lastradablu di Marco De Angelis

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lastradablu di Marco De Angelis
lastradablu di Marco De Angelis
Approdi
L’esperienza onirica è insita nella storia umana: nella società omerica, ad esempio, l’atto dell’addormentarsi era concepito come qualcosa che potesse rivestire un interesse collettivo. Qualcosa di
proiettato verso il mondo desto. Il Sogno (το οναρ) subiva allora una sorta di personificazione: diveniva
materiale, persino concreto. E svolgeva funzione terapeutica: consentiva infatti al dormiente di riuscire finalmente a vedere (οναρ ειδειν). Questo il senso delle opere di Marco De Angelis: scavare un
piccolo passaggio, un pertugio, tra il mondo questo ed un mondo altro. Una sorta di buco della serratura attraverso il quale sbirciare dall’altra parte, restando affascinato ed al tempo stesso impietrito di
fronte allo spettacolo –fantastico / terrificante- a cui si assiste, esattamente come accade a Peeping
Tom nella leggenda di Lady Godiva. Ecco allora che inchiostro, pastelli a cera e tempera su carta si
fondono a tratteggiare –ad esempio nell’opera “Ombre”- figure metafisiche, a tratti spaventose, dal
fascino magnetico eppure del tutto palpabile. Questa concezione assolutamente “classica” della
materia onirica, così forte nelle opere dell’artista, offre un continuo parallelismo con il secondo libro
dell’Iliade. In esso, il sogno di Agamennone è appunto un’entità fisica, un messaggero di Zeus:
«Ora comprendimi subito: ti son messaggero di Zeus, che, pur da lontano, molto di te si cura e si
preoccupa. »
Messaggi dunque. Forse interrogativi irrisolti (ri)lanciati al fruitore delle opere pittoriche, quasi alla
disperata ricerca di una risposta. Comunicazioni non verbali, tracciate come sulla sabbia: interni dai
contorni sfumati, volti appena intuibili ai quali spesso si contrappongono dettagli anatomici grotteschi: mani sproporzionate, occhi spalancati nel buio, glutei eccezionalmente possenti. Segni di
inconfutabile stampo onirico attraverso i quali De Angelis si interroga e ci interroga sul senso
dell’amore (“Canto nel dormiveglia”), della favola (“Il castello vicino alla luna”), del gioco (“Il cacciatore della luna”), della morte (“Paesaggio al crepuscolo”). Non è difficile associare questa pittura,
caratterizzata dalla rarefazione dello spazio e dalla presenza di esseri ibridi -talora mostruosi-, alla
ricerca dell’estraniazione e –forse- persino del libertinaggio. Si tratta, per De Angelis, di un metodo
per raggiungere un qualche stato di in-coscienza –una sorta di trance affine allo sciamanesimo- e,
quindi, di nuovo il sogno, come esprimono le parole “Approdo”, “Elevazione”, “Passaggio” che
vediamo ricorrere spesso nel linguaggio di questo giovane artista.
Quella di Marco De Angelis è un’opera dalla rara coerenza semantica: su tutto si staglia la ferma
volontà di rivolgersi alla mondo fisico come un “Avventore Ubriaco”: una sorta di spirito di-vino
caduto accidentalmente (rovinosamente) sul mondo.
Un angelo il quale, divenuto irrimediabilmente uomo, si trova derubato per sempre della sua allure
magica e tenta disperatamente di recuperare quella dimensione trascendente che un tempo gli
apparteneva.
Marco De Angelis vede dunque se stesso come un esule -persino un deportato- proveniente da un
altro-dove e da un altro-quando.
Solo da un mondo-altro, infatti, possono scaturire queste figure su sfondo monocromo, la cui chiave
di lettura è indubbiamente costituita da un continuo studio/ricerca attorno dell’ενύπνιον, il “residuo
diurno” freudiano, il sogno che nasce da resti di pensieri sovente dissociati dalla realtà sui quali la
mente del singolo rimane ancorata.
Attraverso questa chiave di lettura fortemente agganciata alla tradizione filosofica greca ed ai
fondamenti delle dottrine psicoanalitiche –che evidentemente l’autore padroneggia-, è possibile
arrivare a comprendere la ragione ultima della produzione di De Angelis: l’affannoso e struggente
tentativo di recuperare gli unici stati emozionali dell’esistenza umana capaci di ri-collegare all’uomo
alla propria dimensione divina: l’ονειρογµος, ossia il sogno erotico, ed il φαντασµα, corrispondente allo
stato di dormiveglia, in cui talora sembra persino di scorgere un turbine indefinito di immagini indubbiamente provenienti da un’altra vita.
Roma, 2010
Giuseppe Carlotti