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Fondatada da Fondata C,ancrini aolo C, arbone , ACntonio arullo ANCRINI PAOLO ,CPARBONE ANTONIO ARULLOC ,M AURO ,CIANI, ARTUROACrturo M auro C iani , G iovanni G iordano , M atteo M azzone , , GIOVANNI GIORDANO, MATTEO MAZZONE, PIER MARIA PIACENTINI P ier M aria P iacentini , P ierluigi P iselli PIERLUIGI PISELLI, FRANCESCO PAOLO PUGLIESE Diretta Direttada da Paolo CARBONE Paolo CARBONE Avvocato Avvocato Antonio CARULLO Antonio CARULLO Professore OrdinarioOrdinario nell’Università di Professore Bologna nell’Università di Bologna Pier Maria PIACENTINI Francesco Paolo PUGLIESE Pier Maria PIACENTINI Consigliere di Stato Professore Ordinario nell’Università di Consigliere di Stato Roma MAGGIOLI EDITORE Comitato di coordinamento scientifico Pietro Rescigno, Fabio Alberto Roversi-Monaco. Comitato scientifico M arco A llegra , S andro A morosino , V ito C andia , A ntonio C ataudella , A ntonio C atricalà , R iccardo C hieppa , A ngelo C larizia , M ario C olacito , G iancarlo C oraggio , D iego C orapi , G uido C orso , R ubens E sposito , R inaldo G eremia , C esare L oria , R osario M aresca , A nnibale M arini , M arcello M elandri , F abio M erusi , G iuseppe M orbidelli , L ucio V alerio M oscarini , G iorgio P astori , G iuseppe P ericu , O svaldo P rosperi , A lfonso Q uaranta , G iuseppe S antaniello , F ilippo S atta , F ranco G aetano S coca , V incenzo S pagnuolo V igorita , G iuseppe T ucci , P aolo V ittoria . Direttore Antonio Carullo responsabile 40125 Bologna, Strada Maggiore n. 47 – tel. 051/304967 Direttori Paolo Carbone, Antonio Carullo, Pier Maria Piacentini Redattori Arturo Cancrini, Mauro Ciani, Matteo Mazzone, Pierluigi Piselli Direzione 00198 Roma, Viale Regina Margherita, 290 Redazione tel. 06/44237472 – fax 06/44250435 e-mail: [email protected] amministrazione Maggioli Editore presso c.p.o. Rimini, Via Coriano 58, 47900 Rimini e diffusione tel. 0541/628111 – fax 0541/622100 Maggioli Editore è un marchio di Maggioli s.p.a. Servizio Abbonamenti tel. 0541/628200 – fax 0541/624457 e-mail: [email protected] www.periodicimaggioli.it Maggioli s.p.a. Azienda con Sistema Qualità certificato ISO 9001:2000 Iscritta al Registro unico degli operatori di comunicazione Pubblicità PUBLIMAGGIOLI Concessionaria di Pubblicità per Maggioli s.p.a. 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Barbieri Considerazioni sul contributo unificato nel processo amministrativo......................................................................... »119 GIURISPRUDENZA TRGA, Sez. Trento, 29 gennaio 2014, n. 23 (ordinanza) ....... Conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte di giustizia dell’Unione europea Niilo Jääskinen presentate il 7 maggio 2015, in causa C-61/14, Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento (Italia)......................................................................... Corte di giustizia dell’Unione Europea, Sez. V, 6 ottobre 2015, nella causa C-61/14................................................................ con nota di L. Gili, La decisione della Corte di giustizia sul contributo unificato in materia di appalti pubblici: “andata e ritorno” dal sistema italiano di tutela.......................................... »131 »147 »160 »172 LEGGI E CIRCOLARI Legge regionale Sicilia 10 luglio 2015, n. 14. Modificazioni all’art. 19 della legge regionale Sicilia 12 luglio 2011 n. 12..... »187 con nota di E. Borghi, G. Carlini, Crisi di impresa e contratti pubblici. Il favor normativo per la continuità aziendale................. »193 LIBRI M. Nicolai e W. Tortorella, Partenariato Pubblico Privato e Project Finance, ed. Maggioli, Rimini, 2016, con commento di G. Musolino..................................................................... »217 Hanno collaborato a questo numero: Ezio Maria Barbieri Elisa Borghi Giovanni Carlini Luigi Gili Roberto Mangani Giuseppe Musolino Maria Grazia Vivarelli Presidente onorario TAR Lombardia Docente di Economia presso l’Università di Bologna Dottore commercialista Avvocato Avvocato Responsabile Area Legale Grandi Stazioni s.p.a. Professore a contratto di Istituzioni di Diritto privato, Università di Bologna Consigliere TAR DOTTRINA Roberto Mangani L’ OBBLIGO DI INDICAZIONE NELL’ OFFERTA DEGLI ONERI DELLA SICUREZZA TRA NORME NAZIONALI, INTERPRETAZIONI GIURISPRUDENZIALI E COMPATIBILITÀ COMUNITARIA Sommario: 1. Gli oneri della sicurezza e la loro indicazione in sede di offerta: un esempio paradigmatico delle incertezze del sistema. – 2. L’indicazione degli oneri della sicurezza negli appalti di forniture e di servizi. – 3. L’indicazione degli oneri della sicurezza negli appalti di lavori. – 4. La giurisprudenza successiva alla pronuncia dell’Adunanza plenaria. – 5. Oneri della sicurezza e soccorso istruttorio. – 6. Il profilo della compatibilità comunitaria. 1. Gli oneri della sicurezza e la loro indicazione in sede di offerta: un esempio paradigmatico delle incertezze del sistema. – Il tema della corretta modalità di quantificazione e di indicazione degli oneri della sicurezza nell’ambito dei contratti pubblici è stato al centro negli ultimi anni di un intenso dibattito e di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali. Si tratta di una questione per alcuni versi paradigmatica dello stato di confusione che troppo spesso caratterizza la disciplina dei contratti pubblici, in cui confluiscono in maniera emblematica alcuni dei nodi critici che ostacolano un’applicazione lineare della stessa, con inevitabili ricadute negative sulla certezza del diritto e sull’efficace funzionamento del sistema. Il primo e fondamentale punto critico – che emerge in modo chiaro nella vicenda oggetto delle presenti note – è costituito da una produzione normativa incessante e originata da istanze contingenti più che da una visione sistematica delle questioni. In materia di oneri della sicurezza il legislatore è intervenuto negli ultimi anni con una serie di disposizioni che si sono succedute in maniera episodica e non coordinata, con le conseguenti inevitabili sovrapposizioni e l’emersione di elementi di contraddizione nel complessivo quadro normativo. Su queste indicazioni non lineari del legislatore si è poi inserita un’interpretazione dei giudici amministrativi non univoca, che ha visto parte della giurisprudenza spingersi fino ai limiti di una vera e propria funzione creativa della norma, quasi in sostituzione del- 6 rivista trimestrale degli appalti le scelte legislative. Circostanza che ha comportato un’inevitabile contrasto con il contrapposto orientamento giurisprudenziale volto invece a salvaguardare in primo luogo il dato testuale della norma, anche a scapito di qualche contraddizione nella ricostruzione complessiva del sistema. È proprio in questo circolo vizioso in cui confluiscono la poca chiarezza del quadro normativo e gli interventi dei giudici che offrono un’interpretazione a dir poco evolutiva delle norme che si può riscontrare un esempio paradigmatico dell’incertezza e della confusione che troppo spesso caratterizza l’ordinamento dei contratti pubblici. Da un lato il legislatore dà luogo ad una produzione di norme continua, sovrabbondante e non coordinata; dall’altra il giudice si spinge, sia pure nell’encomiabile tentativo di trovare comunque una coerenza al sistema, a leggere nella norma ciò che in realtà la sua formulazione testuale non dice. Per comprendere come questo corto circuito si sia prodotto in relazione al tema degli oneri della sicurezza è necessario partire dal contenuto delle specifiche disposizioni del d.lgs. n. 163 del 2006 che si occupano di tale aspetto. La prima previsione è contenuta all’art. 86, comma 3 bis, secondo cui nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nell’ambito delle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, le stazioni appaltanti sono tenute a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo della sicurezza (oltre che al costo del lavoro), il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture. La seconda previsione è quella dell’art. 87, comma 4, secondo cui non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza e l’ente appaltante, nella valutazione dell’anomalia dell’offerta, deve tenere conto dei costi per la sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture. La terza previsione è relativa al contenuto dei piani di sicurezza, di cui all’art. 131. Tali piani, secondo l’espressa indicazione del comma 3, devono contenere la specificazione dei relativi oneri, che devono essere indicati nei bandi di gara e non sono soggetti a ribasso d’asta. Tali piani sono redatti dall’ente appaltante, e tuttavia è previsto che l’appaltatore possa proporre modifiche o integrazioni ai relativi contenuti. La semplice riproduzione delle norme indicate rende evidente il non perfetto coordinamento tra le stesse, che è appunto all’origine di molti problemi applicativi cui esse hanno dato luogo. Per cercare di inquadrare tali problemi nel loro contesto di riferimento, è utile fissare preliminarmente alcuni punti fermi che – almeno ad una dottrina 7 prima lettura – sembrerebbero emergere in maniera inequivoca dal quadro normativo. La prima considerazione è che sia le prescrizioni dell’art. 86 che quelle dell’art. 87 sono sostanzialmente finalizzate all’attuazione del procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte. Emerge cioè una stretta correlazione tra il tema degli oneri della sicurezza e la verifica dell’anomalia dell’offerta, nel senso che la corretta quantificazione dei primi viene indicata dal legislatore come un elemento imprescindibile su cui si deve basare la seconda. Va peraltro sottolineato che l’assolutezza di questo collegamento viene in parte attenuata dall’indicazione contenuta in apertura del comma 3 bis dell’art. 86, dove si precisa che il valore economico degli oneri della sicurezza deve essere valutato dagli enti appaltanti (anche) ai fini della predisposizione dei bandi di gara. Si tratta di una previsione il cui corretto ambito di riferimento non è del tutto chiaro. Sembrerebbe infatti potersi affermare che gli oneri della sicurezza da considerare in sede di predisposizione del bando siano quelli la cui determinazione è di competenza dell’ente appaltante, e cioè i così detti oneri da interferenze 1. Mentre gli oneri di sicurezza aziendali, rientrando nelle esclusive valutazioni dei concorrenti, sono quelli che effettivamente rilevano ai fini della verifica di anomalia. Emerge quindi una prima parziale incongruenza – certamente non la più rilevante – del quadro normativo: se da un lato la tematica degli oneri della sicurezza appare considerata dal legislatore ai fini della verifica di anomalia dell’offerta, dall’altro viene inserito un elemento distonico, che fa riferimento a una valutazione che non attiene a tale verifica, ma ai criteri di redazione del bando di gara. Il secondo punto fermo attiene all’individuazione dei destinatari delle richiamate disposizioni. Essi sono in primo luogo gli enti appaltanti, che degli oneri della sicurezza devono tenere conto sia in sede di verifica dell’anomalia delle offerte che in sede di predisposizione dei bandi di gara. Ma sono anche i concorrenti, che devono indicare tali oneri in sede di offerta, almeno – secondo il dato testuale della norma – per gli appalti di servizi e forniture. In sostanza, le previsioni in oggetto pongono un vincolo sia per l’ente appaltante che per i concorrenti. Il primo deve assicurarsi che il valore degli oneri della sicurezza risulti congruo, e ciò sia in sede di predisposizione del bando – ma, sembrerebbe coerente, solo con riferimento agli oneri da interferenza – che in sede di verifica di (1) Come si dirà meglio appresso, si tratta di quella specifica categoria di oneri della sicurezza che non dipendono dall’organizzazione aziendale del singolo concorrente, ma dai rischi di interferenza che possono derivare dalla contestuale presenza nel luogo di svolgimento delle prestazioni di personale del committente e dell’impresa e/o del personale di diverse imprese. 8 rivista trimestrale degli appalti anomalia. I concorrenti, dal canto loro, li devono indicare nell’offerta per consentire all’ente appaltante di accertare che gli stessi siano congrui, cioè non siano sottostimati con grave pregiudizio per la sicurezza dei lavoratori 2. Rispetto a questo quadro d’insieme, molte sono le questioni che sono sorte in sede applicativa. La questione fondamentale ha riguardato l’esatta individuazione dell’ambito di applicazione dell’onere che grava sui concorrenti, se cioè l’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta riguardi solo gli appalti di servizi e forniture o anche gli appalti di lavori. Ma anche altre questioni, in parte derivate dalla prima, sono emerse in fase operativa e sono state oggetto di variegati interventi giurisprudenziali. Si è posto così il tema se, nonostante la dizione testuale dell’art. 84, comma 3 – apparentemente inequivoca – l’indicazione degli oneri in sede di offerta costituisca un obbligo effettivamente sussistente negli appalti di servizi e forniture e se tale obbligo possa comunque subire deroghe in relazione alla particolare natura di determinati servizi. Ci si è chiesti poi se la mancata indicazione degli oneri in sede di offerta comporti l’esclusione del concorrente dalla gara solo se il relativo obbligo sia stato previsto dal bando a pena di esclusione, ovvero se non sia necessaria una specifica clausola in tal senso, operando comunque il principio dell’eterointegrazione. Altra questione di primario rilievo ha riguardato la possibilità o meno di ricorrere al soccorso istruttorio per integrare l’offerta che fosse mancante dell’indicazione degli oneri. Ancora, ci si è interrogati se tale indicazione dovesse riguardare solo gli oneri così detti aziendali o anche gli oneri da interferenze. L’analisi delle diverse questioni indicate – che testimonia appunto la scarsa chiarezza del quadro normativo – va operata avendo come punto di riferimento essenziale la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 20 marzo 2015. Anche se essa non affronta tutte le tematiche sorte né – come vedremo meglio più avanti – appare risolutiva neanche in relazione alla specifica questione su cui il massimo giudice amministrativo era stato sollecitato a pronunciarsi. 2. L’indicazione degli oneri della sicurezza negli appalti di forniture e di servizi – Relativamente agli appalti di forniture e servizi, una prima questione che si è posta ha riguardato la sussistenza o (2) In questo senso cfr. A. Lupo, L’omessa indicazione degli oneri di sicurezza: alla ricerca di un punto di equilibrio tra l’esigenza di tutela della par condicio ed il principio del favor partecipationis, in giustamm.it, gennaio 2012. In giurisprudenza, cfr. Cons. St., Sez. IV, 28 agosto 2012, n. 4622. dottrina 9 meno di un vero e proprio obbligo per gli enti appaltanti di indicare gli oneri della sicurezza in sede di bando. La tesi negativa si è basata sulla considerazione che mentre per gli appalti di lavori l’art. 131 relativo alla predisposizione del piano della sicurezza da parte dell’ente appaltante impone che di tali oneri – almeno con riferimento a quelli da interferenze – sia data evidenza negli atti di gara, analoga previsione manca per gli appalti di servizi e forniture. Tale obbligo, infatti, non si può ricavare dalle prescrizioni dell’art. 86, che impongono agli enti appaltanti unicamente di valutare la congruità del costo relativo alla sicurezza nella predisposizione della gare e nella valutazione dell’anomalia delle offerte, ma senza specificare che i relativi oneri debbano essere preventivamente quantificati nel bando 3. Si deve tuttavia rilevare che anche se manca una previsione esplicita, il riferimento alla necessità di tenere in considerazione gli oneri della sicurezza ai fini della predisposizione delle gare dovrebbe essere interpretato come un’indicazione implicita sulla necessità che degli stessi sia data evidenza nei relativi atti. In questo senso, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che la mancata indicazione da parte dell’ente appaltante degli oneri di sicurezza da interferenze impedisce la corretta e consapevole formulazione dell’offerta da parte dei concorrenti, con conseguente illegittimità dei relativi atti di gara 4. Per quanto riguarda invece l’adempimento che grava sui concorrenti, a una prima lettura la disposizione normativa sembrerebbe non lasciare spazio a dubbi. Il comma 4 dell’art. 87 prevede espressamente che i costi relativi alla sicurezza debbano essere indicati nell’offerta e risultare congrui “rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi e delle forniture”. Coerentemente al dato letterale della norma, una parte significativa della giurisprudenza ha evidenziato come l’indicazione in sede di offerta degli oneri della sicurezza costituisca un adempimento (3) Così A. Lupo, op. cit. (4) Cfr., tra le altre, TAR Lazio, Sez. III quater, 5 novembre 2013, n. 9435; Cons. St., Sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671; Sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421. Come ulteriore conseguenza, è stato affermato che in questi casi è necessario procedere all’impugnativa immediata degli atti di gara, poiché la mancata indicazione nel bando degli oneri della sicurezza da interferenze pregiudica il corretto svolgimento della procedura, violando il principio fondamentale della par condicio . La stessa giurisprudenza ha evidenziato anche che a tali carenze non è possibile ovviare neanche ricorrendo all’istituto dei chiarimenti da parte dell’ente appaltante, poiché non si tratta di fornire informazioni complementari sui documenti di gara ma piuttosto di colmare gravi lacune della lex specialis, sanabili solo attraverso l’integrale rinnovo della relativa procedura. 10 rivista trimestrale degli appalti imposto direttamente dalla legge 5. Ed anzi, la forza precettiva della previsione è tale che, anche in mancanza di un’esplicita previsione in tal senso del bando di gara, l’obbligo di indicare gli oneri della sicurezza sussisterebbe comunque, con la conseguente esclusione del concorrente in caso di mancato adempimento dello stesso 6. In questo senso opererebbe pienamente il principio dell’eterointegrazione, secondo cui la norma legislativa, in quanto posta a tutela del diritto fondamentale alla salute dei lavoratori, verrebbe a completare la disciplina di gara imponendo comunque ai concorrenti l’obbligo di indicare in sede di offerta gli oneri della sicurezza. E ciò proprio per consentire all’ente appaltante di verificare il rispetto delle prescrizioni poste a tutela della salute sui luoghi di lavoro 7. Una più approfondita analisi della disposizione in commento pone tuttavia alcuni problemi applicativi, che hanno infatti ricevuto attenzione anche da parte della giurisprudenza. In primo luogo è stata sollevata la questione se l’obbligo di indicazione nell’offerta riguardi solo gli oneri di sicurezza aziendali o anche quelli da interferenze. Per dare risposta a tale questione occorre definire con chiarezza la diversità tra le due tipologie di oneri. Gli oneri o costi della sicurezza da interferenze sono quelli diretti a eliminare i rischi collegati a contatti potenzialmente generatori di pericoli che possono intercorrere tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra personale di imprese diverse che operano nella medesima sede. Essi, per gli appalti di forniture e servizi, sono quantificati in via preliminare dall’ente appaltante nel Documento Unico per la Valutazione dei Rischi da Interferenze – DUVRI (mentre per gli appalti di lavori la relativa quantificazione è contenuta nel Piano di sicurezza) e non sono soggetti a ribasso 8. Gli oneri o costi della sicurezza aziendali (o interni) sono invece quelli propri di ciascuna impresa e connessi allo specifico appalto, la cui quantificazione quindi non può che essere rimessa al singolo concorrente e varia in relazione alla qualità ed entità della relativa offerta 9. Tali oneri, di conseguenza, sono soggetti al confronto (5) Cons. St., Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 721; Cons. St., Sez. V, 29 febbraio 2012, n. 1172. (6) Così Cons. St., n. 721 del 2015, secondo cui “anche a fronte della eventuale mancata previsione, nella lex specialis di gara, dell’onere dichiarativo e della correlata causa specifica di esclusione, le citate disposizioni normative devono ritenersi immediatamente precettive ed idonee a eterointegrare le regole della procedura selettiva” (7) Cons. St., n. 1172 del 2012. (8) In questo senso la giurisprudenza costante; v., per tutte, Cons. St., Sez. V, ord. 16 gennaio 2015, n. 88. (9) Rientrano in tale categoria, ad esempio, i costi di formazione dei lavoratori nonché quelli sostenuti per dotare gli stessi di dispositivi di protezione individuale. In giurisprudenza v. Cons. St., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 348; TAR Lazio, Sez. I, dottrina 11 concorrenziale. In sostanza si tratta di oneri che riguardano i rischi specifici che l’appaltatore affronta per un determinato appalto in relazione ai contenuti propri dell’offerta formulata e tenuto conto della sua organizzazione aziendale. Sulla base di questa distinzione, sembra da preferire la tesi secondo cui gli oneri che i concorrenti devono indicare in sede di offerta sono solo quelli aziendali. Questi ultimi, infatti, sono gli unici sottoposti a un confronto concorrenziale, poiché la loro esatta quantificazione dipende dalle valutazioni operate da ogni singolo concorrente sulla base della propria specifica organizzazione aziendale, dei correlativi rischi e dei costi stimati per farvi fronte. Al contrario, gli oneri da interferenze sono estranei alle modalità organizzative del singolo concorrente, vengono definiti dall’ente committente e, di conseguenza, sono determinati in una misura fissa e immodificabile, non essendo neanche soggetti a ribasso d’asta. Ne deriva che mentre è ragionevole richiedere che i costi di sicurezza aziendali siano indicati in sede di offerta, costituendo una componente della stessa, non ha senso che la medesima indicazione sia prevista per i costi da interferenze, posto che questi ultimi sono uguali per tutti i concorrenti e risultano immodificabili. Va tuttavia rilevato che una parte della giurisprudenza ha invece accolto la tesi opposta, estendendo l’obbligo di indicazione in sede di offerta anche agli oneri da interferenze. Ciò sulla base della considerazione che anche i relativi costi rappresenterebbero una componente dell’offerta, cosicché la loro mancata indicazione renderebbe la stessa non compiutamente determinata. In sostanza, l’omessa specificazione nell’offerta dei costi per la sicurezza da interferenze non consentirebbe di avere la certezza che i concorrenti li hanno tenuti nella dovuta considerazione ai fini della formulazione della stessa. Tali oneri andrebbero quindi indicati, anche se in concreto si tratterebbe di riportare, senza alcun margine di modifica, la quantificazione operata dalla stazione appaltante. In mancanza, risulterebbe indeterminato un elemento essenziale dell’offerta, con conseguente esclusione del concorrente 10. Le argomentazioni da ultimo richiamate non appaiono convincenti. Appare infatti improprio ritenere che l’omessa indicazione degli oneri da interferenze possa essere considerata come indice della mancata valutazione degli stessi ai fini di una corretta e compiuta formulazione dell’offerta. I concorrenti, infatti, nel predisporre l’offerta sono ben consapevoli sia dell’esistenza che della misura di tali oneri, giacché questi sono stati preventivamente quantificati 15 gennaio 2014, n. 7; TAR Lombardia, Sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36. (10) Cons. St., n. 348 del 2014. 12 rivista trimestrale degli appalti dall’ente appaltante nei documenti di gara. Tali oneri rappresentano quindi un dato acquisito, ben conosciuto dai concorrenti e dal quale essi non possono prescindere, e che quindi in qualche modo essi non possono che fare proprio ai fini della formulazione dell’offerta, senza necessità che vi sia un’esplicita evidenza in questo senso. Una seconda questione che è stata sollevata è se la mancata indicazione degli oneri di sicurezza (aziendali) comporti comunque l’esclusione del concorrente dalla gara, anche in mancanza di un’esplicita previsione in tal senso nel bando di gara. Una parte della giurisprudenza ha infatti ritenuto che, anche per gli appalti di servizi e forniture, nonostante la previsione normativa del comma 4 dell’art. 87, l’esclusione possa essere disposta solo in presenza di una clausola del bando che esplicitamente la preveda 11. Questa tesi si basa su argomentazioni di natura sostanzialistica, che trovano fondamento nella ratio della norma. L’obbligo di indicare gli oneri di sicurezza aziendale è infatti funzionale all’efficace svolgimento del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta; rispetto a questo obbligo, l’imposizione della loro indicazione già in sede di offerta costituirebbe un adempimento eccessivo e sproporzionato rispetto all’esigenza sottesa. Infatti, anche qualora tali oneri risultassero congrui, per il solo fatto che essi non siano stati indicati in sede di offerta scatterebbe il provvedimento di esclusione del concorrente, con un’evidente sproporzione tra l’obiettivo sostanziale perseguito e gli effetti che deriverebbero da una carenza che rileva solo sotto il profilo formale 12. Questo argomento risulta rafforzato alla luce della finalità ultima della norma, che è quella di garantire la tutela dei lavoratori. Tale finalità, infatti, può essere efficacemente perseguita effettuando un’attenta valutazione in merito alla congruità degli oneri della sicurezza in fase di verifica dell’anomalia, senza che sia necessario che gli stessi siano portati preventivamente a conoscenza dell’ente appaltante già in sede di offerta 13. (11) Cons. giust. amm. Sic., 24 marzo 2014, n. 305, secondo cui l’omessa indicazione degli oneri di sicurezza aziendali non è legittimamente sanzionabile con l’esclusione, dovendosi accordare prevalenza, rispetto al meccanismo di eterointegrazione, al principio di affidamento. (12) Così Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375. (13) Ancora Cons. St. n. 1375 del 2015, secondo cui se è vero che “le norme sopra richiamate perseguono l’obiettivo di assicurare la tutela dei lavoratori e se va riconosciuto che tale fine trascende i contrapposti interessi delle stazioni appaltanti di aggiudicare i contratti pubblici alle migliori condizioni consentite dal mercato e delle imprese partecipanti alle relative procedure di massimizzare l’utile ritraibile dal contratto, va rilevato che detto fine può essere realizzato anche attraverso l’obbligo per le stazioni appaltanti di effettuare una specifica valutazione della congruità del costo per la sicurezza nella appropriata sede della verifica dell’anomalia dell’offerta”. dottrina 13 Anche alla luce di tali considerazioni, è stato evidenziato che nel caso in cui il bando non abbia specificato l’obbligo di indicare gli oneri di sicurezza in sede di offerta a pena di esclusione, procedere all’esclusione stessa comporta una violazione dei principi di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento e del favor partecipationis . Ciò specialmente tenuto conto della circostanza che la normativa ha come destinatari in primo luogo gli enti appaltanti, che quindi sono tenuti a darvi coerente applicazione prevedendo esplicitamente nel bando, a pena di esclusione, che l’offerta indichi gli oneri di sicurezza. Cosicché la mancanza di una previsione in tal senso nel bando costituisce un’omissione dell’ente appaltante, i cui effetti non possono ricadere sul concorrente che ha fatto legittimo affidamento sulle regole della gara, fino al punto da penalizzare quest’ultimo con la più gravosa delle sanzioni, e cioè l’esclusione dalla gara stessa 14. Ultimo ma non meno rilevante argomento è quello secondo cui procedere all’esclusione del concorrente in mancanza di un’esplicita previsione del bando di gara costituirebbe una violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione dalla gara, sancito dall’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006 15. La tesi richiamata prende anche in considerazione, al fine di escluderne l’applicabilità nel caso di specie, il principio dell’eterointegrazione, in base al quale le previsioni del bando, in quanto lex specialis della gara, vanno integrate con le prescrizioni normative che impongono a carico dei concorrenti determinati oneri o adempimenti. L’eterointegrazione, infatti, non può spingersi fino al punto di dedurre dalle regole della gara, che non lo prevedano esplicitamente, un obbligo potenzialmente in grado di ledere l’affidamento in buona fede dei concorrenti determinando l’esclusione degli stessi dalla procedura 16. A sostegno di questa conclusione, viene anche richiamato quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il principio dell’eterointegrazione va applicato con cautela, poiché l’inserzione automatica di clausole cui esso dà luogo può pacificamente operare nei casi in cui occorra rendere coerenti i contenuti di contratti già conclusi con norme dirette a tutelare esigenze di natura imperativa, come tali non disponibili da parte dei contraenti. Al contrario, è assai dubbio che tale principio possa trovare spazio in relazione ad aspetti che attengono allo svolgimen- (14) In tal senso TAR Lombardia, Sez. I, 18 aprile 2014, n. 1001; TAR Campania, Sez. I, 12 marzo 2014, n. 1492; TAR Piemonte, Sez. I, 22 novembre 2013, n. 1254. (15) Cons. St., Sez. III, 10 luglio 2013, n. 3706. (16) Cfr. Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375, in cui è stato affermato che “non sono consentite interpretazioni volte ad enucleare significati impliciti nella normativa di agra, potenzialmente in grado di ledere l’affidamento dei terzi e il principio della massima partecipazione alla gara”. 14 rivista trimestrale degli appalti to delle procedure di gara e, in particolare, alle modalità con cui i concorrenti formulano le loro offerte e definiscono il corrispettivo per l’esecuzione delle prestazioni richieste 17. Le argomentazioni sviluppate a sostegno della tesi secondo cui negli appalti di forniture e servizi l’esclusione del concorrente per la mancata indicazione nell’offerta degli oneri della sicurezza non può essere disposta in mancanza di un’esplicita previsione del bando di gara colgono una serie di elementi che, in una logica attenta più ai profili sostanziali che a quelli formali, appaiono ragionevoli e degni di considerazione. Tuttavia, non si può fare a meno di osservare che essi finiscono per relegare in secondo piano il dato letterale della norma. L’art. 87, comma 4, infatti, mentre – come vedremo – pone oggettivi dubbi interpretativi in relazione ai lavori, è esplicito nel prevedere che per le forniture e i servizi i concorrenti debbano indicare nelle loro offerte gli oneri della sicurezza. Non sembra che questa chiara indicazione letterale possa essere superata invocando la ratio della norma o la non applicabilità del principio di eterointegrazione, che normalmente opera proprio con riferimento a quelle ipotesi in cui l’inequivoca formulazione delle norme impone che le relative previsioni vengano a conformare lo svolgimento della gara, a prescindere dall’esplicito richiamo delle stesse nella lex specialis. Tale superamento finisce quindi per porsi quasi in funzione creativa di una norma diversa, con il giudice che – anche se con argomenti che possono apparire condivisibili – non si limita a interpretare la legge, ma sostanzialmente la modifica. Un’altra questione si è posta con riferimento a particolari tipologie di servizi, quali i servizi intellettuali. Un primo orientamento giurisprudenziale più rigoroso ha ritenuto che anche per tali servizi, come per tutti gli altri, sussista l’obbligo di indicazione nell’offerta degli oneri della sicurezza aziendali. Anche per essi, infatti, si pone un problema di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori impiegati che, tenuto conto del rilievo costituzionale degli interessi protetti, deve trovare adeguata considerazione attraverso l’evidenza dei costi che il concorrente intende destinare a tale tutela. Nessun rilievo può assumere la circostanza che l’ente appaltante, in sede di predisposizione del DUVRI, abbia indicato come pari a (17) Così Cons. St., Sez. III, 18 ottobre 2013, n. 5069, dove si trova affermato che “il meccanismo sostitutivo di cui all’art. 1339, cod. civ. può operare soltanto in presenza di norme imperative recanti una rigida predeterminazione dell’elemento destinatario a sostituirsi alla clausola difforme; viceversa tale principio non può trovare applicazione laddove siano comunque affidati alle parti la quantificazione e l’esatto corrispettivo, nonché il metodo e la concreta manifestazione dell’elemento, così come avviene per i costi per la sicurezza da rischio specifico”. dottrina 15 zero i costi della sicurezza proprio in considerazione della natura intellettuale del servizio da svolgere. Il DUVRI, infatti, si riferisce esclusivamente ai costi da interferenze e cioè – come sopra ricordato – ai rischi che possono derivare dai contatti tra il personale del committente e quello dell’appaltatore o tra personale di imprese diverse che operano nella medesima sede. È evidente che tali rischi possono ben essere considerati assenti nel caso di servizi intellettuali che, proprio per la loro natura, vengono svolti esclusivamente presso la sede dell’appaltatore. Ciò tuttavia non esime l’appaltatore dall’individuare – e conseguentemente evidenziare in sede di offerta – i costi di sicurezza interni, che attengono cioè all’organizzazione aziendale dell’appaltatore e che sono comunque presenti anche nei servizi di natura intellettuale, in cui si pone un tema di tutela della salute e della sicurezza del personale impiegato (ad esempio, con riferimento all’utilizzo di strumenti informatici) 18. In senso diametralmente opposto si è espressa altra parte della giurisprudenza. La tesi da essa prospettata si fonda sulla considerazione che per i servizi intellettuali caratterizzati dall’integrale svolgimento della relativa attività nella sede propria dell’appaltatore non si porrebbe un tema di tutela della sicurezza e salute sul lavoro, non venendo in rilievo la presenza di specifici fattori di rischio. Di conseguenza, l’imposizione di un obbligo di indicazione di tali oneri in sede di offerta, per di più sanzionato con l’esclusione, si configura come un onere del tutto meccanicistico e formale che non risponde ad alcuna reale esigenza e che non può comportare l’esclusione del concorrente che non vi abbia adempiuto 19. La contrapposizione tra i due orientamenti è quindi legata alla diversa valutazione che gli stessi operano in merito all’effettiva sussistenza di fattori di rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori nei servizi di natura intellettuale. Al riguardo, fermo restando che ogni singola fattispecie presenta delle caratteristiche peculiari, non sembra si possa affermare in termini assoluti che tutti i servizi intellettuali, per il solo fatto di avere tale natura, non comportino rischi potenziali per la salute e la sicurezza dei lavoratori che debbano essere tenuti in considerazione ai fini della determinazione dei relativi oneri di sicurezza aziendale. Sembra quindi corretto concludere che la tesi che esclude la sussistenza dell’indicazione di tali oneri – la quale comunque presuppone un’interpretazione quanto meno evolutiva del dato normativo – possa eventualmente essere accolta solo per quei servizi che, oltre (18) Cons. St., Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 721. (19) Cons. St., Sez. V, 22 gennaio 2014, n. 330. 16 rivista trimestrale degli appalti che ad avere natura intellettuale, si caratterizzano in concreto per uno svolgimento delle relative prestazioni secondo modalità tali che escludono ogni fattore di rischio per i lavoratori impiegati. L’esclusione dell’obbligo di indicazione nell’offerta degli oneri della sicurezza è stata prospettata anche per un’altra categoria di servizi, e cioè quelli rientranti nell’Allegato II B del d.lgs. n. 163 del 2006. Infatti, per tali servizi l’art. 20 del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che debbano trovare applicazione esclusivamente le disposizioni di cui agli artt. 68 (specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento), 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Nel contempo, occorre considerare la previsione del successivo art. 27, relativa a tutti i contratti esclusi – in tutto o in parte – dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 163, e quindi anche agli appalti di servizi in questione. In base ad essa, l’affidamento di tali contratti è comunque soggetto ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità. Ne deriva che l’applicazione delle specifiche norme relative all’indicazione degli oneri della sicurezza, e in particolare dell’art. 87, comma 4 che impone tali indicazione in sede di offerta, agli appalti di servizi di cui all’Allegato II B potrebbe derivare solo dal considerare tali norme come espressione dei principi generali sopra richiamati. Tuttavia, un’interpretazione di questo tipo non appare sorretta da valide argomentazioni, posto che si tratta di disposizioni tipicamente di dettaglio che impongono l’assolvimento di un mero adempimento procedurale, come tale non idonee ad assurgere al rango di principio generale 20. Né questa inidoneità può essere superata facendo riferimento al rilievo costituzionale degli interessi – la tutela della salute dei lavoratori – che tali disposizioni tenderebbero a garantire. Ai fini di tale tutela infatti – come più volte rilevato – non appare strettamente necessario imporre la preventiva specificazione degli oneri della sicurezza, posto che la loro effettiva congruità – che è l’unico vero parametro per stabilire se il valore costituzionale della salute dei lavoratori sia assicurato nello specifico appalto – può essere accertata dall’ente appaltane in sede di verifica di anomalia dell’offerta. Ne consegue quindi che, non potendo essere utilmente invocato il rispetto dei principi generali richiamati dall’art. 27, per gli appalti di servizi di cui all’Allegato II B non si può ritenere sussistente l’obbligo della preventiva indicazione degli oneri di sicurezza in sede di offerta. 3. L’indicazione degli oneri della sicurezza negli appalti di lavori. – Se nonostante l’apparente chiarezza del dato normativo numerose sono le questioni sorte in merito alle corrette modalità di adempi- (20) Cons. St., Sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4907. dottrina 17 mento dell’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza con riferimento agli appalti di forniture e servizi, è facile comprendere come la situazione si presenti ancora più complessa con rifermento agli appalti di lavori, dove manca invece la piena chiarezza del quadro normativo. Per gli appalti di lavori, infatti, le disposizioni che si occupano del tema presentano una distonia sostanziale. Da un lato, l’art. 86, comma 3 bis, nell’ imporre che il costo della sicurezza sia adeguato e che di esso si debba tenere conto nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte, prevede che tale costo deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, delle forniture e dei servizi. La formulazione è quindi omnicomprensiva, riguardando l’indicazione del costo della sicurezza in relazione a tutti gli appalti, compresi quelli di lavori. Dall’altro lato, il successivo art. 87, comma 4 stabilisce che, sempre ai fini della valutazione dell’anomalia delle offerte, i costi della sicurezza devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei servizi e delle forniture. In questo caso, quindi, l’obbligo di indicazione è limitato agli appalti di forniture e servizi, con esclusione degli appalti di lavori. Dal confronto tra le due norme nasce quindi la questione che per anni ha suscitato un acceso dibattito: negli appalti di lavori sussiste un obbligo in capo ai concorrenti di indicare gli oneri della sicurezza in sede di offerta ? La questione ha trovato nel tempo due opposte soluzioni, ognuna delle quali è stata accolta da una parte della giurisprudenza. Secondo una prima tesi, l’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza nell’offerta sussisterebbe anche per gli appalti di lavori. Ad avviso di autorevole dottrina, il mancato riferimento ai lavori operato dall’art. 87, comma 4, sarebbe il frutto di una mera omissione materiale, da ricondurre a un vero e proprio lapsus del legislatore 21. Decisamente più articolate sono le motivazioni addotte dalla giurisprudenza che ha aderito a questa tesi. Il principale argomento a sostegno della sussistenza del suddetto obbligo è di natura sistematica, trovando il suo fondamento in una lettura coordinata dell’art. 86, comma 3 bis e dell’art. 87, comma 4. In sostanza, la previsione dell’art. 87, comma 4 andrebbe letta unitamente a quella del precedente art. 86, comma 3 bis: solo in questo modo il quadro (21) In questo senso F. Caringella, M. Protto, in Codice dei contratti pubblici, Roma, 2012, p. 650; A. Carullo, G. Iudica, Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, Padova, 2009, p. 653. 18 rivista trimestrale degli appalti normativo troverebbe una sua coerenza interna, nel senso che soltanto la configurabilità di un obbligo generalizzato di indicazione degli oneri della sicurezza – come tale esteso anche agli appalti di lavori – consentirebbe all’ente appaltante di svolgere con cognizione di causa la verifica di anomalia dell’offerta 22 . Detto altrimenti, il comma 4 dell’art. 87 non andrebbe letto in maniera isolata, ma andrebbe interpretato alla luce del contesto complessivo in cui è inserito e in ragione della finalità che in tale contesto il legislatore ha inteso perseguire. Il compiuto raggiungimento di tale finalità presupporrebbe che anche per gli appalti di lavori gli oneri della sicurezza siano portati alla preventiva attenzione dell’ente appaltante, permettendo a quest’ultimo di avere fin dal principio la piena conoscenza di tutti gli elementi in merito ai costi della sicurezza ai fini di della relativa verifica di anomalia. A rafforzare tale argomento è stato invocato poi il valore costituzionalmente rilevante degli interessi che la norma mira a tutelare. La finalità ultima cui l’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza è indirizzato è quella di garantire che i lavoratori operino in condizioni tali da non pregiudicare il diritto alla salute, provvisto di copertura costituzionale. Tale garanzia assumerebbe un significato particolarmente pregnante proprio nel settore dei lavori dove – ancor più che negli appalti di forniture e servizi – i rischi per la salute dei lavoratori sono significativi, cosicché la quantificazione degli oneri della sicurezza e la loro preventiva indicazione in sede di offerta deve essere considerata con particolare rigore. Infine, altro argomento a sostegno della tesi positiva è stato rinvenuto nella collocazione sistematica della norma. L’art. 87, comma 4 è infatti inserito nella parte del d.lgs. n. 163 del 2006 intitolata “Contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, a conferma che il suo ambito di applicazione deve intendersi generalizzato, esteso cioè a tutte le tipologie di appalti, compresi quindi quelli di lavori. La conclusione accolta dai sostenitori di questa tesi è quindi netta: i concorrenti alle gare per l’affidamento di lavori debbono indicare nelle loro offerte gli oneri della sicurezza e, secondo l’interpretazione più rigorosa – ma anche maggiormente coerente con le argomentazioni svolte e sopra riassunte – tale obbligo riguarderebbe non solo gli oneri cosiddetti aziendali ma anche quelli da interferenze, per i quali andrebbe replicata l’indicazione contenuta nei documenti di gara elaborati dall’ente appaltante 23. (22) Così, tra le altre, Cons. St., Sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421; Cons. St., Sez. III, 19 gennaio 2012, n. 2102; Cons. St., Sez. III, 3 luglio 2013, n. 3565. (23) Cons. St., n. 212 del 2012. dottrina 19 Le ulteriori conseguenze di questa impostazione discendono quali naturali corollari della stessa. La prima conseguenza è che in caso di omessa indicazione nell’offerta degli oneri della sicurezza il concorrente va escluso dalla gara. Ciò in quanto tale mancata indicazione comporterebbe un’incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta per mancanza di un elemento essenziale, configurando quindi una delle cause tassative di esclusione previste dall’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006 24. Ed anzi, l’esclusione opererebbe anche in mancanza di una clausola del bando che esplicitamente la preveda, poiché varrebbe il principio dell’eterointegrazione del bando in considerazione del carattere immediatamente precettivo della norma legislativa 25. La seconda conseguenza è che l’omissione compiuta dal concorrente non potrebbe essere sanata neanche con il ricorso al soccorso istruttorio. Infatti, incidendo tale omissione sul contenuto dell’offerta, consentire che in un momento successivo al termine ultimo di presentazione della stessa il concorrente possa indicare la misura degli oneri della sicurezza comporterebbe un utilizzo distorto del soccorso istruttorio, in violazione del principio della par condicio tra i concorrenti 26. In senso diametralmente opposto si pone la seconda opzione interpretativa, che nega decisamente, in relazione all’appalto di lavori, la sussistenza dell’obbligo di indicare gli oneri della sicurezza in sede di offerta 27. Tale tesi fa leva in primo luogo sul dato letterale della norma. Viene infatti rilevato che nessuna previsione normativa prescrive tale obbligo, né tanto meno stabilisce che dalla mancata indicazione di tali oneri possa discendere l’esclusione del concorrente dalla gara 28 . Il dato letterale, peraltro, troverebbe conferma in un argomento di tipo teleologico: negli appalti di lavori, proprio in ragione dei maggiori rischi che essi comportano in merito ai profili di sicurezza e salute dei lavoratori, la definizione delle misure per farvi fronte e la determinazione dei relativi costi è operata in via autonoma dall’ente appaltante, che vi provvede in sede di redazione del Piano di sicurezza e coordinamento ex art. 100, d.lgs. n. 81 del 2008 29. In sostanza, per gli appalti di lavori la determinazione degli oneri della (24) Cons. St., Sez. V. ord. 5 febbraio 2014, n. 522. (25) TAR Lombardia, Sez. I, 9 maggio 2011, n. 1217. (26) Cons. St., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 348; Cons. St., Sez. III, 3 luglio 2013, n. 3565. (27) Cons. St., Sez. V, 3 febbraio 2015, n. 512; Cons. St., Sez. V, 9 ottobre 2013, n. 4964; Cons. St., Sez. V, 7 maggio 2014, n. 2343. (28) Cons. St., Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3056. (29) TAR Sicilia, Sez. I, 18 luglio 2014, n. 2517; Cons. St., Sez. V, 7 maggio 2014, n. 2343; Cons. St., Sez. V, 9 ottobre 2013, n. 4964. 20 rivista trimestrale degli appalti sicurezza presuppone un’attenta e puntuale analisi preventiva da parte dell’ente appaltante, configurandosi come una componente essenziale della progettazione e dei relativi piani di sicurezza, come tale di competenza esclusiva del committente. Altro argomento di natura sistematica a sostegno della tesi indicata viene tratto dalla collocazione delle disposizioni che si occupano degli oneri della sicurezza. Tali disposizioni sono infatti inserite nella disciplina che regola il procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte; se ne deduce che è solo in tale sede che viene in considerazione la valutazione in merito alla congruità di tali oneri, mentre appare del tutto ingiustificato ed eccedente rispetto alle finalità perseguite dalla norma richiedere che degli stessi sia data preventiva evidenza in sede di presentazione dell’offerta 30. Né appare convincente l’argomento che fa riferimento al rilievo costituzionale del valore – la salute dei lavoratori – che la norma vuole tutelare. Anche in questo caso viene infatti evidenziato che la tutela di tale valore ben può essere assicurata attraverso un’adeguata valutazione della misura degli oneri della sicurezza in sede di verifica di anomalia, cosicché non si rinvengono ragioni plausibili per obbligare i concorrenti ad anticipare l’indicazione di tale misura specificandola nell’offerta. Se ciò che il legislatore ha voluto garantire è che i profili della sicurezza e della salute dei lavoratori siano salvaguardati, tale garanzia riguarda l’adeguatezza (sostanziale) dei relativi oneri e non certo il momento (procedurale) in cui la stessa viene evidenziata e conseguentemente accertata. Sulla base dell’insieme di queste argomentazioni, la conclusione cui giunge questa tesi è netta: negli appalti di lavori la formulazione testuale delle norme non prevede l’obbligo di indicazione in sede di offerta degli oneri della sicurezza, né tale obbligo può ricavarsi da ragioni di natura sistematica o teleologica, che anzi depongono in senso contrario 31. Disporre l’esclusione del concorrente per la ritenuta violazione di un obbligo che, sulla base del mero dato letterale, la norma neanche impone sarebbe ingiustificatamente penalizzante, con una evidente sproporzione tra fini perseguiti e mezzi adottati. Infatti, si precluderebbe al concorrente di partecipare alla gara per il solo fatto di non aver indicato gli oneri della sicurezza nella sua offerta, ancorché gli stessi possano in realtà essere congrui e tali risultare nella sola sede deputata al relativo accertamento, e cioè in fase di verifica di anomalia 32. (30) Cons. St., Sez. V, 9 ottobre 2013, n. 4964; Cons. St., Sez. V, 7 maggio 2014, n. 2343. (31) Cons. giust. amm. Sic., 24 marzo 2015, n. 305. (32) Cons. St., Sez. V, 17 giugno 2014, n. 3056. dottrina 21 Né infine si può ritenere che nel caso di specie possa operare il principio dell’eterointegrazione. Tale principio, infatti, non può trovare spazio laddove verrebbe a superare il dato testuale della norma attraverso un’interpretazione della stessa volta ad enuclearne significati impliciti. Inoltre, esso va applicato con estrema cautela. Come ricordato anche con riferimento agli appalti di forniture e servizi, è infatti pacifico che ad esso si possa far ricorso per conformare, ai sensi dell’art. 1339, cod. civ., il contenuto delle obbligazioni e dei diritti nascenti da contratti già conclusi a esigenze di ordine imperativo non disponibili da parte dei contraenti 33. Ma se il suo corretto utilizzo deve essere inteso in questi termini, è quanto meno dubbio che possa trovare applicazione per integrare aspetti che attengono allo svolgimento della procedura di gara e in particolare alle modalità di formulazione delle offerte. Le due tesi illustrate si sono contrapposte per molto tempo, fino a che della questione è stata investita l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a seguito dell’ordinanza di rimessione della Sez. V, 16 gennaio 2015, n. 8. Con la sentenza del 20 marzo 2015, n. 3, l’Adunanza plenaria ha optato in maniera netta per la prima tesi. L’argomento fondamentale posto a base di questa scelta è stato individuato in ragioni di natura sistematica. Il massimo organo di giustizia ammnistrativa ha infatti sostenuto che se l’art. 86, al comma 3 bis, prevede espressamente che ai fini della predisposizione delle gare di appalto e della valutazione dell’anomalia delle offerte gli enti appaltanti devono tenere conto degli oneri della sicurezza in relazione a tutti gli appalti – compresi quindi gli appalti di lavori – sarebbe illogico e contraddittorio rispetto alla coerenza complessiva del sistema ritenere che l’obbligo di indicazione di tali oneri in sede di offerta sussista solo per gli appalti di servizi e forniture, e non invece per gli appalti di lavori. In sostanza, la previsione dell’art. 87, comma 4 – che letteralmente si riferisce solo agli appalti di servizi e forniture – non andrebbe letta in maniera isolata, bensì in maniera integrata e coordinata con la disciplina dettata dal precedente art. 86, comma 3 bis. Da questa lettura sistematica consegue il superamento del mero dato testuale della norma, e quindi l’estensione dell’obbligo di indicazione degli oneri di sicurezza in sede di offerta anche agli appalti di lavori. In mancanza di questa interpretazione sistematica, infatti, l’esatta determinazione degli oneri della sicurezza finirebbe per evidenziarsi solo in fase di verifica dell’anomalia dell’offerta. Ma poiché tale fase è eventuale – nel senso che non è necessariamente (33) Cons. St., Sez. V, 13 gennaio 2014, n. 72; Cons. St., Sez. V, 16 gennaio 2013, n. 238; Cons. St., Sez. V, 7 gennaio 2013, n. 7. 22 rivista trimestrale degli appalti presente nell’ambito della procedura di gara – potrebbe accadere che l’ente appaltante non abbia in alcun modo cognizione prima dell’aggiudicazione della misura degli oneri che il concorrente intende destinare alle misure di sicurezza nell’ambito dello specifico appalto. Questa situazione appare del tutto illogica e contraria alla ratio complessiva delle norme relative agli oneri di sicurezza, poiché potrebbe impedire di conoscere un elemento essenziale dell’offerta – quello relativo alla sicurezza dei lavoratori impiegati – proprio in relazione agli appalti di lavori, che notoriamente comportano rischi sensibilmente più elevati di quelli che sono ordinariamente presenti negli appalti di forniture e di servizi. Questa conclusione appare paradossale – e quindi da respingere – anche alla luce della tutela costituzionale che ricevono gli interessi che le norme intendono proteggere – la sicurezza e la salute dei lavoratori – che quindi impone di procedere a una lettura costituzionalmente orientata delle norme medesime. Per altro verso, occorre considerare che il dato relativo agli oneri di sicurezza aziendali o interni può essere fornito solo dall’impresa concorrente, l’unica in grado di operare una razionale ed esatta determinazione di costi che sono strettamente legati alla propria organizzazione aziendale e alle modalità con cui essa intende dare esecuzione all’appalto. In ragione di quanto detto, non può quindi trovare accoglimento l’argomento utilizzato dai sostenitori della tesi opposta, secondo cui negli appalti di lavori gli oneri della sicurezza sarebbero determinati in via autonoma dall’ente appaltante nel Piano di sicurezza e coordinamento di cui agli artt. 100, d.lgs. n. 81 del 2008 e 131, d.lgs. n. 163 del 2006. Gli oneri contenuti nel Piano, infatti, sono solo quelli così detti da interferenze, ma non possono certo essere quelli aziendali, che variano in funzione dell’organizzazione della singola impresa e non possono quindi che essere quantificati dalla stessa 34. La conclusione delle argomentazioni riassunte è inequivoca: per tutti gli appalti, compresi quindi quelli di lavori, l’ente appaltante deve indicare in sede di predisposizione degli atti di gara e anche al fine della valutazione dell’anomalia delle offerte la quantificazione (34) Secondo la pronuncia dell’Adunanza plenaria l’interpretazione delle norme non può che essere “nel senso che l’obbligo di indicazione specifica dei costi di sicurezza aziendali non possa che essere assolto dal concorrente, unico in grado di valutare gli elementi necessari in base alle caratteristiche della realtà organizzativa e operativa della singola impresa , venendo altrimenti addossato un onere di impossibile assolvimento alla stazione appaltante, stante la sua non conoscenza degli interna corporis dei concorrenti”. dottrina 23 degli oneri di sicurezza cosiddetti da interferenze. I concorrenti, a loro volta, devono indicare già in sede di offerta gli oneri di sicurezza aziendali, nonché quelli da interferenze, per i quali evidentemente andrà ribadita la quantificazione precedentemente operata dall’ente appaltante. L’Adunanza plenaria compie poi uno sforzo ulteriore per dare giustificazione del fatto che nell’art. 87, comma 4, l’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza nell’offerta sia stato previsto per i soli appalti di servizi e forniture e non anche per gli appalti di lavori. Secondo il giudice amministrativo, la ragione di tale scelta andrebbe individuata nella particolare natura delle prestazioni relative a tali tipologie di appalti. Nelle forniture e nei servizi, infatti, il livello di rischio che si accompagna alla relativa esecuzione è oggettivamente più basso di quello che ordinariamente si riscontra negli appalti di lavori. Ciò avrebbe indotto il legislatore a richiedere per dette tipologie di appalti la preventiva specificazione degli oneri della sicurezza, così da fornire all’ente appaltante tutti gli elementi per valutarli, anche e soprattutto in sede di verifica di anomalia. Il principio affermato comporta, come inevitabile conseguenza, che la mancata indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta dà luogo, anche negli appalti di lavori, all’esclusione del concorrente che si sia reso colpevole dell’omissione, anche qualora non vi sia una specifica clausola del bando di gara che esplicitamente la preveda. Tale omissione, infatti, costituisce un mancato adempimento alle prescrizioni normative previste dal d.lgs. n. 163 del 2006 idoneo peraltro a determinare una carenza in merito a un elemento essenziale dell’offerta, dando quindi luogo a una tipica causa di esclusione indicata all’art. 46, comma 1 bis del medesimo d.lgs. n. 163 del 2006. Né infine si può consentire che per sanare la richiamata omissione il concorrente ricorra al soccorso istruttorio. Si tratterebbe infatti di un’ipotesi di vera e propria integrazione successiva dell’offerta inizialmente carente di un elemento da considerare essenziale, in palese violazione del principio della par condicio tra i concorrenti. La soluzione accolta dall’Adunanza plenaria non appare pienamente convincente. Significative sono infatti le zone d’ombra che residuano in un ragionamento che appare caratterizzato da alcune oggettive forzature. Le argomentazioni sviluppate, infatti, sembrano indirizzate, più che a una fedele interpretazione del quadro normativo vigente, alla volontà di colmare un vuoto che si ritiene esso presenti. Così da avvalorare quella tesi, sopra ricordata, che per giustificare l’omissione che l’art. 87, comma 4 opera con riferimento ai lavori, ha parlato di un mero lapsus del legislatore. Tuttavia, non si può fare a meno di osservare che questo modo 24 rivista trimestrale degli appalti di argomentare e le conclusioni cui lo stesso conduce finiscono per legittimare un’operazione che potremmo definire di vera e propria giurisprudenza creativa, che va molto al di là della mera interpretazione della norma vigente. In sostanza sembra che il giudice, di fronte a un’oggettiva incongruenza del quadro normativo e sulla base di istanze tutto sommato ragionevoli, abbia deciso di colmare autonomamente un vuoto dello stesso, quasi sostituendosi al legislatore. È in questa logica che va letta la prevalenza che la pronuncia dell’Adunanza plenaria assegna all’interpretazione sistematica rispetto a quella meramente letterale. Infatti, l’esigenza di ridare coerenza a un quadro normativo che sulla base di una lettura testuale delle relative disposizioni ne sarebbe privo porta il giudice a un vero e proprio superamento della lettera della legge. È infatti innegabile che la formulazione testuale del comma 4 dell’art. 87 non lascia dubbi: l’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta non è previsto per gli appalti di lavori, ma solo per quelli di servizi e forniture. Questa evidenza viene totalmente superata dall’Adunanza plenaria, nel senso che la semplice lettura del dato normativo viene considerata regressiva rispetto a superiori ragioni di coerenza del sistema. Si tratta di un’operazione ermeneutica quanto meno audace, anche perché si pone in conflitto con la regola generale sancita dall’art. 12 delle Preleggi, secondo cui nell’applicazione della legge bisogna in primo luogo fare salvo il senso che ne risulta dal significato proprio delle parole e solo in un secondo momento si può ricorrere all’ intenzione del legislatore. Nel nostro caso, invece, i parametri interpretativi sembrano essere stati invertiti, e la ratio della norma viene utilizzata per azzerare il valore del dato testuale. Né sembra convincente, a supporto della tesi accolta dall’Adunanza plenaria, invocare l’esigenza di accogliere un’interpretazione della norma costituzionalmente orientata, volta cioè a salvaguardare in misura massima i valori della salute e sicurezza dei lavoratori che sarebbero appunto forniti di una tutela rafforzata, in quanto dotati di copertura costituzionale. Infatti, come è stato correttamente rilevato 35- e come più volte sottolineato in precedenza – la tutela di tali valori può comunque essere assicurata in sede di verifica di anomalia, nel senso che nell’ambito del relativo procedimento l’ente appaltante, qualora abbia dubbi sulla congruità dell’offerta, può operare gli opportuni approfondimenti diretti ad accertare che (35) In dottrina v. C. Mucio, Indicazione degli oneri per la sicurezza negli appalti di lavori, in Urbanistica e appalti, 2014, n. 11, p. 1208; in giurisprudenza, Cons. St., Sez. III, 4 marzo 2014, n. 1030. dottrina 25 anche lo specifico profilo degli oneri della sicurezza risulti adeguato rispetto al quel particolare appalto. Ciò è confermato dal fatto che l’art. 87 è inserito tra le norme che disciplinano il procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, a testimonianza che le previsioni in esso contenute devono considerarsi funzionali allo svolgimento di detto procedimento. Di conseguenza, appare coerente che l’accertamento della congruità degli oneri della sicurezza sia effettuato in questa sede, senza che emerga la necessità – in mancanza di un’espressa previsione normativa – che di tali oneri sia fornita preventiva evidenza in fase di offerta. Ma il punto forse più critico della pronuncia dell’Adunanza plenaria è quello in cui il giudice amministrativo cerca di fornire una spiegazione della ragione per la quale l’art. 87, comma 4 prevede che la preventiva indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta sia effettuata solo per gli appalti di forniture e servizi e non anche per gli appalti di lavori. Come ricordato più sopra, la ragione di questa scelta del legislatore sarebbe da ricercare nel minor rischio che le relative prestazioni presenterebbero rispetto all’ipotesi dei lavori. In realtà, logica vorrebbe che l’esatta determinazione degli oneri della sicurezza – e correlativamente la loro preventiva evidenziazione – sia tanto più importante quanto maggiore è il rischio che si accompagna allo svolgimento delle relative prestazioni. Per cui affermare che il legislatore non ha ritenuto di prevedere esplicitamente l’obbligo della preventiva indicazione di tali oneri proprio per gli appalti più rischiosi, cioè quelli di lavori, appare una conclusione contraddittoria rispetto alla premessa del ragionamento. Si tratta di una di quelle tipiche affermazioni che – come si usa dire – “provano troppo”, nel senso che si basano su uno sforzo ermeneutico che rischia di suscitare dubbi maggiori di quelli che intenderebbe risolvere. La pronuncia dell’Adunanza plenaria suscita poi ulteriori perplessità per un altro aspetto, attinente alla disciplina delle cause di esclusione dalle gare. Le conclusioni cui giunge non sembrano infatti pienamente coerenti con il principio di tassatività delle cause di esclusione, sancito dal comma 1 bis dell’art. 46, d.lgs. n. 163 del 2006. Sotto questo profilo, il giudice amministrativo richiama contestualmente due diverse cause di esclusione previste dalla norma citata, operando una commistione tra le stesse che non giova alla linearità del ragionamento complessivo. La sentenza fa infatti riferimento al “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente Codice” cioè dal d.lgs. n. 163 del 2006), che a sua volta determinerebbe “incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta”. Viene così operato un contestuale riferimento a due delle cause di esclusione indicate 26 rivista trimestrale degli appalti dal comma 1 bis dell’art. 46, tra le quali viene peraltro operato un collegamento logico – sistematico che lascia perplessi. Al di là di tale collegamento, dubbi significativi sussistono in relazione a entrambe le cause di esclusione che la pronuncia ha inteso chiamare in causa. Quanto al “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente Codice” è agevole rilevare che in realtà non vi è nessuna prescrizione normativa che, con riferimento agli appalti di lavori, esplicitamente sancisca a carico del concorrente l’adempimento – l’indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta – il cui mancato assolvimento costituirebbe causa di esclusione dalla gara. Ed anzi, come ampiamente evidenziato, la disposizione dell’art. 87, comma 4, nella sua formulazione letterale, non contempla tale adempimento, la cui sussistenza viene affermata solo attraverso una ricostruzione sistematica del quadro normativo. Quanto invece alla “incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta”, la posizione assunta dall’Adunanza plenaria si basa sul presupposto che la puntuale quantificazione degli oneri della sicurezza costituisca un elemento essenziale della stessa. Solo in questo modo, infatti, si può ritenere che la mancanza di tale elemento assuma un valore così significativo da determinare incertezza assoluta sul contenuto dell’offerta. Si tratta tuttavia di un’interpretazione che appare quanto meno forzata, poiché la configurazione di tale causa di esclusione sembrerebbe fare riferimento a elementi essenziali e fondativi dell’offerta, la cui mancanza o difetto non consentono l’esatta quantificazione della stessa o la sua compiuta definizione. Ipotesi che appare difficilmente configurabile in relazione alla mancata indicazione degli oneri della sicurezza, anche in considerazione del fatto che la loro esatta determinazione può comunque essere accertata in sede di verifica di anomalia. Sembra quindi potersi affermare che le conclusioni dell’Adunanza plenaria, se pure non si pongono in aperto contrasto con il principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare, comportano comunque un vulnus a tale principio, implicando un’interpretazione molto ampia in merito ai contenuti di due delle suddette cause indicate dalla norma legislativa. 4. La giurisprudenza successiva alla pronuncia dell’Adunanza plenaria. – I dubbi sollevati dalla pronuncia dell’Adunanza plenaria hanno trovato puntuale conferma in alcune sentenze successivamente emanate dai giudici amministrativi. Infatti, mentre in alcuni casi sono stati confermati i principi enunciati dall’Adunanza plenaria – fornendo peraltro delle specificazioni degli stessi in relazione a ipotesi particolari – in altri casi gli interventi del giudice amministravo hanno rimesso in discussione le conclusioni raggiunte nella pronuncia n. 3 del 2015. dottrina 27 Appartiene al primo filone la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 1° agosto 2105, n. 3769, in cui viene ribadito che gli oneri di sicurezza aziendali – a differenza degli oneri da interferenze – costituiscono una voce di costo nell’ambito dell’offerta presentata, e come tali sono soggetti al ribasso d’asta. Essi infatti sono correlati alla capacità di ciascuna impresa partecipante alla gara di ottenere economie anche in relazione al profilo attinente alla salute dei propri lavoratori impiegati nell’appalto, fermo restando l’accertamento in merito all’effettiva congruità della misura di tali oneri che la stazione appaltante può operare in sede di verifica di anomalia. Nel confermare questo principio – già affermato in passato dalla giurisprudenza – la sentenza in esame si preoccupa di specificare che esso non è in alcun modo incompatibile con l’obbligo di preventiva indicazione di tali oneri in sede di offerta. Essi, infatti, rappresentano un elemento dell’offerta al pari di altri, non sussistendo quindi alcun ostacolo alla loro puntuale indicazione nel corpo della stessa. D’altro canto, resta ferma la garanzia rappresentata dal fatto che la loro effettiva congruità è soggetta alla verifica ultima della stazione appaltante. In un’altra pronuncia è stato puntualizzato che l’indicazione in sede di offerta di una percentuale di incidenza degli oneri di sicurezza aziendali pari a zero equivale in termini logici a una mancanza assoluta di indicazione 36. Si deve quindi ritenere che, effettuato nei termini indicati, l’adempimento al dettato normativo sia solo formale, vanificando tuttavia la ratio della norma. Nei fatti, l’offerta si deve considerare priva di un elemento essenziale, con conseguente operatività di una delle cause di esclusione indicate al comma 1 bis dell’art. 46. Decisamente più significative sono le sentenze che, pur dopo il pronunciamento dell’Adunanza plenaria, ne ridimensionano o in alcuni casi addirittura ne ribaltano le conclusioni. In alcuni casi il giudice amministrativo – in coerenza con quanto già sostenuto in alcune sentenze pregresse, come ricordato supra, § 2 – ha ritenuto che l’obbligo di indicazione preventiva degli oneri della sicurezza non debba valere per particolari tipologie di servizi, con ciò negando che i principi affermati dall’Adunanza plenaria possano essere applicati in termini assoluti. In questo senso si colloca la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. (36) Così Cons. St., Sez. III, 15 giugno 2015, n. 2941, secondo cui “La percentuale di incidenza dello 0,0% in effetti equivale oggettivamente e logicamente a mancanza dell’indicazione dei costi e quindi di un elemento essenziale dell’offerta economica per come strutturato dall’amministrazione , né può sostenersi che in ogni caso fosse stato adempiuto l’obbligo formale dell’indicazione salvo a vanificare la previsione di gara”. 28 rivista trimestrale degli appalti III, 28 settembre 2015, n. 4537, che ha affermato l’insussistenza di tale obbligo in relazione agli appalti di servizi di cui all’Allegato II B, d.lgs. n. 163 del 2006. Questa conclusione viene argomentata sulla base della considerazione che per tali servizi trovano applicazione esclusivamente le disposizioni puntualmente indicate all’art. 20, d.lgs. n. 163 del 2006, tra cui non sono ricomprese quelle di cui agli artt. 86 comma 3 bis e 87, comma 4 relative appunto agli oneri della sicurezza, né tali ultime disposizioni possono considerarsi espressione dei principi generali elencati all’art. 27 e come tali comunque applicabili anche a tale tipologia di appalti di servizi. Di conseguenza, la mancata indicazione degli oneri della sicurezza non può comportare l’esclusione del concorrente, potendo e dovendo quest’ultimo fornire il dato mancante in sede di procedimento di verifica di anomalia 37. Come accennato, questa pronuncia riprende le affermazioni che in passato erano già state operate dalla giurisprudenza con riferimento appunto ad alcune categorie di appalti di servizi. Tuttavia, quello che va evidenziato sono gli effetti paradossali che derivano dalla conferma dell’orientamento pregresso pur in presenza della sentenza dell’Adunanza plenaria. Se infatti quest’ultima ha ritenuto che l’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza sussista anche per gli appalti di lavori, nonostante la mancanza di una norma esplicita che lo preveda, e ciò per ragioni di coerenza sistematica dell’ordinamento, risulta contraddittorio che tale obbligo sia poi negato per gli appalti di servizi – anche se con riferimento a specifiche categorie degli stessi – dove peraltro il dato testuale della norma va in senso contrario. Non si comprende infatti per quale motivo l’interpretazione di ordine sistematico dovrebbe valere per gli appalti di lavori e non per quelli di servizi, tanto più che per questi ultimi essa si porrebbe in piena coerenza con il dato letterale della norma. In sostanza, se la pronuncia dell’Adunanza plenaria ha inteso affermare un principio di carattere generale, ricavandolo da una ricostruzione sistematica del quadro normativo, tale principio (37) La pronuncia specifica di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui “nelle gare aventi ad oggetto servizi esclusi dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici (All. II B – Servizi sanitari e sociali), la mancanza nel bando di una previsione specifica non esenta i concorrenti dal dover indicare gli oneri della sicurezza aziendale e dall’osservare le norme in materia di sicurezza sul lavoro, ma comporta soltanto che, ove la stazione appaltante non si sia autovincolata nella legge di gara ad osservare la disciplina di dettaglio dettata dagli artt. 86, commi 3 bis e 3 ter e 87, comma 4 del Codice dei contratti pubblici, il concorrente che non abbia indicato i suddetti oneri della sicurezza nella propria offerta deve essere chiamato a specificarli successivamente, nell’ambito della fase di verifica della congruità dell’offerta stessa” . dottrina 29 dovrebbe valere per tutti gli appalti, senza eccezione alcuna. Perplessità ancora maggiori suscita un’altra sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 7 settembre 2015, n. 4132, che ha escluso la sussistenza dell’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza in relazione a tutti gli appalti di servizi, e non quindi solo per i servizi di cui all’Allegato II B . È stato infatti affermato che, nel caso in cui il bando di gara non contenga un’espressa previsione in tal senso, l’omessa indicazione degli oneri della sicurezza non costituisce motivo di esclusione dalla gara, anche in considerazione del più volte richiamato principio di tassatività delle cause di esclusione sancito dall’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006. Anche in questo caso viene quindi confermato un orientamento pregresso, che si doveva ragionevolmente ritenere superato dalla pronuncia dell’Adunanza plenaria per le medesime considerazioni poco sopra richiamate, che nel caso specifico assumono ancora maggiore rilievo in considerazione dell’ampiezza del vulnus che subiscono le conclusioni raggiunte da detta pronuncia. Ma la massima espressione della contraddizione rispetto al principio affermato dall’Adunanza plenaria si coglie in un altro intervento operato sempre dal Consiglio di Stato con la sentenza della Sez. VI, 9 aprile 2015, n. 1798. La fattispecie esaminata riguarda l’affidamento della fornitura di prodotti multimediali e dei relativi servizi di installazione, cioè un appalto misto di forniture e servizi di natura intellettuale. Il giudice amministrativo, ancora una volta senza tener conto della novità rappresentata dalla pronuncia dell’Adunanza plenaria, ha fatto proprio l’orientamento espresso in passato da quel filone giurisprudenziale secondo cui, proprio in considerazione della natura intellettuale delle prestazioni da rendere, non è configurabile un obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta a pena di esclusione 38. Ma quello che colpisce è che per motivare questa affermazione il giudice amministrativo prende spunto proprio da un passaggio – in realtà alquanto criptico – della pronuncia dell’Adunanza plenaria, che lo porta ad affermare che l’obbligo di preventiva indicazione degli oneri della sicurezza sussisterebbe per gli appalti di lavori ma non per quelli di forniture e servizi. Come si è detto più sopra, per motivare il diverso trattamento che la disposizione dell’art. 87, comma 4, riserva agli appalti di (38) Ciò in adesione – come precisato nella pronuncia – a quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in relazione agli appalti di forniture e di servizi intellettuali, proprio perché il rischio cosiddetto specifico o aziendale ha minore possibilità di incidenza, non sussisterebbe l’obbligo di indicare già in sede di offerta i relativi oneri della sicurezza. 30 rivista trimestrale degli appalti forniture e servizi – per i quali l’obbligo in questione viene esplicitamente previsto – rispetto agli appalti di lavori – per i quali invece esso manca – l’Adunanza plenaria ha chiamato in causa il minore livello di rischio che le prestazioni relative ai primi presenterebbero rispetto a quelle proprie dei secondi. Da qui conseguirebbe l’esigenza del legislatore di specificare esplicitamente che proprio per gli appalti di forniture e servizi gli oneri della sicurezza vanno indicati, sia pure ai soli fini di consentirne un’adeguata valutazione in sede di verifica di anomalia. Da questo passaggio la sentenza n. 1798 del 2015 ricava la conclusione che mentre per gli appalti di lavori, proprio in considerazione del notevole livello di rischio che li caratterizza, gli oneri della sicurezza vanno necessariamente indicati in sede di offerta – in conformità appunto a quanto affermato dall’Adunanza plenaria – analoga esigenza non sussisterebbe per gli appalti di forniture e servizi, connotati da elementi di rischio per la salute dei lavoratori significativamente più contenuti 39. Questa conclusione, in realtà, produce un vero e proprio ribaltamento del quadro normativo vigente. Infatti, per gli appalti di lavori le affermazioni operate dall’Adunanza plenaria portano a sancire la sussistenza dell’obbligo di preventiva indicazione degli oneri della sicurezza nonostante non vi sia in tal senso un’esplicita previsione normativa, facendo leva esclusivamente su un’interpretazione sistematica delle disposizioni vigenti. Al contrario, per gli appalti di forniture e servizi, nonostante la chiarezza del dato letterale della norma che sancisce l’obbligo in questione, lo stesso non viene considerato cogente sulla base di una valutazione operata dal giudice in merito al contenuto livello di rischio che essi presenterebbero. È evidente che questo approccio e le conseguenze che ne derivano pongono un oggettivo problema di coerenza nel percorso argomentativo sviluppato. Infatti, non solo – con riferimento ai lavori – si integra una norma ritenuta lacunosa, ma in più – con riferimento alle forniture e ai servizi – si supera il dato letterale. Cosicché la disposizione dell’art. 87, comma 4, viene da un lato “arricchita” di ciò che non c’è e dall’altro “privata” di ciò che invece c’è, sulla base di un’interpretazione dei giudici. D’altro canto non si può fare a meno di rilevare che questo com(39) Si legge nella pronuncia che “la ricostruzione in senso costituzionalmente orientato operata dall’Adunanza plenaria comporta il sostanziale ribaltamento dell’orientamento giurisprudenziale …secondo cui il combinato disposto del comma 3 bis dell’art. 86 e del comma 4 dell’art. 87 del Codice dei contratti avrebbe imposto oneri dichiarativi più pregnanti (e conseguenze escludenti più stringenti) a carico delle imprese partecipanti ad appalti di servizi e di forniture rispetto a quelle partecipanti ad appalti di lavori (nonostante la maggiore rischiosità che tipicamente caratterizza la seconda tipologia di appalti rispetto alla prima)”. dottrina 31 pleto ribaltamento del quadro normativo trova origine proprio in quel passaggio della pronuncia dell’Adunanza plenaria in cui la stessa, nel tentativo di giustificare il diverso trattamento riservato dal legislatore agli appalti di lavori rispetto a quelli di forniture e servizi, finisce per dare spazio a una conclusione paradossale: a un minor livello di rischio – come quello che caratterizza le prestazioni nelle forniture e nei servizi – corrisponderebbe una scelta del legislatore di imporre un onere dichiarativo più pregnante. Mentre se il rischio è maggiore, ancorché il legislatore sembra non averne tenuto conto, occorre comunque, attraverso una ricostruzione sistematica del quadro normativo, imporre la preventiva indicazione degli oneri della sicurezza. È proprio su questa contraddizione che si inserisce agevolmente il ragionamento della sentenza n. 1798 del 2015. Se negli appalti di forniture e servizi il rischio è contenuto, non risponde a logica imporre a pena di esclusione che gli oneri della sicurezza siano indicati già in sede di offerta. In questo modo, il quadro complessivo si arricchisce di un ulteriore paradosso: un argomento – la diversa connotazione dell’elemento rischio nelle differenti tipologie di appalti – che l’Adunanza plenaria aveva valorizzato per ampliare anche ai lavori, pur in mancanza di un’espressa indicazione normativa, l’obbligo di indicazione preventiva degli oneri della sicurezza, viene successivamente utilizzato dalla Sezione V del Consiglio di Stato per ritenere che tale obbligo non sussista per le forniture e i servizi, nonostante in questo caso la norma invece esista. Tutto ciò rende evidente le smagliature che caratterizzano il percorso argomentativo dell’Adunanza plenaria. L’aver incentrato tutto il ragionamento e avere quindi corroborato le relative conclusioni sull’interpretazione sistematica del quadro normativo ha finito per costituire un argomento che, come si è già detto, “prova troppo”. E come tutti gli argomenti che provano troppo, anche in questo caso si rischia di creare un’ulteriore confusione e dare spazio a interpretazioni ancora una volta contrastanti. 5. Oneri della sicurezza e soccorso istruttorio. – Un profilo che merita uno specifico approfondimento è quello relativo alla mancata indicazione in sede di offerta degli oneri della sicurezza in relazione ai limiti di utilizzo del soccorso istruttorio. Come è stato evidenziato in precedenza, la pronuncia n. 3 del 2015 dell’Adunanza plenaria ha sancito in maniera netta l’impossibilità di ricorrere al soccorso istruttorio ai fini di porre rimedio alla carenza di indicazione nell’offerta degli oneri della sicurezza. Questa posizione negativa è stata assunta sulla base di un’affermazione altrettanto netta ma anche alquanto apodittica, non essendo accompagnata da alcuna particolare elaborazione. 32 rivista trimestrale degli appalti Viene infatti semplicemente operato il richiamo a due delle cause di esclusione previste dall’art. 46, comma 1 bis del d.lgs. n. 163 del 2006, ritenendosi che la mancata preventiva indicazione degli oneri della sicurezza costituisca, alternativamente, o “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente Codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti” o difetto di un elemento essenziale dell’offerta che determina incertezza assoluta sul relativo contenuto. Ciò comporta appunto l’impossibilità di utilizzare il soccorso istruttorio, in quanto ne conseguirebbe una palese violazione del principio della par condicio dei concorrenti. La preclusione in merito all’utilizzo dell’istituto è stata successivamente rafforzata da una seconda pronuncia dell’Adunanza plenaria, n. 9 del 2 novembre 2015. Questo nuovo intervento è stato sollecitato dall’ordinanza di rimessione della Sezione IV del Consiglio di Stato, n. 2707 del 3 giugno 2015, in relazione a un ulteriore contrasto giurisprudenziale emerso successivamente alla prima pronuncia dell’Adunanza plenaria con specifico riferimento alle procedure di gara ancora in corso alla data di emanazione di quest’ultima. Infatti, da un lato alcuni giudici hanno aderito senza riserve alla soluzione prospettata dall’Adunanza plenaria, facendone quindi puntuale applicazione anche in relazione alle gare non ancora concluse ma per le quali l’offerta era già stata presentata al momento del pronunciamento della sentenza n. 3 del 2015 40. Dall’altro lato, invece, vi sono state alcune sentenze che sono andate in senso opposto. Così, è stato ritenuto che, in aderenza a un approccio di tipo sostanzialistico, il ricorso al soccorso istruttorio andasse assicurato almeno per le gare ancora in corso, considerata l’incertezza giurisprudenziale che in passato aveva caratterizzato la materia 41. Mentre in altra fattispecie, il giudice amministrativo ha ritenuto che il principio affermato dall’Adunanza plenaria dovesse considerarsi regressivo a fronte di una clausola del bando di gara che espressamente prevedeva il ricorso al soccorso istruttorio in tutti i casi in cui l’incompletezza o l’irregolarità delle dichiarazioni fossero state indotte dal contenuto dei modelli predisposti dall’ente appaltante e utilizzato dalle imprese concorrenti. L’esigenza di fare chiarezza in merito agli effetti intertemporali della sentenza n. 3 del 2015 ha portato quindi la Sezione IV del (40) In questo senso TAR Lazio, Sez. I, 10 luglio 2015, n. 522. (41) In questo senso Cons. St., Sez. III, 13 maggio 2015, n. 2388 secondo cui “anche se l’indicazione dei costi di sicurezza aziendali è obbligatoria, in sua assenza deve essere richiesta la regolarizzazione mediante il soccorso istruttorio ex art. 46, comma 1 ter ed ex art. 38, comma 2 bis”. In senso conforme anche Cons. St., Sez. III, 7 settembre 2015, n. 4132 e Cons. St., Sez. V, 1° ottobre 2015, n. 4583. dottrina 33 Consiglio di Stato a sollecitare un nuovo intervento dell’Adunanza plenaria. Nell’ordinanza di rimessione n. 2707 del 2015 si evidenziava che in precedenti occasioni in cui l’Adunanza plenaria si era pronunciata su questioni controverse destinate a incidere anche su procedure di gara in corso, la stessa si era preoccupata di stabilire indirizzi anche in relazione alle situazioni pregresse. E nel fare ciò, quasi sempre ha consentito il ricorso al soccorso istruttorio per sanare carenze e irregolarità delle offerte in relazione alla puntuale applicazione del principio di diritto affermato dalla sentenza da essa emanata 42. Da qui la necessità di chiamare nuovamente in causa l’Adunanza plenaria affinché precisasse se – anche in relazione all’oggettivo contrasto giurisprudenziale esistente prima della sua pronuncia – non fosse opportuno prevedere anche in questo caso la possibilità di utilizzare il soccorso istruttorio in tutte le ipotesi in cui, al momento di tale pronuncia, le offerte fossero già state presentate – evidentemente senza l’espressa indicazione degli oneri della sicurezza – ma la gara fosse ancora in corso. Nel caso di specie l’Adunanza plenaria ha tuttavia negato tale possibilità. Operando un’applicazione molto rigorosa della sua precedente pronuncia, il massimo giudice ammnistrativo ha sancito l’illegittimità del ricorso al soccorso istruttorio per supplire alla mancata indicazione preventiva degli oneri della sicurezza anche per le procedure di gara ancora in corso alla data della sentenza n. 3 del 2015. Alla base di questa soluzione una considerazione di fondo che si può riassumere nei seguenti termini: accogliere la tesi contraria significherebbe attribuire all’interpretazione giurisprudenziale un valore e un’efficacia propriamente normativa, in aperto contrasto con il principio costituzionale della separazione dei poteri. In sostanza, la decisione del giudice diverrebbe una vera e propria “fonte di produzione” normativa 43. La sentenza n. 9 del 2015 precisa poi che nel caso di specie non ricorrerebbero neanche le condizioni per l’applicazione del cosiddetto overruling. Infatti, per attribuire carattere innovativo all’intervento del giudice in sede di interpretazione della norma vigente, devono ricorrere contestualmente tre presupposti: che la norma oggetto di interpretazione attenga a una regola processuale; che l’interpretazione sovverta un pregresso e consolidato orienta(42) Ciò è avvenuto, ad esempio, quando l’Adunanza plenaria ha generalizzato la regola della pubblicità delle sedute di gara relative all’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche e la verifica del loro contenuto, sentenza n. 13 del 28 luglio 2011. (43) L’espressione è testualmente utilizzata nella pronuncia dell’Adunanza plenaria. 34 rivista trimestrale degli appalti mento contrario; che essa comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa 44. Secondo l’Adunanza plenaria, nessuno di questi presupposti sarebbe presente nel caso oggetto di esame 45. Anche in questo caso, la rigorosa interpretazione proposta dal giudice amministrativo suscita più di una perplessità 46. La soluzione sarebbe stata infatti ineccepibile nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta fosse stato chiaramente previsto da una specifica disposizione legislativa. In questo caso, infatti, correttamente si sarebbe potuto sostenere che l’interpretazione giurisprudenziale non può modificare il dettato normativo, richiamando in maniera del tutto appropriata i limiti della funzione giurisdizionale rispetto a quella legislativa. Nel nostro caso, tuttavia, la situazione sembra presentarsi in termini diametralmente opposti: non vi è alcuna previsione normativa che sancisca il suddetto obbligo, la cui affermazione – come ampiamente illustrato in precedenza – è il risultato appunto di un’elaborazione giurisprudenziale, quella sì “creatrice” della norma. Cosicché si viene a determinare un paradosso nel paradosso: mentre l’Adunanza plenaria ammette che il giudice possa supplire a una carenza legislativa – “creando” un obbligo per i concorrenti laddove la norma non lo prevede esplicitamente – la stessa nega che questa funzione possa essere esercitata per regolare le situazioni di natura transitoria. La conclusione appare appunto paradossale: il giudice può interpretare una norma fino al punto di “creare” un obbligo che non c’è, ma non gli è consentito di utilizzare il medesimo schema interpretativo per consentire di limitare temporalmente gli effetti del suo intervento “creativo”. Alla luce di queste considerazioni, viene da chiedersi se non sarebbe stata più appropriata una soluzione diversa in merito alla definizione degli effetti intertemporali della sentenza n. 3 del 2015. Di fronte a una norma che non prevede espressamente l’obbligo di preventiva indicazione degli oneri della sicurezza, la cui sussistenza è stata infine affermata dall’Adunanza plenaria superando un contrasto giurisprudenziale molto acceso, sarebbe stata più opportuna una soluzione che consentisse, almeno per le procedure di gara non ancora concluse, il ricorso al soccorso istruttorio. E ciò anche a (44) In questo senso si è ripetutamente espressa la Corte di cassazione; cfr. sentenze n. 20007 del 2015, n. 19700 del 2015, n. 12704 del 2012 e n. 28967 del 2011. (45) Viene infatti evidenziato che “nel caso di specie nessuno degli anzidetti presupposti può ritenersi sussistente non trattandosi di norma attinente ad un procedimento di carattere giurisdizionale, non preesistendo un indirizzo lungamente consolidato nel tempo e non risultando precluso il diritto di azione o di difesa per alcuna delle parti in causa”. (46) Cfr., in senso critico, A. Marincolo, Gli effetti “intertemporali” della pronuncia dell’Adunanza plenaria n, 3 del 20 marzo 2015, in giustamm. it, n. 11, 2015. dottrina 35 tutela del fondamentale principio dell’affidamento dei concorrenti in buona fede. Né appare del tutto convincente l’affermazione secondo cui non ricorrerebbe alcuno dei presupposti per l’applicazione dell’overruling. In primo luogo, non sembra condivisibile la conclusione secondo cui nel caso di specie non vi sarebbe una preclusione del diritto di azione o di difesa. Se infatti è vero che il principio affermato nella sentenza n. 3 del 2015 non incide su una norma di natura strettamente processuale, è innegabile che vi sia una lesione almeno potenziale del diritto di azione o difesa dei concorrenti i quali avevano presentato un’offerta che, fino all’emanazione della richiamata sentenza, poteva considerarsi conforme ai requisiti di legge 47. Inoltre, appare un’oggettiva forzatura sostenere che prima della sentenza n. 3 del 2015 non vi fosse un orientamento giurisprudenziale consolidato in senso contrario a quanto da quest’ultima statuito. La giurisprudenza più recente, infatti, si era espressa in maniera prevalente proprio in senso opposto a quanto poi deciso dall’Adunanza plenaria, cosicché ben si può affermare che si era ragionevolmente ingenerato nei concorrenti un legittimo affidamento sulla piena regolarità di offerte che non contenessero l’indicazione degli oneri della sicurezza 48. Al di là del profilo relativo agli effetti intertemporali della sentenza n. 3 del 2015, è la stessa affermazione in quest’ultima contenuta sull’impossibilità in termini generali – e quindi non solo per le gare ancora in corso – di ricorrere al soccorso istruttorio che impone una riflessione più ampia, che investe il tema della effettiva efficacia dell’istituto in relazione al perseguimento degli obiettivi che il legislatore si è prefissato introducendo le norme dirette a rafforzarne la funzione . Per inquadrare correttamente il tema occorre considerare che l’operatività del soccorso istruttorio è strettamente collegata al principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare. Infatti, a fronte di una chiara indicazione di cause di esclusione tipizzate anche l’effettivo ambito di applicazione del soccorso istruttorio dovrebbe risultare più facilmente identificabile. (47) Come osservato da A. Marincolo, op. cit., “seppure tale intervento innovativo non incide su una norma processuale , ciò non vuol dire che non sussista una lesione del diritto di azione e/o di difesa nei confronti dei concorrenti dai gara ovvero della stessa stazione appaltante. In particolare il concorrente che si è visto “cambiare” le regole della gara (in assenza di una espressa norma di legge), subisce un evidente “vulnus” non solo in termini economici (in alcuni casi alquanto rilevante) , ma anche in termini di tutela del proprio diritto di difesa, considerato che – verosimilmente – si vedrà negata in via “giurisdizionale” un’aggiudicazione formalmente corretta e legittima, quanto meno sino al 20 marzo 2015”. (48) In questo senso sempre A. Marincolo, op. cit. 36 rivista trimestrale degli appalti Così, se la fattispecie rientra in una delle cause di esclusione individuate dal legislatore in relazione al suo contenuto tipico, non vi è spazio per consentire l’utilizzo del soccorso istruttorio. Se invece la carenza o l’irregolarità nella documentazione o nell’offerta presentata in sede di gara non è tale da integrare una causa di esclusione, le stesse possono essere sanate attraverso il suddetto istituto. È proprio in relazione a tale profilo che si evidenzia il punto critico che caratterizza l’attuale disciplina legislativa in materia. Le cause di esclusione indicate al comma 1 bis dell’art. 46, d.lgs. n. 163 del 2006 non sembrano infatti connotate da quella nettezza nella definizione dei relativi contenuti che sarebbe necessaria per renderne l’applicazione il più possibile certa. L’effetto speculare di questa situazione è che anche i confini volti a delimitare il legittimo ricorso al soccorso istruttorio restano non sufficientemente definiti, con conseguenti dubbi applicativi e contrasti interpretativi. Proprio la questione relativa all’indicazione degli oneri della sicurezza rappresenta un esempio emblematico di quanto appena evidenziato. L’Adunanza plenaria, infatti, ha negato la possibilità di ricorrere al soccorso istruttorio, paventando una possibile violazione del principio della par condicio tra i concorrenti, invocando la sussistenza nel caso di specie di due possibili cause di esclusione indicate dal comma 1 bis dell’art. 46. La prima è quella che fa riferimento al “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente Codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti”. Tuttavia, invocare questa causa di esclusione – anche tralasciando i dubbi ampiamente illustrati in precedenza sulla effettiva sussistenza di una prescrizione normativa che imponga l’indicazione preventiva degli oneri della sicurezza – presuppone comunque che la stessa sia interpretata nel senso di prevederne l’operatività non solo in quei casi in cui il legislatore ha esplicitamente imposto l’adempimento “a pena di esclusione”, ma anche nelle altre ipotesi in cui, pur in mancanza di questa espressa indicazione, l’adempimento omesso sia comunque ritenuto doveroso. È evidente che in questo contesto all’interprete e al giudice in particolare sono rimessi ampi margini di discrezionalità nell’individuazione delle fattispecie idonee ad integrare ipotesi di adempimenti doverosi. E, correlativamente, resta affidata a tale valutazione anche l’ampliamento o il restringimento dell’ambito di legittima applicazione del soccorso istruttorio. I margini di discrezionalità risultano se possibile ancora più ampi in relazione all’altra causa di esclusione indicata dall’Adunanza plenaria. Quest’ultima fa infatti riferimento alla mancanza di “elementi essenziali dell’offerta”, locuzione che implica un’analisi non agevole volta all’individuazione degli elementi dell’offerta dottrina 37 che possono considerarsi appunto ”essenziali” e la cui mancanza è quindi idonea a determinare l’esclusione del concorrente, con conseguente impossibilità di ricorso al soccorso istruttorio. Il dato che emerge da quanto detto è che se la finalità che il legislatore intendeva perseguire attraverso l’introduzione del nuova comma 1 bis dell’art. 46 era quella di restringere le ipotesi di esclusione dalle gare attraverso l’introduzione di un numerus clausus di fattispecie e, correlativamente, quella di ampliare il più possibile il ricorso al soccorso istruttorio in funzione sanante di carenze ed irregolarità documentali, l’obiettivo appare ancora lontano dall’essere pienamente realizzato. Il quadro normativo vigente sembra infatti prefigurare in tema di cause di esclusione dalle gare una sorta di “tipicità allargata”, che a sua volta potrebbe facilmente precostituire le condizioni per il ritorno a una situazione di vera e propria atipicità, non dissimile da quella esistente in passato e che il legislatore si era proposto di superare con la riforma introdotta 49. Questa situazione ha portato alcuni autori ad invocare un intervento più chiaro e deciso da parte del legislatore volto ad operare una netta scelta di campo tra l’affermazione del principio di tassatività delle cause di esclusione e l’ampliamento della possibilità di ricorrere al soccorso istruttorio 50. Tale istanza, ad avviso di chi scrive, non sembra tuttavia prefigurare una soluzione idonea a risolvere in maniera efficace la questione sollevata. Se infatti è auspicabile un intervento legislativo che definisca in maniera più chiara le fattispecie che costituiscono cause di esclusione dalla gara in maniera da restringere gli spazi di interpretazione degli operatori e dei giudici, appare per alcuni aspetti illusorio ipotizzare che il tema possa essere affrontato e risolto una volta per tutte in via legislativa. Occorre infatti considerare che la minore o maggiore ampiezza dell’ambito di applicabilità del soccorso istruttorio – questione cui è indissolubilmente legata la direzione che si intende dare alla disciplina delle cause di esclusione – è strettamente connessa alla contestuale presenza di due principi fondamentali delle gare ad evidenza pubblica, quello del favor partecipationis e quello della (49) La notazione è di C. Contessa, Oneri per la sicurezza e soccorso istruttorio: un nodo da sciogliere in vista del nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, in giustamm. it, agosto 2015. (50) Così C.Contessa, op. cit., secondo cui “Appare evidente a chi scrive che ormai siano maturi i tempi per un definitivo chiarimento da parte del Legislatore il quale (anche in questo caso) sarà chiamato ad indicare in modo inequivoco quale atteggiamento intenda assumere in ordine ai rapporti far la tassatività (peraltro attenuata) delle cause di esclusione e l’applicazione del soccorso istruttorio”. 38 rivista trimestrale degli appalti par condicio, e della collocazione del punto di equilibrio tra gli stessi. È infatti evidente che quanto maggiore è il campo di intervento riconosciuto al soccorso istruttorio, tanto più numerose risultano le irregolarità è le carenze della documentazione presentata dai concorrenti in sede di gara che possono essere oggetto di sanatoria successiva. Condizione che, a sua volta, comporta un oggettivo affievolimento del principio della par condicio a vantaggio di quello del favor partecipationis. Al contrario, se la possibilità di ricorso al soccorso istruttorio viene ristretta, la conseguenza sarà una maggiore penalizzazione dei concorrenti che hanno compiuto errori od omissioni in sede di presentazione della documentazione di offerta, a tutto vantaggio di coloro che hanno puntualmente rispettato le regole della gara. E ciò a maggiore presidio del principio della par condicio. Si tratta di una scelta di fondo in merito alla soluzione di politica legislativa che si ritiene maggiormente idonea al più efficace svolgimento delle gare e, in ultima analisi, al miglior perseguimento della tutela della concorrenza. In questa scelta si scontrano impostazioni sensibilmente diverse: da un lato un approccio di tipo profondamente sostanzialistico, che mira a evitare o quanto meno a limitare fortemente il rischio che l’esito di una gara possa dipendere da fattori puramente formali, nel senso che l’offerta migliore sotto il profilo tecnico ed economico venga esclusa sulla base di un errore di forma – magari veniale – compiuto dal concorrente in sede di predisposizione della relativa documentazione. Dall’altro lato, si pone comunque l’esigenza di salvaguardare gli aspetti formali che inevitabilmente caratterizzano lo svolgimento della gara, posto che gli stessi costituiscono un presidio al corretto esercizio dell’azione amministrativa e, in ultima analisi, all’efficace affermazione dei principi di trasparenza e concorrenzialità nell’affidamento dei contratti pubblici. Entrambe le impostazioni hanno i loro vantaggi e le relative controindicazioni e la soluzione virtuosa risiede probabilmente nell’individuazione di un punto di equilibrio che salvaguardi alcune esigenze fondamentali in merito al corretto svolgimento della gara senza tuttavia sconfinare in rigidi formalismi. Ciò che sembra potersi affermare, tuttavia, è che la dialettica tra i fautori del più ampio riconoscimento del soccorso istruttorio e coloro che invece vorrebbero limitarne il più possibile l’ambito di utilizzo difficilmente potrà trovare un’adeguata soluzione definitiva attraverso un intervento del legislatore, proprio perché investe l’applicazione di principi generali del sistema dei contratti pubblici per il quale appare imprescindibile il contributo interpretativo della giurisprudenza. dottrina 39 6. Il profilo della compatibilità comunitaria. – Le perplessità sollevate dai due interventi dell’Adunanza plenaria trovano conferma anche analizzando il tema oggetto di attenzione sotto il profilo della compatibilità della soluzione adottata dal giudice amministrativo con i principi e le norme dell’ordinamento comunitario. Questo profilo ha trovato la sua plastica espressione nell’ordinanza del TAR Piemonte, Sez. II, n. 1745 del 16 dicembre 2015, che ha appunto sollevato il tema della compatibilità davanti alla Corte di giustizia Ue. In particolare l’ordinanza – preso atto della posizione assunta dall’Adunanza plenaria con le due pronunce che si sono succedute – ha rimesso al giudice comunitario la questione pregiudiziale se una norma nazionale come interpretata dalla giurisprudenza, che impone la preventiva indicazione in sede di offerta degli oneri della sicurezza aziendale a pena di esclusione – anche in mancanza di un’esplicita previsione in tal senso negli atti di gara – possa considerarsi compatibile con i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto e con gli altri principi generali posti a tutela della concorrenza. Nel sollevare la questione davanti al giudice comunitario l’ordinanza del TAR Piemonte sviluppa un percorso argomentativo da cui sembrano emergere molti dubbi su tale compatibilità. L’insieme di questi dubbi prende le mosse ancora una volta da una considerazione fondamentale: le norme nazionali che disciplinano le modalità di evidenziazione e verifica degli oneri della sicurezza nell’ambito dello svolgimento della gara non sono affatto chiare, tanto che per dirimere i contrasti interpretativi cui le stesse hanno dato luogo sono stati necessari due successivi interventi del massimo organo di giustizia amministrativa. La conseguenza immediatamente successiva è che l’obbligo di indicazione preventiva degli oneri della sicurezza già in sede di offerta non è l’effetto naturale di una specifica disposizione legislativa che lo impone, bensì deriva dall’interpretazione – peraltro di carattere sistematico – delle norme vigenti fornita dalla giurisprudenza. È sulla base di questo assunto che viene inquadrata la questione fondamentale della compatibilità tra il quadro normativo nazionale e i principi comunitari, tra i quali vengono in rilievo in primo luogo il principio del legittimo affidamento e quello della certezza del diritto. In particolare, è ragionevole sostenere che l’interpretazione accolta dall’Adunanza plenaria possa comportare una lesione dei suddetti principi, in quanto fa discendere la più grave delle misure sanzionatorie nei confronti dei concorrenti – cioè l’esclusione dalla gara senza alcuna possibilità di rimedio o di contraddittorio – dalla violazione di un obbligo che non è esplicitamente previsto dalla 40 rivista trimestrale degli appalti legge, ma la cui sussistenza deriva dall’interpretazione giurisprudenziale 51. In sostanza il concorrente viene sanzionato in via definitiva e senza possibilità di appello per non aver adempiuto ad un obbligo che in realtà non era contemplato né dalla legge né dal bando di gara. È quindi una sanzione che scatta a fronte di un comportamento per molti aspetti incolpevole, rispetto al quale dovrebbero appunto operare i principi generali della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto. La lesione di tali principi, peraltro, appare ancora più significativa se rapportata alla posizione espressa nella seconda pronuncia dell’Adunanza plenaria, la n. 9 del 2015. Infatti, negare la possibilità di sanare la ritenuta violazione dell’obbligo con il ricorso al soccorso istruttorio anche per le procedure di gara in corso alla data della prima pronuncia, significa incidere in maniera ancora più pregnante sulla tutela dell’affidamento del concorrente, che in buona fede aveva omesso l’adempimento poi ritenuto necessario, con i correlati effetti negativi sulla certezza del diritto. L’insieme di queste considerazioni porta il TAR Piemonte ad affermare che, accogliendo pedissequamente l’interpretazione dell’Adunanza plenaria, in ultima istanza quello che si finisce per chiedere ai concorrenti è di integrare le regole della gara – che nulla dicono sul punto – con un’ulteriore regola che non deriva direttamente dalla legge ma da una determinata interpretazione che della stessa è stata data dal giudice amministrativo 52. Sotto altro profilo, l’ordinanza del TAR Piemonte evidenzia che la soluzione accolta dall’Adunanza plenaria appare anche contraria ad altri principi comunitari, quali quelli del favor partecipationis e della parità di trattamento. L’esclusione del concorrente per la mancata indicazione degli oneri della sicurezza viene infatti disposta in relazione ad un inadempimento di natura esclusivamente formale, prescindendo cioè da ogni verifica sulla effettiva sussistenza in capo all’impresa e relativa congruità dei suddetti oneri. Ciò avrebbe come effetto – in un’ottica attenta alla visione tipica dell’ordinamento comunitario – un indebito restringimento della platea dei potenziali (51) Si legge testualmente nell’ordinanza del TAR Piemonte che “la necessità di tale indicazione deriva con certezza, per l’ordinamento nazionale, non dalla lettera delle disposizioni di legge ma solo dal cosiddetto diritto vivente, ossia dalla richiamata interpretazione nomofilattica del quadro normativo vigente”. (52) “Si assume infatti che tale impresa, nel silenzio degli atti di gara, fosse tenuta ad eterointegrare la lex specialis non semplicemente con riguardo a quanto disposto, in via generale, dalla legge (oggettivamente di incerta applicazione) ma nei sensi derivanti dalla richiamata interpretazione estensiva fatta propria dall’Adunanza plenaria, anche indipendentemente dal fatto che quest’ultima si sia pronunciata anteriormente alla conclusione della fase di presentazione delle offerte”. dottrina 41 concorrenti, con la conseguente violazione dei principi di favor partecipationis e, più in generale, dei principi di libera concorrenza e di libera prestazione dei servizi. Il ragionamento sviluppato nell’ordinanza del TAR Piemonte, sia nella sua globalità che con specifico riferimento al profilo da ultimo richiamato, dà evidenza a una tematica di più ampio respiro, che ha trovato sempre maggiore spazio negli ultimi anni, in merito al diverso approccio del legislatore nazionale rispetto a quello comunitario in tema di regole che devono sovraintendere allo svolgimento delle procedure per l’affidamento di contratti pubblici. In termini concettuali, la questione può essere riportata al rapporto tra rispetto (formale) della norma e perseguimento dell’obiettivo (sostanziale) di efficacia dell’azione amministrativa. In un sistema “ideale” i due termini del rapporto dovrebbero porsi in una relazione non di contrapposizione ma di complementarietà: a un puntuale rispetto della norma giuridica dovrebbe corrispondere la scelta del miglior contraente dell’amministrazione, sia in termini economici che qualitativi. La migliore offerta, cioè, dovrebbe essere il naturale risultato di una procedura svolta secondo i più rigorosi canoni normativi. Nel nostro ordinamento nazionale che sovrintende all’affidamento dei contratti pubblici, questa convergenza in realtà non è così naturale. E anzi si può dire, un po’ provocatoriamente, che la circostanza che a una procedura di gara “perfetta” corrisponda la scelta del miglior contraente rappresenta più il frutto di evenienze casuali che la logica conseguenza di un percorso. La ragione di questa situazione per alcuni versi paradossale va ricercata per molti aspetti nella nozione di “tutela della concorrenza” accolta nel nostro ordinamento. La tutela della concorrenza viene infatti spesso identificata nel mero rispetto di una procedura, con un approccio di tipo formalistico che non necessariamente garantisce il raggiungimento del miglior risultato in sede di conclusione del contratto. Le ragioni di questa realtà sono evidentemente complesse e rappresentano il risultato di una molteplicità di fattori: la specifica configurazione del nostro sistema industriale, la struttura della committenza pubblica, la tradizione normativa, il sistema di giustizia amministrativa. Tutti fattori che, a vario titolo e per ragioni differenti, finiscono per confluire in quella che potremmo definire la “cultura della regola”. Non è certo questa la sede per indagare il complesso di tali fattori e le motivazioni, anche storiche, che ne sono alla base. Più modestamente, può essere utile qualche spunto di riflessione su alcuni specifici fenomeni degli ultimi anni, che consenta anche di valutare la possibilità e la convenienza di un approccio legislativo di tipo diverso. 42 rivista trimestrale degli appalti In primo luogo, occorre considerare che a partire dalla normativa di Contabilità di Stato il nostro sistema di contrattualistica pubblica è stato tradizionalmente impostato sul principio di base della massima tutela dell’ente pubblico committente. Tutta la disciplina più risalente nel tempo era infatti pensata per offrire all’ente pubblico la più ampia garanzia in merito alla possibilità di scegliere il contraente ritenuto più idoneo. In questa logica erano riconosciuti all’ente pubblico, sia pure nel doveroso rispetto delle norme, degli spazi in cui esso poteva legittimamente esercitare i suoi margini di discrezionalità 53. In sostanza, nell’ambito del sistema dell’evidenza pubblica ai committenti veniva riconosciuta una posizione che, pur nel rispetto dei principi generali che governavano l’azione amministrativa, consentiva agli stessi di usufruire di un certo grado di autonomia al fine del raggiungimento del risultato più conveniente. Questo quadro di riferimento ha subito nel tempo profonde modifiche in relazione a diversi fattori. Tra questi, si possono individuare due fenomeni che, per il loro impatto, hanno rappresentato un vero e proprio punto di svolta rispetto all’impostazione tradizionale. Il primo è costituito dalla nuova configurazione assunta dalla giustizia amministrativa. Dopo l’istituzione dei TAR, avvenuta nel 1971, il ricorso al giudice amministrativo è divenuto prassi molto diffusa. Il controllo giurisdizionale sugli atti degli enti pubblici ha assunto una capillarità fino ad allora sconosciuta. Questa nuova cultura del controllo giurisdizionale ha avuto innegabili effetti positivi sull’assetto complessivo del sistema, consentendo ai soggetti privati di disporre di un efficace strumento di tutela dei propri interessi coinvolti nell’attività amministrativa. Non v’è dubbio che ciò ha contribuito anche ad avvicinare i cittadini all’amministrazione e, in ultima analisi, a favorire un processo di costate monitoraggio della legittimità dell’azione amministrativa e di trasparenza complessiva del sistema. Nel settore dei contratti pubblici, tuttavia, a questi effetti positivi si sono accompagnate anche conseguenze più discutibili. Specie da un certo momento in poi, la tutela di fronte al giudice amministrativo ha rappresentato non il rimedio correttamente utilizzato per reagire alle patologie del sistema, ma uno strumento quasi fisiologico. Si è diffusa così una prassi per cui quasi a ogni gara ha (53) Solo per fare alcuni esempi, si può ricordare la discrezionalità di cui l’ente appaltante godeva in sede di scelta dei soggetti da invitare alla licitazione privata; ovvero quella che gli era concessa nel deliberare i provvedimenti di esclusione dalla gara; o ancora, i margini di autonomia che gli erano in qualche modo attribuiti nella valutazione della convenienza economica delle offerte pervenute. dottrina 43 finito per corrispondere, in un perverso meccanismo non immune da vizi, un ricorso in sede giurisdizionale. Alla diffusione di questo fenomeno hanno certamente contribuito molteplici fattori, primo fra tutti una legislazione sempre più complessa e farraginosa che non ha facilitato – e non facilita – il corretto svolgimento delle procedure di gara. In ogni caso, il risultato ultimo è che nel settore dei contratti pubblici il giudizio amministrativo si è sempre più indirizzato verso una vera e propria “caccia all’errore formale”. Il secondo elemento dirompente è derivato dal prepotente ingresso nel nostro ordinamento delle regole comunitarie. Più o meno negli stessi anni in cui sono stati istituiti i TAR sono infatti state emanate le prime Direttive comunitarie. Queste hanno completamente ribaltato la logica di fondo cui fino a quel momento si era ispirato il sistema dell’evidenza pubblica. La finalità principale delle norme comunitarie non è infatti la tutela della stazione appaltante, quanto piuttosto la tutela della concorrenza. Al centro del sistema, cioè, non vi è più tanto l’interesse del committente pubblico alla scelta del miglior contraente, quanto l’interesse a vedere garantita la massima apertura del mercato comunitario e il più efficace dispiegamento dei principi della concorrenza. Rispetto a questi obiettivi prioritari, l’individuazione del miglior contraente costituisce solo un effetto indotto. Ma è proprio rispetto a questo diverso approccio del diritto comunitario che si è manifestato il punto di crisi del nostro sistema interno. Nel diritto comunitario, infatti, la tutela della concorrenza ha un rilievo di carattere sostanziale: il fine ultimo cui deve rispondere una corretta attuazione dei principi di massima concorrenzialità è quello di garantire il risultato, inteso come ottenimento dal mercato della migliore prestazione da rendere a favore della stazione appaltante. Viceversa, calata nel contesto del nostro sistema amministrativo, la tutela della concorrenza – sulla base dell’impostazione tradizionale sopra ricordata – ha continuato ad assumere un significato del tutto diverso, identificandosi essenzialmente nel mero rispetto formale delle procedure, a prescindere se da ciò derivi anche il raggiungimento del miglior risultato in termini di economia ed efficienza. Solo negli ultimi anni, anche sulla scorta di un orientamento di una parte della giurisprudenza nazionale più attenta alle istanze proprie dell’ordinamento comunitario, è emerso un diverso approccio anche da parte del nostro legislatore interno. Ne è testimonianza proprio la recente modifica normativa dell’istituto del soccorso istruttorio, che pure – come visto – ha assunto un rilievo significativo anche nella vicenda oggetto delle presenti note. 44 rivista trimestrale degli appalti Le novità introdotte dal d.l. 24 giugno 2104, n. 90, convertito nella l. 11 agosto 2104, n. 114 in materia di modalità di dimostrazione dei requisiti generali e di soccorso istruttorio sono state indirizzate a ridisegnare, in un’ottica semplificatoria, la disciplina della cause di esclusione dalle gare in relazione al possesso e alla conseguente dimostrazione dei così detti requisiti generali o di idoneità morale, indicati all’art. 38, d.lgs. n. 163 del 2006. Disciplina che ha sempre dato luogo a contrasti giurisprudenziali e a defatiganti contenziosi, spesso basati su contestazioni di tipo meramente formale, quali ad esempio la mancata produzione di documentazione54 Nell’intento di arginare questo fenomeno, il legislatore ha quindi optato per una soluzione normativa diretta al superamento del dato meramente formale a favore di un’impostazione di tipo sostanzialistico. La filosofia di base dell’intervento normativo è quella di concentrare l’attenzione sull’effettivo possesso dei requisiti necessari ai fini della partecipazione alla gara, ponendo in secondo piano gli elementi di imperfezione o di incompletezza della documentazione finalizzata alla dimostrazione degli stessi. Questa impostazione pone quindi in secondo piano l’approccio più tradizionale della disciplina sulle cause di esclusione dalle gare ispirata a un rigido formalismo, giustificato con l’esigenza di un rigoroso rispetto dei principi di trasparenza e di par condicio. In quest’ottica, ogni possibilità riconosciuta al concorrente di intervenire sulla documentazione presentata in sede di gara – per integrarla, regolarizzarla e/o chiarirla – è sempre stata vista come una potenziale violazione di tali principi, e quindi circondata da molte cautele e relativi vincoli. La conseguenza è che qualunque irregolarità formale veniva spesso considerata causa di esclusione dalle gare, senza dare alcun rilievo alla natura e all’entità della stessa. La nuova disciplina del soccorso istruttorio opta invece per un’impostazione meno formalistica, più attenta a porre l’accento sulla effettiva sussistenza dei requisiti e quindi più aperta a consentire un’attività di regolarizzazione della documentazione prodotta a comprova degli stessi, andando quindi al di là di quanto fino ad oggi affermato anche dagli orientamenti giurisprudenziali più evolutivi. È tuttavia evidente che questo cambio di prospettiva non è e non potrebbe essere né radicale né totalmente lineare. Proprio la vicenda relativa all’indicazione degli oneri della sicurezza in sede di offerta mostra come sia ancora ben presente una linea interpretativa che per molti aspetti continua a privilegiare il dato formale (54) Tipico esempio è la così detta “battaglia della fotocopia”, incentrata sulla rilevanza o meno, ai fini di decretare l’esclusione di un concorrente, della mancanza della fotocopia di un documento di identità dei rappresentanti dell’impresa. dottrina 45 rispetto a quello sostanziale. Le due pronunce dell’Adunanza plenaria, che penalizzano senza possibilità di appello il concorrente alla gara in relazione ad un mancato adempimento – la cui sussistenza viene peraltro ricavata da un’interpretazione delle norme di natura sistematica – testimoniano la presenza di un orientamento in cui il rispetto delle regole formali appare ancora per molti aspetti premiante rispetto al perseguimento del miglior risultato per l’ente committente. Sotto questo profilo, l’ormai prossimo recepimento delle nuove Direttive comunitarie potrebbe rappresentare l’occasione per rafforzare la tendenza a disegnare un quadro normativo in cui lo svolgimento di una procedura conforme alle regole non sia considerato come un dato a sé stante, ma come un elemento funzionale alla selezione del miglior contraente per l’ente committente. E in questa logica privilegiare un approccio legislativo in cui la necessaria osservanza di un certo grado di forma non si traduca in un inutile e controproducente formalismo. Si tratta di una sfida indubbiamente ambiziosa, da cui però si misura la possibilità che anche nel nostro sistema interno che disciplina il settore dei contratti pubblici si possano conseguire il risultato di avere non solo procedure formalmente corrette ma anche la effettiva realizzazione di opere e prestazioni con standard di qualità adeguati e ai costi preventivati. Maria Grazia Vivarelli I SOGGETTI AFFIDATARI DI CONTRATTI PUBBLICI ED I REQUISITI OGGETTIVI DI PARTECIPAZIONE ALLE GARE PUBBLICHE Sommario: 1. Problemi interpretativi dell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006: l’operatore economico. – 2. I consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della l. 25 giugno 1909, n. 422, e del d.lgs.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, i consorzi tra imprese artigiane di cui alla l. 8 agosto 1985, n. 443 e i consorzi stabili. – 2.1. Consorzi stabili nei lavori pubblici. – 2.2. Consorzi stabili nei servizi e forniture. – 2.3. Consorzi stabili in generale: cumulo dei requisiti o requisiti autonomi. – 3. I raggruppamenti temporanei di concorrenti e i consorzi ordinari di concorrenti di cui all’art. 2602, cod. civ.. – 3.1. I raggruppamenti temporanei di concorrenti. – 3.2. I requisiti di partecipazione alla gara delle ATI/RTI. – 3.3. Modificabilità della composizione del raggruppamento in corso di gara. – 3.4. Raggruppamenti sovrabbondanti. – 4. Il contratto di rete. – 4.1. Caratteristiche essenziali del contratto. – 4.2. Tipologie di contratto. – 4.2.1. La “rete-soggetto”. – 4.2.2. La “rete-contratto”. – 5. Partecipazione delle reti di impresa alle gare pubbliche. – 5.1 Rete dotata di organo comune con potere di rappresentanza, ma priva di soggettività giuridica (rete-contratto). Modalità di partecipazione. – 5.2. Rete dotata di organo comune privo di potere di rappresentanza o reti sprovviste di organo comune. Modalità di partecipazione. Qualificazione. – 5.3. Rete dotata di organo comune e di soggettività giuridica. Modalità di partecipazione. Qualificazione. – 6. La fase esecutiva. – 7. Cenni alla differenza tra rete-contratto e consorzio (senza attività esterna). – 8. Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE). – 8.1. Modalità di partecipazione dei GEIE ad appalti pubblici secondo la normativa nazionale di recepimento del regolamento comunitario. 1. Problemi interpretativi dell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006: l’operatore economico. – I soggetti affidatari di contratti pubblici sono indicati nell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 che stabilisce che “1. Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati: a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società cooperative; b) i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della l. 25 giugno 1909, n. 422, e del d.lgs.C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, e i consorzi tra imprese artigiane di cui 48 rivista trimestrale degli appalti alla l. 8 agosto 1985, n. 443; c) i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’art. 2615 ter, cod. civ., tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui all’art. 36; d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lett. a, b e c, i quali, prima della presentazione dell’offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti; si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37; e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all’art. 2602, cod. civ., costituiti tra i soggetti di cui alle lett. a, b e c del presente comma, anche in forma di società ai sensi dell’art. 2615 ter, cod. civ.; si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37; e bis) le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’art. 3, comma 4 ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009, n. 33; si applicano le disposizioni dell’art. 37; f) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (GEIE) ai sensi del d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240; si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37; f bis) operatori economici, ai sensi dell’art. 3, comma 22, stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi Paesi”. Va in primo luogo osservato che la normativa vigente prevede che possono partecipare agli appalti due tipi di soggetti: soggetti che ai fini della partecipazione utilizzano la qualificazione da essi stessi posseduta – e cioè imprese individuali, società commerciali, cooperative, imprese artigiane, consorzi di cooperative di produzione e lavoro (l. 25 giugno 1999, n. 422 e successive modificazioni), consorzi di imprese artigiane (l. 8 agosto 1985, n. 443 e successive modificazioni) e consorzi stabili – e soggetti che, ai fini della partecipazione, utilizzano le qualificazioni possedute dai loro associati o consorziati – e cioè: associazioni temporanee di imprese, consorzi ordinari costituiti ai sensi dell’art. 2602, cod. civ., le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’art. 3, comma 4 ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009, n. 33 e i Gruppi europei di interesse economico (GEIE) ai sensi del d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240. Sul piano generale si può, quindi, considerare che, da una parte, ci sono tipologie di soggetti imprenditoriali che hanno soggettività giuridica in sé e per sé considerata e, quindi, tali da poter essere essi stessi in possesso dei requisiti di qualificazione, dall’altro esistono moduli organizzativi attraverso i quali più imprese si presentano collegate, coordinate, raggruppate tra loro senza che il raggruppamento assuma una soggettività giuridica propria, aprendosi il pro- dottrina 49 blema circa il possesso dei requisiti di qualificazione e la possibilità o meno della loro eventuale sommatoria. La disposizione del Codice si limita ad individuare un elenco di soggetti affidatari dei contratti pubblici, recependo pressoché letteralmente la previsione già contenuta nell’art. 10, comma 1, della previgente l. 11 febbraio 1994, n. 109 relativa ai soli appalti di lavori. L’art. 3, comma 6, del Codice definisce il soggetto affidatario di contratti pubblici quale “operatore economico”: termine, questo, che include “l’imprenditore, il fornitore e il prestatore di servizi o un raggruppamento o consorzio di essi”(comma 22 del medesimo art.), affiancando dunque alla figura dell’imprenditore anche quelle del fornitore e del prestatore di servizi. Comune denominatore di tutte le figure contemplate dall’art. 34 è, senza dubbio, la nozione di impresa intesa come esercizio professionale di un’attività economica. Bisogna osservare che la nozione di “operatore economico”in ambito europeo è molto ampia e tende ad abbracciare tutta la gamma dei soggetti che potenzialmente possono prender parte ad una pubblica gara: l’art. 1, comma 8, Direttiva 2004/18/CE, 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dopo aver definito gli appalti pubblici come contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici ed una o più amministrazioni aggiudicatrici, designa, con i termini “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi”, una persona fisica o giuridica, o un ente pubblico, o un raggruppamento di tali persone e/o enti che “offra sul mercato”, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi; la stessa disposizione specifica, poi, che il termine “operatore economico” comprende l’imprenditore, il fornitore ed il prestatore di servizi ed è utilizzato allo scopo dichiarato di semplificare il testo normativo. In ambito italiano, la definizione comunitaria di “operatore economico” trova riscontro nell’art. 3 del Codice che prevede, al comma 22, che il termine di “operatore economico” comprende l’imprenditore, il fornitore ed il prestatore di servizi o un raggruppamento o un consorzio tra gli stessi, mentre, al comma 19, specifica che i termini “imprenditore”, “fornitore” e “prestatore di servizi”designano una persona fisica o giuridica o un ente senza personalità giuridica, compreso il gruppo europeo di interesse economico (GEIE), che offra sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi. Quindi, da un primo esame comparativo, le disposizioni dei due ordinamenti giuridici sembrerebbero perfettamente allineate. Tuttavia il legislatore nazionale introduce nel Codice (riproponendo il contenuto dell’art. 10, comma 1, l. n. 109 del 1994) l’art. 34, rubricato “soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici”; in esso è previsto un elenco di soggetti ammessi a partecipare alle gare per l’affidamento di commesse pubbliche. 50 rivista trimestrale degli appalti Un primo problema, che l’articolo pone, è relativo alla natura, tassativa o meno, dell’elenco contenuto; un secondo, ma strettamente connesso al primo, è legato al significato attribuito al termine imprenditore espressamente utilizzato. Se l’imprenditore cui fa riferimento l’art. 34 è solo quello disciplinato dall’art. 2082, cod. civ. (chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi), si comprende che si è di fronte ad una categoria più ristretta rispetto a quella abbracciata dalla normativa comunitaria secondo cui nel concetto di impresa rientra qualsiasi ente che esercita un’attività economica consistente nell’offerta di beni e servizi su un determinato mercato, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento. Del resto, al riguardo, è opportuno rammentare che, nel contesto della procedura di infrazione aperta nei confronti dell’Italia per alcune delle disposizioni contenute nel Codice (poi chiusa in seguito all’adozione del d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152 cosiddetto “terzo correttivo”), la Commissione europea ha evidenziato che le direttive in materia di appalti pubblici non consentono di restringere la possibilità di partecipare alle gare ad alcune categorie di operatori, escludendone altre. Tale rilievo è, poi, sfociato nell’intervento additivo della lett. f bis al capoverso dell’art. 34 del Codice, che permette la partecipazione alle gare degli “operatori economici, ai sensi dell’art. 3, comma 22, stabiliti in altri Stati membri, costituiti conformemente alla legislazione vigente nei rispettivi paesi”. La giurisprudenza è stata chiamata più volte a pronunciarsi sull’evidenziata divergenza tra le citate disposizioni nazionali che, testualmente interpretate, circoscrivono la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici alle sole società commerciali (escludendo società semplici, associazioni, enti pubblici, ecc..) e l’impostazione sostanziale ed oggettiva del diritto comunitario, estranea a queste distinzioni. Sulla questione, sono emerse posizioni non univoche. I dubbi erano diretti non tanto verso gli enti pubblici economici che hanno natura ed a volte anche struttura imprenditoriale, quanto sugli enti pubblici non economici a cui è difficile attribuire il carattere dell’imprenditorialità e la cui partecipazione alle gare è suscettibile di alterare la par condicio, creando una distorsione dei meccanismi concorrenziali, atteso il sistema di contribuzione e vantaggi di cui l’ente pubblico gode. A fianco di un orientamento restrittivo1, ne è emerso un altro che, partendo dalla considerazione per cui un’opzione pregiudizial- (1) TAR Campania, Napoli, Sez. I, 12 giugno 2002, n. 3411, in De Agostini banche dati on-line. dottrina 51 mente ostile alla partecipazione alle gare di soggetti pubblici mal si concilierebbe con il principio che riconosce agli enti pubblici piena autonomia negoziale – la circostanza di essere beneficiari di contribuzioni pubbliche non è di per sé ostativa alla partecipazione a gare pubbliche, sempre che si tratti di contribuzioni conseguite nel rispetto della disciplina comunitaria di riferimento (ne è prova il fatto che le imprese private beneficiarie di aiuti finanziari pubblici possono prender parte a gare pubbliche) – esclude un’incompatibilità in astratto e ritiene che la questione vada affrontata in concreto, verificando caso per caso2 la compatibilità delle finalità istituzionali proprie dell’ente che intende prender parte alla selezione con l’attività oggetto della prestazione dedotta nell’appalto da affidare. A tal proposito, il Consiglio di Stato Sez. VI, 16 giugno 2009, n. 38973 ha stabilito che “Anche i soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni, possono soddisfare i necessari requisiti ed essere qualificati come “imprenditori”, “fornitori” o “prestatori di servizi” ai sensi delle disposizioni vigenti in materia, e dunque essere soggetti legittimati ad accedere ai contratti pubblici, attese la personalità giuridica che le fondazioni vantano e la loro capacità di esercitare anche attività di impresa, qualora funzionali ai loro scopi e sempre che quest’ultima possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico”. L’elencazione dell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006, Codice dei contratti pubblici, non è, infatti, tassativa4 come ha recentemente affermato anche l’ANAC 5 : “Si evidenzia che tale elencazione non è da considerarsi esaustiva e che, ai fini dell’ammissione alla gara, occorre far riferimento alla nozione di operatore economico, così come individuato dalla giurisprudenza europea e nazionale (cfr. determinazione AVCP del 21 ottobre 2010, n. 7)” e tale conclusione trova conforto in altre norme del codice degli appalti che definiscono la figura dell’imprenditore o fornitore o prestatore di servizi nell’ambito degli appalti pubblici (art. 3, commi 19 e 20) e nelle disposizioni comunitarie le quali (art. 1, commi 8, 4 e 44, Direttiva n. 2004/18/CE) indicano che il soggetto abilitato a partecipare alle gare pubbliche è l’”operatore economico” che offre sul mercato lavori, prodotti o servizi, secondo un principio di libertà di forme. La giurisprudenza comunitaria ha affermato che per “impresa”, pur in mancanza di una sua definizione nel Trattato, va inteso qualsiasi soggetto che eserciti attività economica, a prescindere dal suo stato (2) Cons. St., Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4327; Cons. St. Sez. VI 16 giugno 2009 n. 3897, in De Agostini on-line. (3) In De Agostini on-line. (4) TAR Puglia, Bari Sez. I, 03-04-2013, n. 467, in De Agostini on-line. (5) Bando-tipo n. 2 del 2 settembre 2014, in www.anac.it. 52 rivista trimestrale degli appalti giuridico e dalle sue modalità di finanziamento; che costituisce attività economica qualsiasi attività che consiste nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato; che l’assenza di fine di lucro non esclude che un soggetto giuridico che esercita un’attività economica possa essere considerato impresa. Pertanto, la definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, ma da elementi puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, nell’ambito quindi di un’attività di impresa anche quando non sia l’attività principale dell’organizzazione. Inoltre, non è rilevante il fatto che una fondazione goda di un regime fiscale di favore perché il regime fiscale di favore assiste anche altri soggetti, quali le cooperative, senza che si possa sostenere che queste siano escluse dagli appalti pubblici (anzi sono espressamente contemplate nell’art. 34, Codice), ovvero le Onlus che secondo la recente giurisprudenza amministrativa possono essere ammesse alle gare pubbliche quali “imprese sociali”, cui il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155 ha riconosciuto la legittimazione ad esercitare in via stabile e principale un’attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d’interesse generale, anche se non lucrativa. L’Autorità per vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (oggi ANAC) ha avuto occasione di pronunciarsi sull’argomento con la deliberazione n. 119 del 18 aprile 20076; in essa, esaminando i soggetti che ai sensi dell’art. 34 del Codice possono partecipare ad una gara pubblica, notava che il comune denominatore degli stessi era rappresentato dall’esercizio professionale di un’attività economica. Ciò aveva indotto l’Autorità a concludere nel senso che le Università, non possedendo tale requisito, non potessero essere ammesse alle procedure per l’affidamento di contratti pubblici, a meno che le stesse non costituissero apposite società, sulla base dell’autonomia loro riconosciuta dalla l. 9 maggio 1989, n. 168. Anche per gli istituti di ricerca l’Autorità riteneva necessario procedere ad una verifica caso per caso degli statuti dei singoli enti al fine di valutare gli scopi istituzionali che gli stessi erano chiamati a perseguire. Più recentemente, l’Autorità, alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria, è tornata sulla questione, affrontando, in linea generale, con il parere n. 127 del 23 aprile 20087, il problema della possibilità di partecipazione alle gare d’appalto di soggetti giuridici diversi da quelli indicati nell’elenco dell’art. 34 del Codice, quali, nel caso di specie, fondazioni, istituti di formazione o di ricer- (6) www.anac.it. (7) www.anac.it. dottrina 53 ca. In detto parere, è stata ricordata la nozione di impresa del diritto comunitario (cfr. da ultimo, in tal senso, Corte di giustizia CE, 26 marzo 2009, causa C-113/07 P, Selex Sistemi Integrati/ Commissione e Eurocontrol). Si tratta, quindi, di una nozione dai confini ampi, che prescindono da una particolare formula organizzativa e dalla necessità di perseguire finalità di lucro (cfr. sul punto le conclusioni dell’Avvocato generale Jacobs presentate il 1° dicembre 2005 nella causa C-5/05, decisa con sentenza della Corte di giustizia CE, 23 novembre 2006, Joustra, nonché la sentenza della Corte di giustizia CE, 29 novembre 2007, causa C-119/06, Commissione/Italia). Per quanto concerne gli enti pubblici non economici, quali gli enti di ricerca CNR, FORMEZ, CENSIS e IFOA, l’Autorità ha esaminato il rischio di alterazione della par condicio tra i partecipanti ed il possibile effetto distorsivo della concorrenza, atteso il particolare regime di agevolazioni finanziarie di cui godono i predetti enti e la conseguente posizione di vantaggio rispetto ad altri soggetti che forniscono i medesimi servizi nell’esercizio dell’attività di impresa, dovendo sopportare integralmente i relativi costi. In proposito, va sottolineato che la Corte di giustizia CE ha già avuto modo di precisare che gli enti pubblici che beneficiano di sovvenzioni erogate dallo Stato, che consentono loro di presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli degli altri offerenti non sovvenzionati, sono espressamente autorizzati dalla Direttiva a partecipare a procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici (sentenza 7 dicembre 2000, causa C-94/99, ARGE). Alla luce delle considerazioni esposte, l’Autorità, nel citato parere n. 127 del 2008, ha concluso che gli enti pubblici non economici possono partecipare a quelle gare che abbiano ad oggetto prestazioni corrispondenti ai loro fini istituzionali, con la conseguente necessità di operare una verifica in concreto dello statuto al fine di valutare la conformità delle prestazioni oggetto dell’appalto agli scopi istituzionali dell’ente, optando per un’interpretazione che non riconosce carattere tassativo all’art. 34 del Codice. In tale contesto è intervenuta la Corte di giustizia che il 23 dicembre 2009 si è pronunciata sulla causa C-305/08 relativa alla questione rimessale in via pregiudiziale dal Consiglio di Stato, con il parere n. 167 del 2008. Nell’ordinanza di rimessione, il Consiglio di Stato, oltre a riportare le menzionate posizioni della giurisprudenza e dell’Autorità, evidenziava il rischio per la concorrenza nel mercato dei contratti pubblici derivante dalla partecipazione delle Università che godono di una posizione “di privilegio che gli garantirebbe una sicurezza economica attraverso finanziamenti pubblici costanti e prevedibili di cui gli altri operatori economici non possono beneficiare”. La Corte, pur riconoscendo che, in talune circostanze particolari, l’am- 54 rivista trimestrale degli appalti ministrazione aggiudicatrice ha l’obbligo, o quanto meno la facoltà, di prendere in considerazione l’esistenza di aiuti non compatibili con il Trattato, al fine eventualmente di escludere gli offerenti che ne beneficiano, ha affermato che “le disposizioni della Direttiva 2004/18, ed in particolare quelle di cui al suo art. 1, n. 2, lett. a, e n. 8, commi 1 e 2, che si riferiscono alla nozione di “operatore economico”, devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi”. Infatti, ribadendo quanto affermato in alcuni precedenti, la Corte ricorda che è ammesso a presentare un’offerta o a candidarsi qualsiasi soggetto o ente che, considerati i requisiti indicati in un bando di gara, si reputi idoneo a garantire l’esecuzione di detto appalto, in modo diretto oppure facendo ricorso al subappalto, indipendentemente dal fatto di essere un soggetto di diritto privato o di diritto pubblico e di essere attivo sul mercato in modo sistematico oppure soltanto occasionale, o, ancora, dal fatto di essere sovvenzionato tramite fondi pubblici o meno. L’effettiva capacità di detto ente di soddisfare i requisiti posti dal bando di gara deve essere valutata durante una fase ulteriore della procedura, in applicazione dei criteri previsti agli artt. 44-52, Direttiva 2004/18 (cfr. sentenze 18 dicembre 2007, causa C-357/06, Frigerio Luigi & Co.; 12 luglio 2001, causa C-399/98, Ordine degli architetti; 7 dicembre 2000, causa C-94/99). La Corte, poi, richiamando l’art. 4, n. 1, Direttiva 2004/18/CE, precisa che gli Stati membri possono decidere liberamente se autorizzare o meno determinati soggetti, quali le università e gli istituti di ricerca, non aventi finalità di lucro, ma volti principalmente alla didattica e alla ricerca, ad operare sul mercato in funzione della compatibilità di tali attività con i fini istituzionali e statutari che sono chiamati a perseguire. Una volta concessa, però, l’autorizzazione, poi, non si può escludere gli enti in commento dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici. Pertanto, alla luce dell’attuale disciplina legislativa, il giudice comunitario conclude che “la Direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che essa osta all’interpretazione di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale che vieti a soggetti che, come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente scopo di lucro di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell’appalto considerato”. dottrina 55 In armonia con quanto stabilito dalla Corte, anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato che “Alle procedure di gara possono partecipare anche gli enti senza fine di lucro poiché l’art. 34, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 va interpretato in chiave comunitariamente compatibile, e secondo il diritto comunitario il fine di lucro non è essenziale per la definizione di un soggetto come operatore economico, in quanto l’assenza di fini di lucro non esclude che l’ente eserciti un’attività economica e costituisca impresa ai sensi delle disposizioni del trattato relative alla concorrenza”8. L’Autorità per vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (oggi ANAC) con determinazione n. 7 del 21 ottobre 20109 “Questioni interpretative concernenti la disciplina dell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 relativa ai soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici”, alla luce delle predette considerazioni, ha stabilito che “alla stregua dell’orientamento espresso dalla Corte di giustizia con la sentenza in esame, non sembra potersi affermare, in via generale, l’esistenza di un divieto per gli operatori pubblici a partecipare alle procedure ad evidenza pubblica. In sostanza, la definizione comunitaria di impresa non discende da presupposti soggettivi, quali la pubblicità dell’ente o l’assenza di lucro, ma da elementi puramente oggettivi quali l’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti, nell’ambito, quindi, di un’attività di impresa che può non essere l’attività principale dell’organizzazione. Al contrario, la possibilità per le Università di operare sul mercato sarebbe espressamente prevista dall’art. 7, comma 1, lett. c, l. n. 168 del 1989, che include, tra le entrate degli atenei, anche i corrispettivi di contratti e convenzioni, nonché dall’art. 66, d.P.R. n. 382 del 1980, rubricato “Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica” che prevede che le Università possano eseguire attività di ricerca e consulenza, stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati, con l’unico limite della compatibilità delle suddette attività con lo svolgimento della funzione scientifica e didattica che per gli Atenei rimane prioritaria. Resta ferma la necessità di effettuare, caso per caso, un esame approfondito dello statuto di tali persone giuridiche al fine di valutare gli scopi istituzionali per cui sono state costituite. In sostanza, la stazione appaltante deve verificare se gli enti partecipanti alla gara possano statutariamente svolgere attività di impresa offrendo la fornitura di beni o la prestazione di servizi sul mercato, pur senza rivestire la forma societaria (cfr. Cons. St., Sez. VI, 16 giugno 2009, n. 3897). (8) Cons. St. Sez. V, 24 novembre 2009, n. 7347 in De Agostini banche dati on-line. (9) In www.anac.it. 56 rivista trimestrale degli appalti In altri termini, anche se non ricompresi nell’elenco di cui all’art. 34 del Codice, qualora i soggetti giuridici in questione annoverino, tra le attività statutariamente ammesse, quella di svolgere compiti aventi rilevanza economica possono, limitatamente al settore di pertinenza, – e se in possesso dei requisiti richiesti dal singolo bando di gara – partecipare a procedure di evidenza pubblica per l’affidamento di contratti aventi ad oggetto servizi compatibili con le rispettive attività istituzionali. È opportuno evidenziare, però, che la Corte pone a fondamento della sentenza anche la considerazione che l’esclusione delle Università potrebbe portare a considerare “non contratti”gli accordi che comunque verrebbero conclusi tra tali soggetti e le stazioni appaltanti, eludendo l’applicazione delle Direttive 17/2004/CE e 18/2004/CE. Appare chiaro, allora, quanto la pronuncia della Corte abbia spostato il baricentro della questione, fugando ogni dubbio sull’impossibilità per le stazioni appaltanti di escludere a priori, dalla partecipazione alle gare, gli enti pubblici non economici, e le Università in particolare, solo perché difettano del requisito dello scopo di lucro o di un’organizzazione stabile d’impresa, ma nel contempo escludendo che i contratti conclusi tra amministrazioni aggiudicatrici e organismi che non agiscono in base ad un preminente scopo di lucro possano non essere considerati “appalti pubblici”e, pertanto, venir aggiudicati senza il rispetto della normativa comunitaria e nazionale dettata in materia”. Sul solco delle valutazioni espresse dall’AVCP (oggi ANAC), si è orientata anche la giurisprudenza di merito. A tal proposito il TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 8 marzo 2011, n. 34710 ha stabilito che “Anche soggetti economici senza scopo di lucro, quali le fondazioni, possono soddisfare i requisiti per essere ammessi alle gare pubbliche ed essere qualificati come “imprenditori”, “fornitori” o “prestatori di servizi” ai sensi delle disposizioni statali e comunitarie vigenti in materia. Ciò in considerazione della personalità giuridica delle fondazioni e della capacità di esercitare anche attività di impresa, nei limiti in cui ciò sia funzionali ai loro scopi e sempre che quest’ultima possibilità trovi riscontro nella disciplina statutaria del singolo soggetto giuridico. L’elencazione contenuta nell’art. 34, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, pertanto, non deve considerarsi tassativa”. Il TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 22 aprile 2014, n. 41511 , con riguardo alla possibilità di partecipazione a pubbliche gare di società collegate o controllate o partecipate da enti pubblici, ha affermato che “Non può impedirsi ai titolari di affidamenti diretti di partecipare alle gare per l’aggiudicazione di servizi pubblici. È (10) In De Agostini banche dati on-line. (11) In De Agostini banche dati on-line. dottrina 57 vero che grazie allo speciale rapporto con l’ente pubblico sussiste un vantaggio comparativo (il fatto stesso che un servizio sia affidato senza gara garantisce un flusso di utili non eroso dalla necessità di offrire, per prevalere sui concorrenti, una massa di controprestazioni ai limiti della sostenibilità economica). Tuttavia, anche ipotizzando che questo vantaggio rappresenti una forma di sovvenzione pubblica, i beneficiari non potrebbero essere colpiti dalla sanzione dell’esclusione. In effetti, poiché alle gare sono ammessi a partecipare gli stessi enti pubblici, in qualità di operatori economici, non sarebbe ragionevole allontanare i soggetti che dagli enti pubblici ricevono sovvenzioni”. Vista la non tassatività dell’elencazione contenuta nell’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006, si è posto il problema della possibilità per le società semplici di poter partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Com’è noto la società semplice costituisce la forma più elementare di società. La caratteristica fondamentale della società semplice è data dal fatto che essa può avere per oggetto esclusivamente l’esercizio di attività economiche lucrative non commerciali (art. 2249, cod. civ.). La sfera di applicazione delle società semplici può estendersi, pertanto, all’esercizio di: - attività agricole, con alcune limitazioni in quanto: la società non può avere ad oggetto il mero godimento di beni, ma l’esercizio comune e concreto di attività economica; le comunioni tacite familiari, come i gruppi familiari esercenti l’agricoltura su fondi propri o altrui, sono regolate dagli usi e non dal contratto di società; – attività di gestione di immobili: l’art. 29, l. 27 dicembre 1997 n. 449 ha previsto la trasformazione in società semplici di società commerciali aventi ad oggetto in via esclusiva la gestione di beni immobili non strumentali all’esercizio dell’impresa, di beni mobili registrati, o di quote di partecipazione in società. È emerso, nella giurisprudenza amministrativa12, un orientamento secondo cui “L’art. 34, lett. a, d.lgs. n. 163 del 2006, laddove non consente alle società semplici la partecipazione alle gare di appalti pubblici, non contrasta con il diritto comunitario dei pubblici appalti che, pur affermando il principio di libertà di forma del concorrente, tuttavia, non impedisce agli Stati membri di regolare la capacità giuridica dei soggetti diversi dalle persone fisiche, e di vietare a determinate categorie di persone giuridiche di offrire lavori, beni o servizi sul mercato. È pertanto legittimo il provvedimento di esclusione adottato nei confronti di un’impresa concorrente che rivesta la forma giuridica di società semplice, adottato ai sensi dell’art. 10, l. n. 109 del 1994, nonché dell’art. 34, (12) Cons. St., Sez. VI, 8 giugno 2010, n. 3638, in De Agostini banche dati on-line. 58 rivista trimestrale degli appalti lett. a, d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti), ciò in quanto le predette disposizioni normative non contrastano con i principi comunitari di libera concorrenza e massima partecipazione, i quali consentono comunque, ai Paesi membri dell’Unione, di valutare l’opportunità di affidare la realizzazione di lavori e servizi a determinate categorie di imprese; d’altro canto, la disposizione di cui all’art. 2249, cod. civ., che esclude la possibilità, per le società semplici, di svolgere un’attività commerciale, appare ragionevole e non discriminatoria, in virtù del peculiare regime di responsabilità della società semplice verso i terzi, rispetto a quello che connota, viceversa, le altre categorie sociali. Peraltro la regola contenuta nel codice civile è coerente con l’art. 4, § 1, Direttiva n. 2004/18/ CE che lascia agli Stati membri la possibilità di riconoscere o meno a determinati soggetti la relativa capacità giuridica”. Pertanto, pareva escludersi alle società semplici l’ammissione alla partecipazione alle gare pubbliche. Tuttavia, il Cons. St., Sez. VI, 17 luglio 2013, n. 389113 ha stabilito che “Il diritto dell’Unione Europea, e segnatamente l’art. 6, Direttiva n. 37 del 1993, osta ad una normativa nazionale che vieta a una società (quale una società semplice) qualificabile come imprenditore ai sensi della citata Direttiva, di partecipare alle gare d’appalto esclusivamente a causa della sua forma giuridica” 2. I consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della l. 25 giugno 1909, n. 422, e del d.lgs. C.p.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni, i consorzi tra imprese artigiane di cui alla l. 8 agosto 1985, n. 443 e i consorzi stabili. – L’art. 2602, cod. civ. contiene la nozione giuridica del consorzio che è definito come il contratto di con cui più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Stabilisce la norma che “Il contratto di cui al precedente comma è regolato dalle norme seguenti, salve le diverse disposizioni delle leggi speciali”. I consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e quelli tra imprese artigiane sono disciplinati da leggi speciali cui occorre fare specifico riferimento in funzione derogatoria alla disciplina generale prevista codice civile. In particolare, i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro sono disciplinati dalla l. n. 422 del 1909 che all’art. 1 stabilisce che “1. Le Società cooperative di produzione e lavoro legalmente costituite possono riunirsi in consorzio per assumere in tutte le parti del Regno appalti di opere pubbliche dello Stato e degli enti (13) In De Agostini banche dati on-line; dottrina 59 morali”. L’art. 2 prevede che ai fini del riconoscimento dell’esistenza del consorzio le società cooperative di produzione e lavoro debbono farne domanda al Ministero di agricoltura, industria e commercio, presentando, oltre la proposta di statuto di consorzio i loro statuti approvati e pubblicati nei modi di legge. Nella proposta di statuto debbono essere determinati l’oggetto e la durata del consorzio, la sua sede, il suo patrimonio, i contributi delle singole società, i modi di versamento, la rappresentanza e gli organi d’amministrazione del consorzio, le norme relative alla responsabilità, delle singole società, e degli amministratori fra loro e verso i terzi. È esplicitamente previsto che il consorzio di cooperative costituisce persona giuridica e soggiace alle norme del codice di commercio per le sue operazioni commerciali e per tutti gli effetti che ne derivano (art. 4). Infatti, è stato affermato dalla giurisprudenza amministrativa che “Il consorzio fra società di cooperative di produzione e di lavoro, è dotato di soggettività giuridica autonoma e stabile, diversamente da quanto accade per le riunioni temporanee di imprese. Invero, il rapporto che lega le cooperative consorziate alla struttura consortile è un rapporto di carattere organico, con la conseguenza che il consorzio è l’unico soggetto interlocutore dell’amministrazione appaltante: il consorzio, dunque, partecipa alla procedura non come mandatario ma ex se, come portatore di un interesse proprio, anche se finalisticamente collegato allo scopo mutualistico delle consorziate, destinato ad assumere la veste di parte del contratto, con relativa assunzione in proprio di tutti gli obblighi, gli oneri e le responsabilità. Non è allora revocabile in dubbio che il consorzio possa partecipare alla procedura utilizzando i requisiti suoi propri e, nel novero di questi, facendo valere i mezzi nella disponibilità delle cooperative che costituiscono articolazioni organiche del soggetto collettivo, ossia suoi interna corporis. Il rapporto organico che lega le cooperative consorziate, ivi compresa quella incaricata dell’esecuzione dei lavori, in sostanza non dissimile mutatis mutandis da quello che avvince i singoli soci ad una società, è tale che le attività compiute dalle consorziate è imputata organicamente al consorzio, come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di interessi. Conseguentemente, la responsabilità per inadempimento degli obblighi contrattuali nei confronti della pubblica amministrazione. si appunta esclusivamente in capo al consorzio senza estendersi, in via solidale, alla cooperativa incaricata dell’esecuzione”14. Ovviamente, in ipotesi in cui il consorzio affidi l’esecuzione dell’appalto a singole consorziate, troverà applicazione l’art. 36 (14) Cons. giust. amm. Sic., 2 gennaio 2012, n. 12, in De Agostini banche dati on-line. 60 rivista trimestrale degli appalti comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006 secondo cui “Il regolamento stabilisce le condizioni e i limiti alla facoltà del consorzio di eseguire le prestazioni anche tramite affidamento ai consorziati, fatta salva la responsabilità solidale degli stessi nei confronti del soggetto appaltante o concedente”. I consorzi tra imprese artigiane sono disciplinati dalla l. 8 agosto 1985, n. 443. È imprenditore artigiano, ai sensi dell’art. 1, colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. L’art. 6 “Consorzi, società consortili e associazioni tra imprese artigiane” stabilisce che i consorzi e le società consortili, anche in forma di cooperativa, costituiti tra imprese artigiane sono iscritti in separata sezione dell’albo delle Imprese Artigiane. È poi stabilito che l’iscrizione all’albo è costitutiva. I consorzi cooperativi ed i consorzi artigiani fanno parte dei soggetti singoli con idoneità e personalità giuridica individuale. Il vigente ordinamento prevede la possibilità di partecipare alle gare di appalto di un altro tipo di consorzio: i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’art. 2615 ter cod. civ., tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro. L’ art. 2615 ter“Società consortili” stabilisce che “Le società previste nei capi III e seguenti del titolo V possono assumere come oggetto sociale gli scopi indicati nell’art. 2602, cod. civ.”. Questi consorzi sono soggetti singoli o con idoneità individuale definiti dalla legge consorzio stabile (art. 34 comma 1, lett. c)). Il consorzio stabile è una figura nuova introdotta dalla l. n. 109 del 1994 e poi recepita dall’art. 34, d.lgs. n. 163 del 2006 che prevede, infatti, la possibilità di costituire tra imprese individuali, anche artigiane, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro consorzi che definisce stabili. Va osservato, poi, che l’elenco tassativo dei soggetti che possono costituire i consorzi stabili comporta che non possono far parte di questi né i consorzi di cooperative, né i consorzi di imprese artigiane e né altri consorzi stabili. Tutti e tre questi tipi di consorzi possono, invece, partecipare ad associazioni temporanee d’imprese ed ai consorzi occasionali. Con queste disposizioni normative, è stata, quindi, accresciuta la possibilità di concentrazione delle imprese che possono creare aggregazioni comuni durature con soggettività giuridica propria, con funzione di cooperazione ed assistenza reciproca nell’affidamento e nell’esecuzione di contratti pubblici, operando come un’unica impresa. dottrina 61 Al fine di esaminare la natura e le caratteristiche di questa nuova figura va ricordato che con il contratto di consorzio, ai sensi del codice civile, più imprenditori, esercenti la medesima attività o attività economiche connesse, costituiscono un’organizzazione comune per il coordinamento della produzione e degli scambi. L’organizzazione comune può avere rilevanza esclusivamente all’interno del consorzio; può risultare anche dotata di un ufficio destinato ad operare all’esterno dell’organizzazione, dando vita alla categoria del cosiddetto consorzio con attività esterna, dotato di un proprio fondo consortile, che costituisce patrimonio autonomo destinato alla realizzazione dello scopo istituzionale del consorzio medesimo. Ed è al modulo organizzativo proprio del consorzio con attività esterna (art. 2612, cod. civ.) che si è riferito il legislatore nel configurare la categoria dei consorzi stabili. Ai consorzi stabili si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al capo II del titolo X del libro quinto del codice civile, nonché l’art. 118 secondo il dettato del comma 4 dell’art. 36, d.lgs. n. 163 del 2006. Un primo punto fermo, dunque, è che le imprese intenzionate a costituire un consorzio stabile debbono attenersi alle previsioni degli artt. 2612, cod. civ. e 36, d.lgs. n. 163 del 2006, senza poter spaziare tra altre figure associative pure contemplate dall’ordinamento. Non potrebbero, ad esempio, costituire una società lucrativa né una cooperativa né un consorzio privo di uno o più degli elementi necessari ad essere definito stabile ai sensi della normativa sui contratti pubblici. L’unica variante consentita ai promotori di un consorzio stabile è quella di dare ad esso un assetto societario, a norma dell’art. 2615 ter, cod. civ.; è infatti ammesso che lo scopo consortile (art. 2602, cod. civ.) possa essere assunto come oggetto sociale dalle società lucrative di cui ai capi III e seguenti del titolo V dello stesso codice: in nome collettivo, in accomandita semplice, per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata. Con riferimento a tale ultima disposizione va, poi, osservato che in linea generale , se non può escludersi che l’inserimento della causa consortile in una certa struttura societaria possa comportare una implicita deroga ad alcune disposizioni altrimenti applicabili a quel particolare tipo di società, allorquando l’applicazione di quelle disposizioni si rivelasse incompatibile con aspetti essenziali del fenomeno consortile , non si può certo ammettere che vengano stravolti i connotati fondamentali del tipo societario prescelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale. E tra questi connotati fondamentali , per quel che riguarda la società a responsabilità limitata , è compresa incontestabilmente la regola (art. 2472, cod. civ.) per la quale è unicamente la società a rispondere col proprio patrimonio delle obbligazioni sociali. È questa, dunque, la disposizione che si applica ai consorzi 62 rivista trimestrale degli appalti costituiti in forma di società a responsabilità limitata e non la diversa disciplina dettata per i consorzi in genere15. Tale principio, non vi è dubbio debba valere anche nel caso dei consorzi stabili di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 qualora siano costituiti in forma di società consortile a responsabilità limitata. I consorzi stabili devono, pertanto, dotarsi di un’autonoma struttura d’impresa attraverso cui essere in grado d’eseguire direttamente i lavori, servizi e forniture affidati senza necessariamente doversi avvalere delle strutture aziendali delle imprese associate. La comune e stabile struttura d’impresa costituisce, pertanto, elemento indispensabile per l’esistenza del consorzio stabile; essa identifica l’azienda consortile attraverso la quale il consorzio, in quanto impresa di imprese, può eseguire direttamente le attività oggetto di appalto. E spetterà ai consorziati scegliere se, al fine di dotare il consorzio delle risorse necessarie al suo funzionamento, convenga loro procurarsi all’esterno forza lavoro, attrezzature e know how, oppure conferire allo stesso in tutto o in parte ciò di cui già dispongono le imprese di essi consorziati. La scelta sarà dettata dalla dimensione imprenditoriale che i consorziati intendono attribuire al consorzio ma, affinché questo risponda alle caratteristiche prescritte dalla legge, dovrà essere dotato della necessaria strumentazione. Tutti i consorzi (di cooperative di produzione e lavoro, di imprese artigiane e stabili), in quanto dotati di personalità giuridica, soggiacciono alle regole, rispettivamente previste dagli artt. 35 e 36, d.lgs. n. 163 del 2006 per i servizi e forniture e per i lavori pubblici, relativamente alla dimostrazione dei requisiti di carattere oggettivo necessari per la partecipazione alla gara pubblica. Occorre tuttavia distinguere i consorzi stabili nel settore dei lavori pubblici da quello dei servizi e forniture. 2.1. Consorzi stabili nei lavori pubblici. – Nell’ambito dei lavori pubblici l’art. 36, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che: a) il consorzio deve essere formato da almeno tre consorziati che abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei lavori, servizi e forniture pubblici per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa; b) il consorzio si qualifica (SOA), sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate. Per i lavori, la qualificazione è acquisita con riferimento ad una determinata categoria di opere generali o specialistiche per la classifica corrispondente alla somma di quelle possedute dalle imprese consorziate. Per la qualificazione alla classifica di importo illimitato, è in ogni caso (15) Cfr. Cass., 7 novembre 2003, n. 18113, in De Agostini banche dati on-line; dottrina 63 necessario che almeno una tra le imprese consorziate già possieda tale qualificazione ovvero che tra le imprese consorziate ve ne siano almeno una con qualificazione per classifica VII e almeno due con classifica V o superiore, ovvero che tra le imprese consorziate ve ne siano almeno tre con qualificazione per classifica VI. Per la qualificazione per prestazioni di progettazione e costruzione, nonché per la fruizione dei meccanismi premiali di cui all’art. 40, comma 7, è in ogni caso sufficiente che i corrispondenti requisiti siano posseduti da almeno una delle imprese consorziate. Qualora la somma delle classifiche delle imprese consorziate non coincida con una delle classifiche di cui al regolamento, la qualificazione è acquisita nella classifica immediatamente inferiore o in quella immediatamente superiore alla somma delle classifiche possedute dalle imprese consorziate, a seconda che tale somma si collochi rispettivamente al di sotto, ovvero al di sopra o alla pari della metà dell’intervallo tra le due classifiche. c) ai fini della partecipazione del consorzio stabile alle gare per l’affidamento di lavori, la somma delle cifre d’affari in lavori realizzate da ciascuna impresa consorziata, nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, è incrementata di una percentuale della somma stessa. Tale percentuale è pari al 20 per cento nel primo anno; al 15 per cento nel secondo anno; al 10 per cento nel terzo anno fino al compimento del quinquennio. 2.2. Consorzi stabili nei servizi e forniture. – Nell’ambito dei servizi e delle forniture l’art. 35, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che “1. I requisiti di idoneità tecnica e finanziaria per l’ammissione alle procedure di affidamento dei soggetti di cui all’art. 34, comma 1, lett. b e c, devono essere posseduti e comprovati dagli stessi, secondo quanto previsto dal regolamento, salvo che per quelli relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”. La norma – di non chiara formulazione – è stata costantemente interpretata nel senso che “prevede che per i consorzi di cooperative i requisiti di idoneità finanziaria devono essere posseduti in proprio dal consorzio e vanno dunque verificati solo in capo ad esso, senza necessità che il loro possesso sia dimostrato anche dalle imprese consorziate per le quali il consorzio concorre (ciò a differenza di quanto avviene per i requisiti di idoneità morale)”16. (16) TAR Toscana, Firenze, Sez. I, 4 dicembre 2012, n. 1923, in De Agostini banche dati on-line. 64 rivista trimestrale degli appalti 2.3. Consorzi stabili in generale: cumulo dei requisiti o requisiti autonomi. – A prescindere dai sistemi di calcolo finalizzati al cumulo dei requisiti previsti dal codice degli appalti e dal regolamento ai fini dell’ammissione alle pubbliche gare dei consorzi stabili (e tra questi dei consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e dei consorzi tra imprese artigiane), variabili a seconda che l’appalto sia di lavori o di servizi e forniture, è possibile affermare, senza tema di smentita, che è senz’altro sufficiente – ai fini dell’ammissione alla gara – che il consorzio possegga tutti i requisiti oggettivi richiesti dal bando senza alcuna necessità di verificarne il rispetto da parte dei consorziati. Nell’ipotesi in cui, tuttavia, il consorzio non sia da solo in grado di dimostrare detti requisiti potrà cumularli con quelli posseduti dalle consorziate, nei limiti consentiti dal la legge e dal regolamento. La lettura della cumulabilità non necessaria, ma comunque possibile, dei requisiti delle consorziate è stata fornita recentemente dal Cons. St., Sez. III, 19 novembre 2014, n. 568917 secondo cui “In riferimento alle gare d’appalto, il modulo del consorzio stabile, posto dagli artt. 34 e 36, d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice degli appalti), dà vita ad un’impresa che fa leva sulla causa mutualistica e che realizza, in sostanza, una particolare forma di avvalimento basato direttamente sul patto consortile e sulla causa mutualistica. Tutto ciò consente al consorzio di giovarsi di qualsiasi contributo, maxime dei requisiti dei consorziati, senza dover ricorrere all’avvalimento di cui al successivo art. 49, ferma sempre la possibilità alternativa per il consorzio di qualificarsi con requisiti posseduti in proprio ed in via diretta”. L’unitarietà della figura consortile è stata sottolineata dalla giurisprudenza amministrativa che ha affermato che “È legittimo il provvedimento di aggiudicazione adottato da una stazione appaltante nei confronti di un consorzio che, in sede di partecipazione, abbia indicato, quali sue ausiliarie ai fini dell’esecuzione dei lavori, imprese in possesso di requisiti non corrispondenti ai propri, ciò in quanto, ai sensi dell’art. 12, l. n. 109 del 1994, nonché dell’art. 36, d.lgs. n. 163 del 2006, il consorzio e le singole imprese consorziate, pur conservando una autonoma soggettività giuridica, sono legate tra loro da un rapporto di tipo organico, in virtù del quale parte contraente resta il consorzio, il solo competente nell’esecuzione dell’appalto, il quale stipula in nome proprio, ma per conto delle stesse singole imprese; pertanto, è ai requisiti di idoneità tecnicofinanziaria da esso posseduti che occorre fare riferimento in sede di valutazione dei presupposti necessari ai fini della partecipazione (17) In De Agostini banche dati on-line. dottrina 65 alla gara”18. Analogamente il Cons. St., Sez. V, 13 marzo 2014, n. 119119 “I consorzi stabili hanno una propria qualificazione, diversa ed autonoma dalle imprese consorziate, che consente ai medesimi di partecipare alle gare pubbliche con la conseguenza che essi assumono su di sé, e con le qualificazioni possedute, l’onere della esecuzione delle prestazioni contrattuali (a nulla rilevando anche che abbiano designato una consorziata non in possesso delle qualificazioni necessarie, essendo la prestazione in toto ricadente sul medesimo consorzio stabile, che potrà provvedervi o direttamente o per il tramite di un’altra impresa consorziata)”. In ipotesi in cui il consorzio non possegga di per sé stesso i requisiti richiesti è invece possibile per il medesimo procedere al cumulo. Infatti, il Cons. St., Sez. III, 19 novembre 2014, n. 568920 ha affermato che “In riferimento alle gare d’appalto, l’ art. 35, d.lgs. n. 163 del 2006 va interpretato nel senso che esso sancisce l’applicazione, in ogni caso ed in tutti i periodi di vita del consorzio stabile, del criterio del cumulo alla rinfusa per i requisiti colà specificamente menzionati, che non contraddice e così ribadisce, in un’ottica d’interpretazione sistematica, la regola ex art. 36, comma 7, I per., del medesimo Codice (“il consorzio stabile si qualifica sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate”), affermativa del principio del cumulo dei requisiti”. È stato poi escluso, per i consorzi stabili, l’obbligo di indicare le quote di partecipazione delle consorziate affermandosi che “L’obbligo legale di indicare le quote di partecipazione nei lavori da assumere, strumentale all’accertamento della sussistenza dei requisiti di qualificazione in capo alle componenti di un’ATI, non può ritenersi ravvisabile nei riguardi del consorzio (tra imprese artigiane o cooperative); infatti, è tale soggetto e non le singole imprese consorziate ad avere, quale soggetto giuridico autonomo, la qualificazione necessaria per la partecipazione alla procedura”21. Per quanto riguarda i servizi e le forniture, l’art. 277, d.P.R. 207 del 2010 “Consorzi stabili per servizi e forniture” stabilisce che “3. Per la partecipazione del consorzio alle gare, i requisiti economicofinanziari e tecnico-organizzativi posseduti dai singoli consorziati relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo sono sommati; i restanti requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi sono sommati con riferimento ai soli consorziati esecutori”. La regola, pertanto, in (18) Cons. St., Sez. V, 15 ottobre 2010, n. 7524, in De Agostini banche dati on-line. (19) In De Agostini banche dati on-line. (20) In De Agostini banche dati on-line. (21) Cons. St., Sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 416, in De Agostini banche dati on-line. 66 rivista trimestrale degli appalti ipotesi in cui il consorzio non possegga di per sé i requisiti richiesti, è quella della sommatoria dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi posseduti dai singoli consorziati relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo. Con riguardo ai restanti requisiti economicofinanziari e tecnico-organizzativi, essi sono sommati con riferimento ai soli consorziati esecutori. Ne deriva che solo gli esecutori possono prestare i requisiti al consorzio. In tal senso, è stato sottolineato che “Un consorzio (di secondo grado) di cooperative, cui si applica l’art. 27, d.lgs. C.p.S., 14 dicembre 1947, n. 1577, è ammesso a partecipare alle gare di appalto per l’affidamento di pubblici servizi, ai sensi dell’art. 34, lett. b, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163… Ne consegue che l’aggiudicatario non poteva comprovare il possesso del requisito in questione facendo riferimento a quello posseduto dalle consorziate designate per l’esecuzione del servizio, ma avrebbe dovuto possederlo e comprovarlo in proprio, con l’unica eccezione dei requisiti “relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera e all’organico medio annuo, i quali solo sono computati cumulativamente in capo al Consorzio ancorché posseduti dalle singole consorziate22” . Il TAR Lazio, Roma ha sintetizzato le regole sopra evidenziate con una sentenza che mette chiaramente in luce le differenze di qualificazione in gara del consorzio distinguendo tra servizi e forniture e lavori pubblici “L’art. 35, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce, ai fini dell’ammissione dei consorzi stabili alle procedure di affidamento, che i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria debbono essere posseduti e comprovati dagli stessi, secondo quanto previsto dal regolamento, salvo che per i requisiti attinenti alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate. Il successivo art. 36, al comma 7, prevede quindi che i consorzi stabili si qualificano sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate, che vengono acquisite con riferimento ad una determinata categoria di opere generali o specialistiche per la classifica corrispondente alla somma di quelle possedute dalle imprese consorziate. La seconda delle disposizioni menzionate non fa che riprodurre quanto già prevedeva l’art. 11, l. n. 109 del 1994 relativamente ai soli contratti di appalto di lavori pubblici, di talché – nella misura in cui ai consorzi è oggi consentita la partecipazione ad ogni tipologia di appalto – essa si pone in rapporto di specialità (22) TAR Sardegna, Cagliari, 26 gennaio 2010, n. 84, in De Agostini banche dati on-line. dottrina 67 rispetto alla disciplina generale dettata dall’art. 35: la conclusione è, pertanto, nel senso che la possibilità che il consorzio stabile si qualifichi sulla base delle qualificazioni possedute dalla singole imprese consorziate si riferisce ai soli contratti di appalto di lavori, mentre nel settore dei servizi e delle forniture sono i consorzi che devono dimostrare di possedere in proprio i requisiti richiesti, in applicazione della regola generale”23. In via derogatoria a quanto previsto dall’art. 35, cit., può essere ricordata la disciplina di quegli appalti di servizi elencati dall’All. II B del Codice che sono notoriamente sottratti alla normativa del d.lgs. n. 163 del 2006 ai sensi degli artt. 20 e 21. A tal proposito, è stato affermato dalla giurisprudenza che “Agli appalti di servizi compresi nell’Allegato II B, d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), si applicano i soli artt. 65, 68 e 225 del citato d.lgs. n. 163 del 2006 (analogamente a quanto disposto dall’art. 20, Direttiva n. 2004/18/CEE). Pertanto, nel caso di specie, riguardante l’affidamento del “servizio di assistenza domiciliare” ad un Consorzio non va applicato l’art. 35, d.lgs. n. 165 del 2006, ma la disciplina specialistica (art. 8, l. n. 381 del 1991), … atteso che, si è in presenza di un rapporto organico in conseguenza del quale l’attività posta in essere da ciascuna cooperativa, nella sua qualità di consorziata, è immediatamente imputabile al Consorzio, con conseguente irrilevanza della mancanza dei requisiti di capacità tecnica e di fatturato nell’ultimo triennio in capo al Consorzio, atteso il possesso di tali requisiti da parte delle consorziate. Deve ritenersi, infatti, che la normativa applicabile alla fattispecie rende possibile, senza limitazioni, il cumulo dei requisiti, in forza del rapporto organico che regola le società cooperative”.24 Per i consorzi stabili vale il disposto di cui all’art. 36, comma 5, d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui gli stessi sono tenuti ad indicare, in sede d’offerta, per quali consorziati il consorzio concorre; ed a tali consorziati è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi forma, alla medesima gara. Il che lascia intendere che, diversamente, il divieto di partecipazione alla medesima gara non sussiste per i consorziati per conto dei quali il consorzio non ha dichiarato di voler partecipare. È da segnalare, tuttavia, che è vietata la partecipazione contemporanea alla medesima gara del consorzio stabile e dei soggetti consorziati; ed è prevista, in caso di inosservanza del divieto, la configurazione dell’ipotesi di cui all’art. 353, cod. pen. Con determinazione n. 11, 9 giugno 2004 “Atto di indirizzi inte- (23) TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, 12 maggio 2011, n. 4145 in De Agostini banche dati on-line. (24) Cons. St., Sez. V, 8 ottobre 2010, n. 7346, in De Agostini banche dati on-line. 68 rivista trimestrale degli appalti grativi sulla natura e sulla qualificazione dei consorzi stabili” l’AVCP (oggi ANAC) ha stabilito che “La norma indicata non può, però, essere intesa nel senso che i consorzi stabili in questione debbono necessariamente indicare, in sede di offerta, per quali consorziati concorrono, in quanto questi consorzi possono partecipare alla gara al fine di eseguire in proprio i lavori; deve essere invece intesa nel senso che è facoltà dei consorzi citati indicare per quali consorziati concorrono, ove non intendano eseguire direttamente i lavori; in tal caso solo ai soggetti indicati è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma alla medesima gara; per converso i consorziati non indicati dal consorzio partecipante alla gara come esecutori dei lavori potranno partecipare alla gara individualmente o nelle maniere consentite dalle norme. Va comunque tenuto presente che la possibilità di una partecipazione congiunta alla stessa gara del consorzio stabile e dei consorziati non indicati come direttamente interessati all’esecuzione del lavoro, secondo l’orientamento giurisprudenziale relativo alle ipotesi di collegamento sostanziale oltre che alle ipotesi di controllo societario, resta preclusa nel caso in cui nel consiglio direttivo del consorzio partecipino amministratori o rappresentanti legali dell’impresa consorziata che ha fatto domanda di partecipazione autonoma alla stessa gara (Cons. St., Sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 949). Sui vari possibili casi di partecipazione congiunta di consorzi ed imprese consorziate e su altre questioni interpretative l’Autorità si è già espressa nella determinazione del 29 ottobre 2003, n. 18 concernente “problematiche relative ai consorzi stabili”. La possibilità, pertanto, d’una partecipazione congiunta alla medesima gara del consorzio e dell’impresa consorziata è condizionata da una strutturazione flessibile dell’organo deliberante del consorzio in funzione dell’imprescindibile esigenza di salvaguardare comunque la segretezza delle offerte” 25. Nello stesso senso si è recentemente pronunciato il Cons. St., Sez. V, 16 febbraio 2015, n. 80126 che ha ritenuto che “Non può interpretarsi il combinato disposto degli artt. 36, comma 5 e 37, comma 7, d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice degli appalti), come vietante a priori la partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e della consorziata non indicataria, laddove tale preclusione risulti fondata non sulla dimostrazione concreta della sussistenza di un unico centro decisionale, ma su una sorta di sillogismo categorico circa l’esistenza di una unicità di rapporti fra consorzio stabile e proprie consorziate”. Dal momento, poi, che il consorzio stabile implica la costituzione di un’autonoma struttura consortile, è il consorzio come tale , inteso, (25) TAR Puglia, Lecce, 26 giugno 2003, n. 4476 in De Agostini banche dati on-line. (26) De Agostini banche dati on-line. dottrina 69 cioè, come soggetto giuridico distinto dalle imprese consorziate di cui coordina l’attività imprenditoriale , il titolare, formale e sostanziale, del rapporto con la stazione appaltante. Il consorzio stabile è, infatti, dotato di un fondo proprio (consortile) con il quale risponde direttamente delle obbligazioni assunte nei confronti della stazione appaltante. Ed analogamente a quanto avviene per i consorzi tra cooperative ed imprese artigiane, nei consorzi stabili il rapporto intercorrente tra consorzio ed imprese consorziate può essere ricondotto al rapporto tra società commerciale e socio, così come l’ipotesi di contemporanea partecipazione a gara di un consorzio e di una impresa associata deve essere assimilato all’ipotesi di partecipazione a gara di due società aventi lo stesso socio di maggioranza o di un imprenditore individuale che sia anche socio di maggioranza di una società commerciale partecipante; con la conseguenza che il divieto di contemporanea partecipazione, quale appare desumibile dall’art. 36, d.lgs. n. 163 del 2006, si riferisce alle ipotesi nelle quali l’impresa individuale assuma una propria rilevanza anche all’interno della formazione associativa, non anche quando lo strumento associativo abbia una sua completa autonomia, senza che vengano in alcun rilievo le imprese associate27. Il vincolo in base al quale le imprese consorziate eseguono i lavori, servizi e forniture deriva dall’assegnazione fatta dal consorzio; assegnazione che non è un contratto di appalto e nemmeno un subappalto bensì un atto unilaterale ricettizio del consorzio medesimo. Il vincolo per l’impresa assegnataria deriva dallo stesso rapporto consortile in forza del quale i consorziati conferiscono alla struttura consortile l’incarico di stipulare contratti d’appalto per loro conto ed in nome del consorzio e di indicare, di volta in volta, a quale tra loro assegnare e far eseguire i lavori. Non vi è, pertanto, una duplicità di contratti di appalto (un appalto della stazione appaltante al consorzio ed un subappalto del consorzio alle imprese consorziate), ma un unico contratto che il consorzio stipula in nome proprio, ma per conto delle imprese consorziate28. Queste considerazioni conducono ad affermare che gli atti mediante i quali i consorzi stabili organizzano l’esecuzione mediante l’assegnazione ad uno o più dei consorziati non hanno rilevanza esterna. Riconosciuto tale assunto, non può non riconoscersi anche quello inverso, per il quale il consorzio può procedere, ad esempio in caso di inadempimento del consorziato, alla revoca dell’assegnazione originaria ed alla assegnazione ad un altro consorziato, che non abbia però partecipato autonomamente alla (27) TAR Sicilia, Palermo, 7 novembre 1997, n. 1707 in De Agostini banche dati on-line. (28) TAR, Lombardia, 4 febbraio 1988, n. 71 in De Agostini banche dati on-line. 70 rivista trimestrale degli appalti gara, oppure all’imputazione a se stesso dei lavori, senza che ciò comporti modificazione dell’offerta29. A tal proposito, infatti, il Cons. St. Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 24430 ha recentemente affermato che “In materia di gare pubbliche la connotazione di consorzio stabile comporta l’esecuzione delle prestazioni contrattuali ad opera di un soggetto affidatario costituito in forma collettiva che stipula il contratto in nome proprio e per conto delle consorziate alle quali affida i lavori e che, in dipendenza di tale circostanza, l’attività compiuta dall’impresa consorziata si imputa al consorzio stesso, il quale si qualifica come soggetto giuridico autonomo che opera in base ad uno stabile rapporto organico con le imprese. In conseguenza di ciò, non solo la responsabilità per inadempimento degli obblighi contrattuali nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice investe esclusivamente il consorzio senza estendersi in via solidale all’impresa incaricata dell’esecuzione del contratto, ma la verifica dei requisiti di qualificazione avviene in capo al consorzio che a tale fine può cumulare quelli posseduti dalle imprese consorziate”. 3. I raggruppamenti temporanei di concorrenti e i consorzi ordinari di concorrenti di cui all’art. 2602, cod. civ. – L’art. 34, comma 1, lett. d ed e, d.lgs. 12 aprile 2006, n 163 individua, tra i soggetti che possono partecipare alle gare pubbliche “d) i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a, b e c, i quali, prima della presentazione dell’offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti; si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37; e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all’art. 2602, cod. civ.31, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a, b e c del presente comma, anche in forma di società ai sensi dell’art. 2615 ter, cod. civ.; si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37”. La norma, pertanto, consente la partecipazione alle selezioni pubbliche per l’affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture anche a soggetti “plurimi”, risultanza dell’unione tra più forze imprenditoriali aggregate allo scopo di soddisfare i requisiti di categoria e classi di lavorazioni, non posseduti dal singolo concorrente. (29) Cfr. Determinazione AVCP, 9 giugno 2004, n.11 “Atto di indirizzi integrativi sulla natura e sulla qualificazione dei consorzi stabili”, in www.anac.it. (30) In Giuffrè banche dati on-line. (31) Art. 2602, cod. civ. “Nozione e norme applicabili”: “Con il contratto di consorzio più imprenditori” istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. Il contratto di cui al precedente comma è regolato dalle norme seguenti, salve le diverse disposizioni delle leggi speciali”. dottrina 71 Si tratta di soggetti privi di personalità giuridica, meramente strumentali alla partecipazione alla gara ed all’eventuale svolgimento della commessa. Le più comuni forme nelle quali il fenomeno si manifesta sono i raggruppamenti temporanei di imprese ed i consorzi ordinari, la disciplina dei quali è contenuta al successivo art. 37. Essi possono essere formati da imprenditori (operanti in forma individuale, societaria o cooperativa), consorzi tra società cooperative di produzione e lavoro, consorzi stabili, secondo il dettaglio contenuto nelle lettere a, b, c del citato art. 3432. Il consorzio occasionale, figura già prevista delle leggi antecedenti anche alla l. n. 109 del 94, fu introdotto dalla l. 17 febbraio 1987, n. 80 (contenente norme straordinarie per l’accelerazione dell’esecuzione delle opere pubbliche) – con la specificazione, anche allora, che ad esso si applicavano le disposizioni previste per le associazioni temporanee di imprese – è delineato quale organismo costituito ad hoc per partecipare ad una determinata gara d’appalto33. Da tenere presente, tuttavia, che la rappresentanza dell’aggregazione nei confronti della stazione appaltante è diversa nei consorzi occasionali rispetto alle associazioni temporanee tipiche: nel caso dell’associazione temporanea d’imprese, essa spetta a quella specificamente designata quale mandataria del raggruppamento, mentre nel caso del consorzio la rappresentanza spetta agli organi consortili cui è statutariamente attribuita. Va inoltre precisato che la disposta assimilazione comporta che i consorzi occasionali non possono avere una propria qualificazione e, quindi, partecipano alle gare utilizzando le qualificazioni dei propri consorziati34 . Un siffatto consorzio non può, pertanto, partecipare ad una gara per conto solo di alcuni dei consorziati, essendo tale possibilità espressamente prevista (art. 37, comma 7, d.lgs. n. 163 del 2006) soltanto per i consorzi di cooperative, per i consorzi artigiani e per i consorzi stabili35. (32) Un’esaustiva trattazione circa i soggetti ammessi a concorrere ai pubblici appalti ai sensi del d.lgs. n. 163 del 2010 è contenuta in AA.VV., Trattato sui contratti pubblici, diretto da M.A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli, II, cap. 7 (I soggetti ammessi alle procedure di affidamento), Milano, 2008, p. 1057 ss. Con riferimento alla previgente disciplina, peraltro non innovata in punto dal nuovo Codice dei contratti pubblici, v. R. Garofoli, V. De Gioia, Codice degli appalti di lavori pubblici, I, p. 296 ss., Milano, 2004, in particolare, 296 ss. (commento all’art. 13 l. 11 febbraio 1994 n. 109). (33) TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 19 gennaio 2004, n. 126, in De Agostini Banche dati on-line. (34) TAR Bologna, Sez. I, 13 febbraio 2003, n. 97, in De Agostini Banche dati on-line. (35) TAR Veneto, Venezia, Sez. I, 17 dicembre 2007, n. 3997, in De Agostini Banche dati on-line. 72 rivista trimestrale degli appalti Va anche rilevato che è possibile costituire un consorzio occasionale per partecipare a più gare indette in tempi diversi, ma la partecipazione deve avvenire sempre per tutte le imprese consorziate e sulla base della qualificazione posseduta da queste. Poiché ai consorzi occasionali si applica la medesima disciplina prevista per i raggruppamenti temporanei, la trattazione che segue sarà incentrata fondamentalmente su questi ultimi, tenendo presente che ai primi si applicano i medesimi principi. 3.1. – I raggruppamenti temporanei di concorrenti. – L’Associazione temporanea di imprese (ATI) ed il Raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) sono aggregazioni temporanee e occasionali tra imprese costituite per lo svolgimento di un’attività per il periodo necessario per il suo compimento. Tale forma aggregativa nasce dalla necessità giuridica o dalla convenienza economica per due o più imprese che partecipano ad una gara d’appalto a collaborare tra loro, al fine di raggiungere i requisiti minimi richiesti nel bando di gara per poter partecipare alla procedura ovvero per ripartire gli oneri di esecuzione ed assicurarsi le condizioni di miglior favore delle quali ciascuna singolarmente dispone. Altro importante vantaggio che discende dal ricorso all’ATI o R.T.I. è che consente di sopportare costi molto più contenuti rispetto alla costituzione di un’impresa comune o di un consorzio che, in caso di esito negativo della gara, sarebbe destinato a scomparire immediatamente, con costi difficilmente recuperabili. Tali formule aggregative sono autorizzate a partecipare alle gare pubbliche in attuazione del principio di favor partecipationis e di libera concorrenza, sia per gli appalti dei lavori che per quelli dei servizi e forniture e dei settori speciali. La logica di detto accesso è quella di consentire il frazionamento dei requisiti di partecipazione alla gara non riferendoli tutti ad un unico soggetto; ai fini, difatti, della qualificazione assumerà rilevanza la sommatoria dei requisiti tecnici ed economici delle imprese raggruppate secondo le indicazioni normative (Codice degli appalti e regolamento attuativo), pur essendo ammissibile, da parte della stazione appaltante prevedere limitazioni alla facoltà di concorrere alla gara in forma associata, al fine, ad esempio, di evitare effetti distorsivi ed anticoncorrenziali da parte di imprese aventi una posizione dominante sul mercato. La costituzione dell’associazione temporanea permette alle imprese associate di formulare un’offerta congiunta con l’obbligo di realizzare congiuntamente le attività oggetto di gara, pur restando giuridicamente soggetti distinti. Si distingue l’ATI dal RTI a seconda che il raggruppamento, in fase di presentazione dell’offerta, sia o meno “costituita”. dottrina 73 L’ATI è un’associazione costituta attraverso la formalizzazione del rapporto mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata contenente l’attribuzione del mandato con rappresentanza all’impresa capogruppo (mandataria); l’RTI è un’associazione “costituenda”, o raggruppamento mero in quanto le imprese che partecipano alla gara si impegnano a costituire l’ATI e ad attribuire mandato collettivo con rappresentanza alla capogruppo. Con riguardo al RTI l’art. 37, comma 8 specifica che “8. È consentita la presentazione di offerte da parte dei soggetti di cui all’art. 34, comma 1, lett. d ed e, anche se non ancora costituiti. In tal caso l’offerta deve essere sottoscritta da tutti gli operatori economici che costituiranno i raggruppamenti temporanei o i consorzi ordinari di concorrenti e contenere l’impegno che, in caso di aggiudicazione della gara, gli stessi operatori conferiranno mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, da indicare in sede di offerta e qualificata come mandatario, il quale stipulerà il contratto in nome e per conto proprio e dei mandanti”. Lo strumento tecnico utilizzato per dare luogo a tale forma di associazione – ATI se costituita in fase di offerta o RTI se da costituirsi in caso di aggiudicazione – è quello del mandato con rappresentanza, anche processuale, ad una società capogruppo che rappresenta l’aggregazione in tutti i rapporti necessari per lo svolgimento dell’attività, fino all’estinzione di ogni rapporto. L’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006, infatti, stabilisce che “14. Ai fini della costituzione del raggruppamento temporaneo, gli operatori economici devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di esse, detto mandatario. 15. Il mandato deve risultare da scrittura privata autenticata. La relativa procura è conferita al legale rappresentante dell’operatore economico mandatario. Il mandato è gratuito e irrevocabile e la sua revoca per giusta causa non ha effetto nei confronti della stazione appaltante. 16. Al mandatario spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale, dei mandanti nei confronti della stazione appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino alla estinzione di ogni rapporto. La stazione appaltante, tuttavia, può far valere direttamente le responsabilità facenti capo ai mandanti. 17. Il rapporto di mandato non determina di per sé organizzazione o associazione degli operatori economici riuniti, ognuno dei quali conserva la propria autonomia ai fini della gestione, degli adempimenti fiscali e degli oneri sociali”. Per quanto riguarda il soggetto giuridico, l’aggregazione non costituisce autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive e ogni impresa conserva la propria autonomia ai fini della gestione degli adempimenti fiscali e previdenziali. 74 rivista trimestrale degli appalti I raggruppamenti temporanei possono essere orizzontali, verticali o misti. L’art. 37 stabilisce che “1. Nel caso di lavori, per raggruppamento temporaneo di tipo verticale si intende una riunione di concorrenti nell’ambito della quale uno di essi realizza i lavori della categoria prevalente; per lavori scorporabili si intendono lavori non appartenenti alla categoria prevalente e così definiti nel bando di gara, assumibili da uno dei mandanti; per raggruppamento di tipo orizzontale si intende una riunione di concorrenti finalizzata a realizzare i lavori della stessa categoria. 2. Nel caso di forniture o servizi, per raggruppamento di tipo verticale si intende un raggruppamento di concorrenti in cui il mandatario esegua le prestazioni di servizi o di forniture indicati come principali anche in termini economici, i mandanti quelle indicate come secondarie; per raggruppamento orizzontale quello in cui gli operatori economici eseguono il medesimo tipo di prestazione; le stazioni appaltanti indicano nel bando di gara la prestazione principale e quelle secondarie”. Il raggruppamento temporaneo di tipo verticale è correlato ad un appalto tecnicamente disomogeneo (lavori di diverse categorie o, nei servizi e forniture, diverso tipo di prestazione): - nel caso dell’appalto di lavori, si tratta di un appalto con lavori appartenenti ad una categoria prevalente e lavori scorporabili, così definiti nel bando di gara. In questo caso, un’impresa (ordinariamente capace per la prestazione prevalente), si associa ad altre imprese provviste della capacità per le prestazioni scorporabili. Il presupposto è che si tratti di appalto complesso, costituito da prestazioni che richiedono diverse specializzazioni, in relazione alle quali dovrà essere il bando di gara a indicare quali assumono carattere prevalente e quali sono scorporabili; l’ esecuzione dei lavori della categoria prevalente viene assunta dal mandatario; - nel caso di forniture o servizi, si tratta di servizi e forniture indicati nel bando di gara come principali ed altri come secondari, in cui il mandatario esegua le prestazioni di servizi o di forniture indicati come principali anche in termini economici, e i mandanti quelle indicate come secondarie. Nei raggruppamenti verticali, ciascuno dei concorrenti risponderà con un diverso regime di responsabilità limitata alle prestazioni di pertinenza, ferma la responsabilità solidale del mandatario per tutte le obbligazioni scaturenti dal contratto di affidamento. Il raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale è correlato ad un appalto tecnicamente omogeneo (lavori della stessa categoria o nei servizi e forniture, medesimo tipo di prestazione), implicando una distribuzione meramente quantitativa del lavoro e la responsabilità solidale di tutte le imprese riunite nei confronti dell’appaltatore. Ciascuna delle imprese riunite è in possesso di una identica dottrina 75 specializzazione e fra di esse vi è una suddivisione meramente quantitativa delle prestazioni oggetto del contratto d’appalto; gli operatori economici associati assumono la responsabilità solidale nei confronti dell’amministrazione. Il raggruppamento temporaneo di tipo misto consente di combinare il modello dell’ATI orizzontale con quello dell’ATI verticale, prevedendo ulteriori sub-raggruppamenti orizzontali che frazionino tra loro o la prestazione della mandataria o la prestazione della mandante, purché il segmento di ATI verticale che realizza lo scorporo non coinvolga la prestazione principale. In un’ATI mista vige,difatti, il divieto di scorporo della prestazione principale. L’art. 37, comma 6 stabilisce, infatti, che “I lavori riconducibili alla categoria prevalente ovvero alle categorie scorporate possono essere assunti anche da imprenditori riuniti in raggruppamento temporaneo di tipo orizzontale”. Infatti, è stato affermato dal Cons. giust. amm. Sic., 15 aprile 2005, n. 25136 che “Giova premettere al riguardo che poiché il bando di gara individua tre distinte categorie di opere (OG3, prevalente, OG10 e OS21, scorporabili), la partecipazione in forma congiunta di più imprese associate alla realizzazione di opere di una categoria scorporabile implica necessariamente la formazione di un ATI mista, nella quale, accanto al modello associativo di tipo verticale, che inerisce necessariamente alla previsione di scorporabilità (cfr., in termini, Cons. giust. amm. Sic., 4 novembre 1998, n. 640) si affianca un’associazione di tipo orizzontale ai soli fini della realizzazione congiunta delle opere della categoria scorporabile. A tale sub-associazione si applicano in toto le regole dettate per il modello associativo orizzontale dall’art. 95, comma 2, d.P.R. n. 554 del 1999, con conseguente necessità che la mandataria capogruppo possieda i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti dal bando di gara per le imprese singole nella misura minima del 40% anche con riferimento alla singola categoria scorporabile della cui realizzazione è partecipe unitamente ad una o più mandanti”. 3.2. I requisiti di partecipazione alla gara delle ATI/RTI. – L’istituto del raggruppamento di imprese è da ritenersi uno strumento finalizzato ad ampliare la possibilità di partecipare alle gare pubbliche anche a soggetti singolarmente sprovvisti dei requisiti speciali richiesti (dalla legge o dalla lex specialis di gara). Nel perseguimento di detta finalità, le disposizioni di cui all’ art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006 non dettano norme meramente definitorie o organizzative, ma si preoccupano di correlare l’organizzazione e le modalità del raggruppamento con il possesso dei requisiti di affidabilità professionale, e con la responsabilità nel rapporto con il committente. (36) In De Agostini banche dati on-line. 76 rivista trimestrale degli appalti L’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce che “3. Nel caso di lavori, i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti sono ammessi se gli imprenditori partecipanti al raggruppamento ovvero gli imprenditori consorziati abbiano i requisiti indicati nel regolamento”. In linea di massima si può dire che i requisiti si cumulano, ciò tuttavia entro rigorosi limiti stabiliti ex lege. Con riguardo ai lavori pubblici, il calcolo dei requisiti varia a seconda che si tratti di un raggruppamento orizzontale o verticale: 1) in caso di raggruppamento orizzontale: l’art. 92, comma 2, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 “Requisiti del concorrente singolo e di quelli riuniti” – così come modificato dall’art. 12, comma 9, d.l. 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla l. 23 maggio 2014, n. 80 – stabilisce che “2. Per i raggruppamenti temporanei di cui all’art. 34, comma 1, lett. d, Codice, i consorzi di cui all’art. 34, comma 1, lett. e, Codice ed i soggetti di cui all’art. 34, comma 1, lett. f, Codice, di tipo orizzontale, i requisiti di qualificazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi richiesti nel bando di gara per l’impresa singola devono essere posseduti dalla mandataria o da un’impresa consorziata nella misura minima del 40 per cento e la restante percentuale cumulativamente dalle mandanti o dalle altre imprese consorziate ciascuna nella misura minima del 10 per cento. Le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio, indicate in sede di offerta, possono essere liberamente stabilite entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti dall’associato o dal consorziato. Nell’ambito dei propri requisiti posseduti, la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con riferimento alla specifica gara. I lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate. 2) in caso di raggruppamento di tipo verticale: l’art. 92, comma 3, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 stabilisce che “3. Per i raggruppamenti temporanei di cui all’art. 34, comma 1, lett. d, Codice, i consorzi di cui all’art. 34, comma 1, lett. e, Codice, ed i soggetti di cui all’art. 34, comma 1, lett. f, Codice, di tipo verticale, i requisiti di qualificazione economico-finanziari e tecnico-organizzativi sono posseduti dalla mandataria nella categoria prevalente; nelle categorie scorporate ciascuna mandante possiede i requisiti previsti per l’importo dei lavori della categoria che intende assumere e nella misura indicata per l’impresa singola. I requisiti relativi alle lavorazioni scorporabili non assunte dalle mandanti sono posseduti dalla mandataria con riferimento alla categoria dottrina 77 prevalente”, ciò in armonia con l’art. 37, comma 6, d.lgs. n. 163 del 2006 “Nel caso di lavori, per i raggruppamenti temporanei di tipo verticale i requisiti di cui all’art. 40, sempre che siano frazionabili, devono essere posseduti dal mandatario per i lavori della categoria prevalente e per il relativo importo; per i lavori scorporati ciascun mandante deve possedere i requisiti previsti per l’importo della categoria dei lavori che intende assumere e nella misura indicata per il concorrente singolo”. 3) Il comma 5 dell’art. 92, d.P.R. cit. stabilisce poi che “Se il singolo concorrente o i concorrenti che intendano riunirsi in raggruppamento temporaneo hanno i requisiti di cui al presente art., possono raggruppare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati”. Con bando-tipo (determinazione n. 4 del 2012)37, l’AVCP ha stabilito che “nel caso di lavori pubblici, l’art. 92, comma 2, regolamento, per i raggruppamenti di tipo “orizzontale”, prevede, all’ultimo periodo, che «nell’ambito dei propri requisiti posseduti, la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con riferimento alla specifica gara»; la disposizione conferma l’orientamento più volte espresso dall’Autorità in relazione alla previgente normativa, secondo cui l’espressione «l’impresa mandataria in ogni caso possiede i requisiti in misura maggioritaria» si riferisce ai requisiti minimi richiesti per la partecipazione allo specifico appalto, in relazione alla classifica posseduta risultante dall’attestazione SOA e concretamente “spesa” ai fini dell’esecuzione dei lavori e non in assoluto. Si precisa, al riguardo, che la mandataria deve spendere i requisiti nella percentuale maggioritaria in quella specifica gara e per ognuna delle categorie presenti nella gara (cfr., da ultimo, parere AVCP n. 76 del 16 maggio 2012)”. Se ne desume che la disposizione relativa al possesso dei requisiti in misura maggioritaria in capo alla mandataria si applica nel caso di raggruppamento di tipo orizzontale o misto (per la sub associazione orizzontale). Nel caso di raggruppamento verticale puro, invece, ogni concorrente deve avere i requisiti per la parte della prestazione che intende eseguire. Con riguardo ai servizi e forniture, l’art. 275, d.P.R. n. 207 del 2010 “Requisiti dei partecipanti alle procedure di affidamento” (37) In www.anac.it. 78 rivista trimestrale degli appalti stabilisce che “2. Per i soggetti di cui all’art. 34, comma 1, lett. d, e, f, e f bis, Codice, il bando individua i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi necessari per partecipare alla procedura di affidamento, nonché le eventuali misure in cui gli stessi devono essere posseduti dai singoli concorrenti partecipanti. La mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria”. Con bando-tipo (determinazione n. 4 del 2012)38, l’AVCP ha stabilito che “Con riguardo ai servizi ed alle forniture, l’art. 275, comma 2, regolamento prevede che, per i soggetti di cui all’art. 34, comma 1, lett. d, e, f, e f bis, Codice (RTI, consorzi di concorrenti, GEIE, operatori economici stabiliti in altri Stati membri), il bando individua i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi necessari per partecipare alla procedura di affidamento, nonché le eventuali misure in cui gli stessi devono essere posseduti dai singoli concorrenti. Inoltre, viene precisato che la mandataria, in ogni caso, deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria. Tale inciso è da intendersi nel senso che la mandataria deve spendere i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti, con riferimento alla specifica gara. Per i servizi di ingegneria ed architettura, l’art. 261, comma 7, stabilisce che, in caso di raggruppamenti temporanei, i requisiti finanziari e tecnici di cui all’art. 263, comma 1, lettere a, b e d, regolamento devono essere posseduti cumulativamente dal raggruppamento. Ai fini del computo complessivo dei requisiti del raggruppamento, il bando di gara, la lettera di invito o l’avviso di gara possono prevedere, con opportuna motivazione, che la mandataria debba possedere una percentuale minima degli stessi requisiti, la quale, comunque, non può essere fissata in misura superiore al sessanta per cento; la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dal o dai mandanti, senza che sussista la possibilità di richiedere agli stessi percentuali minime di possesso dei requisiti. La mandataria, in ogni caso, deve possedere i requisiti in misura maggioritaria percentuale superiore rispetto a ciascuna dei mandanti. La mandataria, poi, ove sia in possesso di requisiti superiori alla percentuale prevista dal bando di gara, dalla lettera di invito o dall’avviso di gara, partecipa alla gara per una percentuale di requisiti pari al limite massimo stabilito. Si precisa che il suddetto limite del sessanta per cento, valevole per la mandataria, costituisce il limite massimo che la stazione appaltante può fissare nel bando e non già il limite minimo, come avviene per i lavori pubblici. Pertanto, il concorrente che supera il limite indicato nel (38) In www.anac.it. dottrina 79 bando può, comunque, partecipare alla gara, fermo restando che i restanti requisiti devono essere posseduti dalle mandanti, per le quali, come rilevato, non è possibile stabilire un limite minimo; ciò non toglie che, ove le mandanti dichiarino di partecipare per una certa percentuale o parte del servizio, debbano poi dimostrare, di conseguenza, di possedere i requisiti di qualificazione in misura corrispondente”. Il comma 4 dell’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006 stabilisce poi che “4. Nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati”. Il comma 13 dell’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006 – oggi abrogato dall’art. 12, comma 9, d.l. 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla l. 23 maggio 2014, n. 80 – stabiliva che “13. Nel caso di lavori, i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento”. Il principio della necessaria corrispondenza tra quote di partecipazione al raggruppamento, quote di esecuzione e requisiti di partecipazione era stato applicato dalla giurisprudenza39 in modo tassativo e rigoroso non solo negli appalti di lavori, ma anche in quello di servizi. I concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo dovevano eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento, sussistendo, come requisito di ammissione alla gara, una perfetta corrispondenza tra parte dei lavori/servizio/fornitura eseguiti dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento. Con bando-tipo n. 4 del 2012 l’AVCP aveva trattato la questione del principio di corrispondenza nei termini di seguito riportati “Il profilo della corrispondenza tra le quote di partecipazione delle singole imprese ad un raggruppamento e le quote di esecuzione del lavoro/servizio/fornitura (e, quindi, la ripartizione delle relative capacità tecniche ed economico-finanziarie) negli appalti di lavori, servizi o di forniture necessita di alcune precisazioni. Con riferimento agli appalti di lavori pubblici, l’art. 37, Codice, nel disciplinare le modalità partecipative alle gare per l’aggiudicazione dei contratti dei raggruppamenti temporanei e consorzi ordinari di concorrenti, prevede che «nel caso di lavori, i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti sono ammessi se gli imprenditori partecipanti al raggruppamento ovvero gli im- (39) Cons. St., Sez. V, 9 marzo 2015, n. 1179; Cons. St., Sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 744; Cons. St., Sez. III, 11 maggio 2011, n. 2805; in senso conforme, Cons. St., Sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 606 in De Agostini Banche dati on-line. 80 rivista trimestrale degli appalti prenditori consorziati abbiano i requisiti indicati nel regolamento» (comma 3). Stabilisce, ancora, il comma 13 dello stesso art. 37 che, per i lavori, i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo «devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento. Da tali disposizioni e da quanto prescritto dal regolamento (cfr. art. 92), consolidata giurisprudenza, con riguardo ai lavori pubblici, ha concluso che deve sussistere una corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione (intese come quelle quote percentuali minime che ogni soggetto deve dimostrare di possedere per accedere alla procedura di gara), quote di partecipazione (intese quali quote di partecipazione al raggruppamento) e quote di esecuzione dei lavori. Tale principio di corrispondenza, che discende direttamente da norme imperative e prescinde dall’assoggettamento della gara alla disciplina comunitaria, comporta, quindi, l’obbligo di dichiarare già in sede di offerta le quote di partecipazione al raggruppamento e le quote di esecuzione dei lavori, al fine di assicurare che la stazione appaltante possa verificare il possesso dei requisiti di qualificazione delle singole imprese in corrispondenza alle prestazioni che ciascuna deve eseguire e, al contempo, evitare partecipazioni fittizie di imprese effettuate al solo scopo di far conseguire l’aggiudicazione a soggetti privi delle necessarie qualificazioni. D’altra parte, l’obbligo di indicare le suddette quote non si traduce in un onere eccessivamente gravoso, risolvendosi in una mera dichiarazione. Proprio in virtù della particolare valenza ad esso associata, inoltre, il principio di corrispondenza si impone ai concorrenti senza alcuna necessità di espressa previsione del bando di gara: quest’ultimo deve intendersi in ogni caso conformemente integrato (in tal senso, cfr. Cons. St., Sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 416). In sintesi, dal combinato disposto dei commi 3 e 13 dell’art. 37 del Codice consegue che, all’atto della partecipazione, deve essere formulata l’indicazione delle quote partecipative al raggruppamento, dalle quali poter desumere la quota parte dei lavori che saranno eseguiti da ciascun associato, dovendo sussistere una perfetta corrispondenza tra quota di lavori e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento: l’indicazione delle quote di partecipazione – e, conseguentemente dei lavori – si rivela, dunque, un requisito di ammissione alla gara e deve provvedersi a tale incombente sin dalla presentazione della domanda di partecipazione/offerta, non essendo sufficiente che ciò avvenga in una fase successiva (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. V, 21 marzo 2012 n. 1597). Sulla base delle predette indicazioni preventive e formali, avverrà la verifica della sussistenza della qualificazione. Si precisa, inoltre, che l’impresa cooptata può eseguire i lavori, ma non assume lo status di concorrente; essa, di conseguenza, non può acquistare alcuna quota di partecipazione all’appalto e, quindi, non dottrina 81 deve (e, in realtà, neppure può) dichiarare la propria quota di partecipazione al raggruppamento temporaneo. Per quanto concerne i servizi e le forniture, l’art. 37, comma 4, Codice prevede solo che debbano essere specificate nell’offerta le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati: a seguito delle modifiche apportate al comma 13 dell’art. 37 dall’art. 1, comma 2 bis, d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (nel testo integrato dalla legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135), infatti, l’obbligo di corrispondenza in fase di esecuzione vale solo per i lavori pubblici. L’obbligo di specificazione ai sensi del citato art. 37, comma 4, Codice, deve ritenersi assolto sia in caso di indicazione, in termini descrittivi, delle singole parti del servizio da cui sia evincibile il riparto di esecuzione tra le imprese associate sia in caso di indicazione, in termini percentuali, della quota di riparto delle prestazioni che saranno eseguite tra le singole imprese, tenendo conto della natura complessa o semplice dei servizi oggetto della prestazione e della sostanziale idoneità delle indicazioni ad assolvere alle finalità di riscontro della serietà e affidabilità dell’offerta, nonché a consentire l’individuazione dell’oggetto e dell’entità delle prestazioni che saranno eseguite dalle singole imprese raggruppate. Così come per i lavori pubblici, anche per i servizi e forniture, la violazione del precisato obbligo di specificare le parti di prestazione da eseguire non costituisce una violazione meramente formale. L’incidenza, anzi, risulta sostanziale, considerata la rilevanza che tale specificazione acquista sulla «serietà, affidabilità, determinatezza e completezza, e dunque, sugli elementi essenziali dell’offerta, la cui mancanza, pena la violazione dei principi della par condicio e della trasparenza, non è suscettibile di regolarizzazione postuma» (cfr. Cons. St., Ad. plen. n. 26 del 2012). In caso di procedure ristrette, negoziate o di dialogo competitivo o, più in generale, nelle procedure nelle quali vi è una fase di cosiddetta “prequalifica” a seguito della quale la stazione appaltante sceglie i concorrenti da invitare, è comunque necessario, a pena di esclusione, indicare le quote già nella domanda di partecipazione, al fine di consentire alla stazione appaltante la verifica del possesso dei prescritti requisiti e la conseguente definizione dell’elenco degli operatori cui inviare le lettere di invito a presentare offerta. Ai sensi dell’art. 62, comma 5, Codice, infatti, le stazioni appaltanti non possono invitare candidati che non abbiano i requisiti richiesti. Quanto precede non inficia la possibilità che intervenga una modificazione del raggruppamento sino al momento della presentazione dell’offerta (cfr. TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 10 agosto 2012, n. 1444). Difatti, nella fase precedente la formulazione dell’offerta, il concorrente non assume alcun impegno particolare in ordine alla partecipazione alla gara: anche in caso di invito da parte della stazione appaltante, il concorrente 82 rivista trimestrale degli appalti resta libero di accoglierlo o meno (cfr., sul punto, TAR Toscana, Sez. I, 20 luglio 2011, n. 1254). Tale modificazione non deve, comunque, riguardare l’impresa capogruppo, né incidere negativamente sul livello dei requisiti di qualificazione del raggruppamento: è, quindi, ammissibile modificare le quote di partecipazione all’interno del raggruppamento, purché corrispondano alla qualificazione richiesta”. In seguito all’abrogazione del comma 13 dell’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006, l’ANAC, con bando-tipo n. 2 del 201440 ha stabilito che “Sempre con riguardo ai RTI occorre tener conto, inoltre, di quanto disposto dall’art. 12 (commi 8 e 9) del citato d.l. 28 marzo 2014, n. 47 che ha abrogato il comma 13 dell’art. 37 e modificato l’art. 92, comma 2, Codice. Per effetto della novella normativa, è venuto meno il principio di corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione, quote di partecipazione al raggruppamento e quote di esecuzione dei lavori (cfr. determinazione AVCP n. 4 del 10 ottobre 2012). Il novellato art. 92, comma 2 stabilisce, infatti, che “(...) Le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio, indicate in sede di offerta, possono essere liberamente stabilite entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti dall’associato o dal consorziato. Nell’ambito dei propri requisiti posseduti, la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con riferimento alla specifica gara. I lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate”. Resta fermo il principio secondo cui la mandataria deve essere in possesso di almeno il 40% dei requisiti di qualificazione e che le mandanti devono continuare a coprire, cumulativamente, il restante 60%, coprendone almeno il 10% ciascuna. Rispetto alla precedente formulazione dell’art. 92, comma 2, si evince, quindi, che le quote di partecipazione al raggruppamento possono essere ora liberamente stabilite, nel rispetto ovviamente dei limiti di qualificazione di ciascun componente del raggruppamento e dei vincoli sopra richiamati (almeno il 40% per la mandataria e almeno il 10% per le mandanti). Inoltre, l’abrogazione dell’art. 37, comma 13, Codice e la riformulazione dell’art. 92 fanno ritenere che non vi debba essere necessariamente corrispondenza, come detto, tra le quote di partecipazione e le quote di esecuzione. La disposizione del comma 9 del citato art. 12, come sopra riportato, prevede, infatti, all’ultimo (40) In www.anac.it. dottrina 83 periodo, che “i lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate”. La locuzione, riferita ai lavori da eseguire “secondo le quote indicate in sede di offerta”, a fortiori se combinata con l’abrogazione dell’art. 37, comma 13, Codice, deve intendersi riferita alle quote di esecuzione che il concorrente deve specificare in sede di offerta e che possono essere diverse dalle quote di partecipazione in raggruppamento. Tale interpretazione è rafforzata dal fatto che le stesse quote di esecuzione possono essere successivamente modificate, in fase di realizzazione dell’opera, con il consenso della stazione appaltante, nei limiti della qualificazione posseduta da ciascun componente il raggruppamento. Naturalmente, la scelta della quota di esecuzione e l’eventuale modifica in sede di esecuzione devono avvenire anche nel rispetto delle prescrizioni in materia di modifiche soggettive di cui all’art. 37, Codice (sul punto si veda anche la determinazione dell’AVCP del 10 ottobre 2012, n. 4)”. Con riguardo ai servizi e forniture, poiché – come sopra visto – il comma 4 dell’art. 37 stabilisce che “4. Nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati”, il principio della corrispondenza tra quote, scardinato dalla novella del 2014 per gli appalti di lavori, non trova applicazione. A tal proposito, il Consiglio di Stato41 ha stabilito che “Nel settore dei servizi, in mancanza di una predeterminazione normativa o regolamentare dei requisiti di capacità tecnico organizzativa ed economico finanziaria (ben diversi dai restanti requisiti soggettivi ed oggettivi di partecipazione che ciascuna impresa deve possedere) e non sussistendo il principio di necessaria corrispondenza tra la qualificazione di ciascuna impresa e la quota della prestazione di rispettiva pertinenza, spetta alla stazione appaltante il compito di definire nella lex specialis, in relazione al contenuto specifico della prestazione, i requisiti di idoneità che devono essere posseduti dalle imprese componenti il raggruppamento”; “Nel settore dei servizi, in mancanza di una predeterminazione normativa o regolamentare dei requisiti di capacità tecnico organizzativa ed economico finanziaria (ben diversi dai requisiti soggettivi ed oggettivi di partecipazione che ciascuna impresa deve possedere) spetta alla stazione appaltante il compito di definire nella lex specialis, in relazione al contenuto specifico della prestazione, i requisiti di idoneità che devono essere (41) Cons. St., Sez. VI, 26 marzo 2015, n. 1594; Cons. St., Sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 18, in De Agostini banche dati on-line. 84 rivista trimestrale degli appalti posseduti dalle imprese componenti il raggruppamento. L’ art. 37, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006 si limita a stabilire che nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati, senza nulla aggiungere in ordine ai requisiti di qualificazione sul piano tecnico professionale o della dimostrazione della capacità economica”. Il Consiglio di Stato (Ad. Plen.) n. 22 del 2012 e n. 26 del 201242 aveva affermato che il comma 4 dell’art. 37 si deve applicare indistintamente a tutte le forme di ATI, orizzontali e verticali. A favore di tale tesi – secondo il Consiglio di Stato – “milita, anzitutto, l’argomento letterale in virtù del rilievo che la norma in parola, non contiene alcuna distinzione tra ATI orizzontali e verticali così come tra associazioni costituite e raggruppamenti costituendi... Si deve, al riguardo, rimarcare che: - l’indicazione delle “parti” del servizio o della fornitura imputate alle singole imprese associate o associande si rende necessaria onde evitare l’esecuzione di quote rilevanti dell’appalto da parte di soggetti sprovvisti delle qualità all’uopo occorrenti in relazione ai requisiti di capacità tecnico-organizzativa ed economicofinanziaria fissati dalla lex specialis; - siffatte esigenze, di controllo e di trasparenza, si pongono in modo persino rincarato nei raggruppamenti a struttura orizzontale, in seno ai quali tutti gli operatori riuniti eseguono il medesimo tipo di prestazioni, per cui, in difetto di specificazione anche quantitativa delle “parti” di servizi che saranno eseguite dalle singole imprese, sarebbe inibita alla stazione appaltante una verifica in ordine alla coerenza dei requisiti di qualificazione con l’entità delle prestazioni di servizio da ognuna di esse assunte; - la conoscenza preventiva del soggetto che in concreto eseguirà il servizio o la fornitura, consente, in modo indifferenziato per entrambe le associazioni, l’individuazione del responsabile della prestazione dei singoli segmenti dell’appalto; - l’obbligo in esame soddisfa l’esigenza, consustanziale alla funzione dei raggruppamenti, che sia assegnato un ruolo operativo a ciascuna delle imprese associate in ATI o consorziate, allo scopo di evitare che esse si avvalgano del raggruppamento non per unire le rispettive disponibilità tecniche e finanziarie, ma per aggirare le norme di ammissione stabilite dal bando e consentire così la partecipazione di imprese non qualificate; - l’obbligo della specificazione delle “parti” di servizio imputate (42) In De Agostini banche dati on-line. dottrina 85 alle singole imprese del raggruppamento persegue anche la finalità di assecondare il corretto esplicarsi delle dinamiche concorrenziali, assicurando l’effettività del raggruppamento e impedendo la partecipazione fittizia di imprese, non chiamate (o chiamate in modo inappropriato) ad effettuare le prestazioni oggetto della gara. Si deve quindi concludere, sulla scorta di tali argomenti, che l’obbligo in questione, da assolvere a pena di esclusione in sede di formulazione dell’offerta, è espressione di un principio generale che non consente distinzioni legate alla natura morfologica del raggruppamento (verticale o orizzontale), alla tipologia delle prestazioni (principali o secondarie, scorporabili o unitarie) o al dato cronologico del momento della costituzione dell’associazione (costituita o costituenda). Si deve ribadire altresì che, ai fini del vaglio dell’ottemperanza all’obbligo di specificare le “parti” del servizio che saranno eseguite dalle singole imprese, in ossequio al principio della tassatività delle cause di esclusione – oggi sancito dall’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006, aggiunto dall’art. 4, comma 2 lett. d n. 2, d.l. 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito dalla l. 12 luglio 2011, n. 106 – dovrà seguirsi un approccio ermeneutico di natura sostanzialistica che valorizzi il dato teleologico del raggiungimento dello scopo della norma senza che assuma rilievo dirimente il profilo estrinseco del modo in cui siffatta esigenza sia soddisfatta. L’obbligo dovrà allora ritenersi assolto sia in caso di indicazione, in termini schiettamente descrittivi, delle singole parti del servizio da cui sia evincibile il riparto di esecuzione tra le imprese associate, sia in caso di indicazione quantitativa, in termini percentuali, della quota di riparto delle prestazioni che saranno eseguite tra le singole imprese, tenendo conto della natura complessa o semplice dei servizi e della sostanziale idoneità delle indicazioni ad assolvere alle rammentate finalità di riscontro della serietà e affidabilità dell’offerta ed a consentire l’individuazione dell’oggetto e dell’entità delle prestazioni che saranno eseguite dalle singole imprese raggruppate”. In sede di bando-tipo (determinazione 4 del 2012), l’AVCP, nell’elencare le cause di esclusione dalle gare pubbliche inerenti i raggruppamenti e i consorzi ordinari ha riassuntivamente stabilito che “Fatto salvo quanto già osservato in via generale sul necessario possesso dei requisiti di partecipazione, per i raggruppamenti temporanei ed i consorzi ordinari valgono, altresì, le seguenti cause di esclusione: 1) nel caso di lavori, mancato possesso dei requisiti secondo le percentuali minime indicate dal Codice e dal regolamento (art. 92 del regolamento) in relazione alla tipologia di raggruppamento orizzontale, verticale o misto. 86 rivista trimestrale degli appalti 2) nel caso di forniture e servizi, mancato possesso dei requisiti secondo la tipologia e la misura indicate nel bando di gara ai sensi dell’art. 275, regolamento; 3) nel caso di forniture o servizi, mancata indicazione nell’offerta delle parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati (cfr. Cons, St., Ad. plen., n. 22 del 2012); 4) in caso di RTI costituendo: - mancata sottoscrizione dell’offerta da parte di tutti gli operatori economici; - mancato impegno alla costituzione del raggruppamento – in caso di aggiudicazione della gara – mediante conferimento di mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno degli operatori stessi, già indicato in sede di offerta e qualificato come mandatario; 5) nel caso di raggruppamento costituito, violazione delle prescrizioni relative al conferimento del mandato (art. 37, commi 14 e 15); 6) violazione del divieto di associazione in partecipazione; 7) nel caso di lavori pubblici violazione delle norme in tema di indicazione e ripartizione di quote tra le imprese raggruppate secondo quanto meglio specificato nel prosieguo (art. 37, comma 13). Per esplicita previsione del comma 10 dell’art. 37, l’inosservanza dei divieti di cui al comma 9 comporta «l’annullamento dell’aggiudicazione o la nullità del contratto, nonché l’esclusione dei concorrenti riuniti in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti, concomitanti o successivi alle procedure di affidamento relative al medesimo appalto”. 3.3.Modificabilità della composizione del raggruppamento in corso di gara. – La immodificabilità soggettiva dei raggruppamenti trova fondamento nelle seguenti disposizioni del Codice degli appalti ed in particolare: - nell’art. 51 “Vicende soggettive del candidato, dell’offerente e dell’aggiudicatario”, secondo cui “1. Qualora i candidati o i concorrenti, singoli, associati o consorziati, cedano, affittino l’azienda o un ramo d’azienda, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o scissione della società, il cessionario, l’affittuario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, sono ammessi alla gara, all’aggiudicazione, alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 62, anche in ragione della cessione, della locazione, della fusione, della scissione e della trasformazione previsti dal presente codice”; dottrina 87 - nell’art. 116 “Vicende soggettive dell’esecutore del contratto” secono cui “1. Le cessioni di azienda e gli atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ai soggetti esecutori di contratti pubblici non hanno singolarmente effetto nei confronti di ciascuna stazione appaltante fino a che il cessionario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, non abbia proceduto nei confronti di essa alle comunicazioni previste dall’art. 1, d.P.C.M. 11 maggio 1991, n. 187, e non abbia documentato il possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal presente codice. 2. Nei sessanta giorni successivi la stazione appaltante può opporsi al subentro del nuovo soggetto nella titolarità del contratto, con effetti risolutivi sulla situazione in essere, laddove, in relazione alle comunicazioni di cui al comma 1, non risultino sussistere i requisiti di cui all’art. 10 sexies, l. 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni. 3. Ferme restando le ulteriori previsioni legislative vigenti in tema di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale, decorsi i sessanta giorni di cui al comma 2 senza che sia intervenuta opposizione, gli atti di cui al comma 1 producono, nei confronti delle stazioni appaltanti, tutti gli effetti loro attribuiti dalla legge. 4. Le disposizioni di cui ai commi che precedono si applicano anche nei casi di trasferimento o di affitto di azienda da parte degli organi della procedura concorsuale, se compiuto a favore di cooperative costituite o da costituirsi secondo le disposizioni della l. 31 gennaio 1992, n. 59, e successive modificazioni, e con la partecipazione maggioritaria di almeno tre quarti di soci cooperatori, nei cui confronti risultino estinti, a seguito della procedura stessa, rapporti di lavoro subordinato oppure che si trovino in regime di cassa integrazione guadagni o in lista di mobilità di cui all’art. 6, l. 23 luglio 1991, n. 223”; - nell’art. 37 comma 9 “Salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta” e comma 10 “L’inosservanza dei divieti di cui al precedente comma comporta l’annullamento dell’aggiudicazione o la nullità del contratto, nonché l’esclusione dei concorrenti riuniti in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti, concomitanti o successivi alle procedure di affidamento relative al medesimo appalto”. Il principio generale dell’immodificabilità soggettiva è vista come strumento necessario per la conoscenza dei potenziali contraenti, dei quali è fatta preliminare ed efficace verifica in ordine ai requisiti soggettivi di idoneità morale (art. 38), professionale (art. 39, Codice dei contratti), di qualificazione (art. 40), economico-finanziari (art. 88 rivista trimestrale degli appalti 41) e tecnico-professionali (art. 42): verifica altrimenti eludibile tramite alterazioni delle compagini offerenti. Sotto altro profilo, l’alterazione dei componenti “plurimi” determina una disparità di trattamento verso il concorrente singolo, al quale dopo la consegna dell’offerta è precluso il ritiro della stessa e che, quindi, ne rimane vincolato sino all’esito della gara. Il principio di immodificabilità del contraente pubblico va di pari passo con quello della “personalità” del contratto di appalto pubblico, a differenza di quello privato. Il concetto, che il Consiglio di Stato ha da tempo espresso in modo icastico nella decisione della Sez. V, 10 febbraio 2000, n. 75443, ha portato sempre la giurisprudenza ad escludere che – al di fuori dei casi di modificazioni ex art. 51 o 116, Codice (sempre subordinate al consenso della stazione appaltante) – possa verificarsi che una commessa sia aggiudicata ad una impresa aliena alla gara, i cui requisiti non siano stati prioritariamente valutati dalla pubblica amministrazione Sicché, se a determinate condizioni può ammettersi una variazione dell’aggiudicatario, singolo o plurimo, dopo l’aggiudicazione – ossia nella fase cosiddetta paritetica del rapporto – si è sempre negato che analoga circostanza potesse aversi prima, ossia nell’arco temporale compreso tra la presentazione dell’offerta e la stipulazione del contratto, cioè nella fase pubblicistica della gara, da parte di un RTI o di un consorzio, in rigida applicazione dell’art. 37, comma 9, Codice dei contratti pubblici. A tal riguardo, la rigidità è giustificata dal fatto che la posizione di partecipante alla gara è ovviamente incedibile: per il che non sussiste per l’amministrazione alcuna possibilità di procedere – nei confronti del soggetto subentrato – all’aggiudicazione o alla verifica dei requisiti oggettivi e soggettivi, con la conseguenza che, ove sia effettuata la cessione, questa non ha effetto alcuno per il divieto (ieri) dell’art. 15, comma 5-bis, l. n. 109 del 1994 ed oggi dell’art. 37 comma 9, Codice. Anzi, l’unico effetto che deriva dalla cessione opera solo per il cedente, il quale per tale negozio si ritrova privato di quella capacità imprenditoriale dichiarata in sede di offerta per l’esecuzione della commessa, per il che andrà soggetto anche all’escussione della polizza fideiussoria che correda la garanzia. Infatti, l’illegittima modificazione soggettiva del raggruppamento produce, sul piano pubblicistico, le conseguenze disciplinate dall’ art. 37, comma 10, d.lgs. n. 163 del 2006, ossia, a seconda dei casi, l’esclusione dalla procedura, l’annullamento dell’aggiudicazione e la nullità del contratto eventualmente stipulato44. (43) In De Agostini banche dati on-line. (44) Cons. St., Sez. V, 20 gennaio 2015, n. 169, in De Agostini banche dati on-line. dottrina 89 L’art. 37, ai commi 18 e 19, indica i casi in cui sono ammissibili modifiche soggettive della composizione dei raggruppamenti a seguito del verificarsi di eventi patologici che colpiscono il mandante o il mandatario: “18. In caso di fallimento del mandatario ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall’appalto. 19. In caso di fallimento di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”. Con specifico riguardo alla normativa antimafia, si sottolinea quanto disposto dall’art. 95, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (“Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli artt. 1 e 2, l. 13 agosto 2010, n. 136”) circa il fatto che, se taluna delle situazioni dalle quali emerge un tentativo di infiltrazione mafiosa (cfr. artt. 84, commi 4 e 91, comma 7 del medesimo Codice delle leggi antimafia) interessa un’impresa diversa da quella mandataria che partecipa ad un raggruppamento temporaneo, «le cause di divieto o di sospensione di cui all’art. 67 non operano nei confronti delle altre imprese partecipanti quando la predetta impresa sia estromessa o sostituita anteriormente alla stipulazione del contratto. La sostituzione può essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione delle informazioni del prefetto qualora esse pervengano successivamente alla stipulazione del contratto». Detto principio viene calmierato nelle ipotesi sopra riportate e, quindi, in caso di fallimento in corso di esecuzione del contratto di uno dei mandanti ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia; il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire. 90 rivista trimestrale degli appalti Come recentemente affermato dal Consiglio di Stato 45 “L’aggiudicazione di un appalto pubblico disposta in favore di un costituendo o costituito raggruppamento temporaneo di imprese si intende effettuata in favore della composizione del medesimo raggruppamento, così come risultante dall’impegno presentato in sede di offerta, in virtù del principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle gare (ex art. 37, comma 9, d.lgs. n. 163 del 2006, Codice degli appalti ). A tale principio, si sottraggono le sole ipotesi eccezionali di cui ai commi 18 e 19 del citato art. 37 nelle ipotesi di fallimento del mandante, del mandatario e, se si tratta di imprenditore, di morte, interdizione o inabilitazione (oltre a quelle previste dalla normativa antimafia), che tuttavia riguardano situazioni indipendenti dalla volontà del soggetto partecipante alla gara e che trovano giustificazione nell’interesse della stazione appaltante alla continuazione della gara o dell’appalto affidato”. Anche al di fuori delle ipotesi espressamente normate, deve ritenersi ammissibile il recesso di una o più imprese dal raggruppamento (e non l’aggiunta o la sostituzione), a patto che i rimanenti soggetti siano comunque in possesso dei requisiti di qualificazione per le prestazioni oggetto dell’appalto. Tale limitata facoltà può essere esercitata46 a condizione che la modifica della compagine soggettiva, in senso riduttivo, avvenga per esigenze organizzative proprie del raggruppamento o del consorzio e non per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente che recede47. In altri termini, il recesso dell’impresa componente, nel corso della procedura di gara, non può mai valere a sanare ex post una situazione di preclusione all’ammissione alla procedura in ragione della esistenza, a suo carico, di cause di esclusione. 3.4. Raggruppamenti sovrabbondanti. – Alcune precisazioni sono necessarie anche con riguardo alla discussa tematica del cd. raggruppamento sovrabbondante. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha sviluppato, nel tempo, un orientamento consistente nel suggerire alle stazioni appaltanti la possibilità di inserire nei bandi di gara clausole di esclusione dei raggruppamenti costituiti da due o più imprese che già singolarmente posseggono i requisiti finanziari e tecnici per partecipare alla gara. La costituzione di un raggruppamento che, nel concreto, presenti connotazioni tali da potersi ritenere “macroscopicamente” anticoncorrenziale si porrebbe in violazione dell’art. 101 del Trat- (45) Cons. St. Sez. V, 2 marzo 2015, n. 986, in Giuffrè banche dati on-line. (46) Cfr. Cons. St., Ad. plen., n. 8 del 2012. (47) Sul punto, v. anche Cons. St., Sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 842. dottrina 91 tato sul funzionamento dell’Unione europea, che, al pari dell’art. 2, l. 10 ottobre 1990, n. 287, vieta le intese aventi per oggetto o per effetto quello di falsare e/o restringere la concorrenza. La possibilità di escludere tali raggruppamenti dovrebbe, quindi, fondarsi sulla contemporanea convergenza di elementi di carattere formale (il possesso dei requisiti) e sostanziale (le concrete potenzialità anticoncorrenziali del raggruppamento), la cui verifica andrebbe operata dalla stazione appaltante per accertare la sussistenza di una volontà collusiva delle imprese partecipanti al raggruppamento. La previsione di una siffatta clausola di esclusione era espressamente consentita per le gare indette per l’affidamento dei servizi pubblici locali, ai sensi dell’art. 4, comma 11, lett. d, d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito dalla l. 15 settembre 2011, n. 148), caducato a seguito della declaratoria di incostituzionalità da parte della sentenza della Corte costituzionale n. 199, depositata il 20 luglio 201248. La citata norma stabiliva che, al fine di promuovere e proteggere l’assetto concorrenziale dei mercati interessati, il bando di gara o la lettera di invito potessero prevedere l’esclusione di «forme di aggregazione o di collaborazione tra soggetti che possiedono singolarmente i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara, qualora, in relazione alla prestazione oggetto del servizio, l’aggregazione o la collaborazione sia idonea a produrre effetti restrittivi della concorrenza sulla base di un’oggettiva e motivata analisi che tenga conto di struttura, dimensione e numero degli operatori del mercato di riferimento». Sul punto, è stato posto in rilievo che la vigente disciplina degli appalti pubblici non vieta ad imprese già selezionate nella fase di prequalificazione – e, dunque, già in possesso dei requisiti di partecipazione – di associarsi temporaneamente in vista della gara e che, pertanto, un raggruppamento sovradimensionato non può considerarsi, di per sé, vietato. L’art. 37, comma 12, Codice prevede, infatti, che, in caso di procedure ristrette o negoziate, ovvero di dialogo competitivo, l’operatore economico invitato individualmente o il candidato ammesso individualmente nella procedura di dialogo competitivo hanno la facoltà di presentare un’offerta o di trattare per se stessi o quali mandatari di operatori riuniti. Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa, non è dunque il sovradimensionamento del raggruppamento in sé ad essere illecito, ma «l’inserirsi di tale sovradimensionamento in un contesto di elementi di fatto che denotano i fini illeciti perseguiti con uno strumento, quello dell’ATI, in sé lecito49» ; “L’art. 34, com- (48) In De Agostini banche dati on-line. (49) Cons. St. n. 5067 del 2012, in De Agostini banche dati on-line. 92 rivista trimestrale degli appalti ma 1, lett. d, Codice dei contratti non pone alcun limite all’utilizzo di raggruppamenti anche tra soggetti operanti nella stessa fase della filiera produttiva; la chiara lettera della norma, infatti, non pone dubbi in merito alla circostanza secondo cui le associazioni temporanee di imprese hanno sempre e comunque la facoltà di presentare offerte a gare di appalto di lavori pubblici senza necessità di dimostrare incrementi di efficienza nella gestione. Laddove il legislatore ha inteso impedire l’utilizzo improprio dello strumento del raggruppamento, dunque, lo ha indicato per il tramite di una espressa previsione normativa (cfr. art. 37, comma 7, Codice dei contratti). Allo stesso modo la giurisprudenza amministrativa ha più volte chiarito che il raggruppamento orizzontale – anche sovrabbondante – non può di per sé costituire uno strumento illecito né “la partecipazione alla singola gara in raggruppamento temporaneo non è quindi sintomo sufficiente per ritenere sussistente un’intesa restrittiva della concorrenza in considerazione del fatto che quest’ultima deve avere un oggetto ben più ampio di quello riferibile alla singola gara e rappresentare al più una tessera di un ben più ampio mosaico indiziario dal quale inferire la sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale”. In tale prospettiva, dunque, non può non rilevarsi come la partecipazione in associazione temporanea di due o più imprese potrebbe essere sintomatica di una legittima forma di cooperazione tra concorrenti, utile ad accrescere il tasso di concorrenzialità del mercato, secondo la stessa ratio sottesa alle disposizioni normative che favoriscono la partecipazione alle gare degli enti plurisoggettivi. L’accordo associativo per tali ATI, come ogni rapporto tra privati, in realtà è neutro e, come tale, soggiace alle ordinarie regole sulla liceità e la meritevolezza della causa e non può dirsi di per sé contrario al confronto concorrenziale proprio dell’evidenza pubblica”50; “L’inserimento nella lex specialis di gara di un’eventuale clausola escludente di divieto di costituzione di ATI cc.dd. sovrabbondanti non è comunque possibile, atteso che, in virtù del disposto di cui all’art. 46, comma 1 bis, d.lgs. n. 163 del 2006 , (in tema di tassatività delle clausole di esclusione), detta clausola si tradurrebbe, in difetto di una sua copertura a livello legislativo o regolamentare, in una causa di esclusione atipica, come tale non ammissibile e, quindi, nulla”51. Si ritiene, quindi, non ammissibile un divieto generale di partecipazione per i raggruppamenti “sovrabbondanti”52 , dovendo la (50) TAR Lazio, Roma, Sez. I, 20 marzo 2014, n. 3046, in De Agostini banche dati on-line. (51) TAR Puglia, Bari, Sez. I, 8 gennaio 2015, n. 14, in De Agostini banche dati on-line. (52) Sul punto, Cons. St., 11 giugno 2012, n. 3402, in De Agostini banche dati on-line. dottrina 93 questione essere valutata in relazione alla eventuale concreta portata anticoncorrenziale, nella medesima ottica che connota l’art. 38, comma 1, m quater. In senso contrario, in sede di bando-tipo (determinazione n. 4 del 2012)53, l’AVCP aveva ravvisato la possibilità, per la stazione appaltante, ed entro certi limiti, di introdurre una clausola di sbarramento ai raggruppamenti sovrabbondanti che limitasse l’accesso – sebbene non in via automatica – a quei soggetti che non potevano giustificare, secondo circostanze apprezzabili, la partecipazione plurisoggettiva. A tal proposito si legge nella determina che “è ammissibile l’inserimento di una clausola di esclusione ad hoc qualora ciò sia proporzionato e giustificato in relazione alle esigenze del caso specifico, quali la complessità del servizio e/o l’assetto del mercato di riferimento, fermo restando che l’esclusione non potrà mai essere automatica. Deve, infatti, essere assicurata alle imprese la possibilità di giustificare, di fronte alla stazione appaltante, la necessità di unirsi in raggruppamento temporaneo presentando idonea documentazione. Tale giustificazione non dovrà, tuttavia, limitarsi ad una mera “autocertificazione”, ma dovrà essere basata su precisi elementi in grado di corroborare la tesi delle imprese associate quali, ad esempio, il piano di business che evidenzi l’opportunità di partecipare in RTI alla luce del valore/ dimensione/tipologia del servizio richiesto o dell’attuale stato delle imprese coinvolte (coinvolgimento in altri servizi, stato di difficoltà, temporanea impossibilità di utilizzare i mezzi a disposizione) (cfr. AGCM AS987 e AS880; v. inoltre Cons. St., Sez. VI, 24 settembre 2012, n. 5067)”. 4. Il contratto di rete. – Il contratto di rete tra imprese è uno strumento giuridico che consente alle aggregazioni di imprese di instaurare tra loro una collaborazione organizzata e duratura, mantenendo la propria autonomia e la propria individualità (senza costituire un’organizzazione come la società o il consorzio). Per aggregazioni di imprese si intende una realtà produttiva costituita da una molteplicità di imprese tra le quali intercorrono rapporti di collaborazione ed interdipendenza diversi rispetto al mero scambio di beni o prestazioni e rispetto alle comuni relazioni di concorrenza di mercato. Ci si riferisce alle aggregazioni di imprese quando una pluralità di imprese viene a costituire una realtà economico-produttiva unitaria. Le singole imprese, pur mantenendo ciascuna la propria autonomia e la propria indipendenza giuridica ed economica, per- (53) In www.anac.it. 94 rivista trimestrale degli appalti seguono, oltre al singolo interesse individuale, un interesse comune e, a tal fine, strutturano i loro rapporti in modo tale che ciascuna di esse condiziona ed è condizionata dalle altre. L’istituto del contratto di rete tra imprese è stato introdotto nell’ordinamento giuridico dall’art. 3, comma 4 ter ss., d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito in l. n. 33 del 2009, con cui è stato stabilito che “4 ter. Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”. La recente introduzione della nuova fattispecie del contratto di rete solleva un importante interrogativo riferito alla configurazione stessa che la rete contrattuale può concretamente assumere, ponendosi il dubbio se accanto a reti con cui si dà vita a un fascio di contratti di scambio tra loro uniti da un nesso di collegamento negoziale e a reti con cui si dà luogo a forme di collaborazione riconducibili alla figura del “contratto plurilaterale con comunione di scopo”, sia anche ipotizzabile la costituzione di reti di tipo stricto sensu “associativo”, ove la rete assume dunque la forma giuridica del soggetto entificato. Il che si riflette, tra l’altro, sulla corretta individuazione del confine tra reti e consorzi e del significato da attribuire alla figura dell’”organo comune”, su cui può (facoltativamente) essere incentrato il modello di governo di una rete. La “rete” cui si dà vita attraverso tale nuova figura contrattuale costituisce, in tutta evidenza e in primissima approssimazione, una fattispecie negoziale di tipo lato sensu “aggregativo”, con la quale cioè si genera un fenomeno di “aggregazione” tra imprese, che si propongono l’obiettivo di instaurare tra loro una specifica forma di reciproca collaborazione. Stando a una prima lettura del dato normativo (v. l’art. 3, comma 4 ter, primo periodo cit.), infatti: a) con il contratto di rete più imprenditori “perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”; b) il tutto “sulla base di un programma comune di rete”; c) con il quale “si obbligano” a (c-1) “scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tec- dottrina 95 nologica”, o (c-2) “a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese” o (c-3) “ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”. Le configurazioni astrattamente prospettabili sarebbero addirittura tre, in correlazione con i tre possibili scopi-mezzi che l’aggregazione reticolare potrebbe proporsi: (i) quella della pluralità o fascio di contratti di scambio uniti da un nesso di collegamento negoziale e riassunti in uno schema contrattuale unitario, propria delle reti che si propongono il fine di “scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica”; (ii) quella del contratto plurilaterale con comunione di scopo, con o senza rilevanza esterna, ma in ogni caso privo di base associativa, sottesa alle (pur variegate e multiformi) reti che si pongono il fine di “collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese”; (iii) quella del contratto associativo in senso proprio e tecnico, ravvisabile nelle reti il cui fine sia quello di “esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”. Va sottolineato che il contratto di rete, ancorchè munito di un organo comune e di un fondo patrimoniale, non è dotato di soggettività giuridica per espressa previsione normativa contenuta nell’art. 4 ter d.l. cit. secondo cui “Il contratto di rete che prevede l’organo comune e il fondo patrimoniale non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4 quater ultima parte”. Quest’ultimo, nel disciplinare l’iscrizione del contratto di rete nel registro delle imprese, dispone che, se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede e con tale iscrizione «la rete acquista soggettività giuridica» (art. 3, comma 4 quater, d.l. n. 5 del 2009). Ai fini dell’acquisto della soggettività giuridica, però, «il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82». L’acquisto della soggettività giuridica è, dunque, interamente rimesso alla libera scelta dei soggetti contraenti. Una simile opzione, atta ad incidere profondamente sulle caratteristiche di snellezza dello strumento aggregativo, che contraddistinguono il contratto di rete sin dalla prima tipizzazione, non è scevra da conseguenze sul piano della partecipazione alle procedure di gara, giacché comporta una parziale sovrapposizione del contratto di rete con fattispecie già note a livello normativo e, in particolare, con le forme consortili. Rispetto a tali fattispecie, tuttavia, il contratto di rete, pur con soggettività giuridica, continua a presentare una maggiore fles- 96 rivista trimestrale degli appalti sibilità: si pensi, in proposito, alla necessità dello scopo mutualistico proprio dei consorzi con attività esterna o alle restrizioni di carattere organizzativo e patrimoniale derivanti dalla strutturazione secondo i tradizionali schemi societari. È, altresì, vero che le parti, con la costituzione dell’organo comune, dimostrano di voler attenuare la caratteristica di estrema flessibilità propria della rete, privilegiando una maggiore stabilità del rapporto associativo. Si rammenta, infatti, che ex art. 3, comma 4 ter, lett. e, d.l. n. 5 del 2009, se il contratto di rete prevede l’istituzione di un organo comune per l’esecuzione del contratto, esso deve specificare il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. È, poi, previsto che l’organo comune agisca in rappresentanza della rete, quando essa acquista soggettività giuridica o, in assenza della soggettività e “salvo che sia diversamente disposto” nel contratto, in rappresentanza degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, “nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni (…)” (art. 3, comma 4 ter, lett. e. È da ipotizzare, pertanto, che, in forza dell’inciso “salvo che sia diversamente disposto”, l’organo comune, in assenza di soggettività giuridica, possa essere autorizzato ad agire per conto delle imprese, ma in nome proprio. In sintesi, l’organo comune agisce in rappresentanza della rete, nel caso in cui acquisti soggettività giuridica e, in assenza della soggettività, degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, salvo che sia diversamente disposto nello stesso. Con specifico riferimento alla partecipazione alle gare, le previsioni illustrate inducono a ritenere possibile una valorizzazione del rapporto costitutivo della rete, che partecipa di taluni elementi propri del contratto di mandato, qualora la stessa si sia dotata di un organo comune di rappresentanza – esso stesso parte della rete – al quale può essere conferito espressamente anche il potere di presentare domande di partecipazione od offerte per tutte o determinate tipologie di procedure di gara. L’AVCP con determinazione n. 3 del 201354 ha stabilito che il contratto di rete “postula, dunque, un’attenta considerazione della volontà negoziale delle parti contraenti, le quali devono pattiziamente decidere di contemplare la partecipazione congiunta alle procedure di gara nell’oggetto del contratto di rete – pienamente riconducibile alla categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo, per espressa previsione dell’art. 3, comma 4 ter, lett. d) del citato d.l. n. 5 del 2009 – e nel contempo, di norma, prevedere una durata dello (54) In www.anac.it. dottrina 97 stesso contratto che sia commisurata agli obiettivi programmatici e, in ogni caso, ai tempi di realizzazione dell’appalto. Pertanto, la partecipazione congiunta alle gare deve essere individuata come uno degli scopi strategici inclusi nel programma comune”. 4.1.Caratteristiche essenziali del contratto. – Il contratto deve contenere i seguenti elementi essenziali: a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva, nonché la denominazione e la sede della rete, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune ai sensi della lett. c; b) l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi; c) la definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante; le modalità di realizzazione dello scopo comune e, qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l’esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato, costituito ai sensi dell’art. 2447 bis, comma 1, lett. a, cod. civ.; d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del relativo diritto, ferma restando in ogni caso l’applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo; e) se il contratto ne prevede l’istituzione, il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto; f) le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo”. 98 rivista trimestrale degli appalti 4.2. Tipologie di contratto. – Il contratto di rete può essere costituito secondo due tipologie: 1) contratto di rete con o senza costituzione di fondo patrimoniale comune e con o senza organo comune destinato a svolgere l’attività con i terzi. In questo caso si ritiene che per le obbligazioni assunte nell’esecuzione del contratto di rete siano responsabili direttamente ed in via solidale le imprese aderenti alla rete. Se la rete non è dotata di fondo patrimoniale, non è previsto debba avere una propria denominazione, né una propria sede, non è nemmeno soggetta all’obbligo di redazione annuale della situazione patrimoniale. 2) Contratto di rete con costituzione di fondo patrimoniale comune, inteso quale dotazione patrimoniale destinata all’esecuzione del programma di rete e organo comune destinato a svolgere l’attività con i terzi. Se il contratto prevede il fondo patrimoniale, allora la rete può iscriversi presso il registro delle imprese. In questo caso, per espressa previsione legislativa, con l’iscrizione nel registro la rete acquista soggettività giuridica. L’attuale contesto normativo offre, pertanto, agli imprenditori che intendono costituire una rete di imprese, ai sensi dell’art. 3, d.l. n. 5 del 2009, l’alternativa fra due diverse forme giuridiche: l’adozione di un modello contrattuale “puro” di rete di imprese (cosiddetta “rete-contratto”) oppure la creazione di un nuovo soggetto giuridico (cosiddetta “rete-soggetto”). 4.2.1. La “rete-soggetto”. – I decreti crescita hanno introdotto la possibilità per la rete dotata di fondo patrimoniale comune di acquisire la soggettività giuridica, facoltativa e condizionata all’iscrizione del contratto di rete nel registro delle imprese. La rete di imprese, per effetto dell’iscrizione, diviene un nuovo soggetto di diritto (rete-soggetto) e, in quanto autonomo centro di imputazione di interessi e rapporti giuridici, acquista rilevanza anche dal punto di vista tributario. La rete-soggetto, infatti, costituisce, sotto il profilo del diritto civile, un soggetto “distinto” dalle imprese che hanno sottoscritto il contratto . Per quel che concerne i rapporti tra le imprese partecipanti e la rete, si ritiene che essi debbano essere considerati rapporti di natura partecipativa analoghi a quelli esistenti tra soci e società. Con il conferimento al fondo patrimoniale della rete-soggetto, quindi, l’impresa aderente assume lo status di partecipante. La contribuzione al fondo patrimoniale da parte delle imprese aderenti al contratto di rete comune deve essere trattata quale “partecipazione” alla rete-soggetto che rileverà, al pari dei conferimenti in società, sia contabilmente sia fiscalmente. dottrina 99 4.2.2. La “rete-contratto”. – Nella rete-contratto la titolarità di beni, diritti, obblighi ed atti è riferibile alle singole imprese partecipanti. La titolarità delle situazioni giuridiche rimane individuale dei singoli partecipanti, sebbene l’organo comune possa esercitare una rappresentanza unitaria nei confronti dei terzi. Nella rete priva di soggettività giuridica, infatti, il fondo comune – se esistente – costituisce un complesso di beni e diritti destinato alla realizzazione del programma comune di rete e i rapporti esistenti tra gli imprenditori partecipanti alla rete e l’organo comune sono riconducibili alla figura del mandato con rappresentanza. Di conseguenza gli atti posti in essere da parte del soggetto designato a svolgere l’ufficio di organo comune incaricato dell’esecuzione del contratto o di una o più parti di esso – che agisce in veste di mandatario con rappresentanza dei contraenti – produce effetti giuridici direttamente nelle sfere individuali dei singoli rappresentati. La spendita del nome dei singoli soggetti rappresentati da parte dell’organo comune rende possibile, infatti, la diretta imputazione delle operazioni compiute ai singoli partecipanti. Viceversa gli eventuali atti posti in essere dalle singole imprese o dall’“impresa capofila” – che operano senza rappresentanza – non comportano alcun effetto sulla sfera giuridica delle altre imprese partecipanti al contratto. Secondo la tesi più diffusa presso i primi commentatori55, le configurazioni o modelli organizzativi che una rete potrebbe di volta in volta adottare sarebbero riconducibili a due distinte tipologie: quella delle reti di tipo “associativo” in senso proprio e pieno; e quella delle reti di tipo meramente “contrattuale interno”, non associativo. In particolare, per quanto riguarda le reti il cui fine sia quello di “esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”, le argomentazioni spendibili in favore della ammissibilità di una configurazione associativa, sono per vero numerose. In primo luogo, parrebbe militare in suo favore un argomento, (55) V., tra gli altri, F. Cafaggi, P. Iamiceli, La governance del contratto di rete, in, Il contratto di rete. Commentario, a cura di F. Cafaggi, Bologna, 2009, p. 45 ss.; F. Cafaggi, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, cit., 919 (ma v. poi Id., Il contratto di rete nella prassi. Prime riflessioni, in Contratti, 2011, 504 ss.); P. Iamiceli, Dalle reti di imprese al contratto di rete: un percorso (in)compiuto, cit., p. 25 ss.; D. Corapi, Dal consorzio al contratto di rete: spunti di riflessione, in, Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di P. Iamiceli, cit., p. 167 ss.; G. Villa, Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, ivi, p. 110 ss.; Id., Reti di imprese e contratto plurilaterale, in Giur. comm., 2010, I, p. 952 ss.; V. Cuffaro, Contratti di impresa e contratti tra imprese, in Corr. mer., 2010, p. 7 s.; G.D. Mosco, Frammenti ricostruttivi del contratto di rete, in Giur. comm., 2010, I, p. 848 ss. 100 rivista trimestrale degli appalti di taglio nel contempo letterale e sistematico, ricavabile dal riferimento testuale alla possibilità di nominare un “organo” comune [art. 3, comma 4 ter, secondo periodo, nonché terzo periodo, lett. e)]. Come è noto, difatti, l’organo è figura di produzione di fattispecie ed effetti giuridici direttamente imputati all’ente per il quale agisce (ente che, a sua volta e reciprocamente, costituisce appunto figura o centro di imputazione delle fattispecie e degli effetti giuridici promananti dall’azione dell’organo). Sicché, la presenza di un organo in senso proprio e tecnico è per sua natura correlata a un fenomeno di rappresentazione (o imputazione o immedesimazione) organica: e dunque, per quanto qui interessa, la presenza dell’organo presupporrebbe l’esistenza di un soggetto giuridico entificato, al quale le relative azioni e i conseguenti effetti giuridici sarebbero ascritti e imputati. In questa prospettiva, dunque, sarebbe ragionevole sostenere che, istituendo un organo di rete, i contraenti darebbero vita a un centro di “produzione” di regole di azione e/o di atti e/o di attività imputati all’ente (soggetto giuridico, centro autonomo di “imputazione”) per il quale l’organo agisce: ente che, nel caso di specie, sarebbe quindi la “rete” stessa, di cui sarebbe per tale via confermata la natura di soggetto giuridico entificato. Un secondo argomento, nuovamente di valenza letterale e nello stesso tempo sistematica, è quello che sarebbe dato desumere dall’espressione “esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”. La locuzione “esercizio in comune”, difatti, si riscontra significativamente proprio nel corpo dell’art. 2247, cod. civ., in punto di individuazione dei tratti caratteristici e qualificanti del “contratto di società”, ove è intesa, stando all’interpretazione oggi forse prevalente e più accreditata, proprio nel senso di esercizio di attività giuridicamente riferibile non già ai singoli soci individualmente intesi, ma a un nuovo e separato centro di imputazione (la società come soggetto entificato) che trae vita dal contratto di società. Altro indice ermeneutico in favore della possibile costituzione di reti associative sarebbe poi quello ricavabile dal rinvio agli artt. 2614 e 2615 cod. civ. [art. 3, comma 4 ter, terzo periodo, lett. c, ultima parte, a tenore del quale “Al fondo patrimoniale comune costituito ai sensi della presente lettera si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 2614 e 2615, cod. civ.”], idoneo a fondare un regime di autonomia patrimoniale, come tale ragionevolmente riferibile, per lo meno in prima battuta e sempre in chiave di interpretazione sistematica, a un centro di imputazione soggettivo autonomo e separato dalle parti del contratto. Non avrebbe senso, si potrebbe invero opinare, l’applicazione di un regime di autonomia patrimoniale se non in presenza di un patrimonio dottrina 101 autonomo e separato da quello dei contraenti; e sarebbe allora ragionevole indurne che detto patrimonio, lungi dall’essere acefalo, sarebbe per l’appunto ascritto e imputato a quel medesimo centro soggettivo entificato cui lo stesso organo di rete imputa le proprie azioni e i correlativi effetti giuridici. Un’ultima argomentazione, per vero poco significativa, ma che potrebbe fungere da supporto sul piano storico e teleologico a conclusioni fondate sulle più solide considerazioni che precedono, consisterebbe infine nell’ammonire che, a voler invece optare per un’interpretazione di segno opposto e restrittivo, si finirebbe per mortificare eccessivamente la portata innovativa e l’efficacia della nuova disciplina, come voluta e sollecitata dalle stesse associazioni di categoria che si sono rese fautrici dell’introduzione e del successivo affinamento di una normativa che consentisse un rilancio, qualitativo oltre che quantitativo, delle opzioni strutturali e funzionali disponibili per la realizzazione di progetti di integrazione interimprenditoriale. Ove fosse questa la soluzione sistematicamente più corretta, allora, si potrebbe altresì affermare che la rete associativa costituirebbe una sorta di figura associativa residuale, che si aggiungerebbe alle ulteriori figure associative residuali già note alla nostra migliore dottrina. Come la società semplice e la società in nome collettivo sono descritte come figure associative residuali di esercizio in comune di attività economiche non commerciali o, rispettivamente, commerciali, a fini di lucro e come l’associazione non riconosciuta è descritta come figura associativa residuale di esercizio in comune di attività non economiche o di attività economiche a fini non di lucro, allo stesso modo oggi la rete associativa potrebbe essere individuata e descritta come figura associativa residuale per l’esercizio in comune di attività economiche a fini di cooperazione (o mutualità) interaziendale. La sua specificità starebbe (un po’ come per l’associazione non riconosciuta) nella circostanza che si tratterebbe di fattispecie (quasi completamente) destrutturata e dunque (quasi completamente) rimessa, nella costruzione del suo schema organizzativo/patrimoniale, alla libera autonomia negoziale. E proprio in ciò potrebbe essere colta la sua funzione: quella di occupare, nell’ambito delle figure associative con finalità di cooperazione interaziendale, lo spazio non coperto da altri contratti tipici e, segnatamente e in prima battuta, dal consorzio. Non mancherebbero, dunque, argomenti ermeneutici in favore della (da più parti) auspicata ammissibilità di reti di tipo associativo. Ciononostante, soprattutto a seguito delle modifiche apportate col d.l. n. 78 del 2010, risultano oggi nettamente prevalenti e di maggior peso le argomentazioni che spingono a negare, de iure con- 102 rivista trimestrale degli appalti dito, la possibile configurazione associativa del contratto di rete56. In tal senso già è possibile trarre indicazioni, se non decisive, per lo meno suggestive, da una valutazione e da un’analisi – per così dire – in “negativo” della disciplina dettata in riferimento al contenuto del contratto di rete. In particolare, non può non apparire significativo il fatto che la legge non richieda, tra le indicazioni essenziali del contratto di rete, quella relativa alla denominazione della rete medesima. E per cogliere appieno la portata della mancata indicazione, è utile rammentare che nel consorzio, che pure costituisce un archetipo storico e sistematico di riferimento nell’ambito dei fenomeni aggregativi con cui si attuano forme di collaborazione interaziendale, la “denominazione” sia richiesta dalla legge con riferimento ai consorzi con attività esterna (art. 2612, comma 2, n. 1, cod. civ.) e non anche nei consorzi interni (art. 2603, comma 1, n. 1, cod. civ.), che, per l’appunto, diversamente dai primi, sono contratti plurilaterali con comunione di scopo, ma di tipo non “associativo”. Nella stessa prospettiva, è del pari significativo altresì il fatto che non sia richiesta neanche l’indicazione di una sede della rete. Ma se quelle appena accennate costituiscono, per l’appunto, suggestioni, la cui valenza potrebbe non apparire decisiva in quanto, si potrebbe sostenere, si tratta di argomentazioni di segno “negativo” e per di più superabili attraverso un accorto utilizzo dell’autonomia negoziale, assai più rilevante, ed anzi decisivo in chiave sistematica, è il modo in cui è disciplinata la pubblicità della rete (rectius, del contratto di rete). Ed invero, è prescritta l’iscrizione nel registro delle imprese del “contratto” e non già della “rete” come soggetto (art. 3, comma 4 quater). E se è vero che – come si potrebbe obiettare – anche nel caso delle società, così come in quello dei consorzi con attività esterna, l’iscrizione dell’ente avviene mediante l’iscrizione del suo contratto (cfr. ad esempio gli artt. 2296, 2330 e 2612 cod. civ.), non (56) V. Donativi, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance, Società, 2011, n. 12, p. 1429; M. Sciuto, Imputazione e responsabilità nel contratto di rete (ovvero dell’incapienza del patrimonio separato), in www.associazionepreite. it, p. 10 ss.; E. Briganti, La nuova legge sui “contratti di rete” tra le imprese: osservazioni e spunti, in Notariato, 2010, p. 194; F. Cirianni, Il contratto di rete, in ivi, 2010, p. 442 ss.; A. Gentili, Il contratto di rete dopo la l. n. 122 del 2010, in Contratti, 2011, p. 617 ss.; Id., Una prospettiva analitica su reti di imprese e contratti di rete, in Obbligazioni e contratti, 2010, p. 90; D. Scarpa, La responsabilità patrimoniale delle imprese contraenti per le obbligazioni assunte a favore di una rete tra loro costituita, in Resp. civ., 2010, p. 406; Id., Integrazione di imprese e destinazione patrimoniale, in Contr. e impr., 2010, p. 168 ss.; P. Zanelli, Reti di imprese: dall’economia al diritto, dall’istituzione al contratto, ivi, 2010, p. 952 s. e p. 969; M. Maltoni, Il contratto di rete. Prime considerazioni alla luce della novella di cui alla L. n. 122/2010, in Notariato, 2011, p. 65 s. dottrina 103 va però trascurato il fatto che l’iscrizione avviene sempre, in tali ultimi casi, in una posizione di registro delle imprese autonoma e separata, aperta proprio in nome dell’ente (la società, il consorzio, ecc.) che viene costituito. Per contro, nel caso della rete, il contratto è iscritto all’interno delle posizioni già aperte in nome delle imprese aderenti alla rete (art. 3, comma 4 quater, a tenore del quale “Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari”). Altra argomentazione decisiva, sul piano letterale e sistematico, può trarsi dal riferimento alla figura dell’”organo comune” di rete. Si è detto poc’anzi come, a stretto rigore, la presenza di un “organo” potrebbe e dovrebbe costituire il principale indice ermeneutico in favore della possibile configurazione associativa della rete. Eppure, a ben vedere, il modo in cui l’organo è qualificato e disciplinato offre spunti interpretativi in direzione esattamente opposta. Ed invero, in primo luogo, l’organo della rete è espressamente qualificato come “organo comune” [art. 3, comma 4 ter, secondo periodo, nonché terzo periodo, lett. e]. Ed è allora palese che il significato che gli attribuisce il legislatore, nella norma in commento, non potrebbe essere quello dell’organo inteso come centro di produzione e di imputazione nell’ambito di un fenomeno di “immedesimazione organica” tipico della persona giuridica, poiché in quel caso l’organo non sarebbe “comune” alle parti contraenti, ma sarebbe riferibile, in via diretta ed esclusiva, alla rete quale soggetto giuridico entificato. Ancor più, l’organo in questione è, testualmente, incaricato di gestire “in nome e per conto dei partecipanti l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso” (art. 3, comma 4 ter, secondo periodo), sicché, per espressa previsione di legge, esso agisce non già in nome e per conto della rete, ma in nome e per conto dei “partecipanti” alla rete. Ed ancora, e sempre testualmente, l’organo può essere investito di poteri di gestione e di rappresentanza che gli verrebbero conferiti come “mandatario comune” [v. ancora l’art. 3, comma 4 ter, terzo periodo, lett. e)]: ancora una volta, dunque, non già come centro di produzione e di imputazione di azioni ed effetti giuridici direttamente in capo al soggetto giuridico cui i partecipanti alla rete avrebbero dato vita; ma piuttosto come soggetto che agisce, secondo gli schemi del “mandato”, per conto ed eventualmente in nome dei partecipanti alla rete come tali. Né si potrebbe obiettare che quelle menzionate sarebbero attività che l’organo potrebbe essere chiamato a svolgere in via eventuale ed accessoria, come un di più rispetto a un’attività comune e ordi- 104 rivista trimestrale degli appalti naria che svolgerebbe invece in nome e per conto della rete come soggetto entificato. La formulazione della norma, difatti, è nel senso che quella descritta sia l’attività tipica e propria dell’organo così eventualmente costituito. Resterebbe, da ultimo, da fare i conti col richiamo [ad opera dell’art. 3, comma 4 ter, terzo periodo, lett. c, ultima parte] agli artt. 2614 e 2615, cod. civ., che, avendo ad oggetto una disciplina con cui si radica l’autonomia patrimoniale del consorzio con attività esterna, presenta assonanze evocative di una possibile configurazione associativa della rete. E tuttavia, a ben guardare, l’argomento che se ne vorrebbe desumere sarebbe anch’esso tutt’altro che decisivo. In primo luogo, difatti, non potrebbe trascurarsi il fatto che il regime di autonomia patrimoniale scaturente dal rinvio è testualmente riferito ed ascritto non già alla rete come tale (ovverosia alla rete come soggetto entificato), ma direttamente al “fondo patrimoniale comune” costituito con i conferimenti iniziali e con gli eventuali contributi successivi dei partecipanti. Esso, inoltre, è accompagnato dalla locuzione “in quanto compatibili”, che avrebbe poco senso se il regime normativo richiamato dovesse essere applicato secondo lo schema ordinario e comune con cui è congegnato, ovverosia se desse vita anche qui a un normale caso di autonomia patrimoniale riferibile a un separato centro soggettivo di imputazione. Sembra invece plausibile che il congegno cui il legislatore ha inteso fare riferimento sia nel senso della costruzione di un’ipotesi (tutt’altro che nuova o sconosciuta al nostro ordinamento) di patrimonio autonomo acefalo, dotato di una propria autonomia patrimoniale tendenzialmente perfetta. Si tratterebbe, in buona sostanza, di una sorta di “cassa comune”, alimentata da conferimenti (iniziali) e contributi (successivi ed eventuali) e dotata, appunto, di una propria autonomia patrimoniale 57. Il che spiegherebbe come mai, anche sul piano della formulazione letterale, si parli di “fondo patrimoniale comune”, anziché di “fondo patrimoniale della rete” (o, meglio ancora, di “patrimonio della rete”). Ponendosi in tale prospettiva ermeneutica, infine, si riesce anche a “smitizzare” la portata sistematica della locuzione “esercizio in comune”, cui il dettato normativo, come si è visto, fa riferimento. (57) C. Camardi, Dalle reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, in Reti di imprese e contratto di rete: spunti per un dibattito, a cura di F. Macario, C. Scognamiglio, cit., p. 931. dottrina 105 L’espressione, invero, ben potrebbe essere intesa, senza con ciò privare il dettato normativo di un suo specifico significato, nel senso di esercizio “coordinato”, o, se si vuole, sottoposto all’attività di direzione e di coordinamento posta in essere dalla rete e attraverso la rete, ovverosia nel rispetto e col filtro degli schemi organizzativi e di governo che il contratto di rete avrà cura di individuare. In comune, dunque, non già nel senso di esercizio imputato a un soggetto entificato emanazione “comune” delle imprese aderenti, ma piuttosto nel senso di esercizio di attività che, pur rimanendo giuridicamente imputato alle singole imprese partecipanti alla rete, sarebbe appunto “coordinato” attraverso un’organizzazione “comune”. 5. Partecipazione delle reti di impresa alle gare pubbliche. – Il novellato art. 34, comma 1, lett. e bis, ammette a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici «le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell’art. 3, comma 4 ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla l. 9 aprile 2009, n. 33»; la medesima disposizione soggiunge, poi, che «si applicano le disposizioni dell’art. 37». Benché, secondo il consolidato orientamento dell’AVCP e della giurisprudenza, l’elenco contenuto nell’art. 34 non abbia natura tassativa, l’intervenuto chiarimento risulta quanto mai opportuno, soprattutto in ragione del rinvio espresso all’art. 37 che, come noto, reca la disciplina dei raggruppamenti temporanei (RTI) e dei consorzi ordinari di concorrenti. Nello specifico, il nuovo comma 15 bis del citato art. 37 ribadisce che «le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione, in quanto compatibili, alla partecipazione alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete, di cui all’art. 34, comma 1, lett. e bis». Il legislatore lascia, quindi, all’interprete il compito di chiarire quali siano i limiti di compatibilità tra le ordinarie regole valevoli per RTI e consorzi e le specificità proprie del contratto di rete. Quanto alla qualificazione, è, in ogni caso, necessario che tutte le imprese della rete che partecipano alla procedura di gara siano in possesso dei requisiti generali di cui all’art. 38 Codice e li attestino in conformità alla vigente normativa. Ciò a prescindere dalla tipologia e dalla struttura della rete e, pertanto, in tutti i casi esaminati nei precedenti paragrafi. Con riguardo ai requisiti speciali di partecipazione, essendo stata l’aggregazione tra gli aderenti al contratto di rete “strutturalmente” assimilata dal Codice al raggruppamento temporaneo di imprese (RTI), trovano applicazione le regole in tema di qualificazione previste dall’art. 37, Codice e dagli artt. 92 e 275, regolamento (d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207) per gli appalti di lavori, servizi e forniture; 106 rivista trimestrale degli appalti dall’art. 90, comma 1, lett. g), Codice e dall’art. 261, comma 7, regolamento per quanto riguarda i servizi di ingegneria e architettura. Le aggregazioni si dovranno strutturare secondo la tipologia dei raggruppamenti orizzontali e verticali in conformità alle disposizioni dell’art. 37, Codice. In linea generale, sussiste, inoltre, il divieto di partecipazione alla gara, anche in forma individuale, delle imprese che già partecipano per mezzo della aggregazione di imprese retiste, ai sensi dell’art. 37, comma 7, Codice. Alla luce delle considerazioni che precedono, si conferma, pertanto, che, come prospettato nell’atto di segnalazione dell’AVCP n. 2 del 201258, occorre effettuare una differenziazione, ai fini della partecipazione alle gare, a seconda del diverso grado di strutturazione della rete. 5.1. Rete dotata di organo comune con potere di rappresentanza, ma priva di soggettività giuridica (rete-contratto). Modalità di partecipazione. Qualificazione. – Nel caso di rete priva di soggettività giuridica, ma dotata di organo comune con potere di rappresentanza, quest’ultimo può svolgere il ruolo di mandataria, laddove in possesso dei necessari requisiti di qualificazione e qualora il contratto di rete rechi il mandato allo stesso a presentare domande di partecipazione o offerte per tutte o determinate tipologie di procedure di gara. Tuttavia, il mandato, contenuto nel contratto di rete, è condizione necessaria, ma non sufficiente, in quanto la volontà di tutte o parte delle imprese retiste di avvalersi di una simile possibilità, per una specifica gara, deve essere confermata all’atto della partecipazione, mediante la sottoscrizione della domanda o dell’offerta. Tale atto formale, unitamente alla copia autentica del contratto di rete, che già reca il mandato, integra un impegno giuridicamente vincolante nei confronti della stazione appaltante. Secondo l’AVCP (determinazione n. 3 del 2013) è altresì, necessario che, a monte, il contratto di rete sia stato redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25 del CAD, al fine di fornire idonee garanzie alla stazione appaltante circa l’identità delle imprese retiste. Qualora le suesposte condizioni siano rispettate, l’organo comune stipulerà il contratto in nome e per conto dell’aggregazione di imprese retiste. Qualora, invece, l’organo comune non possa svolgere il ruolo di mandataria (ad esempio perché privo di adeguati requisiti di qualificazione, neanche ricorrendo all’istituto dell’avvalimento ex art. 49, Codice) è sempre possibile ricorrere alla soluzione descritta infra § 5.2. (58) In www.anac.it. dottrina 107 Per la qualificazione nel settore dei lavori pubblici, prima dell’abrogazione del comma 13 dell’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006 ad opera dell’art. 12 (commi 8 e 9) d.l. 28 marzo 2014, n. 47, trovano applicazione le regole (dettate dall’art. 37, commi 3 e 13, Codice) che imponevano una corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione, quote di partecipazione e quote di esecuzione dei lavori. Le quote di partecipazione erano da riferirsi all’“aggregazione” tra le imprese retiste partecipante all’appalto. Restano ferme le ulteriori disposizioni in tema di ripartizione tra mandataria e mandanti in caso di raggruppamenti di tipo verticale (art. 37, comma 6) nonché quelle in tema di opere di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica (art. 37, comma 11), così come integrate dalle applicabili disposizioni del regolamento. In seguito all’abrogazione del comma 13 dell’art. 37, d.lgs. n. 163 del 2006, l’ANAC, con bando-tipo n. 2 del 201459 ha stabilito che “Sempre con riguardo ai RTI occorre tener conto, inoltre, di quanto disposto dall’art. 12 (commi 8 e 9) del citato d.l. 28 marzo 2014, n. 47 che ha abrogato il comma 13 dell’art. 37 e modificato l’art. 92, comma 2, Codice. Per effetto della novella normativa, è venuto meno il principio di corrispondenza sostanziale tra quote di qualificazione, quote di partecipazione al raggruppamento e quote di esecuzione dei lavori (cfr. determinazione AVCP n. 4 del 10 ottobre 2012). Il novellato art. 92 comma 2 stabilisce, infatti, che “(...) Le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio, indicate in sede di offerta, possono essere liberamente stabilite entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti dall’associato o dal consorziato. Nell’ambito dei propri requisiti posseduti, la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con riferimento alla specifica gara. I lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate”. Resta fermo il principio secondo cui la mandataria deve essere in possesso di almeno il 40% dei requisiti di qualificazione e che le mandanti devono continuare a coprire, cumulativamente, il restante 60%, coprendone almeno il 10% ciascuna. Rispetto alla precedente formulazione dell’art. 92, comma 2, si evince, quindi, che le quote di partecipazione al raggruppamento possono essere ora liberamente stabilite, nel rispetto ovviamente dei (59) In www.anac.it. 108 rivista trimestrale degli appalti limiti di qualificazione di ciascun componente del raggruppamento e dei vincoli sopra richiamati (almeno il 40% per la mandataria e almeno il 10% per le mandanti)”. Per i servizi e le forniture, il riferimento è al comma 4 dell’art. 37, per cui nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici retisti. 5.2. Rete dotata di organo comune privo di potere di rappresentanza o reti sprovviste di organo comune. Modalità di partecipazione. Qualificazione. – Laddove il contratto di rete escluda il potere di rappresentanza, per cui l’organo comune agisce in nome proprio, l’aggregazione delle imprese retiste partecipa nella forma del raggruppamento, costituendo o costituito, con applicazione integrale delle relative regole, salvo quanto si osserverà circa la forma del mandato. Nel caso di raggruppamento costituendo, devono, quindi, essere osservate le seguenti formalità: sottoscrizione dell’offerta o della domanda di partecipazione delle imprese retiste parte dell’aggregazione interessata all’appalto; sottoscrizione dell’impegno che, in caso di aggiudicazione dell’appalto, sarà conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad una delle imprese retiste partecipanti alla gara, per la stipula del relativo contratto. In alternativa, è sempre ammesso il conferimento del mandato prima della partecipazione alla gara, alla stessa stregua di una ATI costituita. Quanto alla forma del mandato l’AVCP con determinazione n. 3 del 2013 ha specificato che, al fine di non gravare di oneri eccessivi le imprese che hanno già sottoscritto il contratto di rete, il mandato può avere, alternativamente, la forma di: 1. scrittura privata non autenticata sottoscritta, anche digitalmente, dagli operatori economici aderenti alla rete, purché il contratto di rete sia stato redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata o firmata digitalmente ai sensi dell’art. 25 del CAD; in detta evenienza, si reputa che la scrittura non autenticata dovrà essere prodotta unitamente alla copia autentica del contratto di rete; 2. scrittura privata autenticata, nel caso di contratto di rete redatto in forme diverse da quelle sub 1). Per la qualificazione, dal momento che l’aggregazione delle imprese retiste partecipa nella forma di un vero e proprio RTI, si applica la disciplina prevista dall’art. 37. 5.3. Rete dotata di organo comune e di soggettività giuridica. Modalità di partecipazione. Qualificazione. – In tal caso, atteso il potere riconosciuto all’organo comune di agire in rappresentanza della rete (nel cui programma strategico rientri la partecipazione dottrina 109 congiunta a procedure di gara), l’aggregazione tra le imprese aderenti al contratto di rete partecipa a mezzo dell’organo comune, esso stesso parte della rete e qualora in possesso dei requisiti di qualificazione previsti per la mandataria. Conseguentemente, la domanda o l’offerta presentata dall’organo comune, assieme alla copia autentica del contratto di rete, costituiscono elementi idonei ad impegnare tutte le imprese partecipanti al contratto di rete, salvo diversa indicazione in sede di offerta. Può, infatti, ritenersi che, analogamente a quanto previsto dall’art. 37, comma 7, ultimo periodo, Codice, con riferimento ai consorzi di cui all’art. 34, comma 1, lett. b, l’organo comune debba indicare, in sede di offerta, la composizione della aggregazione tra le imprese aderenti al contratto di rete che partecipa alla specifica gara; alle imprese indicate è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara. Per quanto riguarda le formalità di partecipazione alla gara, il contratto potrà, pertanto, essere stipulato mediante atto pubblico, scrittura privata autenticata, ovvero atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25 del CAD, vale a dire con firma elettronica o altro tipo di firma avanzata autenticata da notaio o altro pubblico ufficiale. Tuttavia, come rilevato, il contratto di rete deve essere prodotto, in copia autentica, all’atto della partecipazione alla gara, in quanto da esso emergono i poteri dell’organo comune a presentare l’offerta/domanda ed a sottoscrivere il relativo contratto. Qualora le suesposte condizioni siano rispettate, l’organo comune stipulerà il contratto in nome e per conto dell’aggregazione di imprese retiste. Nonostante questa tipologia di rete abbia soggettività giuridica che la dovrebbe assimilare ai consorzi stabili ai fini della qualificazione alla gara, tuttavia tale completa assimilazione non è possibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, il dato letterale dell’art. 37 comma 15 bis, d.lgs. n. 163 del 2006 che prevede espressamente che “le disposizioni di cui al presente articolo trovano applicazione, in quanto compatibili, alla partecipazione alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete, di cui all’art. 34, comma 1, lett. e bis)”. In secondo luogo, in quanto non esiste alcun’altra disposizione di legge che consenta una qualificazione autonoma alla rete al pari del consorzio stabile. Si pensi al settore dei lavori pubblici, ove la rete non potrebbe ricevere un’attestazione SOA cumulativa che la possa autorizzare alla partecipazione alla gara. Pertanto, l’AVCP (determinazione n. 3 del 2013) ha ritenuto che debbano applicarsi le medesime regole esposte per la rete dotata di organo comune con potere di rappresentanza ma priva di soggettività giuridica. Anche in tale ipotesi, le quote di partecipazione sono da riferirsi all’“aggregazione” tra le imprese retiste che partecipa all’appalto. 110 rivista trimestrale degli appalti 6. La fase esecutiva. – Ai sensi del comma 5 dell’art. 37, Codice, l’offerta dell’aggregazione di imprese retiste che partecipa alla gara determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, nonché nei confronti del subappaltatore e dei fornitori. Per gli assuntori di lavori scorporabili e, nel caso di servizi e forniture, per gli assuntori di prestazioni secondarie, la responsabilità è limitata all’esecuzione delle prestazioni di rispettiva competenza, ferma restando la responsabilità solidale dell’impresa che svolge il ruolo di mandataria. Tale responsabilità non è, dunque, estesa ai soggetti che, seppur sottoscrittori del contratto di rete, non abbiano partecipato alla specifica procedura di gara tramite l’aggregazione. Il citato art. 37, comma 5, deve intendersi quale norma speciale prevalente su pattuizioni o norme volte a limitare detta responsabilità nei confronti della stazione appaltante. Con riguardo all’eventuale recesso o estromissione dal contratto di rete, in fase di partecipazione, trova applicazione la disciplina generale dettata dal combinato disposto dei commi 9, 18 e 19 dell’art. 37 (sul punto, cfr. determinazione AVCP n. 4 del 2012). A valle della stipulazione del contratto di appalto, deve ritenersi che l’eventuale recesso o l’estromissione dal contratto di rete non possano, in alcun caso, essere opposti alla stazione appaltante; in altri termini, essi non valgono ad alterare i vincoli formalizzati nel contratto d’appalto stesso. 7. Cenni alla differenza tra rete-contratto e consorzio (senza attività esterna). – Troppo debole sarebbe l’ipotesi di ravvisare la differenza nella circostanza che il consorzio avrebbe ad oggetto la disciplina o lo svolgimento di “fasi” delle imprese consorziate, mentre la rete (per menzionare il terzo dei possibili scopi-mezzi, che ha maggiore assonanza col dettato di cui all’art. 2602 cod. civ.) potrebbe avere ad oggetto l’esercizio in comune di una o più “attività” rientranti nell’oggetto delle imprese contraenti. E ciò quanto meno perché la nozione di attività è ben compatibile con l’ipotesi che col contratto di rete si mettano a fattor comune delle fasi, piuttosto che delle intere attività d’impresa. Del pari, sarebbe debole l’argomento che volesse ravvisare nella rete la risposta a un’istanza di massima flessibilità organizzativa/ strutturale, atteso che la stessa disciplina del consorzio è eminentemente dispositiva e, sotto questo profilo, era ed è già ampiamente caratterizzata da una altissimo grado di autonomia negoziale. Sembra invece possibile affermare che il rapporto tra le due figure possa essere descritto come quello che si pone tra due cerchi (o insiemi) collocati in posizione di parziale reciproca sovrapposizione. E che, per contro, non si tratta né di cerchi concentrici, né dottrina 111 di insiemi del tutto separati e privi di qualsiasi sovrapposizione60. Contro quest’ultima ipotesi, invero, è sufficiente far leva sul fatto che, sotto il profilo causale, lo scopo-fine del contratto di rete (“accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”) è solo una species del genus delle finalità di cooperazione interaziendale che qualificano e connotano i consorzi. Sarebbe assolutamente pacifico e non dubitabile, cioè, che nulla impedirebbe di costituire un consorzio che si ponga fini di cooperazione interaziendale tali da consentire di realizzare lo scopo ultimo di accrescere, individualmente e collettivamente, la capacità innovativa e la competitivà delle imprese consorziate. E del pari, e correlativamente, nulla impedirebbe di configurare il consorzio così costituito come consorzio interno o non, piuttosto, che come consorzio con attività esterna. E ciò pur senza indugiare sul fatto che, a detta di molti, lo scopo fine delle reti sarebbe descritto in termini così ampi e generici da impedire di scorgervi una specificità e da consentire invece di reputarlo sotteso a qualunque progetto di cooperazione interaziendale. Così ragionando, allora, potrebbe astrattamente prendere corpo l’ipotesi della ricostruzione come fattispecie collocabili all’interno di insiemi che si pongono in termini di reciproca interrelazione come cerchi concentrici. Ma così facendo non si attribuirebbe il necessario rilievo al fatto che il consorzio, diversamente dalla rete, potrebbe realizzare i medesimi obiettivi attraverso una struttura di tipo associativo; e che la sola rete non associativa, e non anche il consorzio interno, gode di una disciplina di favore (sul piano della parziale “rilevanza esterna” della propria operatività) in termini di autonomia patrimoniale perfetta del fondo comune costituito coi conferimenti e i contributi delle imprese partecipanti alla rete, di conferimento ex lege di determinati poteri di rappresenza all’organo comune e di possibilità, offerta alle imprese partecipanti alla rete, di accedere a specifiche agevolazioni tributarie in termini di imposta applicabile agli utili destinati alla formazione del fondo patrimoniale comune. La differenza tra reti (non associative) e consorzi (senza attività esterna) va dunque ravvisata in una duplice direzione. In primo luogo, la differenza sta nel fatto che per costituire una “rete” nel senso della disciplina qui in commento non è sufficiente proporsi uno dei tre possibili scopi-mezzi precedentemente rammentati e descritti, ma è necessario che le imprese partecipanti si prefiggano uno specifico obiettivo finale, necessariamente e indero- (60) V. Donativi, Le reti di imprese: natura giuridica e modelli di governance”, cit., p. 1429. 112 rivista trimestrale degli appalti gabilmente consistente nell’accrescimento, individuale e collettivo, della propria capacità innovativa e della propria competitività sul mercato. Che si tratti di obiettivo specifico e che la sua presenza debba essere intesa come rispondente a un requisito essenziale e inderogabile lo si coglie agevolmente, sul piano esegetico e sistematico, dal fatto che tale obiettivo è inserito nella definizione stessa del contratto di rete, in cui il legislatore riassume i caratteri essenziali e tipologici della nuova figura contrattuale; ed è ripreso nell’art. 3, comma 4 ter, terzo periodo, lett. b, in cui, tra gli elementi essenziali del contratto di rete, si stabilisce che quest’ultimo deve contenere “l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate tra gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi”. In secondo luogo, e correlativamente, è solo in presenza di tali specifiche finalità che entrano in gioco le agevolazioni normative e fiscali: agevolazioni che il legislatore ha inteso riservare alla rete (e non estendere genericamente anche ai consorzi o a qualunque altro contratto di cooperazione interaziendale) quale frutto evidente di una scelta di politica legislativa di incentivazione alla crescita della capacità innovativa e competitiva delle (piccole e medie) imprese che optino, a tal fine, per la partecipazione a “reti” come strumento di crescita alternativa a quella basata su progetti meramente individuali. La parziale “rilevanza esterna” così conferita al contratto di rete e il possibile accesso alle agevolazioni fiscali spiegano altresì perché della rete (pur non associativa), diversamente dal consorzio interno, sia prevista l’iscrizione nel registro delle imprese. E ne spiega anche la ragione per cui si è inteso attribuire a detta iscrizione una valenza “costitutiva” e la ragione per cui si è predisposto un meccanismo di iscrizione parcellizzata sulle singole posizioni pubblicitarie di ciascuna delle imprese partecipanti. Resta il fatto che, de iure condito, la differenza tra rete e consorzio può essere riassunta nel fatto che: - lo scopo-fine del contratto di rete è una species degli obiettivi che possono essere realizzati attraverso un consorzio; - il consorzio, tra i molteplici possibili fini di cooperazione interaziendale, ben potrebbe anche proporsi quegli più specifici scopi che sarebbero propri della rete; - sicché, ove i contraenti si ponessero fini di cooperazione interaziendale non coincidenti con quelli più specifici di cui all’art. 3, comma 4 ter, la scelta dovrebbe necessariamente cadere sul consorzio; - ove invece i contraenti si ponessero i più specifici fini di cui all’art. 3, comma 4 ter, la scelta potrebbe legittimamente cadere tanto sulla rete quanto sul consorzio; dottrina 113 - in favore dell’opzione verso il contratto di rete, giocherebbe la possibilità di accedere ai benefici e alle agevolazioni sopra messi in luce; - in favore dell’opzione verso il consorzio, giocherebbe la possibilità di attribuirgli configurazione pienamente associativa (consorzio con attività esterna). 8. Il gruppo europeo di interesse economico (GEIE). – Il GEIE è uno strumento giuridico che consente ad imprese e liberi professionisti, appartenenti a Stati diversi della Comunità Europea, di realizzare forme di cooperazione transnazionale basate su uno stesso modello contrattuale riconosciuto e tutelato dai diritti interni e dal diritto comunitario. Si presenta come un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici, distinto dai membri che lo compongono, risultando una struttura che permette ai suoi membri, senza comprometterne l’indipendenza economica e giuridica, di esercitare insieme una parte delle loro attività economiche. La creazione di un GEIE dà vita ad un ente giuridico indipendente dotato di capacità giuridica il cui fine è di agevolare e di sviluppare l’attività economica dei suoi membri, di migliorare o di incrementare i risultati di tale attività. Nel nostro ordinamento l’istituto più affine al GEIE è indubbiamente il consorzio ed in particolare quello con attività esterna. Tuttavia notevoli sono anche le differenze che intercorrono tra le due figure, specie per quanto riguarda la responsabilità dei membri, la composizione del gruppo, i poteri degli amministratori, il regime pubblicitario e la liquidazione. La normativa vigente riguardante i GEIE segue il reg. CEE 25 luglio 1985, n. 2137 del 85 relativo all’istituzione di un gruppo europeo di interesse economico, il quale definisce e regola le caratteristiche del gruppo economico: “Art. 1, 1. Il presente regolamento stabilisce le condizioni, le modalità e gli effetti secondo cui sono costituiti i gruppi europei di interesse economico. A tal fine, coloro che intendono costituire un gruppo devono stipulare un contratto e procedere all’iscrizione prevista all’art. 6. 2. Il gruppo in tal modo costituito ha la capacità, a proprio nome, di essere titolare di diritti e di obbligazioni di qualsiasi natura, di stipulare contratti o di compiere altri atti giuridici e di stare in giudizio a decorrere dalla iscrizione prevista all’art. 6. 3. Gli Stati membri stabiliscono se i gruppi iscritti nei loro registri in virtù dell’art. 6 hanno o no personalità giuridica”. Emergono da questa definizione tre punti fondamentali. In primo luogo l’attività del GEIE appare solo di tipo ausiliario 114 rivista trimestrale degli appalti e mai sostitutiva (cioè mai del tutto slegata) rispetto all’attività svolta dai membri. Inoltre, vi dovrà necessariamente essere, da parte dei membri, una attività di carattere economico; si nota come il GEIE si presenti al mercato come uno strumento aperto a moltissime categorie di operatori economici assai diverse fra loro, ad esempio imprenditori, enti pubblici, centri di ricerca, università: la cosa fondamentale è che nell’insieme delle attività ve ne sia almeno una con un carattere di tipo economico. Ultimo elemento è dato dalla innovatività del GEIE che nasce obbligatoriamente come strumento transnazionale in quanto i membri devono essere almeno due operatori economici di altrettanti Stati membri differenti: tale fattore si presenta di grande importanza nell’odierno panorama economico che è caratterizzato da processi di competitività più elevati rispetto al passato. Dunque con questo strumento le imprese, ed in particolare le piccole e medie imprese, possono ottenere una autorevolezza maggiore acquisendo uno spazio maggiore nei circuiti globali e consentendo loro delle esperienze di internazionalizzazione. La sua caratteristica principale è rappresentata dal fatto che esso non persegue profitti per se stesso, ma tende solo “ad agevolare o sviluppare l’attività economica dei suoi membri, a migliorare o ad aumentare i risultati di questa attività” mediante una cooperazione circoscritta ad alcuni settori della produzione61”. Pertanto il gruppo non può: a) esercitare, direttamente o indirettamente, il potere di direzione o di controllo delle attività proprie dei suoi membri o delle attività di un’altra impresa, segnatamente nei settori relativi al personale, alle finanze e agli investimenti; b) detenere direttamente o indirettamente, a qualsiasi titolo, alcuna quota o azione sotto qualsiasi forma, in un’impresa membro; il possesso di quote o di azioni in un’altra impresa è possibile solo qualora sia necessario per realizzare lo scopo del gruppo e avvenga per conto dei suoi membri; c) contare più di cinquecento lavoratori salariati; e) essere membro di un altro gruppo europeo di interesse economico. Emerge come la personalità giuridica, che si collega teoricamente all’autonomia patrimoniale perfetta, non sia un elemento (61) Art. 3. 1. Il fine del gruppo è di agevolare o di sviluppare l’attività economica dei suoi membri, di migliorare o di aumentare i risultati di questa attività; il gruppo non ha lo scopo di realizzare profitti per se stesso. La sua attività deve collegarsi all’attività economica dei suoi membri e può avere soltanto un carattere ausiliario rispetto a quest’ultima. dottrina 115 di differenziazione tipologica fra i Gruppi iscritti nella Comunità, ma risponde al proposito di armonizzare le norme del regolamento n. 2137 con quelle delle legislazioni nazionali. Questo è dovuto al fatto che mentre in alcuni Paesi l’attribuzione della personalità giuridica è fondamentale per la piena capacità giuridica dell’ente (ad esempio, in Francia o in Belgio), in altri Paesi della UE come l’Italia o la Germania (unici Stati a non attribuire la personalità giuridica) vi sarebbero stati problemi con l’applicazione del principio della trasparenza fiscale del GEIE. La partecipazione al gruppo viene stabilita allo stesso modo dal regolamento citato secondo cui “Art. 4 1. Possono essere membri di un gruppo soltanto: a) le società, ai sensi dell’art. 58, secondo comma del trattato, nonché gli altri enti giuridici di diritto pubblico o privato, costituiti conformemente alla legislazione di uno Stato membro ed hanno la sede sociale o legale e l’amministrazione centrale nella Comunità; qualora, secondo la legislazione di uno Stato membro, una società o altro ente giuridico non sia tenuto ad avere una sede sociale o legale, è sufficiente che la società o altro ente giuridico abbia l’amministrazione centrale nella Comunità; b) le persone fisiche che esercitano un’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, una libera professione o prestano altri servizi nella Comunità. 2. Un gruppo deve essere composto almeno: a) da due società o altri enti giuridici, ai sensi del § 1, aventi l’amministrazione centrale in Stati membri diversi; b) da due persone fisiche, ai sensi del § 1, che esercitano un’attività a titolo principale in Stati membri diversi; c) ai sensi del § 1, da una società o altro ente giuridico e da una persona fisica, di cui il primo abbia l’amministrazione centrale in uno Stato membro e la seconda eserciti la sua attività a titolo principale in uno Stato membro diverso. 3. Un Stato membro può prevedere che i gruppi iscritti nei suoi registri ai sensi dell’art. 6 non possano avere più di 20 membri. A tal fine detto Stato membro può prevedere che, conformemente alla sua legislazione, ogni membro di un ente giuridico costituito conformemente alla sua legislazione, diverso da una società iscritta, sia considerato come membro individuale del gruppo. 4. Ogni Stato membro è autorizzato ad escludere o a limitare, per ragioni di pubblico interesse, la partecipazione di talune categorie di persone fisiche, di società o di altri enti giuridici a qualsiasi gruppo. “ Il GEIE deve essere costituito mediante un contratto che può intervenire tra società, enti giuridici di diritto pubblico e privato ed anche da persone fisiche, purchè svolgano un’attività econo- 116 rivista trimestrale degli appalti mica ed abbiano, secondo la legislazione di uno Stato membro, la sede sociale o legale e l’amministrazione centrale in un Paese della Comunità. Nel contratto del Gruppo, secondo quanto stabilito dall’art. 5, regolamento CEE n. 2137 del 1985, devono figurare: “a) la denominazione del gruppo preceduta o seguita dall’espressione “Gruppo europeo di interesse economico” o dalla sigla “GEIE”, a meno che tale espressione o sigla figuri già nella denominazione; b) la sede del gruppo; c) l’oggetto del gruppo; d) i nomi, la ragione o la denominazione sociale, la forma giuridica, il domicilio o la sede sociale e, eventualmente, il numero ed il luogo di iscrizione di ciascun membro del gruppo. La sede indicata nel contratto del gruppo deve essere situata nella Comunità europea e fissata: a) nel luogo in cui il gruppo ha l’amministrazione centrale, oppure; b) nel luogo in cui uno dei membri del gruppo ha l’amministrazione centrale o, se si tratta di una persona fisica, l’attività a titolo principale, purchè il gruppo vi svolga un’attività reale”. Ai sensi dell’art. 16 del regolamento, l’organizzazione interna del Gruppo comprende: a) il collegio dei membri; b) l’amministratore o gli amministratori; c) gli altri eventuali organi previsti dal contratto costitutivo (organi di controllo, organi tecnici, organi esecutivi, ecc.). L’organo deliberativo del GEIE è rappresentato dal collegio di tutti i suoi membri i quali quando agiscono come organo, ossia quando operano collegialmente, possono prendere qualsiasi decisione funzionale alla realizzazione dell’oggetto perseguito dal Gruppo. L’amministrazione del GEIE è di regola affidata ad una o più persone fisiche, anche estranee al gruppo e persino appartenenti ad un Paese diverso da quello in cui ha sede l’organismo, nominate nel contratto o successivamente con decisione dei membri. Non possono essere amministratori di un gruppo le persone che, in base alle leggi vigenti nello Stato o in seguito ad una decisione giudiziaria o amministrativa pronunciata in uno Stato membro, non possono far parte dell’organo di amministrazione o di direzione di una società. Può essere nominato amministratore anche una persona giuridica, la quale esercita le relative funzioni attraverso un rappresentante da essa designato. Il regolamento CEE non prevede alcun organo di controllo dottrina 117 sull’attività amministrativa del gruppo, tuttavia, all’art. 18, sancisce che ciascun membro ha il diritto di ottenere dagli amministratori informazioni sugli affari del gruppo e di prendere visione dei libri e delle scritture contabili. Il GEIE si distingue da una società essenzialmente per il suo scopo che è quello di facilitare o di sviluppare l’attività economica dei suoi membri per permettere a questi ultimi di incrementare i propri risultati, mentre una società persegue generalmente uno scopo di lucro per sé stessa. A motivo di questo carattere ausiliario, l’attività del GEIE deve ricollegarsi all’attività economica dei suoi membri e non sostituirvisi. Tuttavia, la creazione del GEIE deve offrire un quadro giuridico che faciliti l’adeguamento delle attività dei suoi membri alle condizioni economiche del mercato. Il carattere ausiliario dell’attività del GEIE non deve dunque essere considerato come una limitazione operativa del gruppo che lo confini ad un ruolo accessorio o di minore importanza. Fatto salvo il rispetto della natura ausiliaria delle sue attività, il GEIE può essere considerato in grado di svolgere tutte le funzioni che possono incombere a qualsiasi altro tipo di raggruppamento che partecipi ad un appalto pubblico o a un programma finanziato con fondi pubblici. In questo contesto il GEIE può avere differenti funzioni: può essere utilizzato come semplice quadro di coordinamento e di organizzazione delle attività dei suoi membri ma può anche stipulare in nome proprio e provvedere all’esecuzione dei contratti che formano oggetto di appalti pubblici o di programmi finanziati con fondi pubblici. In particolare, il regolamento non vieta al GEIE di assorbire completamente, ma temporaneamente, talune attività dei suoi membri. Tale aspetto ha del resto già formato oggetto di una precisazione da parte della Commissione nel 1991: «Nulla impedisce che talune attività dei membri siano svolte dal GEIE per un periodo limitato, ad esempio nell’ambito della realizzazione di un cantiere» . Il GEIE, nella configurazione che gli è stata data in ambito comunitario, ha una capacità giuridica piena e autonoma che lo differenzia dalle tecniche puramente contrattuali di cooperazione. In particolare, il fatto di essere dotato di organi propri conferisce al gruppo europeo un potere di contrattazione e di rappresentanza dei suoi membri molto più forte di quello di cui ciascun membro può disporre individualmente. Il GEIE ha la capacità di agire in nome proprio tramite uno o più amministratori, i quali possono essere nominati indipendentemente dalla loro qualità di membri e i cui poteri di rappresentanza si ispirano direttamente alle regole applicabili alle società di capitali. Tale caratteristica è importante ai fini della partecipazione del GEIE agli appalti pubblici e ai 118 rivista trimestrale degli appalti programmi finanziati con fondi pubblici: essa offre ai membri del GEIE il vantaggio di presentare un fronte unito nella negoziazione dei contratti e nella richiesta di crediti o garanzie finanziarie collegata agli appalti pubblici (art. 1, comma 2 del regolamento). Il GEIE è attualmente l’unico veicolo giuridico di cooperazione direttamente radicato nell’ordinamento comunitario. Esso costituisce pertanto un elemento predominante della cooperazione europea, in particolare per le piccole e medie imprese interessate a partecipare a progetti di dimensione europea. 8.1. Modalità di partecipazione dei GEIE ad appalti pubblici secondo la normativa nazionale di recepimento del regolamento comunitario. – Le modalità di partecipazione alle gare di appalto dei GEIE sono disciplinate dal d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240 che all’art. 10 “Opere, forniture e lavori pubblici. Legislazione antimafia” stabilisce che: 1. Si applicano al GEIE le disposizioni in materia di concessioni ed appalti per opere o lavori pubblici o di pubblica utilità o per forniture pubbliche stabilite per i raggruppamenti temporanei di imprese e per i consorzi, nonché le disposizioni dell’art. 23 bis, l. 8 agosto 1977, n. 584 , e dell’art. 6, comma 3, l. 17 febbraio 1987, n. 80. 2. Si applicano altresì al GEIE le disposizioni delle leggi 31 maggio 1965, n. 575, 13 settembre 1982, n. 646, e 19 marzo 1990, n. 55 , e successive modifiche ed integrazioni”. In armonia con quanto previsto dalle disposizioni sopra citate, l’art. 34, lett. f, d.lgs. n. 163 del 2006 individua, tra gli operatori economici che possono partecipare alle gare pubbliche, “i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (GEIE) ai sensi del d.lgs. 23 luglio 1991, n. 240”, stabilendo espressamente che “si applicano al riguardo le disposizioni dell’art. 37”. Ne deriva che il GEIE dovrà dimostrare il possesso dei requisiti nei limiti e nei termini propri degli altri raggruppamenti temporanei o consorzi occasionali secondo la relativa disciplina. Ezio Maria Barbieri CONSIDERAZIONI SUL CONTRIBUTO UNIFICATO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO (*) 1. – Quando il TAR di Trento con ordinanza 29 gennaio 2014, n. 23 si è rivolto alla Corte di giustizia della Comunità europea sottoponendo alla medesima la questione della compatibilità della normativa italiana sul contributo unificato con la normativa europea sugli appalti e con i principi comunitari di proporzionalità, di divieto di discriminazione e di effettività della tutela giurisdizionale ha richiamato l’attenzione, dopo una esemplare elencazione delle illogicità della pretesa erariale italiana così come strutturata, sul fatto che il suddetto contributo richiesto ai ricorrenti appare rivelatore della “sproporzionata penalizzazione” dei ricorsi al giudice amministrativo, oltre che di un “intento quasi intimidatorio” a non promuovere od insistere nell’azione ed a “non disturbare … il giudice”. Questa indubbia tendenza legislativa ed amministrativa a restringere le vie di accesso alla giustizia amministrativa non è nuova e nemmeno limitata alla interposizione di difficoltà di solo carattere economico, le quali comunque non per questo diventano secondarie e trascurabili. Il problema merita qualche considerazione. L’art. 13, comma 1, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ha dato l’avvio ad un nuovo regime di tassazione degli atti giudiziari incentrato su un contributo unificato fissato tenendo conto sia della materia cui attengono i ricorsi che del valore della controversia. Per effetto di un susseguirsi di modificazioni ed integrazioni normative (art. 21, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in l. 4 agosto 2006, n. 248; art. 1, comma 1307, l. 27 dicembre 2006, n. 296; art. 15, d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53; art. 37, comma 6, d.l. 6 luglio 2011, n. 98 convertito in l. 15 luglio 2011, n. 111; art. 6 bis, comma 1, d.l. 13 agosto 2011, n. 138 convertito in l. 14 settembre 2011, n. 148; art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla l. 24 dicembre (*) Il testo della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, Sez. V, 6 ottobre 2015, in causa C-61-14 è riportato infra, p. 162 e ss. 120 rivista trimestrale degli appalti 2012, n. 228), il regime di tassazione specificamente previsto per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato, ed ancor oggi vigente, prevede un contributo unificato pari, in linea di principio, a euro 650. Nel settore degli appalti pubblici, però, che è quello al quale si riferisce la decisione della Quinta Sezione della Corte di giustizia in data 6 ottobre 2015, in causa C-61/14 alla quale si rivolgono le considerazioni che seguono, il contributo sale a euro 2.000, quando il valore dell’appalto è pari o inferiore a euro 200.000; a euro 4.000, quando il valore dell’appalto sia compreso tra euro 200.000 e 1.000.000; a euro 6.000, quando il valore dell’appalto sia superiore a euro 1.000.000. Questa regolamentazione-base va coordinata con numerose ulteriori regole. Il contributo unificato è dovuto non solo all’atto del deposito del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per il ricorso incidentale e per i motivi aggiunti che introducono domande nuove. Inoltre, quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale. In occasione di tutti questi versamenti, il valore della causa sul quale va effettuato il calcolo del contributo non è dato dal margine di utile che si può trarre dall’esecuzione del contratto d’appalto, che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale ammonta al 10% del valore delle opere da eseguire o dei servizi da prestare, bensì dall’importo che le amministrazioni hanno stabilito come base d’asta. Non vogliamo qui prendere in considerazione tutti gli argomenti prospettati dai giudici del TAR di Trento a sostegno della loro richiesta di dichiarazione di illegittimità comunitaria della normativa nazionale. Anticipiamo soltanto fin d’ora che l’aspetto non condivisibile della scelta da loro effettuata è stato quello di convogliare la controversia sul binario della giurisdizione comunitaria anziché invocare davanti alla nostra Corte costituzionale i vizi di una grave illogicità normativa, della arbitrarietà della medesima e della distorta finalità perseguita mediante i gravosi balzelli imposti a ricorrenti e controparti per rendere oltremodo difficile, senza una ragione meritevole di apprezzamento, l’esercizio del diritto di difesa. Questi vizi dell’atto normativo fanno pensare ad una sorta di eccesso di potere legislativo (un vizio cui si sente sempre più frequentemente ed urgentemente il bisogno di dare rilievo) finalizzato ad intenti esclusivamente ostruzionistici del diritto di difesa e rivolto a tutelare soltanto l’interesse delle amministrazioni a dare una effettiva e sollecita esecuzione alle proprie scelte, anche indipendentemente dalla loro legittimità. dottrina 121 Non ci si può nascondere, però, che questa via avrebbe presumibilmente incontrato ancor più gravi difficoltà a pervenire ad una conclusione di accoglimento, sia in considerazione della particolarità dell’attuale momento economico, sia perché la Corte costituzionale con ordinanza in data 6 maggio 2010, n. 164, aveva già dichiarato la questione inammissibile “per la pluralità delle soluzioni che possono essere offerte dal legislatore in una materia, quale quella della determinazione delle spese processuali poste a carico degli utenti della giustizia ed altresì quella tributaria, nella quale vige il principio della sua discrezionalità e della insindacabilità delle opzioni legislative che non siano caratterizzate da una manifesta irragionevolezza”. La questione, però, avrebbe potuto e potrà ancora essere riproposta alla Corte costituzionale non essendo del tutto trascurabile il fatto che la risposta data dall’ordinanza succitata non basta a disattendere almeno alcune delle complesse argomentazioni svolte dal TAR di Trento. 2. – La Corte di giustizia nella causa C-61/14 era stata chiamata a verificare se le norme nazionali sul contributo unificato fossero compatibili con i seguenti principi comunitari: a) obbligo di assicurare l’esistenza di ricorsi efficaci e quanto più rapidi possibile, garantendo un’ampia accessibilità ai ricorsi da parte di chiunque abbia o abbia avuto interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un appalto; b) le modalità procedurali garantite non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti per la tutela dei diritti derivanti dall’ordinamento interno (principio di equivalenza); c) tali modalità non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività). La risposta della Corte è stata che i tributi giudiziari da versare per proporre ricorsi giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici che non siano superiori al 2% del valore dell’appalto in questione non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione in materia di appalti pubblici, anche se la fissazione del contributo unificato è fatta in funzione del valore dell’appalto oggetto del procedimento principale e non in funzione del beneficio che l’impresa partecipante al bando di gara può legittimamente attendersi dall’appalto stesso. Quanto poi alla rilevanza che si volesse attribuire alla eventuale ridotta capacità finanziaria di qualche ricorrente, che comporterebbe per esso una maggiore difficoltà di accesso alla giustizia rispetto ai concorrenti economicamente più forti, la generale valenza del contributo richiesto, siccome imposto indistintamente nei confronti di tutti i concorrenti alla gara che ne intendano contestare il risultato, 122 rivista trimestrale degli appalti si è ritenuto che non crei una discriminazione tra gli operatori che esercitano nel medesimo settore di attività, anche in considerazione del fatto che la partecipazione di un’impresa ad un appalto pubblico presuppone sempre una capacità economica e finanziaria adeguata. In ogni caso è stato valorizzato anche, al fine di escludere il contrasto fra normativa nazionale e normativa comunitaria, il fatto che, sebbene la parte ricorrente abbia l’obbligo di anticipare il contributo unificato all’atto della proposizione del proprio ricorso, la parte soccombente è però tenuta, in linea di principio, a rimborsare i tributi giudiziari anticipati dalla parte che risulta vincitrice. Infine, quanto al più elevato contributo richiesto in materia di appalti pubblici rispetto a quello dovuto nelle controversie amministrative assoggettate a pzrocedimento ordinario o nelle controversie civili, la Corte ha rilevato che il principio di equivalenza implica un pari trattamento fra i ricorsi fondati su una violazione del diritto nazionale e quelli, simili, fondati su una violazione del diritto dell’Unione, e non l’equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi di diversa natura, quali il contenzioso nazionale civile, da un lato, e quello nazionale amministrativo, dall’altro, o a contenziosi che ricadono in due differenti settori del diritto entrambi propri del medesimo ordinamento giuridico. 3. – La decisione della Corte di giustizia, che ad una prima lettura sembra avere profondamente deluso il mondo degli utenti della giustizia amministrativa, i quali unanimemente ritenevano eccessivamente costoso l’accesso alla medesima, è forse meno pregiudizievole per i loro interessi di quanto gli interessati spesso mostrino di credere e quindi anche meno ingiusta di quanto non si pensi. Per verificare le prospettive che essa sembra lasciare aperte occorre darne una lettura attenta, che deve partire dalla individuazione della ratio decidendi. Si può dire a questo proposito che la sentenza si basa essenzialmente sul principio secondo il quale, essendo necessario in tutti i casi, ma, per quel che qui interessa, in materia di appalti pubblici, favorire il buon funzionamento di qualsiasi sistema giudiziario ed a questo scopo, fra l’altro, anche dissuadere le parti dall’introdurre domande pretestuose o manifestamente infondate o basate su un intento meramente dilatorio, è giusto e non contrasta con i principi comunitari il fatto che i sistemi giudiziari nazionali, dal momento che offrono un utile servizio a chi versi nella necessità di fare ricorso ad esso, richiedano che sia al momento del deposito del ricorso principale, sia in occasione della proposizione di ogni domanda nuova si proceda al versamento di un contributo. Il principio fondante del contributo unificato sembra essere, dottrina 123 dunque, essere stato ritenuto quello di proteggere l’efficienza del sistema giudiziario e tutelarlo da iniziative pretestuose o dilatorie anche in funzione della necessaria e non mai sufficientemente perseguita celerità dell’azione amministrativa. La richiesta del contributo unificato è così giustificata quanto all’an debeatur, ma ovviamente questo non esaurisce la questione, essendo il problema indissolubilmente legato anche al quantum, che è poi il fulcro vero della richiesta. A questo punto, però, mi sembra opportuno tenere distinto il contributo da corrispondere all’atto del deposito del ricorso principale da quello richiesto in occasione di altre iniziative processuali di parte, quali un ricorso incidentale, la proposizione di motivi aggiunti che introducono domande nuove, la proposizione di gravami. 4. – Crediamo che sia opinione tutto sommato facilmente condivisibile che la tassa richiesta all’atto della proposizione del ricorso con il quale per la prima volta si accede al giudice amministrativo per contestare lo svolgersi del procedimento di gara e mettere in gioco la possibilità per l’amministrazione di pervenire ad una valida aggiudicazione non possa considerarsi tale da non consentire o da rendere eccessivamente difficile l’accesso alla giustizia dal momento che non supera il 2% del valore dell’appalto ed anzi è quasi sempre inferiore all’1%. Il contributo unificato inizialmente richiesto sembra in effetti assolvere alla giusta funzione di garantire ragionevolmente della avventatezza di iniziative giudiziarie di mero disturbo che ostacolerebbero il funzionamento del sistema giudiziario e finirebbero con il turbare anche la tempestività dell’azione amministrativa. Si tratta indubbiamente di un contributo calcolato sulla base di una percentuale che può essere in concreto anche significativa, soprattutto nelle gare di minor valore, in considerazione del fatto che essa deve essere rapportata all’ammontare dell’utile d’impresa, ma che sarebbe difficile qualificare come un ostacolo davvero insormontabile per accedere alla giustizia. Se qualche perplessità può aversi a questo proposito essa appare ragionevolmente comprensibile quando il prezzo di aggiudicazione si collochi troppo al di sotto della base d’asta, così che la gara ai fini del calcolo del contributo unificato finisca con il trovarsi collocata in uno scaglione più alto di quello nel quale sarebbe stato ragionevole inserirla in considerazione di quello che è risultato essere il prezzo di aggiudicazione. Infatti, di fronte a certe ben note, per non dire sfrontate offerte al ribasso o comunque davanti a basi d’asta che risultano al momento dell’aggiudicazione eccessivamente alte non può non porsi qualche problema o almeno qualche dubbio, per lo meno in alcune situazioni limite. L’eventuale esosità del contributo concretamente richiesto, 124 rivista trimestrale degli appalti che ne comporterebbe l’irragionevolezza e l’eventuale illegittimità anche comunitaria, deriverebbe, però, in questi casi non direttamente dalla norma e dall’ammontare del contributo da essa fissato, ma piuttosto da assurde sproporzioni fra la base d’asta, l’offerta effettuata ed il valore obbiettivo dei lavori o dei servizi appaltati e quindi da scelte amministrative e/o di parte e non legislative. Di problemi di questo tipo la soluzione andrebbe cercata non agendo sulla quantificazione legale del contributo unificato, ma – per esempio – rendendo possibile un proporzionamento di quest’ultimo al prezzo di aggiudicazione piuttosto che al prezzo stabilito come base d’asta. Il che sarebbe possibile, ma forse difficilmente attuabile, solo ad aggiudicazione avvenuta. Di questo aspetto della questione, comunque, la Corte non si è data carico ed il problema, comunque, non potrebbe trovare soluzione in sede soltanto interpretativa. Non ha invece formato oggetto di esame da parte della Corte di giustizia la forbice troppo ristretta entro la quale sono stati incardinati i tre scaglioni nei quali sono stati suddivisi gli appalti e la conseguente sproporzione fra ciò che viene richiesto per i piccoli appalti e quello che invece grava sugli appalti plurimilionari, a tutto evidente svantaggio per gli appalti di minore importo. Nel complesso, sia pure con le riserve or ora prospettate, la prima parte del dispositivo della sentenza della Corte, laddove essa dichiara la legittimità comunitaria di una “normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi”, può ritenersi condivisibile. La iniziale richiesta di versamento del contributo unificato, infatti, adempie sempre in forma tutto sommato ragionevole alla sua funzione di tutela dell’efficienza giudiziaria, scoraggiando i ricorsi pretestuosi, sia pure soltanto se l’appalto è di modesto valore, e protegge nel contempo la celerità dell’azione amministrativa, rendendo ragionevolmente costoso l’accesso al processo, sia pure facendolo gravare in misura inversamente proporzionale all’entità dell’appalto, ed in buona sostanza adempie ad una funzione che anche il diritto comunitario ritiene meritevole di sostegno. 5. – Detto questo per quanto riguarda il primo dei due dispositivi della sentenza della Corte di giustizia, occorre ora prendere in considerazione il principio accolto nella seconda parte di quella decisione, che riguarda la reiterabilità del contributo unificato, principio fatto proprio dal legislatore nazionale, che sembra essere quello che aveva maggiormente destato la perplessità dei giudici remittenti e che la Corte ha salvato con qualche riserva. Secondo il diritto nazionale italiano la richiesta di pagamento dottrina 125 del contributo o di somme ad esso rapportate non si limita all’atto introduttivo del ricorso, ma si estende ai motivi aggiunti che introducono domande nuove, ai ricorsi incidentali, agli atti di appello principale ed incidentale, alle dichiarazioni di integrale rigetto, di inammissibilità e di improcedibilità degli appelli, fino alle sanzioni che l’art. 6 bis, comma 1, d.l. 13 agosto 2011, n. 138 prevede quando il difensore distratto non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, il proprio recapito fax o il codice fiscale del ricorrente. Per queste richieste di pagamento la Corte si è limitata a considerazioni parziali e tutto sommato generiche. Essa infatti ha soltanto affermato la legittimità comunitaria della riscossione di tributi giudiziari multipli in presenza di “diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione” e di tributi giudiziari aggiuntivi “per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione”, lasciando poi al giudice nazionale di valutare, ma comunque attribuendo a questa valutazione una rilevanza ai fini del rispetto del diritto comunitario, se i nuovi ricorsi o i nuovi motivi sono effettivamente distinti da quelli originariamente proposti o costituiscono un ampliamento notevole dell’oggetto della controversia, nei quali casi soltanto si giustifica il pagamento di tributi giudiziari aggiuntivi. Diversamente il giudice nazionale è tenuto a dispensare l’amministrato dal pagamento di tali tributi. La giustificazione di questi tributi aggiuntivi, nei limiti entro i quali essi possano ritenersi dovuti, viene anche relativamente a questi casi fondata dalla Corte sul richiamo all’esigenza di favorire un buon funzionamento del sistema giurisdizionale ed a quella di dissuadere le parti dall’introduzione di domande manifestamente infondate o intese unicamente a ritardare il procedimento giudiziario e/o amministrativo, derivando da questa funzione dei tributi aggiuntivi la loro compatibilità con il diritto comunitario. È in questa seconda parte del dispositivo della sentenza della Corte che va ricercata la possibilità di rinvenire nella sentenza medesima uno spazio per un intervento (interpretativo o legislativo) idoneo ad attribuire al sistema del contributo unificato una maggiore ragionevolezza ed una più seria equità, sempre nel sostanziale rispetto della decisione comunitaria. 6. Quanto alla percezione di tributi giudiziari multipli e cumulativi nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale amministrativo la Corte si è limitata ad affermare la legittimità di una applicazione multipla di questi tributi a condizione che i nuovi ricorsi o motivi siano distinti dall’oggetto del ricorso introduttivo e comportino in effetti un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente. 126 rivista trimestrale degli appalti Questa considerazione, però, è insufficiente e lacunosa ed è ragionevolmente prevedibile che formerà oggetto di considerazioni critiche. La Corte non ha precisato che cosa debba propriamente intendersi per domanda nuova e soprattutto le sue considerazioni hanno bisogno di una particolare attenzione in rapporto alle caratteristiche proprie del processo amministrativo italiano. A questo proposito occorre, dunque, fare qualche precisazione. Le fasi successive alla proposizione del ricorso iniziale che comportano la reiterazione della richiesta di corresponsione del contributo unificato sono costituite, nel nostro ordinamento, dalla proposizione di un ricorso incidentale o di motivi aggiunti che introducano domande nuove ovvero ancora dalla proposizione dell’appello. Orbene, in linea di principio il vero interesse sostanziale che muove chiunque proponga un ricorso contro un atto del procedimento di gara è sempre l’interesse a conseguire l’aggiudicazione della medesima. Di regola, dunque, il ricorso tende all’annullamento dell’aggiudicazione mediante la prospettazione di tutti i vizi degli atti del procedimento di gara anteriori all’aggiudicazione stessa. Può accadere, però, anche che il ricorso investa all’inizio solo il bando di gara ovvero l’esclusione di un aspirante, in quanto immediatamente lesivi; anche in questi casi, comunque, l’obbiettivo ultimo è pur sempre quello che l’amministrazione non giunga all’aggiudicazione della gara bandita sulla base di quanto essa ha deliberato e che il ricorrente contesta. Si può dire, pertanto, che qualsiasi ricorso in materia di appalti può giustamente essere rapportato, quanto alla determinazione del suo valore sostanziale, all’ammontare del prezzo a base d’asta. Questo sembra necessario precisare in quanto è in conseguenza di queste considerazioni che non è condivisibile, se si pretendesse di darne una interpretazione letterale, l’affermazione della Corte, quando essa ritiene che “quando una persona propone diversi ricorsi giurisdizionali o presenta diversi motivi aggiunti nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale, la sola circostanza che la finalità di questa persona sia quella di ottenere un determinato appalto non comporta necessariamente l’identità di oggetto dei suoi ricorsi o dei suoi motivi”. Presa alla lettera questa affermazione comporterebbe in sostanza l’integrale eliminazione di ogni possibilità di contestare la correttezza delle regole che consentono la reiterazione dei contributi unificati, mentre si deve credere che il concorde riflettersi di ciascuno dei vizi del procedimento di gara sull’atto terminale di aggiudicazione comporti sempre una sostanziale identità di oggetto fra i vari ricorsi ed i vari motivi, una identità pienamente idonea a conferire una altrettanto comune identità dottrina 127 anche alle singole iniziative giudiziarie, seppure proposte mediante atti materialmente e temporalmente separati. Di conseguenza, rispetto ad una impugnazione comunque idonea a pregiudicare o anche solo a ritardare l’aggiudicazione della gara, e quindi sia che l’aggiudicazione sia già avvenuta o debba ancora avvenire, il contributo richiesto al momento del deposito del ricorso iniziale, in quanto rapportato al prezzo a base d’asta, dovrebbe ritenersi ragionevolmente idoneo a ricomprendere in sé anche il costo processuale di tutte le contestazioni di ulteriori atti del procedimento di gara, anche se proposte con i motivi aggiunti, così come la questione non si pone quando il ricorso introduttivo si fondi fin dall’origine su una molteplicità di motivi. D’altra parte, in un processo come quello amministrativo italiano, strutturalmente fondato sulla perentorietà dei termini di ricorso, la possibilità di proporre motivi aggiunti di ricorso diventa attuale solo quando e perché l’esistenza o la conoscenza di altri provvedimenti lesivi si verifichi successivamente al deposito del ricorso iniziale. Essi sono, dunque, formalmente nuovi, ma in realtà appartengono ad un unico procedimento, non sono dotati di una loro propria autonomia sostanziale e sono strumenti di difesa necessari e non suscettibili di una capricciosa utilizzazione artificiosamente dilazionata; essi sono nuovi solo perché l’amministrazione o il controinteressato hanno prodotto in giudizio atti prima non esistenti o non conosciuti, la cui impugnazione avviene con motivi nuovi solo a causa di ritardi o manchevolezze altrui. Sembra, quindi, illogico ed irragionevole che per essi si chieda un nuovo contributo, almeno fino a che anche alle richieste fiscali o tributarie sia possibile richiedere una qualche ragionevolezza. In altre parole, la vera novità richiede, per giustificare una nuova pretesa contributiva, una vera autonomia della nuova iniziativa processuale, ma autonomia non credo vi sia laddove i nuovi motivi investano atti del medesimo procedimento amministrativo che avrebbero potuto o dovuto essere impugnati già in sede di proposizione del ricorso e non lo sono stati solo per incolpevole mancata esistenza o mancata conoscenza degli atti medesimi. Sembra pertanto più corretto dissociarsi da quella parte della decisione della Corte di giustizia nella quale essa esclude che possa darsi autonomo e sufficiente rilievo al fatto che la finalità del ricorrente sia quella di impedire di ottenere l’appalto frapponendo ostacoli all’avvenuta o alla futura aggiudicazione. Ogni fase del procedimento di gara, proprio perché finalizzata a contestare presto o tardi la legittimità dello stesso atto conclusivo, fa parte di un unicum processuale ed anche i molteplici atti di impugnazione incolpevolmente maturati in tempi diversi partecipano necessariamente di questa unicità; di conseguenza non trova giustificazione la sottoposizione della loro separata impugnazione 128 rivista trimestrale degli appalti a molteplici contributi unificati, specialmente ed ancor più se tutti calcolati nella medesima misura rapportata al prezzo a base d’asta. 7. – Altra occasione di richiesta di corresponsione di un nuovo contributo unificato è individuata dal legislatore nazionale nella proposizione da parte del controinteressato di un ricorso incidentale mediante il quale egli chiede la tutela del proprio interesse sostanziale contrapposto a quello del ricorrente mediante l’impugnazione di provvedimenti idonei a non consentire l’aggiudicazione o al ricorrente o ad altri e, se possibile, a conservarla a proprio favore. Il controinteressato è, dunque, titolare di una posizione soggettiva giuridicamente qualificata, di regola finalizzata alla conservazione del provvedimento impugnato o comunque alla salvaguardia delle proprie aspettative. Può dirsi per questo che quella da lui proposta sia una domanda nuova? O non deve dirsi piuttosto che si tratta di un elementare esercizio del diritto di difesa finalizzato alla salvaguardia di un bene già acquisito o di auspicata futura aspettativa di acquisizione al proprio patrimonio per la difesa del quale la necessità dell’accesso alla giustizia nella forma incidentale trova la sua causa esclusiva nella proposizione del ricorso principale? Quale che sia l’apparenza formale del ricorso incidentale, esso adempie ad una funzione conservativa di una aspettativa propria o di un provvedimento favorevole già conseguito; il controinteressato, di regola, domanda, dunque, in sostanza, per conservare, non per conseguire e svolge pertanto una attività processuale del tutto identica a quella che svolge l’amministrazione intimata, alla quale ovviamente non si richiede di corrispondere alcun contributo unificato sol perché si costituisce in giudizio a difendere il proprio operato. Vi è quanto basta per chiedersi se il sistema vigente quanto al contributo unificato non sia contraddittoriamente sbilanciato a favore dell’amministrazione ed ingiustamente gravatorio nei confronti di chi, in buona sostanza, difende nello stesso tempo, in forma più o meno diretta, sé stesso e l’operato dell’amministrazione intimata. Su questo aspetto della questione, però, se fondato, la Corte di giustizia sembra non avere soffermato la sua attenzione. 8. – L’obbligo di pagamento del contributo unificato si presenta poi anche al momento della eventuale proposizione del ricorso in appello. In questo caso sembra sufficiente dire che sull’appellante gravano oneri identici a quelli del ricorrente sia quando egli sia ancora l’originario ricorrente, sia quando, a parti invertite, egli abbia proposto l’appello quale controinteressato rimasto soccombente nel giudizio di primo grado. dottrina 129 9. – In forza di tutte queste considerazioni, sembra possibile affermare che sarebbe utile mettere adeguatamente in luce l’importanza ed il rilievo del legame esistente fra gli atti di ogni singolo procedimento amministrativo con il provvedimento conclusivo del procedimento stesso, approfondire il concetto di domanda nuova e di ampliamento notevole dell’oggetto della controversia nonchè il carattere difensivo del ricorso incidentale ed infine richiamare l’attenzione sulla particolare struttura del processo amministrativo italiano, scandito da rigorosi termini di decadenza, in questo modo evidenziando l’illogicità e l’irragionevolezza di tanti contributi unificati, così sfuggendo ad una interpretazione troppo letterale della sentenza della Corte di giustizia. A questo scopo, però, dopo la sentenza della Corte di giustizia, sembra preclusa al giudice nazionale ogni possibilità di un diretto intervento in sede interpretativa. Occorrerà, invece, più probabilmente prendere in considerazione la via della riproposizione della questione alla Corte di giustizia, perché metta a fuoco la questione in relazione ai caratteri propri del processo amministrativo italiano, ovvero, con qualche ulteriore difficoltà, riproporre la questione davanti alla Corte costituzionale. 10. – Quanto al rigetto integrale dell’appello, alla dichiarazione della sua improcedibilità o inammissibilità ed alle omissioni di indicazione da parte del difensore del suo indirizzo di posta elettronica certificata, del suo recapito fax o del codice fiscale del ricorrente, le somme da pagare in questi casi sono sì rapportate al contributo unificato, ma hanno natura completamente differente da esso; per questo riteniamo che si tratti di sanzioni che, in quanto non condizionano né l’accesso alla giustizia né l’esercizio del diritto di difesa, dovrebbero formare oggetto di autonome considerazioni, anche per il fatto che la sentenza della Corte di giustizia non ha preso in considerazione questi aspetti della normativa nazionale. GIURISPRUDENZA TRGA, Sez. Trento, 29 gennaio 2014, n. 23 (ordinanza) – A. Pozzi Presidente – L. Stenavato Relatore – Orizzonte Salute – Studio Infermieristico Associato (avv. Carlin) – Azienda pubblica di servizi alla persona “San Valentino” – Città di Levico Terme (avv. De Pretis) e altri. Appalti pubblici – Contributo unificato per ricorso introduttivo e per motivi aggiunti – Importo elevato – Possibile contrasto con Direttiva 89/665/CEE e successive modificazioni ed integrazioni – Rimessione della questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea Va rimessa all’esame della Corte di giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale se i principi fissati dalla Direttiva 89/665/ CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, e successive modificazioni ed integrazioni, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dall’art. 13, commi 1 bis, 1 quater, 6 bis e dall’art. 14, comma 3 ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e successive modificazioni ed integrazioni integrative, che hanno stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici. 1. L’Associazione ricorrente espone di svolgere professionalmente servizi di prestazione infermieristica a favore di enti pubblici e privati. Con il ricorso introduttivo impugna la deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’Azienda pubblica di servizi alla persona “San Valentino” – Città di Levico Terme, n. 35 del 21 dicembre 2012, con cui è stato prorogato, dal 1° gennaio 2013 al 30 giugno 2013, il servizio di assistenza infermieristica, già svolto per il 2012 dall’Associazione Infermieristica D & F. Care. 2. A sostegno del ricorso deduce i seguenti motivi: 1) violazione della l.r. n. 7 del 2005 (artt. 42 e 43) ed eccesso di potere sotto vari profili. Si sostiene che, mediante la proroga del servizio in precedenza affidato alla controinteressata, sarebbe stato affidato direttamente alla stessa controinteressata un nuovo servizio il cui costo di euro 71.681,00, superiore alla soglia di 36.000 euro, avrebbe obbligatoriamente comportato, ai sensi delle norme in rubrica, il previo confronto concorrenziale; 132 rivista trimestrale degli appalti 2) eccesso di potere per carenza di motivazione circa le ragioni che avrebbero giustificato l’affidamento diretto, invece di attivare la procedura concorrenziale. L’azienda intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’irricevibilità del ricorso per tardività, non essendo stato rispettato il termine dimezzato di deposito del gravame, nel rilievo che la controversia riguarda una procedura di affidamento di un pubblico servizio, nonché l’inammissibilità per difetto di legittimazione. Nel merito, la stessa azienda ha contestato ampiamente la fondatezza del ricorso. Il Collegio con ordinanza 18 aprile 2013, n. 44 ha accolto l’istanza cautelare imponendo all’amministrazione di bandire una gara entro 30 giorni. 3. Con (primi) motivi aggiunti, depositati il 9 maggio 2013, è stata altresì impugnata la determinazione del direttore dell’Azienda n. 61 del 25 marzo 2013, con cui è stato deciso di procedere alla gara d’appalto per l’affidamento del servizio infermieristico, invitando alla procedura negoziata unicamente associazioni accreditate presso il Collegio IPASVI (acronimo di: Infermieri Professionali Assistenti Sanitari Vigilatrici d’Infanzia). La ricorrente, che non è iscritta al predetto Collegio, ha dedotto la violazione dei principi di massima partecipazione e di concorrenza, la violazione della l.r. n. 7 del 2005 (artt. 42 e 43) ed eccesso di potere sotto vari profili, nel rilievo che la clausola limitativa sarebbe incomprensibilmente discriminatoria nei confronti della ricorrente, non potendo essere posta in dubbio la relativa qualificazione in quanto i singoli infermieri ad essa associati sono iscritti al competente albo professionale. 4. Con (secondi) motivi aggiunti depositati il 3 giugno 2013 l’impugnazione è stata estesa, per sviamento ed elusione del giudizio cautelare, alla determinazione del direttore dell’Azienda n. 87 del 21 maggio 2013 con cui la gara anzidetta, che era stata sospesa in attesa dell’esito dell’appello cautelare, è stata riavviata dopo che il Consiglio di Stato ha dichiarato improcedibile l’appello. 5. Con (terzi) motivi aggiunti, depositati il 12 giugno 2013, è stata impugnata, ripetendo le censure già dedotte, la determinazione del direttore dell’Azienda n. 94 del 23 maggio 2013, con cui la gara anzidetta è stata aggiudicata alla controinteressata. Sull’istanza cautelare proposta con tali motivi aggiunti il Collegio si è pronunciato con ordinanza 20 giugno 2013, n. 76, sospendendo l’efficacia della disposta aggiudicazione e della controversa clausola escludente ed ordinando la riedizione della gara informale, con ammissione dell’offerta già presentata dalla ricorrente. 6. Dopo la presentazione di questi ultimi motivi aggiunti, il Segretario generale di questo TRGA, con provvedimento 5 giugno 2013, ha sollecitato il difensore della ricorrente ad integrare il pagamento del contributo unificato, in quanto, trattandosi di controversia in materia di contratti pubblici, la misura del contributo non è quella ordinaria di 650 euro, ma quella speciale di 2000 euro. 7. Con (quarti) motivi aggiunti, depositati il 2 luglio 2013, la ricorrente ha impugnato anche quest’ultima determinazione per violazione dell’art. 13, comma 6 bis, d.P.R., n. 115 del 2002, eccependo altresì l’illegittimità costituzionale di tale norma per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 81 e 97 Cost. Tali motivi aggiunti sono stati successivamente notificati alla controin- giurisprudenza 133 teressata Associazione Infermieristica D & F. Care, con atto ripetitivo, depositato il 10 agosto 2013. 8. Su questi motivi aggiunti si sono costituite in giudizio anche le Amministrazioni statali intimate, eccependo il difetto di giurisdizione di questo giudice amministrativo, nell’assunto che il contributo unificato sarebbe una prestazione fiscale, la cui relativa controversia spetterebbe alla cognizione del giudice tributario. L’Avvocatura dello Stato ha altresì eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero della giustizia e del Ministero dell’economia e delle finanze. Nel merito è stata contestata la fondatezza della pretesa azionata dalla ricorrente. 9. L’Azienda resistente in giudizio, nell’ultima memoria presentata, ha eccepito che il ricorso è divenuto improcedibile in quanto la ricorrente, in esecuzione della citata ordinanza cautelare n. 76 del 2013, è stata infine ammessa alla gara. Questa, però, è stata aggiudicata alla controinteressata, che aveva presentato un’offerta migliore, ma tale aggiudicazione non è stata impugnata dalla ricorrente che vi avrebbe, perciò, prestato acquiescenza. La ricorrente, nella memoria di replica, ha, però, giustamente e fondatamente eccepito che l’improcedibilità riguarda solo il terzo ricorso per motivi aggiunti, mentre permane l’illegittimità dei provvedimenti originariamente assunti dall’Azienda e l’interesse al loro annullamento, nonché relativamente alla rifusione delle spese giudiziali, avendo essi comunque esplicato effetti, seppur temporanei, in suo danno. 10. Ciò premesso, per ragioni di economia processuale, il Collegio ritiene di procedere, nell’esame della controversia, dal quarto ricorso per motivi aggiunti, diretti contro il provvedimento del Segretario generale di questo TRGA 5 giugno 2013, che ha richiesto al difensore della ricorrente di integrare il pagamento del contributo unificato; ciò in quanto, trattandosi – a dire dello stesso dirigente – di controversia riguardante la materia dei contratti pubblici, la misura del contributo, stabilita in relazione all’oggetto della causa, non sarebbe quella ordinaria di 650 euro, ma quella speciale di 2000 euro. Tali motivi aggiunti, pur essendo accessori al ricorso introduttivo ed agli altri motivi aggiunti, che sono diretti contro la gara d’appalto per l’affidamento del servizio infermieristico, meglio indicato in premessa, e pur avendo una valenza autonoma rispetto all’interesse principale dedotto in giudizio (annullamento della disposta proroga e dei provvedimenti ad essa successivi), hanno tuttavia una stretta connessione con l’oggetto principale del giudizio, in quanto il pagamento del contributo è stato imposto per il solo fatto di aver presentato il ricorso. Nella specie, dunque, si tratta di far valere un interesse oppositivo ad una pretesa patrimoniale dell’Ufficio giudiziario, il quale, seppur non rientrante nell’oggetto principale del giudizio, vi è intimamente collegato sia per fatto genetico-causale, sia per necessaria strumentalità all’esercizio della tutela dell’interesse all’annullamento dei provvedimenti inerenti l’affidamento del servizio, azionata innanzi a questo Tribunale Amministrativo. È in virtù della predetta connessione strumentale e causale (oltre che parzialmente soggettiva) che legittimamente sono stati innestati motivi aggiunti al ricorso originario (ex art. 43, codice processuale amministrativo). 11. Tanto preliminarmente chiarito, va anzitutto esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione opposta dalla difesa erariale. 134 rivista trimestrale degli appalti Si sostiene, al riguardo, che, per giurisprudenza costante, il contributo unificato avrebbe natura di entrata tributaria erariale e che le relative controversie rientrerebbero nella giurisdizione delle commissioni tributarie. A sostegno dell’esposta eccezione l’Avvocatura dello Stato richiama la sentenza della Corte di cassazione, Sez. un., n. 5994 del 2012. Sennonché – osserva il Collegio – si tratta di precedente inconferente: in quel caso, infatti, si trattava di un’opposizione ex art. 617, cod. proc. civ., con la quale si facevano valere asseriti vizi della cartella di pagamento emessa in esito ad iscrizione a ruolo del contributo unificato previsto dall’art. 9, d.P.R. 115 del 2002. La Corte, sul punto – premesso che il contributo unificato ha natura di entrata tributaria – rileva che il controllo sulla legittimità delle cartelle esattoriali, configurando queste atti di riscossione e non di esecuzione forzata, spetta, quando le cartelle riguardino tributi, al giudice tributario in base alla previsione degli artt. 2, comma 1, e 19 lett. d, d.lgs. n. 546 del 1992. Anche Cassazione Sez. un., 5 maggio 2011, n. 9840 perviene alla stessa conclusione, ma pure in quel caso le questioni di nullità, sollevate dal contribuente, attenevano alla fase della riscossione, il controllo della cui legittimità – osserva sempre la Corte – quando riguardino tributi spetta al giudice tributario. Ora, il Collegio non esita a riconoscere che il contributo unificato ha natura di tributo (così anche: Corte costituzionale, sentenza n. 73 del 2005); tuttavia, nella specie all’esame viene in evidenza un atto del Segretario generale di questo TRGA. che ha natura e consistenza di provvedimento amministrativo, emanato nell’esercizio di discrezionalità tecnica (si tratta dell’uso ed interpretazione di norme processuali): come tale, dunque, sottoposto alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 103, comma 1 e 113, comma 1, Cost. e dell’art. 7, Codice del processo amministrativo. Invero, il Collegio ritiene che difetterebbe la propria giurisdizione se tale atto, impugnato dalla ricorrente, fosse meramente, direttamente e vincolativamente applicativo – nell’an, nel quomodo e nel quantum – delle norme di legge che hanno istituito e disciplinato il contributo unificato nel processo amministrativo. Ma non è questo il caso di specie, essendosi, come detto, esercitato un potere determinativo-interpretativo di una normativa, tributaria sì, ma non conclusa, non completa e non finita, che lascia ampi spazi di discrezionalità all’amministrazione giudiziaria. 12. Invero, l’atto del Segretario generale di questo TRGA. non fa pedissequa e passiva applicazione di una norma tributaria alla fattispecie concreta. All’opposto, esso è il frutto di una complessa catena procedimentale, generata dalla necessità di un’interposizione, cioè di un intervento mediatore dell’amministrazione, in quanto interprete della Direttiva del legislatore e portatrice, attraverso la predetta opera intermediatrice, di un frammento normativo (per usare l’immagine di illustre dottrina) che vale a completare il precetto legislativo attraverso l’uso, come detto, di discrezionalità tecnica. Le norme istitutive e regolatrici del contributo unificato, infatti, hanno avuto ed hanno bisogno dell’intermediazione dell’azione amministrativa, anzitutto sotto forma di una serie di direttive concretamente emanate dal Segretario generale della giustizia amministrativa, le quali non possono giurisprudenza 135 non qualificarsi – come già detto – espressive di discrezionalità tecnica. Tali direttive sono contenute nella circolare 18 ottobre 2011, recante “Istruzioni sull’applicazione della disciplina in materia di contributo unificato nel processo amministrativo”. In realtà, non si tratta di semplici “istruzioni” meramente illustrative delle modalità di dare corso alle chiare ed esaustive prescrizioni della fonte legale. Si tratta, invece, di vere e proprie prescrizioni integrative, le quali valgono a completare il disegno del legislatore, adattandolo all’estrema varietà delle ipotesi e degli istituti processuali, che soltanto l’amministrazione che gestisce la poliedricità del contenzioso è in grado di individuare, apprezzare e valutare, per assicurare, così, una disciplina, forse opinabile, ma certamente completa e concretamente operativa. 13. Valga, ad esempio, quanto viene stabilito dalla predetta circolare in tema di motivi aggiunti (tema, questo, che si attaglia perfettamente alla vicenda in esame), relativamente ai casi in cui essi danno luogo al versamento del contributo unificato. Sul punto, la Circolare fissa criteri (non vincolativamente discendenti dalla legge, ma) discrezionalmente determinati. In particolare essa: a) chiarisce cosa si intende per “domande nuove”, affermando che la definizione di “ricorso”, resa dall’art. 13, comma 6 bis, d.P.R. n. 115 del 2002, è intesa ad allargare la base imponibile, andando a colpire quegli atti processuali – autonomi rispetto a quello introduttivo del giudizio – che comportino un sostanziale ampliamento del thema decidendum, nel duplice senso: - di estendere l’impugnazione a provvedimenti diversi da quelli già portati all’attenzione del giudice col ricorso introduttivo, ovvero di prevedere l’impugnazione di questi ultimi o di atti ad essi strettamente connessi ad opera del controinteressato con ricorso incidentale; - di introdurre nuove azioni di accertamento o di condanna. b) si premura, poi, di precisare e disporre che, se il ricorso introduttivo del giudizio contiene una pluralità di “domande”, è dovuto comunque un unico contributo unificato; mentre, se la pluralità di domande è il frutto di un ampliamento successivo, operato con i motivi aggiunti, al momento del deposito di tali atti andrà effettuato un ulteriore versamento; c) prescrive, inoltre, che il contributo non è dovuto qualora con i motivi aggiunti venga impugnato l’originario provvedimento per vizi diversi da quelli fatti valere con il ricorso originario. Vengono, poi, impartite specifiche istruzioni ai vari uffici giudiziari, atte a riconoscere i motivi aggiunti che danno luogo all’obbligo di versamento del contributo unificato, indicando alcuni requisiti formali che devono sussistere congiuntamente: a) impugnazione di un atto (di qualsivoglia natura e portata sostanziale) “nuovo”, vale a dire non gravato con il ricorso introduttivo del giudizio, ovvero richiesta di accertamento di un rapporto, ovvero azione di condanna, formulate per la prima volta in giudizio; b) intestazione dell’atto processuale che si va a depositare come “motivi aggiunti”; c) notifica dello stesso alle controparti. Con la stessa direttiva si sottolinea come l’ufficio giudiziario, chiamato ad applicare il contributo unificato, non deve fare alcuna valutazione o indagine in merito all’effettiva lesività dell’atto oggetto dei motivi aggiunti (si fa menzione, ad esempio, all’impugnazione di atti infraprocedimentali, quali un verbale di gara pubblica o una relazione redatta nell’ambito di un 136 rivista trimestrale degli appalti procedimento di repressione di abusi edilizi), trattandosi di valutazione che spetta in via esclusiva al giudice. 14. Ebbene, non è chi non veda come tali istruzioni – molto sinteticamente esemplificate -rappresentano vere e proprie tessere di un vasto mosaico normativo, cioè atti direttivi di interpretazione ed attuazione, rivolti agli uffici giudiziari chiamati ad applicare ai casi concreti il contributo unificato; atti che, come tali, vanno ben al di là delle scarne indicazioni contenute nella legge, manifestando la volontà di assumere scelte valutative discrezionali sulla configurazione e sulla determinazione del presupposto impositivo. 15. A sua volta, l’atto del Segretario generale di questo TRGA., impugnato dalla ricorrente con i ricordati (quarti) motivi aggiunti, ha anch’esso natura discrezionale, nei pur non ampi spazi lasciati liberi dalla complessa attività tipicamente discrezionale espressa nelle anzidette direttive del Segretario generale della giustizia amministrativa. È al titolare dell’Ufficio giudiziario, infatti, che spetta procedere ad una qualificazione della materia del ricorso, onde collocarla nelle varie fasce di tipologie contenziose, in relazione alle quali viene articolata la misura del contributo. In questa duplice funzione, di esecuzione di atto amministrativo a carattere normativo e di determinazione anch’essa attuativa del dettato normativo, esso assume natura di vero e proprio provvedimento amministrativo. 15.1. D’altra parte, la giurisprudenza ha radicato la giurisdizione del g.a. in ipotesi che riecheggiano quella in esame, come quelle sotto elencate a titolo meramente esemplificativo e senza carattere di esaustività: a) le controversie che hanno ad oggetto l’atto amministrativo generale di determinazione delle aliquote “differenziate” (come anche sono le misure del c.u.) dell’ex imposta comunale sugli immobili (ICI) , presupposto dell’accertamento e della determinazione in concreto del tributo ed avente la funzione di integrazione del precetto legislativo. Come affermato da Cass., Sez. un., 25 gennaio 2007, n. 1616, esse esulano dalla giurisdizione delle commissioni tributarie (che comprende il potere di annullamento degli atti elencati dall’art. 19, d.lgs. n. 546 del 1992 e non si estende agli atti amministrativi generali seppur di valenza tributaria) ma spettano alla giurisdizione del giudice amministrativo (cfr., anche: Cass., Sez. un., 19 gennaio 2010, n. 675); b) le controversie che hanno ad oggetto l’atto comunale che stabilisce la corresponsione di una somma per il rilascio del contrassegno abilitante alla circolazione automobilistica in centro storico, poiché la relativa questione verte sulla lesione di interessi legittimi in quanto l’atto impugnato non si risolve in una mera prestazione patrimoniale imposta, ma stabilisce varie regole procedurali, nonché la scelta della pubblica amministrazione in ordine alla copertura ed al riparto dei costi del servizio offerto alla collettività (così: Cons. St., Sez. V, 1° marzo 2000, n. 1075); c) in generale, le controversie riguardanti l’impugnativa di atti di carattere generale recanti le determinazioni regolamentari e tariffarie, presupposte all’imposizione dei tributi, come è stato affermato da Cass., Sez. Un. 1 marzo 2002, n. 3030 (cfr. anche TAR Lazio, Roma, Sez. II, 4 maggio 2012, n. 3993) che sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo (fattispecie in tema di determinazione delle tariffe TARSU). 15.2. Alle esposte considerazioni ve n’è da aggiungere un’altra di carattere sistematico-ordinamentale tratta dall’insegnamento della Corte costituzio- giurisprudenza 137 nale in merito alla giustificazione del permanere di giurisdizioni speciali. Si è osservato, al riguardo, che l’ordinamento italiano riconosce, bensì, l’esistenza di una pluralità di giudici, ma la riconosce affinché venga assicurata, sulla base di distinte competenze tecniche e capacità professionali, al fine di assicurare una più adeguata risposta alla domanda di giustizia, non già affinché sia compromessa la possibilità stessa che a tale domanda venga data risposta (Corte cost., ord., 19 marzo 2010, n. 110). Se, quindi, la giustificazione del mantenimento di una giuridizione speciale, come quella delle commissioni tributarie, si fonda sulla specialità delle rispettive competenze tecniche, che giustifica oltretutto la forte anomalia ordinamentale della loro composizione, deriva che: a) – l’area ad esse riservata è di stretta e rigorosa interpretazione: ogni eventuale indebito ampliamento della giurisdizione tributaria – attraverso qualificazioni formali eccentriche rispetto alla sostanza della prestazione richiesta, ovvero attraverso una lettura distorta dell’art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992 – si risolverebbe nella istituzione occulta di un giudice speciale, vietata dal comma 2 dell’art. 102, Cost. (Corte cost., 11 febbraio 2010, n. 39; Corte cost., 14 maggio 2008, n. 130); b) la natura tributaria della prestazione imposta non radica sempre e comunque la giurisdizione delle commissioni tributarie, le quante volte il procedimento di individuazione dei presupposti del tributo necessiti – come nella specie – dell’intervento dell’azione amministrativa per la quale la “specialità” tecnico-professionale del giudice tributario non sussiste, scattando quella dell’assai più “attrezzato” giudice naturale preposto alla tutela degli interessi legittimi nei confronti delle pubbliche amministrazioni (art. 103, Cost.). A conclusione del ragionamento, l’eccezione va pertanto respinta, in quanto la giurisdizione spetta a questo giudice. 16. Nel merito, occorre preliminarmente esporre rapidamente il quadro normativo di riferimento. L’art. 13, comma l, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ha introdotto un nuovo regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un “contributo unificato” fissato in proporzione al valore della controversia, rispetto al sistema previgente che era basato sul pagamento di una marca da bollo (di € 14,62) ogni quattro pagine (corrispondenti al cosiddetto foglio protocollo ), da versare anticipatamente al momento dell’iscrizione a ruolo, e di diritti di segreteria (ex d.P.R. 6 ottobre 1972, n. 642). 16.1. Con l’inserimento del comma 6 bis al citato art. 13, operato dall’art. 21, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella l. 4 agosto 2006, n. 248, integrato dall’art. 1, comma 1307, della l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) , il contributo unificato per i processi amministrativi, diversamente da quanto previsto per i processi civili, è stato svincolato dal valore della controversia. Il legislatore, infatti, ha adottato il differente criterio per materia, ed, in seguito, ha ulteriormente distinto l’entità del contributo unificato dovuto secondo un’ulteriore differenziazione delle materie. Il contributo unificato per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali ed al Consiglio di Stato è ordinariamente dovuto nell’importo di 650 euro. Il medesimo importo è stabilito addirittura anche per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che precedentemente e per antichissima tradizione era gratuito e senza oneri di avvocato, salvo soltanto il pagamento dell’imposta di bollo, mentre ora, 138 rivista trimestrale degli appalti per evidenti ragioni di cassa, sconta anch’esso il pagamento del contributo: con ciò elidendosi una delle ragioni di sopravvivenza dell’istituto. 16.2. Per materie particolari sono, invece, fissati importi diversi, e precisamente: a) per i ricorsi previsti dagli artt. 116 e 117 del Codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (riti aventi ad oggetto il diritto all’accesso ai documenti ed i ricorsi contro il silenzio dell’amministrazione), per quelli aventi ad oggetto il diritto di cittadinanza, di residenza, di soggiorno e di ingresso nel territorio dello Stato e per i ricorsi di esecuzione della sentenza o di ottemperanza del giudicato, il contributo dovuto è di euro 300; b) per le controversie concernenti rapporti di pubblico impiego, il contributo è ridotto della metà (quindi è di 325 euro); c) per i ricorsi cui si applica il rito abbreviato comune a determinate materie, previsto dal libro IV, titolo V, del codice del processo amministrativo (si tratta di numerose e particolari materie, tra cui le espropriazioni, le privatizzazioni, le ordinanze emergenziali di protezione civile), nonché da altre disposizioni che richiamino il citato rito, il contributo dovuto è di euro 1.800. 16.3. Nel settore (qui in rilievo) degli appalti, infine, il contributo dovuto è stato aumentato fino ad euro 2.000 per i ricorsi previsti dal previgente art. 23 bis, comma 1, l. n. 6 dicembre 1971, n. 1034, cioè quasi il quadruplo di quanto dovuto per i contenziosi amministrativi soggetti al rito ordinario ed oltre il sestuplo per quelli “agevolati”. 16.4. Successivamente, con l’art. 15, d.lgs. n. 20 marzo 2010, n. 53 è stato disposto che il contributo unificato fosse dovuto non solo all’atto dell’iscrizione a ruolo del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per “quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove”. 16.5. L’art. 37, comma 6, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in l. 15 luglio 2011, n. 111, ha, poi, ulteriormente incrementato il contributo unificato dovuto per il contenzioso amministrativo. In particolare, esso è stato aumentato fino ad euro 4.000 per i ricorsi in materia di appalti. 16.6. Infine, con la riedizione dell’ art. 37, comma 6, lett. s, cit., come modificato dall’art. 1, comma 25, lett. a, n. 1, 2 e 3, l. 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il contributo in materia di appalti è stato articolato nel modo seguente: - € 2.000 quando il valore dell’appalto è pari o inferiore a euro 200 mila; - € 4.000 per le controversie di valore compreso tra 200 mila e 1.000.000 euro; - € 6.000 per quelle di valore superiore a 1.000.000 euro. 16.7. Tali importi aumentano ulteriormente (ex art. 13, comma 1 bis, d.P.R. 115 del 2002) del 50% per il giudizio di appello, per proporre il quale occorre quindi versare, sempre in materia di appalti pubblici, rispettivamente 3.000, 6.000 e 9.000 € . 16.8. La l. n. 228 del 2012 ha, inoltre, aggiunto il comma 1 quater al citato art. 13, prevedendosi una sorta di sanzione occulta o indiretta nel caso di impugnazioni in appello dichiarate infondate, inammissibili o improcedibili. Tale norma infatti prevede che “Quando l’impugnazione,anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contri- giurisprudenza 139 buto unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione,principale o incidentale, a norma del comma 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Ora, a prescindere dal problema dell’applicabilità o meno della riportata disposizione ai giudizi innanzi al giudice amministrativo (ai quali, secondo la citata circolare del Segretario generale della Giustizia amministrativa, non sarebbe applicabile), essa è comunque rivelatrice di un intento quasi intimidatorio a non insistere nell’azione giurisdizionale intrapresa ed a non “disturbare” oltre il giudice: come tale, sintomo ulteriore dell’irrazionalità ed iniquità dell’intera disciplina. 16.9. Va ulteriormente rimarcato che l’art. 14, comma 3 ter, del d.P.R. n. 115 del 2002 (introdotto dall’art. 1, comma 26, l. n. 228 del 2012), ha previsto che “Nel processo amministrativo per valore della lite nei ricorsi di cui all’art. 119, comma 1, lett. a, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, si intende l’importo posto a base d’asta individuato dalle stazioni appaltanti negli atti di gara, ai sensi dell’art. 29, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163”, anziché il margine di utile ritraibile dall’esecuzione del contratto d’appalto. 16.10. Infine, il d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011, n. 148, ha introdotto un’ulteriore “sanzione”, recata dall’art. 6 bis.1, in base al quale “Gli importi di cui alle lettere a, b, c, d ed e del comma 6 bis sono aumentati della metà ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio recapito fax, ai sensi dell’ art. 136, Codice del processo amministrativo di cui al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale nel ricorso…”. In tal modo, si aggiunge l’ulteriore iniquità di riversare sul cittadino negligenze ed omissioni a lui non imputabili. 16.11. Dall’esame che precede emerge un quadro assai frastagliato, non sempre logico né coerente nella determinazione e nella diversificazione degli importi del contributo unificato, dal quale, comunque, spicca l’evidente, sproporzionata penalizzazione nella tassazione dei ricorsi davanti al giudice amministrativo soprattutto in materia di contratti pubblici. Tale impianto legislativo pone evidenti problemi di conformità ai parametri e principi dell’ordinamento comunitario, ancor prima che di conformità ai precetti costituzionali come invocato dalla parte ricorrente. 17. Più in particolare, venendo alla fattispecie in esame, l’appalto di servizio in contestazione risulta avere un valore, stimato dalla stessa Azienda pubblica di servizi alla persona “San Valentino”, complessivamente ben superiore alla soglia comunitaria fissata, per questa categoria di appalti di servizi, in 200.000 euro dall’art. 7, Direttiva comunitaria 31 marzo 2004, n. 18, secondo il metodo di calcolo stabilito dall’art. 9, comma 7, Direttiva stessa per gli appalti di servizio di durata, soggetti a rinnovo. Infatti, la deliberazione del C.d.A. 14 dicembre 2011, n. 24, di affidamento del servizio infermieristico alla controinteressata per il 2012, prevede un costo di € 149.891,00; la successiva deliberazione del C.d.A. 21 dicembre 2012, n. 35, di proroga del medesimo servizio fino al 30 giugno 2013, prevede un costo di € 71.681,00; infine, la determinazione del direttore 25 marzo 2013, n. 61, recante l’indizione della gara per l’affidamento del servizio infermieristico per i successivi 12 mesi, prevede un costo di € 133.550,00. Trova, pertanto, qui applicazione la “Direttiva ricorsi” 21 dicembre 1989, n. 665 e successive modificazioni. 140 rivista trimestrale degli appalti Tale Direttiva, all’art. 1 (“Ambito di applicazione e accessibilità delle procedure di ricorso”), fissa i fondamentali principi di efficacia, celerità, non discriminazione ed accessibilità, che nell’ordinamento interno possono condensarsi nelle formule dell’effettività e satisfattività della tutela. Essa. infatti, stabilisce, nel testo novellato, che: “1. (…) Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla Direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni previste negli artt. da 2 a 2 septies della presente Direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. 2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla presente Direttiva tra le norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme nazionali. 3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione.” 18. Ora, è pur vero che il previo pagamento del contributo unificato, nel suo esatto importo, non è condizione di ammissibilità e/o procedibilità del ricorso e che, ove la domanda sia accolta, la parte soccombente è normalmente tenuta alla refusione delle spese di lite e, dunque, anche del contributo stesso. Tuttavia, l’esborso anticipato di cifre così elevate, in molti casi superiori allo stesso utile d’impresa da calcolare in relazione all’importo dell’appalto (determinabile nella misura presuntiva del dieci per cento, secondo il criterio forfetario ed automatico elaborato dalla giurisprudenza, in applicazione analogica dell’art. 134, comma 1, d.lgs. n. 12 aprile 2006 n. 163, che quantifica in tale percentuale il guadagno presunto dell’appaltatore: cfr., ad es.: Cons. St., Sez. V 30 luglio 2008, n. 3806; Cons. St., Sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 5 marzo 2013, n. 2358), può facilmente comportare, specialmente per appalti di non elevatissimo importo, come quello in discussione, comprensibili esitazioni o, addirittura, rinunce da parte dell’interessato alla scelta di proporre il ricorso giurisdizionale. Per altro verso, l’entità dell’esborso, anche per atti processuali (motivi aggiunti; ricorsi incidentali) successivi a quello originario, genera atteggiamenti di autorinuncia, da parte del difensore, a tutti gli strumenti processuali che potrebbero essere fatti valere in giudizio. In tal modo, si va ad incidere sotto ulteriore profilo sul diritto di difesa, attraverso la lesione dello, strumentalmente connesso, fondamentale principio di libertà di scelta di strategie processuali ad opera del difensore. 19. Si pensi, per fare un esempio concreto, al caso di un’impresa esclusa da una gara pubblica del valore di € 201.000, la quale deve sborsare subito un contributo unificato di € 4.000 per poter impugnare il provvedimento di esclusione. Intervenuta, nelle more del giudizio, l’aggiudicazione, l’impresa dovrà presentare motivi aggiunti con un costo aggiuntivo di € 4.000. giurisprudenza 141 Se, poi, dovesse essere impugnato, con motivi aggiunti, anche il diniego dell’amministrazione sull’ “informativa in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale” ex art. 243 bis, d.lgs. n. 163 del 2006, vi sarà un nuovo esborso di € 4.000, che porta il totale della spesa per il ricorso al TAR a ben € 12.000 (compensi professionali del difensore esclusi, ovviamente). Ove, poi, l’esito del giudizio di primo grado fosse sfavorevole, l’impresa che intenda appellare la sentenza del TAR dovrebbe aggiungere il contributo unificato del giudizio avanti al Consiglio di Stato, per il quale, come detto, è previsto un aumento nella misura del 50 % in più del contributo versato in primo grado. Nell’esempio appena fatto, sarà dovuto un contributo unificato in appello pari ad € 6.000, con la prospettiva poi, per effetto della citata norma punitiva del comma 1 quater (se ritenuta applicabile anche ai giudizi amministrativi), di essere costretti a corrispondere ulteriori € 6.000, laddove l’appello venga respinto integralmente o dichiarato inammissibile o improcedibile. L’impresa, quindi, dovrà preventivare una spesa per l’accesso alla giustizia amministrativa, per il solo contributo unificato (senza quindi considerare l’onorario di difensore ed altre spese di causa, come quelle di notifica di atti, di cancelleria, etc.), di ben € 24.000: cifra, questa, esorbitante se parametrata al valore dell’appalto che, in termini effettivi (cioè di utile d’impresa, peraltro calcolato secondo parametri non più coerenti con periodi di crisi economica drammatica e prolungata, come quelli attuali), si aggira sui 20.000 euro (10% del valore corrispondente alla base d’asta di € 201.000,00 nell’esempio appena considerato). 20. In altri termini, l’eccessiva somma da versare, non solo all’atto di deposito del ricorso principale, ma anche per il deposito di ogni atto per motivi aggiunti o ricorso incidentale, nonché nella successiva eventuale fase di appello, incide in modo decisivo ed intollerabile: a) sul diritto di agire in giudizio, cioè sulla libertà di scelta di ricorrere al giudice amministrativo, da parte di tutti gli operatori economici interessati al mercato dei contratti pubblici, che intendano chiedere l’annullamento di un provvedimento illegittimo; b) sulle strategie processuali dei difensori, che saranno oltretutto condizionate anche dalla discriminazione tra operatori economici “ricchi”, per i quali resta comunque conveniente accettare l’alea della tassazione elevata a fronte della prospettiva di ottenere un rilevante beneficio economico, all’esito eventualmente favorevole del giudizio, rispetto ad operatori economici modesti, per appalti non particolarmente lucrativi, per i quali potrebbe rivelarsi non affatto conveniente anticipare le anzidette somme così sproporzionate al valore (effettivo) dell’appalto; c) sulla pienezza ed effettività del controllo giurisdizionale sugli atti della pubblica amministrazione e sull’osservanza dello stesso principio costituzionale di buon andamento, al quale si ricollega strumentalmente il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (ex artt. 24 e 113 Cost.; art. 1 del codice del processo amministrativo; art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU) e non solo apparente: cfr., sul punto, ad es.: Corte giust. UE, Grande Sezione, 18 luglio 2013, n. 584, Corte giustizia UE, Sez. III, 27 giugno 2013, n. 93; Cons. St., Ad. plen., 15 gennaio 2013 n. 2; Cons. St., Sez. V, 9 settembre 2013, n. 4474; Cons. St., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3801. 21. A supporto dell’assoluta irrazionalità ed iniquità della scelta del legislatore nazionale, va inoltre osservato che esso ha discriminato coloro 142 rivista trimestrale degli appalti che si rivolgono al giudice amministrativo rispetto a coloro che invocano la tutela del giudice civile o tributario: per i secondi, infatti, la tassazione è di gran lunga meno onerosa. Al riguardo, basti considerare che: a) per una controversia civile di valore elevatissimo (miliardi di euro, non paragonabile a quella in esame) il contributo massimo – avanti alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale di cui al d.lgs. n. 168 del 2003 – è di (soli) € 2.932; b) lo stesso criterio vale anche per le cause innanzi alle commissioni tributarie, per le quali è previsto un contributo massimo di € 1.500 per tutte le cause di valore superiore ad euro 200.000; c) negli ordinari giudizi civili, il cui valore di controversia si pone tra € 5.200 ed € 26.000, cioè di valore analogo a quelli amministrativi avverso procedure di gara di modesto importo (come quella in questione, il cui utile sperato è, come detto, circa il 10 per cento dell’importo a base d’asta), il contributo è di soli euro 206. 22. Per tornare all’esempio fatto sopra, la stessa impresa che intenda contestare davanti al giudice civile la risoluzione del contratto di appalto del valore di € 201,000,00, nel primo grado dovrà sostenere un contributo unificato pari ad € 660,00, nel grado di appello un contributo unificato di € 990,00, mentre nel giudizio di Cassazione un ulteriore contributo unificato di € 1.320,00, per un totale di € 2.970,00. Invece, come detto sopra, l’impresa che volesse contestare davanti al giudice amministrativo la fase a monte della stipula del contratto, dovrà preventivare un costo di € 24.000 per il pagamento del contributo unificato. Non è chi non veda, dunque, l’abnorme ed irragionevole sproporzione, nonché l’evidente e macroscopica disparità di trattamento nella tassazione tra i diversi giudizi appena menzionati. 23. A salvare dall’intollerabile iniquità il perverso meccanismo impositivo considerato, neppure può valere la rimborsabilità del contributo in caso di vittoria. Il ricorrente, infatti – dovendo comunque anticipare il pagamento del contributo unificato – salvo il successivo rimborso, peraltro in tempi resi incerti dalla notoria inefficienza dell’apparato burocratico, all’esito eventualmente favorevole del giudizio – si trova sostanzialmente esposto al meccanismo del cosiddetto solve et repete, cioè all’onere del pagamento del tributo quale presupposto imprescindibile dell’esperibilità (anche se non a pena di inammissibilità) dell’azione giudiziaria diretta a ottenere la tutela del diritto del contribuente mediante l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del tributo stesso; meccanismo già stigmatizzato e dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 21 e n. 79 del 1961, in quanto reca un impedimento al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, in contrasto non solo con i già considerati parametri normativi comunitari, ma anche con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, nonché per la disparità di trattamento fra contribuente in grado di pagare immediatamente e contribuente non particolarmente abbiente. 24. Tutto ciò chiarito, proprio a causa dell’inspiegabile misura del contributo e degli effetti irrazionalmente distorsivi sulla concorrenza e sull’effettività della tutela giurisdizionale davanti al g.a. in materia di contratti pubblici, il Collegio dubita che la ricordata normativa italiana giurisprudenza 143 sul contributo unificato, così come spropositamente ed illogicamente quantificato, sia conforme all’anzidetta Direttiva dell’Unione europea 89/665, che impone agli stati membri di rendere accessibili le procedure di ricorso, sembrando costituire un ostacolo all’accesso alla giustizia amministrativa da parte di chiunque sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione in materia di appalti. 25. Non va sottaciuto, peraltro, che l’aumento continuo e progressivo del contributo unificato, via via attuato con i diversi interventi normativi citati sopra, sembra in contrasto anche con i principi comunitari di proporzionalità e di divieto di discriminazione, nonché, soprattutto, con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che è centrale nella logica della stessa Direttiva 89/665 e che costituisce un principio generale non solo dell’ordinamento interno, ma anche e vieppiù del diritto dell’Unione (v. ancora, in tal senso, Corte giust. UE, 13 marzo 2007, causa C-432/05, e giurisprudenza ivi citata; cfr. anche, Corte giust. UE, 6 maggio 2010, n. 145; Corte giust. UE, 28 gennaio 2010, n. 406; Corte giust. UE, 18 luglio 2013, n. 584; Corte giust. UE, 27 giugno 2013, n. 93; Corte giust. UE, 30 aprile 2009, n. 393; Corte giust. UE, Grande Sezione, 3 settembre 2008, n. 402; Corte giust. UE, Grande Sezione, 13 marzo 2007, n. 432). Invero, l’imposizione di un’elevata tassazione, come condizione per poter tutelare le proprie ragioni in giudizio, significa discriminare coloro che non hanno adeguati mezzi economici per farle valere, nonché scoraggiare o impedire la tutela di interessi economici non sufficientemente robusti, rispetto all’entità della somma da sborsare a titolo di contributo unificato. 26. Sotto ulteriore profilo, la normativa interna sul contributo unificato comporta, ad avviso del Collegio, altresì la violazione del principio di proporzionalità, che, com’è noto, costituisce parte integrante dei principi generali del diritto comunitario ed esige che la normativa nazionale non ecceda i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi pur legittimamente perseguiti da ciascuno Stato. Alla stregua di tale principio, infatti, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e penalizzante, in modo che gli inconvenienti causati dalle stesse misure non siano sproporzionati rispetto ai fini da raggiungere (cfr., ad esempio: Corte giust. UE, 12 luglio 2001, causa C-189/01; Corte giust. UE, 12 settembre 2013, n. 660; Corte giust. UE, 8 maggio 2013, n. 197; Corte giust. UE, 13 dicembre 2012, n. 395; Corte giust. UE, Grande Sezione, 27 novembre 2012, n. 566; Corte giust. UE, Grande Sezione, 21 dicembre 2011, n. 28). 27. Alla luce dei principi sinteticamente ricordati, risulta che l’imposizione del pagamento di uno specifico contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa, in misura generalmente elevata ma, addirittura, spropositata nella particolare materia degli appalti pubblici, appare confliggente con i ricordati principi di livello comunitario. Il predetto contributo, infatti, assurge a livelli di assoluta arbitrarietà ed iniquità sotto vari profili, peraltro già sopra evidenziati: - anzitutto, esso è determinato, come già detto, a prescindere dal valore effettivo della controversia, ma ragguagliato ad un valore teorico (la base d’asta) e suddiviso in tre soli scaglioni di valore; - è, quindi, fissato in modo da non tener conto dell’effettivo utile d’impresa ricavabile dall’aggiudicazione dell’appalto (fissato, come detto, convenzionalmente nella misura del 10% dalla giurisprudenza citata so- 144 rivista trimestrale degli appalti pra), dunque, in misura sproporzionata, anzi del tutto avulsa rispetto alla reale “capacita contributiva” (in senso atecnico) dell’impresa che aspiri all’aggiudicazione; - è fissato in misura sproporzionatamente superiore a quella necessaria per adire il giudice civile, anche nella stessa materia degli appalti; - in tal modo, si opera un’irrazionale discriminazione tra imprese operanti nello stesso settore (quello degli appalti, a prescindere dalla natura pubblica o privata degli stessi), ovvero tra imprese dotate di diversa capacità di finanziamento per sostenere gli elevatissimi costi di accesso alla giustizia amministrativa; - discrimina irrazionalmente gli esercenti le professioni legali, penalizzando quelli operanti nel settore degli appalti pubblici, costretti – come già osservato – a scelte processuali non libere, ma condizionate dalla necessità del previo pagamento del contributo da richiedere immediatamente al cliente. Tutto ciò non sembra coerente né con il citato principio di proporzionalità, né con quello ulteriore di effettività della tutela giurisdizionale, recati dalla più volte ricordata Direttiva ricorsi. 28. Il predetto principio di proporzionalità risulta, poi, violato sotto ulteriore profilo. Invero, se il contributo unificato è una tassa che il ricorrente è tenuto a versare anticipatamente in relazione a un’utilità specifica che egli trae dalla prestazione di un servizio pubblico (cioè, nel caso, dall’attività giurisdizionale) reso a sua richiesta, il servizio stesso dovrebbe essere parametrato ai costi sopportati dallo Stato per l’organizzazione ed il funzionamento dell’apparato giurisdizionale (sulla nozione di tassa, fra le tantissime, cfr: Corte cost. 26 giugno 2002, n. 284; Cass., Sez. VI, 24 luglio 2013, n. 18022; Cass., Sez. trib., 6 novembre 2009, n. 23583). Allora, fermo restando che il costo sopportato dallo Stato per lo svolgimento del giudizio amministrativo in materia di appalti pubblici non è apprezzabilmente diverso, né distinto e superiore rispetto ai giudizi su altri tipi di contenzioso, una diversificazione dell’importo (forse) rispetterebbe l’anzidetto principio di proporzionalità se fosse almeno ragguagliato al valore effettivo della causa. Ma neppure in tal caso la proporzionalità apparirebbe rispettata, non essendovi nemmeno in tal caso una divergenza di costi per erogare lo stesso servizio giudiziario, sia per un appalto di poche centinaia di migliaia di euro, che per quello di molte centinaia di milioni. I costi del personale amministrativo e di magistratura, delle strutture, dell’organizzazione complessiva della macchina giudiziaria sono fissi e costanti, non variabili in proporzione alla qualità e valore del contenzioso. Se così stanno le cose, e la misura del contributo non vale a coprire specifici e differenziati costi della giustizia nella particolare materia degli appalti, allora esso, evidentemente, persegue scopi diversi da quello di finanziamento della spesa pubblica per la giustizia amministrativa. 29. È opinione diffusa in dottrina, tra gli operatori giuridici e tra gli stessi magistrati, infatti, che il legislatore italiano abbia voluto ostacolare l’accessibilità ai mezzi di ricorso in materia di appalti, rispetto alle altre materie del contenzioso amministrativo, mediante l’imposizione di una tassazione esagerata, illogica, iniqua e sproporzionata, con la finalità di deflazionare tale contenzioso. Si vorrebbe, in tal modo, raggiungere un duplice risultato: giurisprudenza 145 a) quello di alleggerire il peso ormai insostenibile del contenzioso arretrato (per il quale infatti il legislatore ha previsto straordinari rimedi organizzativi: art. 16 dell’all. 2 al Codice del processo amministrativo); b) quello di non intralciare soverchiamente l’apparato burocratico nella realizzazione di opere pubbliche e nell’acquisizione di beni e servizi. 30. Il primo obiettivo risulta in parte raggiunto, sulla scorta dei dati statistici che vedono una flessione dei ricorsi pervenuti al g.a. in materia di appalti. Invero, come emerge dalla relazione del Presidente del Consiglio di Stato in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, nell’arco di tempo che va dal 2008 al 2012 si assiste ad un trend in cui il numero dei ricorsi proposti davanti ai TAR si mantiene costante, dal 2008 al 2011, in circa 56.000 all’anno, mentre nel 2012 vi è stata una flessione con un numero di circa 51.000. Anche in grado d’appello si assiste, nel 2012, ad un significativo calo di ricorsi, da circa 10.500 (numero, questo, costante dal 2008 al 2011) a 9.300. Tale marcata flessione riguarda, in modo particolare, la materia degli appalti ed è evidentemente riconducibile all’aumento esagerato del contributo unificato. 31. Il secondo obiettivo si colloca all’interno di una più complessa strategia processuale. Al riguardo – osserva il Collegio – da lungo tempo il contenzioso in tema di appalti pubblici è governato da un rito processuale speciale, chiaramente ispirato all’esigenza di salvaguardare gli interessi pubblici coinvolti; il che ha condotto il Legislatore all’emanazione di una disciplina tesa ad impedire che il giudice amministrativo, in particolare nella fase cautelare, blocchi o comunque ritardi l’esecuzione dei contratti pubblici, in una materia d’immediato rilievo economico per lo Stato. Dunque, anche gli elevati e sproporzionati importi del contributo unificato in questa materia sembrano ispirati alla stessa logica di scoraggiare e comprimere il ricorso alla giustizia amministrativa. 32. Tutte queste rilevazioni evidenziano come e perché la sopra ricordata normativa nazionale si ponga in rotta di collisione non solo con i principi costituzionali di effettività e satisfattività della tutela giurisdizionale (come censurato da parte ricorrente), ma – soprattutto, principalmente e preliminarmente – con la ricordata Direttiva n. 665/89, la quale ha posto anch’essa, come priorità assoluta ed incondizionata, l’esigenza di effettività della tutela del ricorrente, come variabile indipendente dall’interesse alla celere e non ostacolata esecuzione del contratto pubblico. Come già detto sopra, si ribadisce che il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, a sua volta derivato dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU, oltre ad essere stato ribadito anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. la giurisprudenza sopra citata ai punti 20 e 25). L’efficacia dei mezzi di ricorso presuppone, infatti, costi sostenibili e proporzionati al vantaggio che il ricorrente confida di ritrarre dalla controversia, mentre la citata disciplina del contributo unificato in materia di appalti sembra ostacolare il raggiungimento dell’effetto utile perseguito dalla Direttiva n. 665/89. A maggior ragione, in fattispecie di appalti di scarso valore, ma comunque al di sopra della soglia comunitaria, come 146 rivista trimestrale degli appalti quello in esame, l’elevato ammontare del contributo unificato rischia di vanificare del tutto l’utilità ritraibile dal ricorso. 33. In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene pregiudizialmente sussistere l’interesse sostanziale e processuale della parte ricorrente ad opporsi al pagamento richiesto con l’atto del Segretario Generale del TRGA di Trento per proporre ricorso avverso gli atti in epigrafe indicati ed impugnati con il ricorso originario ed i successivi motivi aggiunti, sussistendo quindi (cfr. Cons. St., Sez. V, 23 ottobre 2013, n. 5131) le condizioni per rimettere all’esame della Corte di giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale di corretta interpretazione della normativa interna in rapporto a quella comunitaria sovraordinata: - se i principi fissati dalla Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1989, 89/665/CEE e successive modificazioni ed integrazioni, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla Direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli artt. 13, commi 1 bis, 1 quater e 6 bis, e 14, comma 3 ter, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 (come progressivamente novellato dagli interventi legislativi successivi) che hanno stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici. 34. Ai sensi della “nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali” 2011/C 160/01 in G.U.C.E. 28 maggio 2011, vanno trasmessi alla cancelleria della Corte, mediante plico raccomandato in copia, i seguenti atti: - il ricorso ed i motivi aggiunti; - i provvedimenti impugnati con il ricorso e con i motivi aggiunti; - gli atti di costituzione in giudizio delle controparti; - le memorie difensive depositate dalle parti nel giudizio; - la presente ordinanza; - la circolare 18 ottobre 2011 del Segretario generale della Giustizia amministrativa; - copia delle seguenti norme nazionali: artt. 13 e 14, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e Codice del processo amministrativo, approvato con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. 36. Il presente giudizio viene sospeso, nelle more della definizione dell’incidente comunitario, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva. P.Q.M. Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento (Sezione Unica) non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dispone: 1) a cura della segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia degli atti ivi indicati; 2) la sospensione del presente giudizio. Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese. Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall’autorità amministrativa. giurisprudenza 147 CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE PRESSO LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA Niilo Jääskinen presentate il 7 maggio 2015, in causa C-61/14, Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento (Italia)1 I – Introduzione 1. Si dice che il giudice del XIX secolo Sir James Matthew abbia affermato che «in Inghilterra la giustizia è aperta a tutti, come l’Hotel Ritz». La causa in esame fornisce alla Corte l’opportunità di considerare se lo stesso valga per i procedimenti giurisdizionali relativi all’aggiudicazione di appalti pubblici in Italia disciplinati dal diritto dell’Unione sugli appalti pubblici. 2. Il diritto italiano prevede che i tributi giudiziari applicabili in procedimenti giurisdizionali relativi agli appalti pubblici siano considerevolmente più elevati di quelli generalmente applicabili nell’ambito dei procedimenti amministrativi. Inoltre, tale tassazione è dovuta in modo cumulativo per ogni nuova fase procedurale che costituisca, ai sensi del diritto italiano, una nuova domanda fondata su motivi aggiunti. 3. Ciò solleva la questione se le norme italiane pertinenti siano compatibili con gli obiettivi della Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori2. La Direttiva deve essere interpretata alla luce dei principi di effettività e di equivalenza, nonché dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali (in prosieguo: la «Carta») e della sua garanzia di accesso alla giustizia. II – Contesto normativo A – Il diritto dell’Unione 4. Il considerando 3, Direttiva 89/665 dispone quanto segue: «(…) l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza comunitaria rende necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione[;] (…) occorre, affinché essa sia seguita da effetti concreti, che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscano tale diritto». 5. L’art. 1, Direttiva 89/665, rubricato «[a]mbito di applicazione e accessibilità delle procedure di ricorso», come modificato, dispone: «1. La presente Direttiva si applica agli appalti di cui alla Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi,3 a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli artt. da 10 a 18, Direttiva. (1) (Omissis) (2) (Omissis) (3) (Omissis) 148 rivista trimestrale degli appalti Gli appalti di cui alla presente Direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla Direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni previste negli artt. da 2 a 2 septies della presente Direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto comunitario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. 2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla presente Direttiva tra le norme nazionali che recepiscono il diritto comunitario e le altre norme nazionali. 3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione». 6. L’art. 2, Direttiva 89/665, rubricato «[r]equisiti per le procedure di ricorso», dispone: «1. Gli Stati membri provvedono affinché i provvedimenti presi in merito alle procedure di ricorso di cui all’art. 1 prevedano i poteri che consentono di: a) prendere con la massima sollecitudine e con procedura d’urgenza provvedimenti cautelari intesi a riparare la violazione denunciata o ad impedire che altri danni siano causati agli interessi coinvolti, compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico o l’esecuzione di qualsiasi decisione presa dall’amministrazione aggiudicatrice; b) annullare o far annullare le decisioni illegittime, compresa la soppressione delle specifiche tecniche, economiche o finanziarie discriminatorie figuranti nell’invito a presentare l’offerta, nei capitolati d’oneri o in ogni altro documento connesso con la procedura di aggiudicazione dell’appalto in questione; c) accordare un risarcimento danni ai soggetti lesi dalla violazione». B – Il diritto nazionale 7. L’art. 13, comma 1, d.P.R. n. 115 del 2002, come più recentemente modificato dalla l. n. 228 del 24 dicembre 20124, ha introdotto un nuovo regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un contributo unificato. Ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis, nell’ambito dei processi amministrativi, l’importo del contributo unificato è connesso alla materia del processo amministrativo. Per i ricorsi dinanzi ai giudici amministrativi, il contributo unificato ordinario è pari a euro 650. Per specifiche materie sono fissati importi diversi5. Per quanto riguarda la materia degli appalti (4) (Omissis) (5) Ad esempio, quelli agevolati di euro 300 per i ricorsi in materia di diritto di giurisprudenza 149 pubblici, il contributo unificato, a partire dal 1° gennaio 2013, va da euro 2 000 a euro 6 000 a seconda del valore dell’appalto6. Ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, il contributo unificato è dovuto non solo per il deposito del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per quello del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti che introducono domande nuove. 8. Riguardo alla determinazione del valore delle cause in materia di appalti pubblici, ai sensi dell’art. 14, comma 3 bis, d.P.R. n. 115 del 2002, esso coincide con l’importo posto a base d’asta individuato dalle amministrazioni aggiudicatrici negli atti di gara. III – I fatti del procedimento principale, la questione pregiudiziale e il procedimento dinanzi alla Corte 9. La ricorrente, Orizzonte Salute – Studio infermieristico Associato (in prosieguo: «Orizzonte Salute») è un’associazione che svolge professionalmente servizi infermieristici a favore di enti pubblici e privati. Essa ha impugnato dinanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento, mediante un ricorso introduttivo integrato da tre successivi ricorsi per motivi aggiunti, alcuni atti, emessi nel periodo dal 21 dicembre 2012 al 23 maggio 2013 dalla resistente, l’Azienda pubblica di servizi alla persona «San Valentino» – Città di Levico Terme (in prosieguo: l’«APSP»). 10. Gli atti impugnati riguardavano la proroga di un appalto di servizi infermieristici a favore di un’altra associazione e la gara di appalto successivamente bandita dall’APSP, con la quale si invitavano a presentare offerte solo talune associazioni accreditate dall’IPASVI (Infermieri Professionali Assistenti Sanitari Vigilatrici d’Infanzia) di cui Orizzonte Salute non era membro. 11. Orizzonte Salute inizialmente ha pagato un contributo unificato di euro 650 per il procedimento amministrativo ordinario. Tuttavia, il 5 giugno 2013 il giudice del rinvio ha chiesto a Orizzonte Salute di effettuare un pagamento supplementare per raggiungere la somma di un contributo unificato pari a euro 2 000, poiché il suo ricorso originario ricadeva nell’ambito degli appalti pubblici. 12. Con un nuovo ricorso, il quarto ricorso per motivi aggiunti, presentato il 2 luglio 2013, Orizzonte Salute ha impugnato tale decisione. Il giudice del rinvio ha deciso, per ragioni di economia processuale, di statuire in via preliminare su tale impugnazione. 13. Il giudice del rinvio dubita della compatibilità del regime di tassazione degli atti giudiziari dello Stato membro con numerose norme e principi di diritto dell’Unione. Esso pertanto ha sottoposto la seguente questione pregiudiziale: «Se i principi fissati dalla Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, e successive modifiche ed integrazioni, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla Direttiva soggiorno o di cittadinanza, e di euro 325 per quelli in materia di pubblico impiego. (6) Il contributo unificato è pari a euro 2.000, quando il valore dell’appalto è pari o inferiore a euro 200 000; è pari a euro 4.000, quando esso è compreso tra 200 000 e 1 000 000; ed è pari a euro 6 000, quando esso è superiore a euro 1 000 000. 150 rivista trimestrale degli appalti del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli artt. 13, commi 1 bis, 1 quater e 6 bis, e 14, comma 3 ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (come progressivamente novellato dagli interventi legislativi successivi), che [ha] stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici». 14. Sono state presentate osservazioni scritte da parte di Orizzonte Salute, della Camera amministrativa romana, dell’Associazione dei consumatori cittadini europei, del Coordinamento delle associazioni per la tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e consumatori (Codacons), dell’Associazione dei giovani amministrativisti (AGAmm), dell’Ordine degli Avvocati di Roma, della Società italiana degli avvocati amministrativisti (SIAA)7, nonché dei governi italiano, ellenico, austriaco e polacco e della Commissione. Degli Stati membri che hanno depositato osservazioni scritte solo l’Italia ha partecipato all’udienza che si è tenuta l’11 febbraio 2015. Tutte le altre parti summenzionate hanno partecipato alla stessa udienza, compresa la Commissione, insieme alla Medical System s.p.a., che ha presentato soltanto osservazioni orali. IV – Ricevibilità 15. Innanzitutto, rilevo che sia il giudice del rinvio sia Orizzonte Salute hanno richiamato l’attenzione della Corte sugli importi riscossi ai sensi del diritto italiano con riferimento a procedimenti in materia di appalti pubblici che esulano dai fatti emergenti nella presente causa, quali, ad esempio, i contributi unificati aumentati in caso di impugnazione. Il governo austriaco ritiene che la questione pregiudiziale sia ricevibile solo nella parte in cui tratta del quarto ricorso per motivi aggiunti presentato da Orizzonte Salute in relazione alla riscossione del contributo unificato di euro 2 000. Quanto al resto, il governo austriaco è dell’idea che la questione sia ipotetica. 16. Inoltre, rilevo che la questione sottoposta dal giudice nazionale è di natura ampia e generale. Come rilevato nelle osservazioni scritte della Commissione, il giudice del rinvio non spiega perché una risposta della Corte sia necessaria per la risoluzione della controversia. 17. Non è compito della Corte formulare pareri a carattere consultivo su questioni di natura generale o ipotetica8. Il rinvio pregiudiziale deve rispondere all’esigenza di dirimere concretamente una controversia9. Il procedimento in esame non ha la natura di un ricorso diretto della Commissione nei confronti dell’Italia con cui essa chieda, in abstracto, se il regime giuridico vigente di riscossione di tributi giudiziari nelle cause in materia di appalti pubblici rispetti il diritto dell’Unione, ma piuttosto di un procedimento di rinvio pregiudiziale indissolubilmente connesso alle questioni giuridiche afferenti al procedimento principale. (7) Osservo che il Presidente della Corte ha ammesso le osservazioni scritte di tutte queste organizzazioni prima della fase orale del procedimento. Ciò posto, nonostante le osservazioni presentate dal governo italiano, non intendo analizzare la questione se tali osservazioni siano ammissibili. (8) Sentenza Kamberaj (C-571/10, EU:C:2012:233, punto 41). (9) Sentenze Pohotovost’ (C-470/12, EU:C:2014:101, punto 29) e García Bianco (C-225/02, EU:C:2005:34, punto 28). giurisprudenza 151 18. Ciò posto, in questa fase il procedimento principale riguarda principalmente una questione circoscritta, vale a dire il quarto ricorso per motivi aggiunti con cui Orizzonte Salute contesta la legittimità dell’entità del tributo giudiziario riscosso per il ricorso originario. In relazione a tale problematica giuridica, che il giudice del rinvio ha deciso di esaminare in via preliminare, la questione pregiudiziale non è ipotetica. Inoltre, poiché l’atto impugnato è costituito dal quinto tributo giudiziario riscosso nel procedimento principale, a mio avviso anche la tematica della tassazione cumulativa necessita di una risposta della Corte. Se la Corte dovesse riscontrare che il sistema italiano è incompatibile con il diritto dell’Unione, il giudice nazionale dovrebbe trarre le adeguate conclusioni da tale statuizione con riferimento al contributo unificato riscosso per il ricorso originario. Pertanto, all’interno di tali parametri, il rinvio pregiudiziale è ricevibile. V – Analisi A – Osservazione preliminare – L’approccio per la risoluzione del problema in esame 19. L’art. 2, § 1, Direttiva 89/665, come modificata, impone agli Stati membri di prevedere poteri giurisdizionali per la tutela effettiva delle imprese interessate in materia di appalti pubblici. In primo luogo, devono poter essere adottati provvedimenti cautelari che consentano la pronta riparazione di violazioni denunciate e l’impedimento di altri danni (punto a). In secondo luogo, vi è l’obbligo per gli Stati membri di prevedere poteri per l’annullamento di qualsiasi decisione illegittima connessa con la procedura di aggiudicazione dell’appalto (punto b). In terzo luogo, deve essere prevista una riparazione sotto forma di risarcimento danni ai soggetti lesi dalla violazione (punto c). Il procedimento principale appartiene, sul piano fattuale, alla seconda di tali categorie, poiché Orizzonte Salute impugna la proroga di un appalto di servizi infermieristici esistente a favore di un’altra associazione e la gara di appalto successivamente bandita, con la quale si invitavano a presentare offerte solo talune associazioni accreditate da un’organizzazione di cui Orizzonte Salute non era membro. 20. Ricordo che la Direttiva 89/665 è diretta a garantire l’esistenza di mezzi di ricorso efficaci in caso di violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscano tale diritto, al fine di garantire l’applicazione effettiva delle direttive che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici10. Agli Stati membri è imposto di adottare provvedimenti per garantire che le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile11. Infine, le modalità procedurali di ricorso degli Stati membri destinate ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione ai candidati ed offerenti lesi da decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici non devono mettere in pericolo l’effetto utile della Direttiva 89/66512. 21. Gli atti giuridici dell’Unione in materia di appalti pubblici hanno lo scopo di agevolare l’accesso ai mercati del settore pubblico a condizioni di (10) Sentenza Universale-Bau e a. (C-470/99, EU:C:2002:746, punto 71). (11) V. il terzo sottoparagrafo dell’art. 1, § 1, direttiva 89/665, come modificata. (12) Sentenza Universale-Bau e a. (C-470/99, EU:C:2002:746, punto 72). 152 rivista trimestrale degli appalti non discriminazione e di trasparenza. La Direttiva 89/665 garantisce che l’attuazione giurisdizionale di tali norme di diritto dell’Unione sia disponibile ed effettiva per i privati. Il legislatore dell’Unione ha pertanto concepito una tutela giurisdizionale effettiva degli operatori economici interessati come mezzo per promuovere l’effetto utile del regime dell’Unione relativo agli appalti pubblici e, di conseguenza, gli obiettivi del mercato interno. 22. Pertanto, a mio avviso, la risposta alla questione pregiudiziale si riduce ad un esame dell’ambito di applicazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva come garantita dalla Direttiva 89/665 e dall’art. 47 della Carta. Alla luce delle osservazioni presentate nel procedimento principale, è altresì necessario considerare la pertinenza delle limitazioni poste all’autonomia procedurale degli Stati membri dai principi di effettività e di equivalenza in relazione alla questione della compatibilità della tassazione italiana degli atti giudiziari di cui trattasi con il diritto dell’Unione. 23. La giurisprudenza della Corte sulla Direttiva 89/665 non fornisce una risposta chiara alla questione se la tassazione degli atti giudiziari di cui trattasi sia compatibile con le disposizioni del diritto dell’Unione sui mezzi di ricorso in materia di appalti pubblici13. Cionondimeno, non vi è dubbio che l’applicazione della tassazione degli atti giudiziari nei procedimenti nazionali che rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva 89/665 comporta l’attuazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 51 della Carta14. 24. Ciò premesso, considererò ora la tassazione degli atti giudiziari dal punto di vista del rispetto del diritto fondamentale a un ricorso effettivo ai sensi dell’art. 47 della Carta e della giurisprudenza della Corte sui principi di effettività e di equivalenza. Come ho detto in un’altra occasione, entrambi tali principi devono essere considerati nella sfera dell’art. 47 della Carta15. Inizierò con il principio di equivalenza prima di passare agli elementi pertinenti della giurisprudenza della Corte sull’«effettività». B – Il principio di equivalenza 25. Il rispetto del principio di equivalenza presuppone che la norma nazionale controversa si applichi indifferentemente ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto dell’Unione e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno con analoghi petitum e causa petendi16. 26. Vi è un ristretto ambito di applicazione per l’operatività di tale principio in materia di appalti pubblici perché non vi sono situazioni di diritto nazionale e dell’Unione effettivamente paragonabili. La Direttiva (13) Per contro v. sentenza Edwards (C-260/11, EU:C:2013:221), che riguardava una situazione in cui atti dell’Unione in materia di diritto dell’ambiente impongono nello specifico che i procedimenti giurisdizionali non siano «eccessivamente onerosi». (14) Sentenza DEB (C-279/09, EU:C:2010:811). (15) V. le mie conclusioni nella causa Liivimaa Lihaveis (C-562/12, EU:C:2014:155) e le conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Agrokonsulting (C-93/12, EU:C:2013:172). Per un esempio recente in cui la Corte ha considerato i principi di effettività e di equivalenza nell’ambito dei mezzi di ricorso volti ad assicurare l’attuazione delle norme dell’Unione in materia di appalti pubblici, v. sentenza eVigilo (C-538/13, EU:C:2015:166). (16) Sentenza Surgicare - Unidades de Saude (C-662/13, EU:C:2015:89, punto 30). giurisprudenza 153 2004/18 si applica a tutti gli appalti pubblici quando viene raggiunta la soglia, con l’eccezione degli appalti esenti. Pertanto, l’applicabilità delle norme nazionali è riservata agli appalti al di sotto della soglia e alle situazioni esenti dall’ambito di applicazione della Direttiva. A mio avviso, ciò riflette una valutazione del legislatore dell’Unione nel senso che tali situazioni non sono paragonabili a quelle che rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva 2004/18. 27. In ogni caso, i contributi unificati di cui trattasi appaiono applicabili al contenzioso in materia di appalti pubblici, tanto a quello che rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva 2004/18 quanto a quello che esula da tale ambito di applicazione. Non sembrerebbe pertanto esservi alcuna discriminazione tra situazioni di diritto dell’Unione e situazioni di diritto nazionale17. 28. Inoltre, poiché il diritto degli appalti pubblici presenta una complessa commistione di rapporti giuridici tra l’amministrazione aggiudicatrice e vari attori pubblici e privati, non concordo sul fatto che procedimenti giurisdizionali che comportano l’impugnazione di decisioni adottate nel corso dell’aggiudicazione di un appalto pubblico possano essere considerati analoghi a procedimenti ordinari di diritto pubblico dinanzi a giudici amministrativi, come sostenuto da Orizzonte Salute e numerosi altri soggetti18. 29. Nelle sue osservazioni scritte la Commissione afferma che vi può essere un problema di equivalenza con riferimento alla soglia del tariffario applicabile ai sensi del diritto italiano a partire dalla quale il tributo giudiziario aumenta da euro 2 000 a euro 4 000. Ciò si verifica quando il valore dell’appalto è superiore a euro 200 000. Secondo la Commissione, tale soglia corrisponderebbe «in buona sostanza» alla soglia stabilita dall’art. 7, Direttiva 2004/18 che, salvo un controllo da parte del giudice del rinvio, comporterebbe che procedimenti volti a far valere in giudizio violazioni di tale Direttiva o della normativa nazionale di trasposizione della stessa sarebbero soggetti a modalità procedurali diverse e più svantaggiose rispetto ai procedimenti puramente nazionali. 30. Non concordo con tale affermazione. È vero che la soglia di euro 200 000 stabilita dall’art. 2, reg. n. 1251 del 2011 coincideva con la soglia nazionale che dava luogo a una tassazione degli atti giudiziari più elevata. Tuttavia, l’applicabilità del tributo giudiziario pari a euro 4.000 o più elevato non è circoscritta alle cause che rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva 2004/18, ma ci saranno evidentemente molte situazioni rientranti nel diritto nazionale (appalti esenti) in cui si applicherà tale tributo giudiziario più elevato. Più in generale, la soluzione adottata dal legislatore italiano di aumentare in due punti il tariffario applicabile nella determinazione della tassazione degli atti giudiziari di cui trattasi è una misura ragionevole per alleviare l’effetto regressivo della tariffa. 31. Inoltre, a mio avviso il diritto dell’Unione non osterebbe, nell’ambito del principio di equivalenza, a che il diritto italiano preveda una diversa tas(17) V. sentenza Érsekcsanadi Mez6gazdasagi (C-56/13, EU:C:2014:352, punto 64). (18) Per esempi recenti di controversie in cui le azioni fondate sul diritto dell’Unione e quelle fondate sul diritto nazionale dello Stato membro in questione non sono state considerate «analoghe», v. sentenze Agrokonsulting (C-93/12, EU:C:2013:432, in particolare punti da 40 a 42) nonché Bacz6 e Vizsnyiczai (C-567 /13, EU:C:2015:88, in particolare punto 47). 154 rivista trimestrale degli appalti sazione degli atti giudiziari o diverse basi di calcolo per la tassazione degli atti giudiziari nelle diverse forme di procedimenti giurisdizionali. Il principio di equivalenza presuppone parità di trattamento tra ricorsi analoghi basati sul diritto nazionale, da una parte, e sul diritto dell’Unione, dall’altra, non l’equivalenza tra diverse forme di procedimenti ai sensi del diritto nazionale19. 32. Per tali ragioni, non possono essere sollevate obiezioni contro le norme nazionali di cui trattasi dal punto di vista della loro compatibilità con il principio di equivalenza. C – Le tariffe di cui trattasi alla luce del principio di effettività e del diritto di accesso alla giustizia 1. Identificazione del criterio rilevante 33. Innanzitutto, rilevo che le norme giuridiche applicabili al diritto fondamentale a un ricorso effettivo ai sensi dell’art. 47 della Carta, o al diritto al «sindacato giurisdizionale», che traggono origine dagli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)20, sono diverse da quelle che emergono quando la questione da determinare è se una sanzione o una norma procedurale di uno Stato membro sia incompatibile con il principio di effettività, nel senso che la norma di cui trattasi rende in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Queste ultime non sono state create nell’ambito dei diritti fondamentali conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, ma piuttosto sono venute in essere in funzione delle limitazioni poste dal diritto dell’Unione all’autonomia procedurale degli Stati membri. 34. Tuttavia, nella causa in esame tali due approcci convergono ampiamente perché lo scopo della Direttiva 89/665 è garantire l’accesso alla giustizia alle imprese qualora le norme di diritto dell’Unione sostanziale o procedurale in materia di appalti pubblici siano violate. In altri termini, l’effetto utile di tale atto legislativo coincide in larga misura con la stretta osservanza dei requisiti che emergono dall’art. 47 della Carta in tale ambito. 35. Il principio di effettività, nel senso del divieto, sancito a carico degli Stati membri nella sentenza San Giorgio, di istituire norme procedurali che rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione21, non comporta alcun test di proporzionalità. Tuttavia, nel determinare se la norma procedurale dello Stato membro o il mezzo di ricorso in questione soddisfi i suoi parametri, la disposizione «dev’essere esaminat[a] tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento»22. (19) V. per analogia le mie conclusioni nella causa Târ ş ia (C-69/14, EU:C:2015:269, §§ 50 e 51). (20) V. sentenza Johnston (222/84, EU:C:1986:206, punto 18). V. anche i commenti all’art. 47. (21) Sentenza San Giorgio (199/82, EU:C:1983:318). (22) Sentenza van Schijndel e van Veen (C-430/93, EU:C:1995:441), punto 19. giurisprudenza 155 36. Il diritto al «sindacato giurisdizionale» e all’accesso alla giustizia ai sensi dell’art. 47 della Carta non sono valutati in tale maniera. Essi sono soggetti al tradizionale criterio della limitazione che comporta l’analisi della circostanza se le misure che lo circoscrivono siano previste dalla legge e se le stesse soddisfino i requisiti derivanti dal principio di proporzionalità, vale a dire il perseguimento di uno scopo legittimo, la necessità, l’idoneità allo scopo e la caratteristica di essere circoscritte a quanto imposto per perseguire lo scopo legittimo23. Ciò si riflette attualmente nell’art. 52, § 1, della Carta. 37. È pacifico che, a seconda di tutte le circostanze, la tassazione degli atti giudiziari può comportare una limitazione all’accesso alla giustizia, come tutelato dall’art. 47 della Carta. Pertanto, come per le restrizioni alla disponibilità del gratuito patrocinio per garantire l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione24, la tematica in esame è meglio valutata con riferimento al criterio, descritto supra, relativo al diritto al «sindacato giurisdizionale» piuttosto che a quello applicabile ai mezzi di ricorso e alle norme procedurali per determinare se essi oltrepassino i limiti dell’autonomia procedurale dello Stato membro. Applicherò quindi tale criterio alla situazione di cui al procedimento principale. 2. Applicazione alla controversia in esame a) Sull’importo del contributo unificato nei procedimenti amministrativi in materia di appalti pubblici 38. La questione da analizzare è se la tassazione degli atti giudiziari di cui trattasi costituisca un impedimento al diritto di accesso alla giustizia25. Come rilevato nelle osservazioni scritte della Commissione, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato la questione nella sua giurisprudenza, ad esempio nella sentenza Stankov c. Bulgaria26. In tale sentenza si è statuito che l’obbligo di pagare tributi in relazione a giudizi civili non può di per sé essere considerato come restrizione al diritto all’accesso alla giustizia incompatibile in quanto tale con l’art. 6, § 1, della CEDU27. Tuttavia, l’importo (23) Sentenza DEB (C-279/09, EU:C:2010:811). Ricordo che nella sentenza DEB (C-279/09, EU:C:2010:811) il giudice nazionale del rinvio aveva formulato la questione pregiudiziale in termini di principio di effettività ma la Corte ha risposto sulla base dell’art. 47 della Carta. Ricordo altresì che nelle mie conclusioni nella causa Dona Chemie e a. (C-536/11, EU:C:2013:67), al § 47, ho osservato che «occorre tenere in debito conto l’art. 19, § 1, TUE, e i limiti in cui esso fornisce una garanzia supplementare al principio di effettività. A.i sensi del citato articolo, gli Stati membri sono tenuti a mettere a disposizione i rimedi giurisdizionali “necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”. In altri termini, alla luce di tale disposizione del Trattato, i requisiti di tutela giurisdizionale effettiva per i diritti derivanti dal diritto dell’Unione sembrano andare oltre la formula classica che menziona l’impossibilità pratica o l’eccessiva difficoltà. A mio giudizio, ciò significa che i mezzi di ricorso nazionali devono essere accessibili, rapidi e avere costi contenuti». (24) Sentenza DEB (C-279 /09, EU:C:2010:811). (25) Rilevo che se stessi considerando tale problema con riferimento alle restrizioni all’autonomia procedurale degli Stati membri, esaminerei se la tassazione degli atti giudiziari di cui trattasi abbia reso l’attuazione della relativa normativa dell’Unione in pratica impossibile o eccessivamente difficile. (26) N. 68490/01, 12 luglio 2007. (27) N. 68490/01, 12 luglio 2007, punto 52. 156 rivista trimestrale degli appalti del tributo valutato alla luce delle particolari circostanze di una data causa è un fattore rilevante nel determinare se una persona abbia goduto o meno del proprio diritto di accesso alla giustizia28. 39. Tratterò, in primo luogo, la questione, sollevata dal giudice del rinvio, relativa al fatto che il contributo unificato è basato sul valore della controversia in termini di valore teorico dell’appalto da aggiudicare e non sull’effettivo beneficio che un’impresa che partecipa all’aggiudicazione ha il diritto di aspettarsi. Secondo il giudice del rinvio, tale utile corrisponderebbe al 10 % del valore dell’appalto e sarebbe conforme alle norme applicabili alla tassazione degli atti giudiziari nei procedimenti civili italiani. 40. Questo argomento mi pare privo di pregio. È matematicamente irrilevante che un contributo unificato sia calcolato utilizzando il 10% del margine di utile del valore dell’appalto come punto di partenza e non il valore dell’appalto in quanto tale, se il risultato è lo stesso. Dall’altra parte, un sistema in cui l’utile atteso fosse valutato singolarmente per ogni procedura di aggiudicazione di un appalto e/o per ogni impresa che vi partecipi, con la conseguenza di tributi giudiziari variabili, sarebbe scomodo e imprevedibile. 41. In secondo luogo, anche se l’importo del contributo unificato sembra relativamente elevato, a tale conclusione fa da contrappeso il mero fatto che gli appalti pubblici non rientrano nella politica sociale. Ci si può aspettare che le imprese che partecipano all’aggiudicazione di un appalto che rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva 2004/18 abbiano sufficienti mezzi economici e finanziari per eseguire un appalto di valore pari ad euro 200 000 o superiore. Da questo punto di vista, un tributo giudiziario di euro 2.000, 4.000 o 6.000, a seconda dei casi, non può costituire un impedimento all’accesso alla giustizia, anche prendendo in considerazione gli onorari di avvocato necessari. Né si può ritenere che sia una restrizione indebita alla concorrenza a svantaggio delle piccole imprese. 42. In terzo luogo, a mio avviso il fatto che il procedimento possa iniziare anche se il tributo giudiziario non è stato pagato29, fattore che la Commissione ha ritenuto rilevante nelle sue osservazioni scritte, non è pertinente. Infatti, la normativa italiana è manifestamente fondata sulla presunzione che il ricorrente paghi i tributi giudiziari quando sono dovuti. A mio avviso, è irrilevante anche il fatto che la tassazione degli atti giudiziari sia rimborsata qualora siano accolte le conclusioni del ricorrente. Affinché l’accesso alla giustizia sia rispettato, vi deve essere una possibilità di impugnare le decisioni adottate nelle procedure di aggiudicazione degli appalti, anche se non è assolutamente certo che il ricorso venga accolto. Pertanto, un eccessivo tributo giudiziario può comportare un ostacolo al diritto di accesso alla giustizia come stabilito dall’art. 47 della Carta, anche qualora possa essere recuperato in seguito. 43. Per tali ragioni ritengo che l’importo del contributo unificato pari a euro 2 000 posto a carico di Orizzonte Salute per il ricorso originario non desti preoccupazioni30. È vero che la tassazione degli atti giudiziari (28) N. 68490/01, 12 luglio 2007 e giurisprudenza ivi citata. (29) V., tuttavia, punto 53 della sentenza Stankov c. Bulgaria. (30) A1 punto 58 della sentenza Stankov c. Bulgaria, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel concludere che le spese di giudizio in oggetto violavano il diritto di giurisprudenza 157 di cui trattasi è elevata rispetto a quella riscossa in Italia in altri tipi di contenzioso amministrativo o nei procedimenti civili. Tuttavia, il contributo unificato (ossia senza alcuna maggiorazione) in relazione al valore dell’appalto nell’ambito di applicazione della Direttiva 2004/18 e, di conseguenza, della Direttiva 89/665 non eccede mai il 2 %. Ciò difficilmente costituisce un ostacolo all’accesso alla giustizia. 44. Pertanto, a mio avviso, l’elemento determinante è nel caso di specie il cumulo di tributi giudiziari nell’ambito dei procedimenti relativi alla stessa procedura di aggiudicazione di un appalto, non il loro importo in quanto tale. b) Sui tributi giudiziari cumulativi 45. Avendo concluso che l’importo del contributo unificato applicabile nei procedimenti amministrativi italiani in materia di aggiudicazione di appalti che rientrano nell’ambito di applicazione delle direttive 2004/18 e 89/665 non costituisce, di per sé, una restrizione al diritto di accesso alla giustizia, rimane ora da stabilire se vi siano altre ragioni per dubitare del fatto che detto contributo rispetti l’art. 47 della Carta, in particolare alla luce della natura cumulativa della tassazione imposta. Se ve ne sono, sarà necessario stabilire se la restrizione riscontrata sia prescritta dalla legge e sia proporzionata rispetto allo scopo legittimo perseguito31. 46. Qui rilevo, in primo luogo, che la tassazione degli atti giudiziari, compresa quella cumulativa, è chiaramente prescritta dalla legge. Quanto alla legittimità dello scopo perseguito, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha statuito che «gli scopi perseguiti dalle norme generali sulle spese possono essere ammessi come compatibili con la generale amministrazione della giustizia, ad esempio per finanziare il funzionamento del sistema giudiziario e per agire come deterrente contro le azioni temerarie»32. 47. Nell’ambito del sistema della giustizia amministrativa italiana, i procedimenti in materia di appalti pubblici sembrano godere di uno speciale trattamento, nel senso che vengono trattati più velocemente rispetto ad altre azioni e l’incremento della tassazione degli atti giudiziari contribuisce al finanziamento di tali organi giurisdizionali, consentendo loro di operare con rapidità. Ciò risulta in conformità tanto con le prescrizioni di cui alla Direttiva 89/665 quanto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. 48. Tuttavia, all’udienza Orizzonte Salute ha sottolineato che, ai sensi del diritto italiano, un’impresa esclusa da una procedura di aggiudicazione dell’appalto all’inizio del procedimento deve impugnare tanto la decisione relativa alla selezione dei partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto quanto la stessa aggiudicazione dell’appalto. Inoltre, nelle procedure italiane di aggiudicazione di appalti vi sono spesso altre deci- accesso alla giustizia, ha rilevato che «il sistema della tassazione degli atti giudiziari applicato dai giudici bulgari aveva l’effetto di privare il ricorrente della quasi totalità del risarcimento che lo Stato era stato condannato a pagare per la sua detenzione ingiustificata prima del processo». (31) Se il giudice dello Stato membro ritenesse che una norma nazionale violi il principio di effettività, esso sarebbe tenuto a considerare se la norma di cui trattasi renda in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione del diritto dell’Unione, così come ad applicare il criterio di cui alla sentenza van Schijndel, cit. supra, § 35. (32) Sentenza Stankov c. Bulgaria, n. 68490/01, 12 luglio 2007, punto 57. 158 rivista trimestrale degli appalti sioni dell’amministrazione aggiudicatrice relative, ad esempio, all’accesso ai documenti dell’appalto, che necessitano di impugnazione separata nel corso del procedimento dinanzi ai giudici amministrativi italiani. Ai sensi del diritto italiano, tutto ciò comporta ricorsi per motivi aggiunti che implicano l’imposizione di tributi giudiziari supplementari della stessa entità di quelli imposti per il ricorso originario. 49. Orizzonte Salute afferma di aver pagato euro 2 000 per il ricorso originario e tre volte la somma di euro 2 000 per i ricorsi supplementari, oltre a euro 2 000 dovuti per il quarto ricorso supplementare oggetto del presente rinvio pregiudiziale. Nessuna di tali cifre è stata contestata dal governo italiano o dai resistenti. 50. Il sistema italiano di cui trattasi può vanificare il ricorso ad un’azione giurisdizionale dal punto di vista economico, anche se persegue effettivamente lo scopo legittimo di coprire i costi dell’amministrazione della giustizia e di scoraggiare le azioni temerarie. Ad esempio, un contributo unificato cumulativo di euro 20 00033, se combinato con gli onorari di avvocato, può rendere economicamente insostenibile l’impugnazione di appalti di valore vicino a quello della soglia di applicabilità delle direttive di cui trattasi34. In tal senso, la tassazione di cui trattasi potrebbe dissuadere le imprese che altrimenti potrebbero presentare un’impugnazione in materia di appalti pubblici. 51. A mio avviso, ciò si porrebbe in conflitto con il diritto fondamentale al «sindacato giurisdizionale» garantito dall’art. 47 della Carta. Come ha statuito la Corte europea dei diritti dell’uomo, le norme procedurali devono essere tese allo scopo della certezza del diritto e della corretta amministrazione della giustizia. Non devono «creare una specie di ostacolo che impedisca alla parte contendente di ottenere una decisione della sua causa nel merito da parte del giudice competente»35. 52. Secondo me, l’art. 2, § 1, lett. b, Direttiva 89/665, come modificata, fa riferimento alla «procedura di aggiudicazione dell’appalto» come unità di base della tutela giurisdizionale. Invero, un’impresa che chiede di partecipare ad una procedura di aggiudicazione di un appalto intende ottenere essa stessa l’appalto. Sotto tale punto di vista è irrilevante che non vi sia riuscita all’inizio della procedura di aggiudicazione, vale a dire nella selezione dei partecipanti, o alla fine, in altri termini quando l’appalto è stato attribuito ad un altro partecipante, o in una fase intermedia. 53. Rientra nell’ambito dell’autonomia giurisdizionale dello Stato membro stabilire come il diritto nazionale sul procedimento amministrativo debba inquadrare le impugnazioni contro una singola procedura di aggiudicazione di un appalto. Ad esempio, spetta allo Stato membro (33) Un tributo giudiziario cumulativo di euro 20 000 sarebbe applicabile se il valore dell’appalto impugnato con il ricorso originario di Orizzonte Salute fosse, ad esempio, di euro 250 000 e la parte contendente interessata avesse presentato lo stesso numero di ricorsi di Orizzonte Salute. In tali circostanze, sarebbero addebitati cinque tributi giudiziari di euro 4 000, anche se il contributo unificato per gli appalti di valore compreso tra euro 200 000 e euro 1 000 000 è pari a euro 4 000. (34) V. estratto dalla sentenza Stankov c. Bulgaria, n. 68490/01, 12 luglio 2007, riportata supra, nt. 30, in relazione ad un impugnazione economicamente inattuabile. (35) Sentenza Omerovié c. Croazia (n. 2), n. 22980/09, 5 dicembre 2013, punto 39. giurisprudenza 159 decidere se le impugnazioni relative alle ultime fasi della procedura di aggiudicazione dell’appalto debbano essere concepite come sviluppo del ricorso originario che aveva impugnato la decisione sulla selezione dei partecipanti, o se debbano essere considerate come nuovi ricorsi per motivi aggiunti. Tuttavia, le norme procedurali devono essere dirette a garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia. 54. Pertanto, potrebbe essere incompatibile con l’art. 47 della Carta la riscossione di più contributi giudiziari cumulativi nei procedimenti giurisdizionali, perlomeno qualora tale tassazione cumulativa abbia un effetto dissuasivo e sia sproporzionata se confrontata con la tassazione originaria, poiché l’art. 2, § 1, lett. b,, Direttiva 89/665, come modificata, individua un unico petitum e un’nica causa petendi, vale a dire sanare qualunque irregolarità della procedura di aggiudicazione dell’appalto a svantaggio dell’impresa. 55. Spetta al giudice del rinvio condurre il test descritto nel precedente § 36, alla luce della giurisprudenza della Corte rilevante (compresa la sentenza nella presente causa)36, al fine di stabilire se la restrizione al diritto al «sindacato giurisdizionale», previsto dall’art. 47 della Carta provocata dalla tassazione cumulativa degli atti giudiziari sia giustificata alla luce del criterio di proporzionalità stabilito dall’art. 52, § 1, della Carta37. VI – Conclusione 56. Per tali ragioni, propongo che alla questione pregiudiziale del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento si risponda come segue: La Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata, interpretata alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dei principi di equivalenza e di effettività, non osta ad una normativa nazionale che stabilisca un tariffario di contributi unificati applicabile solo ai procedimenti amministrativi in materia di contratti pubblici, purché l’importo del tributo giudiziario non costituisca un ostacolo all’accesso alla giustizia né renda l’esercizio del diritto al sindacato giurisdizionale in materia di appalti pubblici eccessivamente difficile. Non è compatibile con la Direttiva 89/665, interpretata alla luce dell’art. 47 della Carta, la riscossione di più tributi giudiziari cumulativi in procedimenti giurisdizionali in cui un’impresa impugni la legittimità di un’unica procedura di aggiudicazione di un appalto ai sensi dell’art. 2, § 1, lett. b), Direttiva 89/665, a meno che ciò possa essere giustificato ai sensi dell’art. 52, § 1, della Carta, il che deve essere valutato dal giudice del rinvio. (36) V., in particolare, sentenze DEB (C-279/09, EU:C:2010:811) e ,\lassini e a. (da C-317/08 a C-320/08, EU:C:2010:146). (37) Rilevo, tuttavia, che la Corte ha statuito che «[p]er valutare la proporzionalità il giudice nazionale può tener presente (...) l’entità delle spese giudiziali che devono essere anticipate e la natura dell’ostacolo all’accesso alla giustizia che esse potrebbero costituire, se sormontabile o insormontabile». V. sentenza DEB (C-279/09, EU:C:2010:811, punto 61). 160 rivista trimestrale degli appalti CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA, Sez. V, 6 ottobre 2015, in causa C-61/14 – T. von Danwitz Presidente – E. Juhász Relatore – Jääskinen Avvocato generale (par. conf.) – Orizzonte Salute – Studio Infermieristico Associato (avv.ti Carlin, Napoli, Zoppolato e Boifava) – Azienda pubblica di servizi alla persona “San Valentino” – Città di Levico Terme (avv. De Pretis) e altri. Appalti pubblici – Contributo unificato per ricorso introduttivo – Normativa italiana – Direttiva 89/665/CEE e successive modificazioni ed integrazioni, principi comunitari di equivalenza e di effettività – Compatibilità. Appalti pubblici – Contributo unificato multiplo ed aggiuntivo – Normativa italiana – Direttiva 89/665/CEE e successive modificazioni ed integrazioni, principi comunitari di equivalenza e di effettività – Compatibilità, a fronte del potere di dispensa da parte del giudice nazionale. L’art. 1, Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, come modificata dalla Direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, nonché i principi di equivalenza e di effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di appalti pubblici dinnanzi ai giudici amministrativi. L’art. 1, Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, come modificata dalla Direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli qualora l’amministrato proponga diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici oppure proponga motivi aggiunti. Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi. 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 1, Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudi- giurisprudenza 161 cazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori (G.U.U.E. L 395, p. 33), come modificata dalla Direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007 (G.U.U.E. L 335, p. 31; in prosieguo: la «Direttiva 89/665»). 2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra Orizzonte Salute – Studio Infermieristico Associato (in prosieguo: «Orizzonte Salute»), da una parte e, dall’altra, l’Azienda pubblica di servizi alla persona San Valentino – Città di Levico Terme (in prosieguo: l’«Azienda»), nonché il Ministero della giustizia, il Ministero dell’economia e delle Finanze, la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Segretario generale del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento con riguardo alla proroga di un appalto di servizi infermieristici e alla gara di appalto successivamente bandita nonché ai tributi giudiziari da versare per proporre ricorsi giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici. Contesto normativo Diritto dell’Unione 3. Ai sensi del terzo considerando della Direttiva 89/665, l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza [dell’Unione] rende necessario un aumento notevole delle garanzie di trasparenza e di non discriminazione e occorre, affinché essa sia seguita da effetti concreti, che esistano mezzi di ricorso efficaci e rapidi in caso di violazione del diritto [dell’Unione] in materia di appalti pubblici o delle norme nazionali che recepiscono tale diritto. 4. L’art. 1, Direttiva, intitolato «Ambito di applicazione e accessibilità delle procedure di ricorso», dispone quanto segue: «1. La presente Direttiva si applica agli appalti di cui alla Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi [G.U.U.E. L 134, p. 114], a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli artt. da 10 a 18 di tale Direttiva. Gli appalti di cui alla presente Direttiva comprendono gli appalti pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione. Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla Direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile, secondo le condizioni previste negli artt. da 2 a 2 septies della presente Direttiva, sulla base del fatto che hanno violato il diritto [dell’Unione] in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici o le norme nazionali che lo recepiscono. 2. Gli Stati membri garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione effettuata dalla presente Direttiva tra le norme nazionali che recepiscono il diritto [dell’Unione] e le altre norme nazionali. 3. Gli Stati membri provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, secondo modalità che gli Stati membri possono determinare, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. (...)». 162 rivista trimestrale degli appalti 5. L’art. 7, Direttiva 2004/18, intitolato «Importi delle soglie degli appalti pubblici», fissa le soglie dei valori stimati a partire dalle quali l’aggiudicazione di un appalto deve essere effettuata conformemente alle norme della medesima Direttiva. 6. Tali soglie sono modificate a intervalli regolari da regolamenti della Commissione europea e adattate alle circostanze economiche. Alla data dei fatti del procedimento principale, la soglia concernente gli appalti di servizi assegnati da amministrazioni aggiudicatrici diverse dalle autorità governative centrali era fissata in euro 193 000 dal regolamento (CE) n. 1177/2009 della Commissione, del 30 novembre 2009, che modifica le direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/17/CE, 2004/18/CE e 2009/81/CE riguardo alle soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti (G.U.U.E. L 314, p. 64). Diritto italiano 7. L’art. 13, comma 1, d.P.R., 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228 (in prosieguo: il «decreto»), ha introdotto un regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un contributo unificato fissato in proporzione al valore della controversia. 8. A differenza di quanto previsto per i processi civili, l’art. 13, comma 6 bis, del decreto fissa l’importo del contributo unificato indipendentemente dal valore della controversia nell’ambito dei processi amministrativi. 9. Ai sensi di detto art. 13, comma 6 bis, per i ricorsi proposti dinanzi ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, l’importo del contributo unificato è pari, in linea di principio, a euro 650. Tuttavia, in questa stessa disposizione, per specifiche materie sono fissati importi diversi, che possono essere ridotti o aumentati. 10. In forza di detto art. 13, comma 6 bis, lett. d, decreto, il contributo in materia di appalti pubblici è pari a: – euro 2 000 quando il valore dell’appalto è pari o inferiore a euro 200 000; – euro 4 000 per le controversie di valore compreso tra euro 200 000 e 1 000 000, e – euro 6 000 per quelle di valore superiore a euro 1 000 000. 11. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, decreto, per i procedimenti in materia di aggiudicazione di appalti pubblici tali importi sono maggiorati del 50%. 12. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, decreto, quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale. 13. Risulta dalla decisione di rinvio che, ai sensi della normativa applicabile, il contributo unificato è versato non solo all’atto del deposito del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per il ricorso incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove. 14. Dall’art. 14, comma 3, del decreto si evince che il valore della causa corrisponde non al margine di utile che si può trarre dall’esecuzione del contratto d’appalto fissato dalle amministrazioni aggiudicatrici, bensì all’importo posto a base d’asta dell’appalto stesso. giurisprudenza 163 Procedimento principale e questione pregiudiziale 15. Orizzonte Salute è un’associazione che fornisce servizi infermieristici a favore di enti pubblici e privati. Con il suo ricorso, integrato più volte con motivi aggiunti, essa contesta dinanzi al giudice del rinvio le successive attribuzioni della gestione dei servizi infermieristici da parte dell’Azienda all’Associazione infermieristica D & F Care nonché altre decisioni adottate dall’Azienda. 16. La gestione di tale servizio è stata attribuita, inizialmente, con proroga del contratto concluso con l’Associazione infermieristica D & F Care per un periodo precedente e, successivamente, nel contesto di un bando di gara cui si invitavano a partecipare unicamente talune associazioni accreditate dal collegio degli Infermieri Professionali Assistenti Sanitari Vigilatrici d’Infanzia (IPASVI), di cui Orizzonte Salute non era membro. 17. Orizzonte Salute ha pagato, a titolo di tributi giudiziari, un contributo unificato di un importo pari a euro 650, corrispondente al costo della proposizione di un ricorso amministrativo ordinario. 18. Con decisione del 5 giugno 2013, il Segretario generale del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento ha invitato Orizzonte Salute a completare il pagamento precedentemente effettuato in quanto, in ragione dei motivi aggiunti, la controversia ricadeva ormai nell’ambito dell’aggiudicazione di appalti pubblici, per raggiungere la somma del contributo unificato relativa a tale tipo di controversie, che era pari, pertanto, a euro 2 000. 19. Con un nuovo ricorso, proposto il 2 luglio 2013, Orizzonte Salute ha impugnato tale decisione, facendo valere la violazione dell’art. 13, comma 6 bis, decreto e, inoltre, l’illegittimità costituzionale di detta disposizione. 20. È alla luce di tale ricorso che le amministrazioni statali hanno proposto un’azione giurisdizionale eccependo il difetto di competenza del giudice amministrativo del rinvio, dal momento che il contributo unificato costituirebbe una prestazione fiscale la cui contestazione ricadrebbe nella competenza del giudice tributario. Esse hanno altresì contestato la fondatezza di detto ricorso. 21. Il giudice del rinvio, pur riconoscendo che il contributo unificato possiede il carattere di una tassa, rileva che, nella causa pendente dinanzi ad esso, si tratta di un atto emanato dal suo Segretario generale, che possiede la natura di una decisione amministrativa. In tal senso, a suo avviso, occorre assoggettare la decisione del 5 giugno 2013 al controllo del giudice amministrativo. Inoltre, il giudice del rinvio ritiene che Orizzonte Salute disponga di un interesse all’annullamento della domanda di pagamento dei tributi giudiziari maggiorati. 22. Detto giudice ricorda che, per i processi amministrativi, contrariamente a quanto è previsto per i processi civili, l’importo del contributo unificato non è vincolato al valore della lite e, per particolari materie di diritto amministrativo, sono fissati importi specifici. 23. Il giudice del rinvio rileva che, nell’ambito delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, il contributo unificato da versare è considerevolmente più elevato degli importi da versare per le controversie amministrative assoggettate al procedimento ordinario. 24. Detto giudice considera che la tassazione dei ricorsi dinanzi al giudice amministrativo, soprattutto in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, possa dissuadere le imprese dal proporre un’azione giurisdi- 164 rivista trimestrale degli appalti zionale e pone pertanto problemi di conformità con i criteri e i principi dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Esso presume che il beneficio dell’impresa sia pari, in genere, a circa il 10% dell’importo dell’appalto e ritiene che il versamento anticipato di un contributo unificato superiore all’importo di detto beneficio possa indurre gli amministrati a rinunciare a taluni meccanismi processuali. 25. In tal modo, secondo il giudice del rinvio, la normativa nazionale oggetto del procedimento principale limita il diritto di agire in giudizio, incide sull’effettività del controllo giurisdizionale, discrimina gli operatori che possiedono una debole capacità finanziaria rispetto a quelli che dispongono di un’elevata capacità finanziaria e li pone in una situazione svantaggiosa rispetto a coloro che, nell’ambito delle proprie attività, adiscono i giudici civili e commerciali. Esso ritiene che il costo sopportato dallo Stato ai fini del funzionamento della giustizia amministrativa in materia di appalti pubblici non sia sensibilmente differente, distinto o più elevato di quello relativo ai procedimenti legati ad altri tipi di contenzioso. 26. Il giudice del rinvio fa riferimento alla dottrina secondo la quale il legislatore nazionale ha certamente inteso alleggerire il peso del contenzioso arretrato e facilitare sia la realizzazione di opere pubbliche sia l’acquisizione pubblica di beni e servizi e rileva, al riguardo, che il contenzioso in materia di appalti pubblici ha avuto una significativa flessione a partire dal 2012. 27. Detto giudice precisa che il valore dell’appalto pubblico, globalmente calcolato, è superiore al limite previsto dalla Direttiva 2004/18 e considera, pertanto, che i principi di effettività, celerità, non discriminazione e accessibilità, di cui all’art. 1, Direttiva 89/665, siano applicabili al procedimento principale. A suo avviso, la normativa nazionale in parola viola tali principi nonché il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, ribadito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 28. Alla luce di quanto sopra, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se i principi fissati dalla Direttiva 89/665 (…) ostino ad una normativa nazionale (…) che [ha] stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici». Sulla ricevibilità delle osservazioni scritte presentate alla Corte dalle parti intervenienti nel procedimento principale 29. Sono intervenuti nel procedimento principale a sostegno di Orizzonte Salute e hanno presentato osservazioni scritte alla Corte il Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (Codacons), la Camera amministrativa romana, l’Associazione dei consumatori cittadini europei, l’Ordine degli avvocati di Roma, l’Associazione dei giovani amministrativisti e la Società italiana degli avvocati amministrativisti (in prosieguo, congiuntamente: gli «intervenienti nel procedimento principale»). 30. Il governo italiano fa valere l’irricevibilità delle osservazioni scritte depositate dalle parti intervenute dopo la pronuncia della decisione di rinvio e la sospensione del procedimento principale. Tale irricevibilità discenderebbe dall’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unio- giurisprudenza 165 ne europea e il giudice nazionale non potrebbe, dopo la sospensione del procedimento, valutare la ricevibilità di un intervento successivo al rinvio. Secondo tale governo, occorre escludere dagli atti le osservazioni scritte depositate da persone fisiche e giuridiche diverse da quelle in causa alla data in cui la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata introdotta, per evitare che il procedimento si trasformi in actio popularis. 31. A tal riguardo occorre ricordare che, quanto alla partecipazione al procedimento pregiudiziale, ai sensi dell’art. 96, § 1, del regolamento di procedura, in combinato disposto con l’art. 23 dello Statuto della Corte, possono presentare osservazioni dinanzi alla Corte le parti nel procedimento principale, gli Stati membri, la Commissione, nonché, eventualmente, l’istituzione, l’organo o l’organismo dell’Unione europea che ha adottato l’atto sulla cui validità o interpretazione si controverte, gli Stati aderenti all’accordo sullo Spazio economico europeo diversi dagli Stati membri, l’Autorità di vigilanza AELS e gli Stati terzi interessati. Dato che l’elenco contenuto in tali disposizioni è esaustivo, questo diritto non può essere esteso a persone fisiche o giuridiche che non siano espressamente previste. 32. Le «parti nel procedimento principale», ai sensi dell’art. 97, § 1, del regolamento di procedura, sono determinate in quanto tali dal giudice del rinvio, conformemente alle disposizioni del diritto nazionale. Conseguentemente, spetta al giudice del rinvio determinare, secondo le norme processuali nazionali, le parti del procedimento principale dinanzi ad esso pendente. 33. Non spetta alla Corte verificare se una decisione del giudice del rinvio che consente un intervento dinanzi ad esso sia stata adottata conformemente a tali norme. La Corte deve attenersi a tale decisione fintantoché esso non sia stato revocato nell’ambito dei mezzi di ricorso previsti dal diritto nazionale (v., per analogia, sentenze Radlberger Getränkegesellschaft e S. Spitz, C‑309/02, EU:C:2004:799, punto 26, nonché Burtscher, C‑213/04, EU:C:2005:731, punto 32). 34. Orbene, nella specie non si sostiene che la decisione relativa all’ammissibilità delle parti intervenienti nel procedimento principale non sia stata conforme alle norme che disciplinano il procedimento pendente dinanzi al giudice del rinvio né che sia stato proposto un ricorso avverso tale decisione. 35. Non può riconoscersi la qualità di «parte nel procedimento principale» ai sensi dell’art. 96, § 1, del regolamento di procedura, letto in combinato disposto con l’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia, ad una persona, e quest’ultima non può essere ammessa ad un procedimento dinanzi alla Corte ai sensi dell’art. 267 TFUE, qualora questa persona introduca dinanzi a un giudice nazionale la sua domanda di intervento non per assumere un ruolo attivo nella prosecuzione dell’azione dinanzi al giudice nazionale, ma al solo fine di partecipare al procedimento dinanzi alla Corte (v., in tal senso, ordinanza Football Association Premier League e a., C‑403/08 e C‑429/08, EU:C:2009:789, punto 9). 36. Tuttavia, occorre rilevare che nessun elemento del fascicolo indica che gli intervenienti nel procedimento principale non intenderebbero assumere un ruolo attivo nel procedimento dinanzi al giudice del rinvio e vorrebbero manifestarsi esclusivamente nel contesto del procedimento dinanzi alla Corte. 37. Infine, sarebbe incompatibile con il principio di buona amministra- 166 rivista trimestrale degli appalti zione della giustizia e con l’esigenza di trattare le questioni pregiudiziali entro un termine ragionevole il fatto che il procedimento scritto dinanzi alla Corte, in ragione di successive ammissioni di interventi e del termine di due mesi previsto dall’art. 23, comma 2, dello Statuto della Corte di giustizia per il deposito delle osservazioni scritte di tali intervenienti, non possa concludersi o che la fase scritta del procedimento debba essere riaperta. 38. È in tale contesto che l’art. 97, § 2, del regolamento di procedura della Corte prevede che, quando un giudice nazionale comunica alla Corte l’intervento di una parte nuova nel procedimento principale, e la causa è già pendente dinanzi alla Corte, la nuova parte accetti di assumere la causa nello stato in cui essa si trova alla data di tale informazione. 39. In tal modo, la Corte può essere indotta a consentire che un interveniente nel procedimento principale depositi osservazioni scritte solo entro il termine di cui godono, a tal fine, gli interessati ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte, ai quali la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata inizialmente notificata. 40. Si deve rilevare che, nell’ambito del presente procedimento, il deposito delle osservazioni scritte delle parti intervenienti ammesse al procedimento principale dal giudice del rinvio non ha costituito un rischio per la buona amministrazione della giustizia né per il trattamento della causa entro un termine ragionevole. La Corte ha pertanto considerato che non occorreva far ricorso alla facoltà menzionata al punto che precede della presente sentenza. 41. Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre respingere gli argomenti del governo italiano intesi a far dichiarare irricevibili le osservazioni scritte depositate dagli intervenienti al procedimento principale. Tali osservazioni scritte sottoposte alla Corte sono ricevibili. Sulla questione pregiudiziale 42. Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 1, Direttiva 89/665 nonché i principi di equivalenza e di effettività debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale, la quale impone, all’atto di proposizione di un ricorso nei procedimenti giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici, il versamento di tributi giudiziari più elevati che in altre materie. 43. L’art. 1, § 1 e 3, Direttiva 89/665 impone agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari per garantire l’esistenza di ricorsi efficaci e quanto più rapidi possibile contro le decisioni delle autorità aggiudicatrici incompatibili con il diritto dell’Unione, garantendo un’ampia accessibilità dei ricorsi da parte di chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. 44. Tale Direttiva riconosce agli Stati membri un potere discrezionale nella scelta delle garanzie procedurali da essa previste e delle formalità ad esse relative (v. sentenza Combinatie Spijker Infrabouw-De Jonge Konstruktie e a., C‑568/08, EU:C:2010:751, punto 57). 45. Segnatamente, la Direttiva 89/665 non contiene alcuna disposizione attinente specificamente ai tributi giudiziari da versare da parte degli amministrati per proporre, ai sensi dell’art. 2, § 1, lett. b, Direttiva medesima, un ricorso di annullamento avverso una decisione asseritamente illegittima giurisprudenza 167 relativa ad un procedimento di aggiudicazione di appalti pubblici. 46. Secondo costante giurisprudenza, in assenza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta a ciascuno Stato membro, in forza del principio di autonomia processuale degli Stati membri, stabilire le modalità della procedura amministrativa e quelle relative alla procedura giurisdizionale intese a garantire la tutela dei diritti spettanti agli amministrati in forza del diritto dell’Unione. Tali modalità procedurali non devono, tuttavia, essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti per la tutela dei diritti derivanti dall’ordinamento interno (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (sentenze Club Hotel Loutraki e a., C‑145/08 e C‑149/08, EU:C:2010:247, punto 74 nonché eVigilo, C‑538/13, EU:C:2015:166, punto 39). 47. Inoltre, dato che siffatti tributi giudiziari costituiscono modalità procedurali di ricorso giurisdizionale destinate ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione ai candidati ed agli offerenti lesi da decisioni delle autorità aggiudicatrici, essi non devono mettere in pericolo l’effetto utile della Direttiva 89/665 (v., in tal senso, sentenze Universale-Bau e a., C‑470/99, EU:C:2002:746, punto 72, nonché eVigilo, C‑538/13, EU:C:2015:166, punto 40). 48. Per quanto riguarda il principio di effettività, la Corte ha già avuto modo di affermare che esso implica un’esigenza di tutela giurisdizionale, sancita dall’art. 47 della Carta, che il giudice nazionale è tenuto a rispettare (v., in tal senso, sentenza Sánchez Morcillo e Abril García, C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 35 nonché la giurisprudenza ivi richiamata). 49. In tal senso, l’art. 1, Direttiva 89/665 deve necessariamente essere interpretato alla luce dei diritti fondamentali sanciti da tale Carta, in particolare il diritto al ricorso effettivo dinanzi a un giudice, previsto dal suo art. 47 (v., in tal senso, sentenza Ryneš, C‑212/13, EU:C:2014:2428, punto 29). 50. Occorre pertanto verificare se una normativa come quella oggetto del procedimento principale possa essere considerata conforme ai principi di equivalenza e di effettività nonché all’effetto utile della Direttiva 89/665. 51. I due aspetti di questa verifica riguardano, da una parte, l’importo del contributo unificato da versare per la proposizione di un ricorso in procedimenti giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici e, dall’altra, l’ipotesi di cumulo di tali contributi versati nel contesto di una stessa procedura giurisdizionale amministrativa in materia di appalti pubblici. Sul contributo unificato da versare per la proposizione di un ricorso in procedimenti giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici 52. In primo luogo, occorre ricordare, al pari del governo austriaco, che, ai sensi dell’art. 1, § 1, Direttiva 89/665, detta Direttiva si applica agli appalti di cui alla Direttiva 2004/18, a meno che tali appalti siano esclusi a norma degli artt. da 10 a 18, Direttiva. 53. Orbene, ai sensi dell’art. 7, che si trova nel capo II, Direttiva 2004/18, intitolato «Campo di applicazione», detta Direttiva si applica solo agli appalti pubblici il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto è pari o superiore alle soglie previste dalla stessa disposizione. 168 rivista trimestrale degli appalti 54. Ne consegue che agli appalti pubblici di servizi aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici diverse da autorità governative centrali il cui valore sia inferiore a euro 193.000 non si applica la Direttiva 2004/18 e, conseguentemente, nemmeno la Direttiva 89/665. 55. Per quanto riguarda il principio di effettività, occorre ricordare che il regime dei tributi giudiziari oggetto del procedimento principale prevede tre importi fissi di contributo unificato pari a euro 2 000, 4 000 e 6 000, per le tre categorie di appalti pubblici, vale a dire quelli di valore pari o inferiore a euro 200 000, quelli il cui valore è tra euro 200.000 e 1.000.000, e quelli il cui valore è superiore a euro 1.000.000. 56. Dagli atti sottoposti alla Corte risulta che il sistema degli importi fissi di contributo unificato è proporzionale al valore degli appalti pubblici che ricadono in queste tre differenti categorie a possiede, complessivamente inteso, carattere degressivo. 57. Infatti, il contributo unificato da versare, espresso in percentuale dei valori «limite» delle tre categorie di appalti pubblici, varia dall’1,0% all’1,036% del valore dell’appalto se esso è tra euro 193.000 e 200.000, dallo 0,4 al 2,0% se tale valore si situa tra euro 200 000 e 1.000.000, e corrisponde allo 0,6% del valore dell’appalto o a una percentuale inferiore, se detto valore è superiore a euro 1.000.000. 58. Orbene, i tributi giudiziari da versare per proporre ricorsi giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici che non siano superiori al 2% del valore dell’appalto in questione non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione in materia di appalti pubblici. 59. Nessuno degli elementi dedotti dal giudice del rinvio o dagli interessati che hanno presentato osservazioni alla Corte rimette in questione tale affermazione. 60. Segnatamente, per quanto riguarda la fissazione del contributo unificato in funzione del valore dell’appalto oggetto del procedimento principale e non in funzione del beneficio che l’impresa partecipante al bando di gara può legittimamente attendersi dall’appalto stesso, occorre indicare, da un canto, che diversi Stati membri riconoscono la possibilità di calcolare i tributi processuali da versare basandosi sul valore dell’oggetto della controversia. 61. D’altro canto, come rilevato dall’Avvocato generale al § 40 delle conclusioni, nell’ambito degli appalti pubblici un sistema che imponga calcoli specifici per ogni procedura di aggiudicazione di un appalto e per ogni impresa, il cui risultato potrebbe essere contestato, risulterebbe complicato e imprevedibile. 62. Quanto all’applicazione del contributo unificato italiano a svantaggio degli operatori che possiedono una debole capacità finanziaria, occorre rilevare, da un canto, al pari della Commissione, che tale contributo è imposto indistintamente, quanto alla sua forma e al suo importo, nei confronti di tutti gli amministrati che intendano proporre ricorso avverso una decisione adottata dalle amministrazioni aggiudicatrici. 63. Occorre rilevare che tale sistema non crea una discriminazione tra gli operatori che esercitano nel medesimo settore di attività. 64. Peraltro, risulta dalle disposizioni delle direttive dell’Unione in materia di appalti pubblici, quali l’art. 47, Direttiva 2004/18, che la partecipazione di un’impresa ad un appalto pubblico presuppone una capacità economica e finanziaria adeguata. giurisprudenza 169 65. Infine, sebbene la parte ricorrente abbia l’obbligo di anticipare il contributo unificato all’atto di proposizione del proprio ricorso giurisdizionale avverso una decisione in materia di appalti pubblici, la parte soccombente è tenuta, in linea di principio, a rimborsare i tributi giudiziari anticipati dalla parte che risulta vincitrice. 66. Quanto al principio di equivalenza, la circostanza per la quale, nell’ambito delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, il contributo unificato da versare è considerevolmente più elevato, da una parte, degli importi da versare per le controversie amministrative assoggettate al procedimento ordinario e, dall’altra parte, dei tributi giudiziari percepiti nei procedimenti civili, non può, di per sé, dimostrare una violazione di detto principio. 67. Il principio di equivalenza, infatti, come è stato ricordato al punto 46 della presente sentenza, implica un pari trattamento dei ricorsi fondati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, simili, fondati su una violazione del diritto dell’Unione, e non l’equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi di diversa natura, quali il contenzioso civile, da un lato, e quello amministrativo, dall’altro, o a contenziosi che ricadono in due differenti settori del diritto (v. sentenza ÖBB Personenverkehr, C‑417/13, EU:C:2015:38, punto 74). 68. Nella specie, nessuno degli elementi fatti valere dinanzi alla Corte è tale da supportare l’argomento secondo cui il sistema del contributo unificato italiano si applicherebbe in modo diverso ai ricorsi fondati su diritti che spettano agli amministrati in forza del diritto dell’Unione relativo agli appalti pubblici rispetto a quelli che si fondano sulla violazione del diritto interno aventi il medesimo oggetto. 69. Se ne deve trarre la conclusione che i tributi giudiziari da versare all’atto di proposizione di un ricorso nei procedimenti giurisdizionali amministrativi in materia di appalti pubblici, quali il contributo unificato oggetto del procedimento principale, non lede né l’effetto utile della Direttiva 89/665 né i principi di equivalenza e di effettività. Sul cumulo dei contributi unificati versati nel contesto di una stessa procedura giurisdizionale amministrativa in materia di appalti pubblici 70. Secondo la normativa nazionale, il contributo unificato deve essere versato non solo all’atto del deposito del ricorso introduttivo del giudizio avverso la decisione adottata da un’amministrazione aggiudicatrice in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, ma il medesimo importo deve essere parimenti versato per i ricorsi incidentali e i motivi aggiunti che introducono domande nuove nel corso del giudizio. 71. Dalla decisione di rinvio risulta che, ai sensi di una circolare del Segretario generale della giustizia amministrativa del 18 ottobre 2001, solo l’introduzione di atti procedurali autonomi rispetto al ricorso introduttivo del giudizio e intesi ad estendere considerevolmente l’oggetto della controversia dà luogo al pagamento di tributi supplementari. 72. La percezione di tributi giudiziari multipli e cumulativi nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale amministrativo non si pone in contrasto, in linea di principio, né con l’art. 1, Direttiva 89/665, letto alla luce dell’art. 47 della Carta, né con i principi di equivalenza e di effettività. 73. Una tale percezione, infatti, contribuisce, in linea di principio, al buon funzionamento del sistema giurisdizionale, in quanto essa costituisce una fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale 170 rivista trimestrale degli appalti degli Stati membri e dissuade l’introduzione di domande che siano manifestamente infondate o siano intese unicamente a ritardare il procedimento. 74. Tali obiettivi possono giustificare un’applicazione multipla di tributi giudiziari come quelli oggetto del procedimento principale solo se gli oggetti dei ricorsi o dei motivi aggiunti sono effettivamente distinti e costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente. 75. Se la situazione non è in tali termini, l’obbligo di pagamento aggiuntivo di tributi giudiziari in ragione della presentazione di tali ricorsi o motivi si pone, invece, in contrasto con l’accessibilità dei mezzi di ricorso garantita dalla Direttiva 89/665 e con il principio di effettività. 76. Quando una persona propone diversi ricorsi giurisdizionali o presenta diversi motivi aggiunti nel contesto del medesimo procedimento giurisdizionale, la sola circostanza che la finalità di questa persona sia quella di ottenere un determinato appalto non comporta necessariamente l’identità di oggetto dei suoi ricorsi o dei suoi motivi. 77. Nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto dello stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi. 78. Peraltro, dinanzi alla Corte non è stato sollevato alcun argomento tale da rimettere in questione la conformità del cumulo delle contribuzioni unificate con il principio di equivalenza. 79. Considerato quanto precede, occorre risolvere la questione presentata come segue: – L’art. 1, Direttiva 89/665 nonché i principi di equivalenza e di effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi. – L’art. 1, Direttiva 89/665 nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso. Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi. giurisprudenza 171 Sulle spese 80. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara: 1) L’art. 1, Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla Direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, nonché i principi di equivalenza e di effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi. 2) L’art. 1, Direttiva 89/665, come modificata dalla Direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso. Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi. 172 rivista trimestrale degli appalti La decisione della Corte di giustizia europea sul contributo unificato in materia di appalti pubblici: “andata e ritorno” dal sistema italiano di tutela Sommario: 1. Premessa – 2. La disciplina del contributo unificato per i contenziosi in materia di affidamenti di contratti pubblici – 3. La sentenza del TAR Lombardia e l’ordinanza di rimessione del TRGA Trento – 4. La decisione della Corte di giustizia Ue, C-61/14, 6 ottobre 2015. – 5. Gli spunti critici. – 6. Gli scenari interni. 1. Premessa. – Dal 2006 in Italia è richiesto il pagamento di importo significativo a titolo di contributo unificato, qualora si intenda adire il giudice amministrativo per mettere in dubbio un atto di affidamento di un appalto pubblico. Ad una prima lettura, questa potenziale barriera di ingresso al sistema di giustizia amministrativa è incomprensibile ed anzi inaccettabile agli occhi dell’operatore di diritto per così dire “ingenuo”. In un sistema di giurisdizione soggettiva come il nostro, ove non vi è un procuratore dello Stato che possa promuovere d’ufficio avanti il giudice amministrativo azioni a tutela della legalità, sarebbe da attendersi che sempre lo Stato abbia una doppia ragione per sostenere le iniziative giudiziali dei privati in materia di appalti pubblici. La prima, in quanto lo Stato è il garante istituzionale della piena effettività del diritto alla difesa e del giusto processo (artt. 24 e 111, Cost.) di cui ogni soggetto giuridico della comunità è portatore; la seconda, in quanto dovrebbe essere soggetto interessato al maggior controllo possibile sull’attività svolta dal proprio plesso amministrativo, in un settore così sensibile come quello dei contratti pubblici, controllo che si concretizza avanti il giudice amministrativo solo se c’è un operatore privato pronto a farsi avanti, pur se per interessi egoistici. Ma se è vero quanto sopra, non si spiega il progressivo aumento registrato in questi anni del contributo unificato in materia di appalti pubblici, salvo giungere alla conclusione che lo Stato sia disattento ed irrazionale. L’altra lettura, abbandonando ogni ingenuità, è invece che lo Stato (recte il Governo o meglio i Governi che si sono succeduti), forse sbagliando, stia perseguendo altri interessi. Ovvero che con l’aumento del contributo unificato lo Stato, pur senza dichiararlo, intenda scoraggiare i ricorsi pretestuosi ed assicurarsi maggiori entrate per l’Erario. Le ulteriori ipotesi, di cui si potrà solo fare un accenno, è che, ancora più in profondità, vi sia una diffusa considerazione tra i “normatori” che il giudizio amministrativo in materia di appalti pubblici sia un contenzioso tra le imprese e nell’interesse principalmente di queste, che non porta beneficio sostanziale agli interessi pubblici, anzi che spesso ritarda la loro soddisfazione; che gli interessi pubblici di settore principalmente giurisprudenza 173 da tutelare abbiano protagonisti non giudiziali, ossia i soggetti aggregatori per la spending review e l’ANAC per la piaga della corruzione; che lo Stato non abbia (o non voglia destinare) ulteriori risorse economiche per il sistema di giustizia amministrativa. Premesso quanto sopra, quello che ci si propone di analizzare, con il presente contributo, è come si è arrivati alla decisione della Corte di giustizia, quanto da essa deciso ed i suoi effetti sul sistema italiano di tutela in materia di contratti pubblici, alla luce di una lettura, in parte “ingenua” ed in parte realistica delle problematiche e degli interessi coinvolti. 2. La disciplina del contributo unificato per i contenziosi in materia di affidamenti di contratti pubblici. – In termini generali, i costi del processo amministrativo possono dividersi in necessari (il contributo unificato), normali (le spese di giudizio, dato che possono essere compensate) ed eventuali (spese aggravate, sanzioni pecuniaria, astrainte)1. In base all’attuale d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (testo unico in materia di spese di giustizia), è dovuto il pagamento di un’imposta denominata contributo unificato per l’iscrizione a ruolo dei giudizi civili, tributari ed amministrativi. L’art. 13, d.P.R. n. 115 specifica gli importi dovuti a seconda dei diversi giudizi e, relativamente a quelli amministrativi, il comma 6 bis lett. c prevede che per i giudizi in materia di affidamento di lavori, di servizi e di forniture (ex art. 119, comma 1, lett. a e b, d.lgs. n. 104 del 2010, Codice del processo amministrativo), il contributo dovuto è di euro 2.000, quando il valore della controversia è pari o inferiore ad euro 200.000; euro 4.000, quando il valore della controversia è di importo compreso tra euro 200.000 e 1.000.000; euro 6.000, quando il valore della controversia è di importo superiore a 1.000.000 di euro. È inoltre dovuto il contributo unificato in materia di appalti tanto per le domande proposte con il ricorso introduttivo quanto per i motivi aggiunti ed anche per il ricorso incidentale. In caso di appello, il contributo unificato è pari a quello del giudizio di primo grado, aumentato della metà. Il quadro normativo sopra accennato è il frutto di diversi interventi del legislatore, susseguitisi negli ultimi dieci anni. L’art. 21, comma 4, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni in l. 4 agosto 2006 n. 248, ha determinato in via forfettaria in euro 500 il contributo unificato per tutti i giudizi amministrativi, secondo la regolazione governativa al fine di sem- (1) F. G. Scoca, Il “costo” del processo tra misura di efficienza ed ostacolo all’accesso, in Dir. proc. amm., 2014, p. 1419. 174 rivista trimestrale degli appalti plificare la verifica del personale amministrativo del TAR e Consiglio di Stato in tema di valore del ricorso, partendo dall’assunto che in massima parte le controversie amministrative fossero da ritenersi di valore indeterminato2. Pochi mesi dopo l’art. 1, comma 1307, l. 23 dicembre 2006, n. 296 ha modificato l’impostazione del contributo unificato unico ed ha previsto, in materia di giudizi amministrativi e per quanto qui interessa, un contributo di euro 2.000 per i giudizi relativi all’affidamento degli appalti pubblici, ad opinione della dottrina sulla scorta della particolare efficienza e celerità che garantisce il rito appalti3. L’art. 3, comma 11, all. 4, Codice del processo amministrativo, entrato in vigore il 16 settembre 2010, ha previsto che il contributo unificato fosse dovuto anche in caso di ricorso incidentale e di motivi aggiunti che introducono domande nuove. L’art. 37, comma 6, lett. s, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito in l. 15 luglio 2011, n. 111, ha innalzato il contributo unificato in materia di appalti da euro 2.000 ad euro 4.000. Il successivo e ad oggi ultimo intervento normativo ha modificato l’assunto di un importo unico di contributo unificato in materia di appalti, differenziando il dovuto a seconda del valore della controversia, intesa come importo messo a gara. Infine, con la riedizione dell’art. 37, comma 6, lett. s, cit., come modificato dall’art. 1, comma 25, lett. a, nn. 1, 2 e 3, l. 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il contributo in materia di appalti è stato infatti articolato nei termini riportati all’inizio del presente paragrafo. Al fine di una corretta applicazione della normativa da ultimo richiamata, il Segretariato generale della giustizia amministrativa ha adottato la circolare 18 ottobre 2011, ad oggetto “Istruzioni sull’applicazione della disciplina in materia di contributo unificato nel processo amministrativo”. Contestualmente a questo crescendo impositivo, la dottrina ha mostrato una sempre maggiore attenzione al tema dell’incidenza del contributo unificato sul giudizio. Ciò in termini di lesione del diritto alla difesa dei singoli ma anche, in una prospettiva a più ampio spettro, di minore tutela degli interessi pubblici di settore 4, (2) Come segnalato da R. Giani, Le novità del decreto Bersani in materia di giustizia, appalti e pubblica amministrazione, in Urbanistica e appalti, 2006, p. 1165. (3) R. De Nictolis, Il nuovo contributo unificato nel processo amministrativo, in Urbanistica e appalti, 2007, p. 141. (4) Al riguardo crf., L. Gili, Avvocato, ma quanto mi costa? (Nota e divagazioni sull’attuale diritto alla difesa in materia di affidamenti di contratti pubblici), in Dir. econ., 2012, n. 2, p. 355 ss. ed ivi richiami dottrinali. Inoltre, ex multis, F.G. Scoca, giurisprudenza 175 con il rischio anche di limitare il presidio pubblico di tutela esclusivamente a livello penale, a cui i privati possono accedere senza pagare tributi ma rischiando così di inflazionare un settore della giustizia già con i suoi problemi, a prescindere che, come noto, non sempre un atto illegittimo corrisponde ad un reato5. 3. La sentenza del TAR Lombardia e l’ordinanza di rimessione del TRGA Trento. – Le possibili risposte correttive dell’ordinamento al quadro normativo venutasi a creare parevano sostanzialmente tre: la prima, a fronte di un ripensamento legislativo in termini di riduzione dell’importo e/o limitazione al solo ricorso introduttivo; la seconda, a fronte di un intervento della Corte costituzionale adita in via incidentale, confidando in una declaratoria di incostituzionalità della norma per violazione del diritto alla difesa, del giusto processo ed ancor prima del principio di ragionevolezza; la terza, a fronte di una decisione della Corte di giustizia, accertante la non conformità della normativa interna con la normativa comunitaria in materia di appalti e la loro possibilità di tutela (principalmente alla luce della “Direttiva ricorsi”, 21 dicembre 1989 n. 89/665/CEE e successive modificazioni ed integrazioni). La prima strada appariva impraticabile, visto il chiaro e voluto intento del legislatore di aumentare l’importo del contributo unificato in materia di appalti pubblici. Del pari improbabile appariva attendersi a breve l’intervento della Corte costituzionale, atteso che la stessa aveva in più occasioni affermato che l’imposizione del contributo unificato non fosse costituzionalmente illegittima in quanto l’omesso versamento del contributo unificato non è causa di improcedibilità dell’azione, nonché il fatto che di regola rientrasse nella discrezionalità del legislatore determinarne l’importo6. Ad opinione di molti l’unica strada percorribile appariva dunque quella che portava alla Corte di giustizia, previa questione pregiudiziale da proporsi avanti giudice amministrativo, ritenuto sul tema più sensibile del giudice tributario. Così si spiega il ricorso di marzo 2013 proposto avanti il TAR Lombardia, Milano da diversi avvocati in proprio, i quali impugnavano la nota del Segretario generale del TAR locale che riportava op. cit.; F. Volpe, Una storia francese (ancora sul contributo unificato), in www. lexitalia.it, n. 1, 2014. (5) N. D’Alessandro, Le invasioni barbariche (nel processo amministrativo). La demolizione del processo amministrativo diffuso anche mediante l’aumento del costi per l’accesso della Giustizia, in www.lexitalia.it, n. 9, 2011. (6) Si v. Corte cost., ord. 6 maggio 2010, n. 164, in Rep. Foro it, 2011, voce “Contratti pubblici”, n. 1748. Per un’analisi dell’orientamento della Corte Costituzionale in tema di contributo unificato, v. R.G. Rodio, Alcuni rilievi costituzionali sul contributo unificato nel processo amministrativo, in www.osservatorioaic.it, 2014. 176 rivista trimestrale degli appalti gli importi da versare per il pagamento dei contributi unificati, ritenendola in contrasto con le Direttive n. 89/665/CEE, n. 92/13/ CEE, n. 2007/66/CE, n. 17/2004/CE e n. 18/2004/CE, l’art. 47, comma 1 della Carta fondamentale dell’Unione europea in tema di effettività di tutela, gli artt. 6 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nonché con i principi generali del Trattato UE di non discriminazione, di proporzionalità e di tutela della concorrenza. Con sentenza 19 luglio 2013, n. 19277 il TAR Lombardia rigettava il ricorso per inammissibilità, ritenendo che la controversia fosse di spettanza del giudice tributario, nonché per mancanza di lesività della impugnata nota del Segretario generale. Pubblicata la sentenza su diversi siti di settore, qui pareva conclusa la vicenda della possibilità di sollevare la pregiudiziale comunitaria in sede di giudizio amministrativo. Quanto non vagliato avanti il TAR Lombardia trovava invece spazio avanti il TRGA Trento, che con ordinanza 29 gennaio 2014, n. 238 rimetteva alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale se la Direttiva n. 89/665/CEE e successive modifiche integrative ostasse ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli artt. 13, comma 1 bis, 1 quater e 6 bis, e 14, comma 3 ter, d.P.R. n. 115 del 2002, di stabilire elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici. La controversia posta all’attenzione del giudice trentino riguardava un ricorso introduttivo ed un ricorso per motivi aggiunti promosso da un’associazione temporanea di impresa, seconda graduata, avverso l’aggiudicazione di un appalto di servizi sopra soglia comunitaria, nonché avverso il provvedimento del dirigente e del TAR di invito a pagamento di un maggiore contributo unificato. Il TAR si focalizzava sui motivi aggiunti, affrontando in primis la questione della giurisdizione, rilevando che “il Collegio non esita a riconoscere che il contributo unificato ha natura di tributo (…); tuttavia, nella specie, all’esame viene in evidenza un atto del Segretario generale di questo TRGA. che ha natura e consistenza di provvedimento amministrativo, emanato nell’esercizio di discrezionalità tecnica (si tratta dell’uso e di interpretazione di (7) In www.giustizia-amministrativa.it. (8) In Rep. Foro it, 2014, voce “Spese di giustizia”, n. 30. A commento dell’ordinanza, si v. L. Presutti, L’incompatibilità del contributo unificato negli appalti pubblici con la Direttiva ricorsi, in Urbanistica e appalti, n. 6 del 2014, p. 708 ss. Va nel contempo segnalato che il TRGA Trento, con ordinanza 23 ottobre 2014 , n. 366, in Rep. Foto it., 2014, voce “Spese di giustizia”, n. 29, ha rimesso nuovamente pari questione alla Corte di giustizia. giurisprudenza 177 norme processuali): come tale dunque sottoposto alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, ai sensi degli artt. 103, comma 1 e 113, comma 1, Cost e dell’art. 7, Codice del processo amministrativo”. Superato così il principale ostacolo, relativo alla giurisdizione, data la rilevanza comunitaria dell’appalto il giudice riteneva operante la Direttiva n. 89/665/CEE e successive modificazioni ed integrazioni, il cui art. 1 prevede che i principi di efficacia, di celerità, di non discriminazione e di accessibilità devono essere garantiti nell’ordinamento interno ai fini della effettiva tutela delle posizioni giuridiche nelle imprese. Continuava il giudice trentino rilevando come, pur se il previo pagamento del contributo unificato non fosse condizione di ammissibilità e di procedibilità del ricorso, l’esborso anticipato di cifre elevate in molti casi superiore allo stesso utile di impresa (da calcolare in relazione all’importo dell’appalto), poteva facilmente comportare, specialmente per gli appalti di non elevatissimo importo, comprensibili situazioni di rinuncia da parte dell’interessato alla scelta di proporre ricorso giurisdizionale. Le criticità maggiori venivano rilevate nel fatto che il contributo è determinato a prescindere dal valore effettivo della controversia ed è ancorato a un valore teorico, la base d’asta, senza tenere conto dell’effettivo utile d’impresa ricavabile dall’aggiudicazione dell’appalto, con evidenti discrasie rispetto anche al settore del giudizio civile. Il TAR riconosceva la contraddittorietà della norma nazionale anche perché discrimina irrazionalmente gli esercenti le professioni legali che operano nel settore degli appalti pubblici, costretti a scelte processuali non libere ma condizionate dalla necessità del previo pagamento del contributo unificato da richiedere immediatamente al cliente. Il giudice trentino sollevava inoltre perplessità in merito a un contributo unificato che avrebbe dovuto essere parametrato ai costi sopportati dallo Stato per l’organizzazione, funzionamento dell’apparato giurisdizionale, mentre emergeva che la misura del contributo unificato non servisse a coprire specifici e differenziati costi della giustizia nella particolare materia degli appalti ma perseguiva scopi diversi: “È opinione diffusa in dottrina, tra gli operatori giuridici e tra gli stessi magistrati, infatti, che il legislatore italiano abbia voluto ostacolare l’accessibilità ai mezzi di ricorso in materia di appalti, rispetto alle altre materie del contenzioso amministrativo, mediante l’imposizione di una tassazione esagerata, illogica, iniqua e sproporzionata, con le finalità di deflazionare tale contenzioso”. 4. La decisione della Corte di giustizia U.E., C-61/14, 6 ottobre 2015. – La questione giunge dunque alla Corte di giustizia, la quale 178 rivista trimestrale degli appalti con sentenza C-61 del 6 ottobre 2015 ritiene non fondate tutte le questioni pregiudiziali sollevate. Il giudice di Lussemburgo addiviene a questa conclusione partendo dal presupposto che il contributo unificato per accedere o per proseguire un giudizio amministrativo in materia di pubblici appalti sia un tributo giudiziario che rientri nell’ambito delle “modalità procedurali” di proposizione del ricorso per la tutela dei diritti riconosciuti dall’Unione, che è area rimessa all’autonomia processuale dei singoli Stati membri, non contenendo la Direttiva n. 89/665/CEE una previsione specifica al riguardo9. La verifica di computabilità della normativa italiana viene circoscritta dalla Corte alle modalità di presentazione dei ricorsi per gli appalti a rilevanza comunitaria, se più gravose rispetto alle modalità prescritte per ricorsi analoghi di diritto interno (principio di equivalenza), nonché al dubbio che tali modalità rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti riconosciuti a livello comunitario (principio di effettività). La Corte di giustizia svolge questa verifica vagliando prima il caso del contributo unificato da versare all’avvio del giudizio (punti 52-69) e poi quello del cumulo di contributi unificati da versare nello stesso giudizio (punti 70-78). Relativamente al contributo unificato iniziale, il principio di equivalenza non viene ritenuto violato, in quanto il fatto che per i contenziosi civili in Italia il tributo giudiziario sia sensibilmente minore rispetto a quello previsto per i contenziosi avanti i giudici amministrativi per gli appalti pubblici non è circostanza rilevante, atteso che, ai fini del principio in esame, il raffronto va condotto tra gli strumenti di tutela per i diritti attribuiti dall’ordinamento interno e quelli per i diritti attribuiti dall’Unione (punti 66-69), in merito a cui la Corte non ravvisa discordanze. Quanto invece alla verifica del rispetto del principio di effettività, la considerazione è che la normativa italiana, prevedendo un contributo unificato in termini percentuali che si pone tra l’1,0% e il 2,0% del valore dell’appalto, non risulta tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione in materia di appalti pubblici (punti 57 e 58). Correlato a questa considerazione vi è quella, a monte, di ritenere giustificato la fissazione del contributo unificato in funzione del (9) Peraltro, in termini di possibilità dell’Unione di disciplinare le modalità di applicazione del diritto europeo in tema di contratti pubblici, cfr. M. Ramajoli, Esiste un diritto processuale europeo in materia di contratti pubblici ?, Relazione al Convegno “Il sistema della giustizia amministrativa negli appalti pubblici in Europa”, Università degli Studi di Milano, 20 maggio 2011, in www.giustamm.it, n. 11, 2011. giurisprudenza 179 valore dell’appalto e non del beneficio che l’impresa partecipante può attendersi dalla gara, in quanto sarebbe un calcolo complicato ed imprevedibile (punti 60 e 61). La Corte ritiene non leso il principio di effettività neppure dalla circostanza che molte imprese che partecipano alla gare pubbliche abbiano una debole capacità finanziaria e quindi che un contributo unificato oggettivamente rilevante limiti la possibilità di accesso alla giustizia, in quanto le imprese se intendono aggiudicarsi un appalto pubblico secondo la Corte devono di per sé avere una capacità economica e finanziaria adeguata (punto 64). Del pari non è stato ritenuto rilevante che il contributo unificato vada versato in anticipo, dato che la parte soccombente è tenuta a rimborsare anche i tributi giudiziari anticipati dalla parte risultata vincitrice (punto 65). Sul contributo unificato aggiuntivo, la Corte parimenti respinge la questione di incompatibilità ma apre nel contempo uno spiraglio importante, attribuendo al giudice nazionale un potere di esenzione. La previsione di tributi giudiziari multipli e cumulativi non viene infatti ritenuta in contrasto con l’art. 1, Direttiva n. 89/665/ CEE, né con i principi di equivalenza e di effettività, in quanto, sempre secondo la Corte, detti tributi contribuiscono al buon funzionamento del sistema giurisdizionale in quanto fonti di finanziamento e perché dissuadono l’introduzione di domande manifestamente infondate o destinate unicamente a ritardare il giudizio (punto 73). L’apertura è nella parte finale della decisione (punti 74 – 77), nella parte in cui la Corte di giustizia, ritiene che il giudice nazionale, qualora accerti che le ragioni dei nuovi motivi o delle domande non siano effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, abbia il potere su istanza di parte di dispensare questa ultima dall’obbligo di pagamento di ulteriori tributi giudiziari. 5. Gli spunti critici. – La decisione della Corte di giustizia ha registrato critiche e dissensi da parte della dottrina10 ed è stata accolta con delusione dai tanti operatori del diritto che riponevano nel giudice comunitario le speranze di normalizzare i “costi fissi” (10) Si v., per un’analisi ad ampio spettro, F. Saitta, Effettività di tutela e costo del processo amministrativo in materia di appalti: la (discutibile) opinione dei giudici europei sul contributo unificato, in www.lexitalia.it, n. 10 del 2015, nonché G. Cumin, L’impatto della sentenza n. C-61 della Corte di giustizia in materia di contributo unificato, in www.lexitalia, n. 10, 2015, contributo questo particolarmente interessante per la questione dell’intervento del giudice/Uffici di Segreteria del TAR al fine dell’eventuale esclusione del contributo cumulativo. 180 rivista trimestrale degli appalti di accesso al contenzioso in materia di affidamento di appalti pubblici. Focalizzandosi sugli aspetti di maggiore interesse, la prima osservazione è che la Corte non risulta avere dedicato attenzione alla compatibilità della normativa italiana rispetto al principio comunitario di proporzionalità delle limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà, di cui all’art. 52, § 1, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’ordinanza di rinvio del TRGA Trento aveva invece un forte richiamo a detto principio, sulla scorta della considerazione che se la normativa nazionale non può eccedere i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti da ciascuno Stato, parimenti devono essere proporzionati e giustificati i costi di accesso al sistema di tutela in materia di appalti pubblici (ordinanza, punti 26 e 28). Probabilmente non è un caso che la Corte abbia mitigato l’operatività del contributo cumulativo alla luce del principio di effettività − riconoscendo come si è detto l’esistenza del potere del giudice nazionale (che sino ad ora non aveva o non sapeva di avere) di dispensarne il pagamento in caso di oggetti effettivamente distinti o che non comportino un ampliamento considerevole – e non alla luce del principio di proporzionalità, invece espressamente evocato sul punto dall’Avvocato Generale nelle sue Conclusioni. Qualora la Corte di giustizia avesse vagliato la questione anche sotto la luce del principio di proporzionalità, forse l’esito della decisione avrebbe potuto essere diverso o comunque l’analisi sarebbe stata probabilmente più di merito. Dall’altro canto è peculiare che la Corte, pur non svolgendo il test di proporzionalità, ritenga in modo assertivo che il tributo giudiziario di cui si discute appaia giustificato in quanto contribuisce al buon funzionamento del sistema giurisdizionale come fonte di suo finanziamento e perché dissuade l’introduzione di domande infondate o comunque intese a ritardare il procedimento (punto 73), facendo quasi intendere che un contributo unificato non irrisorio sia non dannoso, ma anzi utile per una “buona giustizia” in materia di appalti pubblici. La seconda osservazione è che appare criticabile tanto l’affermazione della sentenza (punti 60-61) quanto le Conclusioni dell’Avvocato generale (punti 39-41), a cui la Corte di giustizia rinvia, secondo cui è corretto e giustificato l’ancoraggio della tassa da pagare non all’utile effettivo o presunto ma al valore globale dell’appalto, allontanando così dal mondo reale ogni considerazione conseguente. Appare inoltre non condivisibile l’affermazione dell’Avvocato Generale, secondo cui sarebbe “un sistema in cui l’utile atteso fosse valutato singolarmente per ogni procedura di aggiudicazione di un appalto e/o per ogni impresa che vi partecipi, giurisprudenza 181 con la conseguenza di tributi giudiziari variabili, sarebbe scomodo e imprevedibile”. A fronte di questi errati presupposti ed omesse considerazioni sugli interessi concreti, parimenti fallace è la successiva considerazione in termini di accettabilità di un contributo unificato che oscilli tra l’1,0% e il 2,0% dell’importo a base di gara (punti 57 e 58), proprio perché è sbagliata la base impositiva su cui testare il rispetto del principio di effettività. La valutazione che l’operatore economico svolge ai fini della partecipazione alla gara, in una logica di costi/benefici, è principalmente basata sul margine che può spuntare al netto dei costi di commessa e non sull’importo posto a base di gara dalla stazione appaltante. Inoltre l’argomento fatto proprio dalla decisione, che in alternativa si darebbe il via ad un sistema di tributi giudiziari variabili, basato sul diverso utile atteso da ogni singola impresa, appare inconferente, dato che la Corte era chiamata a vagliare se il sistema attuale di tassazione giudiziaria fosse ostativo a un normale accesso alla giustizia e non scandagliare le altre ipotesi regolatorie che ogni singolo Stato membro ha facoltà di adottare in autonomia. In altri Stati comunitari vi sono sistemi a tassa fissa, come ben si può ipotizzare un sistema che convenzionalmente prenda a riferimento un utile presunto sull’importo a base di gara, ad esempio pari al 5% o al 10%, oppure, sempre de iure l’adozione di un atto di concerto tra l’amministrazione finanziaria ed il Ministero della giustizia, finalizzato ad individuare un sistema di parametri di riferimento per classi di importi più articolato di quello esistente.11 La terza osservazione è sul fatto che la Corte di giustizia non abbia tenuto conto della particolarità del mercato dei contratti pubblici, in merito a cui il ricorso giudiziale di un’impresa attiva automaticamente una verifica che porta beneficio anche agli interessi pubblici di settore (legalità, trasparenza, migliore utilizzo delle risorse pubbliche, lotta alla corruzione). Di questi interessi, che innervano e caratterizzano gli appalti pubblici, non vi è traccia e considerazione alcuna, quasi che la materia riguardasse solo diritti e controversie tra privati in un mercato come tanti, residualmente caratterizzato dal fatto che i committenti siano enti pubblici. La mancata occasione di una lettura ad ampio respiro del mercato dei contratti pubblici si registra anche nelle Conclusioni dell’Avvocato generale, nella parte in cui − pur richiamando la sentenza Edwards (11 aprile 2013, in causa C-260/11) con cui la Corte ha affermato che i giudizi in materia ambientale non devo- (11) In tal senso S. Cumin, op. cit, p. 12. 182 rivista trimestrale degli appalti no comportare condanna alla spese eccessivamente onerose (così come previsto dalle Direttive n. 85/337/CEE e 96/61/CE) e che il giudice nazionale debba a tal fine vigilare − non viene analizzata l’eventualità che detta regola che vale per il bene pubblico ambiente sia applicabile anche agli appalti pubblici. Pare utile ricordare che la Corte, nella causa C-260/11, è arrivata a tale conclusione (punti 30-33) ritenendo che la valutazione dei costi dei procedimenti giurisdizionali in materia ambientale non possa rientrare nel solo diritto nazionale, atteso che l’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione consiste nel conferire al pubblico interessato “un ampio accesso alla giustizia”. Prosegue la Corte rilevando come “32. Tale obiettivo rientra, più ampiamente, nella volontà del legislatore dell’Unione di preservare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente e di assegnare al pubblico un ruolo attivo a tal fine. 33. Peraltro, il requisito inerente al procedimento «non eccessivamente oneroso», nel settore ambientale, contribuisce al rispetto del diritto ad un ricorso effettivo, sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché del principio di effettività secondo cui le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (…)”. Vero è che la normativa ambientale prevede espressamente il vincolo agli Stati membri a che i giudizi di settore non siano eccessivamente onerosi, previsione invece assente nella Direttiva n. 89/665/CEE. Ma è anche vero che nella Direttiva da ultima richiamata è presente la prescrizione agli Stati membri di provvedere a rendere accessibili le procedure di ricorso (art. 1, comma 3), regola che potrebbe ritenersi naturalmente e logicamente includente in sé la prescrizione di non sottoporre i ricorsi a tributi eccessivamente onerosi. Inoltre nella Direttiva n. 89/665/CEE è comunque presente un’attenzione verso gli interessi pubblici (ad esempio il terzo considerando della Direttiva, relativo alla trasparenza ed alla non discriminazione). Tutti elementi che ragionevolmente imponevano, da parte della Corte di giustizia, una valutazione più attenta e di più ampio respiro, valorizzando la ratio sottesa alla normativa ambientale.12 6. Gli scenari interni. – La decisione della Corte di giustizia può essere sottoposta a diverse letture: una principalmente di stretto diritto, l’altra, di più difficile applicazione, di ricerca di (12) In tal senso F. Saitta, op. cit, p. 7. giurisprudenza 183 quali possano essere state le eventuali ragioni metagiuridiche e di sistema ad essa sottese. Forse non sbaglia chi legge nella decisione una particolare attenzione della Corte di giustizia a non entrare nel merito delle scelte finanziarie dei singoli Stati membri, ancor più quando prevedono maggiori entrate a loro favore, in un periodo come quello attuale di noto rigore verso la finanza pubblica. A ciò si aggiunge l’impressione che il giudice comunitario non abbia compreso appieno la problematica che ha mosso il TRGA. a sollevare la composita questione pregiudiziale, tra l’altro non figlia di un (pur importante) dibattito accademico o di diverse interpretazioni giurisprudenziali, ma di due modi di intendere in Italia la funzione del contributo unificato profondamente diversi tra loro. L’effetto di “ritorno” della decisione della Corte di giustizia è che viene confermata la funzione del contributo unificato come strumento di deflazione del contenzioso, a beneficio dell’interesse dello Stato di sgravare lavoro all’amministrazione della giustizia, nonché a beneficio dell’interesse, sempre dello Stato, a che gli appalti pubblici subiscano meno ritardi possibili perché messi in discussione per ragioni di concorrenza non sempre di immediata lettura (… i contenziosi pretestuosi), oppure che vengano azzerati a fronte di decisioni “creative” della giurisprudenza amministrativa.13 È insomma prevalso l’interesse dello Stato a “difendersi” dalle imprese e da una certa giurisprudenza “irresponsabile”. Vi è poi un corollario che, volente o meno, la decisione della Corte di giustizia conferma. Ovvero che in Italia il giudizio amministrativo in materia di appalti pubblici non è (più) considerato quale momento centrale di tutela anche degli interessi pubblici di settore (legalità, trasparenza, ma anche efficienza e lotta alla corruzione) ma è principalmente considerato quale luogo di contenzioso tra le imprese, in un’ottica per così dire minimalista della dimensione e della rilevanza collettiva della concorrenza. Perché altrimenti lo Stato, se fosse stato realmente interessato per il tramite del giudizio amministrativo a tutelare “interessi propri”, come quelli della trasparenza e della legalità, in questi ultimi anni non avrebbe innalzato in modo così sensibile l’importo del contributo unificato. (13) In materia la giustizia amministrativa ha svolto da sempre un ruolo creativo, che si avvicina ad una vera e propria “costruzione normativa”: così ricorda, richiamando il pensiero di M.S. Giannini, P .Grossi, Sull’odierna incertezza del diritto, Relazione introduttiva del Convegno annuale, Napoli, 3-4 ottobre 2014, “L’incertezza delle regole”, Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo, Napoli, 2015, p. 28 e ss. Sul tema, si v. anche la relazione di R.Ferrara, L’Incertezza delle regole tra indirizzo politico e «funzione definitoria” della giurisprudenza, ivi, p. 33 ss. 184 rivista trimestrale degli appalti L’attenzione per le forme di controllo sui contratti pubblici si è infatti focalizzata in questi ultimi anni non sul giudizio amministrativo ma sull’ANAC, la quale si pone quale autorità di regolazione di un settore che viene definito sistema amministrativo degli appalti.14 L’interesse dello Stato è indirizzato verso la crescita del Paese, in termini di infrastrutture e di ammodernamento in particolar modo del Sud, con lotta alla corruzione a livello nazionale, in una fase in cui ci si rende conto che la riforma in materia di appalti pubblici, in occasione del recepimento delle ultime direttive comunitarie, avrà efficacia tanto più si avrà il coraggio, al di là dei campanilismi e nell’interesse della spending rewiew, di accorpare le Amministrazioni che hanno titolo e capacità di gestione efficiente di processi complessi (centrali di committenza e soggetti aggregatori in genere), aumentando le competenze di chi opera15. Altra obiettivo, rimarcato da dottrina parimenti autorevole, è quello di combattere le patologie del comportamento burocratico, per perseguire il ripristino del necessario rapporto fisiologico tra sistema economico e sistema amministrativo, che passa anche tramite l’eliminazione di un gran numero di norma esistenti, spesso oscure e contraddittorie (cosiddetta inflazione normativa), per apportare maggiore certezza per i cittadini, per le imprese e per la stessa amministrazione, con significativa riduzione del contenzioso16. Nodo centrale è inoltre la lotta alla corruzione, in merito a cui però i tradizionali controlli di legittimità non hanno sortito gli effetti sperati ed hanno spesso aggiunto un formalismo ai formalismi già previsti dalla disciplina sostanziale17. Spesso l’organizzazione del procedimento di aggiudicazione finisce poi, sempre secondo la dottrina da ultimo richiamata, con il proiettarsi sul processo favorendo una crescita espansionale ed una complicazione del contenzioso giurisdizionale. Da qui la proposta di organizzare diversamente il procedimento di gara, con una fase distinta di ammissione e di esclusione, contraddistinta da un termine breve di impugnazione degli atti di riferimento in quanto ritenuti ex lege immediatamente lesivi18. (14) Cfr. A. Pajno, La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione, Relazione al 61° Convegno di Studi Amministrativi, “La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione”, Varenna, 19 settembre 2015, p. 32. (15) Cfr. al riguardo P.Mantini, La semplificazione nei nuovi appalti pubblici tra divieto di gold plating e copy out, Relazione al 61° Convegno di Studi amministrativi, cit., passim. (16) A.Pajno, op. cit., in particolare p. 4 ss. (17) A.Pajno, op. cit, p. 11. (18) A.Pajno, op. cit, p. 18 s. giurisprudenza 185 Effettivamente la recente l. 28 gennaio 2016, n. 11, di delega al Governo per l’attuazione delle Direttive 2014/23/UE, 2014/24/ UE e 2014/25/UE, prevede anche, all’art. 1, comma 1, lett. bbb, la revisione e la razionalizzazione del rito abbreviato per i giudizi in materia di contratti pubblici, “(…) anche mediante l’introduzione di un rito speciale in camera di consiglio che consente l’immediata risoluzione del contenzioso relativo all’impugnazione dei provvedimenti di esclusione dalla gara o di ammissione alla gara per carenza dei requisiti di partecipazione; previsione della preclusione della contestazione di vizi attinenti alla fase di esclusione dalla gara o ammissione alla gara nel successivo svolgimento della procedura di gara e in sede di impugnazione dei successivi provvedimenti di valutazione delle offerte e di aggiudicazione, provvisoria e definitiva”. A tal ultimo riguardo − realisti ed anche consapevoli della complessità della materia dei contratti pubblici e dei diversi interessi da governare − si conviene sull’utilità di questa riforma del giudizio amministrativo, ai fini e nella prospettiva del tempestivo esito della procedura di gara. Nel contempo, se questo è il futuro, pare sommamente necessario che il legislatore diminuisca sensibilmente gli importi del contributo unificato richiesti per l’attivazione dei contenziosi in materia di affidamenti di appalti pubblici, ancora più alla luce di questi contenziosi “immediati”. Perché, in difetto, il contributo fungerà non solo da deflazione del contenzioso amministrativo ma anche da fattore di sua estinzione, essendo probabilmente difficile trovare un’impresa disposta a presentare ricorso avverso insanabili mancanze altrui ed a pagare un importante contributo unificato senza neppure sapere come si è graduata, salvo l’ipotesi che la gara abbia registrato solo due offerenti tra cui il potenziale ricorrente. L’auspicata riduzione del contributo unificato, per le ragioni sopra esposte, dovrebbe trovare giustificazioni tanto nel dovere dello Stato di tutelare e permettere il diritto alla difesa quanto nell’interesse, sempre dello Stato, di fruire e di avvalersi del contenzioso attivato dal privato al fine di verificare la legittimità dell’operato del proprio plesso amministrativo. In conclusione. La questione del contributo unificato cumulativo ha trovato un’apertura da parte della Corte di giustizia, però ancora tutta da testare, dipendendo da come i TAR ed il Consiglio di Stato andranno ad esercitare il potere di riduzione a loro attribuito. Mentre per il contributo unificato introduttivo la speranza è di una sua riduzione/rimodulazione da parte dello stesso legislatore, anche a fronte delle future misure di certo non pro contenzioso che si vogliono inserire. O dell’intervento della Corte costituzionale, alla luce dei diritti individuali di difesa e di giusto processo. 186 rivista trimestrale degli appalti Dall’altro, sul fronte dell’interesse pubblico, pare presentarsi uno Stato che non dà l’idea di ritenere il giudizio amministrativo quale luogo fondamentale ed irrinunciabile di tutela anche degli interessi pubblici di settore (e forse non l’ha mai ritenuto, pur non facendolo intendere in modo così esplicito come in questi ultimi anni). Per complicare il tutto, non è però detto che questa visione non possa cambiare, ad esempio a fronte di una rivisitazione del dogma della giurisdizione di tipo soggettivo, così come sollecitata di recente dalla dottrina19. Certo è che l’affaire del contributo unificato si presta a diverse letture, che solo se considerate nel loro insieme spiegano il fortissimo interesse che il tema ha suscitato in questi anni, tra le imprese, gli avvocati preoccupati di non lavorare più ma anche ingenui, i magistrati e la dottrina. Luigi Gili (19) S.Giachetti, E se la corruzione nella pubblica amministrazione dipendesse proprio dalla Costituzione e dalla distorta applicazione dei suoi principi fondamentali? Il processo amministrativo visto dal di dentro, in www.lexitalia.it, n. 12, 2015, secondo cui “È comunque una palese assurdità che la tutela imparziale dell’interesse pubblico alla giustizia nell’amministrazione sia rimesso all’iniziativa – necessariamente parziale – dei privati”. LEGGI E CIRCOLARI Legge regionale Sicilia, 10 luglio 2015, n. 14. Modificazioni all’art. 19 della legge regionale Sicilia 12 luglio 2011, n. 12 (G.U.R.Sic. 17 luglio 2015, n. 29, suppl. ord. n. 1) (Omissis) Capo III Misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali Art. 33 Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale 1. Al r.d. 16 marzo 1942, n. 267 sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’art. 67, comma 3, sono apportate le seguenti modificazioni: (( 01) alla lett. c, dopo le parole: «entro il terzo grado» sono aggiunte le seguenti: «, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio»; )) 1) la lett. d è sostituita dalla seguente: «d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lett. a e b deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399, cod. civ. e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore;»; 2) alla lett. e: dopo le parole «dell’art. 182 bis «sono aggiunte le seguenti: «, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’art. 161;»; (( a bis) all’art. 69 bis sono apportate le seguenti modificazioni: 1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Decadenza dall’azione e computo dei termini»; 2) è aggiunto, in fine, il seguente comma: 188 rivista trimestrale degli appalti «Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli artt. 64, 65, 67, commi 1 e 2, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese»; a ter) all’art. 72, comma 8, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività di impresa dell’acquirente»; )) b) all’art. 161 sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al comma 2, dopo la lett. d), è aggiunta la seguente: «e) un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta.»; 2) al comma 3 sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo la parola «professionista» sono aggiunte le seguenti: «, designato dal debitore,»; b) dopo il primo periodo è aggiunto, in fine, il seguente: «Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano.»; 3) al comma 5, dopo le parole «pubblico ministero» sono aggiunte le seguenti: «ed è pubblicata, a cura del cancelliere, nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria»; (( 4) dopo il comma 5 sono aggiunti i seguenti: «L’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni. Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’art. 182 bis, comma 1. In mancanza, si applica l’art. 162, commi 2 e 3. Dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’art. 163 il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni. Nello stesso periodo e a decorrere dallo stesso termine il debitore può altresì compiere gli atti di ordinaria amministrazione. I crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai sensi dell’art. 111.»; Con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo, il tribunale dispone gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa, che il debitore deve assolvere sino alla scadenza del termine fissato. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’art. 162, commi 2 e 3. La domanda di cui al sesto comma è inammissibile quando il debitore, nei due anni precedenti, ha presentato altra domanda ai sensi del medesimo comma alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Fermo restando quanto disposto dall’art. 22, comma 1, quando pende il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine di cui al sesto comma del presente art. è di sessanta giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni»; )) c) all’art. 168 sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al comma 1 sono apportate le seguenti modificazioni: a) le parole «presentazione del ricorso» sono sostituite dalle seguenti: leggi e circolari 189 «pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese»; b) dopo la parola «esecutive» sono aggiunte le seguenti: «e cautelari»; c) dopo le parole «creditori per titolo o causa anteriore» (( le parole: «al decreto» sono soppresse )); 2) al comma 3 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato.»; d) (( nel titolo III, capo II, )) dopo l’art. 169 è aggiunto il seguente articolo: «Art. 169 bis (Contratti in corso di esecuzione). – Il debitore nel ricorso di cui all’art. 161 può chiedere che il Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta. In tali casi, il contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato. Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in esso contenuta. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato nonché ai contratti di cui agli artt. 72, comma 8, (( 72 ter )) e 80 comma 1.»; (( d bis) all’art. 178 sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «È altresì inserita l’indicazione nominativa dei creditori che non hanno esercitato il voto e dell’ammontare dei loro crediti»; 2) al comma 3, le parole: «senza bisogno di avviso» sono sostituite dalle seguenti: «dandone comunicazione»; 3) il comma 4 è sostituito dal seguente: «I creditori che non hanno esercitato il voto possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma o per lettera o per telefax o per posta elettronica nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale. In mancanza, si ritengono consenzienti e come tali sono considerati ai fini del computo della maggioranza dei crediti. Le manifestazioni di dissenso e gli assensi, anche presunti a norma del presente comma, sono annotati dal cancelliere in calce al verbale»; d ter) all’art. 179 è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Quando il commissario giudiziario rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’art. 180 per modificare il voto»; d quater) all’art. 180, quarto comma, la parola: «contesta» è sostituita dalle seguenti: «ovvero, nell’ipotesi di mancata formazione delle classi, i creditori dissenzienti che rappresentano il 20 per cento dei crediti ammessi al voto, contestano» )); e) all’art. 182 bis sono apportate le seguenti modificazioni: 1) il comma 1 è sostituito dal seguente: «L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’art. 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, 190 rivista trimestrale degli appalti lett. d sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei (( nel rispetto )) dei seguenti termini: a) entro (( centoventi )) giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data; b) entro (( centoventi )) giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.»; 2) al comma 3, primo periodo, dopo la parole «patrimonio del debitore», sono aggiunte le seguenti: «, né acquisire titoli di prelazione se non concordati»; 3) al comma 6, primo periodo, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole «all’art. 161, commi 1 e 2» sono aggiunte le seguenti: «lettere a, b, c e d»; b) le parole «il regolare» sono sostituite dalle seguenti: «l’integrale»; 4) al comma 7, secondo periodo, le parole «il regolare» sono sostituite dalle seguenti: «l’integrale»; 5) il comma 8 è sostituito dal seguente: «A seguito del deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma. Se nel medesimo termine è depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di cui ai commi 6 e 7.»; (( e bis) all’art. 182 quater sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al comma 1, le parole: «da banche e intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli artt. 106 e 107, d.lgs. 1º settembre 1993, n. 385,» sono soppresse; 2) il comma 2 è sostituito dal seguente: «Sono parificati ai crediti di cui al primo comma i crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’art. 160 o dall’accordo di ristrutturazione e purché la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato»; 3) il comma 3 è sostituito dal seguente: «In deroga agli artt. 2467 e 2497 quinquies, cod. civ., commi 1 e 2 del presente articolo si applicano anche ai finanziamenti effettuati dai soci fino alla concorrenza dell’80 per cento del loro ammontare. Si applicano i commi primo e secondo quando il finanziatore ha acquisito la qualità di socio in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo»; 4) il comma 4 è abrogato; 5) al comma 5, le parole: «ai commi secondo, terzo e quarto, i creditori» sono sostituite dalle seguenti: «al secondo comma, i creditori, anche se soci,» )); f) dopo l’art. 182 quater sono aggiunti i seguenti articoli: «Art. 182 quinquies (Disposizioni in tema di finanziamento e di continuità aziendale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti). – Il debitore che presenta, anche ai sensi dell’art. 161 comma 6, una domanda di ammissione al concordato preventivo o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182 leggi e circolari 191 bis, comma 1, o una proposta di accordo ai sensi dell’art. 182 bis, comma 6, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell’art. 111, se un professionista designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d, verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell’impresa sino all’omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori. L’autorizzazione di cui al primo comma può riguardare anche finanziamenti individuati soltanto per tipologia ed entità, e non ancora oggetto di trattative. Il tribunale può autorizzare il debitore a concedere pegno o ipoteca a garanzia dei medesimi finanziamenti. Il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell’art. 161, comma 6, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. L’attestazione del professionista non è necessaria per pagamenti effettuati fino a concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori. Il debitore che presenta una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182 bis, comma 1, o una proposta di accordo ai sensi dell’art. 182 bis, comma 1, può chiedere al Tribunale di essere autorizzato, in presenza dei presupposti di cui al comma 4, a pagare crediti anche anteriori per prestazioni di beni o servizi. In tal caso i pagamenti effettuati non sono soggetti all’azione revocatoria di cui all’art. 67. Art. 182 sexies (Riduzione o perdita del capitale della società in crisi). – Dalla data del deposito della domanda per l’ammissione al concordato preventivo, anche a norma dell’art. 161, comma 6, della domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all’omologazione non si applicano gli artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482 bis, commi 4, 5 e 6, e 2482 ter, cod. civ. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, n. 4, e 2545 duodecies, cod. civ.. Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l’applicazione dell’art. 2486, cod. civ.»; g) all’art. 184, comma 1, primo periodo, le parole «al decreto di apertura della procedura di concordato» sono sostituite dalle seguenti: «alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’art. 161»; h) (( nel titolo III, capo VI, )) dopo l’art. 186 è aggiunto il seguente articolo: « (( Art. 186 bis )) (Concordato con continuità aziendale). Quando il piano di concordato di cui all’art. 161, secondo comma, lett. e) prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo. Il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa. Nei casi previsti dal presente articolo: a) il piano di cui all’art. 161, comma 2, lett. e, deve contenere anche 192 rivista trimestrale degli appalti un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura; b) la relazione del professionista di cui all’art. 161, comma 3, deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori; c) (( il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’art. 160, comma 2, una moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto. )) Fermo quanto previsto nell’art. 169 bis, i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura. Sono inefficaci eventuali patti contrari. L’ammissione al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all’art. 67 ha attestato la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento. Di tale continuazione può beneficiare, in presenza dei requisiti di legge, anche la società cessionaria o conferitaria d’azienda o di rami d’azienda cui i contratti siano trasferiti. Il giudice delegato, all’atto della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni. L’ammissione al concordato preventivo non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici, quando l’impresa presenta in gara: a) una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, (( comma 3, lett. d, )) che attesta la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto; b) la dichiarazione di altro operatore in possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica, economica nonché di certificazione, richiesti per l’affidamento dell’appalto, il quale si è impegnato nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all’appalto. Si applica l’art. 49, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 Fermo quanto previsto dal comma precedente, l’impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale. In tal caso la dichiarazione di cui (( al comma 4 )), lett. b, può provenire anche da un operatore facente parte del raggruppamento. Se nel corso di una procedura iniziata ai sensi del presente articolo l’esercizio dell’attività d’impresa cessa o risulta manifestamente (( dannoso )) per i creditori, il tribunale provvede ai sensi dell’art. 173. Resta salva la facoltà del debitore di modificare la proposta di concordato.»; i) la rubrica del capo terzo del titolo sesto è sostituita dalla seguente: «Capo III. – Disposizioni applicabili nel caso di concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani attestati e liquidazione coatta amministrativa»; leggi e circolari 193 l) dopo l’art. 236 è inserito il seguente: «Art. 236 bis (Falso in attestazioni e relazioni). – Il professionista che nelle relazioni o attestazioni di cui agli artt. 67, comma 3, lett. d, 161, comma 3, 182 bis, 182 quinquies e 186 bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro. Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata. Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà». (( l bis) all’art. 217 bis, comma 1, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice a norma dell’art. 182 quinquies». )) 2. All’art. 38, comma 1, lett. a), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 dopo le parole «concordato preventivo» sono aggiunte le seguenti: «, salvo il caso di cui all’art. 186 bis del r.d. 16 marzo 1942, n. 267». (Omissis) Crisi di impresa e contratti pubblici. Il favor normativo per la continuità aziendale Sommario: 1. Premessa. – 2. La nuova disciplina normativa del concordato preventivo con continuità aziendale. – 3. Il concordato con continuità aziendale nelle procedure di gara ad evidenza pubblica – 3.1. Segue: il regime di qualificazione delle imprese. – 4. La prosecuzione dei contratti con la pubblica amministrazione. – 5. Il trasferimento di azienda nel mercato dei contratti pubblici. – 6. Il concordato preventivo cosiddetto “in bianco”: verso un concordato preventivo “ordinario” o “in continuità aziendale”? 1. Premessa. – Le ricorrenti crisi di impresa che investono la realtà economica del nostro Paese, non sopiscono l’interesse e la necessità di fare chiarezza sulle recenti riforme riguardanti gli strumenti di soluzione delle crisi aziendali. Ciò soprattutto quando siano coinvolti contratti pubblici capaci di dare, secondo un approccio keynesiano, un forte contributo alla crescita economica, mirando, al contempo, alla soddisfazione dell’interesse pubblico sotteso. Diviene perciò fondamentale verificare le condizioni e i limiti di partecipazione delle imprese, che si trovano in situazione di crisi, alle procedure di gara ad evidenza pubblica. A tal proposito è ancora recente la riforma operata dall’art. 33, commi 1 e 2, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni in l. 7 agosto 2012 n. 134 (cosiddetto decreto sviluppo) che, da un lato, ha introdotto l’istituto del cosiddetto “concordato con continuità aziendale” e, dall’altro, modificato l’art. 38, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 163 del 2006 successive modifiche integrative (Codice dei contratti pubblici). Ai sensi dell’art. 38, Codice dei contratti pubblici è vietata la partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, servizi e forniture, l’affidamento di subappalti e la 194 rivista trimestrale degli appalti stipula dei relativi contratti ai soggetti «(…) che si trovino in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’art. 186 bis, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 [id. est. il concordato con continuità aziendale], o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni» (1). La norma sancisce, così, esplicitamente alcune cause di assenza di legittimazione, che incidendo sull’autonomia privata delle imprese e limitando la libertà di concorrenza, nonché il principio di massima partecipazione, sono da considerarsi tassative e non integrabili dalla pubblica amministrazione in sede di predisposizione del bando di gara (2). (1) La giurisprudenza prevalente ritiene che il procedimento sia da considerarsi “in corso” quando vi è stato il provvedimento di ammissibilità dell’organo competente, allorché «(...) una diversa opinione, la quale reputasse bastevole la presentazione di istanza da parte di un preteso creditore, esporrebbe irragionevolmente i soggetti che aspirino alla partecipazione ad una gara di appalto al rischio di istanze strumentali incentivate da imprese concorrenti», così Cons. St., Sez. VI, 8 giugno 1999, n. 516, che conferma TAR, Calabria, Reggio Calabria, 24 aprile 1997, n. 199. Si richiede, allora, un pronunciamento quanto meno istruttorio dell’autorità giudiziaria che accerti positivamente la non manifesta infondatezza dell’iniziativa del creditore. A diverse conclusioni si potrebbe forse addivenire qualora l’istanza provenga dallo stesso imprenditore partecipante alla gara pubblica. Ma sul punto, l’ex AVCP (ora ANAC) con delibera del 28 luglio 2004, n. 144 si espresse nel senso che «La SOA può rinnovare l’attestazione ad un’impresa qualificata che abbia presentato istanza di ammissione a concordato preventivo, atteso che la procedura concorsuale de qua non può ritenersi formalmente aperta con il deposito del ricorso per l’ammissione all’indicata procedura, ma solo con l’emissione del decreto del Tribunale che dichiara l’ammissibilità della domanda». (2) Si richiama, in proposito, l’art. 46, comma 1-bis, Codice (aggiunto dall’art. 4, comma 2, lett. d, l. n. 106 del 2011) che introduce, in omaggio al principio del favor partecipationis, il principio della tassatività delle clausole di esclusione. Sulla base di esso «La stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti, nonché nei casi di incertezza assoluta sul contenuto o sulla provenienza dell’offerta, per difetto di sottoscrizione o di altri elementi essenziali ovvero in caso di non integrità del plico contenente l’offerta o la domanda di partecipazione o altre irregolarità relative alla chiusura dei plichi, tali da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte»; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione, le quali sono comunque nulle. Secondo il giudice amministrativo, TAR, Lazio, Roma, 19 febbraio 2013, n. 1828, «Con la disposizione sopra riprodotta il legislatore ha inteso rimettere alla sola fonte normativa la competenza ad individuare cause di non ammissione a procedure di gara, residuando in capo alle stazioni appaltanti, un’attività di stretta interpretazione di siffatte ipotesi, o comunque di mera ricognizione delle medesime; di tanto vi è conferma proprio nell’ultima parte della disposizione citata che vieta espressamente l’introduzione di ulteriori cause di esclusione da parte della lex specialis, tale evenienza essendo stata sanzionata con la nullità radicale, tale cioè da non esigere nemmeno un’espressa impugnazione, come risulta dal ricorso all’espressione “comunque”». La disposizione normativa finisce così per contenere il potere discrezionale dell’amministrazione nella redazione della legge leggi e circolari 195 Di converso è possibile vedere come nel novero delle cause testé elencate non siano ricompresi gli istituti della liquidazione ordinaria, dell’amministrazione straordinaria (v. d.lgs. n. 270 del 1999), gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall.) e agli accordi stragiudiziali volti al risanamento industriale (ex art. 67, comma 3, lett. d, l. fall.). La ratio della disciplina è da ricercarsi nella diversa finalità sottesa a questi ultimi istituti. Si osserva, infatti, come l’esclusione dalle gare d’appalto degli imprenditori in stato di fallimento o sottoposti ad altra procedura concorsuale risponda all’esigenza di garantire l’affidabilità economica dell’esecutore contrattuale dell’amministrazione (3). Non si può negare che in dette procedure, presupponenti uno stato d’insolvenza irreversibile (cfr. art. 5, l. fall.) e, pertanto, meramente liquidatorie, l’impresa non sia in grado di assicurare l’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali assunte. L’operatore economico, detto diversamente, si trova in uno stato di impotenza economica funzionale, e non transitoria, per la quale non è più in grado di far fronte regolarmente e con mezzi normali alle proprie obbligazioni per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla propria attività. Diverse sono, invece, le finalità sottese al concordato in continuità aziendale e alle altre procedure più sopra menzionate, seppure non espressamente richiamate dal testo normativo, che consentono, all’opposto, la conservazione (talvolta parziale) dell’impresa (4). Soffermando l’attenzione, per quanto qui di interesse, sul concordato con continuità aziendale (ex art. 186 bis) si ricorda che esso ricorre quando nel piano di concordato ex art. 161, comma 2, lett. e, l. fall. sia espressamente prevista la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore ovvero la cessione dell’azienda in esercizio o ancora il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società anche di nuova costituzione, e a condizione che tale prosecuzione sia «funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori». di gara limitando «(…) le numerose esclusioni che avvengono sulla base di elementi formali e non sostanziali, con l’obiettivo di assicurare il rispetto del principio della concorrenza e di ridurre il contenzioso in materia di affidamento dei contratti pubblici» come si legge nella Relazione illustrativa al d.l. n. 70 del 2011. Per approfondimenti sull’istituto si rinvia in dottrina a B. Gilberti, La tassatività delle clausole di esclusione l’art. 46 comma I bis d.lg. 16 aprile 2006 n. 163: bilancio di una riforma, in Foro amm. – TAR, 2013, fasc. 3, p. 1057 ss; D. Galli, C. Guccione, La recente giurisprudenza sui contratti della pubblica amministrazione, in Giornale di diritto amministrativo, 2012, fasc. 8-9, p. 857 ss. V., inoltre, tra le altre, le seguenti pronunce del giudice amministrativo: Cons. St., Sez. III, 4 ottobre 2012, n. 5203; Cons. St., Sez. IV, 12 giugno 2009, n. 3696; Cons. St., Sez. IV, 21 agosto 2002, n. 4268. (3) Cfr. Cons. St., Sez. VI, 16 maggio 2013, n. 2661. (4) V. determinazione AVCP, 12 gennaio 2010, n. 1. 196 rivista trimestrale degli appalti Nel nuovo concordato, a ben vedere, la continuità aziendale rappresenta, in primis, una modalità operativa di esecuzione del piano, atta a generare la liquidità necessaria al pagamento dei creditori pregressi, secondo le percentuali promesse, con possibilità di reinvestimento dell’eccedenza nell’impresa. Per questa ragione, non si può ritenere che il legislatore abbia voluto dar vita ad un nuovo tipo di concordato. La riforma ha inteso, piuttosto, attribuire autonoma disciplina all’istituto, nel senso di individuare un insieme di norme, all’interno della più generale matrice disciplinare, che si applicano al ricorrere della fattispecie “con continuità aziendale” (5). Ciò con l’obiettivo di distinguere in maniera netta le procedure che mirano alla liquidazione dell’attività di impresa da quelle che, invece, sono dirette a favorire la prosecuzione dell’attività aziendale allorché l’operatore economico si trovi in una situazione di crisi (6) e purché finalizzata al miglior soddisfacimento dei creditori. Preso atto delle finalità perseguite con il nuovo istituto, diviene chiaro che il legislatore non poteva che prevedere una eccezione alle cause di esclusione, che ovviamente confliggono con l’obiettivo della continuazione dell’attività imprenditoriale. É bene comunque chiarire che solo nel caso in cui la prosecuzione dell’attività di impresa prevista dal piano sia funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (v. art. 186 bis, comma 2, lett. b, la società ricorrente potrà (meglio, dovrà) soggiacere alla speciale disciplina di cui agli artt. 186 bis l. fall. e 182 quinquies, l. fall., che prevedono una serie di oneri aggiuntivi per l’imprenditore che predispone il piano, ma anche importanti benefici, finalizzati a facilitare il salvataggio del complesso aziendale, della sua struttura organizzativa, produttiva e commerciale. (5) V. Pettirossi, Il concordato preventivo: della fattispecie con continuità aziendale, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2015, fasc. 2; Trib. Bolzano, Sez. fall., 10 marzo 2015. (6) Sul rapporto di genus a species che intercorre tra “stato di crisi” ed “stato di insolvenza” si veda l’art. 160, comma 3, l. fall., ove in riferimento alla disciplina sul concordato preventivo si legge «(...) per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza», risultando cioè l’insolvenza ricompresa nel più vasto concetto di crisi. Con la conseguenza che lo “stato di crisi” può ricorrere tanto nella situazione di stato di insolvenza dell’imprenditore quanto nelle diverse situazioni di difficoltà finanziaria, non necessariamente prodromiche allo stato di insolvenza; e in questo senso «Lo “stato di crisi” (...) in assenza di una definizione normativa specifica, va inteso come sinonimo di insolvenza, comprensivo sia l’insolvenza reversibile (temporanea difficoltà ad adempiere) sia quella irreversibile di cui all’art. 5, l. fall.», così Trib. Sulmona, 19 gennaio 2006. Ciò posto, è bene chiarire che presupposto di ammissione alla novellata procedura di cui all’art. 186 bis, l. fall. è tanto lo stato di crisi quanto quello di insolvenza. Tuttavia sembra difficile che detta procedura possa trova applicazione nel caso in cui l’imprenditore si trovi già in uno stato di crisi irreversibile, vale a dire di insolvenza patrimoniale. leggi e circolari 197 Se le intenzioni del legislatore appaiono chiare, l’applicazione pratica delle nuove disposizioni non può dirsi invece priva di rilievi e di dubbi interpretativi, come si cercherà di evidenziare nel proseguo del presente lavoro. A ciò si aggiunga che nel quadro normativo venutosi a creare a seguito delle modifiche alla legge fallimentare, ha trovato spazio anche un altro istituto, il cosiddetto concordato in bianco, che a sua volta introduce ulteriori questioni in merito alla compatibilità con i contratti pubblici (v. infra). Per queste ragioni sarà fondamentale la qualificazione del tipo di procedura, che il tribunale sarà chiamato ad operare già in sede di ammissione al concordato. 2. – La nuova disciplina normativa del concordato preventivo con continuità aziendale. – Premesso che un’analisi dettagliata ed esaustiva della procedura concordataria trascende la portata di questo contributo, si intende, qui di seguito, dar brevemente conto di quelle disposizioni normative che riconoscono benefici all’imprenditore che ricorra alla continuità aziendale, piuttosto che alla sua liquidazione (7). Si può, allora, di certo ricordare come il concordato liquidatorio (o con cessio bonorum), che ricorre quando esso «consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente» trova la propria disciplina, per la esecuzione del piano concordatario, nell’art. 182, l. fall., che prevede la nomina di un liquidatore e di un comitato dei creditori, il ricorso agli artt. 105-108 ter che disciplinano la vendita dei beni, in quanto compatibili, nonché l’obbligo di relazione semestrale da parte del liquidatore giudiziale da inviare al commissario giudiziale, che la inoltrerà ai creditori (8). Di converso, il concordato con continuità aziendale basato, come detto, sulla prosecuzione dell’attività di impresa e disciplinato dagli (7) Per approfondimenti sull’ambito di applicazione della nuova disciplina di cui all’art. 186 bis, l. fall. v., tra gli altri, i seguenti contributi: S. Ambrosini, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in Crisi di impresa e fallimento, 4 agosto 2013; V. Pettirossi, Il concordato preventivo: della fattispecie con continuità aziendale, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, fasc. 2, 2015; A. Lolli, Il concordato con continuità aziendale mediante l’intervento di terzi nel processo di risanamento: alcune considerazioni, in Contratto e impresa, fasc. 4-5, 2013. (8) A maggior tutela del ceto creditorio, il d.l. n. 135 del 2015 consente la presentazione anche di offerte alternative a quelle previste nel piano presentato dall’imprenditore. Ciò posto, è bene chiarire che presupposto di ammissione alla novellata procedura di cui all’art. 186 bis, l. fall. è tanto lo stato di crisi quanto quello di insolvenza. Tuttavia sembra difficile che detta procedura possa trova applicazione nel caso in cui l’imprenditore si trovi già in uno stato di crisi irreversibile, vale a dire di insolvenza patrimoniale. 198 rivista trimestrale degli appalti artt. 186 bis e 182 quinquies, l. fall., non prevede organi specifici nella fase esecutiva della procedura (id. est. liquidatore giudiziale e comitato dei creditori) e, pertanto, pare comportare un minor aggravio economico e una maggiore snellezza nella fase esecutiva della procedura, che pure viene svolta sotto il controllo del commissario giudiziale. Di non minore importanza è, poi, la facoltà di pagamento, previa autorizzazione del Tribunale, e a determinate condizioni, dei crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi, se un professionista indipendente attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori (art. 182 quinquies, comma 4, l. fall.). A cui si aggiunge la moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti su cui sussiste la prelazione (art. 186 bis, comma 2, lett. c). Per quanto però di interesse ai nostri fini, preme ricordare le disposizioni che disciplinano la continuazione dei contratti stipulati con pubbliche amministrazioni nonché la facoltà per l’impresa di partecipazione a gare ad evidenza pubblica, e che saranno oggetto di approfondimento nei prossimi paragrafi. A fronte di questi indubbi benefici, è inutile nascondere che la continuità aziendale si espone, come comprensibile, al rischio che si accumulino costi prededucibili, che, in quanto non assoggettabili alla regola della par condicio creditorum, potrebbero potenzialmente aggravare lo stato di crisi dell’imprenditore con evidente maggior danno per i creditori, i cui crediti si sono cristallizzati con il deposito della domanda di concordato e che soggiacciono alla regola generale contenuta nell’art. 2741, cod. civ. Per tale ragione vengono imposti dall’art. 186 bis, l. fall. una serie di adempimenti all’impresa che decide di ricorrere all’istituto in parola, come ora si avrà modo di vedere. 3. Il concordato con continuità aziendale nelle procedure di gara ad evidenza pubblica – Il legislatore ha introdotto, all’art. 186 bis, l. fall., l’istituto del “concordato preventivo con continuità aziendale” e disciplinato i suoi significativi effetti sui contratti pubblici, sia in ordine alla loro prosecuzione che alla possibilità dell’impresa di partecipare a procedure di gara ad evidenza pubblica. Ponendo in primis l’attenzione sulla fase pubblicistica di partecipazione alla gara, occorre rilevare che la norma introduce una distinzione tra le imprese che abbiano presentato domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale e non abbiano ancora ottenuto il decreto di ammissione e le imprese che, invece, risultino già ammesse a detta procedura. La domanda di ammissione al concordato si presenta con ricorso leggi e circolari 199 al Tribunale del luogo ove l’impresa ha la sua sede principale e, ai sensi dell’art. 186 bis, l. fall., deve includere: a) il piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta avanzata ai creditori per la soluzione della crisi (ex art. 161, comma 2, lett. e nonché un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa prevista nel piano, delle risorse necessarie e delle relative modalità di copertura; b) la relazione del professionista indipendente designato dal debitore che attesti non solo la veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano, ma anche che la prosecuzione dell’attività di impresa è funzionale al «miglior soddisfacimento dei creditori», vale a dire che il salvataggio del valore dell’impresa deve costituire la migliore soluzione possibile rispetto alle altre alternative percorribili. Per completezza, si precisa che il debitore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 161, l. fall., anche una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’impresa; uno stato analitico ed estimativo delle attività ed un elenco nominativo dei creditori, con indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione; l’elenco dei titolari dei diritti reali e personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; e infine, il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. Dalla presentazione della domanda di concordato, il legislatore fa discendere importanti effetti non solo di carattere conservativo (i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali, le prescrizioni rimangono sospese, le decadenze non si verificano e i creditori non possono acquisire diritti di prelazione) ma anche legati, per quanto qui di interesse, alla partecipazione alle procedure di affidamento di commesse pubbliche. Sul punto si osserva come, di recente, l’alto consesso amministrativo, rivedendo sue precedenti pronunce sul punto (9), abbia escluso il possesso dei requisiti di cui all’art. 38 in capo all’impresa nel periodo intercorrente tra il deposito della relativa istanza di ricorso e il decreto del tribunale conclusivo del procedimento di ammissione, e così precluso all’impresa di partecipare alla gara. Tale previsione discenderebbe da una attenta analisi del dato letterale del testo normativo, allorché osserva il giudice «(…) l’inciso “salvo il caso di cui all’art 186 bis” fa seguito all’elencazione dei soggetti esclusi in quanto “si trovano in stato (...) di concordato preventivo”, quindi si riferisce al soggetto che “si trova” nello stato di (9) Cfr. Cons. St., Sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6272, il quale giunge ad ammettere l’impresa alla procedura di gara per affidamento dei pubblici contratti nelle more tra il deposito della domanda e l’ammissione al concordato sulla base di una interpretazione teleologica della legge fallimentare riformata dal d.l. n. 83 del 2012, convertito in l. n. 134 del 2012. 200 rivista trimestrale degli appalti concordato preventivo con continuità aziendale, cioè nei cui confronti il tribunale abbia dichiarato detto stato ai sensi dell’art. 163, l. fall.; lo stesso inciso è conchiuso, precede ed è separato con virgola dalla successiva dizione “o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”, cioè degli ulteriori soggetti esclusi, tra i quali, dunque, rientra l’impresa nei cui riguardi sia in corso il procedimento per l’anzidetta dichiarazione. Vale a dire che, diversamente (…) la norma sarebbe stata formulata ponendo l’inciso derogatorio al termine della disposizione, mentre, poiché la disgiuntiva “o” è collocata dopo ed al di fuori della deroga, la deroga stessa non comprende l’ipotesi in cui sia pendente la procedura per l’ammissione al concordato con continuità aziendale» (10). Detta interpretazione, continua il giudice, si rivela rispettosa dei principi fondamentali che guidano l’azione amministrativa nel mercato dei contratti pubblici e consente di tutelare l’interesse pubblico sotteso alla procedura di gara, inibendo alla stazione appaltante di ammettere a gara e di affidare l’appalto ad un soggetto di cui sia ancora dubbia l’idoneità ad eseguire il contratto per aver solo inoltrato un’istanza della quale sia incerto l’esito positivo, ben potendo quell’istanza dar luogo al provvedimento dichiarativo dell’inammissibilità della proposta concordataria previsto dall’art. 162, l. fall. (11). A ben vedere, tuttavia, il recente intervento normativo, che ha portato all’introduzione del comma 4, art. 186 bis, si inserisce nel solco di un orientamento volto a preservare la capacità dell’impresa a soddisfare al meglio i creditori attraverso l’acquisizione di nuovi appalti, senza con ciò rinunciare a quelle tutele necessarie a salvaguardare l’interesse pubblico e l’impiego di denaro pubblico. Dispone, infatti, il suddetto comma che «Successivamente al deposito del ricorso, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato; in mancanza di tale nomina, provvede il tribunale». L’organo giurisdizionale è pertanto chiamato ad effettuare un controllo anche sostanziale sulla funzionalità della partecipazione alla gara alla prosecuzione della attività aziendale e alla miglior soddisfazione del ceto creditorio (12). (10) Cons. St., Sez. III, 14 gennaio 2014, n. 101, che conferma TAR, Valle D’Aosta, Aosta, Sez. I, 18 aprile 2013, n. 23. (11) Osserva altresì il Cons. St., Sez. III, 14 gennaio 2014, n. 101, che se si accedesse alla tesi dell’effetto escludente dalla gara non al momento della presentazione dell’istanza ex art. 161, l. fall., bensì a quello della non ammissione ex successivo art. 162, non v’è dubbio che si verrebbe a creare una situazione di incertezza ed indeterminatezza anche temporale della gara stessa, soprattutto se il finanziamento degli appalti risulti condizionato dal rispetto di termini perentori per la conclusione delle procedure e l’esecuzione degli appalti stessi. (12) Sui limiti del sindacato giurisdizionale cfr. Cass., Sez. un., 23 gennaio leggi e circolari 201 In definitiva, la norma pone in primo piano i valori di rilievo costituzionale, connessi alla libera iniziativa economica e alla libera concorrenza di cui agli artt. 41 e 117, Cost., evitando che imprese che versino in un mero stato di crisi (per di più, autodichiarato!) escano dal mercato con danno per l’economia generale. Alle imprese che, invece, hanno già ottenuto il decreto di ammissione, la norma consente la partecipazione alla procedura di affidamento purché, in sede di gara, presentino la relazione di un professionista indipendente, che attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto, e facciano ricorso all’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 49, Codice dei contratti pubblici. In quest’ultimo caso dovrà essere presentata la dichiarazione di altro operatore, in possesso dei requisiti di ordine generale e speciale (adeguata capacità economico-finanziaria e idoneità tecnica e organizzativa) richiesti per l’affidamento dell’appalto, il quale si impegni nei confronti del concorrente e della stazione appaltante a mettere a disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata nel caso in cui questa fallisca nel corso della gara ovvero dopo la stipulazione del contratto, ovvero non sia per qualsiasi ragione più in grado di dare regolare esecuzione all’appalto. All’impresa in concordato è consentito partecipare alla gara in raggruppamento temporaneo di imprese, purché la stessa non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano assoggettate ad una procedura concorsuale (13). In tal caso, la dichiarazione richiesta per l’avvalimento può 2013, n. 1521; Trib. Reggio Emilia, Sez. fall., 21 ottobre 2014, n. 38683. (13) È stato osservato come la disposizione ora richiamata introduce, di fatto, un diverso trattamento rispetto all’impresa già mandataria di un R.T.I. che entri in concordato nella fase di esecuzione del contratto pubblico, poiché «(...) la regola della prosecuzione di cui al terzo comma dovrebbe valere – e non si vede perché dovrebbe essere il contrario – anche per i contratti in corso di esecuzione da parte dell’ATI, e quindi il contratto dovrebbe poter proseguire con l’ATI, anche se la mandataria accede al concordato», G.P. Macagno, Continuità aziendale e contratti pubblici al tempo della crisi, in Il Fallimento, n. 6, 2014. A ciò si aggiunga la considerazione che l’ordinamento già disciplina per l’ipotesi di fallimento dell’impresa capogruppo di un r.t.i. in fase di esecuzione del contratto. L’art. 37, comma 18, Codice dei contratti pubblici prevede, infatti, che in caso di fallimento del mandatario la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall’appalto. Pertanto non è ben chiara la ratio della disciplina di cui alla legge fallimentare, posto che essa finisce per limitare l’ambito di operatività del concordato in continuità, sebbene esista una norma volta a superare tale possibile rischio. 202 rivista trimestrale degli appalti provenire anche da una delle imprese costituenti il raggruppamento. Trattasi, a ben vedere, di adempimenti aggiuntivi rispetto a quelli richiesti all’impresa che abbia solo provveduto al deposito del ricorso, per la quale, come visto, è sufficiente l’autorizzazione del tribunale. Questa apparente contraddizione pare potersi ritenere superata solo allorché all’impresa in questione, laddove aggiudicataria del contratto, sia richiesto di presentare la medesima documentazione, innanzi citata, per poter procedere alla stipula del relativo contratto (14). 3.1. (Segue): il regime di qualificazione delle imprese. – A completamento delle considerazioni sinora svolte in materia di partecipazione alle procedure di gara, è opportuno richiamare la questione dell’ottenimento (e mantenimento) della qualificazione SOA, presupposto indefettibile per partecipare alle gare di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro (cfr. art. 60, d.P.R. n. 207/2010), allorché sotto detta soglia è il committente ad accertare la qualificazione in ogni singolo affidamento. La certificazione viene rilasciata da soggetti terzi, SOA, al ricorrere dei requisiti di ordine generale (di cui agli artt. 38, comma 1, e 39, commi 1 e 2, Codice dei contratti pubblici, per espresso rinvio operato dall’art. 78, d.P.R. 207 del 2010), nonché di ordine speciale, tecnico-organizzativi ed economico-finanziari (v. art. 79, d.P.R. 207 del 2010), dimostrati mediante i certificati rilasciati alle imprese esecutrici dai committenti. Tali requisiti devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione delle offerte (nelle procedure aperte) o della domanda di partecipazione alla procedura di affidamento (nelle procedure ristrette), ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità (15). Tanto è vero che qualora gli stessi vengano meno o se ne accerti la carenza ab initio, sorge, in capo all’attestatore, l’obbligo di dichiarare la decadenza dell’attestazione di qualificazione (art. 40, commi 3 e 9 ter, Codice dei contratti pubblici). L’inosservanza dell’obbligo è sanzionato dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) con la decadenza dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di attestazione. È chiaro che questa disposizione debba essere letta alla luce delle considerazioni già svolte, in tema di partecipazione alla gara da parte dell’impresa che fa ricorso alle procedure concorsuali. (14) R. Mangani, Il concordato con continuità aziendale e i contratti pubblici: opportunità e problemi, in questa Rivista, n. 2015, 1, p. 167. (15) Cons. St., Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8; TAR, Campania, 1° settembre 2011, n. 4293; Cons. St., Sez. III, 14 gennaio 2014, n. 101. leggi e circolari 203 In via preliminare si osserva come le imprese coinvolte in un concordato preventivo ordinario si trovino nell’incapacità di conseguire l’attestazione, rientrando questo tipo di procedura, come visto, in una delle cause di assenza di legittimazione tipizzate dall’art. 38, Codice dei contratti pubblici. Analogamente, le imprese già in possesso dell’attestazione, saranno invece sottoposte ai procedimenti di decadenza dell’attestazione stessa per sopravvenuta perdita del requisito di carattere generale. Diversa è invece la sorte per le imprese che soggiaciono alla disciplina speciale di cui all’art. 186 bis, l. fall. L’ANAC (16) si è pronunciata nel senso di ritenere che la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo con le caratteristiche proprie del concordato con continuità aziendale non comporta la decadenza dell’attestazione di qualificazione; in tale ipotesi, la domanda di ammissione non costituisce, altresì, elemento ostativo ai fini della verifica triennale o del rinnovo (per le imprese attestate) o del conseguimento dell’attestazione di qualificazione (per le imprese non attestate). Un diverso orientamento si sarebbe, d’altronde, posto in stretta contraddizione con la previsione di cui comma 4 dell’art. 186 bis, che consente alle imprese di poter partecipare alle procedure di gara anche successivamente al deposito del ricorso, purché autorizzata dal tribunale. Resta comunque fermo l’obbligo in capo all’organismo di attestazione di monitorare lo svolgimento della procedura concorsuale in atto e di verificare il mantenimento del requisito con l’intervenuta ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, pena la decadenza dell’attestazione in caso di mancata ammissione per sopravvenuta perdita del requisito. Qualora invece vi sia l’ammissione al concordato con continuità aziendale, opera l’eccezione alle ordinarie cause di esclusione dalle gare. Con la conseguenza che da quel momento è consentita la dimostrazione del requisito di cui all’art. 38, comma 1, lett. a, Codice dei contratti pubblici, sia ai fini della partecipazione alle gare che dell’ottenimento della qualificazione (qualora già posseduta, essa è da considerarsi pienamente valida ed efficace). Peraltro, mentre ai fini della partecipazione alle gare, il legislatore richiede la presentazione, come visto, degli ulteriori elementi di garanzia indicati dall’art. 186 bis, comma 5, l. fall., ciò non è richiesto ai fini dell’ottenimento dell’attestazione SOA o della sua verifica triennale. Tali prescrizioni non risultano estensibili all’ambito della qualificazione, posto che la relazione del professionista e la dichiarazione dell’impresa ausiliaria operano solo in riferimento a specifici (16) Determinazione AVCP, 23 aprile 2014, n. 3. 204 rivista trimestrale degli appalti e ben definiti contratti. Al contrario la SOA viene rilasciata come “patente abilitante” per tutto il periodo di validità della stessa, e non sarebbe perciò prospettabile l’esibizione di dichiarazioni di garanzie indefinite in quanto non riferibili a contratti specifici, né valutazioni di capacità di adempimento svincolate da riferimenti a specifici appalti (17). 4. La prosecuzione dei contratti con la pubblica amministrazione. – Innanzitutto, occorre rilevare come l’art. 186 bis, comma 3, l. fall. sancisca la regola dell’automatica prosecuzione dei rapporti giuridici pendenti alla data di deposito del ricorso ex art. 161, l. fall., ivi inclusi quelli stipulati con la pubblica amministrazione, e sanzioni con l’inefficacia eventuali patti contrari. La previsione, facendo salvo quanto previsto dall’art. 169 bis l. fall., si atteggia quale effetto naturale di qualsivoglia species di concordato preventivo (18) poiché la norma consente al debitore di chiedere al tribunale o al giudice delegato (a seconda che sia nel fase del deposito del ricorso o dopo l’ammissione al concordato) l’autorizzazione a sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso o la sospensione degli stessi per un massimo di sessanta giorni, prorogabili una sola volta. L’accertamento del tribunale si risolve poi, in ragione della limitata estensione dello scrutinio di legittimità che gli è demandato, nella verifica della funzionalità dello scioglimento o della sospensione rispetto alla realizzazione del piano concordatario (quindi alla continuità aziendale e al miglior soddisfacimento della massa creditoria) e della previsione di un indennizzo in favore del contraente in bonis ai sensi dell’art. 169 bis, comma 2, l. fall. Se la previsione normativa non presenta elementi di novità per quanto riguarda la facoltà riconosciuta al debitore di sciogliersi da tutti quei contratti che non ritiene più funzionali alla prosecuzione dell’attività, lo stesso non può dirsi in merito alla inefficacia di eventuali clausole pattizie che impongano la risoluzione del contratto per effetto dell’apertura della procedura di concordato in continuità, posto che queste sono, invece, del tutto ammissibili in riferimento alle ordinarie forme di concordato. Ecco allora l’introduzione di un ulteriore regime di favore per l’impresa atto a garantire la prosecuzione di tutti i rapporti in corso di esecuzione anche contra eventuali norme pattizie. Aggiunge, poi, la norma che una volta che il debitore sia ammes(17) Determinazione AVCP, 23 aprile 2014, n. 3. (18) Cfr. G.P. Macagno, Continuità aziendale e contratti pubblici, cit.; L. Abete, Il pagamento dei debiti anteriori nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2013, p. 1110. leggi e circolari 205 so al concordato, la continuazione dei contratti pubblici è consentita solo se il professionista designato dallo stesso attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento. Tale previsione, se letta con attenzione, oltre ad operare una diversa prescrizione a seconda della fase in cui si trova il debitore, ovvero se pre-concordataria o successiva al decreto di ammissione alla procedura, pare anche attenta al negozio giuridico coinvolto. Merita, infatti, osservare che mentre il primo periodo del comma 3 dell’art. 186 bis, sancisce la prosecuzione di tutti «i contratti in corso di esecuzione (…) anche stipulati con pubbliche amministrazioni», il terzo periodo consente la continuazione dei (soli) «contratti pubblici» subordinatamente alla dichiarazione resa dal professionista indipendente. L’utilizzo di una differente terminologia nell’uno e nell’altro caso non può dirsi priva di pregio, posto che le due locuzioni non possono dirsi alternative tra loro. Si rammenta, infatti, che ai sensi dell’art. 3, comma 3, Codice dei contratti pubblici, i «“contratti pubblici” sono i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori». Invece, il richiamo ai «contratti stipulati con le pubbliche amministrazioni» è da intendersi ben più ampio, allorché comprensivo dei contratti attivi, mediante i quali il soggetto pubblico si procura entrate (vendite, locazioni, ecc.), e di ogni altro contratto di diritto privato. Questa considerazione porta a ritenere che il legislatore, dopo aver sancito la regola generale dell’”indifferenza” del deposito del ricorso sulle sorti di tutti i contratti in corso di esecuzione (compresi quelli stipulati con pubbliche amministrazioni) abbia individuato una disciplina particolare concernente i soli “contratti pubblici” di cui al d.lgs. n. 163 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni, consentendone la prosecuzione anche in seguito all’ammissione del debitore al concordato, ma solo subordinatamente dell’attestazione del professionista relativa alla conformità al piano e alla ragionevole capacità di adempimento (19). Il professionista è così chiamato ad esprimere il proprio giudizio di coerenza dello specifico contratto con il piano di concordato, allorché la natura pubblica dello stesso non può, e non deve, comunque andare a detrimento di quelle che sono le finalità sottese alla procedura, vale a dire la miglior soddisfazione dei creditori. Al contempo, (19) Così M. Palladino, I contratti pubblici nel concordato in continuità aziendale, in Giur. it., 2014, n. 12. 206 rivista trimestrale degli appalti è richiesta una verifica della capacità di adempimento del debitore in relazione alle obbligazioni contratte, così da salvaguardare il contraente pubblico e gli interessi perseguiti, a garanzia di efficienza dell’azione amministrativa e delle buona spesa del denaro pubblico. La prosecuzione dei contratti pubblici deve comunque altresì essere coordinata con i dettami del Codice dei contratti pubblici. In particolare, si richiama l’art. 140, Codice dei contratti pubblici che attribuisce alle stazioni appaltanti la facoltà di interpellare gli altri concorrenti collocati in graduatoria dopo l’originario aggiudicatario, al fine di stipulare un nuovo contratto, per i residui lavori, in una serie di casi, tra i quali è richiamato anche il concordato preventivo. In altre parole, il Codice attribuisce alla pubblica amministrazione la possibilità di indire una nuova procedura di gara (20) ovvero ricorrere allo scorrimento della graduatoria qualora il contraente privato si trovi in concordato preventivo al fine di stipulare un nuovo contratto. Ad una prima lettura la disposizione parrebbe doversi estendere anche al concordato in continuità aziendale, atteso che trattasi pur sempre di un concordato preventivo seppur soggetto ad una disciplina per taluni aspetti speciale. Facoltà che tuttavia osta con l’art. 186 bis che, come visto, promuove la continuazione dei contratti stipulati con la controparte pubblica. Tale contraddizione è senz’altro da imputare ad un mancato coordinamento tra le due discipline, allorché il legislatore non ha modificato l’articolo in questione al pari dell’art. 38, Codice dei contratti pubblici, da superarsi in via interpretativa tenendo conto della finalità sottesa alla novella legislativa. 5. Il trasferimento di azienda nel mercato dei contratti pubblici. – Si è già avuto modo di vedere come l’istituto del concordato preventivo in continuità aziendale di cui all’art. 186 bis ricorra quando nel piano di concordato sia prevista, appunto, la prosecuzione dell’attività di impresa che può essere garantita dallo stesso debitore (cosiddetta continuità diretta) oppure può essere attuata attraverso gli strumenti giuridici della cessione o del conferimento dell’azienda “in esercizio” in una o più società anche di nuova costituzione (cosiddetta continuità indiretta). La norma attribuisce rilievo ad uno spettro assai ampio di ipotesi, la cui manifestazione poteva dirsi solo in parte ricorrente prima della riforma, data l’ampia autonomia concessa al debitore nella formulazione della proposta di concordato ex art. 160 l. fall. Tanto è vero che la dottrina già si espresse in senso favorevole alla possibilità di proporre un concordato preventivo che avesse un mero (20) Cfr. TAR Reggio Calabria, Calabria, Sez. I, 14 dicembre 2010, n. 1594. leggi e circolari 207 effetto dilatorio, remissiorio o di ristrutturazione finanziaria ed industriale, ravvisando così la continuità aziendale esclusivamente nel caso di prosecuzione dell’attività da parte dell’imprenditore in crisi (21). Il trasferimento di azienda veniva trattato alla stregua di una cessio bonorum, cioè in prospettiva liquidatoria. Al contrario, la nuova disciplina di cui all’art. 186 bis trova applicazione alla continuità aziendale intesa sia in senso soggettivo che oggettivo, cioè sia a quelle ipotesi in cui l’imprenditore originario prosegue l’attività in proprio sia a quelle in cui esso procede alla cessione del complesso produttivo a un soggetto terzo, indipendentemente dalla forma che assume il trasferimento (22). L’ultimo periodo del primo comma dell’art. 186 bis include poi nell’istituto in esame anche il concordato misto, vale a dire quella procedura che accanto alla prosecuzione, diretta o indiretta, dell’attività ammette la liquidazione atomistica di beni non funzionali alla prosecuzione dell’attività (23). (21) M. Arato, Il concordato preventivo con continuazione dell’attività di impresa, in F. Bonelli (a cura di), Crisi d’imprese: casi e materiali, Milano, 2011, p. 140 ss. (22) Da qui l’utilizzo dell’espressione “azienda in esercizio” in riferimento ai casi di trasferimento della titolarità dell’impresa, così da escludere l’operazione da un’ottica liquidatoria. (23) Qualora ci si trovi al cospetto di un piano “misto”, che accanto alla prosecuzione dell’attività di impresa contempla anche la dismissione di taluni beni non funzionali, al fine di individuare la disciplina applicabile (art. 182 oppure 186 bis, l. fall.) occorre fare applicazione della cosiddetta teoria dell’assorbimento o della prevalenza, secondo la quale nel caso «(...) di contratto misto, la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (...), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, (...) ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente» così Cass., Sez. III, 12 dicembre 2012, n. 22828. Di conseguenza, laddove la prosecuzione dell’attività d’impresa si riveli funzionale alla liquidazione si applicheranno le disposizioni di cui all’art. 182, l. fall., sicché dovrà escludersi l’operatività dell’art. 186 bis l. fall., salvo che per quegli aspetti comunque compatibili con la fattispecie concreta (ad es. la disposizione di cui al comma 2, lett. b, del predetto articolo, in base al quale l’esperto è chiamato ad attestare la funzionalità della continuazione aziendale al miglior soddisfacimento dei creditori); e viceversa. Tuttavia, sul punto, taluna giurisprudenza ha affermato che quando il piano di concordato si basi prevalentemente sulla continuità aziendale «(...) il ricorso all’art. 182, l. fall., sia in fase di cessione di beni in corso di procedura che in fase post omologa porterebbe ad un appesantimento della procedura, anche in termini di costi, e non garantirebbe necessariamente un miglior soddisfacimento del ceto creditorio. Non si è pertanto dell’avviso del necessario ed automatico ricorso alla disciplina di cui all’art. 182, l. fall. Anzi, si ritiene che la stessa sia tendenzialmente inapplicabile al concordato in continuità, in quanto superflua, laddove prevede la nomina di un liquidatore e di un CDC [Comitato dei Creditori]» e aggiunge che, sebbene manchi una disciplina specifica con riferimento alla fase esecutiva di questa forma concordataria, non può essere applicata quella prevista per i concordati con cessio bonorum, così Trib. Bolzano, Sez. fall., 10 marzo 2015; ma anche Trib. 208 rivista trimestrale degli appalti La norma non menziona, come evidente, l’affitto d’azienda, strumento particolarmente ricorrente nell’attuale contesto economico poiché utile per una gestione della crisi aziendale allorché l’imprenditore può affidare la gestione del proprio complesso produttivo a un altro soggetto che venga ritenuto idoneo al fine di consentire una ripresa e una riorganizzazione dell’azienda. Con la conseguenza che la riconducibilità dell’istituto ora menzionato nell’ambito applicativo della norma è risultato particolarmente controverso. Inizialmente, il giudice civile escludeva tale evenienza osservando che le speciali disposizioni in tema di continuità concordataria di cui all’art. 186 bis l. fall. (id. est. predisposizione di un piano industriale, speciale attestazione, ecc.) si giustificano in quanto la debitrice prospetti la permanenza di un rischio di impresa su cui i creditori sono chiamati ad esprimere il proprio voto. Laddove invece la continuazione dell’attività è in capo ad un soggetto giuridico diverso, che si è impegnato a pagare un canone fisso, si dovrà eventualmente discutere della solvibilità dell’affittuaria o delle garanzie da questa prestate (o meno) ma all’interno di uno schema concordatario e causale puramente liquidatorio (24). Trattasi di una interpretazione che faceva chiaramente perno su una lettura sistematica delle norme e che assumeva come elemento rilevante quello soggettivo. Al contrario, le più recenti pronunce giurisprudenziali riconoscono che il concordato in continuità ricorra allorché vi sia prosecuzione dell’attività di impresa indipendentemente dal fatto che a garantire tale continuità sia il debitore o un terzo mediante cessione o conferimento. L’attenzione viene quindi riposta sull’elemento oggettivo, cioè sull’azienda, quale complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa (art. 2555, cod. civ.), nell’ambito del quale tutti gli elementi sono caratterizzati da un vincolo organizzativo e di destinazione all’esercizio dell’impresa. In questa ottica anche il contratto di affitto d’azienda purché finalizzato al successivo trasferimento, e non destinato alla mera conservazione del valore dei beni aziendali al fine di una loro più fruttuosa liquidazione, è da ritenersi ammissibile nell’ambito dell’art. 186 bis, l. fall. (25). Chieti, 15 ottobre 2013. Pertanto, secondo i giudici, la cessione dell’azienda o dei beni non funzionali dovrà essere eseguita dagli amministratori, sotto il controllo del commissario giudiziale e del giudice delegato, che devono vigilare affinché non siano compiute operazioni straordinarie non previste dal piano, o che possano pregiudicare il pagamento dei creditori concorsuali. (24) Trib. Ravenna, Sez. fall., 29 ottobre 2013. (25) Cfr. Trib. Monza, 11 giugno 2013. leggi e circolari 209 Al riguardo la giurisprudenza è oggi costante nel ritenere che sia l’affitto stipulato prima della presentazione della domanda di concordato, che quello da stipularsi in corso di procedura concordataria, ove vi sia la previsione di successiva cessione dell’azienda, non sia di ostacolo all’applicabilità della disciplina tipica del concordato in continuità (26). Ciò nella considerazione che l’affitto d’azienda si appalesa quale mero strumento giuridico ed economico finalizzato proprio ad evitare una perdita di funzionalità ed efficienza dell’intero complesso aziendale in vista di un suo successivo passaggio a terzi, nella forma della cessione o del conferimento, senza il rischio della perdita dei valori intrinseci, quali l’avviamento, che un suo arresto, anche solo momentaneo, produrrebbe in modo irreversibile. L’affitto d’azienda rappresenta, così, uno strumento compatibile e funzionale al raggiungimento degli obiettivi sottesi, vale a dire alla conservazione dell’impresa e al miglior soddisfacimento del ceto creditorio, che dovrà comunque essere necessariamente autorizzato dal giudice delegato quale atto eccedente l’ordinaria amministrazione (art. 167, l. fall.). Potranno formare oggetto dell’affitto di azienda sia i beni materiali (mobili e immobili) che quelli immateriali (opere dell’ingegno e segni distintivi), ivi compresi i rapporti giuridici in essere. Tra questi ultimi, meritano un cenno particolare i contratti che non abbiano carattere personale (art. 2558 cod. civ.), nei quali, se non è pattuito diversamente, subentra automaticamente l’acquirente dell’azienda (o di un suo ramo), salva la facoltà del terzo contraente di recedere per giusta causa; ciò in deroga alla disciplina civilistica ordinaria in merito alla successione nei contratti di cui agli artt. 1406 ss. cod. civ. che richiede il preventivo assenso del contraente ceduto. In particolare, poi, laddove il terzo contraente sia una pubblica amministrazione (o un soggetto ad essa equiparato) la disciplina speciale del Codice dei contratti pubblici prevede uno specifico ed ulteriore regime di garanzia. Fermo restando il divieto di cessione del contratto a terzi (cfr. art. 118, comma 1, Codice dei contratti pubblici), non è possibile precludere all’impresa la conclusione di quei contratti che sono espressione della sua autonomia organizzativa, come la trasformazione, fusione, scissione, cessione o affitto dell’azienda o di un ramo di questa, in ossequio al principio della libera iniziativa economica. (26) Trib. Bolzano, Sez. fall., 10 marzo 2015. A diversa conclusione occorre addivenire nel caso di affitto tout court, non finalizzato alla cessione del complesso aziendale. Ne consegue che affinché la continuità aziendale possa trovare applicazione attraverso l’istituto in parola è necessario che il contratto d’affitto sia accompagnato da una proposta irrevocabile d’acquisto da parte dello stesso affittuario, garantita da fideiussione. Cfr. anche Trib. Roma, Sez. fall., 24 marzo 2015. 210 rivista trimestrale degli appalti Tali operazioni “straordinarie”, propedeutiche (spesso) alla risoluzione di una crisi economico-finanziaria, comportano, come evidente, una novazione soggettiva dell’aggiudicatario o del contraente del committente pubblico che viene subordinata al rispetto delle condizioni espressamente previste dagli artt. 51 e 116 Codice dei contratti pubblici, rispettivamente disciplinanti il caso che la modificazione avvenga in un momento precedente alla singola gara o durante lo svolgimento della stessa, oppure dopo la conclusione del contratto. Così l’art. 51, Codice dei contratti pubblici, rubricato “Vicende soggettive del candidato, dell’offerente e dell’aggiudicatario”, prevede che qualora i candidati o i concorrenti, cedano, affittino l’azienda o un suo ramo, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o scissione della società, il soggetto subentrante (id. est. cessionario, affittuario, ovvero il soggetto risultante dell’avvenuta trasformazione, fusione o scissione), sia ammesso alla gara, all’aggiudicazione, alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale (cfr. art. 38, Codice dei contratti pubblici), sia di ordine speciale (artt. 40 e 41, Codice dei contratti pubblici), nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell’art. 62, Codice dei contratti pubblici, ossia la cosiddetta forcella. Con la cessione o l’affitto di azienda (o di ramo di essa) vi è un trasferimento, come detto, tra soggetti di tutte quelle risorse, mezzi e personale necessario a svolgere l’attività di impresa. Si verifica un mutamento nella titolarità ma non nell’organizzazione del complesso aziendale all’esercizio di attività economica. Ne consegue che il cessionario o l’affittuario può dare dimostrazione del possesso in proprio dei requisiti tecnici e professionali anche se gli stessi sono stati maturati sotto la titolarità del cedente o affittante (27). Questa conclusione trova conferma anche nell’art. 76, comma 9, d.P.R. n. 207 del 2010, che espressamente dispone in caso di fusione o di altra operazione che comporti il trasferimento di azienda o di un suo ramo, che il nuovo soggetto abbia la facoltà di «avvalersi per la qualificazione dei requisiti posseduti dalle imprese che ad esso (27) Cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. III, 12 dicembre 2007, n. 12973, ove si legge che in materia di pubblici appalti, deve ritenersi che «al fine di integrare i requisiti di partecipazione ad una gara di appalto, sono riconducibili al patrimonio di un soggetto i titoli posseduti da altro soggetto che gli abbia ceduto il ramo d’azienda». E ciò vale anche se il bando non lo prevede espressamente (contra Cons. St., Sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 366) trattandosi di un criterio interpretativo, integrativo del bando medesimo, che è coerente con i principi generali del nostro ordinamento: infatti, con la cessione di un ramo di azienda si determina il subingresso del cessionario nel complesso dei rapporti attivi e passivi del cedente, tra i quali è compreso anche il possesso di titoli, referenze o requisiti specifici maturati nello svolgimento dell’attività cui il ramo ceduto era dedicato. leggi e circolari 211 hanno dato origine» e stabilisce, altresì, che l’affittuario, nel caso di affitto di azienda, può avvalersi dei requisiti posseduti dall’impresa locatrice se il contratto di affitto abbia durata non inferiore a tre anni. È bene comunque chiarire che il trasferimento della titolarità dei requisiti al cessionario non è di per sé automatico in quanto occorre che ciò sia previsto dal contratto di trasferimento dell’azienda e che, comunque, non potranno che essere trasferiti tutti quei requisiti strettamente connessi all’attività propria del ramo affittato poiché il complesso dei beni trasferiti deve pur sempre essere funzionale ed idoneo all’esercizio dell’impresa. Conseguentemente, la SOA subordina il rilascio della qualificazione al cessionario alla verifica della sussistenza di alcune condizioni: che effettivamente vi sia stata una cessione di azienda e che il cessionario sia in possesso (direttamente o indirettamente tramite la società cedente) dei requisiti necessari. L’organismo di attestazione deve, poi, provvedere anche all’adeguamento delle attestazioni, poiché diversamente si attribuirebbero delle qualificazioni ai due distinti contraenti privati sulla base della medesima organizzazione aziendale. E così l’impresa cedente il complesso aziendale o di un suo ramo potrà richiedere alla SOA una nuova attestazione, riferita ai requisiti oggetto di trasferimento, esclusivamente sulla base dei requisiti acquisiti successivamente alla cessione del complesso aziendale o del suo ramo (art. 76, comma 11, d.P.R. n. 207 del 2010). La disciplina sino ad ora richiamata trova applicazione quando il processo di spersonalizzazione del contratto pubblico avviene nella fase pubblicistica della gara ad evidenza pubblica. Tuttavia, è ben comprensibile, come essa possa ricorrere anche successivamente alla conclusione del contratto, in fase di esecuzione del lavoro, servizio o fornitura. Sul punto il Codice dei contratti individua alcune condizioni affinché l’operazione di riorganizzazione del soggetto privato possa produrre effetti nei confronti della stazione appaltante; ciò a salvaguardia dell’interesse pubblico a che permangano, in capo all’aggiudicatario, tutti i requisiti soggettivi (di affidabilità morale e professionale) ed oggettivi (di tipo economico-finanziario e tecnicoorganizzativo) che hanno determinato la sua scelta e, quindi, possa essere assicurato l’esatto adempimento contrattuale. Più precisamente, l’art. 116, Codice dei contratti pubblici, rubricato «vicende soggettive dell’esecutore del contratto», prevede che le cessioni di azienda e gli atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ai soggetti esecutori di contratti pubblici non hanno singolarmente effetto nei confronti di ciascuna stazione appaltante fino a che il cessionario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, non abbia proceduto nei confronti di essa alle comunicazioni 212 rivista trimestrale degli appalti previste dall’art. 1, d.P.C.M. n. 187 del 1991, e non abbia documentato il possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal Codice. Disciplina che deve ritenersi estesa anche alla cessione di ramo di azienda ovvero dell’affitto della stessa, sebbene non espressamente richiamate dalla disposizione, così come invece previsto dall’art. 51, Codice dei contratti pubblici (per la fase anteriore alla stipulazione del contratto), con il quale condivide la ratio ispiratrice (28). La comunicazione mette la stazione appaltante nelle condizioni di proporre, nei successivi 60 giorni, formale opposizione al subentro del nuovo soggetto nella titolarità del contratto, con effetti risolutivi sulla situazione in essere, laddove non risultino sussistere i requisiti previsti dalla legislazione antimafia di cui all’art. 10 sexies, l. n. 575 del 1965 e successive modificazioni. Il rispetto delle condizioni ora viste consentono ancora una volta di salvaguardare il complesso aziendale, in un’ottica di continuità piuttosto che liquidatoria. Infatti, sia l’imprenditore cedente/ conferente che il terzo cessionario/conferitario, i quali medio tempore abbiano anche fatto ricorso allo strumento dell’affitto per non disperdere il valore aziendale, potranno valorizzare al massimo l’azienda mantenendo in vita tutti i contratti già stipulati. 6. Il concordato preventivo cosiddetto “in bianco”: verso un concordato preventivo “ordinario” o “in continuità aziendale”? – Accanto alle figure di concordato sopra descritte, il cosiddetto decreto sviluppo ha introdotto all’art. 161, comma 6, l. fall., il concordato preventivo cosiddetto “in bianco” (o prenotativo). Trattasi di un istituto che consente all’azienda in crisi di depositare la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta, il piano, la relazione del professionista indipendente e l’ulteriore documentazione richiesta dal medesimo articolo, nel termine indicato dal giudice, comunque compreso fra sessanta e centoventi giorni, ulteriormente prorogabile per non più di sessanta giorni al ricorrere di giustificati motivi. Proprio per queste sue caratteristiche, l’istituto viene definito “in bianco”: perché mancano gli ordinari elementi costitutivi il concordato preventivo; elementi che il debitore si riserva (ovvero (28) Cfr.. Parere AVCP (ora ANAC) sulla normativa del 6 novembre 2008 e art. 186 bis, comma 3, l. fall., che ammette la continuazione dei contratti pubblici, a seguito dell’ammissione al concordato preventivo, anche in capo alla società cessionaria o conferitaria d’azienda o di rami d’azienda cui i contratti sono trasferiti “in presenza dei requisiti di legge”, intendendo con tale espressione fare riferimento alla verifica, da parte della stazione appaltante, della sussistenza dei requisiti di qualificazione e partecipazione in capo al soggetto cessionario o conferitario dell’azienda in esercizio, a norma dell’art. 116, Codice dei contratti pubblici leggi e circolari 213 prenota) di sottoporre al tribunale solo in un momento successivo. Alla presentazione della domanda, la nuova disciplina del concordato ricollega un importante effetto, vale a dire l’impossibilità per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore (art. 168, l. fall.), nonché la prededucibilità di nuovi finanziamenti accesi, previa autorizzazione del Tribunale, alle condizioni di cui all’art. 182 quinquies, comma 1, l. fall. Tali disposizioni, proteggendo l’integrità del patrimonio dalle azioni dei creditori, hanno reso l’istituto in parola particolarmente appetibile e ricorrente nella pratica. Tuttavia, l’assenza di un piano ha sollevato numerosi dubbi circa la sua compatibilità con la disciplina di cui all’art. 186 bis e, in particolare, con il mercato dei contratti pubblici. In un primo momento, l’ANAC aveva escluso che tale fattispecie potesse consentire la prosecuzione dell’attività aziendale sull’assunto che la presentazione del piano costituisce un presupposto indefettibile per l’applicabilità della disciplina sul concordato ex art. 186 bis, con la conseguenza che l’impresa soggiace alle cause ostative al rilascio della qualificazione ovvero alla decadenza della stessa, qualora già rilasciata (29). Allo stesso modo, il giudice civile (30) osservò che «(…) il concordato può definirsi in continuità aziendale, tra l’altro, se sussistono determinati presupposti di sostenibilità del piano che debbono essere attestati da un professionista unitamente alla convenienza della soluzione per i creditori; è scarsamente comprensibile, tuttavia, come possano ricorrere tali condizioni in una fase in cui per definizione un piano non dev’essere ancora depositato e quindi non vi può essere un’attestazione che quello avvalori; se dunque non si vuole affidare la giustificazione della violazione del principio della par condicio creditorum alla sola prospettazione del debitore è necessario che vi sia un piano non solo abbozzato ma sufficientemente definito nelle sue linee portanti, un apprezzabile stato di avanzamento della sua plausibilità sotto il profilo, ad esempio, del raggiungimento degli accordi che lo debbono rendere operativo, un’attestazione che, pur a fronte delle non definitività del piano stesso, ne sancisca la corretta formulazione e la maggior convenienza per i creditori». Con queste considerazioni, il giudice ha sostanzialmente escluso che l’imprenditore in crisi possa accedere (29) Determinazione AVCP, 23 aprile 2014, n. 3. Cfr. M.T. Massi, Ancora sul concordato in bianco o con riserva, in www.appaltiecontratti.it, 20 giugno 2014. (30) Trib. Modena, 24 maggio 2013, relativamente ad un ricorso presentato per l’ammissione al concordato “in bianco”, nell’ambito del quale veniva chiesta l’autorizzazione al pagamento di fornitori anteriori alla presentazione del ricorso medesimo, poiché definiti essenziali, ai sensi dell’art. 182 quinquies, comma 4, l. fall. 214 rivista trimestrale degli appalti ai benefici previsti dall’art. 186 bis fintantoché non siano presentati il piano e la proposta, quali atti capaci di attribuire alla procedura le caratteristiche di concordato in continuità. Conclusioni di tal fatta non potevano che aprire spazio a critiche soprattutto allorché si osservi come lo stesso art. 161, comma 6, l. fall., disciplini la possibilità per il debitore, già dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di apertura della procedura, di compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione nonché gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni e acquisire il parere del commissario giudiziale, se nominato (art. 161, comma 7, l. fall.). A cui si aggiunge la previsione di cui all’art. 182 quinquies che ammette la possibilità di presentare domanda di concordato con continuità aziendale anche ai sensi dell’art. 161, comma 6, al fine di ottenere l’autorizzazione del Tribunale al pagamento dei crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi ritenuti essenziali alla prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la miglior soddisfazione dei creditori. Se all’imprenditore è allora consentito proseguire l’esercizio della sua normale attività, non si vede ragione per impedire allo stesso di partecipare alle procedure di gara ad evidenza pubblica e/o proseguire nei contratti pubblici già stipulati. Non sembra, ragionevole, in altri termini, esporre l’impresa alla risoluzione dei contratti pubblici o impedirle di partecipare alle pubbliche gare, per il solo fatto di aver depositato domanda “in bianco”, poiché ciò sortirebbe l’effetto di paralizzare una attività imprenditoriale che, nello spirito delle norma, dovrebbe essere spronata. L’imprenditore si vedrebbe, in questo quadro, penalizzato nella sua continuità per aver denunciato per tempo la propria situazione di crisi. Talché, fin da subito, la dottrina si è impegnata a ricercare un fondamento normativo a supporto di una interpretazione più rispettosa delle finalità perseguite dal legislatore in sede di riforma della legge fallimentare, vale a dire offrire alle imprese uno strumento utile a risolvere le situazioni di crisi, senza frustrare le aspettative dei creditori, e al contempo auspicato una rivisitazione dell’interpretazione già fornita dall’ANAC. Così parte della dottrina (31) ammetteva la partecipazione alla gare alle imprese che avessero depositato domanda di concordato “in bianco” sull’assunto che l’impresa si trovi semplicemente in uno stato di crisi, al pari di quelle che accedono agli accordi di ristrut- (31) C. Bigi, Concordato preventivo con continuità aziendale: partecipazione alle gare, scioglimento del contratto ed escussione della cauzione provvisoria, in Appalti e contratti, 2012. leggi e circolari 215 turazione dei debiti, ex art. 182 bis, l. fall., ipotesi, la cui pendenza, certamente non si configura fra le cause di esclusione di cui all’art. 38, Codice dei contratti pubblici Il parallelismo tra le due situazioni emergerebbe dallo stesso art. 161, comma 6, l. fall., il quale prevede che «Nello stesso termine, in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’art. 182 bis, comma 1.». Pertanto, nel periodo compreso fra sessanta e centoventi giorni dal deposito del ricorso, non è neppure necessario che si apra un concordato, ben potendo l’imprenditore accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti, con la conseguenza che l’esclusione dell’impresa dalle procedure di affidamento sarebbe del tutto illegittima. Altri hanno, invece, osservato (32) come nel testo di cui all’art. 186 bis, comma 4, come da ultimo novellato, si faccia espresso riferimento al «parere del commissario giudiziale, se nominato», da rendersi al tribunale, affinché questi decida in merito alla partecipazione dell’impresa alle procedure di affidamento di contratti pubblici, nella fase immediatamente successiva al deposito del ricorso. Tale disposizione deve necessariamente correlarsi a quanto disposto dall’art. 161, comma 6, l. fall. laddove prevede che «Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale può nominare il commissario giudiziale di cui all’art. 163, secondo comma, n. 3». Trattasi chiaramente di una nomina solo eventuale, e per di più anticipata, rispetto a quanto accade nel concordato preventivo ordinario, ove essa viene operata obbligatoriamente con il decreto di ammissione alla procedura (cfr. art. 163, l. fall.). Talché l’art. 186 bis, nel richiamare il parere espresso da tale soggetto “se nominato”, già nella fase antecedente all’ammissione alla procedura, non può che riferirsi all’ipotesi in cui sia stata semplicemente presentata domanda di concordato “in bianco”. Tale interpretazione è stata di recente accolta dall’ANAC che non ha mancato di confermare che il riferimento al parere del commissario giudiziale, nella fase successiva al deposito del ricorso «(…) può avere un senso normativo, in quanto si ammetta che la norma (…), interpretata sistematicamente, si riferisca, implicitamente, alla possibilità che le imprese siano autorizzate alla partecipazione alla gara non solo in caso di presentazione della domanda di concordato preventivo con “continuità aziendale” ma anche in caso di presentazione della domanda di concordato “in bianco”. È evidente (32) R. Travaglini, Chi chiede il concordato “in bianco” va aiutato (se lo merita) a superare la crisi o va (aprioristicamente) escluso dal mercato delle commesse pubbliche?, in Appalti e contratti, 2014. 216 rivista trimestrale degli appalti che in quest’ultima ipotesi sarà, in ogni caso, il giudice a valutare se autorizzare la suddetta partecipazione, sulla base dell’effetto prenotativo della domanda in ordine alla futura presentazione del piano e verificando che sussistano le condizioni per consentire intanto la partecipazione medesima» (33). Così è prassi dei tribunali richiedere di definire già nella domanda prenotativa il tipo di concordato che si intende presentare o darne indicazione nelle relazioni mensili prescritte fino alla presentazione del piano (cfr. art. 161, comma 8, l. fall.). Da tali considerazioni, discende, altresì che la medesima norma consente all’impresa di mantenere, nelle more del termine intercorrente tra la presentazione della domanda e la presentazione del piano di continuità, l’attestazione SOA posseduta, da ritenersi infatti pienamente valida ed efficace. Ciò sul presupposto che persiste il requisito di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, lett. a, Codice dei contratti pubblici Certamente, la permanenza della validità e dell’efficacia dell’attestazione di qualificazione è risolutivamente condizionata alla decisione del giudice che dovesse dichiarare inammissibile la proposta di concordato con continuità aziendale. Analoghe considerazioni debbono essere svolte in riferimento agli effetti della presentazione di una domanda prenotativa di concordato con continuità sui contratti già stipulati con la pubblica amministrazione e in corso di esecuzione. Questi ultimi non saranno soggetti a risoluzione in quanto non viene meno, durante la pendenza del termine per la presentazione del piano, il requisito di qualificazione necessario anche per l’esecuzione del contratto. Peraltro, la stessa giurisprudenza (34), più recente in materia, ha dato atto che laddove siano rispettate le condizioni e soddisfatti gli adempimenti previsti dal comma 4 dell’art. 186 bis (in seno al quale, si ricorda, è prevista l’autorizzazione del tribunale ed il parere del commissario giudiziale, che in questa fase può essere nominato solo in presenza di domanda di concordato “in bianco”), la domanda in sé non comporta né l’automatica decadenza dell’attestazione di qualificazione né la risoluzione di diritto dei contratti in corso, in quanto l’istituto ha la finalità di incentivare le imprese ad anticipare la denuncia della situazione di crisi, comunque prima di essere assoggettate a misure di controllo esterno. Elisa Borghi e Giovanni Carlini (33) Determinazione ANAC, 8 aprile 2015, n. 5. (34) Cons. St., Sez. IV, 3 luglio 2014, n. 3344. LIBRI M. Nicolai e W. Tortorella, Partenariato Pubblico Privato e Project Finance, ed. Maggioli, Rimini, 2016, pp. 349. Il nuovo volume collettaneo in esame è stato curato da Marco Nicolai e Walter Tortorella, che, oltre ad essere direttamente autori di parti del volume medesimo, hanno coordinato gli ulteriori contributi dovuti a Enzo Adamo, a Giuliana Bo, a Luca Bisio, a Rosalba Cori, e a Ilaria Paradisi. L’opera, che si inserisce nella collana “Progetto Ente Locale”, particolarmente apprezzata e nota fra gli operatori delle amministrazioni locali, ripropone, con gli aggiornamenti nel frattempo intervenuti la riflessione sul partenariato pubblico privato, già oggetto del precedente volume edito nel 2015. È facile, anche in questa occasione, constatare come gli autori dedichino la loro attenzione a materie di notevole attualità, a motivo anche della crisi economica, che, lungi dall’attenuarsi, perdura e colpisce ormai da molti anni il nostro Paese, oltre che manifestarsi in varia misura a livello mondiale, segnando in molti Stati la carenza di risorse pubbliche. La crisi economica si manifesta, in particolare, grave e profonda nelle sue conseguenze in Italia, ove – fra le differenti e molteplici cause – pure una natalità a livelli bassissimi, unita a un crescente e rapido invecchiamento della popolazione, rende con sempre maggiore nettezza difficile reperire risorse per opere e servizi pubblici, portando a un certo contenimento (pur nella permanenza, comunque, di sprechi non giustificabili) della spesa pubblica nella parte che più la qualifica: gli investimenti pubblici in infrastrutture e servizi di pubblica utilità. Detto ciò, il volume si conferma individuare alcuni strumenti attraverso cui tentare, almeno in parte, di sopperire alle difficoltà menzionate. Il capitolo introduttivo, circa gli investimenti in rapporto alle infrastrutture nei processi di crescita economica, prende in considerazione, fra l’altro, anche il cosiddetto piano Junker (piano di investimenti strategici, presentato il 26 novembre 2014 dal presidente della Commissione europea) e la l. 28 dicembre 2015, n. 208, così detta legge di stabilità 2016. Con il secondo capitolo, si entra nella trattazione riguardante il partenariato pubblico privato e il project financing, verificando, al riguardo, gli aspetti sia di diritto comunitario, sia di diritto nazio- 218 rivista trimestrale degli appalti nale. Gli istituti di partenariato pubblico privato, previsti dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/ CE), e gli strumenti finanziari, quali la finanza di progetto, offrono diverse opportunità, ma, nonostante ciò, gli autori rilevano che ancora non appaiono utilizzati in maniera appropriata ed efficace da parte degli enti locali. Allo scopo di far conoscere e approfondire le caratteristiche e le potenzialità del partenariato in relazione alle specificità del contesto economico in cui operatori pubblici e privati svolgono la propria opera, l’analisi dell’evoluzione nella disciplina normativa e della diffusione dell’applicazione di tali istituti in Italia (capitolo terzo) viene accompagnata dall’evidenziazione degli incentivi che ne promuovono l’uso. Il riferimento è alla contabilizzazione delle opere al di fuori del bilancio pubblico, alle agevolazioni fiscali, agli strumenti finanziari abbinati (fondi immobiliari, project bond), alla liberalizzazione delle modalità di corresponsione del contributo pubblico nell’ambito dei contratti di concessione di lavori. Il quarto capitolo del volume è, così, dedicato ai vantaggi, alla struttura finanziaria e agli incentivi pubblici del partenariato pubblico privato, seguendo l’intento di individuare modalità concrete di applicazione del partenariato in esame, che diano rilievo all’iniziativa privata sia nella progettazione, sia nella realizzazione, sia nella gestione e nel finanziamento di infrastrutture e di servizi pubblici. Il quinto capitolo si occupa dei profili riguardanti la contabilizzazione dei partenariati pubblico-privati nei bilanci pubblici, ove, dopo aver verificato il contesto di riferimento nel patto di stabilità e crescita, si entra nel vivo della contabilizzazione dei partenariati negli enti locali. Il volume si conclude con la trattazione dell’ipotesi di iniziativa privata per opere fuori programmazione, in base all’art.153, comma 19, d.lgs. n. 163 del 2006 (capitolo sesto) e con la disamina del project financing da parte della dottrina e della giurispeudenza (capitolo settimo). Quanto all’aggiornamento, il volume in esame tiene conto, oltre che della legge di stabilità 2016, anche dello Schema del nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione. Si conferma l’impressione ricevuta per il volume precedente: l’opera degli autori appare riuscita, poiché il lettore in genere e l’operatore pubblico in particolare trovano una spiegazione adeguata degli istituti oggetto del volume, arricchito di tabelle ed esempi, che agevolano la comprensione delle diverse tematiche. Giuseppe Musolino TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la riproduzione, anche parziale, del materiale pubblicato senza autorizzazione dell’Editore. Le opinioni espresse negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertà di giudizio, lasciandoli responsabili dei loro scritti. L’autore garantisce la paternità dei contenuti inviati all’Editore manlevando quest’ultimo da ogni eventuale richiesta di risarcimento danni proveniente da terzi che dovessero rivendicare diritti su tali contenuti. 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