenza economica e giuridica, di esercitare insieme una
parte delle loro attività economiche.
La creazione di un GEIE dà vita ad un ente giuridico indipendente dotato di capacità giuridica il cui fine è di agevolare e di
sviluppare l’attività economica dei suoi membri, di migliorare o
di incrementare i risultati di tale attività.
Nel nostro ordinamento l’istituto più affine al GEIE è indubbiamente il consorzio ed in particolare quello con attività esterna.
Tuttavia notevoli sono anche le differenze che intercorrono tra le
due figure, specie per quanto riguarda la responsabilità dei membri, la composizione del gruppo, i poteri degli amministratori, il
regime pubblicitario e la liquidazione.
La normativa vigente riguardante i GEIE segue il reg. CEE
25 luglio 1985, n. 2137 del 85 relativo all’istituzione di un gruppo europeo di interesse economico, il quale definisce e regola le
caratteristiche del gruppo economico: “Art. 1, 1. Il presente regolamento stabilisce le condizioni, le modalità e gli effetti secondo
cui sono costituiti i gruppi europei di interesse economico. A tal
fine, coloro che intendono costituire un gruppo devono stipulare un contratto e procedere all’iscrizione prevista all’art. 6. 2. Il
gruppo in tal modo costituito ha la capacità, a proprio nome, di
essere titolare di diritti e di obbligazioni di qualsiasi natura, di
stipulare contratti o di compiere altri atti giuridici e di stare in
giudizio a decorrere dalla iscrizione prevista all’art. 6. 3. Gli Stati
membri stabiliscono se i gruppi iscritti nei loro registri in virtù
dell’art. 6 hanno o no personalità giuridica”.
Emergono da questa definizione tre punti fondamentali.
In primo luogo l’attività del GEIE appare solo di tipo ausiliario
114
rivista trimestrale degli appalti
e mai sostitutiva (cioè mai del tutto slegata) rispetto all’attività
svolta dai membri.
Inoltre, vi dovrà necessariamente essere, da parte dei membri, una attività di carattere economico; si nota come il GEIE si
presenti al mercato come uno strumento aperto a moltissime categorie di operatori economici assai diverse fra loro, ad esempio
imprenditori, enti pubblici, centri di ricerca, università: la cosa
fondamentale è che nell’insieme delle attività ve ne sia almeno
una con un carattere di tipo economico.
Ultimo elemento è dato dalla innovatività del GEIE che nasce
obbligatoriamente come strumento transnazionale in quanto i
membri devono essere almeno due operatori economici di altrettanti Stati membri differenti: tale fattore si presenta di grande
importanza nell’odierno panorama economico che è caratterizzato
da processi di competitività più elevati rispetto al passato. Dunque con questo strumento le imprese, ed in particolare le piccole
e medie imprese, possono ottenere una autorevolezza maggiore
acquisendo uno spazio maggiore nei circuiti globali e consentendo
loro delle esperienze di internazionalizzazione.
La sua caratteristica principale è rappresentata dal fatto che
esso non persegue profitti per se stesso, ma tende solo “ad agevolare o sviluppare l’attività economica dei suoi membri, a migliorare o ad aumentare i risultati di questa attività” mediante una
cooperazione circoscritta ad alcuni settori della produzione61”.
Pertanto il gruppo non può:
a) esercitare, direttamente o indirettamente, il potere di direzione
o di controllo delle attività proprie dei suoi membri o delle
attività di un’altra impresa, segnatamente nei settori relativi
al personale, alle finanze e agli investimenti;
b) detenere direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo,
alcuna quota o azione sotto qualsiasi forma, in un’impresa
membro; il possesso di quote o di azioni in un’altra impresa
è possibile solo qualora sia necessario per realizzare lo scopo
del gruppo e avvenga per conto dei suoi membri;
c) contare più di cinquecento lavoratori salariati;
e) essere membro di un altro gruppo europeo di interesse economico.
Emerge come la personalità giuridica, che si collega teoricamente all’autonomia patrimoniale perfetta, non sia un elemento
(61) Art. 3. 1. Il fine del gruppo è di agevolare o di sviluppare l’attività economica dei suoi membri, di migliorare o di aumentare i risultati di questa attività;
il gruppo non ha lo scopo di realizzare profitti per se stesso. La sua attività deve
collegarsi all’attività economica dei suoi membri e può avere soltanto un carattere
ausiliario rispetto a quest’ultima.
dottrina
115
di differenziazione tipologica fra i Gruppi iscritti nella Comunità,
ma risponde al proposito di armonizzare le norme del regolamento
n. 2137 con quelle delle legislazioni nazionali. Questo è dovuto al
fatto che mentre in alcuni Paesi l’attribuzione della personalità
giuridica è fondamentale per la piena capacità giuridica dell’ente
(ad esempio, in Francia o in Belgio), in altri Paesi della UE come
l’Italia o la Germania (unici Stati a non attribuire la personalità
giuridica) vi sarebbero stati problemi con l’applicazione del principio della trasparenza fiscale del GEIE.
La partecipazione al gruppo viene stabilita allo stesso modo dal
regolamento citato secondo cui “Art. 4 1. Possono essere membri
di un gruppo soltanto: a) le società, ai sensi dell’art. 58, secondo
comma del trattato, nonché gli altri enti giuridici di diritto pubblico o privato, costituiti conformemente alla legislazione di uno
Stato membro ed hanno la sede sociale o legale e l’amministrazione centrale nella Comunità; qualora, secondo la legislazione
di uno Stato membro, una società o altro ente giuridico non sia
tenuto ad avere una sede sociale o legale, è sufficiente che la
società o altro ente giuridico abbia l’amministrazione centrale
nella Comunità;
b) le persone fisiche che esercitano un’attività industriale,
commerciale, artigianale, agricola, una libera professione o prestano altri servizi nella Comunità.
2. Un gruppo deve essere composto almeno:
a) da due società o altri enti giuridici, ai sensi del § 1, aventi
l’amministrazione centrale in Stati membri diversi;
b) da due persone fisiche, ai sensi del § 1, che esercitano un’attività a titolo principale in Stati membri diversi;
c) ai sensi del § 1, da una società o altro ente giuridico e da una
persona fisica, di cui il primo abbia l’amministrazione centrale
in uno Stato membro e la seconda eserciti la sua attività a titolo
principale in uno Stato membro diverso.
3. Un Stato membro può prevedere che i gruppi iscritti nei suoi
registri ai sensi dell’art. 6 non possano avere più di 20 membri. A
tal fine detto Stato membro può prevedere che, conformemente
alla sua legislazione, ogni membro di un ente giuridico costituito conformemente alla sua legislazione, diverso da una società
iscritta, sia considerato come membro individuale del gruppo.
4. Ogni Stato membro è autorizzato ad escludere o a limitare, per ragioni di pubblico interesse, la partecipazione di talune
categorie di persone fisiche, di società o di altri enti giuridici a
qualsiasi gruppo. “
Il GEIE deve essere costituito mediante un contratto che può
intervenire tra società, enti giuridici di diritto pubblico e privato
ed anche da persone fisiche, purchè svolgano un’attività econo-
116
rivista trimestrale degli appalti
mica ed abbiano, secondo la legislazione di uno Stato membro,
la sede sociale o legale e l’amministrazione centrale in un Paese
della Comunità.
Nel contratto del Gruppo, secondo quanto stabilito dall’art. 5,
regolamento CEE n. 2137 del 1985, devono figurare:
“a) la denominazione del gruppo preceduta o seguita dall’espressione “Gruppo europeo di interesse economico” o dalla
sigla “GEIE”, a meno che tale espressione o sigla figuri già nella
denominazione;
b) la sede del gruppo;
c) l’oggetto del gruppo;
d) i nomi, la ragione o la denominazione sociale, la forma giuridica, il domicilio o la sede sociale e, eventualmente, il numero
ed il luogo di iscrizione di ciascun membro del gruppo.
La sede indicata nel contratto del gruppo deve essere situata
nella Comunità europea e fissata:
a) nel luogo in cui il gruppo ha l’amministrazione centrale,
oppure;
b) nel luogo in cui uno dei membri del gruppo ha l’amministrazione centrale o, se si tratta di una persona fisica, l’attività
a titolo principale, purchè il gruppo vi svolga un’attività reale”.
Ai sensi dell’art. 16 del regolamento, l’organizzazione interna
del Gruppo comprende:
a) il collegio dei membri;
b) l’amministratore o gli amministratori;
c) gli altri eventuali organi previsti dal contratto costitutivo
(organi di controllo, organi tecnici, organi esecutivi, ecc.).
L’organo deliberativo del GEIE è rappresentato dal collegio
di tutti i suoi membri i quali quando agiscono come organo, ossia quando operano collegialmente, possono prendere qualsiasi
decisione funzionale alla realizzazione dell’oggetto perseguito
dal Gruppo.
L’amministrazione del GEIE è di regola affidata ad una o più
persone fisiche, anche estranee al gruppo e persino appartenenti
ad un Paese diverso da quello in cui ha sede l’organismo, nominate nel contratto o successivamente con decisione dei membri.
Non possono essere amministratori di un gruppo le persone
che, in base alle leggi vigenti nello Stato o in seguito ad una decisione giudiziaria o amministrativa pronunciata in uno Stato
membro, non possono far parte dell’organo di amministrazione
o di direzione di una società.
Può essere nominato amministratore anche una persona
giuridica, la quale esercita le relative funzioni attraverso un rappresentante da essa designato.
Il regolamento CEE non prevede alcun organo di controllo
dottrina
117
sull’attività amministrativa del gruppo, tuttavia, all’art. 18, sancisce che ciascun membro ha il diritto di ottenere dagli amministratori informazioni sugli affari del gruppo e di prendere visione
dei libri e delle scritture contabili.
Il GEIE si distingue da una società essenzialmente per il suo
scopo che è quello di facilitare o di sviluppare l’attività economica
dei suoi membri per permettere a questi ultimi di incrementare
i propri risultati, mentre una società persegue generalmente uno
scopo di lucro per sé stessa. A motivo di questo carattere ausiliario, l’attività del GEIE deve ricollegarsi all’attività economica dei
suoi membri e non sostituirvisi. Tuttavia, la creazione del GEIE
deve offrire un quadro giuridico che faciliti l’adeguamento delle
attività dei suoi membri alle condizioni economiche del mercato.
Il carattere ausiliario dell’attività del GEIE non deve dunque essere considerato come una limitazione operativa del gruppo che
lo confini ad un ruolo accessorio o di minore importanza. Fatto
salvo il rispetto della natura ausiliaria delle sue attività, il GEIE
può essere considerato in grado di svolgere tutte le funzioni che
possono incombere a qualsiasi altro tipo di raggruppamento che
partecipi ad un appalto pubblico o a un programma finanziato
con fondi pubblici.
In questo contesto il GEIE può avere differenti funzioni:
può essere utilizzato come semplice quadro di coordinamento e
di organizzazione delle attività dei suoi membri ma può anche
stipulare in nome proprio e provvedere all’esecuzione dei contratti che formano oggetto di appalti pubblici o di programmi
finanziati con fondi pubblici. In particolare, il regolamento non
vieta al GEIE di assorbire completamente, ma temporaneamente, talune attività dei suoi membri. Tale aspetto ha del resto già
formato oggetto di una precisazione da parte della Commissione
nel 1991: «Nulla impedisce che talune attività dei membri siano
svolte dal GEIE per un periodo limitato, ad esempio nell’ambito
della realizzazione di un cantiere» .
Il GEIE, nella configurazione che gli è stata data in ambito
comunitario, ha una capacità giuridica piena e autonoma che lo
differenzia dalle tecniche puramente contrattuali di cooperazione.
In particolare, il fatto di essere dotato di organi propri conferisce
al gruppo europeo un potere di contrattazione e di rappresentanza
dei suoi membri molto più forte di quello di cui ciascun membro
può disporre individualmente. Il GEIE ha la capacità di agire in
nome proprio tramite uno o più amministratori, i quali possono
essere nominati indipendentemente dalla loro qualità di membri e
i cui poteri di rappresentanza si ispirano direttamente alle regole
applicabili alle società di capitali. Tale caratteristica è importante
ai fini della partecipazione del GEIE agli appalti pubblici e ai
118
rivista trimestrale degli appalti
programmi finanziati con fondi pubblici: essa offre ai membri del
GEIE il vantaggio di presentare un fronte unito nella negoziazione dei contratti e nella richiesta di crediti o garanzie finanziarie
collegata agli appalti pubblici (art. 1, comma 2 del regolamento).
Il GEIE è attualmente l’unico veicolo giuridico di cooperazione
direttamente radicato nell’ordinamento comunitario. Esso costituisce pertanto un elemento predominante della cooperazione
europea, in particolare per le piccole e medie imprese interessate
a partecipare a progetti di dimensione europea.
8.1. Modalità di partecipazione dei GEIE ad appalti pubblici
secondo la normativa nazionale di recepimento del regolamento comunitario. – Le modalità di partecipazione alle gare di appalto dei
GEIE sono disciplinate dal d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240 che all’art.
10 “Opere, forniture e lavori pubblici. Legislazione antimafia”
stabilisce che: 1. Si applicano al GEIE le disposizioni in materia
di concessioni ed appalti per opere o lavori pubblici o di pubblica
utilità o per forniture pubbliche stabilite per i raggruppamenti
temporanei di imprese e per i consorzi, nonché le disposizioni
dell’art. 23 bis, l. 8 agosto 1977, n. 584 , e dell’art. 6, comma 3, l. 17
febbraio 1987, n. 80. 2. Si applicano altresì al GEIE le disposizioni
delle leggi 31 maggio 1965, n. 575, 13 settembre 1982, n. 646, e
19 marzo 1990, n. 55 , e successive modifiche ed integrazioni”.
In armonia con quanto previsto dalle disposizioni sopra citate, l’art. 34, lett. f, d.lgs. n. 163 del 2006 individua, tra gli operatori economici che possono partecipare alle gare pubbliche, “i
soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di
interesse economico (GEIE) ai sensi del d.lgs. 23 luglio 1991, n.
240”, stabilendo espressamente che “si applicano al riguardo le
disposizioni dell’art. 37”.
Ne deriva che il GEIE dovrà dimostrare il possesso dei requisiti nei limiti e nei termini propri degli altri raggruppamenti
temporanei o consorzi occasionali secondo la relativa disciplina.
Ezio Maria Barbieri
CONSIDERAZIONI SUL CONTRIBUTO UNIFICATO NEL
PROCESSO AMMINISTRATIVO (*)
1. – Quando il TAR di Trento con ordinanza 29 gennaio 2014,
n. 23 si è rivolto alla Corte di giustizia della Comunità europea
sottoponendo alla medesima la questione della compatibilità della
normativa italiana sul contributo unificato con la normativa europea sugli appalti e con i principi comunitari di proporzionalità, di
divieto di discriminazione e di effettività della tutela giurisdizionale
ha richiamato l’attenzione, dopo una esemplare elencazione delle
illogicità della pretesa erariale italiana così come strutturata, sul
fatto che il suddetto contributo richiesto ai ricorrenti appare rivelatore della “sproporzionata penalizzazione” dei ricorsi al giudice
amministrativo, oltre che di un “intento quasi intimidatorio” a
non promuovere od insistere nell’azione ed a “non disturbare … il
giudice”. Questa indubbia tendenza legislativa ed amministrativa
a restringere le vie di accesso alla giustizia amministrativa non è
nuova e nemmeno limitata alla interposizione di difficoltà di solo
carattere economico, le quali comunque non per questo diventano
secondarie e trascurabili.
Il problema merita qualche considerazione.
L’art. 13, comma 1, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ha dato l’avvio
ad un nuovo regime di tassazione degli atti giudiziari incentrato su
un contributo unificato fissato tenendo conto sia della materia cui
attengono i ricorsi che del valore della controversia. Per effetto di
un susseguirsi di modificazioni ed integrazioni normative (art. 21,
d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. 4 agosto 2006, n. 248; art.
1, comma 1307, l. 27 dicembre 2006, n. 296; art. 15, d.lgs. 20 marzo
2010, n. 53; art. 37, comma 6, d.l. 6 luglio 2011, n. 98 convertito in
l. 15 luglio 2011, n. 111; art. 6 bis, comma 1, d.l. 13 agosto 2011,
n. 138 convertito in l. 14 settembre 2011, n. 148; art. 13, comma 1
quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla l. 24 dicembre
(*) Il testo della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Sez. V,
6 ottobre 2015, in causa C-61-14 è riportato infra, p. 162 e ss.
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rivista trimestrale degli appalti
2012, n. 228), il regime di tassazione specificamente previsto per
i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed
al Consiglio di Stato, ed ancor oggi vigente, prevede un contributo
unificato pari, in linea di principio, a euro 650.
Nel settore degli appalti pubblici, però, che è quello al quale si
riferisce la decisione della Quinta Sezione della Corte di giustizia in
data 6 ottobre 2015, in causa C-61/14 alla quale si rivolgono le considerazioni che seguono, il contributo sale a euro 2.000, quando il valore
dell’appalto è pari o inferiore a euro 200.000; a euro 4.000, quando il
valore dell’appalto sia compreso tra euro 200.000 e 1.000.000; a euro
6.000, quando il valore dell’appalto sia superiore a euro 1.000.000.
Questa regolamentazione-base va coordinata con numerose
ulteriori regole.
Il contributo unificato è dovuto non solo all’atto del deposito del
ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per il ricorso incidentale
e per i motivi aggiunti che introducono domande nuove.
Inoltre, quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte
che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione,
principale o incidentale.
In occasione di tutti questi versamenti, il valore della causa sul
quale va effettuato il calcolo del contributo non è dato dal margine
di utile che si può trarre dall’esecuzione del contratto d’appalto, che
secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale ammonta al
10% del valore delle opere da eseguire o dei servizi da prestare, bensì
dall’importo che le amministrazioni hanno stabilito come base d’asta.
Non vogliamo qui prendere in considerazione tutti gli argomenti
prospettati dai giudici del TAR di Trento a sostegno della loro richiesta di dichiarazione di illegittimità comunitaria della normativa
nazionale. Anticipiamo soltanto fin d’ora che l’aspetto non condivisibile della scelta da loro effettuata è stato quello di convogliare
la controversia sul binario della giurisdizione comunitaria anziché
invocare davanti alla nostra Corte costituzionale i vizi di una grave
illogicità normativa, della arbitrarietà della medesima e della distorta finalità perseguita mediante i gravosi balzelli imposti a ricorrenti
e controparti per rendere oltremodo difficile, senza una ragione
meritevole di apprezzamento, l’esercizio del diritto di difesa. Questi
vizi dell’atto normativo fanno pensare ad una sorta di eccesso di
potere legislativo (un vizio cui si sente sempre più frequentemente
ed urgentemente il bisogno di dare rilievo) finalizzato ad intenti
esclusivamente ostruzionistici del diritto di difesa e rivolto a tutelare soltanto l’interesse delle amministrazioni a dare una effettiva
e sollecita esecuzione alle proprie scelte, anche indipendentemente
dalla loro legittimità.
dottrina
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Non ci si può nascondere, però, che questa via avrebbe presumibilmente incontrato ancor più gravi difficoltà a pervenire
ad una conclusione di accoglimento, sia in considerazione della
particolarità dell’attuale momento economico, sia perché la Corte
costituzionale con ordinanza in data 6 maggio 2010, n. 164, aveva
già dichiarato la questione inammissibile “per la pluralità delle
soluzioni che possono essere offerte dal legislatore in una materia,
quale quella della determinazione delle spese processuali poste a
carico degli utenti della giustizia ed altresì quella tributaria, nella
quale vige il principio della sua discrezionalità e della insindacabilità delle opzioni legislative che non siano caratterizzate da una
manifesta irragionevolezza”. La questione, però, avrebbe potuto e
potrà ancora essere riproposta alla Corte costituzionale non essendo del tutto trascurabile il fatto che la risposta data dall’ordinanza
succitata non basta a disattendere almeno alcune delle complesse
argomentazioni svolte dal TAR di Trento.
2. – La Corte di giustizia nella causa C-61/14 era stata chiamata
a verificare se le norme nazionali sul contributo unificato fossero
compatibili con i seguenti principi comunitari: a) obbligo di assicurare l’esistenza di ricorsi efficaci e quanto più rapidi possibile,
garantendo un’ampia accessibilità ai ricorsi da parte di chiunque
abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un
appalto; b) le modalità procedurali garantite non devono essere
meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti
per la tutela dei diritti derivanti dall’ordinamento interno (principio
di equivalenza); c) tali modalità non devono rendere praticamente
impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti
dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività).
La risposta della Corte è stata che i tributi giudiziari da versare
per proporre ricorsi giurisdizionali amministrativi in materia di
appalti pubblici che non siano superiori al 2% del valore dell’appalto
in questione non sono tali da rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione in materia di appalti pubblici, anche se
la fissazione del contributo unificato è fatta in funzione del valore
dell’appalto oggetto del procedimento principale e non in funzione
del beneficio che l’impresa partecipante al bando di gara può legittimamente attendersi dall’appalto stesso.
Quanto poi alla rilevanza che si volesse attribuire alla eventuale
ridotta capacità finanziaria di qualche ricorrente, che comporterebbe
per esso una maggiore difficoltà di accesso alla giustizia rispetto ai
concorrenti economicamente più forti, la generale valenza del contributo richiesto, siccome imposto indistintamente nei confronti di
tutti i concorrenti alla gara che ne intendano contestare il risultato,
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rivista trimestrale degli appalti
si è ritenuto che non crei una discriminazione tra gli operatori che
esercitano nel medesimo settore di attività, anche in considerazione
del fatto che la partecipazione di un’impresa ad un appalto pubblico
presuppone sempre una capacità economica e finanziaria adeguata.
In ogni caso è stato valorizzato anche, al fine di escludere il
contrasto fra normativa nazionale e normativa comunitaria, il fatto che, sebbene la parte ricorrente abbia l’obbligo di anticipare il
contributo unificato all’atto della proposizione del proprio ricorso,
la parte soccombente è però tenuta, in linea di principio, a rimborsare i tributi giudiziari anticipati dalla parte che risulta vincitrice.
Infine, quanto al più elevato contributo richiesto in materia di
appalti pubblici rispetto a quello dovuto nelle controversie amministrative assoggettate a pzrocedimento ordinario o nelle controversie
civili, la Corte ha rilevato che il principio di equivalenza implica
un pari trattamento fra i ricorsi fondati su una violazione del diritto nazionale e quelli, simili, fondati su una violazione del diritto
dell’Unione, e non l’equivalenza delle norme processuali nazionali
applicabili a contenziosi di diversa natura, quali il contenzioso
nazionale civile, da un lato, e quello nazionale amministrativo,
dall’altro, o a contenziosi che ricadono in due differenti settori del
diritto entrambi propri del medesimo ordinamento giuridico.
3. – La decisione della Corte di giustizia, che ad una prima
lettura sembra avere profondamente deluso il mondo degli utenti
della giustizia amministrativa, i quali unanimemente ritenevano
eccessivamente costoso l’accesso alla medesima, è forse meno
pregiudizievole per i loro interessi di quanto gli interessati spesso
mostrino di credere e quindi anche meno ingiusta di quanto non
si pensi.
Per verificare le prospettive che essa sembra lasciare aperte
occorre darne una lettura attenta, che deve partire dalla individuazione della ratio decidendi.
Si può dire a questo proposito che la sentenza si basa essenzialmente sul principio secondo il quale, essendo necessario in tutti i
casi, ma, per quel che qui interessa, in materia di appalti pubblici,
favorire il buon funzionamento di qualsiasi sistema giudiziario ed
a questo scopo, fra l’altro, anche dissuadere le parti dall’introdurre
domande pretestuose o manifestamente infondate o basate su un
intento meramente dilatorio, è giusto e non contrasta con i principi
comunitari il fatto che i sistemi giudiziari nazionali, dal momento
che offrono un utile servizio a chi versi nella necessità di fare ricorso ad esso, richiedano che sia al momento del deposito del ricorso
principale, sia in occasione della proposizione di ogni domanda
nuova si proceda al versamento di un contributo.
Il principio fondante del contributo unificato sembra essere,
dottrina
123
dunque, essere stato ritenuto quello di proteggere l’efficienza del
sistema giudiziario e tutelarlo da iniziative pretestuose o dilatorie
anche in funzione della necessaria e non mai sufficientemente
perseguita celerità dell’azione amministrativa.
La richiesta del contributo unificato è così giustificata quanto
all’an debeatur, ma ovviamente questo non esaurisce la questione,
essendo il problema indissolubilmente legato anche al quantum,
che è poi il fulcro vero della richiesta.
A questo punto, però, mi sembra opportuno tenere distinto il
contributo da corrispondere all’atto del deposito del ricorso principale da quello richiesto in occasione di altre iniziative processuali
di parte, quali un ricorso incidentale, la proposizione di motivi aggiunti che introducono domande nuove, la proposizione di gravami.
4. – Crediamo che sia opinione tutto sommato facilmente condivisibile che la tassa richiesta all’atto della proposizione del ricorso
con il quale per la prima volta si accede al giudice amministrativo
per contestare lo svolgersi del procedimento di gara e mettere in
gioco la possibilità per l’amministrazione di pervenire ad una valida aggiudicazione non possa considerarsi tale da non consentire
o da rendere eccessivamente difficile l’accesso alla giustizia dal
momento che non supera il 2% del valore dell’appalto ed anzi è
quasi sempre inferiore all’1%. Il contributo unificato inizialmente
richiesto sembra in effetti assolvere alla giusta funzione di garantire
ragionevolmente della avventatezza di iniziative giudiziarie di mero
disturbo che ostacolerebbero il funzionamento del sistema giudiziario e finirebbero con il turbare anche la tempestività dell’azione
amministrativa.
Si tratta indubbiamente di un contributo calcolato sulla base
di una percentuale che può essere in concreto anche significativa,
soprattutto nelle gare di minor valore, in considerazione del fatto
che essa deve essere rapportata all’ammontare dell’utile d’impresa,
ma che sarebbe difficile qualificare come un ostacolo davvero insormontabile per accedere alla giustizia. Se qualche perplessità può
aversi a questo proposito essa appare ragionevolmente comprensibile quando il prezzo di aggiudicazione si collochi troppo al di sotto
della base d’asta, così che la gara ai fini del calcolo del contributo
unificato finisca con il trovarsi collocata in uno scaglione più alto
di quello nel quale sarebbe stato ragionevole inserirla in considerazione di quello che è risultato essere il prezzo di aggiudicazione.
Infatti, di fronte a certe ben note, per non dire sfrontate offerte al
ribasso o comunque davanti a basi d’asta che risultano al momento
dell’aggiudicazione eccessivamente alte non può non porsi qualche
problema o almeno qualche dubbio, per lo meno in alcune situazioni
limite. L’eventuale esosità del contributo concretamente richiesto,
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rivista trimestrale degli appalti
che ne comporterebbe l’irragionevolezza e l’eventuale illegittimità
anche comunitaria, deriverebbe, però, in questi casi non direttamente dalla norma e dall’ammontare del contributo da essa fissato,
ma piuttosto da assurde sproporzioni fra la base d’asta, l’offerta
effettuata ed il valore obbiettivo dei lavori o dei servizi appaltati e
quindi da scelte amministrative e/o di parte e non legislative.
Di problemi di questo tipo la soluzione andrebbe cercata non
agendo sulla quantificazione legale del contributo unificato, ma – per
esempio – rendendo possibile un proporzionamento di quest’ultimo
al prezzo di aggiudicazione piuttosto che al prezzo stabilito come
base d’asta. Il che sarebbe possibile, ma forse difficilmente attuabile,
solo ad aggiudicazione avvenuta. Di questo aspetto della questione,
comunque, la Corte non si è data carico ed il problema, comunque,
non potrebbe trovare soluzione in sede soltanto interpretativa.
Non ha invece formato oggetto di esame da parte della Corte di
giustizia la forbice troppo ristretta entro la quale sono stati incardinati i tre scaglioni nei quali sono stati suddivisi gli appalti e la
conseguente sproporzione fra ciò che viene richiesto per i piccoli
appalti e quello che invece grava sugli appalti plurimilionari, a tutto
evidente svantaggio per gli appalti di minore importo.
Nel complesso, sia pure con le riserve or ora prospettate, la
prima parte del dispositivo della sentenza della Corte, laddove essa
dichiara la legittimità comunitaria di una “normativa nazionale
che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo
unificato oggetto del procedimento principale all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici
amministrativi”, può ritenersi condivisibile. La iniziale richiesta
di versamento del contributo unificato, infatti, adempie sempre
in forma tutto sommato ragionevole alla sua funzione di tutela
dell’efficienza giudiziaria, scoraggiando i ricorsi pretestuosi, sia pure
soltanto se l’appalto è di modesto valore, e protegge nel contempo
la celerità dell’azione amministrativa, rendendo ragionevolmente
costoso l’accesso al processo, sia pure facendolo gravare in misura
inversamente proporzionale all’entità dell’appalto, ed in buona sostanza adempie ad una funzione che anche il diritto comunitario
ritiene meritevole di sostegno.
5. – Detto questo per quanto riguarda il primo dei due dispositivi della sentenza della Corte di giustizia, occorre ora prendere
in considerazione il principio accolto nella seconda parte di quella
decisione, che riguarda la reiterabilità del contributo unificato,
principio fatto proprio dal legislatore nazionale, che sembra essere
quello che aveva maggiormente destato la perplessità dei giudici
remittenti e che la Corte ha salvato con qualche riserva.
Secondo il diritto nazionale italiano la richiesta di pagamento
dottrina
125
del contributo o di somme ad esso rapportate non si limita all’atto
introduttivo del ricorso, ma si estende ai motivi aggiunti che introducono domande nuove, ai ricorsi incidentali, agli atti di appello
principale ed incidentale, alle dichiarazioni di integrale rigetto, di
inammissibilità e di improcedibilità degli appelli, fino alle sanzioni
che l’art. 6 bis, comma 1, d.l. 13 agosto 2011, n. 138 prevede quando il difensore distratto non indichi il proprio indirizzo di posta
elettronica certificata, il proprio recapito fax o il codice fiscale del
ricorrente.
Per queste richieste di pagamento la Corte si è limitata a considerazioni parziali e tutto sommato generiche. Essa infatti ha
soltanto affermato la legittimità comunitaria della riscossione di
tributi giudiziari multipli in presenza di “diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione” e di tributi giudiziari
aggiuntivi “per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima
aggiudicazione”, lasciando poi al giudice nazionale di valutare, ma
comunque attribuendo a questa valutazione una rilevanza ai fini del
rispetto del diritto comunitario, se i nuovi ricorsi o i nuovi motivi
sono effettivamente distinti da quelli originariamente proposti o
costituiscono un ampliamento notevole dell’oggetto della controversia, nei quali casi soltanto si giustifica il pagamento di tributi
giudiziari aggiuntivi. Diversamente il giudice nazionale è tenuto a
dispensare l’amministrato dal pagamento di tali tributi.
La giustificazione di questi tributi aggiuntivi, nei limiti entro
i quali essi possano ritenersi dovuti, viene anche relativamente a
questi casi fondata dalla Corte sul richiamo all’esigenza di favorire
un buon funzionamento del sistema giurisdizionale ed a quella di
dissuadere le parti dall’introduzione di domande manifestamente
infondate o intese unicamente a ritardare il procedimento giudiziario e/o amministrativo, derivando da questa funzione dei tributi
aggiuntivi la loro compatibilità con il diritto comunitario.
È in questa seconda parte del dispositivo della sentenza della
Corte che va ricercata la possibilità di rinvenire nella sentenza medesima uno spazio per un intervento (interpretativo o legislativo)
idoneo ad attribuire al sistema del contributo unificato una maggiore ragionevolezza ed una più seria equità, sempre nel sostanziale
rispetto della decisione comunitaria.
6. Quanto alla percezione di tributi giudiziari multipli e cumulativi nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale
amministrativo la Corte si è limitata ad affermare la legittimità di
una applicazione multipla di questi tributi a condizione che i nuovi
ricorsi o motivi siano distinti dall’oggetto del ricorso introduttivo
e comportino in effetti un ampliamento considerevole dell’oggetto
della controversia già pendente.
126
rivista trimestrale degli appalti
Questa considerazione, però, è insufficiente e lacunosa ed è
ragionevolmente prevedibile che formerà oggetto di considerazioni
critiche.
La Corte non ha precisato che cosa debba propriamente intendersi per domanda nuova e soprattutto le sue considerazioni hanno
bisogno di una particolare attenzione in rapporto alle caratteristiche
proprie del processo amministrativo italiano.
A questo proposito occorre, dunque, fare qualche precisazione.
Le fasi successive alla proposizione del ricorso iniziale che
comportano la reiterazione della richiesta di corresponsione del
contributo unificato sono costituite, nel nostro ordinamento, dalla
proposizione di un ricorso incidentale o di motivi aggiunti che
introducano domande nuove ovvero ancora dalla proposizione
dell’appello.
Orbene, in linea di principio il vero interesse sostanziale che
muove chiunque proponga un ricorso contro un atto del procedimento di gara è sempre l’interesse a conseguire l’aggiudicazione
della medesima. Di regola, dunque, il ricorso tende all’annullamento
dell’aggiudicazione mediante la prospettazione di tutti i vizi degli
atti del procedimento di gara anteriori all’aggiudicazione stessa.
Può accadere, però, anche che il ricorso investa all’inizio solo
il bando di gara ovvero l’esclusione di un aspirante, in quanto immediatamente lesivi; anche in questi casi, comunque, l’obbiettivo
ultimo è pur sempre quello che l’amministrazione non giunga
all’aggiudicazione della gara bandita sulla base di quanto essa ha
deliberato e che il ricorrente contesta.
Si può dire, pertanto, che qualsiasi ricorso in materia di appalti
può giustamente essere rapportato, quanto alla determinazione
del suo valore sostanziale, all’ammontare del prezzo a base d’asta.
Questo sembra necessario precisare in quanto è in conseguenza
di queste considerazioni che non è condivisibile, se si pretendesse
di darne una interpretazione letterale, l’affermazione della Corte,
quando essa ritiene che “quando una persona propone diversi ricorsi
giurisdizionali o presenta diversi motivi aggiunti nel contesto del
medesimo procedimento giurisdizionale, la sola circostanza che
la finalità di questa persona sia quella di ottenere un determinato
appalto non comporta necessariamente l’identità di oggetto dei
suoi ricorsi o dei suoi motivi”. Presa alla lettera questa affermazione comporterebbe in sostanza l’integrale eliminazione di ogni
possibilità di contestare la correttezza delle regole che consentono
la reiterazione dei contributi unificati, mentre si deve credere che
il concorde riflettersi di ciascuno dei vizi del procedimento di gara
sull’atto terminale di aggiudicazione comporti sempre una sostanziale identità di oggetto fra i vari ricorsi ed i vari motivi, una identità
pienamente idonea a conferire una altrettanto comune identità
dottrina
127
anche alle singole iniziative giudiziarie, seppure proposte mediante
atti materialmente e temporalmente separati.
Di conseguenza, rispetto ad una impugnazione comunque idonea a pregiudicare o anche solo a ritardare l’aggiudicazione della
gara, e quindi sia che l’aggiudicazione sia già avvenuta o debba
ancora avvenire, il contributo richiesto al momento del deposito
del ricorso iniziale, in quanto rapportato al prezzo a base d’asta,
dovrebbe ritenersi ragionevolmente idoneo a ricomprendere in sé
anche il costo processuale di tutte le contestazioni di ulteriori atti
del procedimento di gara, anche se proposte con i motivi aggiunti,
così come la questione non si pone quando il ricorso introduttivo
si fondi fin dall’origine su una molteplicità di motivi.
D’altra parte, in un processo come quello amministrativo italiano, strutturalmente fondato sulla perentorietà dei termini di ricorso,
la possibilità di proporre motivi aggiunti di ricorso diventa attuale
solo quando e perché l’esistenza o la conoscenza di altri provvedimenti lesivi si verifichi successivamente al deposito del ricorso
iniziale. Essi sono, dunque, formalmente nuovi, ma in realtà appartengono ad un unico procedimento, non sono dotati di una loro
propria autonomia sostanziale e sono strumenti di difesa necessari
e non suscettibili di una capricciosa utilizzazione artificiosamente
dilazionata; essi sono nuovi solo perché l’amministrazione o il controinteressato hanno prodotto in giudizio atti prima non esistenti o
non conosciuti, la cui impugnazione avviene con motivi nuovi solo
a causa di ritardi o manchevolezze altrui. Sembra, quindi, illogico
ed irragionevole che per essi si chieda un nuovo contributo, almeno fino a che anche alle richieste fiscali o tributarie sia possibile
richiedere una qualche ragionevolezza.
In altre parole, la vera novità richiede, per giustificare una nuova pretesa contributiva, una vera autonomia della nuova iniziativa
processuale, ma autonomia non credo vi sia laddove i nuovi motivi
investano atti del medesimo procedimento amministrativo che avrebbero potuto o dovuto essere impugnati già in sede di proposizione
del ricorso e non lo sono stati solo per incolpevole mancata esistenza
o mancata conoscenza degli atti medesimi. Sembra pertanto più
corretto dissociarsi da quella parte della decisione della Corte di giustizia nella quale essa esclude che possa darsi autonomo e sufficiente
rilievo al fatto che la finalità del ricorrente sia quella di impedire di
ottenere l’appalto frapponendo ostacoli all’avvenuta o alla futura
aggiudicazione. Ogni fase del procedimento di gara, proprio perché
finalizzata a contestare presto o tardi la legittimità dello stesso atto
conclusivo, fa parte di un unicum processuale ed anche i molteplici
atti di impugnazione incolpevolmente maturati in tempi diversi partecipano necessariamente di questa unicità; di conseguenza non trova
giustificazione la sottoposizione della loro separata impugnazione
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rivista trimestrale degli appalti
a molteplici contributi unificati, specialmente ed ancor più se tutti
calcolati nella medesima misura rapportata al prezzo a base d’asta.
7. – Altra occasione di richiesta di corresponsione di un nuovo contributo unificato è individuata dal legislatore nazionale
nella proposizione da parte del controinteressato di un ricorso
incidentale mediante il quale egli chiede la tutela del proprio interesse sostanziale contrapposto a quello del ricorrente mediante
l’impugnazione di provvedimenti idonei a non consentire l’aggiudicazione o al ricorrente o ad altri e, se possibile, a conservarla
a proprio favore. Il controinteressato è, dunque, titolare di una
posizione soggettiva giuridicamente qualificata, di regola finalizzata alla conservazione del provvedimento impugnato o comunque
alla salvaguardia delle proprie aspettative. Può dirsi per questo
che quella da lui proposta sia una domanda nuova? O non deve
dirsi piuttosto che si tratta di un elementare esercizio del diritto
di difesa finalizzato alla salvaguardia di un bene già acquisito o di
auspicata futura aspettativa di acquisizione al proprio patrimonio
per la difesa del quale la necessità dell’accesso alla giustizia nella
forma incidentale trova la sua causa esclusiva nella proposizione
del ricorso principale?
Quale che sia l’apparenza formale del ricorso incidentale, esso
adempie ad una funzione conservativa di una aspettativa propria o di
un provvedimento favorevole già conseguito; il controinteressato, di
regola, domanda, dunque, in sostanza, per conservare, non per conseguire e svolge pertanto una attività processuale del tutto identica a
quella che svolge l’amministrazione intimata, alla quale ovviamente
non si richiede di corrispondere alcun contributo unificato sol perché
si costituisce in giudizio a difendere il proprio operato.
Vi è quanto basta per chiedersi se il sistema vigente quanto al
contributo unificato non sia contraddittoriamente sbilanciato a favore dell’amministrazione ed ingiustamente gravatorio nei confronti
di chi, in buona sostanza, difende nello stesso tempo, in forma più
o meno diretta, sé stesso e l’operato dell’amministrazione intimata.
Su questo aspetto della questione, però, se fondato, la Corte di
giustizia sembra non avere soffermato la sua attenzione.
8. – L’obbligo di pagamento del contributo unificato si presenta
poi anche al momento della eventuale proposizione del ricorso in
appello.
In questo caso sembra sufficiente dire che sull’appellante gravano oneri identici a quelli del ricorrente sia quando egli sia ancora
l’originario ricorrente, sia quando, a parti invertite, egli abbia proposto l’appello quale controinteressato rimasto soccombente nel
giudizio di primo grado.
dottrina
129
9. – In forza di tutte queste considerazioni, sembra possibile
affermare che sarebbe utile mettere adeguatamente in luce l’importanza ed il rilievo del legame esistente fra gli atti di ogni singolo
procedimento amministrativo con il provvedimento conclusivo del
procedimento stesso, approfondire il concetto di domanda nuova
e di ampliamento notevole dell’oggetto della controversia nonchè
il carattere difensivo del ricorso incidentale ed infine richiamare
l’attenzione sulla particolare struttura del processo amministrativo
italiano, scandito da rigorosi termini di decadenza, in questo modo
evidenziando l’illogicità e l’irragionevolezza di tanti contributi unificati, così sfuggendo ad una interpretazione troppo letterale della
sentenza della Corte di giustizia.
A questo scopo, però, dopo la sentenza della Corte di giustizia,
sembra preclusa al giudice nazionale ogni possibilità di un diretto
intervento in sede interpretativa. Occorrerà, invece, più probabilmente prendere in considerazione la via della riproposizione della
questione alla Corte di giustizia, perché metta a fuoco la questione
in relazione ai caratteri propri del processo amministrativo italiano, ovvero, con qualche ulteriore difficoltà, riproporre la questione
davanti alla Corte costituzionale.
10. – Quanto al rigetto integrale dell’appello, alla dichiarazione
della sua improcedibilità o inammissibilità ed alle omissioni di indicazione da parte del difensore del suo indirizzo di posta elettronica
certificata, del suo recapito fax o del codice fiscale del ricorrente,
le somme da pagare in questi casi sono sì rapportate al contributo
unificato, ma hanno natura completamente differente da esso; per
questo riteniamo che si tratti di sanzioni che, in quanto non condizionano né l’accesso alla giustizia né l’esercizio del diritto di difesa,
dovrebbero formare oggetto di autonome considerazioni, anche
per il fatto che la sentenza della Corte di giustizia non ha preso in
considerazione questi aspetti della normativa nazionale.
GIURISPRUDENZA
TRGA, Sez. Trento, 29 gennaio 2014, n. 23 (ordinanza) – A. Pozzi
Presidente – L. Stenavato Relatore – Orizzonte Salute – Studio
Infermieristico Associato (avv. Carlin) – Azienda pubblica di
servizi alla persona “San Valentino” – Città di Levico Terme
(avv. De Pretis) e altri.
Appalti pubblici – Contributo unificato per ricorso introduttivo e per motivi aggiunti – Importo elevato – Possibile contrasto con Direttiva 89/665/CEE e successive modificazioni ed
integrazioni – Rimessione della questione alla Corte di giustizia
dell’Unione europea
Va rimessa all’esame della Corte di giustizia dell’Unione Europea
la questione pregiudiziale se i principi fissati dalla Direttiva 89/665/
CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, e successive modificazioni
ed integrazioni, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dall’art. 13, commi 1 bis, 1 quater, 6 bis e dall’art. 14, comma
3 ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e successive modificazioni ed
integrazioni integrative, che hanno stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia
di contratti pubblici.
1. L’Associazione ricorrente espone di svolgere professionalmente
servizi di prestazione infermieristica a favore di enti pubblici e privati.
Con il ricorso introduttivo impugna la deliberazione del Consiglio di
amministrazione dell’Azienda pubblica di servizi alla persona “San Valentino” – Città di Levico Terme, n. 35 del 21 dicembre 2012, con cui è stato
prorogato, dal 1° gennaio 2013 al 30 giugno 2013, il servizio di assistenza
infermieristica, già svolto per il 2012 dall’Associazione Infermieristica D
& F. Care.
2. A sostegno del ricorso deduce i seguenti motivi:
1) violazione della l.r. n. 7 del 2005 (artt. 42 e 43) ed eccesso di potere
sotto vari profili.
Si sostiene che, mediante la proroga del servizio in precedenza affidato
alla controinteressata, sarebbe stato affidato direttamente alla stessa controinteressata un nuovo servizio il cui costo di euro 71.681,00, superiore
alla soglia di 36.000 euro, avrebbe obbligatoriamente comportato, ai sensi
delle norme in rubrica, il previo confronto concorrenziale;
132
rivista trimestrale degli appalti
2) eccesso di potere per carenza di motivazione circa le ragioni che
avrebbero giustificato l’affidamento diretto, invece di attivare la procedura
concorrenziale.
L’azienda intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’irricevibilità
del ricorso per tardività, non essendo stato rispettato il termine dimezzato
di deposito del gravame, nel rilievo che la controversia riguarda una procedura di affidamento di un pubblico servizio, nonché l’inammissibilità
per difetto di legittimazione.
Nel merito, la stessa azienda ha contestato ampiamente la fondatezza
del ricorso.
Il Collegio con ordinanza 18 aprile 2013, n. 44 ha accolto l’istanza cautelare imponendo all’amministrazione di bandire una gara entro 30 giorni.
3. Con (primi) motivi aggiunti, depositati il 9 maggio 2013, è stata
altresì impugnata la determinazione del direttore dell’Azienda n. 61 del 25
marzo 2013, con cui è stato deciso di procedere alla gara d’appalto per l’affidamento del servizio infermieristico, invitando alla procedura negoziata
unicamente associazioni accreditate presso il Collegio IPASVI (acronimo
di: Infermieri Professionali Assistenti Sanitari Vigilatrici d’Infanzia).
La ricorrente, che non è iscritta al predetto Collegio, ha dedotto la
violazione dei principi di massima partecipazione e di concorrenza, la
violazione della l.r. n. 7 del 2005 (artt. 42 e 43) ed eccesso di potere sotto
vari profili, nel rilievo che la clausola limitativa sarebbe incomprensibilmente discriminatoria nei confronti della ricorrente, non potendo essere
posta in dubbio la relativa qualificazione in quanto i singoli infermieri ad
essa associati sono iscritti al competente albo professionale.
4. Con (secondi) motivi aggiunti depositati il 3 giugno 2013 l’impugnazione è stata estesa, per sviamento ed elusione del giudizio cautelare, alla
determinazione del direttore dell’Azienda n. 87 del 21 maggio 2013 con
cui la gara anzidetta, che era stata sospesa in attesa dell’esito dell’appello
cautelare, è stata riavviata dopo che il Consiglio di Stato ha dichiarato
improcedibile l’appello.
5. Con (terzi) motivi aggiunti, depositati il 12 giugno 2013, è stata impugnata, ripetendo le censure già dedotte, la determinazione del direttore
dell’Azienda n. 94 del 23 maggio 2013, con cui la gara anzidetta è stata
aggiudicata alla controinteressata.
Sull’istanza cautelare proposta con tali motivi aggiunti il Collegio si è
pronunciato con ordinanza 20 giugno 2013, n. 76, sospendendo l’efficacia
della disposta aggiudicazione e della controversa clausola escludente ed
ordinando la riedizione della gara informale, con ammissione dell’offerta
già presentata dalla ricorrente.
6. Dopo la presentazione di questi ultimi motivi aggiunti, il Segretario
generale di questo TRGA, con provvedimento 5 giugno 2013, ha sollecitato il difensore della ricorrente ad integrare il pagamento del contributo
unificato, in quanto, trattandosi di controversia in materia di contratti
pubblici, la misura del contributo non è quella ordinaria di 650 euro, ma
quella speciale di 2000 euro.
7. Con (quarti) motivi aggiunti, depositati il 2 luglio 2013, la ricorrente
ha impugnato anche quest’ultima determinazione per violazione dell’art.
13, comma 6 bis, d.P.R., n. 115 del 2002, eccependo altresì l’illegittimità costituzionale di tale norma per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 81 e 97 Cost.
Tali motivi aggiunti sono stati successivamente notificati alla controin-
giurisprudenza
133
teressata Associazione Infermieristica D & F. Care, con atto ripetitivo,
depositato il 10 agosto 2013.
8. Su questi motivi aggiunti si sono costituite in giudizio anche le
Amministrazioni statali intimate, eccependo il difetto di giurisdizione di
questo giudice amministrativo, nell’assunto che il contributo unificato
sarebbe una prestazione fiscale, la cui relativa controversia spetterebbe
alla cognizione del giudice tributario. L’Avvocatura dello Stato ha altresì
eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero della giustizia e
del Ministero dell’economia e delle finanze.
Nel merito è stata contestata la fondatezza della pretesa azionata
dalla ricorrente.
9. L’Azienda resistente in giudizio, nell’ultima memoria presentata, ha
eccepito che il ricorso è divenuto improcedibile in quanto la ricorrente, in
esecuzione della citata ordinanza cautelare n. 76 del 2013, è stata infine
ammessa alla gara. Questa, però, è stata aggiudicata alla controinteressata,
che aveva presentato un’offerta migliore, ma tale aggiudicazione non è stata
impugnata dalla ricorrente che vi avrebbe, perciò, prestato acquiescenza.
La ricorrente, nella memoria di replica, ha, però, giustamente e fondatamente eccepito che l’improcedibilità riguarda solo il terzo ricorso
per motivi aggiunti, mentre permane l’illegittimità dei provvedimenti
originariamente assunti dall’Azienda e l’interesse al loro annullamento,
nonché relativamente alla rifusione delle spese giudiziali, avendo essi
comunque esplicato effetti, seppur temporanei, in suo danno.
10. Ciò premesso, per ragioni di economia processuale, il Collegio
ritiene di procedere, nell’esame della controversia, dal quarto ricorso per
motivi aggiunti, diretti contro il provvedimento del Segretario generale
di questo TRGA 5 giugno 2013, che ha richiesto al difensore della ricorrente di integrare il pagamento del contributo unificato; ciò in quanto,
trattandosi – a dire dello stesso dirigente – di controversia riguardante
la materia dei contratti pubblici, la misura del contributo, stabilita in relazione all’oggetto della causa, non sarebbe quella ordinaria di 650 euro,
ma quella speciale di 2000 euro.
Tali motivi aggiunti, pur essendo accessori al ricorso introduttivo ed
agli altri motivi aggiunti, che sono diretti contro la gara d’appalto per l’affidamento del servizio infermieristico, meglio indicato in premessa, e pur
avendo una valenza autonoma rispetto all’interesse principale dedotto in
giudizio (annullamento della disposta proroga e dei provvedimenti ad essa
successivi), hanno tuttavia una stretta connessione con l’oggetto principale
del giudizio, in quanto il pagamento del contributo è stato imposto per il
solo fatto di aver presentato il ricorso. Nella specie, dunque, si tratta di
far valere un interesse oppositivo ad una pretesa patrimoniale dell’Ufficio giudiziario, il quale, seppur non rientrante nell’oggetto principale del
giudizio, vi è intimamente collegato sia per fatto genetico-causale, sia per
necessaria strumentalità all’esercizio della tutela dell’interesse all’annullamento dei provvedimenti inerenti l’affidamento del servizio, azionata
innanzi a questo Tribunale Amministrativo. È in virtù della predetta
connessione strumentale e causale (oltre che parzialmente soggettiva) che
legittimamente sono stati innestati motivi aggiunti al ricorso originario
(ex art. 43, codice processuale amministrativo).
11. Tanto preliminarmente chiarito, va anzitutto esaminata l’eccezione
di difetto di giurisdizione opposta dalla difesa erariale.
134
rivista trimestrale degli appalti
Si sostiene, al riguardo, che, per giurisprudenza costante, il contributo
unificato avrebbe natura di entrata tributaria erariale e che le relative controversie rientrerebbero nella giurisdizione delle commissioni tributarie.
A sostegno dell’esposta eccezione l’Avvocatura dello Stato richiama la
sentenza della Corte di cassazione, Sez. un., n. 5994 del 2012.
Sennonché – osserva il Collegio – si tratta di precedente inconferente: in quel caso, infatti, si trattava di un’opposizione ex art. 617, cod.
proc. civ., con la quale si facevano valere asseriti vizi della cartella di
pagamento emessa in esito ad iscrizione a ruolo del contributo unificato
previsto dall’art. 9, d.P.R. 115 del 2002. La Corte, sul punto – premesso
che il contributo unificato ha natura di entrata tributaria – rileva che il
controllo sulla legittimità delle cartelle esattoriali, configurando queste
atti di riscossione e non di esecuzione forzata, spetta, quando le cartelle
riguardino tributi, al giudice tributario in base alla previsione degli artt.
2, comma 1, e 19 lett. d, d.lgs. n. 546 del 1992.
Anche Cassazione Sez. un., 5 maggio 2011, n. 9840 perviene alla stessa conclusione, ma pure in quel caso le questioni di nullità, sollevate dal
contribuente, attenevano alla fase della riscossione, il controllo della cui
legittimità – osserva sempre la Corte – quando riguardino tributi spetta
al giudice tributario.
Ora, il Collegio non esita a riconoscere che il contributo unificato ha
natura di tributo (così anche: Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 2005);
tuttavia, nella specie all’esame viene in evidenza un atto del Segretario
generale di questo TRGA. che ha natura e consistenza di provvedimento
amministrativo, emanato nell’esercizio di discrezionalità tecnica (si tratta dell’uso ed interpretazione di norme processuali): come tale, dunque,
sottoposto alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 103, comma 1 e 113, comma 1, Cost. e dell’art.
7, Codice del processo amministrativo.
Invero, il Collegio ritiene che difetterebbe la propria giurisdizione se
tale atto, impugnato dalla ricorrente, fosse meramente, direttamente e
vincolativamente applicativo – nell’an, nel quomodo e nel quantum – delle
norme di legge che hanno istituito e disciplinato il contributo unificato
nel processo amministrativo.
Ma non è questo il caso di specie, essendosi, come detto, esercitato
un potere determinativo-interpretativo di una normativa, tributaria sì,
ma non conclusa, non completa e non finita, che lascia ampi spazi di
discrezionalità all’amministrazione giudiziaria.
12. Invero, l’atto del Segretario generale di questo TRGA. non fa pedissequa e passiva applicazione di una norma tributaria alla fattispecie
concreta. All’opposto, esso è il frutto di una complessa catena procedimentale, generata dalla necessità di un’interposizione, cioè di un intervento
mediatore dell’amministrazione, in quanto interprete della Direttiva del
legislatore e portatrice, attraverso la predetta opera intermediatrice, di
un frammento normativo (per usare l’immagine di illustre dottrina) che
vale a completare il precetto legislativo attraverso l’uso, come detto, di
discrezionalità tecnica.
Le norme istitutive e regolatrici del contributo unificato, infatti, hanno
avuto ed hanno bisogno dell’intermediazione dell’azione amministrativa,
anzitutto sotto forma di una serie di direttive concretamente emanate dal
Segretario generale della giustizia amministrativa, le quali non possono
giurisprudenza
135
non qualificarsi – come già detto – espressive di discrezionalità tecnica.
Tali direttive sono contenute nella circolare 18 ottobre 2011, recante “Istruzioni sull’applicazione della disciplina in materia di contributo
unificato nel processo amministrativo”. In realtà, non si tratta di semplici
“istruzioni” meramente illustrative delle modalità di dare corso alle chiare
ed esaustive prescrizioni della fonte legale. Si tratta, invece, di vere e proprie
prescrizioni integrative, le quali valgono a completare il disegno del legislatore, adattandolo all’estrema varietà delle ipotesi e degli istituti processuali,
che soltanto l’amministrazione che gestisce la poliedricità del contenzioso è
in grado di individuare, apprezzare e valutare, per assicurare, così, una disciplina, forse opinabile, ma certamente completa e concretamente operativa.
13. Valga, ad esempio, quanto viene stabilito dalla predetta circolare
in tema di motivi aggiunti (tema, questo, che si attaglia perfettamente
alla vicenda in esame), relativamente ai casi in cui essi danno luogo al
versamento del contributo unificato.
Sul punto, la Circolare fissa criteri (non vincolativamente discendenti
dalla legge, ma) discrezionalmente determinati. In particolare essa:
a) chiarisce cosa si intende per “domande nuove”, affermando che la
definizione di “ricorso”, resa dall’art. 13, comma 6 bis, d.P.R. n. 115 del 2002,
è intesa ad allargare la base imponibile, andando a colpire quegli atti processuali – autonomi rispetto a quello introduttivo del giudizio – che comportino
un sostanziale ampliamento del thema decidendum, nel duplice senso:
- di estendere l’impugnazione a provvedimenti diversi da quelli già
portati all’attenzione del giudice col ricorso introduttivo, ovvero di prevedere l’impugnazione di questi ultimi o di atti ad essi strettamente connessi
ad opera del controinteressato con ricorso incidentale;
- di introdurre nuove azioni di accertamento o di condanna.
b) si premura, poi, di precisare e disporre che, se il ricorso introduttivo
del giudizio contiene una pluralità di “domande”, è dovuto comunque un
unico contributo unificato; mentre, se la pluralità di domande è il frutto
di un ampliamento successivo, operato con i motivi aggiunti, al momento
del deposito di tali atti andrà effettuato un ulteriore versamento;
c) prescrive, inoltre, che il contributo non è dovuto qualora con i motivi
aggiunti venga impugnato l’originario provvedimento per vizi diversi da
quelli fatti valere con il ricorso originario.
Vengono, poi, impartite specifiche istruzioni ai vari uffici giudiziari,
atte a riconoscere i motivi aggiunti che danno luogo all’obbligo di versamento del contributo unificato, indicando alcuni requisiti formali che
devono sussistere congiuntamente:
a) impugnazione di un atto (di qualsivoglia natura e portata sostanziale) “nuovo”, vale a dire non gravato con il ricorso introduttivo del giudizio, ovvero richiesta di accertamento di un rapporto, ovvero azione di
condanna, formulate per la prima volta in giudizio;
b) intestazione dell’atto processuale che si va a depositare come “motivi aggiunti”;
c) notifica dello stesso alle controparti.
Con la stessa direttiva si sottolinea come l’ufficio giudiziario, chiamato
ad applicare il contributo unificato, non deve fare alcuna valutazione o
indagine in merito all’effettiva lesività dell’atto oggetto dei motivi aggiunti
(si fa menzione, ad esempio, all’impugnazione di atti infraprocedimentali,
quali un verbale di gara pubblica o una relazione redatta nell’ambito di un
136
rivista trimestrale degli appalti
procedimento di repressione di abusi edilizi), trattandosi di valutazione
che spetta in via esclusiva al giudice.
14. Ebbene, non è chi non veda come tali istruzioni – molto sinteticamente esemplificate -rappresentano vere e proprie tessere di un vasto
mosaico normativo, cioè atti direttivi di interpretazione ed attuazione,
rivolti agli uffici giudiziari chiamati ad applicare ai casi concreti il
contributo unificato; atti che, come tali, vanno ben al di là delle scarne
indicazioni contenute nella legge, manifestando la volontà di assumere
scelte valutative discrezionali sulla configurazione e sulla determinazione
del presupposto impositivo.
15. A sua volta, l’atto del Segretario generale di questo TRGA., impugnato dalla ricorrente con i ricordati (quarti) motivi aggiunti, ha anch’esso
natura discrezionale, nei pur non ampi spazi lasciati liberi dalla complessa
attività tipicamente discrezionale espressa nelle anzidette direttive del
Segretario generale della giustizia amministrativa. È al titolare dell’Ufficio giudiziario, infatti, che spetta procedere ad una qualificazione della
materia del ricorso, onde collocarla nelle varie fasce di tipologie contenziose, in relazione alle quali viene articolata la misura del contributo. In
questa duplice funzione, di esecuzione di atto amministrativo a carattere
normativo e di determinazione anch’essa attuativa del dettato normativo,
esso assume natura di vero e proprio provvedimento amministrativo.
15.1. D’altra parte, la giurisprudenza ha radicato la giurisdizione del
g.a. in ipotesi che riecheggiano quella in esame, come quelle sotto elencate
a titolo meramente esemplificativo e senza carattere di esaustività:
a) le controversie che hanno ad oggetto l’atto amministrativo generale
di determinazione delle aliquote “differenziate” (come anche sono le misure del c.u.) dell’ex imposta comunale sugli immobili (ICI) , presupposto
dell’accertamento e della determinazione in concreto del tributo ed avente
la funzione di integrazione del precetto legislativo. Come affermato da
Cass., Sez. un., 25 gennaio 2007, n. 1616, esse esulano dalla giurisdizione
delle commissioni tributarie (che comprende il potere di annullamento
degli atti elencati dall’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992 e non si estende agli
atti amministrativi generali seppur di valenza tributaria) ma spettano
alla giurisdizione del giudice amministrativo (cfr., anche: Cass., Sez. un.,
19 gennaio 2010, n. 675);
b) le controversie che hanno ad oggetto l’atto comunale che stabilisce
la corresponsione di una somma per il rilascio del contrassegno abilitante
alla circolazione automobilistica in centro storico, poiché la relativa questione verte sulla lesione di interessi legittimi in quanto l’atto impugnato
non si risolve in una mera prestazione patrimoniale imposta, ma stabilisce
varie regole procedurali, nonché la scelta della pubblica amministrazione
in ordine alla copertura ed al riparto dei costi del servizio offerto alla
collettività (così: Cons. St., Sez. V, 1° marzo 2000, n. 1075);
c) in generale, le controversie riguardanti l’impugnativa di atti di
carattere generale recanti le determinazioni regolamentari e tariffarie,
presupposte all’imposizione dei tributi, come è stato affermato da Cass.,
Sez. Un. 1 marzo 2002, n. 3030 (cfr. anche TAR Lazio, Roma, Sez. II, 4
maggio 2012, n. 3993) che sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo (fattispecie in tema di determinazione delle tariffe TARSU).
15.2. Alle esposte considerazioni ve n’è da aggiungere un’altra di carattere
sistematico-ordinamentale tratta dall’insegnamento della Corte costituzio-
giurisprudenza
137
nale in merito alla giustificazione del permanere di giurisdizioni speciali.
Si è osservato, al riguardo, che l’ordinamento italiano riconosce, bensì,
l’esistenza di una pluralità di giudici, ma la riconosce affinché venga assicurata, sulla base di distinte competenze tecniche e capacità professionali,
al fine di assicurare una più adeguata risposta alla domanda di giustizia,
non già affinché sia compromessa la possibilità stessa che a tale domanda
venga data risposta (Corte cost., ord., 19 marzo 2010, n. 110).
Se, quindi, la giustificazione del mantenimento di una giuridizione
speciale, come quella delle commissioni tributarie, si fonda sulla specialità delle rispettive competenze tecniche, che giustifica oltretutto la forte
anomalia ordinamentale della loro composizione, deriva che: a) – l’area
ad esse riservata è di stretta e rigorosa interpretazione: ogni eventuale
indebito ampliamento della giurisdizione tributaria – attraverso qualificazioni formali eccentriche rispetto alla sostanza della prestazione richiesta,
ovvero attraverso una lettura distorta dell’art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992 – si
risolverebbe nella istituzione occulta di un giudice speciale, vietata dal
comma 2 dell’art. 102, Cost. (Corte cost., 11 febbraio 2010, n. 39; Corte
cost., 14 maggio 2008, n. 130); b) la natura tributaria della prestazione
imposta non radica sempre e comunque la giurisdizione delle commissioni
tributarie, le quante volte il procedimento di individuazione dei presupposti del tributo necessiti – come nella specie – dell’intervento dell’azione
amministrativa per la quale la “specialità” tecnico-professionale del giudice tributario non sussiste, scattando quella dell’assai più “attrezzato”
giudice naturale preposto alla tutela degli interessi legittimi nei confronti
delle pubbliche amministrazioni (art. 103, Cost.).
A conclusione del ragionamento, l’eccezione va pertanto respinta, in
quanto la giurisdizione spetta a questo giudice.
16. Nel merito, occorre preliminarmente esporre rapidamente il quadro normativo di riferimento.
L’art. 13, comma l, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ha introdotto un nuovo regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un “contributo
unificato” fissato in proporzione al valore della controversia, rispetto al
sistema previgente che era basato sul pagamento di una marca da bollo
(di € 14,62) ogni quattro pagine (corrispondenti al cosiddetto foglio protocollo ), da versare anticipatamente al momento dell’iscrizione a ruolo,
e di diritti di segreteria (ex d.P.R. 6 ottobre 1972, n. 642).
16.1. Con l’inserimento del comma 6 bis al citato art. 13, operato
dall’art. 21, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella l. 4 agosto 2006, n. 248,
integrato dall’art. 1, comma 1307, della l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge
finanziaria 2007) , il contributo unificato per i processi amministrativi,
diversamente da quanto previsto per i processi civili, è stato svincolato
dal valore della controversia.
Il legislatore, infatti, ha adottato il differente criterio per materia,
ed, in seguito, ha ulteriormente distinto l’entità del contributo unificato
dovuto secondo un’ulteriore differenziazione delle materie.
Il contributo unificato per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato è ordinariamente dovuto
nell’importo di 650 euro. Il medesimo importo è stabilito addirittura
anche per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che
precedentemente e per antichissima tradizione era gratuito e senza oneri
di avvocato, salvo soltanto il pagamento dell’imposta di bollo, mentre ora,
138
rivista trimestrale degli appalti
per evidenti ragioni di cassa, sconta anch’esso il pagamento del contributo:
con ciò elidendosi una delle ragioni di sopravvivenza dell’istituto.
16.2. Per materie particolari sono, invece, fissati importi diversi, e
precisamente:
a) per i ricorsi previsti dagli artt. 116 e 117 del Codice del processo
amministrativo di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (riti aventi ad oggetto
il diritto all’accesso ai documenti ed i ricorsi contro il silenzio dell’amministrazione), per quelli aventi ad oggetto il diritto di cittadinanza, di
residenza, di soggiorno e di ingresso nel territorio dello Stato e per i ricorsi
di esecuzione della sentenza o di ottemperanza del giudicato, il contributo
dovuto è di euro 300;
b) per le controversie concernenti rapporti di pubblico impiego, il
contributo è ridotto della metà (quindi è di 325 euro);
c) per i ricorsi cui si applica il rito abbreviato comune a determinate
materie, previsto dal libro IV, titolo V, del codice del processo amministrativo (si tratta di numerose e particolari materie, tra cui le espropriazioni,
le privatizzazioni, le ordinanze emergenziali di protezione civile), nonché
da altre disposizioni che richiamino il citato rito, il contributo dovuto è
di euro 1.800.
16.3. Nel settore (qui in rilievo) degli appalti, infine, il contributo dovuto
è stato aumentato fino ad euro 2.000 per i ricorsi previsti dal previgente
art. 23 bis, comma 1, l. n. 6 dicembre 1971, n. 1034, cioè quasi il quadruplo
di quanto dovuto per i contenziosi amministrativi soggetti al rito ordinario
ed oltre il sestuplo per quelli “agevolati”.
16.4. Successivamente, con l’art. 15, d.lgs. n. 20 marzo 2010, n. 53 è
stato disposto che il contributo unificato fosse dovuto non solo all’atto
dell’iscrizione a ruolo del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per
“quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove”.
16.5. L’art. 37, comma 6, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in l. 15 luglio
2011, n. 111, ha, poi, ulteriormente incrementato il contributo unificato
dovuto per il contenzioso amministrativo.
In particolare, esso è stato aumentato fino ad euro 4.000 per i ricorsi
in materia di appalti.
16.6. Infine, con la riedizione dell’ art. 37, comma 6, lett. s, cit., come
modificato dall’art. 1, comma 25, lett. a, n. 1, 2 e 3, l. 24 dicembre 2012,
n. 228, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il contributo in materia di appalti
è stato articolato nel modo seguente:
- € 2.000 quando il valore dell’appalto è pari o inferiore a euro 200 mila;
- € 4.000 per le controversie di valore compreso tra 200 mila e 1.000.000
euro;
- € 6.000 per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro.
16.7. Tali importi aumentano ulteriormente (ex art. 13, comma 1 bis,
d.P.R. 115 del 2002) del 50% per il giudizio di appello, per proporre il quale
occorre quindi versare, sempre in materia di appalti pubblici, rispettivamente 3.000, 6.000 e 9.000 € .
16.8. La l. n. 228 del 2012 ha, inoltre, aggiunto il comma 1 quater al citato
art. 13, prevedendosi una sorta di sanzione occulta o indiretta nel caso di impugnazioni in appello dichiarate infondate, inammissibili o improcedibili.
Tale norma infatti prevede che “Quando l’impugnazione,anche incidentale, è
respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte
che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contri-
giurisprudenza
139
buto unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione,principale o
incidentale, a norma del comma 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento
della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di
pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
Ora, a prescindere dal problema dell’applicabilità o meno della riportata disposizione ai giudizi innanzi al giudice amministrativo (ai
quali, secondo la citata circolare del Segretario generale della Giustizia
amministrativa, non sarebbe applicabile), essa è comunque rivelatrice di
un intento quasi intimidatorio a non insistere nell’azione giurisdizionale
intrapresa ed a non “disturbare” oltre il giudice: come tale, sintomo ulteriore dell’irrazionalità ed iniquità dell’intera disciplina.
16.9. Va ulteriormente rimarcato che l’art. 14, comma 3 ter, del d.P.R.
n. 115 del 2002 (introdotto dall’art. 1, comma 26, l. n. 228 del 2012), ha
previsto che “Nel processo amministrativo per valore della lite nei ricorsi
di cui all’art. 119, comma 1, lett. a, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, si intende
l’importo posto a base d’asta individuato dalle stazioni appaltanti negli
atti di gara, ai sensi dell’art. 29, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163”, anziché il
margine di utile ritraibile dall’esecuzione del contratto d’appalto.
16.10. Infine, il d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,
dalla l. 14 settembre 2011, n. 148, ha introdotto un’ulteriore “sanzione”,
recata dall’art. 6 bis.1, in base al quale “Gli importi di cui alle lettere a, b,
c, d ed e del comma 6 bis sono aumentati della metà ove il difensore non
indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio
recapito fax, ai sensi dell’ art. 136, Codice del processo amministrativo di
cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ovvero qualora la parte ometta di indicare
il codice fiscale nel ricorso…”. In tal modo, si aggiunge l’ulteriore iniquità
di riversare sul cittadino negligenze ed omissioni a lui non imputabili.
16.11. Dall’esame che precede emerge un quadro assai frastagliato, non
sempre logico né coerente nella determinazione e nella diversificazione
degli importi del contributo unificato, dal quale, comunque, spicca l’evidente, sproporzionata penalizzazione nella tassazione dei ricorsi davanti
al giudice amministrativo soprattutto in materia di contratti pubblici. Tale
impianto legislativo pone evidenti problemi di conformità ai parametri e
principi dell’ordinamento comunitario, ancor prima che di conformità ai
precetti costituzionali come invocato dalla parte ricorrente.
17. Più in particolare, venendo alla fattispecie in esame, l’appalto di servizio in contestazione risulta avere un valore, stimato dalla stessa Azienda
pubblica di servizi alla persona “San Valentino”, complessivamente ben
superiore alla soglia comunitaria fissata, per questa categoria di appalti di
servizi, in 200.000 euro dall’art. 7, Direttiva comunitaria 31 marzo 2004,
n. 18, secondo il metodo di calcolo stabilito dall’art. 9, comma 7, Direttiva
stessa per gli appalti di servizio di durata, soggetti a rinnovo. Infatti, la
deliberazione del C.d.A. 14 dicembre 2011, n. 24, di affidamento del servizio infermieristico alla controinteressata per il 2012, prevede un costo
di € 149.891,00; la successiva deliberazione del C.d.A. 21 dicembre 2012,
n. 35, di proroga del medesimo servizio fino al 30 giugno 2013, prevede
un costo di € 71.681,00; infine, la determinazione del direttore 25 marzo
2013, n. 61, recante l’indizione della gara per l’affidamento del servizio
infermieristico per i successivi 12 mesi, prevede un costo di € 133.550,00.
Trova, pertanto, qui applicazione la “Direttiva ricorsi” 21 dicembre
1989, n. 665 e successive modificazioni.
140
rivista trimestrale degli appalti
Tale Direttiva, all’art. 1 (“Ambito di applicazione e accessibilità delle
procedure di ricorso”), fissa i fondamentali principi di efficacia, celerità,
non discriminazione ed accessibilità, che nell’ordinamento interno possono condensarsi nelle formule dell’effettività e satisfattività della tutela.
Essa. infatti, stabilisce, nel testo novellato, che:
“1. (…) Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla Direttiva
2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più
rapido possibile, secondo le condizioni previste negli artt. da 2 a 2 septies
della presente Direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto
comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme
nazionali che lo recepiscono.
2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione
tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una
procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione
effettuata dalla presente Direttiva tra le norme nazionali che recepiscono
il diritto comunitario e le altre norme nazionali.
3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di
ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare,
a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di
un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una
presunta violazione.”
18. Ora, è pur vero che il previo pagamento del contributo unificato,
nel suo esatto importo, non è condizione di ammissibilità e/o procedibilità del ricorso e che, ove la domanda sia accolta, la parte soccombente
è normalmente tenuta alla refusione delle spese di lite e, dunque, anche
del contributo stesso.
Tuttavia, l’esborso anticipato di cifre così elevate, in molti casi superiori
allo stesso utile d’impresa da calcolare in relazione all’importo dell’appalto (determinabile nella misura presuntiva del dieci per cento, secondo
il criterio forfetario ed automatico elaborato dalla giurisprudenza, in applicazione analogica dell’art. 134, comma 1, d.lgs. n. 12 aprile 2006 n. 163,
che quantifica in tale percentuale il guadagno presunto dell’appaltatore:
cfr., ad es.: Cons. St., Sez. V 30 luglio 2008, n. 3806; Cons. St., Sez. V, 20
aprile 2012, n. 2317; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 5 marzo 2013, n. 2358),
può facilmente comportare, specialmente per appalti di non elevatissimo
importo, come quello in discussione, comprensibili esitazioni o, addirittura, rinunce da parte dell’interessato alla scelta di proporre il ricorso giurisdizionale. Per altro verso, l’entità dell’esborso, anche per atti processuali
(motivi aggiunti; ricorsi incidentali) successivi a quello originario, genera
atteggiamenti di autorinuncia, da parte del difensore, a tutti gli strumenti
processuali che potrebbero essere fatti valere in giudizio. In tal modo, si
va ad incidere sotto ulteriore profilo sul diritto di difesa, attraverso la lesione dello, strumentalmente connesso, fondamentale principio di libertà
di scelta di strategie processuali ad opera del difensore.
19. Si pensi, per fare un esempio concreto, al caso di un’impresa esclusa
da una gara pubblica del valore di € 201.000, la quale deve sborsare subito
un contributo unificato di € 4.000 per poter impugnare il provvedimento
di esclusione. Intervenuta, nelle more del giudizio, l’aggiudicazione, l’impresa dovrà presentare motivi aggiunti con un costo aggiuntivo di € 4.000.
giurisprudenza
141
Se, poi, dovesse essere impugnato, con motivi aggiunti, anche il diniego
dell’amministrazione sull’ “informativa in ordine all’intento di proporre
ricorso giurisdizionale” ex art. 243 bis, d.lgs. n. 163 del 2006, vi sarà un
nuovo esborso di € 4.000, che porta il totale della spesa per il ricorso al TAR
a ben € 12.000 (compensi professionali del difensore esclusi, ovviamente).
Ove, poi, l’esito del giudizio di primo grado fosse sfavorevole, l’impresa
che intenda appellare la sentenza del TAR dovrebbe aggiungere il contributo unificato del giudizio avanti al Consiglio di Stato, per il quale, come
detto, è previsto un aumento nella misura del 50 % in più del contributo versato in primo grado. Nell’esempio appena fatto, sarà dovuto un contributo
unificato in appello pari ad € 6.000, con la prospettiva poi, per effetto della
citata norma punitiva del comma 1 quater (se ritenuta applicabile anche
ai giudizi amministrativi), di essere costretti a corrispondere ulteriori €
6.000, laddove l’appello venga respinto integralmente o dichiarato inammissibile o improcedibile. L’impresa, quindi, dovrà preventivare una spesa
per l’accesso alla giustizia amministrativa, per il solo contributo unificato
(senza quindi considerare l’onorario di difensore ed altre spese di causa,
come quelle di notifica di atti, di cancelleria, etc.), di ben € 24.000: cifra,
questa, esorbitante se parametrata al valore dell’appalto che, in termini
effettivi (cioè di utile d’impresa, peraltro calcolato secondo parametri non
più coerenti con periodi di crisi economica drammatica e prolungata, come
quelli attuali), si aggira sui 20.000 euro (10% del valore corrispondente
alla base d’asta di € 201.000,00 nell’esempio appena considerato).
20. In altri termini, l’eccessiva somma da versare, non solo all’atto di
deposito del ricorso principale, ma anche per il deposito di ogni atto per
motivi aggiunti o ricorso incidentale, nonché nella successiva eventuale
fase di appello, incide in modo decisivo ed intollerabile:
a) sul diritto di agire in giudizio, cioè sulla libertà di scelta di ricorrere al giudice amministrativo, da parte di tutti gli operatori economici
interessati al mercato dei contratti pubblici, che intendano chiedere l’annullamento di un provvedimento illegittimo;
b) sulle strategie processuali dei difensori, che saranno oltretutto condizionate anche dalla discriminazione tra operatori economici “ricchi”,
per i quali resta comunque conveniente accettare l’alea della tassazione
elevata a fronte della prospettiva di ottenere un rilevante beneficio economico, all’esito eventualmente favorevole del giudizio, rispetto ad operatori
economici modesti, per appalti non particolarmente lucrativi, per i quali
potrebbe rivelarsi non affatto conveniente anticipare le anzidette somme
così sproporzionate al valore (effettivo) dell’appalto;
c) sulla pienezza ed effettività del controllo giurisdizionale sugli atti
della pubblica amministrazione e sull’osservanza dello stesso principio
costituzionale di buon andamento, al quale si ricollega strumentalmente
il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (ex artt. 24 e 113 Cost.; art.
1 del codice del processo amministrativo; art. 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea; artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU) e
non solo apparente: cfr., sul punto, ad es.: Corte giust. UE, Grande Sezione,
18 luglio 2013, n. 584, Corte giustizia UE, Sez. III, 27 giugno 2013, n. 93;
Cons. St., Ad. plen., 15 gennaio 2013 n. 2; Cons. St., Sez. V, 9 settembre
2013, n. 4474; Cons. St., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3801.
21. A supporto dell’assoluta irrazionalità ed iniquità della scelta del
legislatore nazionale, va inoltre osservato che esso ha discriminato coloro
142
rivista trimestrale degli appalti
che si rivolgono al giudice amministrativo rispetto a coloro che invocano
la tutela del giudice civile o tributario: per i secondi, infatti, la tassazione
è di gran lunga meno onerosa.
Al riguardo, basti considerare che:
a) per una controversia civile di valore elevatissimo (miliardi di euro,
non paragonabile a quella in esame) il contributo massimo – avanti alle
sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale
di cui al d.lgs. n. 168 del 2003 – è di (soli) € 2.932;
b) lo stesso criterio vale anche per le cause innanzi alle commissioni
tributarie, per le quali è previsto un contributo massimo di € 1.500 per
tutte le cause di valore superiore ad euro 200.000;
c) negli ordinari giudizi civili, il cui valore di controversia si pone tra
€ 5.200 ed € 26.000, cioè di valore analogo a quelli amministrativi avverso
procedure di gara di modesto importo (come quella in questione, il cui
utile sperato è, come detto, circa il 10 per cento dell’importo a base d’asta),
il contributo è di soli euro 206.
22. Per tornare all’esempio fatto sopra, la stessa impresa che intenda
contestare davanti al giudice civile la risoluzione del contratto di appalto
del valore di € 201,000,00, nel primo grado dovrà sostenere un contributo
unificato pari ad € 660,00, nel grado di appello un contributo unificato
di € 990,00, mentre nel giudizio di Cassazione un ulteriore contributo
unificato di € 1.320,00, per un totale di € 2.970,00.
Invece, come detto sopra, l’impresa che volesse contestare davanti al
giudice amministrativo la fase a monte della stipula del contratto, dovrà
preventivare un costo di € 24.000 per il pagamento del contributo unificato.
Non è chi non veda, dunque, l’abnorme ed irragionevole sproporzione,
nonché l’evidente e macroscopica disparità di trattamento nella tassazione
tra i diversi giudizi appena menzionati.
23. A salvare dall’intollerabile iniquità il perverso meccanismo impositivo considerato, neppure può valere la rimborsabilità del contributo
in caso di vittoria.
Il ricorrente, infatti – dovendo comunque anticipare il pagamento
del contributo unificato – salvo il successivo rimborso, peraltro in tempi
resi incerti dalla notoria inefficienza dell’apparato burocratico, all’esito
eventualmente favorevole del giudizio – si trova sostanzialmente esposto
al meccanismo del cosiddetto solve et repete, cioè all’onere del pagamento
del tributo quale presupposto imprescindibile dell’esperibilità (anche se
non a pena di inammissibilità) dell’azione giudiziaria diretta a ottenere
la tutela del diritto del contribuente mediante l’accertamento giudiziale
dell’illegittimità del tributo stesso; meccanismo già stigmatizzato e dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 21
e n. 79 del 1961, in quanto reca un impedimento al diritto dei cittadini di
agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, in
contrasto non solo con i già considerati parametri normativi comunitari,
ma anche con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, nonché per la disparità di trattamento fra contribuente in grado di pagare immediatamente
e contribuente non particolarmente abbiente.
24. Tutto ciò chiarito, proprio a causa dell’inspiegabile misura del
contributo e degli effetti irrazionalmente distorsivi sulla concorrenza
e sull’effettività della tutela giurisdizionale davanti al g.a. in materia di
contratti pubblici, il Collegio dubita che la ricordata normativa italiana
giurisprudenza
143
sul contributo unificato, così come spropositamente ed illogicamente
quantificato, sia conforme all’anzidetta Direttiva dell’Unione europea
89/665, che impone agli stati membri di rendere accessibili le procedure
di ricorso, sembrando costituire un ostacolo all’accesso alla giustizia amministrativa da parte di chiunque sia stato o rischi di essere leso a causa
di una presunta violazione in materia di appalti.
25. Non va sottaciuto, peraltro, che l’aumento continuo e progressivo
del contributo unificato, via via attuato con i diversi interventi normativi
citati sopra, sembra in contrasto anche con i principi comunitari di proporzionalità e di divieto di discriminazione, nonché, soprattutto, con il
principio di effettività della tutela giurisdizionale, che è centrale nella logica della stessa Direttiva 89/665 e che costituisce un principio generale non
solo dell’ordinamento interno, ma anche e vieppiù del diritto dell’Unione
(v. ancora, in tal senso, Corte giust. UE, 13 marzo 2007, causa C-432/05,
e giurisprudenza ivi citata; cfr. anche, Corte giust. UE, 6 maggio 2010, n.
145; Corte giust. UE, 28 gennaio 2010, n. 406; Corte giust. UE, 18 luglio
2013, n. 584; Corte giust. UE, 27 giugno 2013, n. 93; Corte giust. UE, 30
aprile 2009, n. 393; Corte giust. UE, Grande Sezione, 3 settembre 2008, n.
402; Corte giust. UE, Grande Sezione, 13 marzo 2007, n. 432).
Invero, l’imposizione di un’elevata tassazione, come condizione per poter tutelare le proprie ragioni in giudizio, significa discriminare coloro che
non hanno adeguati mezzi economici per farle valere, nonché scoraggiare
o impedire la tutela di interessi economici non sufficientemente robusti,
rispetto all’entità della somma da sborsare a titolo di contributo unificato.
26. Sotto ulteriore profilo, la normativa interna sul contributo unificato comporta, ad avviso del Collegio, altresì la violazione del principio
di proporzionalità, che, com’è noto, costituisce parte integrante dei principi generali del diritto comunitario ed esige che la normativa nazionale
non ecceda i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento
degli scopi pur legittimamente perseguiti da ciascuno Stato. Alla stregua
di tale principio, infatti, qualora sia possibile una scelta tra più misure
appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e penalizzante, in
modo che gli inconvenienti causati dalle stesse misure non siano sproporzionati rispetto ai fini da raggiungere (cfr., ad esempio: Corte giust.
UE, 12 luglio 2001, causa C-189/01; Corte giust. UE, 12 settembre 2013, n.
660; Corte giust. UE, 8 maggio 2013, n. 197; Corte giust. UE, 13 dicembre
2012, n. 395; Corte giust. UE, Grande Sezione, 27 novembre 2012, n. 566;
Corte giust. UE, Grande Sezione, 21 dicembre 2011, n. 28).
27. Alla luce dei principi sinteticamente ricordati, risulta che l’imposizione del pagamento di uno specifico contributo unificato per l’accesso
alla giustizia amministrativa, in misura generalmente elevata ma, addirittura, spropositata nella particolare materia degli appalti pubblici, appare
confliggente con i ricordati principi di livello comunitario.
Il predetto contributo, infatti, assurge a livelli di assoluta arbitrarietà
ed iniquità sotto vari profili, peraltro già sopra evidenziati:
- anzitutto, esso è determinato, come già detto, a prescindere dal valore
effettivo della controversia, ma ragguagliato ad un valore teorico (la base
d’asta) e suddiviso in tre soli scaglioni di valore;
- è, quindi, fissato in modo da non tener conto dell’effettivo utile
d’impresa ricavabile dall’aggiudicazione dell’appalto (fissato, come detto,
convenzionalmente nella misura del 10% dalla giurisprudenza citata so-
144
rivista trimestrale degli appalti
pra), dunque, in misura sproporzionata, anzi del tutto avulsa rispetto alla
reale “capacita contributiva” (in senso atecnico) dell’impresa che aspiri
all’aggiudicazione;
- è fissato in misura sproporzionatamente superiore a quella necessaria per adire il giudice civile, anche nella stessa materia degli appalti;
- in tal modo, si opera un’irrazionale discriminazione tra imprese
operanti nello stesso settore (quello degli appalti, a prescindere dalla natura pubblica o privata degli stessi), ovvero tra imprese dotate di diversa
capacità di finanziamento per sostenere gli elevatissimi costi di accesso
alla giustizia amministrativa;
- discrimina irrazionalmente gli esercenti le professioni legali, penalizzando quelli operanti nel settore degli appalti pubblici, costretti – come
già osservato – a scelte processuali non libere, ma condizionate dalla
necessità del previo pagamento del contributo da richiedere immediatamente al cliente.
Tutto ciò non sembra coerente né con il citato principio di proporzionalità, né con quello ulteriore di effettività della tutela giurisdizionale,
recati dalla più volte ricordata Direttiva ricorsi.
28. Il predetto principio di proporzionalità risulta, poi, violato sotto
ulteriore profilo.
Invero, se il contributo unificato è una tassa che il ricorrente è tenuto a
versare anticipatamente in relazione a un’utilità specifica che egli trae dalla
prestazione di un servizio pubblico (cioè, nel caso, dall’attività giurisdizionale) reso a sua richiesta, il servizio stesso dovrebbe essere parametrato
ai costi sopportati dallo Stato per l’organizzazione ed il funzionamento
dell’apparato giurisdizionale (sulla nozione di tassa, fra le tantissime, cfr:
Corte cost. 26 giugno 2002, n. 284; Cass., Sez. VI, 24 luglio 2013, n. 18022;
Cass., Sez. trib., 6 novembre 2009, n. 23583).
Allora, fermo restando che il costo sopportato dallo Stato per lo svolgimento del giudizio amministrativo in materia di appalti pubblici non è
apprezzabilmente diverso, né distinto e superiore rispetto ai giudizi su altri
tipi di contenzioso, una diversificazione dell’importo (forse) rispetterebbe
l’anzidetto principio di proporzionalità se fosse almeno ragguagliato al
valore effettivo della causa. Ma neppure in tal caso la proporzionalità apparirebbe rispettata, non essendovi nemmeno in tal caso una divergenza di
costi per erogare lo stesso servizio giudiziario, sia per un appalto di poche
centinaia di migliaia di euro, che per quello di molte centinaia di milioni.
I costi del personale amministrativo e di magistratura, delle strutture,
dell’organizzazione complessiva della macchina giudiziaria sono fissi e
costanti, non variabili in proporzione alla qualità e valore del contenzioso.
Se così stanno le cose, e la misura del contributo non vale a coprire
specifici e differenziati costi della giustizia nella particolare materia
degli appalti, allora esso, evidentemente, persegue scopi diversi da quello
di finanziamento della spesa pubblica per la giustizia amministrativa.
29. È opinione diffusa in dottrina, tra gli operatori giuridici e tra gli
stessi magistrati, infatti, che il legislatore italiano abbia voluto ostacolare
l’accessibilità ai mezzi di ricorso in materia di appalti, rispetto alle altre
materie del contenzioso amministrativo, mediante l’imposizione di una
tassazione esagerata, illogica, iniqua e sproporzionata, con la finalità di
deflazionare tale contenzioso. Si vorrebbe, in tal modo, raggiungere un
duplice risultato:
giurisprudenza
145
a) quello di alleggerire il peso ormai insostenibile del contenzioso
arretrato (per il quale infatti il legislatore ha previsto straordinari rimedi
organizzativi: art. 16 dell’all. 2 al Codice del processo amministrativo);
b) quello di non intralciare soverchiamente l’apparato burocratico
nella realizzazione di opere pubbliche e nell’acquisizione di beni e servizi.
30. Il primo obiettivo risulta in parte raggiunto, sulla scorta dei dati
statistici che vedono una flessione dei ricorsi pervenuti al g.a. in materia
di appalti.
Invero, come emerge dalla relazione del Presidente del Consiglio di
Stato in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, nell’arco
di tempo che va dal 2008 al 2012 si assiste ad un trend in cui il numero
dei ricorsi proposti davanti ai TAR si mantiene costante, dal 2008 al 2011,
in circa 56.000 all’anno, mentre nel 2012 vi è stata una flessione con un
numero di circa 51.000. Anche in grado d’appello si assiste, nel 2012, ad
un significativo calo di ricorsi, da circa 10.500 (numero, questo, costante
dal 2008 al 2011) a 9.300.
Tale marcata flessione riguarda, in modo particolare, la materia
degli appalti ed è evidentemente riconducibile all’aumento esagerato del
contributo unificato.
31. Il secondo obiettivo si colloca all’interno di una più complessa
strategia processuale.
Al riguardo – osserva il Collegio – da lungo tempo il contenzioso
in tema di appalti pubblici è governato da un rito processuale speciale,
chiaramente ispirato all’esigenza di salvaguardare gli interessi pubblici
coinvolti; il che ha condotto il Legislatore all’emanazione di una disciplina
tesa ad impedire che il giudice amministrativo, in particolare nella fase
cautelare, blocchi o comunque ritardi l’esecuzione dei contratti pubblici,
in una materia d’immediato rilievo economico per lo Stato.
Dunque, anche gli elevati e sproporzionati importi del contributo unificato in questa materia sembrano ispirati alla stessa logica di scoraggiare
e comprimere il ricorso alla giustizia amministrativa.
32. Tutte queste rilevazioni evidenziano come e perché la sopra ricordata normativa nazionale si ponga in rotta di collisione non solo con i principi costituzionali di effettività e satisfattività della tutela giurisdizionale
(come censurato da parte ricorrente), ma – soprattutto, principalmente e
preliminarmente – con la ricordata Direttiva n. 665/89, la quale ha posto
anch’essa, come priorità assoluta ed incondizionata, l’esigenza di effettività
della tutela del ricorrente, come variabile indipendente dall’interesse alla
celere e non ostacolata esecuzione del contratto pubblico.
Come già detto sopra, si ribadisce che il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione,
a sua volta derivato dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU, oltre ad essere stato
ribadito anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea (v. la giurisprudenza sopra citata ai punti 20 e 25).
L’efficacia dei mezzi di ricorso presuppone, infatti, costi sostenibili e
proporzionati al vantaggio che il ricorrente confida di ritrarre dalla controversia, mentre la citata disciplina del contributo unificato in materia di
appalti sembra ostacolare il raggiungimento dell’effetto utile perseguito
dalla Direttiva n. 665/89. A maggior ragione, in fattispecie di appalti di
scarso valore, ma comunque al di sopra della soglia comunitaria, come
146
rivista trimestrale degli appalti
quello in esame, l’elevato ammontare del contributo unificato rischia di
vanificare del tutto l’utilità ritraibile dal ricorso.
33. In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene pregiudizialmente sussistere l’interesse sostanziale e processuale della parte
ricorrente ad opporsi al pagamento richiesto con l’atto del Segretario
Generale del TRGA di Trento per proporre ricorso avverso gli atti in epigrafe indicati ed impugnati con il ricorso originario ed i successivi motivi
aggiunti, sussistendo quindi (cfr. Cons. St., Sez. V, 23 ottobre 2013, n. 5131)
le condizioni per rimettere all’esame della Corte di giustizia dell’Unione
Europea la seguente questione pregiudiziale di corretta interpretazione
della normativa interna in rapporto a quella comunitaria sovraordinata:
- se i principi fissati dalla Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989,
89/665/CEE e successive modificazioni ed integrazioni, che coordina le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla Direttiva
del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli artt. 13, commi 1 bis, 1 quater e 6 bis,
e 14, comma 3 ter, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (come progressivamente
novellato dagli interventi legislativi successivi) che hanno stabilito elevati
importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa
in materia di contratti pubblici.
34. Ai sensi della “nota informativa riguardante la proposizione di
domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali” 2011/C
160/01 in G.U.C.E. 28 maggio 2011, vanno trasmessi alla cancelleria della
Corte, mediante plico raccomandato in copia, i seguenti atti:
- il ricorso ed i motivi aggiunti;
- i provvedimenti impugnati con il ricorso e con i motivi aggiunti;
- gli atti di costituzione in giudizio delle controparti;
- le memorie difensive depositate dalle parti nel giudizio;
- la presente ordinanza;
- la circolare 18 ottobre 2011 del Segretario generale della Giustizia
amministrativa;
- copia delle seguenti norme nazionali: artt. 13 e 14, d.P.R. 30 maggio
2002 n. 115 e Codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs. 2
luglio 2010, n. 104.
36. Il presente giudizio viene sospeso, nelle more della definizione
dell’incidente comunitario, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine
alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento (Sezione
Unica) non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dispone:
1) a cura della segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione,
e con copia degli atti ivi indicati;
2) la sospensione del presente giudizio.
Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in
merito e in ordine alle spese.
Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
giurisprudenza
147
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE PRESSO LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA Niilo Jääskinen
presentate il 7 maggio 2015, in causa C-61/14, Domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale regionale di
giustizia amministrativa di Trento (Italia)1
I – Introduzione
1. Si dice che il giudice del XIX secolo Sir James Matthew abbia affermato che «in Inghilterra la giustizia è aperta a tutti, come l’Hotel Ritz».
La causa in esame fornisce alla Corte l’opportunità di considerare se lo
stesso valga per i procedimenti giurisdizionali relativi all’aggiudicazione
di appalti pubblici in Italia disciplinati dal diritto dell’Unione sugli appalti
pubblici.
2. Il diritto italiano prevede che i tributi giudiziari applicabili in
procedimenti giurisdizionali relativi agli appalti pubblici siano considerevolmente più elevati di quelli generalmente applicabili nell’ambito dei
procedimenti amministrativi. Inoltre, tale tassazione è dovuta in modo
cumulativo per ogni nuova fase procedurale che costituisca, ai sensi del
diritto italiano, una nuova domanda fondata su motivi aggiunti.
3. Ciò solleva la questione se le norme italiane pertinenti siano compatibili con gli obiettivi della Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative
all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e di lavori2. La Direttiva deve essere
interpretata alla luce dei principi di effettività e di equivalenza, nonché
dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali (in prosieguo: la «Carta»)
e della sua garanzia di accesso alla giustizia.
II – Contesto normativo
A – Il diritto dell’Unione
4. Il considerando 3, Direttiva 89/665 dispone quanto segue:
«(…) l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria
rende necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di
non discriminazione[;] (…) occorre, affinché essa sia seguita da effetti
concreti, che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme
nazionali che recepiscano tale diritto».
5. L’art. 1, Direttiva 89/665, rubricato «[a]mbito di applicazione e accessibilità delle procedure di ricorso», come modificato, dispone:
«1. La presente Direttiva si applica agli appalti di cui alla Direttiva
2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004,
relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori, di forniture e di servizi,3 a meno che tali appalti siano
esclusi a norma degli artt. da 10 a 18, Direttiva.
(1) (Omissis)
(2) (Omissis)
(3) (Omissis)
148
rivista trimestrale degli appalti
Gli appalti di cui alla presente Direttiva comprendono gli appalti
pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi
dinamici di acquisizione.
Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che,
per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla Direttiva 2004/18/CE, le
decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto
di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo
le condizioni previste negli artt. da 2 a 2 septies della presente Direttiva,
sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono.
2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione
tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una
procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione
effettuata dalla presente Direttiva tra le norme nazionali che recepiscono
il diritto comunitario e le altre norme nazionali.
3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di
ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare,
a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di
un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una
presunta violazione».
6. L’art. 2, Direttiva 89/665, rubricato «[r]equisiti per le procedure di
ricorso», dispone:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché i provvedimenti presi in
merito alle procedure di ricorso di cui all’art. 1 prevedano i poteri che
consentono di:
a) prendere con la massima sollecitudine e con procedura d’urgenza
provvedimenti cautelari intesi a riparare la violazione denunciata o ad
impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi
i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di
aggiudicazione di un appalto pubblico o l’esecuzione di qualsiasi decisione
presa dall’amministrazione aggiudicatrice;
b) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa la
soppressione delle specifiche tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nell’invito a presentare l’offerta, nei capitolati d’oneri
o in ogni altro documento connesso con la procedura di aggiudicazione
dell’appalto in questione;
c) accordare un risarcimento danni ai soggetti lesi dalla violazione».
B – Il diritto nazionale
7. L’art. 13, comma 1, d.P.R. n. 115 del 2002, come più recentemente
modificato dalla l. n. 228 del 24 dicembre 20124, ha introdotto un nuovo
regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un contributo
unificato. Ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis, nell’ambito dei processi amministrativi, l’importo del contributo unificato è connesso alla materia del
processo amministrativo. Per i ricorsi dinanzi ai giudici amministrativi,
il contributo unificato ordinario è pari a euro 650. Per specifiche materie
sono fissati importi diversi5. Per quanto riguarda la materia degli appalti
(4) (Omissis)
(5) Ad esempio, quelli agevolati di euro 300 per i ricorsi in materia di diritto di
giurisprudenza
149
pubblici, il contributo unificato, a partire dal 1° gennaio 2013, va da euro
2 000 a euro 6 000 a seconda del valore dell’appalto6. Ai sensi dell’art. 13,
comma 6 bis.1, il contributo unificato è dovuto non solo per il deposito
del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per quello del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti che introducono domande nuove.
8. Riguardo alla determinazione del valore delle cause in materia di
appalti pubblici, ai sensi dell’art. 14, comma 3 bis, d.P.R. n. 115 del 2002,
esso coincide con l’importo posto a base d’asta individuato dalle amministrazioni aggiudicatrici negli atti di gara.
III – I fatti del procedimento principale, la questione pregiudiziale
e il procedimento dinanzi alla Corte
9. La ricorrente, Orizzonte Salute – Studio infermieristico Associato
(in prosieguo: «Orizzonte Salute») è un’associazione che svolge professionalmente servizi infermieristici a favore di enti pubblici e privati. Essa
ha impugnato dinanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa
di Trento, mediante un ricorso introduttivo integrato da tre successivi
ricorsi per motivi aggiunti, alcuni atti, emessi nel periodo dal 21 dicembre
2012 al 23 maggio 2013 dalla resistente, l’Azienda pubblica di servizi alla
persona «San Valentino» – Città di Levico Terme (in prosieguo: l’«APSP»).
10. Gli atti impugnati riguardavano la proroga di un appalto di servizi infermieristici a favore di un’altra associazione e la gara di appalto
successivamente bandita dall’APSP, con la quale si invitavano a presentare offerte solo talune associazioni accreditate dall’IPASVI (Infermieri
Professionali Assistenti Sanitari Vigilatrici d’Infanzia) di cui Orizzonte
Salute non era membro.
11. Orizzonte Salute inizialmente ha pagato un contributo unificato
di euro 650 per il procedimento amministrativo ordinario. Tuttavia, il 5
giugno 2013 il giudice del rinvio ha chiesto a Orizzonte Salute di effettuare
un pagamento supplementare per raggiungere la somma di un contributo unificato pari a euro 2 000, poiché il suo ricorso originario ricadeva
nell’ambito degli appalti pubblici.
12. Con un nuovo ricorso, il quarto ricorso per motivi aggiunti, presentato il 2 luglio 2013, Orizzonte Salute ha impugnato tale decisione.
Il giudice del rinvio ha deciso, per ragioni di economia processuale, di
statuire in via preliminare su tale impugnazione.
13. Il giudice del rinvio dubita della compatibilità del regime di tassazione degli atti giudiziari dello Stato membro con numerose norme e
principi di diritto dell’Unione. Esso pertanto ha sottoposto la seguente
questione pregiudiziale:
«Se i principi fissati dalla Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21
dicembre 1989, e successive modifiche ed integrazioni, che coordina le
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli
appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla Direttiva
soggiorno o di cittadinanza, e di euro 325 per quelli in materia di pubblico impiego.
(6) Il contributo unificato è pari a euro 2.000, quando il valore dell’appalto è
pari o inferiore a euro 200 000; è pari a euro 4.000, quando esso è compreso tra 200
000 e 1 000 000; ed è pari a euro 6 000, quando esso è superiore a euro 1 000 000.
150
rivista trimestrale degli appalti
del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli artt. 13, commi 1 bis, 1 quater e 6 bis,
e 14, comma 3 ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (come progressivamente
novellato dagli interventi legislativi successivi), che [ha] stabilito elevati
importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa
in materia di contratti pubblici».
14. Sono state presentate osservazioni scritte da parte di Orizzonte
Salute, della Camera amministrativa romana, dell’Associazione dei consumatori cittadini europei, del Coordinamento delle associazioni per la
tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e consumatori (Codacons),
dell’Associazione dei giovani amministrativisti (AGAmm), dell’Ordine degli
Avvocati di Roma, della Società italiana degli avvocati amministrativisti
(SIAA)7, nonché dei governi italiano, ellenico, austriaco e polacco e della
Commissione. Degli Stati membri che hanno depositato osservazioni
scritte solo l’Italia ha partecipato all’udienza che si è tenuta l’11 febbraio
2015. Tutte le altre parti summenzionate hanno partecipato alla stessa
udienza, compresa la Commissione, insieme alla Medical System s.p.a.,
che ha presentato soltanto osservazioni orali.
IV – Ricevibilità
15. Innanzitutto, rilevo che sia il giudice del rinvio sia Orizzonte Salute
hanno richiamato l’attenzione della Corte sugli importi riscossi ai sensi
del diritto italiano con riferimento a procedimenti in materia di appalti
pubblici che esulano dai fatti emergenti nella presente causa, quali, ad
esempio, i contributi unificati aumentati in caso di impugnazione. Il governo austriaco ritiene che la questione pregiudiziale sia ricevibile solo
nella parte in cui tratta del quarto ricorso per motivi aggiunti presentato
da Orizzonte Salute in relazione alla riscossione del contributo unificato di euro 2 000. Quanto al resto, il governo austriaco è dell’idea che la
questione sia ipotetica.
16. Inoltre, rilevo che la questione sottoposta dal giudice nazionale è
di natura ampia e generale. Come rilevato nelle osservazioni scritte della
Commissione, il giudice del rinvio non spiega perché una risposta della
Corte sia necessaria per la risoluzione della controversia.
17. Non è compito della Corte formulare pareri a carattere consultivo
su questioni di natura generale o ipotetica8. Il rinvio pregiudiziale deve
rispondere all’esigenza di dirimere concretamente una controversia9. Il
procedimento in esame non ha la natura di un ricorso diretto della Commissione nei confronti dell’Italia con cui essa chieda, in abstracto, se il
regime giuridico vigente di riscossione di tributi giudiziari nelle cause in
materia di appalti pubblici rispetti il diritto dell’Unione, ma piuttosto di
un procedimento di rinvio pregiudiziale indissolubilmente connesso alle
questioni giuridiche afferenti al procedimento principale.
(7) Osservo che il Presidente della Corte ha ammesso le osservazioni scritte
di tutte queste organizzazioni prima della fase orale del procedimento. Ciò posto,
nonostante le osservazioni presentate dal governo italiano, non intendo analizzare
la questione se tali osservazioni siano ammissibili.
(8) Sentenza Kamberaj (C-571/10, EU:C:2012:233, punto 41).
(9) Sentenze Pohotovost’ (C-470/12, EU:C:2014:101, punto 29) e García Bianco
(C-225/02, EU:C:2005:34, punto 28).
giurisprudenza
151
18. Ciò posto, in questa fase il procedimento principale riguarda principalmente una questione circoscritta, vale a dire il quarto ricorso per
motivi aggiunti con cui Orizzonte Salute contesta la legittimità dell’entità
del tributo giudiziario riscosso per il ricorso originario. In relazione a tale
problematica giuridica, che il giudice del rinvio ha deciso di esaminare in
via preliminare, la questione pregiudiziale non è ipotetica. Inoltre, poiché
l’atto impugnato è costituito dal quinto tributo giudiziario riscosso nel
procedimento principale, a mio avviso anche la tematica della tassazione
cumulativa necessita di una risposta della Corte. Se la Corte dovesse riscontrare che il sistema italiano è incompatibile con il diritto dell’Unione, il
giudice nazionale dovrebbe trarre le adeguate conclusioni da tale statuizione
con riferimento al contributo unificato riscosso per il ricorso originario.
Pertanto, all’interno di tali parametri, il rinvio pregiudiziale è ricevibile.
V – Analisi
A – Osservazione preliminare – L’approccio per la risoluzione del problema in esame
19. L’art. 2, § 1, Direttiva 89/665, come modificata, impone agli Stati
membri di prevedere poteri giurisdizionali per la tutela effettiva delle
imprese interessate in materia di appalti pubblici. In primo luogo, devono
poter essere adottati provvedimenti cautelari che consentano la pronta
riparazione di violazioni denunciate e l’impedimento di altri danni (punto
a). In secondo luogo, vi è l’obbligo per gli Stati membri di prevedere poteri
per l’annullamento di qualsiasi decisione illegittima connessa con la procedura di aggiudicazione dell’appalto (punto b). In terzo luogo, deve essere
prevista una riparazione sotto forma di risarcimento danni ai soggetti lesi
dalla violazione (punto c). Il procedimento principale appartiene, sul piano
fattuale, alla seconda di tali categorie, poiché Orizzonte Salute impugna la
proroga di un appalto di servizi infermieristici esistente a favore di un’altra
associazione e la gara di appalto successivamente bandita, con la quale
si invitavano a presentare offerte solo talune associazioni accreditate da
un’organizzazione di cui Orizzonte Salute non era membro.
20. Ricordo che la Direttiva 89/665 è diretta a garantire l’esistenza di
mezzi di ricorso efficaci in caso di violazione del diritto dell’Unione in
materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscano tale
diritto, al fine di garantire l’applicazione effettiva delle direttive che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici10. Agli Stati
membri è imposto di adottare provvedimenti per garantire che le decisioni
prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un
ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile11. Infine, le
modalità procedurali di ricorso degli Stati membri destinate ad assicurare
la salvaguardia dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione ai candidati ed
offerenti lesi da decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici non devono
mettere in pericolo l’effetto utile della Direttiva 89/66512.
21. Gli atti giuridici dell’Unione in materia di appalti pubblici hanno lo
scopo di agevolare l’accesso ai mercati del settore pubblico a condizioni di
(10) Sentenza Universale-Bau e a. (C-470/99, EU:C:2002:746, punto 71).
(11) V. il terzo sottoparagrafo dell’art. 1, § 1, direttiva 89/665, come modificata.
(12) Sentenza Universale-Bau e a. (C-470/99, EU:C:2002:746, punto 72).
152
rivista trimestrale degli appalti
non discriminazione e di trasparenza. La Direttiva 89/665 garantisce che
l’attuazione giurisdizionale di tali norme di diritto dell’Unione sia disponibile ed effettiva per i privati. Il legislatore dell’Unione ha pertanto concepito
una tutela giurisdizionale effettiva degli operatori economici interessati
come mezzo per promuovere l’effetto utile del regime dell’Unione relativo
agli appalti pubblici e, di conseguenza, gli obiettivi del mercato interno.
22. Pertanto, a mio avviso, la risposta alla questione pregiudiziale si
riduce ad un esame dell’ambito di applicazione del diritto ad una tutela
giurisdizionale effettiva come garantita dalla Direttiva 89/665 e dall’art. 47
della Carta. Alla luce delle osservazioni presentate nel procedimento principale, è altresì necessario considerare la pertinenza delle limitazioni poste
all’autonomia procedurale degli Stati membri dai principi di effettività e di
equivalenza in relazione alla questione della compatibilità della tassazione
italiana degli atti giudiziari di cui trattasi con il diritto dell’Unione.
23. La giurisprudenza della Corte sulla Direttiva 89/665 non fornisce
una risposta chiara alla questione se la tassazione degli atti giudiziari
di cui trattasi sia compatibile con le disposizioni del diritto dell’Unione
sui mezzi di ricorso in materia di appalti pubblici13. Cionondimeno, non
vi è dubbio che l’applicazione della tassazione degli atti giudiziari nei
procedimenti nazionali che rientrano nell’ambito di applicazione della
Direttiva 89/665 comporta l’attuazione del diritto dell’Unione ai sensi
dell’art. 51 della Carta14.
24. Ciò premesso, considererò ora la tassazione degli atti giudiziari
dal punto di vista del rispetto del diritto fondamentale a un ricorso effettivo ai sensi dell’art. 47 della Carta e della giurisprudenza della Corte sui
principi di effettività e di equivalenza. Come ho detto in un’altra occasione, entrambi tali principi devono essere considerati nella sfera dell’art.
47 della Carta15. Inizierò con il principio di equivalenza prima di passare
agli elementi pertinenti della giurisprudenza della Corte sull’«effettività».
B – Il principio di equivalenza
25. Il rispetto del principio di equivalenza presuppone che la norma
nazionale controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sulla
violazione del diritto dell’Unione e a quelli fondati sull’inosservanza del
diritto interno con analoghi petitum e causa petendi16.
26. Vi è un ristretto ambito di applicazione per l’operatività di tale
principio in materia di appalti pubblici perché non vi sono situazioni di
diritto nazionale e dell’Unione effettivamente paragonabili. La Direttiva
(13) Per contro v. sentenza Edwards (C-260/11, EU:C:2013:221), che riguardava
una situazione in cui atti dell’Unione in materia di diritto dell’ambiente impongono nello specifico che i procedimenti giurisdizionali non siano «eccessivamente
onerosi».
(14) Sentenza DEB (C-279/09, EU:C:2010:811).
(15) V. le mie conclusioni nella causa Liivimaa Lihaveis (C-562/12,
EU:C:2014:155) e le conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Agrokonsulting (C-93/12, EU:C:2013:172). Per un esempio recente in cui la Corte ha considerato
i principi di effettività e di equivalenza nell’ambito dei mezzi di ricorso volti ad
assicurare l’attuazione delle norme dell’Unione in materia di appalti pubblici, v.
sentenza eVigilo (C-538/13, EU:C:2015:166).
(16) Sentenza Surgicare - Unidades de Saude (C-662/13, EU:C:2015:89, punto 30).
giurisprudenza
153
2004/18 si applica a tutti gli appalti pubblici quando viene raggiunta la
soglia, con l’eccezione degli appalti esenti. Pertanto, l’applicabilità delle
norme nazionali è riservata agli appalti al di sotto della soglia e alle situazioni esenti dall’ambito di applicazione della Direttiva. A mio avviso,
ciò riflette una valutazione del legislatore dell’Unione nel senso che tali
situazioni non sono paragonabili a quelle che rientrano nell’ambito di
applicazione della Direttiva 2004/18.
27. In ogni caso, i contributi unificati di cui trattasi appaiono applicabili al contenzioso in materia di appalti pubblici, tanto a quello che rientra
nell’ambito di applicazione della Direttiva 2004/18 quanto a quello che
esula da tale ambito di applicazione. Non sembrerebbe pertanto esservi
alcuna discriminazione tra situazioni di diritto dell’Unione e situazioni
di diritto nazionale17.
28. Inoltre, poiché il diritto degli appalti pubblici presenta una complessa commistione di rapporti giuridici tra l’amministrazione aggiudicatrice
e vari attori pubblici e privati, non concordo sul fatto che procedimenti
giurisdizionali che comportano l’impugnazione di decisioni adottate nel
corso dell’aggiudicazione di un appalto pubblico possano essere considerati
analoghi a procedimenti ordinari di diritto pubblico dinanzi a giudici amministrativi, come sostenuto da Orizzonte Salute e numerosi altri soggetti18.
29. Nelle sue osservazioni scritte la Commissione afferma che vi può
essere un problema di equivalenza con riferimento alla soglia del tariffario applicabile ai sensi del diritto italiano a partire dalla quale il tributo
giudiziario aumenta da euro 2 000 a euro 4 000. Ciò si verifica quando il
valore dell’appalto è superiore a euro 200 000. Secondo la Commissione,
tale soglia corrisponderebbe «in buona sostanza» alla soglia stabilita
dall’art. 7, Direttiva 2004/18 che, salvo un controllo da parte del giudice
del rinvio, comporterebbe che procedimenti volti a far valere in giudizio
violazioni di tale Direttiva o della normativa nazionale di trasposizione
della stessa sarebbero soggetti a modalità procedurali diverse e più svantaggiose rispetto ai procedimenti puramente nazionali.
30. Non concordo con tale affermazione. È vero che la soglia di euro
200 000 stabilita dall’art. 2, reg. n. 1251 del 2011 coincideva con la soglia
nazionale che dava luogo a una tassazione degli atti giudiziari più elevata.
Tuttavia, l’applicabilità del tributo giudiziario pari a euro 4.000 o più elevato non è circoscritta alle cause che rientrano nell’ambito di applicazione
della Direttiva 2004/18, ma ci saranno evidentemente molte situazioni
rientranti nel diritto nazionale (appalti esenti) in cui si applicherà tale
tributo giudiziario più elevato. Più in generale, la soluzione adottata dal
legislatore italiano di aumentare in due punti il tariffario applicabile nella
determinazione della tassazione degli atti giudiziari di cui trattasi è una
misura ragionevole per alleviare l’effetto regressivo della tariffa.
31. Inoltre, a mio avviso il diritto dell’Unione non osterebbe, nell’ambito
del principio di equivalenza, a che il diritto italiano preveda una diversa tas(17) V. sentenza Érsekcsanadi Mez6gazdasagi (C-56/13, EU:C:2014:352, punto 64).
(18) Per esempi recenti di controversie in cui le azioni fondate sul diritto
dell’Unione e quelle fondate sul diritto nazionale dello Stato membro in questione non sono state considerate «analoghe», v. sentenze Agrokonsulting (C-93/12,
EU:C:2013:432, in particolare punti da 40 a 42) nonché Bacz6 e Vizsnyiczai (C-567
/13, EU:C:2015:88, in particolare punto 47).
154
rivista trimestrale degli appalti
sazione degli atti giudiziari o diverse basi di calcolo per la tassazione degli
atti giudiziari nelle diverse forme di procedimenti giurisdizionali. Il principio
di equivalenza presuppone parità di trattamento tra ricorsi analoghi basati
sul diritto nazionale, da una parte, e sul diritto dell’Unione, dall’altra, non
l’equivalenza tra diverse forme di procedimenti ai sensi del diritto nazionale19.
32. Per tali ragioni, non possono essere sollevate obiezioni contro le
norme nazionali di cui trattasi dal punto di vista della loro compatibilità
con il principio di equivalenza.
C – Le tariffe di cui trattasi alla luce del principio di effettività e del diritto
di accesso alla giustizia
1. Identificazione del criterio rilevante
33. Innanzitutto, rilevo che le norme giuridiche applicabili al diritto
fondamentale a un ricorso effettivo ai sensi dell’art. 47 della Carta, o al
diritto al «sindacato giurisdizionale», che traggono origine dagli artt. 6 e
13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU)20, sono diverse da quelle che emergono quando la
questione da determinare è se una sanzione o una norma procedurale
di uno Stato membro sia incompatibile con il principio di effettività, nel
senso che la norma di cui trattasi rende in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico
dell’Unione. Queste ultime non sono state create nell’ambito dei diritti
fondamentali conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, ma piuttosto sono venute in essere in funzione delle limitazioni poste dal diritto
dell’Unione all’autonomia procedurale degli Stati membri.
34. Tuttavia, nella causa in esame tali due approcci convergono ampiamente perché lo scopo della Direttiva 89/665 è garantire l’accesso alla
giustizia alle imprese qualora le norme di diritto dell’Unione sostanziale
o procedurale in materia di appalti pubblici siano violate. In altri termini,
l’effetto utile di tale atto legislativo coincide in larga misura con la stretta
osservanza dei requisiti che emergono dall’art. 47 della Carta in tale ambito.
35. Il principio di effettività, nel senso del divieto, sancito a carico degli
Stati membri nella sentenza San Giorgio, di istituire norme procedurali che
rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti
conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione21, non comporta alcun test
di proporzionalità. Tuttavia, nel determinare se la norma procedurale dello
Stato membro o il mezzo di ricorso in questione soddisfi i suoi parametri, la
disposizione «dev’essere esaminat[a] tenendo conto del ruolo di detta norma
nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello
stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si
devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema
giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio
della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento»22.
(19) V. per analogia le mie conclusioni nella causa Târ ş ia (C-69/14,
EU:C:2015:269, §§ 50 e 51).
(20) V. sentenza Johnston (222/84, EU:C:1986:206, punto 18). V. anche i commenti all’art. 47.
(21) Sentenza San Giorgio (199/82, EU:C:1983:318).
(22) Sentenza van Schijndel e van Veen (C-430/93, EU:C:1995:441), punto 19.
giurisprudenza
155
36. Il diritto al «sindacato giurisdizionale» e all’accesso alla giustizia
ai sensi dell’art. 47 della Carta non sono valutati in tale maniera. Essi
sono soggetti al tradizionale criterio della limitazione che comporta l’analisi della circostanza se le misure che lo circoscrivono siano previste
dalla legge e se le stesse soddisfino i requisiti derivanti dal principio di
proporzionalità, vale a dire il perseguimento di uno scopo legittimo, la
necessità, l’idoneità allo scopo e la caratteristica di essere circoscritte a
quanto imposto per perseguire lo scopo legittimo23. Ciò si riflette attualmente nell’art. 52, § 1, della Carta.
37. È pacifico che, a seconda di tutte le circostanze, la tassazione degli
atti giudiziari può comportare una limitazione all’accesso alla giustizia,
come tutelato dall’art. 47 della Carta. Pertanto, come per le restrizioni alla
disponibilità del gratuito patrocinio per garantire l’esercizio dei diritti
conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione24, la tematica in esame
è meglio valutata con riferimento al criterio, descritto supra, relativo al
diritto al «sindacato giurisdizionale» piuttosto che a quello applicabile ai
mezzi di ricorso e alle norme procedurali per determinare se essi oltrepassino i limiti dell’autonomia procedurale dello Stato membro. Applicherò
quindi tale criterio alla situazione di cui al procedimento principale.
2. Applicazione alla controversia in esame
a) Sull’importo del contributo unificato nei procedimenti amministrativi in materia di appalti pubblici
38. La questione da analizzare è se la tassazione degli atti giudiziari di
cui trattasi costituisca un impedimento al diritto di accesso alla giustizia25.
Come rilevato nelle osservazioni scritte della Commissione, la Corte europea
dei diritti dell’uomo ha considerato la questione nella sua giurisprudenza, ad
esempio nella sentenza Stankov c. Bulgaria26. In tale sentenza si è statuito
che l’obbligo di pagare tributi in relazione a giudizi civili non può di per sé
essere considerato come restrizione al diritto all’accesso alla giustizia incompatibile in quanto tale con l’art. 6, § 1, della CEDU27. Tuttavia, l’importo
(23) Sentenza DEB (C-279/09, EU:C:2010:811). Ricordo che nella sentenza
DEB (C-279/09, EU:C:2010:811) il giudice nazionale del rinvio aveva formulato la
questione pregiudiziale in termini di principio di effettività ma la Corte ha risposto
sulla base dell’art. 47 della Carta. Ricordo altresì che nelle mie conclusioni nella
causa Dona Chemie e a. (C-536/11, EU:C:2013:67), al § 47, ho osservato che «occorre tenere in debito conto l’art. 19, § 1, TUE, e i limiti in cui esso fornisce una
garanzia supplementare al principio di effettività. A.i sensi del citato articolo, gli
Stati membri sono tenuti a mettere a disposizione i rimedi giurisdizionali “necessari
per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto
dell’Unione”. In altri termini, alla luce di tale disposizione del Trattato, i requisiti di
tutela giurisdizionale effettiva per i diritti derivanti dal diritto dell’Unione sembrano
andare oltre la formula classica che menziona l’impossibilità pratica o l’eccessiva
difficoltà. A mio giudizio, ciò significa che i mezzi di ricorso nazionali devono essere
accessibili, rapidi e avere costi contenuti».
(24) Sentenza DEB (C-279 /09, EU:C:2010:811).
(25) Rilevo che se stessi considerando tale problema con riferimento alle restrizioni all’autonomia procedurale degli Stati membri, esaminerei se la tassazione
degli atti giudiziari di cui trattasi abbia reso l’attuazione della relativa normativa
dell’Unione in pratica impossibile o eccessivamente difficile.
(26) N. 68490/01, 12 luglio 2007.
(27) N. 68490/01, 12 luglio 2007, punto 52.
156
rivista trimestrale degli appalti
del tributo valutato alla luce delle particolari circostanze di una data causa
è un fattore rilevante nel determinare se una persona abbia goduto o meno
del proprio diritto di accesso alla giustizia28.
39. Tratterò, in primo luogo, la questione, sollevata dal giudice del
rinvio, relativa al fatto che il contributo unificato è basato sul valore della
controversia in termini di valore teorico dell’appalto da aggiudicare e non
sull’effettivo beneficio che un’impresa che partecipa all’aggiudicazione ha
il diritto di aspettarsi. Secondo il giudice del rinvio, tale utile corrisponderebbe al 10 % del valore dell’appalto e sarebbe conforme alle norme applicabili alla tassazione degli atti giudiziari nei procedimenti civili italiani.
40. Questo argomento mi pare privo di pregio. È matematicamente
irrilevante che un contributo unificato sia calcolato utilizzando il 10%
del margine di utile del valore dell’appalto come punto di partenza e non
il valore dell’appalto in quanto tale, se il risultato è lo stesso. Dall’altra
parte, un sistema in cui l’utile atteso fosse valutato singolarmente per
ogni procedura di aggiudicazione di un appalto e/o per ogni impresa che
vi partecipi, con la conseguenza di tributi giudiziari variabili, sarebbe
scomodo e imprevedibile.
41. In secondo luogo, anche se l’importo del contributo unificato sembra
relativamente elevato, a tale conclusione fa da contrappeso il mero fatto che
gli appalti pubblici non rientrano nella politica sociale. Ci si può aspettare
che le imprese che partecipano all’aggiudicazione di un appalto che rientra
nell’ambito di applicazione della Direttiva 2004/18 abbiano sufficienti mezzi
economici e finanziari per eseguire un appalto di valore pari ad euro 200
000 o superiore. Da questo punto di vista, un tributo giudiziario di euro
2.000, 4.000 o 6.000, a seconda dei casi, non può costituire un impedimento
all’accesso alla giustizia, anche prendendo in considerazione gli onorari di
avvocato necessari. Né si può ritenere che sia una restrizione indebita alla
concorrenza a svantaggio delle piccole imprese.
42. In terzo luogo, a mio avviso il fatto che il procedimento possa
iniziare anche se il tributo giudiziario non è stato pagato29, fattore che la
Commissione ha ritenuto rilevante nelle sue osservazioni scritte, non è
pertinente. Infatti, la normativa italiana è manifestamente fondata sulla
presunzione che il ricorrente paghi i tributi giudiziari quando sono dovuti.
A mio avviso, è irrilevante anche il fatto che la tassazione degli atti giudiziari sia rimborsata qualora siano accolte le conclusioni del ricorrente.
Affinché l’accesso alla giustizia sia rispettato, vi deve essere una possibilità
di impugnare le decisioni adottate nelle procedure di aggiudicazione degli
appalti, anche se non è assolutamente certo che il ricorso venga accolto.
Pertanto, un eccessivo tributo giudiziario può comportare un ostacolo
al diritto di accesso alla giustizia come stabilito dall’art. 47 della Carta,
anche qualora possa essere recuperato in seguito.
43. Per tali ragioni ritengo che l’importo del contributo unificato pari
a euro 2 000 posto a carico di Orizzonte Salute per il ricorso originario
non desti preoccupazioni30. È vero che la tassazione degli atti giudiziari
(28) N. 68490/01, 12 luglio 2007 e giurisprudenza ivi citata.
(29) V., tuttavia, punto 53 della sentenza Stankov c. Bulgaria.
(30) A1 punto 58 della sentenza Stankov c. Bulgaria, la Corte europea dei diritti
dell’uomo, nel concludere che le spese di giudizio in oggetto violavano il diritto di
giurisprudenza
157
di cui trattasi è elevata rispetto a quella riscossa in Italia in altri tipi di
contenzioso amministrativo o nei procedimenti civili. Tuttavia, il contributo unificato (ossia senza alcuna maggiorazione) in relazione al valore
dell’appalto nell’ambito di applicazione della Direttiva 2004/18 e, di conseguenza, della Direttiva 89/665 non eccede mai il 2 %. Ciò difficilmente
costituisce un ostacolo all’accesso alla giustizia.
44. Pertanto, a mio avviso, l’elemento determinante è nel caso di specie il
cumulo di tributi giudiziari nell’ambito dei procedimenti relativi alla stessa
procedura di aggiudicazione di un appalto, non il loro importo in quanto tale.
b) Sui tributi giudiziari cumulativi
45. Avendo concluso che l’importo del contributo unificato applicabile
nei procedimenti amministrativi italiani in materia di aggiudicazione di
appalti che rientrano nell’ambito di applicazione delle direttive 2004/18 e
89/665 non costituisce, di per sé, una restrizione al diritto di accesso alla
giustizia, rimane ora da stabilire se vi siano altre ragioni per dubitare del
fatto che detto contributo rispetti l’art. 47 della Carta, in particolare alla
luce della natura cumulativa della tassazione imposta. Se ve ne sono, sarà
necessario stabilire se la restrizione riscontrata sia prescritta dalla legge
e sia proporzionata rispetto allo scopo legittimo perseguito31.
46. Qui rilevo, in primo luogo, che la tassazione degli atti giudiziari,
compresa quella cumulativa, è chiaramente prescritta dalla legge. Quanto
alla legittimità dello scopo perseguito, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha statuito che «gli scopi perseguiti dalle norme generali sulle spese
possono essere ammessi come compatibili con la generale amministrazione della giustizia, ad esempio per finanziare il funzionamento del sistema
giudiziario e per agire come deterrente contro le azioni temerarie»32.
47. Nell’ambito del sistema della giustizia amministrativa italiana,
i procedimenti in materia di appalti pubblici sembrano godere di uno
speciale trattamento, nel senso che vengono trattati più velocemente rispetto ad altre azioni e l’incremento della tassazione degli atti giudiziari
contribuisce al finanziamento di tali organi giurisdizionali, consentendo
loro di operare con rapidità. Ciò risulta in conformità tanto con le prescrizioni di cui alla Direttiva 89/665 quanto con la giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo.
48. Tuttavia, all’udienza Orizzonte Salute ha sottolineato che, ai sensi
del diritto italiano, un’impresa esclusa da una procedura di aggiudicazione
dell’appalto all’inizio del procedimento deve impugnare tanto la decisione
relativa alla selezione dei partecipanti alla procedura di aggiudicazione
dell’appalto quanto la stessa aggiudicazione dell’appalto. Inoltre, nelle
procedure italiane di aggiudicazione di appalti vi sono spesso altre deci-
accesso alla giustizia, ha rilevato che «il sistema della tassazione degli atti giudiziari
applicato dai giudici bulgari aveva l’effetto di privare il ricorrente della quasi totalità
del risarcimento che lo Stato era stato condannato a pagare per la sua detenzione
ingiustificata prima del processo».
(31) Se il giudice dello Stato membro ritenesse che una norma nazionale violi
il principio di effettività, esso sarebbe tenuto a considerare se la norma di cui trattasi renda in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione del diritto
dell’Unione, così come ad applicare il criterio di cui alla sentenza van Schijndel,
cit. supra, § 35.
(32) Sentenza Stankov c. Bulgaria, n. 68490/01, 12 luglio 2007, punto 57.
158
rivista trimestrale degli appalti
sioni dell’amministrazione aggiudicatrice relative, ad esempio, all’accesso
ai documenti dell’appalto, che necessitano di impugnazione separata nel
corso del procedimento dinanzi ai giudici amministrativi italiani. Ai sensi del diritto italiano, tutto ciò comporta ricorsi per motivi aggiunti che
implicano l’imposizione di tributi giudiziari supplementari della stessa
entità di quelli imposti per il ricorso originario.
49. Orizzonte Salute afferma di aver pagato euro 2 000 per il ricorso
originario e tre volte la somma di euro 2 000 per i ricorsi supplementari,
oltre a euro 2 000 dovuti per il quarto ricorso supplementare oggetto del
presente rinvio pregiudiziale. Nessuna di tali cifre è stata contestata dal
governo italiano o dai resistenti.
50. Il sistema italiano di cui trattasi può vanificare il ricorso ad un’azione giurisdizionale dal punto di vista economico, anche se persegue
effettivamente lo scopo legittimo di coprire i costi dell’amministrazione
della giustizia e di scoraggiare le azioni temerarie. Ad esempio, un contributo unificato cumulativo di euro 20 00033, se combinato con gli onorari
di avvocato, può rendere economicamente insostenibile l’impugnazione di
appalti di valore vicino a quello della soglia di applicabilità delle direttive
di cui trattasi34. In tal senso, la tassazione di cui trattasi potrebbe dissuadere le imprese che altrimenti potrebbero presentare un’impugnazione
in materia di appalti pubblici.
51. A mio avviso, ciò si porrebbe in conflitto con il diritto fondamentale al «sindacato giurisdizionale» garantito dall’art. 47 della Carta. Come
ha statuito la Corte europea dei diritti dell’uomo, le norme procedurali
devono essere tese allo scopo della certezza del diritto e della corretta amministrazione della giustizia. Non devono «creare una specie di ostacolo
che impedisca alla parte contendente di ottenere una decisione della sua
causa nel merito da parte del giudice competente»35.
52. Secondo me, l’art. 2, § 1, lett. b, Direttiva 89/665, come modificata, fa riferimento alla «procedura di aggiudicazione dell’appalto» come
unità di base della tutela giurisdizionale. Invero, un’impresa che chiede
di partecipare ad una procedura di aggiudicazione di un appalto intende
ottenere essa stessa l’appalto. Sotto tale punto di vista è irrilevante che
non vi sia riuscita all’inizio della procedura di aggiudicazione, vale a dire
nella selezione dei partecipanti, o alla fine, in altri termini quando l’appalto è stato attribuito ad un altro partecipante, o in una fase intermedia.
53. Rientra nell’ambito dell’autonomia giurisdizionale dello Stato
membro stabilire come il diritto nazionale sul procedimento amministrativo debba inquadrare le impugnazioni contro una singola procedura
di aggiudicazione di un appalto. Ad esempio, spetta allo Stato membro
(33) Un tributo giudiziario cumulativo di euro 20 000 sarebbe applicabile se il
valore dell’appalto impugnato con il ricorso originario di Orizzonte Salute fosse,
ad esempio, di euro 250 000 e la parte contendente interessata avesse presentato lo
stesso numero di ricorsi di Orizzonte Salute. In tali circostanze, sarebbero addebitati cinque tributi giudiziari di euro 4 000, anche se il contributo unificato per gli
appalti di valore compreso tra euro 200 000 e euro 1 000 000 è pari a euro 4 000.
(34) V. estratto dalla sentenza Stankov c. Bulgaria, n. 68490/01, 12 luglio 2007, riportata supra, nt. 30, in relazione ad un impugnazione economicamente inattuabile.
(35) Sentenza Omerovié c. Croazia (n. 2), n. 22980/09, 5 dicembre 2013, punto
39.
giurisprudenza
159
decidere se le impugnazioni relative alle ultime fasi della procedura di
aggiudicazione dell’appalto debbano essere concepite come sviluppo del
ricorso originario che aveva impugnato la decisione sulla selezione dei
partecipanti, o se debbano essere considerate come nuovi ricorsi per motivi
aggiunti. Tuttavia, le norme procedurali devono essere dirette a garantire
la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia.
54. Pertanto, potrebbe essere incompatibile con l’art. 47 della Carta
la riscossione di più contributi giudiziari cumulativi nei procedimenti
giurisdizionali, perlomeno qualora tale tassazione cumulativa abbia un
effetto dissuasivo e sia sproporzionata se confrontata con la tassazione
originaria, poiché l’art. 2, § 1, lett. b,, Direttiva 89/665, come modificata,
individua un unico petitum e un’nica causa petendi, vale a dire sanare
qualunque irregolarità della procedura di aggiudicazione dell’appalto a
svantaggio dell’impresa.
55. Spetta al giudice del rinvio condurre il test descritto nel precedente
§ 36, alla luce della giurisprudenza della Corte rilevante (compresa la sentenza nella presente causa)36, al fine di stabilire se la restrizione al diritto
al «sindacato giurisdizionale», previsto dall’art. 47 della Carta provocata
dalla tassazione cumulativa degli atti giudiziari sia giustificata alla luce
del criterio di proporzionalità stabilito dall’art. 52, § 1, della Carta37.
VI – Conclusione
56. Per tali ragioni, propongo che alla questione pregiudiziale del
Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento si risponda
come segue:
La Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative
all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione
degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata, interpretata
alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dei principi di equivalenza e di effettività, non osta ad una normativa
nazionale che stabilisca un tariffario di contributi unificati applicabile solo
ai procedimenti amministrativi in materia di contratti pubblici, purché
l’importo del tributo giudiziario non costituisca un ostacolo all’accesso
alla giustizia né renda l’esercizio del diritto al sindacato giurisdizionale
in materia di appalti pubblici eccessivamente difficile. Non è compatibile
con la Direttiva 89/665, interpretata alla luce dell’art. 47 della Carta, la
riscossione di più tributi giudiziari cumulativi in procedimenti giurisdizionali in cui un’impresa impugni la legittimità di un’unica procedura
di aggiudicazione di un appalto ai sensi dell’art. 2, § 1, lett. b), Direttiva
89/665, a meno che ciò possa essere giustificato ai sensi dell’art. 52, § 1,
della Carta, il che deve essere valutato dal giudice del rinvio.
(36) V., in particolare, sentenze DEB (C-279/09, EU:C:2010:811) e ,\lassini e a.
(da C-317/08 a C-320/08, EU:C:2010:146).
(37) Rilevo, tuttavia, che la Corte ha statuito che «[p]er valutare la proporzionalità il giudice nazionale può tener presente (...) l’entità delle spese giudiziali
che devono essere anticipate e la natura dell’ostacolo all’accesso alla giustizia che
esse potrebbero costituire, se sormontabile o insormontabile». V. sentenza DEB
(C-279/09, EU:C:2010:811, punto 61).
160
rivista trimestrale degli appalti
CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA, Sez. V, 6 ottobre
2015, in causa C-61/14 – T. von Danwitz Presidente – E. Juhász
Relatore – Jääskinen Avvocato generale (par. conf.) – Orizzonte
Salute – Studio Infermieristico Associato (avv.ti Carlin, Napoli,
Zoppolato e Boifava) – Azienda pubblica di servizi alla persona
“San Valentino” – Città di Levico Terme (avv. De Pretis) e altri.
Appalti pubblici – Contributo unificato per ricorso introduttivo – Normativa italiana – Direttiva 89/665/CEE e successive
modificazioni ed integrazioni, principi comunitari di equivalenza e di effettività – Compatibilità.
Appalti pubblici – Contributo unificato multiplo ed aggiuntivo – Normativa italiana – Direttiva 89/665/CEE e successive modificazioni ed integrazioni, principi comunitari di equivalenza
e di effettività – Compatibilità, a fronte del potere di dispensa
da parte del giudice nazionale.
L’art. 1, Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989,
come modificata dalla Direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, nonché i principi di equivalenza
e di effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi
giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento
principale, all’atto di proposizione di appalti pubblici dinnanzi ai
giudici amministrativi.
L’art. 1, Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989,
come modificata dalla Direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, nonché i principi di equivalenza e
di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli
qualora l’amministrato proponga diversi ricorsi giurisdizionali relativi
alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici oppure proponga
motivi aggiunti. Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte
interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi
presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel
contesto di uno stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta
che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono
un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento
di tributi giudiziari cumulativi.
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione
dell’art. 1, Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989,
che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudi-
giurisprudenza
161
cazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (G.U.U.E. L 395, p.
33), come modificata dalla Direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007 (G.U.U.E. L 335, p. 31; in prosieguo:
la «Direttiva 89/665»).
2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra
Orizzonte Salute – Studio Infermieristico Associato (in prosieguo: «Orizzonte Salute»), da una parte e, dall’altra, l’Azienda pubblica di servizi alla
persona San Valentino – Città di Levico Terme (in prosieguo: l’«Azienda»),
nonché il Ministero della giustizia, il Ministero dell’economia e delle Finanze, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Segretario generale del
Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento con riguardo
alla proroga di un appalto di servizi infermieristici e alla gara di appalto
successivamente bandita nonché ai tributi giudiziari da versare per proporre ricorsi giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3. Ai sensi del terzo considerando della Direttiva 89/665, l’apertura
degli appalti pubblici alla concorrenza [dell’Unione] rende necessario un
aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione
e occorre, affinché essa sia seguita da effetti concreti, che esistano mezzi
di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto [dell’Unione]
in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscono
tale diritto.
4. L’art. 1, Direttiva, intitolato «Ambito di applicazione e accessibilità
delle procedure di ricorso», dispone quanto segue:
«1. La presente Direttiva si applica agli appalti di cui alla Direttiva
2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004,
relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici di lavori, di forniture e di servizi [G.U.U.E. L 134, p. 114], a meno
che tali appalti siano esclusi a norma degli artt. da 10 a 18 di tale Direttiva.
Gli appalti di cui alla presente Direttiva comprendono gli appalti
pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi
dinamici di acquisizione.
Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che,
per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla Direttiva 2004/18/CE, le
decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto
di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo
le condizioni previste negli artt. da 2 a 2 septies della presente Direttiva, sulla
base del fatto che hanno violato il diritto [dell’Unione] in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono.
2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione
tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una
procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione
effettuata dalla presente Direttiva tra le norme nazionali che recepiscono
il diritto [dell’Unione] e le altre norme nazionali.
3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di
ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare,
a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di
un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una
presunta violazione.
(...)».
162
rivista trimestrale degli appalti
5. L’art. 7, Direttiva 2004/18, intitolato «Importi delle soglie degli
appalti pubblici», fissa le soglie dei valori stimati a partire dalle quali
l’aggiudicazione di un appalto deve essere effettuata conformemente alle
norme della medesima Direttiva.
6. Tali soglie sono modificate a intervalli regolari da regolamenti
della Commissione europea e adattate alle circostanze economiche.
Alla data dei fatti del procedimento principale, la soglia concernente
gli appalti di servizi assegnati da amministrazioni aggiudicatrici diverse dalle autorità governative centrali era fissata in euro 193 000 dal
regolamento (CE) n. 1177/2009 della Commissione, del 30 novembre
2009, che modifica le direttive del Parlamento europeo e del Consiglio
2004/17/CE, 2004/18/CE e 2009/81/CE riguardo alle soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti (G.U.U.E.
L 314, p. 64).
Diritto italiano
7. L’art. 13, comma 1, d.P.R., 30 maggio 2002, n. 115, come modificato
dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228 (in prosieguo: il «decreto»), ha introdotto
un regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un contributo
unificato fissato in proporzione al valore della controversia.
8. A differenza di quanto previsto per i processi civili, l’art. 13, comma
6 bis, del decreto fissa l’importo del contributo unificato indipendentemente dal valore della controversia nell’ambito dei processi amministrativi.
9. Ai sensi di detto art. 13, comma 6 bis, per i ricorsi proposti dinanzi
ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, l’importo
del contributo unificato è pari, in linea di principio, a euro 650. Tuttavia,
in questa stessa disposizione, per specifiche materie sono fissati importi
diversi, che possono essere ridotti o aumentati.
10. In forza di detto art. 13, comma 6 bis, lett. d, decreto, il contributo
in materia di appalti pubblici è pari a:
– euro 2 000 quando il valore dell’appalto è pari o inferiore a euro
200 000;
– euro 4 000 per le controversie di valore compreso tra euro 200 000
e 1 000 000, e
– euro 6 000 per quelle di valore superiore a euro 1 000 000.
11. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, decreto, per i procedimenti in
materia di aggiudicazione di appalti pubblici tali importi sono maggiorati
del 50%.
12. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, decreto, quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per la stessa impugnazione, principale o incidentale.
13. Risulta dalla decisione di rinvio che, ai sensi della normativa applicabile, il contributo unificato è versato non solo all’atto del deposito
del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per il ricorso incidentale
e i motivi aggiunti che introducono domande nuove.
14. Dall’art. 14, comma 3, del decreto si evince che il valore della causa
corrisponde non al margine di utile che si può trarre dall’esecuzione del
contratto d’appalto fissato dalle amministrazioni aggiudicatrici, bensì
all’importo posto a base d’asta dell’appalto stesso.
giurisprudenza
163
Procedimento principale e questione pregiudiziale
15. Orizzonte Salute è un’associazione che fornisce servizi infermieristici a favore di enti pubblici e privati. Con il suo ricorso, integrato più
volte con motivi aggiunti, essa contesta dinanzi al giudice del rinvio le
successive attribuzioni della gestione dei servizi infermieristici da parte
dell’Azienda all’Associazione infermieristica D & F Care nonché altre
decisioni adottate dall’Azienda.
16. La gestione di tale servizio è stata attribuita, inizialmente, con proroga del contratto concluso con l’Associazione infermieristica D & F Care
per un periodo precedente e, successivamente, nel contesto di un bando
di gara cui si invitavano a partecipare unicamente talune associazioni
accreditate dal collegio degli Infermieri Professionali Assistenti Sanitari
Vigilatrici d’Infanzia (IPASVI), di cui Orizzonte Salute non era membro.
17. Orizzonte Salute ha pagato, a titolo di tributi giudiziari, un contributo unificato di un importo pari a euro 650, corrispondente al costo
della proposizione di un ricorso amministrativo ordinario.
18. Con decisione del 5 giugno 2013, il Segretario generale del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento ha invitato Orizzonte
Salute a completare il pagamento precedentemente effettuato in quanto,
in ragione dei motivi aggiunti, la controversia ricadeva ormai nell’ambito dell’aggiudicazione di appalti pubblici, per raggiungere la somma
del contributo unificato relativa a tale tipo di controversie, che era pari,
pertanto, a euro 2 000.
19. Con un nuovo ricorso, proposto il 2 luglio 2013, Orizzonte Salute ha
impugnato tale decisione, facendo valere la violazione dell’art. 13, comma
6 bis, decreto e, inoltre, l’illegittimità costituzionale di detta disposizione.
20. È alla luce di tale ricorso che le amministrazioni statali hanno
proposto un’azione giurisdizionale eccependo il difetto di competenza del
giudice amministrativo del rinvio, dal momento che il contributo unificato costituirebbe una prestazione fiscale la cui contestazione ricadrebbe
nella competenza del giudice tributario. Esse hanno altresì contestato la
fondatezza di detto ricorso.
21. Il giudice del rinvio, pur riconoscendo che il contributo unificato
possiede il carattere di una tassa, rileva che, nella causa pendente dinanzi
ad esso, si tratta di un atto emanato dal suo Segretario generale, che possiede la natura di una decisione amministrativa. In tal senso, a suo avviso,
occorre assoggettare la decisione del 5 giugno 2013 al controllo del giudice
amministrativo. Inoltre, il giudice del rinvio ritiene che Orizzonte Salute
disponga di un interesse all’annullamento della domanda di pagamento
dei tributi giudiziari maggiorati.
22. Detto giudice ricorda che, per i processi amministrativi, contrariamente a quanto è previsto per i processi civili, l’importo del contributo
unificato non è vincolato al valore della lite e, per particolari materie di
diritto amministrativo, sono fissati importi specifici.
23. Il giudice del rinvio rileva che, nell’ambito delle procedure di
aggiudicazione di appalti pubblici, il contributo unificato da versare è
considerevolmente più elevato degli importi da versare per le controversie
amministrative assoggettate al procedimento ordinario.
24. Detto giudice considera che la tassazione dei ricorsi dinanzi al
giudice amministrativo, soprattutto in materia di aggiudicazione di appalti
pubblici, possa dissuadere le imprese dal proporre un’azione giurisdi-
164
rivista trimestrale degli appalti
zionale e pone pertanto problemi di conformità con i criteri e i principi
dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Esso presume che il beneficio
dell’impresa sia pari, in genere, a circa il 10% dell’importo dell’appalto e
ritiene che il versamento anticipato di un contributo unificato superiore
all’importo di detto beneficio possa indurre gli amministrati a rinunciare
a taluni meccanismi processuali.
25. In tal modo, secondo il giudice del rinvio, la normativa nazionale
oggetto del procedimento principale limita il diritto di agire in giudizio,
incide sull’effettività del controllo giurisdizionale, discrimina gli operatori che possiedono una debole capacità finanziaria rispetto a quelli che
dispongono di un’elevata capacità finanziaria e li pone in una situazione
svantaggiosa rispetto a coloro che, nell’ambito delle proprie attività, adiscono i giudici civili e commerciali. Esso ritiene che il costo sopportato
dallo Stato ai fini del funzionamento della giustizia amministrativa in
materia di appalti pubblici non sia sensibilmente differente, distinto o più
elevato di quello relativo ai procedimenti legati ad altri tipi di contenzioso.
26. Il giudice del rinvio fa riferimento alla dottrina secondo la quale
il legislatore nazionale ha certamente inteso alleggerire il peso del contenzioso arretrato e facilitare sia la realizzazione di opere pubbliche sia
l’acquisizione pubblica di beni e servizi e rileva, al riguardo, che il contenzioso in materia di appalti pubblici ha avuto una significativa flessione
a partire dal 2012.
27. Detto giudice precisa che il valore dell’appalto pubblico, globalmente calcolato, è superiore al limite previsto dalla Direttiva 2004/18 e
considera, pertanto, che i principi di effettività, celerità, non discriminazione e accessibilità, di cui all’art. 1, Direttiva 89/665, siano applicabili al
procedimento principale. A suo avviso, la normativa nazionale in parola
viola tali principi nonché il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, ribadito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
(in prosieguo: la «Carta»).
28. Alla luce di quanto sopra, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre
alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se i principi fissati dalla Direttiva 89/665 (…) ostino ad una normativa
nazionale (…) che [ha] stabilito elevati importi di contributo unificato per
l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici».
Sulla ricevibilità delle osservazioni scritte presentate alla Corte
dalle parti intervenienti nel procedimento principale
29. Sono intervenuti nel procedimento principale a sostegno di Orizzonte Salute e hanno presentato osservazioni scritte alla Corte il Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei
diritti degli utenti e dei consumatori (Codacons), la Camera amministrativa
romana, l’Associazione dei consumatori cittadini europei, l’Ordine degli
avvocati di Roma, l’Associazione dei giovani amministrativisti e la Società
italiana degli avvocati amministrativisti (in prosieguo, congiuntamente:
gli «intervenienti nel procedimento principale»).
30. Il governo italiano fa valere l’irricevibilità delle osservazioni scritte
depositate dalle parti intervenute dopo la pronuncia della decisione di
rinvio e la sospensione del procedimento principale. Tale irricevibilità
discenderebbe dall’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unio-
giurisprudenza
165
ne europea e il giudice nazionale non potrebbe, dopo la sospensione del
procedimento, valutare la ricevibilità di un intervento successivo al rinvio.
Secondo tale governo, occorre escludere dagli atti le osservazioni scritte
depositate da persone fisiche e giuridiche diverse da quelle in causa alla
data in cui la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata introdotta, per
evitare che il procedimento si trasformi in actio popularis.
31. A tal riguardo occorre ricordare che, quanto alla partecipazione
al procedimento pregiudiziale, ai sensi dell’art. 96, § 1, del regolamento di
procedura, in combinato disposto con l’art. 23 dello Statuto della Corte,
possono presentare osservazioni dinanzi alla Corte le parti nel procedimento principale, gli Stati membri, la Commissione, nonché, eventualmente, l’istituzione, l’organo o l’organismo dell’Unione europea che ha adottato
l’atto sulla cui validità o interpretazione si controverte, gli Stati aderenti
all’accordo sullo Spazio economico europeo diversi dagli Stati membri,
l’Autorità di vigilanza AELS e gli Stati terzi interessati. Dato che l’elenco
contenuto in tali disposizioni è esaustivo, questo diritto non può essere
esteso a persone fisiche o giuridiche che non siano espressamente previste.
32. Le «parti nel procedimento principale», ai sensi dell’art. 97, § 1,
del regolamento di procedura, sono determinate in quanto tali dal giudice
del rinvio, conformemente alle disposizioni del diritto nazionale. Conseguentemente, spetta al giudice del rinvio determinare, secondo le norme
processuali nazionali, le parti del procedimento principale dinanzi ad
esso pendente.
33. Non spetta alla Corte verificare se una decisione del giudice del
rinvio che consente un intervento dinanzi ad esso sia stata adottata conformemente a tali norme. La Corte deve attenersi a tale decisione fintantoché
esso non sia stato revocato nell’ambito dei mezzi di ricorso previsti dal
diritto nazionale (v., per analogia, sentenze Radlberger Getränkegesellschaft e S. Spitz, C‑309/02, EU:C:2004:799, punto 26, nonché Burtscher,
C‑213/04, EU:C:2005:731, punto 32).
34. Orbene, nella specie non si sostiene che la decisione relativa all’ammissibilità delle parti intervenienti nel procedimento principale non sia
stata conforme alle norme che disciplinano il procedimento pendente
dinanzi al giudice del rinvio né che sia stato proposto un ricorso avverso
tale decisione.
35. Non può riconoscersi la qualità di «parte nel procedimento principale» ai sensi dell’art. 96, § 1, del regolamento di procedura, letto in
combinato disposto con l’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia, ad
una persona, e quest’ultima non può essere ammessa ad un procedimento
dinanzi alla Corte ai sensi dell’art. 267 TFUE, qualora questa persona
introduca dinanzi a un giudice nazionale la sua domanda di intervento
non per assumere un ruolo attivo nella prosecuzione dell’azione dinanzi al
giudice nazionale, ma al solo fine di partecipare al procedimento dinanzi
alla Corte (v., in tal senso, ordinanza Football Association Premier League
e a., C‑403/08 e C‑429/08, EU:C:2009:789, punto 9).
36. Tuttavia, occorre rilevare che nessun elemento del fascicolo indica che gli intervenienti nel procedimento principale non intenderebbero
assumere un ruolo attivo nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio
e vorrebbero manifestarsi esclusivamente nel contesto del procedimento
dinanzi alla Corte.
37. Infine, sarebbe incompatibile con il principio di buona amministra-
166
rivista trimestrale degli appalti
zione della giustizia e con l’esigenza di trattare le questioni pregiudiziali
entro un termine ragionevole il fatto che il procedimento scritto dinanzi
alla Corte, in ragione di successive ammissioni di interventi e del termine di
due mesi previsto dall’art. 23, comma 2, dello Statuto della Corte di giustizia per il deposito delle osservazioni scritte di tali intervenienti, non possa
concludersi o che la fase scritta del procedimento debba essere riaperta.
38. È in tale contesto che l’art. 97, § 2, del regolamento di procedura
della Corte prevede che, quando un giudice nazionale comunica alla Corte
l’intervento di una parte nuova nel procedimento principale, e la causa
è già pendente dinanzi alla Corte, la nuova parte accetti di assumere la
causa nello stato in cui essa si trova alla data di tale informazione.
39. In tal modo, la Corte può essere indotta a consentire che un interveniente nel procedimento principale depositi osservazioni scritte solo
entro il termine di cui godono, a tal fine, gli interessati ai sensi dell’art. 23
dello Statuto della Corte, ai quali la domanda di pronuncia pregiudiziale
è stata inizialmente notificata.
40. Si deve rilevare che, nell’ambito del presente procedimento, il
deposito delle osservazioni scritte delle parti intervenienti ammesse al
procedimento principale dal giudice del rinvio non ha costituito un rischio
per la buona amministrazione della giustizia né per il trattamento della
causa entro un termine ragionevole. La Corte ha pertanto considerato che
non occorreva far ricorso alla facoltà menzionata al punto che precede
della presente sentenza.
41. Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre respingere gli
argomenti del governo italiano intesi a far dichiarare irricevibili le osservazioni scritte depositate dagli intervenienti al procedimento principale.
Tali osservazioni scritte sottoposte alla Corte sono ricevibili.
Sulla questione pregiudiziale
42. Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se
l’art. 1, Direttiva 89/665 nonché i principi di equivalenza e di effettività
debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa
nazionale come quella oggetto del procedimento principale, la quale impone, all’atto di proposizione di un ricorso nei procedimenti giurisdizionali
amministrativi in materia di appalti pubblici, il versamento di tributi
giudiziari più elevati che in altre materie.
43. L’art. 1, § 1 e 3, Direttiva 89/665 impone agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari per garantire l’esistenza di ricorsi efficaci e
quanto più rapidi possibile contro le decisioni delle autorità aggiudicatrici
incompatibili con il diritto dell’Unione, garantendo un’ampia accessibilità
dei ricorsi da parte di chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere
l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere
leso a causa di una presunta violazione.
44. Tale Direttiva riconosce agli Stati membri un potere discrezionale
nella scelta delle garanzie procedurali da essa previste e delle formalità
ad esse relative (v. sentenza Combinatie Spijker Infrabouw-De Jonge Konstruktie e a., C‑568/08, EU:C:2010:751, punto 57).
45. Segnatamente, la Direttiva 89/665 non contiene alcuna disposizione
attinente specificamente ai tributi giudiziari da versare da parte degli amministrati per proporre, ai sensi dell’art. 2, § 1, lett. b, Direttiva medesima,
un ricorso di annullamento avverso una decisione asseritamente illegittima
giurisprudenza
167
relativa ad un procedimento di aggiudicazione di appalti pubblici.
46. Secondo costante giurisprudenza, in assenza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta a ciascuno Stato membro, in forza del principio
di autonomia processuale degli Stati membri, stabilire le modalità della
procedura amministrativa e quelle relative alla procedura giurisdizionale
intese a garantire la tutela dei diritti spettanti agli amministrati in forza del
diritto dell’Unione. Tali modalità procedurali non devono, tuttavia, essere
meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti per la
tutela dei diritti derivanti dall’ordinamento interno (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile
l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenze Club Hotel Loutraki e a., C‑145/08 e C‑149/08,
EU:C:2010:247, punto 74 nonché eVigilo, C‑538/13, EU:C:2015:166, punto 39).
47. Inoltre, dato che siffatti tributi giudiziari costituiscono modalità
procedurali di ricorso giurisdizionale destinate ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione ai candidati ed agli
offerenti lesi da decisioni delle autorità aggiudicatrici, essi non devono
mettere in pericolo l’effetto utile della Direttiva 89/665 (v., in tal senso,
sentenze Universale-Bau e a., C‑470/99, EU:C:2002:746, punto 72, nonché
eVigilo, C‑538/13, EU:C:2015:166, punto 40).
48. Per quanto riguarda il principio di effettività, la Corte ha già avuto
modo di affermare che esso implica un’esigenza di tutela giurisdizionale,
sancita dall’art. 47 della Carta, che il giudice nazionale è tenuto a rispettare (v., in tal senso, sentenza Sánchez Morcillo e Abril García, C‑169/14,
EU:C:2014:2099, punto 35 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
49. In tal senso, l’art. 1, Direttiva 89/665 deve necessariamente essere
interpretato alla luce dei diritti fondamentali sanciti da tale Carta, in particolare il diritto al ricorso effettivo dinanzi a un giudice, previsto dal suo
art. 47 (v., in tal senso, sentenza Ryneš, C‑212/13, EU:C:2014:2428, punto 29).
50. Occorre pertanto verificare se una normativa come quella oggetto
del procedimento principale possa essere considerata conforme ai principi
di equivalenza e di effettività nonché all’effetto utile della Direttiva 89/665.
51. I due aspetti di questa verifica riguardano, da una parte, l’importo
del contributo unificato da versare per la proposizione di un ricorso in
procedimenti giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici
e, dall’altra, l’ipotesi di cumulo di tali contributi versati nel contesto di
una stessa procedura giurisdizionale amministrativa in materia di appalti
pubblici.
Sul contributo unificato da versare per la proposizione di un
ricorso in procedimenti giurisdizionali amministrativi in materia
di appalti pubblici
52. In primo luogo, occorre ricordare, al pari del governo austriaco,
che, ai sensi dell’art. 1, § 1, Direttiva 89/665, detta Direttiva si applica agli
appalti di cui alla Direttiva 2004/18, a meno che tali appalti siano esclusi
a norma degli artt. da 10 a 18, Direttiva.
53. Orbene, ai sensi dell’art. 7, che si trova nel capo II, Direttiva
2004/18, intitolato «Campo di applicazione», detta Direttiva si applica
solo agli appalti pubblici il cui valore stimato al netto dell’imposta
sul valore aggiunto è pari o superiore alle soglie previste dalla stessa
disposizione.
168
rivista trimestrale degli appalti
54. Ne consegue che agli appalti pubblici di servizi aggiudicati da
amministrazioni aggiudicatrici diverse da autorità governative centrali il
cui valore sia inferiore a euro 193.000 non si applica la Direttiva 2004/18
e, conseguentemente, nemmeno la Direttiva 89/665.
55. Per quanto riguarda il principio di effettività, occorre ricordare
che il regime dei tributi giudiziari oggetto del procedimento principale
prevede tre importi fissi di contributo unificato pari a euro 2 000, 4 000
e 6 000, per le tre categorie di appalti pubblici, vale a dire quelli di valore
pari o inferiore a euro 200 000, quelli il cui valore è tra euro 200.000 e
1.000.000, e quelli il cui valore è superiore a euro 1.000.000.
56. Dagli atti sottoposti alla Corte risulta che il sistema degli importi
fissi di contributo unificato è proporzionale al valore degli appalti pubblici
che ricadono in queste tre differenti categorie a possiede, complessivamente inteso, carattere degressivo.
57. Infatti, il contributo unificato da versare, espresso in percentuale
dei valori «limite» delle tre categorie di appalti pubblici, varia dall’1,0%
all’1,036% del valore dell’appalto se esso è tra euro 193.000 e 200.000,
dallo 0,4 al 2,0% se tale valore si situa tra euro 200 000 e 1.000.000, e
corrisponde allo 0,6% del valore dell’appalto o a una percentuale inferiore,
se detto valore è superiore a euro 1.000.000.
58. Orbene, i tributi giudiziari da versare per proporre ricorsi giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici che non siano superiori
al 2% del valore dell’appalto in questione non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti
dall’ordinamento giuridico dell’Unione in materia di appalti pubblici.
59. Nessuno degli elementi dedotti dal giudice del rinvio o dagli interessati che hanno presentato osservazioni alla Corte rimette in questione
tale affermazione.
60. Segnatamente, per quanto riguarda la fissazione del contributo unificato in funzione del valore dell’appalto oggetto del procedimento principale
e non in funzione del beneficio che l’impresa partecipante al bando di gara
può legittimamente attendersi dall’appalto stesso, occorre indicare, da un
canto, che diversi Stati membri riconoscono la possibilità di calcolare i tributi
processuali da versare basandosi sul valore dell’oggetto della controversia.
61. D’altro canto, come rilevato dall’Avvocato generale al § 40 delle
conclusioni, nell’ambito degli appalti pubblici un sistema che imponga
calcoli specifici per ogni procedura di aggiudicazione di un appalto e
per ogni impresa, il cui risultato potrebbe essere contestato, risulterebbe
complicato e imprevedibile.
62. Quanto all’applicazione del contributo unificato italiano a svantaggio degli operatori che possiedono una debole capacità finanziaria, occorre rilevare, da un canto, al pari della Commissione, che tale contributo
è imposto indistintamente, quanto alla sua forma e al suo importo, nei
confronti di tutti gli amministrati che intendano proporre ricorso avverso
una decisione adottata dalle amministrazioni aggiudicatrici.
63. Occorre rilevare che tale sistema non crea una discriminazione
tra gli operatori che esercitano nel medesimo settore di attività.
64. Peraltro, risulta dalle disposizioni delle direttive dell’Unione in
materia di appalti pubblici, quali l’art. 47, Direttiva 2004/18, che la partecipazione di un’impresa ad un appalto pubblico presuppone una capacità
economica e finanziaria adeguata.
giurisprudenza
169
65. Infine, sebbene la parte ricorrente abbia l’obbligo di anticipare
il contributo unificato all’atto di proposizione del proprio ricorso giurisdizionale avverso una decisione in materia di appalti pubblici, la parte
soccombente è tenuta, in linea di principio, a rimborsare i tributi giudiziari
anticipati dalla parte che risulta vincitrice.
66. Quanto al principio di equivalenza, la circostanza per la quale, nell’ambito delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, il contributo unificato da versare è considerevolmente più elevato, da una parte, degli importi
da versare per le controversie amministrative assoggettate al procedimento
ordinario e, dall’altra parte, dei tributi giudiziari percepiti nei procedimenti
civili, non può, di per sé, dimostrare una violazione di detto principio.
67. Il principio di equivalenza, infatti, come è stato ricordato al punto
46 della presente sentenza, implica un pari trattamento dei ricorsi fondati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, simili, fondati su
una violazione del diritto dell’Unione, e non l’equivalenza delle norme
processuali nazionali applicabili a contenziosi di diversa natura, quali
il contenzioso civile, da un lato, e quello amministrativo, dall’altro, o a
contenziosi che ricadono in due differenti settori del diritto (v. sentenza
ÖBB Personenverkehr, C‑417/13, EU:C:2015:38, punto 74).
68. Nella specie, nessuno degli elementi fatti valere dinanzi alla Corte
è tale da supportare l’argomento secondo cui il sistema del contributo
unificato italiano si applicherebbe in modo diverso ai ricorsi fondati
su diritti che spettano agli amministrati in forza del diritto dell’Unione
relativo agli appalti pubblici rispetto a quelli che si fondano sulla violazione del diritto interno aventi il medesimo oggetto.
69. Se ne deve trarre la conclusione che i tributi giudiziari da versare
all’atto di proposizione di un ricorso nei procedimenti giurisdizionali
amministrativi in materia di appalti pubblici, quali il contributo unificato oggetto del procedimento principale, non lede né l’effetto utile della
Direttiva 89/665 né i principi di equivalenza e di effettività.
Sul cumulo dei contributi unificati versati nel contesto di una stessa
procedura giurisdizionale amministrativa in materia di appalti pubblici
70. Secondo la normativa nazionale, il contributo unificato deve
essere versato non solo all’atto del deposito del ricorso introduttivo del
giudizio avverso la decisione adottata da un’amministrazione aggiudicatrice in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, ma il medesimo
importo deve essere parimenti versato per i ricorsi incidentali e i motivi
aggiunti che introducono domande nuove nel corso del giudizio.
71. Dalla decisione di rinvio risulta che, ai sensi di una circolare del
Segretario generale della giustizia amministrativa del 18 ottobre 2001,
solo l’introduzione di atti procedurali autonomi rispetto al ricorso introduttivo del giudizio e intesi ad estendere considerevolmente l’oggetto
della controversia dà luogo al pagamento di tributi supplementari.
72. La percezione di tributi giudiziari multipli e cumulativi nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale amministrativo non si
pone in contrasto, in linea di principio, né con l’art. 1, Direttiva 89/665,
letto alla luce dell’art. 47 della Carta, né con i principi di equivalenza
e di effettività.
73. Una tale percezione, infatti, contribuisce, in linea di principio,
al buon funzionamento del sistema giurisdizionale, in quanto essa
costituisce una fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale
170
rivista trimestrale degli appalti
degli Stati membri e dissuade l’introduzione di domande che siano
manifestamente infondate o siano intese unicamente a ritardare il
procedimento.
74. Tali obiettivi possono giustificare un’applicazione multipla di
tributi giudiziari come quelli oggetto del procedimento principale solo
se gli oggetti dei ricorsi o dei motivi aggiunti sono effettivamente distinti e costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della
controversia già pendente.
75. Se la situazione non è in tali termini, l’obbligo di pagamento
aggiuntivo di tributi giudiziari in ragione della presentazione di tali
ricorsi o motivi si pone, invece, in contrasto con l’accessibilità dei mezzi
di ricorso garantita dalla Direttiva 89/665 e con il principio di effettività.
76. Quando una persona propone diversi ricorsi giurisdizionali
o presenta diversi motivi aggiunti nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale, la sola circostanza che la finalità di questa
persona sia quella di ottenere un determinato appalto non comporta
necessariamente l’identità di oggetto dei suoi ricorsi o dei suoi motivi.
77. Nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta
al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un
amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto dello
stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti
non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento
considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a
dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.
78. Peraltro, dinanzi alla Corte non è stato sollevato alcun argomento tale da rimettere in questione la conformità del cumulo delle
contribuzioni unificate con il principio di equivalenza.
79. Considerato quanto precede, occorre risolvere la questione
presentata come segue:
– L’art. 1, Direttiva 89/665 nonché i principi di equivalenza e di
effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a
una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale,
all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici
dinanzi ai giudici amministrativi.
– L’art. 1, Direttiva 89/665 nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei
confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali
relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale
amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per
poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di
appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso.
Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al
giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso
procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono
effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare
l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.
giurisprudenza
171
Sulle spese
80. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente
causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui
spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
1) L’art. 1, Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989,
che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di
aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come
modificata dalla Direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, dell’11 dicembre 2007, nonché i principi di equivalenza e di
effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a
una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale,
all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici
dinanzi ai giudici amministrativi.
2) L’art. 1, Direttiva 89/665, come modificata dalla Direttiva 2007/66,
nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che
introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale amministrato sia obbligato a
versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti
relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto
di un procedimento giurisdizionale in corso. Tuttavia, nell’ipotesi di
contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale
esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei
motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento.
Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente
distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto
della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato
dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.
172
rivista trimestrale degli appalti
La decisione della Corte di giustizia europea sul contributo
unificato in materia di appalti pubblici: “andata e ritorno” dal
sistema italiano di tutela
Sommario: 1. Premessa – 2. La disciplina del contributo unificato per i contenziosi in materia di affidamenti di contratti pubblici – 3. La sentenza
del TAR Lombardia e l’ordinanza di rimessione del TRGA Trento – 4. La
decisione della Corte di giustizia Ue, C-61/14, 6 ottobre 2015. – 5. Gli spunti
critici. – 6. Gli scenari interni.
1. Premessa. – Dal 2006 in Italia è richiesto il pagamento di
importo significativo a titolo di contributo unificato, qualora si
intenda adire il giudice amministrativo per mettere in dubbio un
atto di affidamento di un appalto pubblico.
Ad una prima lettura, questa potenziale barriera di ingresso al
sistema di giustizia amministrativa è incomprensibile ed anzi inaccettabile agli occhi dell’operatore di diritto per così dire “ingenuo”.
In un sistema di giurisdizione soggettiva come il nostro, ove
non vi è un procuratore dello Stato che possa promuovere d’ufficio
avanti il giudice amministrativo azioni a tutela della legalità, sarebbe da attendersi che sempre lo Stato abbia una doppia ragione
per sostenere le iniziative giudiziali dei privati in materia di appalti
pubblici. La prima, in quanto lo Stato è il garante istituzionale
della piena effettività del diritto alla difesa e del giusto processo
(artt. 24 e 111, Cost.) di cui ogni soggetto giuridico della comunità è portatore; la seconda, in quanto dovrebbe essere soggetto
interessato al maggior controllo possibile sull’attività svolta dal
proprio plesso amministrativo, in un settore così sensibile come
quello dei contratti pubblici, controllo che si concretizza avanti
il giudice amministrativo solo se c’è un operatore privato pronto
a farsi avanti, pur se per interessi egoistici. Ma se è vero quanto
sopra, non si spiega il progressivo aumento registrato in questi
anni del contributo unificato in materia di appalti pubblici, salvo
giungere alla conclusione che lo Stato sia disattento ed irrazionale.
L’altra lettura, abbandonando ogni ingenuità, è invece che lo
Stato (recte il Governo o meglio i Governi che si sono succeduti),
forse sbagliando, stia perseguendo altri interessi. Ovvero che con
l’aumento del contributo unificato lo Stato, pur senza dichiararlo,
intenda scoraggiare i ricorsi pretestuosi ed assicurarsi maggiori
entrate per l’Erario. Le ulteriori ipotesi, di cui si potrà solo fare
un accenno, è che, ancora più in profondità, vi sia una diffusa
considerazione tra i “normatori” che il giudizio amministrativo
in materia di appalti pubblici sia un contenzioso tra le imprese e
nell’interesse principalmente di queste, che non porta beneficio
sostanziale agli interessi pubblici, anzi che spesso ritarda la loro
soddisfazione; che gli interessi pubblici di settore principalmente
giurisprudenza
173
da tutelare abbiano protagonisti non giudiziali, ossia i soggetti
aggregatori per la spending review e l’ANAC per la piaga della corruzione; che lo Stato non abbia (o non voglia destinare) ulteriori
risorse economiche per il sistema di giustizia amministrativa.
Premesso quanto sopra, quello che ci si propone di analizzare,
con il presente contributo, è come si è arrivati alla decisione della
Corte di giustizia, quanto da essa deciso ed i suoi effetti sul sistema
italiano di tutela in materia di contratti pubblici, alla luce di una
lettura, in parte “ingenua” ed in parte realistica delle problematiche
e degli interessi coinvolti.
2. La disciplina del contributo unificato per i contenziosi in
materia di affidamenti di contratti pubblici. – In termini generali,
i costi del processo amministrativo possono dividersi in necessari
(il contributo unificato), normali (le spese di giudizio, dato che
possono essere compensate) ed eventuali (spese aggravate, sanzioni
pecuniaria, astrainte)1.
In base all’attuale d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (testo unico in
materia di spese di giustizia), è dovuto il pagamento di un’imposta
denominata contributo unificato per l’iscrizione a ruolo dei giudizi
civili, tributari ed amministrativi. L’art. 13, d.P.R. n. 115 specifica
gli importi dovuti a seconda dei diversi giudizi e, relativamente a
quelli amministrativi, il comma 6 bis lett. c prevede che per i giudizi
in materia di affidamento di lavori, di servizi e di forniture (ex art.
119, comma 1, lett. a e b, d.lgs. n. 104 del 2010, Codice del processo
amministrativo), il contributo dovuto è di euro 2.000, quando il
valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; euro
4.000, quando il valore della controversia è di importo compreso
tra euro 200.000 e 1.000.000; euro 6.000, quando il valore della
controversia è di importo superiore a 1.000.000 di euro. È inoltre
dovuto il contributo unificato in materia di appalti tanto per le
domande proposte con il ricorso introduttivo quanto per i motivi
aggiunti ed anche per il ricorso incidentale. In caso di appello, il
contributo unificato è pari a quello del giudizio di primo grado,
aumentato della metà.
Il quadro normativo sopra accennato è il frutto di diversi interventi del legislatore, susseguitisi negli ultimi dieci anni.
L’art. 21, comma 4, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con
modificazioni in l. 4 agosto 2006 n. 248, ha determinato in via
forfettaria in euro 500 il contributo unificato per tutti i giudizi
amministrativi, secondo la regolazione governativa al fine di sem-
(1) F. G. Scoca, Il “costo” del processo tra misura di efficienza ed ostacolo all’accesso, in Dir. proc. amm., 2014, p. 1419.
174
rivista trimestrale degli appalti
plificare la verifica del personale amministrativo del TAR e Consiglio di Stato in tema di valore del ricorso, partendo dall’assunto
che in massima parte le controversie amministrative fossero da
ritenersi di valore indeterminato2.
Pochi mesi dopo l’art. 1, comma 1307, l. 23 dicembre 2006, n.
296 ha modificato l’impostazione del contributo unificato unico
ed ha previsto, in materia di giudizi amministrativi e per quanto
qui interessa, un contributo di euro 2.000 per i giudizi relativi
all’affidamento degli appalti pubblici, ad opinione della dottrina
sulla scorta della particolare efficienza e celerità che garantisce
il rito appalti3.
L’art. 3, comma 11, all. 4, Codice del processo amministrativo,
entrato in vigore il 16 settembre 2010, ha previsto che il contributo
unificato fosse dovuto anche in caso di ricorso incidentale e di
motivi aggiunti che introducono domande nuove.
L’art. 37, comma 6, lett. s, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito
in l. 15 luglio 2011, n. 111, ha innalzato il contributo unificato in
materia di appalti da euro 2.000 ad euro 4.000.
Il successivo e ad oggi ultimo intervento normativo ha modificato l’assunto di un importo unico di contributo unificato in
materia di appalti, differenziando il dovuto a seconda del valore
della controversia, intesa come importo messo a gara. Infine, con
la riedizione dell’art. 37, comma 6, lett. s, cit., come modificato
dall’art. 1, comma 25, lett. a, nn. 1, 2 e 3, l. 24 dicembre 2012, n.
228, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il contributo in materia di
appalti è stato infatti articolato nei termini riportati all’inizio del
presente paragrafo.
Al fine di una corretta applicazione della normativa da ultimo
richiamata, il Segretariato generale della giustizia amministrativa
ha adottato la circolare 18 ottobre 2011, ad oggetto “Istruzioni
sull’applicazione della disciplina in materia di contributo unificato
nel processo amministrativo”.
Contestualmente a questo crescendo impositivo, la dottrina ha
mostrato una sempre maggiore attenzione al tema dell’incidenza
del contributo unificato sul giudizio. Ciò in termini di lesione del
diritto alla difesa dei singoli ma anche, in una prospettiva a più
ampio spettro, di minore tutela degli interessi pubblici di settore 4,
(2) Come segnalato da R. Giani, Le novità del decreto Bersani in materia di giustizia, appalti e pubblica amministrazione, in Urbanistica e appalti, 2006, p. 1165.
(3) R. De Nictolis, Il nuovo contributo unificato nel processo amministrativo,
in Urbanistica e appalti, 2007, p. 141.
(4) Al riguardo crf., L. Gili, Avvocato, ma quanto mi costa? (Nota e divagazioni
sull’attuale diritto alla difesa in materia di affidamenti di contratti pubblici), in Dir.
econ., 2012, n. 2, p. 355 ss. ed ivi richiami dottrinali. Inoltre, ex multis, F.G. Scoca,
giurisprudenza
175
con il rischio anche di limitare il presidio pubblico di tutela esclusivamente a livello penale, a cui i privati possono accedere senza
pagare tributi ma rischiando così di inflazionare un settore della
giustizia già con i suoi problemi, a prescindere che, come noto,
non sempre un atto illegittimo corrisponde ad un reato5.
3. La sentenza del TAR Lombardia e l’ordinanza di rimessione
del TRGA Trento. – Le possibili risposte correttive dell’ordinamento
al quadro normativo venutasi a creare parevano sostanzialmente
tre: la prima, a fronte di un ripensamento legislativo in termini di
riduzione dell’importo e/o limitazione al solo ricorso introduttivo;
la seconda, a fronte di un intervento della Corte costituzionale adita
in via incidentale, confidando in una declaratoria di incostituzionalità della norma per violazione del diritto alla difesa, del giusto
processo ed ancor prima del principio di ragionevolezza; la terza,
a fronte di una decisione della Corte di giustizia, accertante la non
conformità della normativa interna con la normativa comunitaria
in materia di appalti e la loro possibilità di tutela (principalmente
alla luce della “Direttiva ricorsi”, 21 dicembre 1989 n. 89/665/CEE
e successive modificazioni ed integrazioni).
La prima strada appariva impraticabile, visto il chiaro e voluto
intento del legislatore di aumentare l’importo del contributo unificato in materia di appalti pubblici. Del pari improbabile appariva
attendersi a breve l’intervento della Corte costituzionale, atteso che
la stessa aveva in più occasioni affermato che l’imposizione del
contributo unificato non fosse costituzionalmente illegittima in
quanto l’omesso versamento del contributo unificato non è causa
di improcedibilità dell’azione, nonché il fatto che di regola rientrasse nella discrezionalità del legislatore determinarne l’importo6.
Ad opinione di molti l’unica strada percorribile appariva dunque quella che portava alla Corte di giustizia, previa questione
pregiudiziale da proporsi avanti giudice amministrativo, ritenuto
sul tema più sensibile del giudice tributario.
Così si spiega il ricorso di marzo 2013 proposto avanti il TAR
Lombardia, Milano da diversi avvocati in proprio, i quali impugnavano la nota del Segretario generale del TAR locale che riportava
op. cit.; F. Volpe, Una storia francese (ancora sul contributo unificato), in www.
lexitalia.it, n. 1, 2014.
(5) N. D’Alessandro, Le invasioni barbariche (nel processo amministrativo). La
demolizione del processo amministrativo diffuso anche mediante l’aumento del costi
per l’accesso della Giustizia, in www.lexitalia.it, n. 9, 2011.
(6) Si v. Corte cost., ord. 6 maggio 2010, n. 164, in Rep. Foro it, 2011, voce
“Contratti pubblici”, n. 1748. Per un’analisi dell’orientamento della Corte Costituzionale in tema di contributo unificato, v. R.G. Rodio, Alcuni rilievi costituzionali sul
contributo unificato nel processo amministrativo, in www.osservatorioaic.it, 2014.
176
rivista trimestrale degli appalti
gli importi da versare per il pagamento dei contributi unificati,
ritenendola in contrasto con le Direttive n. 89/665/CEE, n. 92/13/
CEE, n. 2007/66/CE, n. 17/2004/CE e n. 18/2004/CE, l’art. 47,
comma 1 della Carta fondamentale dell’Unione europea in tema
di effettività di tutela, gli artt. 6 e 14 della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nonché con i principi generali del Trattato UE di non discriminazione, di proporzionalità
e di tutela della concorrenza.
Con sentenza 19 luglio 2013, n. 19277 il TAR Lombardia rigettava il ricorso per inammissibilità, ritenendo che la controversia
fosse di spettanza del giudice tributario, nonché per mancanza di
lesività della impugnata nota del Segretario generale.
Pubblicata la sentenza su diversi siti di settore, qui pareva
conclusa la vicenda della possibilità di sollevare la pregiudiziale
comunitaria in sede di giudizio amministrativo.
Quanto non vagliato avanti il TAR Lombardia trovava invece
spazio avanti il TRGA Trento, che con ordinanza 29 gennaio 2014,
n. 238 rimetteva alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale
se la Direttiva n. 89/665/CEE e successive modifiche integrative
ostasse ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli
artt. 13, comma 1 bis, 1 quater e 6 bis, e 14, comma 3 ter, d.P.R. n.
115 del 2002, di stabilire elevati importi di contributo unificato
per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti
pubblici.
La controversia posta all’attenzione del giudice trentino riguardava un ricorso introduttivo ed un ricorso per motivi aggiunti
promosso da un’associazione temporanea di impresa, seconda graduata, avverso l’aggiudicazione di un appalto di servizi sopra soglia
comunitaria, nonché avverso il provvedimento del dirigente e del
TAR di invito a pagamento di un maggiore contributo unificato.
Il TAR si focalizzava sui motivi aggiunti, affrontando in primis
la questione della giurisdizione, rilevando che “il Collegio non
esita a riconoscere che il contributo unificato ha natura di tributo
(…); tuttavia, nella specie, all’esame viene in evidenza un atto del
Segretario generale di questo TRGA. che ha natura e consistenza di provvedimento amministrativo, emanato nell’esercizio di
discrezionalità tecnica (si tratta dell’uso e di interpretazione di
(7) In www.giustizia-amministrativa.it.
(8) In Rep. Foro it, 2014, voce “Spese di giustizia”, n. 30. A commento dell’ordinanza, si v. L. Presutti, L’incompatibilità del contributo unificato negli appalti
pubblici con la Direttiva ricorsi, in Urbanistica e appalti, n. 6 del 2014, p. 708 ss. Va
nel contempo segnalato che il TRGA Trento, con ordinanza 23 ottobre 2014 , n.
366, in Rep. Foto it., 2014, voce “Spese di giustizia”, n. 29, ha rimesso nuovamente
pari questione alla Corte di giustizia.
giurisprudenza
177
norme processuali): come tale dunque sottoposto alla giurisdizione
di legittimità del giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 103,
comma 1 e 113, comma 1, Cost e dell’art. 7, Codice del processo
amministrativo”.
Superato così il principale ostacolo, relativo alla giurisdizione, data la rilevanza comunitaria dell’appalto il giudice riteneva
operante la Direttiva n. 89/665/CEE e successive modificazioni
ed integrazioni, il cui art. 1 prevede che i principi di efficacia, di
celerità, di non discriminazione e di accessibilità devono essere
garantiti nell’ordinamento interno ai fini della effettiva tutela delle
posizioni giuridiche nelle imprese. Continuava il giudice trentino
rilevando come, pur se il previo pagamento del contributo unificato non fosse condizione di ammissibilità e di procedibilità del
ricorso, l’esborso anticipato di cifre elevate in molti casi superiore
allo stesso utile di impresa (da calcolare in relazione all’importo
dell’appalto), poteva facilmente comportare, specialmente per gli
appalti di non elevatissimo importo, comprensibili situazioni di
rinuncia da parte dell’interessato alla scelta di proporre ricorso
giurisdizionale. Le criticità maggiori venivano rilevate nel fatto
che il contributo è determinato a prescindere dal valore effettivo
della controversia ed è ancorato a un valore teorico, la base d’asta,
senza tenere conto dell’effettivo utile d’impresa ricavabile dall’aggiudicazione dell’appalto, con evidenti discrasie rispetto anche al
settore del giudizio civile.
Il TAR riconosceva la contraddittorietà della norma nazionale
anche perché discrimina irrazionalmente gli esercenti le professioni legali che operano nel settore degli appalti pubblici, costretti a
scelte processuali non libere ma condizionate dalla necessità del
previo pagamento del contributo unificato da richiedere immediatamente al cliente.
Il giudice trentino sollevava inoltre perplessità in merito a un
contributo unificato che avrebbe dovuto essere parametrato ai
costi sopportati dallo Stato per l’organizzazione, funzionamento
dell’apparato giurisdizionale, mentre emergeva che la misura del
contributo unificato non servisse a coprire specifici e differenziati
costi della giustizia nella particolare materia degli appalti ma perseguiva scopi diversi: “È opinione diffusa in dottrina, tra gli operatori
giuridici e tra gli stessi magistrati, infatti, che il legislatore italiano
abbia voluto ostacolare l’accessibilità ai mezzi di ricorso in materia
di appalti, rispetto alle altre materie del contenzioso amministrativo,
mediante l’imposizione di una tassazione esagerata, illogica, iniqua
e sproporzionata, con le finalità di deflazionare tale contenzioso”.
4. La decisione della Corte di giustizia U.E., C-61/14, 6 ottobre
2015. – La questione giunge dunque alla Corte di giustizia, la quale
178
rivista trimestrale degli appalti
con sentenza C-61 del 6 ottobre 2015 ritiene non fondate tutte le
questioni pregiudiziali sollevate.
Il giudice di Lussemburgo addiviene a questa conclusione partendo dal presupposto che il contributo unificato per accedere o
per proseguire un giudizio amministrativo in materia di pubblici
appalti sia un tributo giudiziario che rientri nell’ambito delle
“modalità procedurali” di proposizione del ricorso per la tutela dei
diritti riconosciuti dall’Unione, che è area rimessa all’autonomia
processuale dei singoli Stati membri, non contenendo la Direttiva
n. 89/665/CEE una previsione specifica al riguardo9.
La verifica di computabilità della normativa italiana viene
circoscritta dalla Corte alle modalità di presentazione dei ricorsi
per gli appalti a rilevanza comunitaria, se più gravose rispetto
alle modalità prescritte per ricorsi analoghi di diritto interno
(principio di equivalenza), nonché al dubbio che tali modalità
rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile
l’esercizio dei diritti riconosciuti a livello comunitario (principio
di effettività).
La Corte di giustizia svolge questa verifica vagliando prima il
caso del contributo unificato da versare all’avvio del giudizio (punti
52-69) e poi quello del cumulo di contributi unificati da versare
nello stesso giudizio (punti 70-78).
Relativamente al contributo unificato iniziale, il principio di
equivalenza non viene ritenuto violato, in quanto il fatto che per
i contenziosi civili in Italia il tributo giudiziario sia sensibilmente
minore rispetto a quello previsto per i contenziosi avanti i giudici
amministrativi per gli appalti pubblici non è circostanza rilevante,
atteso che, ai fini del principio in esame, il raffronto va condotto
tra gli strumenti di tutela per i diritti attribuiti dall’ordinamento
interno e quelli per i diritti attribuiti dall’Unione (punti 66-69), in
merito a cui la Corte non ravvisa discordanze.
Quanto invece alla verifica del rispetto del principio di effettività, la considerazione è che la normativa italiana, prevedendo un
contributo unificato in termini percentuali che si pone tra l’1,0% e
il 2,0% del valore dell’appalto, non risulta tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti
conferiti dall’Unione in materia di appalti pubblici (punti 57 e 58).
Correlato a questa considerazione vi è quella, a monte, di ritenere
giustificato la fissazione del contributo unificato in funzione del
(9) Peraltro, in termini di possibilità dell’Unione di disciplinare le modalità di
applicazione del diritto europeo in tema di contratti pubblici, cfr. M. Ramajoli, Esiste
un diritto processuale europeo in materia di contratti pubblici ?, Relazione al Convegno “Il sistema della giustizia amministrativa negli appalti pubblici in Europa”,
Università degli Studi di Milano, 20 maggio 2011, in www.giustamm.it, n. 11, 2011.
giurisprudenza
179
valore dell’appalto e non del beneficio che l’impresa partecipante
può attendersi dalla gara, in quanto sarebbe un calcolo complicato
ed imprevedibile (punti 60 e 61). La Corte ritiene non leso il principio di effettività neppure dalla circostanza che molte imprese
che partecipano alla gare pubbliche abbiano una debole capacità
finanziaria e quindi che un contributo unificato oggettivamente
rilevante limiti la possibilità di accesso alla giustizia, in quanto le
imprese se intendono aggiudicarsi un appalto pubblico secondo
la Corte devono di per sé avere una capacità economica e finanziaria adeguata (punto 64). Del pari non è stato ritenuto rilevante
che il contributo unificato vada versato in anticipo, dato che la
parte soccombente è tenuta a rimborsare anche i tributi giudiziari
anticipati dalla parte risultata vincitrice (punto 65).
Sul contributo unificato aggiuntivo, la Corte parimenti respinge la questione di incompatibilità ma apre nel contempo uno
spiraglio importante, attribuendo al giudice nazionale un potere
di esenzione.
La previsione di tributi giudiziari multipli e cumulativi non
viene infatti ritenuta in contrasto con l’art. 1, Direttiva n. 89/665/
CEE, né con i principi di equivalenza e di effettività, in quanto,
sempre secondo la Corte, detti tributi contribuiscono al buon
funzionamento del sistema giurisdizionale in quanto fonti di
finanziamento e perché dissuadono l’introduzione di domande
manifestamente infondate o destinate unicamente a ritardare il
giudizio (punto 73). L’apertura è nella parte finale della decisione (punti 74 – 77), nella parte in cui la Corte di giustizia, ritiene
che il giudice nazionale, qualora accerti che le ragioni dei nuovi
motivi o delle domande non siano effettivamente distinti o non
costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della
controversia già pendente, abbia il potere su istanza di parte di
dispensare questa ultima dall’obbligo di pagamento di ulteriori
tributi giudiziari.
5. Gli spunti critici. – La decisione della Corte di giustizia ha
registrato critiche e dissensi da parte della dottrina10 ed è stata
accolta con delusione dai tanti operatori del diritto che riponevano
nel giudice comunitario le speranze di normalizzare i “costi fissi”
(10) Si v., per un’analisi ad ampio spettro, F. Saitta, Effettività di tutela e costo del processo amministrativo in materia di appalti: la (discutibile) opinione dei
giudici europei sul contributo unificato, in www.lexitalia.it, n. 10 del 2015, nonché
G. Cumin, L’impatto della sentenza n. C-61 della Corte di giustizia in materia di contributo unificato, in www.lexitalia, n. 10, 2015, contributo questo particolarmente
interessante per la questione dell’intervento del giudice/Uffici di Segreteria del TAR
al fine dell’eventuale esclusione del contributo cumulativo.
180
rivista trimestrale degli appalti
di accesso al contenzioso in materia di affidamento di appalti
pubblici.
Focalizzandosi sugli aspetti di maggiore interesse, la prima
osservazione è che la Corte non risulta avere dedicato attenzione
alla compatibilità della normativa italiana rispetto al principio
comunitario di proporzionalità delle limitazioni all’esercizio dei
diritti e delle libertà, di cui all’art. 52, § 1, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
L’ordinanza di rinvio del TRGA Trento aveva invece un forte
richiamo a detto principio, sulla scorta della considerazione che se
la normativa nazionale non può eccedere i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente
perseguiti da ciascuno Stato, parimenti devono essere proporzionati e giustificati i costi di accesso al sistema di tutela in materia
di appalti pubblici (ordinanza, punti 26 e 28). Probabilmente non
è un caso che la Corte abbia mitigato l’operatività del contributo
cumulativo alla luce del principio di effettività − riconoscendo
come si è detto l’esistenza del potere del giudice nazionale (che
sino ad ora non aveva o non sapeva di avere) di dispensarne il
pagamento in caso di oggetti effettivamente distinti o che non
comportino un ampliamento considerevole – e non alla luce del
principio di proporzionalità, invece espressamente evocato sul
punto dall’Avvocato Generale nelle sue Conclusioni.
Qualora la Corte di giustizia avesse vagliato la questione anche
sotto la luce del principio di proporzionalità, forse l’esito della decisione avrebbe potuto essere diverso o comunque l’analisi sarebbe
stata probabilmente più di merito. Dall’altro canto è peculiare che
la Corte, pur non svolgendo il test di proporzionalità, ritenga in
modo assertivo che il tributo giudiziario di cui si discute appaia
giustificato in quanto contribuisce al buon funzionamento del
sistema giurisdizionale come fonte di suo finanziamento e perché
dissuade l’introduzione di domande infondate o comunque intese
a ritardare il procedimento (punto 73), facendo quasi intendere
che un contributo unificato non irrisorio sia non dannoso, ma
anzi utile per una “buona giustizia” in materia di appalti pubblici.
La seconda osservazione è che appare criticabile tanto l’affermazione della sentenza (punti 60-61) quanto le Conclusioni
dell’Avvocato generale (punti 39-41), a cui la Corte di giustizia
rinvia, secondo cui è corretto e giustificato l’ancoraggio della tassa
da pagare non all’utile effettivo o presunto ma al valore globale
dell’appalto, allontanando così dal mondo reale ogni considerazione conseguente. Appare inoltre non condivisibile l’affermazione
dell’Avvocato Generale, secondo cui sarebbe “un sistema in cui
l’utile atteso fosse valutato singolarmente per ogni procedura di
aggiudicazione di un appalto e/o per ogni impresa che vi partecipi,
giurisprudenza
181
con la conseguenza di tributi giudiziari variabili, sarebbe scomodo
e imprevedibile”. A fronte di questi errati presupposti ed omesse
considerazioni sugli interessi concreti, parimenti fallace è la successiva considerazione in termini di accettabilità di un contributo
unificato che oscilli tra l’1,0% e il 2,0% dell’importo a base di gara
(punti 57 e 58), proprio perché è sbagliata la base impositiva su
cui testare il rispetto del principio di effettività.
La valutazione che l’operatore economico svolge ai fini della
partecipazione alla gara, in una logica di costi/benefici, è principalmente basata sul margine che può spuntare al netto dei costi di
commessa e non sull’importo posto a base di gara dalla stazione
appaltante. Inoltre l’argomento fatto proprio dalla decisione, che
in alternativa si darebbe il via ad un sistema di tributi giudiziari
variabili, basato sul diverso utile atteso da ogni singola impresa,
appare inconferente, dato che la Corte era chiamata a vagliare
se il sistema attuale di tassazione giudiziaria fosse ostativo a un
normale accesso alla giustizia e non scandagliare le altre ipotesi
regolatorie che ogni singolo Stato membro ha facoltà di adottare
in autonomia. In altri Stati comunitari vi sono sistemi a tassa fissa, come ben si può ipotizzare un sistema che convenzionalmente
prenda a riferimento un utile presunto sull’importo a base di gara,
ad esempio pari al 5% o al 10%, oppure, sempre de iure l’adozione di un atto di concerto tra l’amministrazione finanziaria ed il
Ministero della giustizia, finalizzato ad individuare un sistema
di parametri di riferimento per classi di importi più articolato di
quello esistente.11
La terza osservazione è sul fatto che la Corte di giustizia non
abbia tenuto conto della particolarità del mercato dei contratti
pubblici, in merito a cui il ricorso giudiziale di un’impresa attiva
automaticamente una verifica che porta beneficio anche agli interessi pubblici di settore (legalità, trasparenza, migliore utilizzo
delle risorse pubbliche, lotta alla corruzione). Di questi interessi, che innervano e caratterizzano gli appalti pubblici, non vi è
traccia e considerazione alcuna, quasi che la materia riguardasse
solo diritti e controversie tra privati in un mercato come tanti,
residualmente caratterizzato dal fatto che i committenti siano
enti pubblici.
La mancata occasione di una lettura ad ampio respiro del
mercato dei contratti pubblici si registra anche nelle Conclusioni
dell’Avvocato generale, nella parte in cui − pur richiamando la
sentenza Edwards (11 aprile 2013, in causa C-260/11) con cui la
Corte ha affermato che i giudizi in materia ambientale non devo-
(11) In tal senso S. Cumin, op. cit, p. 12.
182
rivista trimestrale degli appalti
no comportare condanna alla spese eccessivamente onerose (così
come previsto dalle Direttive n. 85/337/CEE e 96/61/CE) e che il
giudice nazionale debba a tal fine vigilare − non viene analizzata
l’eventualità che detta regola che vale per il bene pubblico ambiente
sia applicabile anche agli appalti pubblici.
Pare utile ricordare che la Corte, nella causa C-260/11, è arrivata a tale conclusione (punti 30-33) ritenendo che la valutazione
dei costi dei procedimenti giurisdizionali in materia ambientale
non possa rientrare nel solo diritto nazionale, atteso che l’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione consiste nel conferire al
pubblico interessato “un ampio accesso alla giustizia”. Prosegue la
Corte rilevando come “32. Tale obiettivo rientra, più ampiamente,
nella volontà del legislatore dell’Unione di preservare, proteggere
e migliorare la qualità dell’ambiente e di assegnare al pubblico un
ruolo attivo a tal fine. 33. Peraltro, il requisito inerente al procedimento «non eccessivamente oneroso», nel settore ambientale,
contribuisce al rispetto del diritto ad un ricorso effettivo, sancito
dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché del principio di effettività secondo cui le modalità
procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono rendere
praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei
diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (…)”.
Vero è che la normativa ambientale prevede espressamente il
vincolo agli Stati membri a che i giudizi di settore non siano eccessivamente onerosi, previsione invece assente nella Direttiva n.
89/665/CEE. Ma è anche vero che nella Direttiva da ultima richiamata è presente la prescrizione agli Stati membri di provvedere a
rendere accessibili le procedure di ricorso (art. 1, comma 3), regola
che potrebbe ritenersi naturalmente e logicamente includente in
sé la prescrizione di non sottoporre i ricorsi a tributi eccessivamente onerosi. Inoltre nella Direttiva n. 89/665/CEE è comunque
presente un’attenzione verso gli interessi pubblici (ad esempio il
terzo considerando della Direttiva, relativo alla trasparenza ed
alla non discriminazione). Tutti elementi che ragionevolmente
imponevano, da parte della Corte di giustizia, una valutazione più
attenta e di più ampio respiro, valorizzando la ratio sottesa alla
normativa ambientale.12
6. Gli scenari interni. – La decisione della Corte di giustizia
può essere sottoposta a diverse letture: una principalmente di
stretto diritto, l’altra, di più difficile applicazione, di ricerca di
(12) In tal senso F. Saitta, op. cit, p. 7.
giurisprudenza
183
quali possano essere state le eventuali ragioni metagiuridiche e
di sistema ad essa sottese.
Forse non sbaglia chi legge nella decisione una particolare
attenzione della Corte di giustizia a non entrare nel merito delle
scelte finanziarie dei singoli Stati membri, ancor più quando prevedono maggiori entrate a loro favore, in un periodo come quello
attuale di noto rigore verso la finanza pubblica. A ciò si aggiunge
l’impressione che il giudice comunitario non abbia compreso
appieno la problematica che ha mosso il TRGA. a sollevare la
composita questione pregiudiziale, tra l’altro non figlia di un (pur
importante) dibattito accademico o di diverse interpretazioni giurisprudenziali, ma di due modi di intendere in Italia la funzione
del contributo unificato profondamente diversi tra loro.
L’effetto di “ritorno” della decisione della Corte di giustizia è
che viene confermata la funzione del contributo unificato come
strumento di deflazione del contenzioso, a beneficio dell’interesse
dello Stato di sgravare lavoro all’amministrazione della giustizia,
nonché a beneficio dell’interesse, sempre dello Stato, a che gli
appalti pubblici subiscano meno ritardi possibili perché messi in
discussione per ragioni di concorrenza non sempre di immediata
lettura (… i contenziosi pretestuosi), oppure che vengano azzerati
a fronte di decisioni “creative” della giurisprudenza amministrativa.13 È insomma prevalso l’interesse dello Stato a “difendersi” dalle
imprese e da una certa giurisprudenza “irresponsabile”.
Vi è poi un corollario che, volente o meno, la decisione della
Corte di giustizia conferma.
Ovvero che in Italia il giudizio amministrativo in materia di
appalti pubblici non è (più) considerato quale momento centrale
di tutela anche degli interessi pubblici di settore (legalità, trasparenza, ma anche efficienza e lotta alla corruzione) ma è principalmente considerato quale luogo di contenzioso tra le imprese,
in un’ottica per così dire minimalista della dimensione e della
rilevanza collettiva della concorrenza. Perché altrimenti lo Stato,
se fosse stato realmente interessato per il tramite del giudizio
amministrativo a tutelare “interessi propri”, come quelli della
trasparenza e della legalità, in questi ultimi anni non avrebbe innalzato in modo così sensibile l’importo del contributo unificato.
(13) In materia la giustizia amministrativa ha svolto da sempre un ruolo creativo, che si avvicina ad una vera e propria “costruzione normativa”: così ricorda,
richiamando il pensiero di M.S. Giannini, P .Grossi, Sull’odierna incertezza del diritto,
Relazione introduttiva del Convegno annuale, Napoli, 3-4 ottobre 2014, “L’incertezza
delle regole”, Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Napoli,
2015, p. 28 e ss. Sul tema, si v. anche la relazione di R.Ferrara, L’Incertezza delle
regole tra indirizzo politico e «funzione definitoria” della giurisprudenza, ivi, p. 33 ss.
184
rivista trimestrale degli appalti
L’attenzione per le forme di controllo sui contratti pubblici si è
infatti focalizzata in questi ultimi anni non sul giudizio amministrativo ma sull’ANAC, la quale si pone quale autorità di regolazione di
un settore che viene definito sistema amministrativo degli appalti.14
L’interesse dello Stato è indirizzato verso la crescita del Paese,
in termini di infrastrutture e di ammodernamento in particolar
modo del Sud, con lotta alla corruzione a livello nazionale, in una
fase in cui ci si rende conto che la riforma in materia di appalti
pubblici, in occasione del recepimento delle ultime direttive comunitarie, avrà efficacia tanto più si avrà il coraggio, al di là dei
campanilismi e nell’interesse della spending rewiew, di accorpare
le Amministrazioni che hanno titolo e capacità di gestione efficiente di processi complessi (centrali di committenza e soggetti
aggregatori in genere), aumentando le competenze di chi opera15.
Altra obiettivo, rimarcato da dottrina parimenti autorevole, è
quello di combattere le patologie del comportamento burocratico,
per perseguire il ripristino del necessario rapporto fisiologico tra
sistema economico e sistema amministrativo, che passa anche
tramite l’eliminazione di un gran numero di norma esistenti,
spesso oscure e contraddittorie (cosiddetta inflazione normativa),
per apportare maggiore certezza per i cittadini, per le imprese
e per la stessa amministrazione, con significativa riduzione del
contenzioso16. Nodo centrale è inoltre la lotta alla corruzione, in
merito a cui però i tradizionali controlli di legittimità non hanno
sortito gli effetti sperati ed hanno spesso aggiunto un formalismo
ai formalismi già previsti dalla disciplina sostanziale17.
Spesso l’organizzazione del procedimento di aggiudicazione
finisce poi, sempre secondo la dottrina da ultimo richiamata, con
il proiettarsi sul processo favorendo una crescita espansionale
ed una complicazione del contenzioso giurisdizionale. Da qui la
proposta di organizzare diversamente il procedimento di gara, con
una fase distinta di ammissione e di esclusione, contraddistinta
da un termine breve di impugnazione degli atti di riferimento in
quanto ritenuti ex lege immediatamente lesivi18.
(14) Cfr. A. Pajno, La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di
semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione, Relazione al 61°
Convegno di Studi Amministrativi, “La nuova disciplina dei contratti pubblici tra
esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione”,
Varenna, 19 settembre 2015, p. 32.
(15) Cfr. al riguardo P.Mantini, La semplificazione nei nuovi appalti pubblici tra
divieto di gold plating e copy out, Relazione al 61° Convegno di Studi amministrativi, cit., passim.
(16) A.Pajno, op. cit., in particolare p. 4 ss.
(17) A.Pajno, op. cit, p. 11.
(18) A.Pajno, op. cit, p. 18 s.
giurisprudenza
185
Effettivamente la recente l. 28 gennaio 2016, n. 11, di delega
al Governo per l’attuazione delle Direttive 2014/23/UE, 2014/24/
UE e 2014/25/UE, prevede anche, all’art. 1, comma 1, lett. bbb, la
revisione e la razionalizzazione del rito abbreviato per i giudizi in
materia di contratti pubblici, “(…) anche mediante l’introduzione
di un rito speciale in camera di consiglio che consente l’immediata
risoluzione del contenzioso relativo all’impugnazione dei provvedimenti di esclusione dalla gara o di ammissione alla gara per carenza
dei requisiti di partecipazione; previsione della preclusione della
contestazione di vizi attinenti alla fase di esclusione dalla gara o
ammissione alla gara nel successivo svolgimento della procedura di
gara e in sede di impugnazione dei successivi provvedimenti di valutazione delle offerte e di aggiudicazione, provvisoria e definitiva”.
A tal ultimo riguardo − realisti ed anche consapevoli della
complessità della materia dei contratti pubblici e dei diversi interessi da governare − si conviene sull’utilità di questa riforma del
giudizio amministrativo, ai fini e nella prospettiva del tempestivo
esito della procedura di gara.
Nel contempo, se questo è il futuro, pare sommamente necessario che il legislatore diminuisca sensibilmente gli importi del
contributo unificato richiesti per l’attivazione dei contenziosi in
materia di affidamenti di appalti pubblici, ancora più alla luce di
questi contenziosi “immediati”. Perché, in difetto, il contributo
fungerà non solo da deflazione del contenzioso amministrativo
ma anche da fattore di sua estinzione, essendo probabilmente
difficile trovare un’impresa disposta a presentare ricorso avverso
insanabili mancanze altrui ed a pagare un importante contributo
unificato senza neppure sapere come si è graduata, salvo l’ipotesi
che la gara abbia registrato solo due offerenti tra cui il potenziale
ricorrente. L’auspicata riduzione del contributo unificato, per le
ragioni sopra esposte, dovrebbe trovare giustificazioni tanto nel
dovere dello Stato di tutelare e permettere il diritto alla difesa
quanto nell’interesse, sempre dello Stato, di fruire e di avvalersi del
contenzioso attivato dal privato al fine di verificare la legittimità
dell’operato del proprio plesso amministrativo.
In conclusione.
La questione del contributo unificato cumulativo ha trovato
un’apertura da parte della Corte di giustizia, però ancora tutta da
testare, dipendendo da come i TAR ed il Consiglio di Stato andranno ad esercitare il potere di riduzione a loro attribuito. Mentre
per il contributo unificato introduttivo la speranza è di una sua
riduzione/rimodulazione da parte dello stesso legislatore, anche
a fronte delle future misure di certo non pro contenzioso che si
vogliono inserire. O dell’intervento della Corte costituzionale, alla
luce dei diritti individuali di difesa e di giusto processo.
186
rivista trimestrale degli appalti
Dall’altro, sul fronte dell’interesse pubblico, pare presentarsi
uno Stato che non dà l’idea di ritenere il giudizio amministrativo
quale luogo fondamentale ed irrinunciabile di tutela anche degli
interessi pubblici di settore (e forse non l’ha mai ritenuto, pur non
facendolo intendere in modo così esplicito come in questi ultimi
anni). Per complicare il tutto, non è però detto che questa visione
non possa cambiare, ad esempio a fronte di una rivisitazione del
dogma della giurisdizione di tipo soggettivo, così come sollecitata
di recente dalla dottrina19.
Certo è che l’affaire del contributo unificato si presta a diverse letture, che solo se considerate nel loro insieme spiegano il
fortissimo interesse che il tema ha suscitato in questi anni, tra le
imprese, gli avvocati preoccupati di non lavorare più ma anche
ingenui, i magistrati e la dottrina.
Luigi Gili
(19) S.Giachetti, E se la corruzione nella pubblica amministrazione dipendesse
proprio dalla Costituzione e dalla distorta applicazione dei suoi principi fondamentali? Il processo amministrativo visto dal di dentro, in www.lexitalia.it, n. 12, 2015,
secondo cui “È comunque una palese assurdità che la tutela imparziale dell’interesse
pubblico alla giustizia nell’amministrazione sia rimesso all’iniziativa – necessariamente parziale – dei privati”.
LEGGI E CIRCOLARI
Legge regionale Sicilia, 10 luglio 2015, n. 14. Modificazioni
all’art. 19 della legge regionale Sicilia 12 luglio 2011, n. 12
(G.U.R.Sic. 17 luglio 2015, n. 29, suppl. ord. n. 1)
(Omissis)
Capo III
Misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali
Art. 33
Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale
1. Al r.d. 16 marzo 1942, n. 267 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’art. 67, comma 3, sono apportate le seguenti modificazioni:
(( 01) alla lett. c, dopo le parole: «entro il terzo grado» sono aggiunte le
seguenti: «, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la
sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente, purché alla data di
dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero
siano stati compiuti investimenti per darvi inizio»; ))
1) la lett. d è sostituita dalla seguente:
«d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché
posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il
risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato
dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti
previsti dall’art. 28, lett. a e b deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la
fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti
di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di
giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti
previsti dall’art. 2399, cod. civ. e non deve, neanche per il tramite di soggetti
con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi
cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore
ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può
essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore;»;
2) alla lett. e: dopo le parole «dell’art. 182 bis «sono aggiunte le seguenti:
«, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo
il deposito del ricorso di cui all’art. 161;»; (( a bis) all’art. 69 bis sono apportate le seguenti modificazioni:
1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Decadenza dall’azione e computo dei termini»;
2) è aggiunto, in fine, il seguente comma:
188
rivista trimestrale degli appalti
«Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli artt. 64, 65, 67, commi 1 e 2, e
69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel
registro delle imprese»;
a ter) all’art. 72, comma 8, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole:
«ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede
principale dell’attività di impresa dell’acquirente»; )) b) all’art. 161 sono
apportate le seguenti modificazioni:
1) al comma 2, dopo la lett. d), è aggiunta la seguente:
«e) un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei
tempi di adempimento della proposta.»;
2) al comma 3 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo la parola «professionista» sono aggiunte le seguenti: «, designato
dal debitore,»;
b) dopo il primo periodo è aggiunto, in fine, il seguente:
«Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.»;
3) al comma 5, dopo le parole «pubblico ministero» sono aggiunte le
seguenti: «ed è pubblicata, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese
entro il giorno successivo al deposito in cancelleria»; (( 4) dopo il comma 5
sono aggiunti i seguenti:
«L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi
di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e
centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre
sessanta giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino
all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare
domanda ai sensi dell’art. 182 bis, comma 1. In mancanza, si applica l’art. 162,
commi 2 e 3. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’art. 163 il
debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa
autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni.
Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine il debitore può altresì
compiere gli atti di ordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente
sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili
ai sensi dell’art. 111.»; Con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo, il
tribunale dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione
finanziaria dell’impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del
termine fissato. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’art. 162, commi
2 e 3. La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore,
nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi del medesimo
comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Fermo restando quanto disposto dall’art. 22, comma 1, quando pende
il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine di cui al sesto
comma del presente art. è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di
giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni»; ))
c) all’art. 168 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al comma 1 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) le parole «presentazione del ricorso» sono sostituite dalle seguenti:
leggi e circolari
189
«pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese»;
b) dopo la parola «esecutive» sono aggiunte le seguenti: «e cautelari»;
c) dopo le parole «creditori per titolo o causa anteriore» (( le parole: «al
decreto» sono soppresse ));
2) al comma 3 è aggiunto, in fine, il seguente periodo:
«Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci
rispetto ai creditori anteriori al concordato.»;
d) (( nel titolo III, capo II, )) dopo l’art. 169 è aggiunto il seguente articolo:
«Art. 169 bis (Contratti in corso di esecuzione). – Il debitore nel ricorso
di cui all’art. 161 può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di
esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore
può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta
giorni, prorogabili una sola volta. In tali casi, il contraente ha diritto ad un
indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato
adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato. Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta. Le disposizioni di questo articolo non si applicano
ai rapporti di lavoro subordinato nonché ai contratti di cui agli artt. 72,
comma 8, (( 72 ter )) e 80 comma 1.»;
(( d bis) all’art. 178 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «È altresì inserita l’indicazione nominativa dei creditori che non hanno esercitato il voto
e dell’ammontare dei loro crediti»;
2) al comma 3, le parole: «senza bisogno di avviso» sono sostituite dalle
seguenti: «dandone comunicazione»;
3) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica
nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. In mancanza, si ritengono
consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti. Le manifestazioni di dissenso e gli assensi, anche presunti a
norma del presente comma, sono annotati dal cancelliere in calce al verbale»;
d ter) all’art. 179 è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Quando il commissario giudiziario rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso
ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino
all’udienza di cui all’art. 180 per modificare il voto»;
d quater) all’art. 180, quarto comma, la parola: «contesta» è sostituita
dalle seguenti: «ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i
creditori dissenzienti che rappresentano il 20 per cento dei crediti ammessi
al voto, contestano» ));
e) all’art. 182 bis sono apportate le seguenti modificazioni:
1) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’art. 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per
cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista,
designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3,
190
rivista trimestrale degli appalti
lett. d sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso
con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei (( nel rispetto )) dei seguenti termini:
a) entro (( centoventi )) giorni dall’omologazione, in caso di crediti già
scaduti a quella data;
b) entro (( centoventi )) giorni dalla scadenza, in caso di crediti non
ancora scaduti alla data dell’omologazione.»;
2) al comma 3, primo periodo, dopo la parole «patrimonio del debitore»,
sono aggiunte le seguenti: «, né acquisire titoli di prelazione se non concordati»;
3) al comma 6, primo periodo, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo le parole «all’art. 161, commi 1 e 2» sono aggiunte le seguenti:
«lettere a, b, c e d»;
b) le parole «il regolare» sono sostituite dalle seguenti:
«l’integrale»;
4) al comma 7, secondo periodo, le parole «il regolare» sono sostituite
dalle seguenti: «l’integrale»;
5) il comma 8 è sostituito dal seguente:
«A seguito del deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti nei
termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui
al secondo, terzo, quarto e quinto comma. Se nel medesimo termine è depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di
cui ai commi 6 e 7.»;
(( e bis) all’art. 182 quater sono apportate le seguenti modificazioni:
1) al comma 1, le parole: «da banche e intermediari finanziari iscritti
negli elenchi di cui agli artt. 106 e 107, d.lgs. 1º settembre 1993, n. 385,»
sono soppresse;
2) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«Sono parificati ai crediti di cui al primo comma i crediti derivanti da
finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti
siano previsti dal piano di cui all’art. 160 o dall’accordo di ristrutturazione e
purché la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con
cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo
ovvero l’accordo sia omologato»;
3) il comma 3 è sostituito dal seguente:
«In deroga agli artt. 2467 e 2497 quinquies, cod. civ., commi 1 e 2 del presente articolo si applicano anche ai finanziamenti effettuati dai soci fino alla
concorrenza dell’80 per cento del loro ammontare. Si applicano i commi primo
e secondo quando il finanziatore ha acquisito la qualità di socio in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo»;
4) il comma 4 è abrogato;
5) al comma 5, le parole: «ai commi secondo, terzo e quarto, i creditori»
sono sostituite dalle seguenti: «al secondo comma, i creditori, anche se soci,» ));
f) dopo l’art. 182 quater sono aggiunti i seguenti articoli:
«Art. 182 quinquies (Disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei
debiti). – Il debitore che presenta, anche ai sensi dell’art. 161 comma 6, una
domanda di ammissione al concordato preventivo o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182
leggi e circolari
191
bis, comma 1, o una proposta di accordo ai sensi dell’art. 182 bis, comma 6,
può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie
informazioni, a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell’art. 111,
se un professionista designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui
all’art. 67, comma 3, lett. d, verificato il complessivo fabbisogno finanziario
dell’impresa sino all’omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori. L’autorizzazione di cui al primo
comma può riguardare anche finanziamenti individuati soltanto per tipologia
ed entità, e non ancora oggetto di trattative. Il tribunale può autorizzare il
debitore a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti.
Il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’art. 161, comma 6, può
chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie
informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se
un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett.
d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei
creditori. L’attestazione del professionista non è necessaria per pagamenti
effettuati fino a concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che
vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo
di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori. Il debitore che
presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione
dei debiti ai sensi dell’art. 182 bis, comma 1, o una proposta di accordo ai
sensi dell’art. 182 bis, comma 1, può chiedere al Tribunale di essere autorizzato, in presenza dei presupposti di cui al comma 4, a pagare crediti anche
anteriori per prestazioni di beni o servizi. In tal caso i pagamenti effettuati
non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’art. 67.
Art. 182 sexies (Riduzione o perdita del capitale della società in crisi).
– Dalla data del deposito della domanda per l’ammissione al concordato
preventivo, anche a norma dell’art. 161, comma 6, della domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis ovvero
della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e
sino all’omologazione non si applicano gli artt. 2446, commi 2 e 3, 2447,
2482 bis, commi 4, 5 e 6, e 2482 ter, cod. civ. Per lo stesso periodo non opera
la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale
sociale di cui agli artt. 2484, n. 4, e 2545 duodecies, cod. civ.. Resta ferma,
per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al
primo comma, l’applicazione dell’art. 2486, cod. civ.»;
g) all’art. 184, comma 1, primo periodo, le parole «al decreto di apertura
della procedura di concordato» sono sostituite dalle seguenti: «alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’art. 161»;
h) (( nel titolo III, capo VI, )) dopo l’art. 186 è aggiunto il seguente articolo:
« (( Art. 186 bis )) (Concordato con continuità aziendale). Quando il piano di concordato di cui all’art. 161, secondo comma, lett. e)
prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio
in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni
del presente articolo. Il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non
funzionali all’esercizio dell’impresa. Nei casi previsti dal presente articolo:
a) il piano di cui all’art. 161, comma 2, lett. e, deve contenere anche
192
rivista trimestrale degli appalti
un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie
necessarie e delle relative modalità di copertura;
b) la relazione del professionista di cui all’art. 161, comma 3, deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori;
c) (( il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’art. 160, comma 2, una moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento
dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la
liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal
caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente
non hanno diritto al voto. )) Fermo quanto previsto nell’art. 169 bis, i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati
con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura
della procedura. Sono inefficaci eventuali patti contrari.
L’ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione
di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all’art.
67 ha attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento. Di tale continuazione può beneficiare, in presenza dei requisiti di
legge, anche la società cessionaria o conferitaria d’azienda o di rami d’azienda cui i contratti siano trasferiti. Il giudice delegato, all’atto della cessione
o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni.
L’ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l’impresa
presenta in gara:
a) una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art.
67, (( comma 3, lett. d, )) che attesta la conformità al piano e la ragionevole
capacità di adempimento del contratto; b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria,
tecnica, economica nonché di certificazione, richiesti per l’affidamento
dell’appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della
stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto,
le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa
ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la
stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado
di dare regolare esecuzione all’appalto. Si applica l’art. 49, d.lgs. 12 aprile
2006, n. 163 Fermo quanto previsto dal comma precedente, l’impresa in
concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo
di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre
imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale. In tal caso la dichiarazione di cui (( al comma 4 )), lett.
b, può provenire anche da un operatore facente parte del raggruppamento.
Se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del presente articolo l’esercizio dell’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente (( dannoso )) per
i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell’art. 173. Resta salva la facoltà
del debitore di modificare la proposta di concordato.»;
i) la rubrica del capo terzo del titolo sesto è sostituita dalla seguente:
«Capo III. – Disposizioni applicabili nel caso di concordato preventivo,
accordi di ristrutturazione dei debiti, piani attestati e liquidazione coatta
amministrativa»;
leggi e circolari
193
l) dopo l’art. 236 è inserito il seguente:
«Art. 236 bis (Falso in attestazioni e relazioni). – Il professionista che
nelle relazioni o attestazioni di cui agli artt. 67, comma 3, lett. d, 161, comma
3, 182 bis, 182 quinquies e 186 bis espone informazioni false ovvero omette
di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque
anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro. Se il fatto è commesso al fine di
conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata. Se dal
fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà».
(( l bis) all’art. 217 bis, comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati
dal giudice a norma dell’art. 182 quinquies». ))
2. All’art. 38, comma 1, lett. a), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 dopo le
parole «concordato preventivo» sono aggiunte le seguenti: «, salvo il caso
di cui all’art. 186 bis del r.d. 16 marzo 1942, n. 267».
(Omissis)
Crisi di impresa e contratti pubblici. Il favor normativo per la
continuità aziendale
Sommario: 1. Premessa. – 2. La nuova disciplina normativa del concordato
preventivo con continuità aziendale. – 3. Il concordato con continuità
aziendale nelle procedure di gara ad evidenza pubblica – 3.1. Segue: il regime di qualificazione delle imprese. – 4. La prosecuzione dei contratti con
la pubblica amministrazione. – 5. Il trasferimento di azienda nel mercato
dei contratti pubblici. – 6. Il concordato preventivo cosiddetto “in bianco”:
verso un concordato preventivo “ordinario” o “in continuità aziendale”?
1. Premessa. – Le ricorrenti crisi di impresa che investono la
realtà economica del nostro Paese, non sopiscono l’interesse e la
necessità di fare chiarezza sulle recenti riforme riguardanti gli strumenti di soluzione delle crisi aziendali. Ciò soprattutto quando siano
coinvolti contratti pubblici capaci di dare, secondo un approccio
keynesiano, un forte contributo alla crescita economica, mirando,
al contempo, alla soddisfazione dell’interesse pubblico sotteso.
Diviene perciò fondamentale verificare le condizioni e i limiti di
partecipazione delle imprese, che si trovano in situazione di crisi,
alle procedure di gara ad evidenza pubblica.
A tal proposito è ancora recente la riforma operata dall’art. 33,
commi 1 e 2, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni in
l. 7 agosto 2012 n. 134 (cosiddetto decreto sviluppo) che, da un lato, ha
introdotto l’istituto del cosiddetto “concordato con continuità aziendale” e, dall’altro, modificato l’art. 38, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 163 del
2006 successive modifiche integrative (Codice dei contratti pubblici).
Ai sensi dell’art. 38, Codice dei contratti pubblici è vietata la partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, servizi e forniture, l’affidamento di subappalti e la
194
rivista trimestrale degli appalti
stipula dei relativi contratti ai soggetti «(…) che si trovino in stato
di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo
il caso di cui all’art. 186 bis, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 [id. est. il
concordato con continuità aziendale], o nei cui riguardi sia in corso
un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni» (1).
La norma sancisce, così, esplicitamente alcune cause di assenza
di legittimazione, che incidendo sull’autonomia privata delle imprese e limitando la libertà di concorrenza, nonché il principio di
massima partecipazione, sono da considerarsi tassative e non integrabili dalla pubblica amministrazione in sede di predisposizione
del bando di gara (2).
(1) La giurisprudenza prevalente ritiene che il procedimento sia da
considerarsi “in corso” quando vi è stato il provvedimento di ammissibilità
dell’organo competente, allorché «(...) una diversa opinione, la quale reputasse
bastevole la presentazione di istanza da parte di un preteso creditore, esporrebbe
irragionevolmente i soggetti che aspirino alla partecipazione ad una gara di appalto
al rischio di istanze strumentali incentivate da imprese concorrenti», così Cons. St.,
Sez. VI, 8 giugno 1999, n. 516, che conferma TAR, Calabria, Reggio Calabria, 24
aprile 1997, n. 199. Si richiede, allora, un pronunciamento quanto meno istruttorio
dell’autorità giudiziaria che accerti positivamente la non manifesta infondatezza
dell’iniziativa del creditore.
A diverse conclusioni si potrebbe forse addivenire qualora l’istanza provenga
dallo stesso imprenditore partecipante alla gara pubblica. Ma sul punto, l’ex AVCP
(ora ANAC) con delibera del 28 luglio 2004, n. 144 si espresse nel senso che «La SOA
può rinnovare l’attestazione ad un’impresa qualificata che abbia presentato istanza
di ammissione a concordato preventivo, atteso che la procedura concorsuale de qua
non può ritenersi formalmente aperta con il deposito del ricorso per l’ammissione
all’indicata procedura, ma solo con l’emissione del decreto del Tribunale che dichiara
l’ammissibilità della domanda».
(2) Si richiama, in proposito, l’art. 46, comma 1-bis, Codice (aggiunto dall’art.
4, comma 2, lett. d, l. n. 106 del 2011) che introduce, in omaggio al principio del
favor partecipationis, il principio della tassatività delle clausole di esclusione.
Sulla base di esso «La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in
caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal
regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza
assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione
o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente
l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura
dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato
il principio di segretezza delle offerte»; i bandi e le lettere di invito non possono
contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione, le quali sono comunque nulle.
Secondo il giudice amministrativo, TAR, Lazio, Roma, 19 febbraio 2013,
n. 1828, «Con la disposizione sopra riprodotta il legislatore ha inteso rimettere
alla sola fonte normativa la competenza ad individuare cause di non ammissione
a procedure di gara, residuando in capo alle stazioni appaltanti, un’attività di
stretta interpretazione di siffatte ipotesi, o comunque di mera ricognizione delle
medesime; di tanto vi è conferma proprio nell’ultima parte della disposizione citata
che vieta espressamente l’introduzione di ulteriori cause di esclusione da parte
della lex specialis, tale evenienza essendo stata sanzionata con la nullità radicale,
tale cioè da non esigere nemmeno un’espressa impugnazione, come risulta dal
ricorso all’espressione “comunque”». La disposizione normativa finisce così per
contenere il potere discrezionale dell’amministrazione nella redazione della legge
leggi e circolari
195
Di converso è possibile vedere come nel novero delle cause
testé elencate non siano ricompresi gli istituti della liquidazione
ordinaria, dell’amministrazione straordinaria (v. d.lgs. n. 270 del
1999), gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall.)
e agli accordi stragiudiziali volti al risanamento industriale (ex art.
67, comma 3, lett. d, l. fall.).
La ratio della disciplina è da ricercarsi nella diversa finalità
sottesa a questi ultimi istituti.
Si osserva, infatti, come l’esclusione dalle gare d’appalto degli
imprenditori in stato di fallimento o sottoposti ad altra procedura
concorsuale risponda all’esigenza di garantire l’affidabilità economica
dell’esecutore contrattuale dell’amministrazione (3). Non si può negare
che in dette procedure, presupponenti uno stato d’insolvenza irreversibile (cfr. art. 5, l. fall.) e, pertanto, meramente liquidatorie, l’impresa
non sia in grado di assicurare l’esatto adempimento delle obbligazioni
contrattuali assunte. L’operatore economico, detto diversamente, si
trova in uno stato di impotenza economica funzionale, e non transitoria, per la quale non è più in grado di far fronte regolarmente e
con mezzi normali alle proprie obbligazioni per il venir meno delle
condizioni di liquidità e di credito necessarie alla propria attività.
Diverse sono, invece, le finalità sottese al concordato in continuità aziendale e alle altre procedure più sopra menzionate, seppure
non espressamente richiamate dal testo normativo, che consentono,
all’opposto, la conservazione (talvolta parziale) dell’impresa (4).
Soffermando l’attenzione, per quanto qui di interesse, sul concordato con continuità aziendale (ex art. 186 bis) si ricorda che
esso ricorre quando nel piano di concordato ex art. 161, comma 2,
lett. e, l. fall. sia espressamente prevista la prosecuzione dell’attività
di impresa da parte del debitore ovvero la cessione dell’azienda in
esercizio o ancora il conferimento dell’azienda in esercizio in una o
più società anche di nuova costituzione, e a condizione che tale prosecuzione sia «funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori».
di gara limitando «(…) le numerose esclusioni che avvengono sulla base di elementi
formali e non sostanziali, con l’obiettivo di assicurare il rispetto del principio della
concorrenza e di ridurre il contenzioso in materia di affidamento dei contratti
pubblici» come si legge nella Relazione illustrativa al d.l. n. 70 del 2011.
Per approfondimenti sull’istituto si rinvia in dottrina a B. Gilberti, La
tassatività delle clausole di esclusione l’art. 46 comma I bis d.lg. 16 aprile 2006 n. 163:
bilancio di una riforma, in Foro amm. – TAR, 2013, fasc. 3, p. 1057 ss; D. Galli, C.
Guccione, La recente giurisprudenza sui contratti della pubblica amministrazione, in
Giornale di diritto amministrativo, 2012, fasc. 8-9, p. 857 ss. V., inoltre, tra le altre,
le seguenti pronunce del giudice amministrativo: Cons. St., Sez. III, 4 ottobre 2012,
n. 5203; Cons. St., Sez. IV, 12 giugno 2009, n. 3696; Cons. St., Sez. IV, 21 agosto
2002, n. 4268.
(3) Cfr. Cons. St., Sez. VI, 16 maggio 2013, n. 2661.
(4) V. determinazione AVCP, 12 gennaio 2010, n. 1.
196
rivista trimestrale degli appalti
Nel nuovo concordato, a ben vedere, la continuità aziendale
rappresenta, in primis, una modalità operativa di esecuzione del
piano, atta a generare la liquidità necessaria al pagamento dei creditori pregressi, secondo le percentuali promesse, con possibilità
di reinvestimento dell’eccedenza nell’impresa.
Per questa ragione, non si può ritenere che il legislatore abbia
voluto dar vita ad un nuovo tipo di concordato. La riforma ha inteso,
piuttosto, attribuire autonoma disciplina all’istituto, nel senso di individuare un insieme di norme, all’interno della più generale matrice
disciplinare, che si applicano al ricorrere della fattispecie “con continuità aziendale” (5). Ciò con l’obiettivo di distinguere in maniera netta
le procedure che mirano alla liquidazione dell’attività di impresa da
quelle che, invece, sono dirette a favorire la prosecuzione dell’attività
aziendale allorché l’operatore economico si trovi in una situazione di
crisi (6) e purché finalizzata al miglior soddisfacimento dei creditori.
Preso atto delle finalità perseguite con il nuovo istituto, diviene
chiaro che il legislatore non poteva che prevedere una eccezione
alle cause di esclusione, che ovviamente confliggono con l’obiettivo
della continuazione dell’attività imprenditoriale.
É bene comunque chiarire che solo nel caso in cui la prosecuzione dell’attività di impresa prevista dal piano sia funzionale
al miglior soddisfacimento dei creditori (v. art. 186 bis, comma 2,
lett. b, la società ricorrente potrà (meglio, dovrà) soggiacere alla
speciale disciplina di cui agli artt. 186 bis l. fall. e 182 quinquies, l.
fall., che prevedono una serie di oneri aggiuntivi per l’imprenditore
che predispone il piano, ma anche importanti benefici, finalizzati a
facilitare il salvataggio del complesso aziendale, della sua struttura
organizzativa, produttiva e commerciale.
(5) V. Pettirossi, Il concordato preventivo: della fattispecie con continuità
aziendale, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2015, fasc. 2; Trib.
Bolzano, Sez. fall., 10 marzo 2015.
(6) Sul rapporto di genus a species che intercorre tra “stato di crisi” ed “stato
di insolvenza” si veda l’art. 160, comma 3, l. fall., ove in riferimento alla disciplina
sul concordato preventivo si legge «(...) per stato di crisi si intende anche lo stato
di insolvenza», risultando cioè l’insolvenza ricompresa nel più vasto concetto di
crisi. Con la conseguenza che lo “stato di crisi” può ricorrere tanto nella situazione
di stato di insolvenza dell’imprenditore quanto nelle diverse situazioni di difficoltà
finanziaria, non necessariamente prodromiche allo stato di insolvenza; e in questo
senso «Lo “stato di crisi” (...) in assenza di una definizione normativa specifica,
va inteso come sinonimo di insolvenza, comprensivo sia l’insolvenza reversibile
(temporanea difficoltà ad adempiere) sia quella irreversibile di cui all’art. 5, l. fall.»,
così Trib. Sulmona, 19 gennaio 2006.
Ciò posto, è bene chiarire che presupposto di ammissione alla novellata
procedura di cui all’art. 186 bis, l. fall. è tanto lo stato di crisi quanto quello di
insolvenza. Tuttavia sembra difficile che detta procedura possa trova applicazione
nel caso in cui l’imprenditore si trovi già in uno stato di crisi irreversibile, vale a
dire di insolvenza patrimoniale.
leggi e circolari
197
Se le intenzioni del legislatore appaiono chiare, l’applicazione
pratica delle nuove disposizioni non può dirsi invece priva di rilievi
e di dubbi interpretativi, come si cercherà di evidenziare nel proseguo del presente lavoro.
A ciò si aggiunga che nel quadro normativo venutosi a creare
a seguito delle modifiche alla legge fallimentare, ha trovato spazio
anche un altro istituto, il cosiddetto concordato in bianco, che a
sua volta introduce ulteriori questioni in merito alla compatibilità
con i contratti pubblici (v. infra).
Per queste ragioni sarà fondamentale la qualificazione del tipo
di procedura, che il tribunale sarà chiamato ad operare già in sede
di ammissione al concordato.
2. – La nuova disciplina normativa del concordato preventivo
con continuità aziendale. – Premesso che un’analisi dettagliata ed
esaustiva della procedura concordataria trascende la portata di
questo contributo, si intende, qui di seguito, dar brevemente conto
di quelle disposizioni normative che riconoscono benefici all’imprenditore che ricorra alla continuità aziendale, piuttosto che alla
sua liquidazione (7).
Si può, allora, di certo ricordare come il concordato liquidatorio (o con cessio bonorum), che ricorre quando esso «consiste nella
cessione dei beni e non dispone diversamente» trova la propria
disciplina, per la esecuzione del piano concordatario, nell’art. 182,
l. fall., che prevede la nomina di un liquidatore e di un comitato dei
creditori, il ricorso agli artt. 105-108 ter che disciplinano la vendita
dei beni, in quanto compatibili, nonché l’obbligo di relazione semestrale da parte del liquidatore giudiziale da inviare al commissario
giudiziale, che la inoltrerà ai creditori (8).
Di converso, il concordato con continuità aziendale basato, come
detto, sulla prosecuzione dell’attività di impresa e disciplinato dagli
(7) Per approfondimenti sull’ambito di applicazione della nuova disciplina di
cui all’art. 186 bis, l. fall. v., tra gli altri, i seguenti contributi: S. Ambrosini, Appunti
in tema di concordato con continuità aziendale, in Crisi di impresa e fallimento, 4
agosto 2013; V. Pettirossi, Il concordato preventivo: della fattispecie con continuità
aziendale, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, fasc. 2, 2015; A. Lolli,
Il concordato con continuità aziendale mediante l’intervento di terzi nel processo di
risanamento: alcune considerazioni, in Contratto e impresa, fasc. 4-5, 2013.
(8) A maggior tutela del ceto creditorio, il d.l. n. 135 del 2015 consente la
presentazione anche di offerte alternative a quelle previste nel piano presentato
dall’imprenditore.
Ciò posto, è bene chiarire che presupposto di ammissione alla novellata
procedura di cui all’art. 186 bis, l. fall. è tanto lo stato di crisi quanto quello di
insolvenza. Tuttavia sembra difficile che detta procedura possa trova applicazione
nel caso in cui l’imprenditore si trovi già in uno stato di crisi irreversibile, vale a
dire di insolvenza patrimoniale.
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rivista trimestrale degli appalti
artt. 186 bis e 182 quinquies, l. fall., non prevede organi specifici nella
fase esecutiva della procedura (id. est. liquidatore giudiziale e comitato
dei creditori) e, pertanto, pare comportare un minor aggravio economico e una maggiore snellezza nella fase esecutiva della procedura,
che pure viene svolta sotto il controllo del commissario giudiziale.
Di non minore importanza è, poi, la facoltà di pagamento, previa autorizzazione del Tribunale, e a determinate condizioni, dei
crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi, se un professionista indipendente attesta che tali prestazioni sono essenziali per la
prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la
migliore soddisfazione dei creditori (art. 182 quinquies, comma 4,
l. fall.). A cui si aggiunge la moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno
o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti su
cui sussiste la prelazione (art. 186 bis, comma 2, lett. c).
Per quanto però di interesse ai nostri fini, preme ricordare le
disposizioni che disciplinano la continuazione dei contratti stipulati
con pubbliche amministrazioni nonché la facoltà per l’impresa di
partecipazione a gare ad evidenza pubblica, e che saranno oggetto
di approfondimento nei prossimi paragrafi.
A fronte di questi indubbi benefici, è inutile nascondere che la
continuità aziendale si espone, come comprensibile, al rischio che
si accumulino costi prededucibili, che, in quanto non assoggettabili
alla regola della par condicio creditorum, potrebbero potenzialmente
aggravare lo stato di crisi dell’imprenditore con evidente maggior
danno per i creditori, i cui crediti si sono cristallizzati con il deposito della domanda di concordato e che soggiacciono alla regola
generale contenuta nell’art. 2741, cod. civ.
Per tale ragione vengono imposti dall’art. 186 bis, l. fall. una
serie di adempimenti all’impresa che decide di ricorrere all’istituto
in parola, come ora si avrà modo di vedere.
3. Il concordato con continuità aziendale nelle procedure di gara
ad evidenza pubblica – Il legislatore ha introdotto, all’art. 186 bis, l.
fall., l’istituto del “concordato preventivo con continuità aziendale”
e disciplinato i suoi significativi effetti sui contratti pubblici, sia in
ordine alla loro prosecuzione che alla possibilità dell’impresa di
partecipare a procedure di gara ad evidenza pubblica.
Ponendo in primis l’attenzione sulla fase pubblicistica di partecipazione alla gara, occorre rilevare che la norma introduce una
distinzione tra le imprese che abbiano presentato domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale e non
abbiano ancora ottenuto il decreto di ammissione e le imprese che,
invece, risultino già ammesse a detta procedura.
La domanda di ammissione al concordato si presenta con ricorso
leggi e circolari
199
al Tribunale del luogo ove l’impresa ha la sua sede principale e, ai
sensi dell’art. 186 bis, l. fall., deve includere: a) il piano contenente
la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento
della proposta avanzata ai creditori per la soluzione della crisi (ex
art. 161, comma 2, lett. e nonché un’analitica indicazione dei costi
e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa prevista
nel piano, delle risorse necessarie e delle relative modalità di copertura; b) la relazione del professionista indipendente designato dal
debitore che attesti non solo la veridicità dei dati aziendali e della
fattibilità del piano, ma anche che la prosecuzione dell’attività di
impresa è funzionale al «miglior soddisfacimento dei creditori», vale
a dire che il salvataggio del valore dell’impresa deve costituire la migliore soluzione possibile rispetto alle altre alternative percorribili.
Per completezza, si precisa che il debitore è tenuto a depositare,
ai sensi dell’art. 161, l. fall., anche una aggiornata relazione sulla
situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’impresa; uno
stato analitico ed estimativo delle attività ed un elenco nominativo
dei creditori, con indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di
prelazione; l’elenco dei titolari dei diritti reali e personali su beni di
proprietà o in possesso del debitore; e infine, il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
Dalla presentazione della domanda di concordato, il legislatore
fa discendere importanti effetti non solo di carattere conservativo
(i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive
individuali, le prescrizioni rimangono sospese, le decadenze non si
verificano e i creditori non possono acquisire diritti di prelazione)
ma anche legati, per quanto qui di interesse, alla partecipazione alle
procedure di affidamento di commesse pubbliche.
Sul punto si osserva come, di recente, l’alto consesso amministrativo, rivedendo sue precedenti pronunce sul punto (9), abbia
escluso il possesso dei requisiti di cui all’art. 38 in capo all’impresa
nel periodo intercorrente tra il deposito della relativa istanza di
ricorso e il decreto del tribunale conclusivo del procedimento di
ammissione, e così precluso all’impresa di partecipare alla gara.
Tale previsione discenderebbe da una attenta analisi del dato
letterale del testo normativo, allorché osserva il giudice «(…) l’inciso “salvo il caso di cui all’art 186 bis” fa seguito all’elencazione
dei soggetti esclusi in quanto “si trovano in stato (...) di concordato
preventivo”, quindi si riferisce al soggetto che “si trova” nello stato di
(9) Cfr. Cons. St., Sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6272, il quale giunge ad
ammettere l’impresa alla procedura di gara per affidamento dei pubblici contratti
nelle more tra il deposito della domanda e l’ammissione al concordato sulla base
di una interpretazione teleologica della legge fallimentare riformata dal d.l. n. 83
del 2012, convertito in l. n. 134 del 2012.
200
rivista trimestrale degli appalti
concordato preventivo con continuità aziendale, cioè nei cui confronti
il tribunale abbia dichiarato detto stato ai sensi dell’art. 163, l. fall.;
lo stesso inciso è conchiuso, precede ed è separato con virgola dalla
successiva dizione “o nei cui riguardi sia in corso un procedimento
per la dichiarazione di una di tali situazioni”, cioè degli ulteriori
soggetti esclusi, tra i quali, dunque, rientra l’impresa nei cui riguardi
sia in corso il procedimento per l’anzidetta dichiarazione. Vale a dire
che, diversamente (…) la norma sarebbe stata formulata ponendo
l’inciso derogatorio al termine della disposizione, mentre, poiché la
disgiuntiva “o” è collocata dopo ed al di fuori della deroga, la deroga
stessa non comprende l’ipotesi in cui sia pendente la procedura per
l’ammissione al concordato con continuità aziendale» (10).
Detta interpretazione, continua il giudice, si rivela rispettosa dei
principi fondamentali che guidano l’azione amministrativa nel mercato dei contratti pubblici e consente di tutelare l’interesse pubblico
sotteso alla procedura di gara, inibendo alla stazione appaltante di
ammettere a gara e di affidare l’appalto ad un soggetto di cui sia ancora dubbia l’idoneità ad eseguire il contratto per aver solo inoltrato
un’istanza della quale sia incerto l’esito positivo, ben potendo quell’istanza dar luogo al provvedimento dichiarativo dell’inammissibilità
della proposta concordataria previsto dall’art. 162, l. fall. (11).
A ben vedere, tuttavia, il recente intervento normativo, che ha
portato all’introduzione del comma 4, art. 186 bis, si inserisce nel
solco di un orientamento volto a preservare la capacità dell’impresa a soddisfare al meglio i creditori attraverso l’acquisizione di
nuovi appalti, senza con ciò rinunciare a quelle tutele necessarie a
salvaguardare l’interesse pubblico e l’impiego di denaro pubblico.
Dispone, infatti, il suddetto comma che «Successivamente al
deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di affidamento
di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito
il parere del commissario giudiziale, se nominato; in mancanza di
tale nomina, provvede il tribunale». L’organo giurisdizionale è pertanto chiamato ad effettuare un controllo anche sostanziale sulla
funzionalità della partecipazione alla gara alla prosecuzione della
attività aziendale e alla miglior soddisfazione del ceto creditorio (12).
(10) Cons. St., Sez. III, 14 gennaio 2014, n. 101, che conferma TAR, Valle
D’Aosta, Aosta, Sez. I, 18 aprile 2013, n. 23.
(11) Osserva altresì il Cons. St., Sez. III, 14 gennaio 2014, n. 101, che
se si accedesse alla tesi dell’effetto escludente dalla gara non al momento della
presentazione dell’istanza ex art. 161, l. fall., bensì a quello della non ammissione
ex successivo art. 162, non v’è dubbio che si verrebbe a creare una situazione di
incertezza ed indeterminatezza anche temporale della gara stessa, soprattutto se
il finanziamento degli appalti risulti condizionato dal rispetto di termini perentori
per la conclusione delle procedure e l’esecuzione degli appalti stessi.
(12) Sui limiti del sindacato giurisdizionale cfr. Cass., Sez. un., 23 gennaio
leggi e circolari
201
In definitiva, la norma pone in primo piano i valori di rilievo
costituzionale, connessi alla libera iniziativa economica e alla libera
concorrenza di cui agli artt. 41 e 117, Cost., evitando che imprese
che versino in un mero stato di crisi (per di più, autodichiarato!)
escano dal mercato con danno per l’economia generale.
Alle imprese che, invece, hanno già ottenuto il decreto di ammissione, la norma consente la partecipazione alla procedura di
affidamento purché, in sede di gara, presentino la relazione di un
professionista indipendente, che attesti la conformità al piano e
la ragionevole capacità di adempimento del contratto, e facciano
ricorso all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 49, Codice dei
contratti pubblici.
In quest’ultimo caso dovrà essere presentata la dichiarazione di
altro operatore, in possesso dei requisiti di ordine generale e speciale (adeguata capacità economico-finanziaria e idoneità tecnica
e organizzativa) richiesti per l’affidamento dell’appalto, il quale si
impegni nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a
mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata
nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la
stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più
in grado di dare regolare esecuzione all’appalto.
All’impresa in concordato è consentito partecipare alla gara in
raggruppamento temporaneo di imprese, purché la stessa non rivesta
la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al
raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale (13). In tal caso, la dichiarazione richiesta per l’avvalimento può
2013, n. 1521; Trib. Reggio Emilia, Sez. fall., 21 ottobre 2014, n. 38683.
(13) È stato osservato come la disposizione ora richiamata introduce, di
fatto, un diverso trattamento rispetto all’impresa già mandataria di un R.T.I. che
entri in concordato nella fase di esecuzione del contratto pubblico, poiché «(...) la
regola della prosecuzione di cui al terzo comma dovrebbe valere – e non si vede
perché dovrebbe essere il contrario – anche per i contratti in corso di esecuzione
da parte dell’ATI, e quindi il contratto dovrebbe poter proseguire con l’ATI, anche
se la mandataria accede al concordato», G.P. Macagno, Continuità aziendale e
contratti pubblici al tempo della crisi, in Il Fallimento, n. 6, 2014. A ciò si aggiunga
la considerazione che l’ordinamento già disciplina per l’ipotesi di fallimento
dell’impresa capogruppo di un r.t.i. in fase di esecuzione del contratto. L’art. 37,
comma 18, Codice dei contratti pubblici prevede, infatti, che in caso di fallimento
del mandatario la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con
altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal codice
purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture
ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può
recedere dall’appalto. Pertanto non è ben chiara la ratio della disciplina di cui alla
legge fallimentare, posto che essa finisce per limitare l’ambito di operatività del
concordato in continuità, sebbene esista una norma volta a superare tale possibile
rischio.
202
rivista trimestrale degli appalti
provenire anche da una delle imprese costituenti il raggruppamento.
Trattasi, a ben vedere, di adempimenti aggiuntivi rispetto a quelli
richiesti all’impresa che abbia solo provveduto al deposito del ricorso,
per la quale, come visto, è sufficiente l’autorizzazione del tribunale.
Questa apparente contraddizione pare potersi ritenere superata solo
allorché all’impresa in questione, laddove aggiudicataria del contratto, sia richiesto di presentare la medesima documentazione, innanzi
citata, per poter procedere alla stipula del relativo contratto (14).
3.1. (Segue): il regime di qualificazione delle imprese. – A
completamento delle considerazioni sinora svolte in materia di
partecipazione alle procedure di gara, è opportuno richiamare la
questione dell’ottenimento (e mantenimento) della qualificazione
SOA, presupposto indefettibile per partecipare alle gare di lavori
pubblici di importo superiore a 150.000 euro (cfr. art. 60, d.P.R. n.
207/2010), allorché sotto detta soglia è il committente ad accertare
la qualificazione in ogni singolo affidamento.
La certificazione viene rilasciata da soggetti terzi, SOA, al ricorrere dei requisiti di ordine generale (di cui agli artt. 38, comma 1, e
39, commi 1 e 2, Codice dei contratti pubblici, per espresso rinvio
operato dall’art. 78, d.P.R. 207 del 2010), nonché di ordine speciale,
tecnico-organizzativi ed economico-finanziari (v. art. 79, d.P.R. 207
del 2010), dimostrati mediante i certificati rilasciati alle imprese
esecutrici dai committenti.
Tali requisiti devono essere posseduti dai candidati non solo alla
data di scadenza del termine per la presentazione delle offerte (nelle
procedure aperte) o della domanda di partecipazione alla procedura
di affidamento (nelle procedure ristrette), ma anche per tutta la
durata della procedura stessa fino all’aggiudicazione definitiva ed
alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione
dello stesso, senza soluzione di continuità (15).
Tanto è vero che qualora gli stessi vengano meno o se ne accerti la
carenza ab initio, sorge, in capo all’attestatore, l’obbligo di dichiarare
la decadenza dell’attestazione di qualificazione (art. 40, commi 3
e 9 ter, Codice dei contratti pubblici). L’inosservanza dell’obbligo è
sanzionato dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) con la decadenza dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di attestazione.
È chiaro che questa disposizione debba essere letta alla luce
delle considerazioni già svolte, in tema di partecipazione alla gara
da parte dell’impresa che fa ricorso alle procedure concorsuali.
(14) R. Mangani, Il concordato con continuità aziendale e i contratti pubblici:
opportunità e problemi, in questa Rivista, n. 2015, 1, p. 167.
(15) Cons. St., Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8; TAR, Campania, 1° settembre
2011, n. 4293; Cons. St., Sez. III, 14 gennaio 2014, n. 101.
leggi e circolari
203
In via preliminare si osserva come le imprese coinvolte in un
concordato preventivo ordinario si trovino nell’incapacità di conseguire l’attestazione, rientrando questo tipo di procedura, come visto,
in una delle cause di assenza di legittimazione tipizzate dall’art. 38,
Codice dei contratti pubblici. Analogamente, le imprese già in possesso dell’attestazione, saranno invece sottoposte ai procedimenti
di decadenza dell’attestazione stessa per sopravvenuta perdita del
requisito di carattere generale.
Diversa è invece la sorte per le imprese che soggiaciono alla
disciplina speciale di cui all’art. 186 bis, l. fall.
L’ANAC (16) si è pronunciata nel senso di ritenere che la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo con le
caratteristiche proprie del concordato con continuità aziendale non
comporta la decadenza dell’attestazione di qualificazione; in tale
ipotesi, la domanda di ammissione non costituisce, altresì, elemento
ostativo ai fini della verifica triennale o del rinnovo (per le imprese
attestate) o del conseguimento dell’attestazione di qualificazione
(per le imprese non attestate). Un diverso orientamento si sarebbe,
d’altronde, posto in stretta contraddizione con la previsione di cui
comma 4 dell’art. 186 bis, che consente alle imprese di poter partecipare alle procedure di gara anche successivamente al deposito
del ricorso, purché autorizzata dal tribunale.
Resta comunque fermo l’obbligo in capo all’organismo di attestazione di monitorare lo svolgimento della procedura concorsuale
in atto e di verificare il mantenimento del requisito con l’intervenuta
ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, pena
la decadenza dell’attestazione in caso di mancata ammissione per
sopravvenuta perdita del requisito.
Qualora invece vi sia l’ammissione al concordato con continuità
aziendale, opera l’eccezione alle ordinarie cause di esclusione dalle
gare. Con la conseguenza che da quel momento è consentita la dimostrazione del requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. a, Codice
dei contratti pubblici, sia ai fini della partecipazione alle gare che
dell’ottenimento della qualificazione (qualora già posseduta, essa
è da considerarsi pienamente valida ed efficace).
Peraltro, mentre ai fini della partecipazione alle gare, il legislatore
richiede la presentazione, come visto, degli ulteriori elementi di garanzia indicati dall’art. 186 bis, comma 5, l. fall., ciò non è richiesto ai fini
dell’ottenimento dell’attestazione SOA o della sua verifica triennale.
Tali prescrizioni non risultano estensibili all’ambito della qualificazione, posto che la relazione del professionista e la dichiarazione dell’impresa ausiliaria operano solo in riferimento a specifici
(16) Determinazione AVCP, 23 aprile 2014, n. 3.
204
rivista trimestrale degli appalti
e ben definiti contratti. Al contrario la SOA viene rilasciata come
“patente abilitante” per tutto il periodo di validità della stessa, e
non sarebbe perciò prospettabile l’esibizione di dichiarazioni di
garanzie indefinite in quanto non riferibili a contratti specifici, né
valutazioni di capacità di adempimento svincolate da riferimenti
a specifici appalti (17).
4. La prosecuzione dei contratti con la pubblica amministrazione. – Innanzitutto, occorre rilevare come l’art. 186 bis, comma 3,
l. fall. sancisca la regola dell’automatica prosecuzione dei rapporti
giuridici pendenti alla data di deposito del ricorso ex art. 161, l.
fall., ivi inclusi quelli stipulati con la pubblica amministrazione, e
sanzioni con l’inefficacia eventuali patti contrari.
La previsione, facendo salvo quanto previsto dall’art. 169 bis
l. fall., si atteggia quale effetto naturale di qualsivoglia species di
concordato preventivo (18) poiché la norma consente al debitore di
chiedere al tribunale o al giudice delegato (a seconda che sia nel
fase del deposito del ricorso o dopo l’ammissione al concordato)
l’autorizzazione a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla
data della presentazione del ricorso o la sospensione degli stessi per
un massimo di sessanta giorni, prorogabili una sola volta. L’accertamento del tribunale si risolve poi, in ragione della limitata estensione dello scrutinio di legittimità che gli è demandato, nella verifica
della funzionalità dello scioglimento o della sospensione rispetto
alla realizzazione del piano concordatario (quindi alla continuità
aziendale e al miglior soddisfacimento della massa creditoria) e
della previsione di un indennizzo in favore del contraente in bonis
ai sensi dell’art. 169 bis, comma 2, l. fall.
Se la previsione normativa non presenta elementi di novità per
quanto riguarda la facoltà riconosciuta al debitore di sciogliersi da
tutti quei contratti che non ritiene più funzionali alla prosecuzione
dell’attività, lo stesso non può dirsi in merito alla inefficacia di eventuali clausole pattizie che impongano la risoluzione del contratto
per effetto dell’apertura della procedura di concordato in continuità,
posto che queste sono, invece, del tutto ammissibili in riferimento
alle ordinarie forme di concordato. Ecco allora l’introduzione di
un ulteriore regime di favore per l’impresa atto a garantire la prosecuzione di tutti i rapporti in corso di esecuzione anche contra
eventuali norme pattizie.
Aggiunge, poi, la norma che una volta che il debitore sia ammes(17) Determinazione AVCP, 23 aprile 2014, n. 3.
(18) Cfr. G.P. Macagno, Continuità aziendale e contratti pubblici, cit.; L.
Abete, Il pagamento dei debiti anteriori nel concordato preventivo, in Il Fallimento,
2013, p. 1110.
leggi e circolari
205
so al concordato, la continuazione dei contratti pubblici è consentita
solo se il professionista designato dallo stesso attesti la conformità
al piano e la ragionevole capacità di adempimento.
Tale previsione, se letta con attenzione, oltre ad operare una
diversa prescrizione a seconda della fase in cui si trova il debitore,
ovvero se pre-concordataria o successiva al decreto di ammissione
alla procedura, pare anche attenta al negozio giuridico coinvolto.
Merita, infatti, osservare che mentre il primo periodo del comma 3 dell’art. 186 bis, sancisce la prosecuzione di tutti «i contratti
in corso di esecuzione (…) anche stipulati con pubbliche amministrazioni», il terzo periodo consente la continuazione dei (soli)
«contratti pubblici» subordinatamente alla dichiarazione resa dal
professionista indipendente.
L’utilizzo di una differente terminologia nell’uno e nell’altro
caso non può dirsi priva di pregio, posto che le due locuzioni non
possono dirsi alternative tra loro.
Si rammenta, infatti, che ai sensi dell’art. 3, comma 3, Codice
dei contratti pubblici, i «“contratti pubblici” sono i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi,
o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori, dai soggetti
aggiudicatori». Invece, il richiamo ai «contratti stipulati con le
pubbliche amministrazioni» è da intendersi ben più ampio, allorché comprensivo dei contratti attivi, mediante i quali il soggetto
pubblico si procura entrate (vendite, locazioni, ecc.), e di ogni altro
contratto di diritto privato.
Questa considerazione porta a ritenere che il legislatore, dopo
aver sancito la regola generale dell’”indifferenza” del deposito del
ricorso sulle sorti di tutti i contratti in corso di esecuzione (compresi
quelli stipulati con pubbliche amministrazioni) abbia individuato
una disciplina particolare concernente i soli “contratti pubblici”
di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni, consentendone la prosecuzione anche in seguito all’ammissione del debitore al concordato, ma solo subordinatamente
dell’attestazione del professionista relativa alla conformità al piano
e alla ragionevole capacità di adempimento (19).
Il professionista è così chiamato ad esprimere il proprio giudizio
di coerenza dello specifico contratto con il piano di concordato, allorché la natura pubblica dello stesso non può, e non deve, comunque
andare a detrimento di quelle che sono le finalità sottese alla procedura, vale a dire la miglior soddisfazione dei creditori. Al contempo,
(19) Così M. Palladino, I contratti pubblici nel concordato in continuità
aziendale, in Giur. it., 2014, n. 12.
206
rivista trimestrale degli appalti
è richiesta una verifica della capacità di adempimento del debitore
in relazione alle obbligazioni contratte, così da salvaguardare il
contraente pubblico e gli interessi perseguiti, a garanzia di efficienza
dell’azione amministrativa e delle buona spesa del denaro pubblico.
La prosecuzione dei contratti pubblici deve comunque altresì
essere coordinata con i dettami del Codice dei contratti pubblici.
In particolare, si richiama l’art. 140, Codice dei contratti pubblici
che attribuisce alle stazioni appaltanti la facoltà di interpellare gli altri
concorrenti collocati in graduatoria dopo l’originario aggiudicatario,
al fine di stipulare un nuovo contratto, per i residui lavori, in una
serie di casi, tra i quali è richiamato anche il concordato preventivo.
In altre parole, il Codice attribuisce alla pubblica amministrazione
la possibilità di indire una nuova procedura di gara (20) ovvero ricorrere allo scorrimento della graduatoria qualora il contraente privato si
trovi in concordato preventivo al fine di stipulare un nuovo contratto.
Ad una prima lettura la disposizione parrebbe doversi estendere
anche al concordato in continuità aziendale, atteso che trattasi pur
sempre di un concordato preventivo seppur soggetto ad una disciplina per taluni aspetti speciale. Facoltà che tuttavia osta con l’art.
186 bis che, come visto, promuove la continuazione dei contratti
stipulati con la controparte pubblica.
Tale contraddizione è senz’altro da imputare ad un mancato
coordinamento tra le due discipline, allorché il legislatore non ha
modificato l’articolo in questione al pari dell’art. 38, Codice dei
contratti pubblici, da superarsi in via interpretativa tenendo conto
della finalità sottesa alla novella legislativa.
5. Il trasferimento di azienda nel mercato dei contratti pubblici. – Si è già avuto modo di vedere come l’istituto del concordato
preventivo in continuità aziendale di cui all’art. 186 bis ricorra
quando nel piano di concordato sia prevista, appunto, la prosecuzione dell’attività di impresa che può essere garantita dallo stesso
debitore (cosiddetta continuità diretta) oppure può essere attuata
attraverso gli strumenti giuridici della cessione o del conferimento
dell’azienda “in esercizio” in una o più società anche di nuova costituzione (cosiddetta continuità indiretta).
La norma attribuisce rilievo ad uno spettro assai ampio di
ipotesi, la cui manifestazione poteva dirsi solo in parte ricorrente
prima della riforma, data l’ampia autonomia concessa al debitore
nella formulazione della proposta di concordato ex art. 160 l. fall.
Tanto è vero che la dottrina già si espresse in senso favorevole alla
possibilità di proporre un concordato preventivo che avesse un mero
(20) Cfr. TAR Reggio Calabria, Calabria, Sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1594.
leggi e circolari
207
effetto dilatorio, remissiorio o di ristrutturazione finanziaria ed
industriale, ravvisando così la continuità aziendale esclusivamente
nel caso di prosecuzione dell’attività da parte dell’imprenditore in
crisi (21). Il trasferimento di azienda veniva trattato alla stregua di
una cessio bonorum, cioè in prospettiva liquidatoria.
Al contrario, la nuova disciplina di cui all’art. 186 bis trova applicazione alla continuità aziendale intesa sia in senso soggettivo che
oggettivo, cioè sia a quelle ipotesi in cui l’imprenditore originario
prosegue l’attività in proprio sia a quelle in cui esso procede alla
cessione del complesso produttivo a un soggetto terzo, indipendentemente dalla forma che assume il trasferimento (22).
L’ultimo periodo del primo comma dell’art. 186 bis include poi
nell’istituto in esame anche il concordato misto, vale a dire quella
procedura che accanto alla prosecuzione, diretta o indiretta, dell’attività ammette la liquidazione atomistica di beni non funzionali alla
prosecuzione dell’attività (23).
(21) M. Arato, Il concordato preventivo con continuazione dell’attività di impresa,
in F. Bonelli (a cura di), Crisi d’imprese: casi e materiali, Milano, 2011, p. 140 ss.
(22) Da qui l’utilizzo dell’espressione “azienda in esercizio” in riferimento
ai casi di trasferimento della titolarità dell’impresa, così da escludere l’operazione
da un’ottica liquidatoria.
(23) Qualora ci si trovi al cospetto di un piano “misto”, che accanto alla
prosecuzione dell’attività di impresa contempla anche la dismissione di taluni beni
non funzionali, al fine di individuare la disciplina applicabile (art. 182 oppure 186
bis, l. fall.) occorre fare applicazione della cosiddetta teoria dell’assorbimento o della
prevalenza, secondo la quale nel caso «(...) di contratto misto, la relativa disciplina
giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel
cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (...), senza escludere ogni
rilevanza giuridica degli altri elementi, (...) ai quali si applicano le norme proprie
del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto
prevalente» così Cass., Sez. III, 12 dicembre 2012, n. 22828.
Di conseguenza, laddove la prosecuzione dell’attività d’impresa si riveli
funzionale alla liquidazione si applicheranno le disposizioni di cui all’art. 182, l.
fall., sicché dovrà escludersi l’operatività dell’art. 186 bis l. fall., salvo che per quegli
aspetti comunque compatibili con la fattispecie concreta (ad es. la disposizione di
cui al comma 2, lett. b, del predetto articolo, in base al quale l’esperto è chiamato ad
attestare la funzionalità della continuazione aziendale al miglior soddisfacimento
dei creditori); e viceversa.
Tuttavia, sul punto, taluna giurisprudenza ha affermato che quando il piano
di concordato si basi prevalentemente sulla continuità aziendale «(...) il ricorso
all’art. 182, l. fall., sia in fase di cessione di beni in corso di procedura che in fase
post omologa porterebbe ad un appesantimento della procedura, anche in termini
di costi, e non garantirebbe necessariamente un miglior soddisfacimento del ceto
creditorio. Non si è pertanto dell’avviso del necessario ed automatico ricorso alla
disciplina di cui all’art. 182, l. fall. Anzi, si ritiene che la stessa sia tendenzialmente
inapplicabile al concordato in continuità, in quanto superflua, laddove prevede la
nomina di un liquidatore e di un CDC [Comitato dei Creditori]» e aggiunge che,
sebbene manchi una disciplina specifica con riferimento alla fase esecutiva di questa
forma concordataria, non può essere applicata quella prevista per i concordati
con cessio bonorum, così Trib. Bolzano, Sez. fall., 10 marzo 2015; ma anche Trib.
208
rivista trimestrale degli appalti
La norma non menziona, come evidente, l’affitto d’azienda, strumento particolarmente ricorrente nell’attuale contesto economico
poiché utile per una gestione della crisi aziendale allorché l’imprenditore può affidare la gestione del proprio complesso produttivo a
un altro soggetto che venga ritenuto idoneo al fine di consentire
una ripresa e una riorganizzazione dell’azienda.
Con la conseguenza che la riconducibilità dell’istituto ora menzionato nell’ambito applicativo della norma è risultato particolarmente controverso.
Inizialmente, il giudice civile escludeva tale evenienza osservando che le speciali disposizioni in tema di continuità concordataria
di cui all’art. 186 bis l. fall. (id. est. predisposizione di un piano
industriale, speciale attestazione, ecc.) si giustificano in quanto la
debitrice prospetti la permanenza di un rischio di impresa su cui
i creditori sono chiamati ad esprimere il proprio voto. Laddove
invece la continuazione dell’attività è in capo ad un soggetto giuridico diverso, che si è impegnato a pagare un canone fisso, si dovrà
eventualmente discutere della solvibilità dell’affittuaria o delle garanzie da questa prestate (o meno) ma all’interno di uno schema
concordatario e causale puramente liquidatorio (24).
Trattasi di una interpretazione che faceva chiaramente perno su
una lettura sistematica delle norme e che assumeva come elemento
rilevante quello soggettivo.
Al contrario, le più recenti pronunce giurisprudenziali riconoscono che il concordato in continuità ricorra allorché vi sia prosecuzione dell’attività di impresa indipendentemente dal fatto che a
garantire tale continuità sia il debitore o un terzo mediante cessione
o conferimento. L’attenzione viene quindi riposta sull’elemento
oggettivo, cioè sull’azienda, quale complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555, cod. civ.),
nell’ambito del quale tutti gli elementi sono caratterizzati da un
vincolo organizzativo e di destinazione all’esercizio dell’impresa.
In questa ottica anche il contratto di affitto d’azienda purché
finalizzato al successivo trasferimento, e non destinato alla mera
conservazione del valore dei beni aziendali al fine di una loro
più fruttuosa liquidazione, è da ritenersi ammissibile nell’ambito
dell’art. 186 bis, l. fall. (25).
Chieti, 15 ottobre 2013. Pertanto, secondo i giudici, la cessione dell’azienda o dei
beni non funzionali dovrà essere eseguita dagli amministratori, sotto il controllo
del commissario giudiziale e del giudice delegato, che devono vigilare affinché non
siano compiute operazioni straordinarie non previste dal piano, o che possano
pregiudicare il pagamento dei creditori concorsuali.
(24) Trib. Ravenna, Sez. fall., 29 ottobre 2013.
(25) Cfr. Trib. Monza, 11 giugno 2013.
leggi e circolari
209
Al riguardo la giurisprudenza è oggi costante nel ritenere che
sia l’affitto stipulato prima della presentazione della domanda di
concordato, che quello da stipularsi in corso di procedura concordataria, ove vi sia la previsione di successiva cessione dell’azienda, non
sia di ostacolo all’applicabilità della disciplina tipica del concordato
in continuità (26). Ciò nella considerazione che l’affitto d’azienda si
appalesa quale mero strumento giuridico ed economico finalizzato
proprio ad evitare una perdita di funzionalità ed efficienza dell’intero complesso aziendale in vista di un suo successivo passaggio a
terzi, nella forma della cessione o del conferimento, senza il rischio
della perdita dei valori intrinseci, quali l’avviamento, che un suo
arresto, anche solo momentaneo, produrrebbe in modo irreversibile.
L’affitto d’azienda rappresenta, così, uno strumento compatibile e funzionale al raggiungimento degli obiettivi sottesi, vale a
dire alla conservazione dell’impresa e al miglior soddisfacimento
del ceto creditorio, che dovrà comunque essere necessariamente
autorizzato dal giudice delegato quale atto eccedente l’ordinaria
amministrazione (art. 167, l. fall.).
Potranno formare oggetto dell’affitto di azienda sia i beni materiali (mobili e immobili) che quelli immateriali (opere dell’ingegno
e segni distintivi), ivi compresi i rapporti giuridici in essere.
Tra questi ultimi, meritano un cenno particolare i contratti che
non abbiano carattere personale (art. 2558 cod. civ.), nei quali, se
non è pattuito diversamente, subentra automaticamente l’acquirente
dell’azienda (o di un suo ramo), salva la facoltà del terzo contraente
di recedere per giusta causa; ciò in deroga alla disciplina civilistica
ordinaria in merito alla successione nei contratti di cui agli artt. 1406
ss. cod. civ. che richiede il preventivo assenso del contraente ceduto.
In particolare, poi, laddove il terzo contraente sia una pubblica
amministrazione (o un soggetto ad essa equiparato) la disciplina
speciale del Codice dei contratti pubblici prevede uno specifico ed
ulteriore regime di garanzia.
Fermo restando il divieto di cessione del contratto a terzi (cfr.
art. 118, comma 1, Codice dei contratti pubblici), non è possibile
precludere all’impresa la conclusione di quei contratti che sono
espressione della sua autonomia organizzativa, come la trasformazione, fusione, scissione, cessione o affitto dell’azienda o di un ramo
di questa, in ossequio al principio della libera iniziativa economica.
(26) Trib. Bolzano, Sez. fall., 10 marzo 2015. A diversa conclusione
occorre addivenire nel caso di affitto tout court, non finalizzato alla cessione del
complesso aziendale. Ne consegue che affinché la continuità aziendale possa trovare
applicazione attraverso l’istituto in parola è necessario che il contratto d’affitto
sia accompagnato da una proposta irrevocabile d’acquisto da parte dello stesso
affittuario, garantita da fideiussione. Cfr. anche Trib. Roma, Sez. fall., 24 marzo 2015.
210
rivista trimestrale degli appalti
Tali operazioni “straordinarie”, propedeutiche (spesso) alla risoluzione di una crisi economico-finanziaria, comportano, come evidente,
una novazione soggettiva dell’aggiudicatario o del contraente del
committente pubblico che viene subordinata al rispetto delle condizioni espressamente previste dagli artt. 51 e 116 Codice dei contratti
pubblici, rispettivamente disciplinanti il caso che la modificazione
avvenga in un momento precedente alla singola gara o durante lo
svolgimento della stessa, oppure dopo la conclusione del contratto.
Così l’art. 51, Codice dei contratti pubblici, rubricato “Vicende
soggettive del candidato, dell’offerente e dell’aggiudicatario”, prevede che qualora i candidati o i concorrenti, cedano, affittino l’azienda
o un suo ramo, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o
scissione della società, il soggetto subentrante (id. est. cessionario,
affittuario, ovvero il soggetto risultante dell’avvenuta trasformazione, fusione o scissione), sia ammesso alla gara, all’aggiudicazione,
alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine
generale (cfr. art. 38, Codice dei contratti pubblici), sia di ordine
speciale (artt. 40 e 41, Codice dei contratti pubblici), nonché dei
requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati
dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 62, Codice dei contratti
pubblici, ossia la cosiddetta forcella.
Con la cessione o l’affitto di azienda (o di ramo di essa) vi è un
trasferimento, come detto, tra soggetti di tutte quelle risorse, mezzi
e personale necessario a svolgere l’attività di impresa. Si verifica un
mutamento nella titolarità ma non nell’organizzazione del complesso aziendale all’esercizio di attività economica. Ne consegue che il
cessionario o l’affittuario può dare dimostrazione del possesso in
proprio dei requisiti tecnici e professionali anche se gli stessi sono
stati maturati sotto la titolarità del cedente o affittante (27).
Questa conclusione trova conferma anche nell’art. 76, comma 9,
d.P.R. n. 207 del 2010, che espressamente dispone in caso di fusione
o di altra operazione che comporti il trasferimento di azienda o di
un suo ramo, che il nuovo soggetto abbia la facoltà di «avvalersi per
la qualificazione dei requisiti posseduti dalle imprese che ad esso
(27) Cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. III, 12 dicembre 2007, n. 12973, ove si legge
che in materia di pubblici appalti, deve ritenersi che «al fine di integrare i requisiti
di partecipazione ad una gara di appalto, sono riconducibili al patrimonio di un
soggetto i titoli posseduti da altro soggetto che gli abbia ceduto il ramo d’azienda».
E ciò vale anche se il bando non lo prevede espressamente (contra Cons. St., Sez.
VI, 30 gennaio 2007, n. 366) trattandosi di un criterio interpretativo, integrativo del
bando medesimo, che è coerente con i principi generali del nostro ordinamento:
infatti, con la cessione di un ramo di azienda si determina il subingresso del
cessionario nel complesso dei rapporti attivi e passivi del cedente, tra i quali è
compreso anche il possesso di titoli, referenze o requisiti specifici maturati nello
svolgimento dell’attività cui il ramo ceduto era dedicato.
leggi e circolari
211
hanno dato origine» e stabilisce, altresì, che l’affittuario, nel caso di
affitto di azienda, può avvalersi dei requisiti posseduti dall’impresa
locatrice se il contratto di affitto abbia durata non inferiore a tre anni.
È bene comunque chiarire che il trasferimento della titolarità dei
requisiti al cessionario non è di per sé automatico in quanto occorre
che ciò sia previsto dal contratto di trasferimento dell’azienda e che,
comunque, non potranno che essere trasferiti tutti quei requisiti
strettamente connessi all’attività propria del ramo affittato poiché
il complesso dei beni trasferiti deve pur sempre essere funzionale
ed idoneo all’esercizio dell’impresa.
Conseguentemente, la SOA subordina il rilascio della qualificazione al cessionario alla verifica della sussistenza di alcune
condizioni: che effettivamente vi sia stata una cessione di azienda
e che il cessionario sia in possesso (direttamente o indirettamente
tramite la società cedente) dei requisiti necessari.
L’organismo di attestazione deve, poi, provvedere anche all’adeguamento delle attestazioni, poiché diversamente si attribuirebbero
delle qualificazioni ai due distinti contraenti privati sulla base della
medesima organizzazione aziendale. E così l’impresa cedente il
complesso aziendale o di un suo ramo potrà richiedere alla SOA
una nuova attestazione, riferita ai requisiti oggetto di trasferimento,
esclusivamente sulla base dei requisiti acquisiti successivamente alla
cessione del complesso aziendale o del suo ramo (art. 76, comma
11, d.P.R. n. 207 del 2010).
La disciplina sino ad ora richiamata trova applicazione quando il
processo di spersonalizzazione del contratto pubblico avviene nella
fase pubblicistica della gara ad evidenza pubblica. Tuttavia, è ben
comprensibile, come essa possa ricorrere anche successivamente
alla conclusione del contratto, in fase di esecuzione del lavoro,
servizio o fornitura.
Sul punto il Codice dei contratti individua alcune condizioni
affinché l’operazione di riorganizzazione del soggetto privato
possa produrre effetti nei confronti della stazione appaltante; ciò
a salvaguardia dell’interesse pubblico a che permangano, in capo
all’aggiudicatario, tutti i requisiti soggettivi (di affidabilità morale e
professionale) ed oggettivi (di tipo economico-finanziario e tecnicoorganizzativo) che hanno determinato la sua scelta e, quindi, possa
essere assicurato l’esatto adempimento contrattuale.
Più precisamente, l’art. 116, Codice dei contratti pubblici, rubricato
«vicende soggettive dell’esecutore del contratto», prevede che le cessioni di azienda e gli atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ai
soggetti esecutori di contratti pubblici non hanno singolarmente effetto
nei confronti di ciascuna stazione appaltante fino a che il cessionario,
ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o
scissione, non abbia proceduto nei confronti di essa alle comunicazioni
212
rivista trimestrale degli appalti
previste dall’art. 1, d.P.C.M. n. 187 del 1991, e non abbia documentato
il possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal Codice. Disciplina
che deve ritenersi estesa anche alla cessione di ramo di azienda ovvero
dell’affitto della stessa, sebbene non espressamente richiamate dalla
disposizione, così come invece previsto dall’art. 51, Codice dei contratti
pubblici (per la fase anteriore alla stipulazione del contratto), con il
quale condivide la ratio ispiratrice (28).
La comunicazione mette la stazione appaltante nelle condizioni
di proporre, nei successivi 60 giorni, formale opposizione al subentro del nuovo soggetto nella titolarità del contratto, con effetti
risolutivi sulla situazione in essere, laddove non risultino sussistere i
requisiti previsti dalla legislazione antimafia di cui all’art. 10 sexies,
l. n. 575 del 1965 e successive modificazioni.
Il rispetto delle condizioni ora viste consentono ancora una
volta di salvaguardare il complesso aziendale, in un’ottica di continuità piuttosto che liquidatoria. Infatti, sia l’imprenditore cedente/
conferente che il terzo cessionario/conferitario, i quali medio tempore abbiano anche fatto ricorso allo strumento dell’affitto per non
disperdere il valore aziendale, potranno valorizzare al massimo
l’azienda mantenendo in vita tutti i contratti già stipulati.
6. Il concordato preventivo cosiddetto “in bianco”: verso un concordato preventivo “ordinario” o “in continuità aziendale”? – Accanto alle
figure di concordato sopra descritte, il cosiddetto decreto sviluppo
ha introdotto all’art. 161, comma 6, l. fall., il concordato preventivo
cosiddetto “in bianco” (o prenotativo). Trattasi di un istituto che
consente all’azienda in crisi di depositare la domanda di concordato
unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi
di presentare la proposta, il piano, la relazione del professionista
indipendente e l’ulteriore documentazione richiesta dal medesimo
articolo, nel termine indicato dal giudice, comunque compreso fra
sessanta e centoventi giorni, ulteriormente prorogabile per non più
di sessanta giorni al ricorrere di giustificati motivi.
Proprio per queste sue caratteristiche, l’istituto viene definito
“in bianco”: perché mancano gli ordinari elementi costitutivi il
concordato preventivo; elementi che il debitore si riserva (ovvero
(28) Cfr.. Parere AVCP (ora ANAC) sulla normativa del 6 novembre 2008 e
art. 186 bis, comma 3, l. fall., che ammette la continuazione dei contratti pubblici,
a seguito dell’ammissione al concordato preventivo, anche in capo alla società
cessionaria o conferitaria d’azienda o di rami d’azienda cui i contratti sono trasferiti
“in presenza dei requisiti di legge”, intendendo con tale espressione fare riferimento
alla verifica, da parte della stazione appaltante, della sussistenza dei requisiti di
qualificazione e partecipazione in capo al soggetto cessionario o conferitario
dell’azienda in esercizio, a norma dell’art. 116, Codice dei contratti pubblici
leggi e circolari
213
prenota) di sottoporre al tribunale solo in un momento successivo.
Alla presentazione della domanda, la nuova disciplina del concordato ricollega un importante effetto, vale a dire l’impossibilità
per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul
patrimonio del debitore (art. 168, l. fall.), nonché la prededucibilità
di nuovi finanziamenti accesi, previa autorizzazione del Tribunale,
alle condizioni di cui all’art. 182 quinquies, comma 1, l. fall.
Tali disposizioni, proteggendo l’integrità del patrimonio dalle
azioni dei creditori, hanno reso l’istituto in parola particolarmente
appetibile e ricorrente nella pratica.
Tuttavia, l’assenza di un piano ha sollevato numerosi dubbi
circa la sua compatibilità con la disciplina di cui all’art. 186 bis e,
in particolare, con il mercato dei contratti pubblici.
In un primo momento, l’ANAC aveva escluso che tale fattispecie
potesse consentire la prosecuzione dell’attività aziendale sull’assunto
che la presentazione del piano costituisce un presupposto indefettibile per l’applicabilità della disciplina sul concordato ex art. 186
bis, con la conseguenza che l’impresa soggiace alle cause ostative
al rilascio della qualificazione ovvero alla decadenza della stessa,
qualora già rilasciata (29).
Allo stesso modo, il giudice civile (30) osservò che «(…) il concordato può definirsi in continuità aziendale, tra l’altro, se sussistono
determinati presupposti di sostenibilità del piano che debbono
essere attestati da un professionista unitamente alla convenienza
della soluzione per i creditori; è scarsamente comprensibile, tuttavia, come possano ricorrere tali condizioni in una fase in cui per
definizione un piano non dev’essere ancora depositato e quindi non
vi può essere un’attestazione che quello avvalori; se dunque non
si vuole affidare la giustificazione della violazione del principio
della par condicio creditorum alla sola prospettazione del debitore
è necessario che vi sia un piano non solo abbozzato ma sufficientemente definito nelle sue linee portanti, un apprezzabile stato di
avanzamento della sua plausibilità sotto il profilo, ad esempio, del
raggiungimento degli accordi che lo debbono rendere operativo,
un’attestazione che, pur a fronte delle non definitività del piano
stesso, ne sancisca la corretta formulazione e la maggior convenienza per i creditori». Con queste considerazioni, il giudice ha
sostanzialmente escluso che l’imprenditore in crisi possa accedere
(29) Determinazione AVCP, 23 aprile 2014, n. 3. Cfr. M.T. Massi, Ancora sul
concordato in bianco o con riserva, in www.appaltiecontratti.it, 20 giugno 2014.
(30) Trib. Modena, 24 maggio 2013, relativamente ad un ricorso presentato
per l’ammissione al concordato “in bianco”, nell’ambito del quale veniva chiesta
l’autorizzazione al pagamento di fornitori anteriori alla presentazione del ricorso
medesimo, poiché definiti essenziali, ai sensi dell’art. 182 quinquies, comma 4, l. fall.
214
rivista trimestrale degli appalti
ai benefici previsti dall’art. 186 bis fintantoché non siano presentati
il piano e la proposta, quali atti capaci di attribuire alla procedura
le caratteristiche di concordato in continuità.
Conclusioni di tal fatta non potevano che aprire spazio a critiche
soprattutto allorché si osservi come lo stesso art. 161, comma 6, l.
fall., disciplini la possibilità per il debitore, già dopo il deposito del
ricorso e fino al decreto di apertura della procedura, di compiere
tutti gli atti di ordinaria amministrazione nonché gli atti urgenti di
straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale,
il quale può assumere sommarie informazioni e acquisire il parere
del commissario giudiziale, se nominato (art. 161, comma 7, l.
fall.). A cui si aggiunge la previsione di cui all’art. 182 quinquies che
ammette la possibilità di presentare domanda di concordato con
continuità aziendale anche ai sensi dell’art. 161, comma 6, al fine
di ottenere l’autorizzazione del Tribunale al pagamento dei crediti
anteriori per prestazioni di beni e servizi ritenuti essenziali alla
prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la
miglior soddisfazione dei creditori.
Se all’imprenditore è allora consentito proseguire l’esercizio
della sua normale attività, non si vede ragione per impedire allo
stesso di partecipare alle procedure di gara ad evidenza pubblica
e/o proseguire nei contratti pubblici già stipulati. Non sembra,
ragionevole, in altri termini, esporre l’impresa alla risoluzione dei
contratti pubblici o impedirle di partecipare alle pubbliche gare,
per il solo fatto di aver depositato domanda “in bianco”, poiché ciò
sortirebbe l’effetto di paralizzare una attività imprenditoriale che,
nello spirito delle norma, dovrebbe essere spronata. L’imprenditore
si vedrebbe, in questo quadro, penalizzato nella sua continuità per
aver denunciato per tempo la propria situazione di crisi.
Talché, fin da subito, la dottrina si è impegnata a ricercare un
fondamento normativo a supporto di una interpretazione più rispettosa delle finalità perseguite dal legislatore in sede di riforma della
legge fallimentare, vale a dire offrire alle imprese uno strumento
utile a risolvere le situazioni di crisi, senza frustrare le aspettative
dei creditori, e al contempo auspicato una rivisitazione dell’interpretazione già fornita dall’ANAC.
Così parte della dottrina (31) ammetteva la partecipazione alla
gare alle imprese che avessero depositato domanda di concordato
“in bianco” sull’assunto che l’impresa si trovi semplicemente in uno
stato di crisi, al pari di quelle che accedono agli accordi di ristrut-
(31) C. Bigi, Concordato preventivo con continuità aziendale: partecipazione
alle gare, scioglimento del contratto ed escussione della cauzione provvisoria, in
Appalti e contratti, 2012.
leggi e circolari
215
turazione dei debiti, ex art. 182 bis, l. fall., ipotesi, la cui pendenza,
certamente non si configura fra le cause di esclusione di cui all’art.
38, Codice dei contratti pubblici
Il parallelismo tra le due situazioni emergerebbe dallo stesso art.
161, comma 6, l. fall., il quale prevede che «Nello stesso termine, in
alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti
prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi
dell’art. 182 bis, comma 1.». Pertanto, nel periodo compreso fra
sessanta e centoventi giorni dal deposito del ricorso, non è neppure
necessario che si apra un concordato, ben potendo l’imprenditore
accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti, con la conseguenza che l’esclusione dell’impresa dalle procedure di affidamento
sarebbe del tutto illegittima.
Altri hanno, invece, osservato (32) come nel testo di cui all’art. 186
bis, comma 4, come da ultimo novellato, si faccia espresso riferimento al «parere del commissario giudiziale, se nominato», da rendersi
al tribunale, affinché questi decida in merito alla partecipazione
dell’impresa alle procedure di affidamento di contratti pubblici, nella
fase immediatamente successiva al deposito del ricorso. Tale disposizione deve necessariamente correlarsi a quanto disposto dall’art.
161, comma 6, l. fall. laddove prevede che «Con decreto motivato che
fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale può nominare
il commissario giudiziale di cui all’art. 163, secondo comma, n. 3».
Trattasi chiaramente di una nomina solo eventuale, e per di
più anticipata, rispetto a quanto accade nel concordato preventivo
ordinario, ove essa viene operata obbligatoriamente con il decreto
di ammissione alla procedura (cfr. art. 163, l. fall.). Talché l’art. 186
bis, nel richiamare il parere espresso da tale soggetto “se nominato”,
già nella fase antecedente all’ammissione alla procedura, non può
che riferirsi all’ipotesi in cui sia stata semplicemente presentata
domanda di concordato “in bianco”.
Tale interpretazione è stata di recente accolta dall’ANAC che non
ha mancato di confermare che il riferimento al parere del commissario giudiziale, nella fase successiva al deposito del ricorso «(…)
può avere un senso normativo, in quanto si ammetta che la norma
(…), interpretata sistematicamente, si riferisca, implicitamente,
alla possibilità che le imprese siano autorizzate alla partecipazione
alla gara non solo in caso di presentazione della domanda di concordato preventivo con “continuità aziendale” ma anche in caso di
presentazione della domanda di concordato “in bianco”. È evidente
(32) R. Travaglini, Chi chiede il concordato “in bianco” va aiutato (se lo
merita) a superare la crisi o va (aprioristicamente) escluso dal mercato delle commesse
pubbliche?, in Appalti e contratti, 2014.
216
rivista trimestrale degli appalti
che in quest’ultima ipotesi sarà, in ogni caso, il giudice a valutare se
autorizzare la suddetta partecipazione, sulla base dell’effetto prenotativo della domanda in ordine alla futura presentazione del piano
e verificando che sussistano le condizioni per consentire intanto la
partecipazione medesima» (33). Così è prassi dei tribunali richiedere
di definire già nella domanda prenotativa il tipo di concordato che
si intende presentare o darne indicazione nelle relazioni mensili prescritte fino alla presentazione del piano (cfr. art. 161, comma 8, l. fall.).
Da tali considerazioni, discende, altresì che la medesima norma
consente all’impresa di mantenere, nelle more del termine intercorrente tra la presentazione della domanda e la presentazione
del piano di continuità, l’attestazione SOA posseduta, da ritenersi
infatti pienamente valida ed efficace. Ciò sul presupposto che persiste il requisito di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, lett.
a, Codice dei contratti pubblici
Certamente, la permanenza della validità e dell’efficacia dell’attestazione di qualificazione è risolutivamente condizionata alla decisione del giudice che dovesse dichiarare inammissibile la proposta
di concordato con continuità aziendale.
Analoghe considerazioni debbono essere svolte in riferimento
agli effetti della presentazione di una domanda prenotativa di
concordato con continuità sui contratti già stipulati con la pubblica amministrazione e in corso di esecuzione. Questi ultimi non
saranno soggetti a risoluzione in quanto non viene meno, durante
la pendenza del termine per la presentazione del piano, il requisito
di qualificazione necessario anche per l’esecuzione del contratto.
Peraltro, la stessa giurisprudenza (34), più recente in materia, ha
dato atto che laddove siano rispettate le condizioni e soddisfatti gli
adempimenti previsti dal comma 4 dell’art. 186 bis (in seno al quale,
si ricorda, è prevista l’autorizzazione del tribunale ed il parere del
commissario giudiziale, che in questa fase può essere nominato solo
in presenza di domanda di concordato “in bianco”), la domanda
in sé non comporta né l’automatica decadenza dell’attestazione di
qualificazione né la risoluzione di diritto dei contratti in corso, in
quanto l’istituto ha la finalità di incentivare le imprese ad anticipare la denuncia della situazione di crisi, comunque prima di essere
assoggettate a misure di controllo esterno.
Elisa Borghi e Giovanni Carlini
(33) Determinazione ANAC, 8 aprile 2015, n. 5.
(34) Cons. St., Sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3344.
LIBRI
M. Nicolai e W. Tortorella, Partenariato Pubblico Privato e Project
Finance, ed. Maggioli, Rimini, 2016, pp. 349.
Il nuovo volume collettaneo in esame è stato curato da Marco Nicolai e Walter Tortorella, che, oltre ad essere direttamente autori di
parti del volume medesimo, hanno coordinato gli ulteriori contributi
dovuti a Enzo Adamo, a Giuliana Bo, a Luca Bisio, a Rosalba Cori,
e a Ilaria Paradisi.
L’opera, che si inserisce nella collana “Progetto
Ente Locale”, particolarmente apprezzata e nota fra gli operatori
delle amministrazioni locali, ripropone, con gli aggiornamenti nel
frattempo intervenuti la riflessione sul partenariato pubblico privato, già oggetto del precedente volume edito nel 2015.
È facile, anche in questa occasione, constatare come gli autori
dedichino la loro attenzione a materie di notevole attualità, a motivo
anche della crisi economica, che, lungi dall’attenuarsi, perdura e
colpisce ormai da molti anni il nostro Paese, oltre che manifestarsi
in varia misura a livello mondiale, segnando in molti Stati la carenza
di risorse pubbliche.
La crisi economica si manifesta, in particolare, grave e profonda nelle sue conseguenze in Italia, ove – fra le
differenti e molteplici cause – pure una natalità a livelli bassissimi,
unita a un crescente e rapido invecchiamento della popolazione,
rende con sempre maggiore nettezza difficile reperire risorse per
opere e servizi pubblici, portando a un certo contenimento (pur nella
permanenza, comunque, di sprechi non giustificabili) della spesa
pubblica nella parte che più la qualifica: gli investimenti pubblici
in infrastrutture e servizi di pubblica utilità.
Detto ciò, il volume si conferma individuare alcuni strumenti
attraverso cui tentare, almeno in parte, di sopperire alle difficoltà
menzionate.
Il capitolo introduttivo, circa gli investimenti in rapporto alle
infrastrutture nei processi di crescita economica, prende in considerazione, fra l’altro, anche il cosiddetto piano Junker (piano di
investimenti strategici, presentato il 26 novembre 2014 dal presidente della Commissione europea) e la l. 28 dicembre 2015, n. 208,
così detta legge di stabilità 2016.
Con il secondo capitolo, si entra nella trattazione riguardante il
partenariato pubblico privato e il project financing, verificando, al
riguardo, gli aspetti sia di diritto comunitario, sia di diritto nazio-
218
rivista trimestrale degli appalti
nale.
Gli istituti di partenariato pubblico privato, previsti dal d.lgs.
12 aprile 2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/
CE), e gli strumenti finanziari, quali la finanza di progetto, offrono
diverse opportunità, ma, nonostante ciò, gli autori rilevano che
ancora non appaiono utilizzati in maniera appropriata ed efficace
da parte degli enti locali.
Allo scopo di far conoscere e approfondire le caratteristiche
e le potenzialità del partenariato in relazione alle specificità del
contesto economico in cui operatori pubblici e privati svolgono la
propria opera, l’analisi dell’evoluzione nella disciplina normativa
e della diffusione dell’applicazione di tali istituti in Italia (capitolo
terzo) viene accompagnata dall’evidenziazione degli incentivi che
ne promuovono l’uso.
Il riferimento è alla contabilizzazione delle
opere al di fuori del bilancio pubblico, alle agevolazioni fiscali, agli
strumenti finanziari abbinati (fondi immobiliari, project bond), alla
liberalizzazione delle modalità di corresponsione del contributo
pubblico nell’ambito dei contratti di concessione di lavori.
Il quarto capitolo del volume è, così, dedicato ai vantaggi, alla
struttura finanziaria e agli incentivi pubblici del partenariato pubblico privato, seguendo l’intento di individuare modalità concrete di
applicazione del partenariato in esame, che diano rilievo all’iniziativa privata sia nella progettazione, sia nella realizzazione, sia nella
gestione e nel finanziamento di infrastrutture e di servizi pubblici.
Il quinto capitolo si occupa dei profili riguardanti la contabilizzazione dei partenariati pubblico-privati nei bilanci pubblici, ove,
dopo aver verificato il contesto di riferimento nel patto di stabilità
e crescita, si entra nel vivo della contabilizzazione dei partenariati
negli enti locali.
Il volume si conclude con la trattazione dell’ipotesi di iniziativa privata per opere fuori programmazione, in base all’art.153,
comma 19, d.lgs. n. 163 del 2006 (capitolo sesto) e con la disamina
del project financing da parte della dottrina e della giurispeudenza
(capitolo settimo).
Quanto all’aggiornamento, il volume in esame tiene conto, oltre
che della legge di stabilità 2016, anche dello Schema del nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione.
Si conferma
l’impressione ricevuta per il volume precedente: l’opera degli autori
appare riuscita, poiché il lettore in genere e l’operatore pubblico in
particolare trovano una spiegazione adeguata degli istituti oggetto
del volume, arricchito di tabelle ed esempi, che agevolano la comprensione delle diverse tematiche.
Giuseppe Musolino
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