La fiaba - Scuola SB Capitanio

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La fiaba - Scuola SB Capitanio
Unità
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I GENERI: LA FIABA
La fiaba
Le caratteristiche
La fiaba è un tipo di racconto fantastico tramandato per secoli a voce dagli anziani attorno
al focolare o dalle madri accanto alle culle. L’origine delle fiabe risale quindi a un passato
molto lontano, quando ancora i confini tra mondo reale e mondo fantastico, tra natura e
magia erano più sfumati.
In tutti i paesi del mondo esiste una tradizione fiabesca molto ricca, che in tempi recenti è
stata raccolta e trascritta, a dimostrazione della popolarità che questo genere di narrazioni
ha avuto e continua ad avere.
Nonostante la diversa provenienza delle fiabe e la conseguente varietà dei loro contenuti, esiste qualcosa che le accomuna e che ci permette di riconoscerle come tali: è il modo in cui sono
costruite, che corrisponde a un modello-base rimasto nella sostanza immutato nel tempo.
Per capire questo modello, partiamo dallo schema narrativo tipico di tutte le storie, che
prevede un inizio, uno sviluppo e una conclusione.
L’inizio
Lo
sviluppo
L’inizio delle fiabe serve a proiettarle in un passato indefinibile:
per questo esse spesso incominciano con la formula “C’era una
volta”; inoltre l’inizio è il punto in cui si presentano i protagonisti
della storia, nettamente divisi in “buoni” e “cattivi”.
Lo sviluppo delle vicende rappresenta la parte più importante delle
fiabe e comprende di solito una lunga concatenazione di eventi
e di azioni. La complessità di questa parte narrativa è comunque
più apparente che reale, perché le varie azioni possibili sono sempre
riconducibili a poche situazioni-chiave che si ripetono in tutte le
fiabe, seppur con l’originalità inventiva che contraddistingue ciascun testo. Elenchiamole:
• il protagonista buono si trova in difficoltà;
• il protagonista deve superare varie prove;
• il protagonista viene contrastato da uno o più personaggi cattivi
(antagonisti);
• il protagonista viene aiutato da qualcuno o qualcosa dotato di
poteri magici;
• il protagonista alla fine riesce a superare tutte le prove.
La
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conclusione
Il finale è sempre lieto: il buono viene premiato e il cattivo punito,
a dimostrazione del fatto che il bene trionfa sempre sul male. Le
fiabe infatti hanno una funzione morale rassicurante.
Altri elementi da tenere presenti per riconoscere le caratteristiche della fiaba sono il tempo,
i luoghi e i personaggi.
Tempo e luoghi sono sempre indeterminati, e ciò è dovuto in parte all’origine antica di
questi racconti e in parte al loro valore simbolico ed esemplare. Quanto ai personaggi, occorre ricordare che sono figure tipiche e ricorrenti, caratterizzate solo dal loro ruolo positivo
o negativo.
Tra i buoni troviamo i principi e principesse, fanciulle indifese, orfani abbandonati ecc.
Tra i cattivi troviamo matrigne invidiose, sorellastre e fratellastri gelosi, comari maligne ecc.
Ai personaggi “umani” vanno infine aggiunti i rappresentanti del mondo della magia: fate
e streghe, orchi, gnomi e folletti.
Un esempio
Proviamo ora a leggere insieme questa breve fiaba scritta dai fratelli Grimm.
Jacob e Wilhelm Grimm
La bambina generosa
C’era una volta una bambina, che non aveva più né
babbo né mamma, ed era tanto povera, senza una stanza dove abitare né un lettino dove dormire; insomma,
non aveva che gli abiti indosso e in mano un pezzetto
di pane, che un’anima pietosa le aveva donato. Ma era
buona e pia1. E siccome era abbandonata da tutti, errò2
qua e là per i campi, fidando nel buon Dio. Incontrò un
povero, che disse:
– Ah, dammi qualcosa da mangiare! Ho tanta fame!
Ella gli porse tutto il suo pezzetto di pane e disse:
– Buon pro ti faccia!3 – e continuò la sua strada. Poi
venne una bambina, che si lamentava e le disse:
– Ho tanto freddo alla testa! Regalami qualcosa per coprirla.
Ella si tolse il berretto e glielo diede. E dopo un po’ ne
venne un’altra, che non aveva indosso neanche un giubbetto e gelava; ella le diede il suo.
E un po’ più in là un’altra le chiese una gonnellina, ed
ella diede la sua. Alla fine giunse in un bosco e si era già
fatto buio; arrivò un’altra bimba e le chiese una camicina; la buona fanciulla pensò: “È notte fonda, nessuno ti
vede, puoi ben dare la tua”.
Se la tolse e diede anche la camicia.
L’inizio
•La formula di apertura rimanda
a un lontano passato indefinibile.
•La protagonista è presentata
attraverso poche caratteristiche: è un’orfana, è povera ed
è buona di animo.
Lo
sviluppo
La protagonista viene sottoposta
a diverse prove, che dimostrano
la sua bontà, e che puntualmente
vengono superate.
1 pia: di animo altruista e generoso.
2 errò: vagò senza una meta precisa.
3 Buon pro ti faccia!: formula di augurio che significa “Ti sia di giovamento”.
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I GENERI: LA FIABA
La
conclusione
La vicenda si conclude con un
lieto fine.
E mentre se ne stava là, senza più niente indosso, d’un
tratto caddero le stelle dal cielo, ed erano tanti scudi4
lucenti: e benché avesse dato via la sua camicina, ecco
che ella ne aveva una nuova, che era di finissimo lino.
Vi mise dentro gli scudi, e fu ricca per tutta la vita.
tratto da J. e W. Grimm, Fiabe del focolare, trad. di C. Bovero, Einaudi
4 scudi: grosse monete preziose.
Manca in questa fiaba un vero e proprio antagonista che contrasti le azioni della bambina.
Ma a pensarci bene la protagonista deve comunque combattere contro la tentazione di un
comportamento egoistico, che la porterebbe a tradire la sua indole. Possiamo quindi dire
che è l’egoismo il suo antagonista, anche se non si tratta di un personaggio in carne e ossa,
ma solo di un cattivo modello.
La mappa
A questo punto abbiamo individuato gli elementi principali del genere fiaba; li riassumiamo
in uno schema, che tu stesso completerai:
Inizio
Sviluppo
Conclusione
L’inizio delle fiabe è collocato
in un passato indefinibile; spesso sono presenti formule come
Il ................................ della vicenda
è un personaggio che agisce
secondo schemi ricorrenti.
La fiaba si conclude generalmente con un .................................
..............................................................
Si trova in una
situazione
difficile.
È ostacolato da
..................................................
Deve superare alcune
..................................................
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..............................................................
In suo aiuto possono
intervenire anche
..................................................
La storia del genere
La fiaba è nata nell’ambito delle antiche
tradizioni orali che i popoli si tramandavano di generazione in generazione. Non
avendo un testo scritto da rispettare, i primi
ignoti narratori spesso modificavano a
proprio piacere le storie, per adattarle alle esigenze di ascoltatori diversi o forse
per il puro piacere dell’invenzione. Perciò
accade che di una stessa fiaba siano giunte a noi più versioni, simili nei nuclei fondamentali della trama, ma variamente elaborate
nei particolari.
Solo in epoca relativamente recente le fiabe
hanno destato l’interesse di letterati e studiosi, che hanno cominciato a raccoglierle,
ordinarle e trascriverle rimanendo fedeli ai
modelli originali. In alcuni casi però, gli scrittori moderni si sono lasciati catturare dal
fascino di queste antiche storie e le hanno
imitate, creando fiabe del tutto nuove.
Le fiabe più antiche di cui abbiamo notizia sembrano essere quelle indiane, ma le più famose sono certamente quelle contenute nella raccolta Le mille e una notte, che è stata compilata tra il XII e il XVI secolo in Egitto.
In Europa le prime trascrizioni di fiabe risalgono al XVII secolo: ricordiamo in particolare il
francese Charles Perrault (1628-1703), che raccolse le fiabe tradizionali del suo paese e le
riscrisse, conferendo loro una “forma” letteraria che le rese famose anche negli ambienti più
colti. Successivamente, nell’Ottocento, i fratelli Jacob (1785-1863) e Wilhelm (1786-1859)
Grimm raccolsero con altrettanto successo le fiabe della tradizione tedesca, mentre il russo
Aleksandr N. Afanasev (1826-71) trascrisse quelle della tradizione slava.
In Italia non c’è stato un interesse altrettanto vivace per le fiabe popolari, nonostante alcune raccolte scritte siano comparse a livello regionale già nel 1500. La prima raccolta sistematica è quella di Italo Calvino (1923-85), che nel 1956 ha pubblicato in un unico libro le
principali fiabe della nostra tradizione.
Tra gli scrittori che si sono cimentati con il genere “fiaba” creando storie di propria invenzione, ricordiamo il danese Hans Christian Andersen (1805-75), le cui fiabe sono oggi tra
le più conosciute e ammirate. Persino molti celebri romanzieri, come il russo Lev Nikolaevič
Tolstoj (1828-1910) o l’irlandese Oscar Wilde (1854-1900), si sono dedicati con successo a
questo genere letterario. Oggi anche in Italia la fiaba è un genere ripreso da molti narratori
per l’infanzia, come Gianni Rodari (1920-80), scrittore italiano di grande versatilità. Le fiabe
moderne conservano il carattere fantastico di quelle antiche, ma sono costruite in modo più
libero e non sempre rispettano lo schema tradizionale delle fiabe popolari di una volta.
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Orchi, streghe e lupi cattivi
I personaggi delle fiabe sono caratterizzati soprattutto sul piano morale: da una parte
ci sono i buoni e dall’altra i cattivi, e gli uni non potrebbero esistere senza gli altri,
perché i loro ruoli si definiscono proprio attraverso il reciproco confronto. Tra i personaggi che fanno sempre la parte dei cattivi ci sono alcuni tipi ricorrenti, come la matrigna egoista o le sorellastre invidiose, i patrigni, i fratellastri ecc. Ma i più temibili
sono quelli che, oltre a essere malvagi per natura, possiedono anche poteri eccezionali, per esempio orchi cannibali, streghe perfide o ancora lupi, sempre pronti a divorare qualcuno...
La presenza nelle fiabe di questi sinistri personaggi crea attimi di brivido che le rendono emozionanti e coinvolgono il lettore nelle peripezie dei protagonisti-buoni, facendogli desiderare il momento liberatorio del lieto fine.
Lev Nikolaevič Tolstoj
Pollicino
Questa è una delle più famose fiabe della tradizione popolare ed è stata rielaborata da molti scrittori, tra cui il francese Perrault e il russo Tolstoj.
Sette fratellini si trovano alle prese con un orco terribile e proprio il più piccolo di
loro, quello che sembra il più gracile e indifeso, trova il coraggio e l’astuzia per
salvare non solo se stesso, ma tutta la sua famiglia. Noterai che la fiaba, accanto al tema fantastico della lotta contro l’orco, tocca anche un problema ben più
realistico: quello della povertà che spinge i genitori di Pollicino ad abbandonare
nel bosco i figli che non sono in grado di sfamare.
Un pover’uomo aveva sette figli, uno più piccolo dell’altro. Il più piccolo era così piccolo che, quando nacque, non era più grosso di un
dito. In seguito crebbe un pochettino, ma comunque restò di poco più
grande di un dito, e per questo lo chiamavano Pollicino. Ma Pollicino,
per quanto fosse piccolino, era molto abile e astuto.
Padre e madre diventavano sempre più poveri, e alla fine si ritrovarono così a mal partito1, da non aver nulla con cui sfamare i bambini.
Padre e madre pensarono, pensarono, e decisero di portare i bambini
nel bosco, lontano, e di abbandonarli laggiù, in modo che non potessero più tornare a casa.
Mentre il padre e la madre si dicevano queste cose, Pollicino non stava dormendo, e sentì tutto. Al mattino Pollicino si alzò prima di tutti
gli altri e corse al ruscello, e si riempì tutt’e due le tasche di sassolini
bianchi. Quando il padre e la madre condussero i bambini nel bosco,
1 a mal partito: in diffi- Pollicino si mise dietro a tutti, e tirava fuori di tasca i sassolini bianchi
e li gettava sulla strada, uno dopo l’altro.
coltà.
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Orchi, streghe e lupi cattivi
Quando il padre e la madre ebbero condotto i bambini nel profondo
del bosco, si nascosero tra gli alberi e fuggirono.
I bambini li chiamarono, e quando videro che non c’era nessuno,
cominciarono a piangere. Soltanto Pollicino non piangeva. Gridò con
la sua vocetta sottile: – Smettetela di piangere, vi porterò io fuori dal
bosco –; ma i fratelli piangevano così forte che non lo sentivano nemmeno.
Quando finalmente lo sentirono, raccontò loro che aveva seminato la
strada di pietruzze bianche, e che li avrebbe portati fuori dal bosco;
furono molto contenti, e lo seguirono. Pollicino camminò di sassolino
in sassolino, e così li riportò a casa.
Il giorno stesso che il padre e la madre avevano condotto i bambini
nel bosco, il padre aveva ricevuto del denaro. E il padre e la madre
dicono: – Perché abbiamo portato i bambini nel bosco? Laggiù moriranno di sicuro. E adesso noi i soldi ce li abbiamo, e potremmo sfamarli.
La madre si mise a piangere e dice: – Ah! Se soltanto avessimo con noi
i nostri bambini!
E Pollicino la udì da sotto la finestra, e dice: – Ed eccoci qui!
La madre si rallegrò, corse sulla porta, e tutti i bambini, uno dopo
l’altro, entrarono nella stanza. Comprarono tutto quello di cui c’era
bisogno e si misero a vivere come un tempo; e vissero bene fino a che
ci furono i soldi. Ma i soldi finirono nuovamente, e nuovamente il
padre e la madre cominciarono a domandarsi l’un l’altra che fare, e
nuovamente stabilirono di portare i bambini nel bosco, e di abbandonarli laggiù.
Pollicino anche stavolta sentì i loro discorsi, e, quando venne il mattino, voleva andarsene alla chetichella al ruscello a raccogliere sassolini. S’era appena avvicinato alla porta, voleva aprirla, ma la porta era
chiusa col paletto2; voleva spostarlo, ma, per quanto si desse da fare,
non riuscì a raggiungere il paletto.
Non era riuscito a raccogliere i sassolini, e allora prese del pane. Se lo
mise in tasca e pensa: “Mentre ci porteranno nel bosco, io getterò
delle briciole di pane lungo la strada, e poi le seguirò, e così riporterò
i fratelli a casa”.
Il padre e la madre portarono nuovamente i bambini nel bosco e lì li
abbandonarono, e nuovamente Pollicino gettò lungo la strada le
briciole di pane. Quando i fratelli più grandi si misero a piangere, Pollicino anche stavolta promise loro di ricondurli a casa.
Ma questa volta non trovò la strada, perché gli
uccelli avevano beccato tutte le briciole di pane.
I bambini camminarono, camminarono per il bosco e non trovarono la
strada fino a notte fonda. Piansero,
2 paletto: un tempo le
porte che non avevano
serratura erano bloccate con sbarre di ferro o
di legno fissate orizzontalmente all’interno.
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I GENERI: LA FIABA
piansero, e poi s’addormentarono tutti. Pollicino si svegliò prima degli altri e s’arrampicò su un albero, si guardò attorno e vide una piccola capanna. Scese dall’albero, svegliò i fratelli e li condusse alla capanna. Bussarono, e sulla veranda venne fuori una vecchietta, e domandò loro che cosa volessero. Risposero che si erano smarriti nel
bosco. Allora la vecchietta li fece entrare in casa e disse: – Mi dispiace
per voi, che siete venuti proprio a casa nostra. Mio marito è un orco.
E, se vi vedrà, vi mangerà. Quanto mi dispiace. Nascondetevi qui,
sotto il letto, e domani vi lascerò andare via.
I bambini si spaventarono e si rannicchiarono sotto il letto. All’improvviso sentirono che qualcuno aveva bussato alla porta ed era entrato nella stanza. Pollicino diede un’occhiata da sotto il letto, e vede
un orribile orco, seduto a tavola, che grida alla vecchietta: – Dammi
il vino.
La vecchietta gli diede il vino, quello bevve, e poi si mise ad annusare:
– Com’è che da noi c’è odore di uomini? Hai forse nascosto qualcheduno?
La vecchietta gli disse che non c’era nessuno, ma l’orco si mise ad
annusare sempre più vicino, e il suo fiuto lo portò fino al letto. Cominciò a rovistare con le mani sotto il letto, afferrò Pollicino per una
gamba e si mise a gridare: – Eccoli! – e li tirò fuori tutti quanti, e se ne
rallegrò. Poi prese un coltello e voleva scannarli, ma la moglie lo fermò. Gli disse: – Vedi come sono magri e malmessi? Diamogli un pochetto da mangiare, saranno più freschi e più gustosi.
L’orco ascoltò le sue parole, ordinò di dar loro da mangiare e di metterli a dormire assieme alle sue figlie.
E l’orco aveva sette figlie, proprio della stessa età dei ragazzi fratelli.
Le ragazze dormivano tutte insieme in un letto, e ogni ragazza aveva
un cappellino dorato sulla testa.
Pollicino notò la cosa, e, quando l’orco e la moglie se ne furono andati, pian pianino portò via i cappellini alle figlie dell’orco e li mise
in testa a se stesso e ai fratelli, mentre in testa alle ragazze mise i cappellini dei fratelli, e il suo.
L’orco per tutta la notte bevve vino. E, quando beveva molto, gli veniva voglia di mangiare ancora.
Si alzò e andò nella stanza dove dormivano Pollicino e i suoi fratelli
e le sette ragazze. Si avvicinò ai ragazzi, tastò i cappellini dorati sulle
loro teste e dice: – Ci mancava poco che, ubriaco come sono, scannassi le mie figlie.
Lasciò stare i ragazzi e s’avvicinò alle ragazze, tastò i cappellini, e le
scannò tutte, e s’addormentò.
Allora Pollicino fece alzare i fratelli, aprì la porta e scappò nel bosco
assieme a loro. I bambini camminarono tutta la notte, e ciò nonostan-
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Orchi, streghe e lupi cattivi
te non riuscirono ad uscire dal bosco.
E l’orco, quando al mattino si svegliò e vide che, invece dei bambini,
aveva sgozzato le sue figlie, calzò gli stivali delle sette leghe3 e corse
nel bosco alla ricerca dei bambini.
E gli stivali delle sette leghe eran fatti in modo che chi li indossava
percorreva sette leghe con ogni passo.
L’orco cercò, cercò i bambini; non li trovò, e si sedette a riposare proprio vicino al posto dove si erano nascosti, e s’addormentò.
Pollicino vide che l’orco dormiva, gli si avvicinò di soppiatto e gli
sfilò di tasca una manciata d’oro e la diede ai fratelli.
Poi pian pianino gli cavò gli stivali. Quando glieli ebbe levati, si infilò gli stivali delle sette leghe, ordinò ai fratelli di tenersi forte per
mano e di attaccarsi a lui. E corse a una tale velocità, che uscì subito
dal bosco e trovò la casa.
E quando furono tornati, diedero l’oro al padre e alla madre. Così
diventarono ricchi, e non vennero mai più mandati via.
3 sette leghe: la lega è
un’unità di misura usata
soprattutto nel passato,
con valori diversi da paese a paese (oscillanti tra
i 4 e i 5 chilometri).
tratto da L. N. Tolstoj, I quattro libri russi di lettura, trad. di A. Villa, Einaudi
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I GENERI: LA FIABA
Comprendere l’essenziale
1.Rispondi alle seguenti domande.
• Con quale espediente Pollicino ritrova la strada
di casa la prima volta?
• Perché, al secondo abbandono, il nuovo stratagemma escogitato per ritrovare la strada non
funziona?
• Quale astuzia usa Pollicino per confondere l’orco
ed evitare di essere divorato assieme ai fratelli?
Comprendere per immagini
2.I disegni sottostanti rappresentano le prove a cui Pollicino è sottoposto. Riordinali nella giusta sequenza e, sotto ciascuno, indica in che cosa consiste la prova, e se viene superata.
. ............................................................................................. . .............................................................................................
. ............................................................................................. . .............................................................................................
Le caratteristiche del genere
Parlare e scrivere
3.Quale “premio” riceve Pollicino oltre al ricongiungimento della famiglia?
5.La fiaba che hai letto presenta una morale: la
forza e la prestanza fisica (di cui è certamente
esempio l’orco) non servono quanto l’intelligenza unita al coraggio (doti che invece possiede il protagonista, Pollicino). Ricordi altre
storie, non necessariamente fiabe, che dimostrino questa affermazione? Raccontane almeno una.
4.La fiaba è ambientata in un passato indefinibile e, per questo motivo, i verbi sono coniugati al passato. Tuttavia, per rendere immediate alcune situazioni, l’autore introduce talvolta
il tempo presente. Quando?
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Orchi, streghe e lupi cattivi
Jacob e Wilhelm Grimm
Raperonzolo
ATTIVA
Questa fiaba ci parla della crudeltà di una strega che vuole impadronirsi della
vita di una giovane fanciulla. Toccherà a un principe audace e innamorato salvare la ragazza dalle grinfie della strega, ma l’impresa non sarà facile, perché la
donna è astuta e potentissima.
Dalle immagini al testo
Quale dei seguenti disegni, secondo te, rappresenta una scena della fiaba?
Marito e moglie vivevano insieme da lungo tempo ed erano afflitti,
perché il loro focolare1 non era mai stato rallegrato da un bambino:
speravano sempre che un giorno Iddio si sarebbe ricordato di loro.
Essi abitavano in una casetta che confinava con un bell’orto, pieno di
erbaggi e di fiori. Un muro altissimo lo chiudeva all’intorno: e nessuno ardiva neppure affacciarvisi, perché l’orto apparteneva a una vecchia strega malvagia, di cui la virtù incantatrice2, potentissima, era
temuta da tutti. Ma la casetta aveva un finestrino che guardava su
quell’orto, e la buona donna vi si affacciava spesso per godere la bella
vista.
Un giorno si affacciò e vide un’aiuola tutta piena di raperonzoli3, così belli che parevano dire: “Mangiami, mangiami!”, e le venne una
gran voglia di farsene una buona insalatina. Ma in quell’orto nessuno
poteva entrare: e a lei la voglia cresceva ogni giorno, tormentandola
a tal punto che la fece impallidire e dimagrire.
Individua il significato
della parola sottolineata:
pensava.
temeva.
sognava.
osava.
1 il loro focolare: la loro casa.
2 virtù incantatrice: capacità di fare incantesimi.
3 raperonzoli: piante molto diffuse anche in Italia e simili alle rape. Sono dette anche “raponzi” (vedi la filastrocca più avanti).
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I GENERI: LA FIABA
Individua il significato della frase sottolineata:
furbo come una volpe.
veloce come un fulmine.
silenzioso come una
balena.
più lento che mai.
Il marito, nel vederla così deperire, si angosciava e le chiese che cosa
le mancasse per essere contenta.
– M’ha preso una voglia pazza di quei bei raperonzoli che vedo tutti
i giorni dalla finestra; e sento che se non potrò farmene una buona
mangiata, morirò! – ella rispose.
Egli, che era un buon uomo e molto amava la donna sua, risolvette4
di arrischiare qualunque cosa, anche la vita, per metterle dinanzi un
bel piatto di quei raperonzoli. Aspettò che fosse calato il sole e nel
primo crepuscolo scavalcò con gran fatica il muro: poi fece la sua
brava raccolta di raperonzoli e via, lesto come il baleno, fu di nuovo
di qua dal muro e li portò alla moglie. I raperonzoli furono mondati5
e conditi, e la giovane donna li mangiò con grande avidità. Ma le
piacquero tanto che l’indomani gliene colse più vaghezza che mai e
tornò a dare in ismanie6, a dimagrire e a impallidire, come se non li
avesse nemmeno toccati. Di nuovo il marito compiacente, per il gran
bene che voleva alla sua donna, diede ancora la scalata al muro incantato. Ma era appena saltato giù dall’altra parte, quando si vide davanti la bruttissima strega.
– Con che coraggio vieni nel mio giardino a rubarmi i raperonzoli? –
gli chiese incollerita, piantandogli addosso due perfidi occhi, che lo
fecero tremare. – Ti farò scontare io la tua audacia! – soggiunse.
– Per carità, Madonna7 Strampalata, perdonatemi! Abbiate pietà di me
e della mia povera moglie! Ve lo giuro, è soltanto per salvare la vita a
lei che sono venuto nel vostro giardino! – e ancora tante parole aggiunse l’uomo, per convincerla della verità e ottenere il perdono.
– Se è vero quanto dici, – rispose la strega un po’ rabbonita, – ti permetto di cogliere e di portar via quanti raperonzoli vuoi. Ma a un
patto: il bambino che nascerà alla tua donna, sarà mio. Io gli farò da
madre e non gli mancherà nulla.
La paura era tale che il pover’uomo acconsentì. Quando pochi giorni
dopo sua moglie, che si era addormentata, si risvegliò con una bella
bambina in braccio, subito comparve la strega, che chiamò la neonata “Raperonzolo” e, senza ascoltar né preghiere né grida né promesse,
se la portò via.
Raperonzolo crebbe e diventò la più bella ragazza di questo mondo.
Come ebbe compiuto dodici anni, fu presa dalla strega e rinchiusa in
una torre, che sorgeva in mezzo a una selva e non aveva né porta né
scala. In cima soltanto v’era un finestrino. Quando la maliarda8 vole4 risolvette: decise.
5 mondati: puliti.
6 gliene colse ... in ismanie: le venne un desiderio (vaghezza) ancora maggiore di mangiarne altri e ricominciò a mostrare segni di impazienza.
7 Madonna: titolo di rispetto che si dava una volta alle dame.
8 maliarda: maga, fattucchiera.
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Orchi, streghe e lupi cattivi
va andare a farle visita, si metteva ai piedi della torre, sotto il finestrino, e diceva:
Raponzo, Raperonzolo,
Metti fuori il tuo condinzolo!
Il condinzolo erano i capelli meravigliosi della giovinetta, biondi e
fini come oro filato e lunghi venti metri, che essa, a quell’invito, doveva lasciar pendere fuori dal finestrino, giù, fino a terra. La vecchia
così vi si attaccava e come un gatto si arrampicava fino in cima.
Dopo un paio d’anni avvenne che il figlio del re, attraversando a cavallo quel bosco, passò davanti alla torre di Raperonzolo e lo colpì la
voce della fanciulla, che per non morir di noia cantava. Il principe
fermò il suo destriero9 e rimase un poco ad ascoltare, rapito in estasi
dalla voce e dalla melodia. Poi cercò dove fosse la porta per andar su
e non ne trovò alcuna e finalmente, sconsolato, se ne tornò a casa.
Ma quella vocina gli era entrata nel cuore: ed egli ogni giorno andava
sotto la torre e si metteva in ascolto. Una volta che se ne stava là,
nascosto all’ombra di un grande albero, venne la strega e chiamò:
Raponzo, Raperonzolo,
Metti fuori il tuo condinzolo!
ed egli vide scendere giù dalla finestra la treccia d’oro, e la vecchia
arrampicarvisi e sparire nella torre.
Che cosa fa allora il nostro principe?
La sera dopo, appena calato il sole, va sotto la torre e dice anche lui:
Raponzo, Raperonzolo,
Metti fuori il tuo condinzolo!
e come la ragazza ha appeso la lunga ciocca fuori, vi si arrampica e
sale su. Nel primo momento ella ebbe paura. Ma il principe seppe
parlarle così dolcemente che la fanciulla si calmò, lo guardò in viso e
si accorse anche che era un bel giovanotto. Egli le disse che la sua
voce lo aveva commosso, che non poteva più vivere lontano da lei, e
le domandò se lo avrebbe sposato volentieri.
Raperonzolo si disse fra sé e sé: “Questo bel principe mi vorrà bene,
assai più di Madonna Strampalata!” e gli porse la mano in segno di
simpatia e di consenso. Poi rispose:
– Con te verrei volentieri... Ma come faccio a uscire di qui? Non c’è
né scala né porta. Facciamo così: quando torni, portami una grossa
matassa di seta: io l’intreccerò e ne farò una scala, per poter scendere
anch’io, e tu mi metterai sul tuo cavallo.
Fissarono che il principe ogni sera sarebbe andato a farle visita e, per
un po’ di tempo, Madonna Strampalata non si accorse di nulla.
Considera la domanda.
Chi la pone?
La strega.
Raperonzolo.
Il principe.
Colui che sta raccontando la storia.
A chi è rivolta?
Al principe.
Alla fanciulla.
Al lettore.
Alla strega.
9 destriero: cavallo.
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Unità
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I GENERI: LA FIABA
Individua il significato
della parola sottolineata:
altura.
pianura incolta.
regione nordica.
paese.
Ma una volta la fanciulla, senza pensare al pericolo cui si esponeva
dicendo il suo segreto, fece alla vecchia questa domanda:
– Come mai siete tanto pesante e il principe invece mi par così leggero che in un momento lo tiro su?
– Un principe da te! Nella torre?... Ah, scellerata! Io credevo di averti
messa al sicuro, lontana da tutti, e tu me l’hai fatta! Aspetta! – gridò
la strega sdegnata e, afferrata la treccia bionda, se l’avvoltolò intorno
a una mano, poi con l’altra diè di piglio10 ad un paio di forbicioni e
con un colpo solo spietatamente la tagliò. Poi prese la ragazza e la
condusse in una landa deserta, dove la condannò a vivere di stenti11,
nell’abbandono e nella miseria.
In quello stesso giorno, verso il tramonto, la maliarda attaccò al cardine del finestrino la treccia bionda recisa e si mise ad aspettare.
“Ci cascherai!” diceva fra sé. “Merlo, ci cascherai!” e si stropicciava le
mani per la gioia malvagia.
Di lì a poco, ecco infatti il principe, che dice:
Mia bella Raperonzolo
Mi porgi il tuo condinzolo!
Lesta, la vecchia fa penzolare fuori dalla finestra i capelli lunghissimi
della fanciulla.
Figurarsi il dolore e lo spavento di quel povero fidanzato quando,
invece della soavissima figliuola, trovò quella orrenda strega, che si
mise subito a guardarlo con arroganza e gli disse, ridendo con perfida
allegria:
– Ah, ah! Il merlo viene a cercare la canarina12, eh? Ma dovete sapere,
caro signor rugantino13, che quell’uccellino che cantava così bene non
è più nel nido, perché il gatto se l’è preso e, se voi vi accostaste ad
esso per riprenderlo, il gatto vi si avventerebbe agli occhi. Avete capito? E perché intendiate meglio, se foste duro d’orecchi, vi dirò: Raperonzolo per voi è perduta. Voi non la rivedrete mai più.
Il principe fu tanto disperato che, invece di ridiscendere attaccandosi
alla treccia, saltò giù dalla finestra addirittura. Per miracolo ebbe salva
la vita, ma le spine di una siepe gli ferirono gli occhi e lo accecarono.
Egli si diede a vagare per il bosco, in cerca della fanciulla: non poteva
rassegnarsi a vivere lontano da lei. Mangiava ogni tanto qualche radice e qualche fragola, tanto per non morire, e girava, girava, di su e di
10 diè di piglio: pigliò, prese con foga.
11 stenti: fatiche.
12 Il merlo viene a cercare la canarina: la strega parla con un linguaggio simbolico. Il merlo è il principe, la canarina è Raperonzolo e il gatto rappresenta la strega stessa.
13 rugantino: è il nome di una maschera romana che rappresenta il classico seccatore, che
ficca il naso dappertutto. Il termine viene perciò usato per indicare una persona che ha
queste caratteristiche.
76
Orchi, streghe e lupi cattivi
giù, lamentandosi e piangendo per la perdita di
Raperonzolo. Andò ramingo14 per vari anni, e
gira e gira, arrivò nella landa deserta, dove la
vittima della strega era stata relegata. A un tratto gli parve di udire la voce cara e a occhi chiusi si diresse verso quella, nella speranza di ritrovare l’amata. Finalmente i due s’incontrarono.
Essa lo riconobbe, gli gettò le braccia al collo e
pianse dirottamente. Due di quelle lagrime così calde e amorose caddero sugli occhi al cieco
e gli occhi guarirono per incanto e riebbero la
vista come prima.
Ritrovata la sposa, il principe tornò con lei alla
reggia, dove vissero lungamente, felici.
E se non son morti, ci sono ancora.
14 ramingo: girovago,
vagabondo.
tratto da 50 Novelle dei Fratelli Grimm, trad. di F. V. Mussini, Hoepli
Comprendere l’essenziale
1.Rispondi alle seguenti domande.
3.L’incantesimo che alla fine salva i due giovani
e rende possibile il lieto fine dipende:
dalla volontà della strega, che si è pentita.
• Perché Raperonzolo si chiama così? Chi lo ha
dall’intervento di un altro personaggio dai poteri soprannaturali.
deciso?
• Che cosa accade quando Raperonzolo compie
dall’amore dei due giovani, che annulla la malvagità della strega.
dodici anni?
• Quale sistema usa la vecchia per andare a trovare Raperonzolo?
• Com’è che il principe si accorge dell’esistenza
della fanciulla?
• Che cosa provoca la cecità del principe? Chi e
come lo guarirà?
Le caratteristiche del genere
2.Considera l’inizio, lo sviluppo e la conclusione
della storia di Raperonzolo. Rispecchiano il modello di fiaba classica? Perché?
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Analisi del testo
4.Nel testo compare una breve filastrocca. Quante volte si ripete? Quali parole la fanno sembrare uno scioglilingua?
...............................................................................................
Parlare e scrivere
5.Nelle fiabe molto spesso i nomi attribuiti ai
personaggi sono particolari, perché ricordano
esplicitamente qualche loro caratteristica:
spiega il significato dei nomi attribuiti alla fanciulla e alla strega. Poi trova un nome adatto
per il principe, che nella fiaba è indicato solo
con il suo titolo nobiliare.
77
Unità
2
I GENERI: LA FIABA
Fiaba trascritta da Italo Calvino
Zio Lupo
In questa fiaba entra in scena il lupo, che si presenta nel suo ruolo più classico di
spauracchio dei bambini disubbidienti. La fiaba è curiosa e del tutto particolare,
perché introduce alcune variazioni rispetto alla tradizione: la protagonista non è
certo un modello di virtù; quanto al lupo, sembra quasi che sia costretto a difendere il suo ruolo di cattivo per vendicarsi della beffa subita...
1 fare la maglia: lavorare
a maglia. Un tempo, a
scuola, le bambine imparavano tutti i lavori ritenuti tipicamente femminili, come la maglia, il
ricamo ecc.
2 al camerino: in bagno.
3 gabbana: termine che
indica una specie di largo cappotto, spesso dotato di cappuccio.
78
C’era una bambina golosa. Un giorno di Carnevale la maestra dice
alle bambine: – Se siete buone a finire la maglia, vi do le frittelle.
Ma quella bambina non sapeva fare la maglia1, e chiese d’andare al
camerino2. Si chiuse là dentro e ci s’addormentò. Quando tornò in
classe, le altre bambine s’erano mangiate tutte le frittelle. E lei andò a
piangere da sua madre e a raccontarle tutta la storia.
– Sta’ buona, poverina. Ti farò io le frittelle – disse la mamma. Ma la
mamma era tanto povera che non aveva nemmeno la padella. – Va’
da Zio Lupo, a chiedergli se ci presta la padella.
La bambina andò alla casa di Zio Lupo. Bussò: «Bum, bum».
– Chi è?
– Sono io!
– Tanti anni, tanti mesi che nessuno batte più a questa porta! Cosa
vuoi?
– Mi manda la mamma, a chiedervi se ci prestate la padella per fare le
frittelle.
– Aspetta che mi metto la camicia.
«Bum, bum.»
– Aspetta che mi metto i mutandoni.
«Bum, bum.»
– Aspetta che mi metto i pantaloni.
«Bum, bum.»
– Aspetta che mi metto la gabbana3.
Finalmente Zio Lupo aperse e le diede la padella. – Io ve la presto, ma
di’ alla mamma che quando me la restituisce me la mandi piena di
frittelle, con una pagnotta di pane e un fiasco di vino.
– Sì sì, vi porterò tutto.
Quando fu a casa, la mamma fece alla bambina tante buone frittelle,
e ne lasciò una padellata per Zio Lupo. Prima di sera le disse: – Porta
le frittelle a Zio Lupo, e questa pagnotta di pane e questo fiasco di
vino –. La bambina, golosa com’era, per strada cominciò ad annusare
le frittelle. “Oh, che buon profumino! E se ne assaggiassi una?” E una
due tre se le mangiò tutte, e per accompagnarle si mangiò tutto il
pane e per mandarle giù si bevve anche il vino.
Orchi, streghe e lupi cattivi
Allora, per riempire la padella, raccolse per la strada delle polpette di
somaro. E il fiasco, lo riempì d’acqua sporca. E per pane fece una pagnotta con la calcina4 d’un muratore che lavorava per la strada. E
quando arrivò da Zio Lupo gli diede tutta questa brutta roba.
Zio Lupo assaggiò una frittella. – Puecc! Ma questa è polpetta di somaro! – Va subito per bere il vino per togliersi il sapore di bocca. – Puecc!
Ma questa è acqua sporca! – Addenta un pezzo di pane e: – Puecc! Ma
questa è calcina!
Guardò la bambina con occhi di fuoco e disse: – Stanotte ti vengo a
mangiare!
La bambina corse a casa da sua mamma: – Stanotte viene Zio Lupo e
mi mangia! – La mamma cominciò a chiudere porte, a chiudere finestre, a chiudere tutti i buchi della casa perché Zio Lupo non potesse
entrare, ma si dimenticò di chiudere il camino5. Quando fu notte e la
bambina era già a letto, si sentì la voce di Zio Lupo da fuori: – Adesso
ti mangio! Sono vicino a casa! – Poi si sentì un passo sulle tegole: –
Adesso ti mangio! Sono sul tetto! – Poi si sentì un gran rumore giù per
il camino: – Adesso ti mangio! Sono nel camino!
– Mamma mamma, c’è il lupo!
– Nasconditi sotto le coperte!
– Adesso ti mangio! Sono nel focolare!
La bambina si rincantucciò nel letto, tremando come una foglia.
– Adesso ti mangio! Sono nella stanza!
La bambina trattenne il respiro.
– Adesso ti mangio! Sono ai piedi del letto! Ahm, che ti mangio! – E
se la mangiò.
E così Zio Lupo mangia sempre le bambine golose.
4 calcina: impasto di calce, sabbia e acqua.
5 chiudere il camino: la
cappa del camino comunica direttamente con
l’esterno, per far defluire
il fumo. Se si vuole chiudere questo passaggio, è
necessario bloccarlo con
un apposito portello.
tratto da Fiabe italiane, a cura di I. Calvino, Einaudi
79
Unità
2
I GENERI: LA FIABA
Abilità
Le tecniche
1.Leggi ad alta voce la fiaba. Nel racconto tutti i personaggi si esprimono in forma di dialogo: come hai
segnalato il passaggio dalla narrazione alle battute dei vari personaggi?
Risultava già chiaro dal testo.
Ho fatto una pausa prima e/o dopo le singole battute.
Ho cambiato il tono di voce.
Altro:
..................................................................................................
2.Quale tono di voce si adatta ai tre personaggi della fiaba?
squillante – serio – cupo – suadente – dolce – neutro – pacato – sommesso
Mamma
Bambina
Zio Lupo
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.............................................................
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.............................................................
.............................................................
.............................................................
3.In quale parte della fiaba l’intensità della voce dei personaggi deve essere maggiore?
All’inizio.
A metà della vicenda.
Alla fine.
Lettura attiva
4.Senza rileggere la fiaba, riordina i seguenti eventi, che ti diamo in ordine sparso.
La bambina viene divorata. La mamma manda la bambina da Zio Lupo.
La bambina mangia le frittelle e beve il vino. Zio Lupo si accorge dell’inganno.
5.Quanto è durata la lettura della fiaba? Quanto durerebbe, se accadesse nella realtà, l’intera vicenda?
BIETTIVI DIDATTICI
• Leggere ad alta voce in modo espressivo utilizzando tecniche adeguate.
• Leggere attentamente per essere in grado di riconoscere gli elementi
della storia.
Comprendere l’essenziale
perché è cattivo di natura.
1.Rispondi alle seguenti domande.
perché la bimba gli è antipatica.
• Perché la protagonista, a scuola, resta senza
frittelle?
•
•
•
•
Con quale richiesta si reca alla casa di Zio Lupo?
Quale patto fanno la bambina e Zio Lupo?
La bimba tiene fede al patto? Perché?
Come la punisce il lupo?
Comprendere tra le righe
2.Alla fine il lupo mangia la bambina:
80
perché la bimba si è comportata male.
perché la bimba non sa fare la maglia.
Parlare e scrivere
3.La fiaba usa la paura che incute il lupo per
insegnare ai bambini a comportarsi secondo le
regole.
Qualcuno ha usato anche con te, quando eri
piccolo, lo spauracchio del lupo per insegnarti
a fare o non fare certe cose? Racconta.
A te la penna!
Riscrivi la fiaba secondo il punto di vista del cattivo
Nelle fiabe classiche i comportamenti dei cattivi non hanno mai una giustificazione. Tuttavia la
fantasia ci può aiutare a vedere le cose da un altro punto di vista. Prova per esempio a leggere la
storia di Pollicino dal punto di vista della moglie dell’orco: per lei i comportamenti del marito non
sono affatto dettati da crudeltà, ma solo da un istintivo “appetito” che gli orchi non possono proprio
controllare, perché nessuno ha mai spiegato loro le regole di una buona “educazione alimentare”...
Sono la moglie dell’orco. Mio marito ha le sue stranezze. Ma è un brav’uomo. Gli ho
dato sette figlie. Ahimè, ora sono tutte morte; è stato lui a ucciderle per sbaglio, come ben
sapete; la colpa è tutta di quel piccolo diavolo di Pollicino.
Quando in una notte buia e tempestosa i sette giovani si rifugiarono a casa mia, mi fecero compassione e li nascosi a mio marito. Ma lui sentì odore di carne umana e li scovò
sotto il letto. Per salvarli gli consigliai di mangiarli una volta che li avessi ben rimpinzati.
Lui acconsentì, quella sera mangiò soltanto alcuni cosciotti di vitello, un piccolo montone e un mezzo maiale e bevve abbondantemente. Si addormentò ancora a tavola. Allora
portai i sette fanciulli nella camera delle bambine. C’erano due grandi letti. In uno dormivano le mie dolci figliole. Nell’altro misi i ragazzi.
Quel birbone di Pollicino tolse alle fanciulle le cuffiette da notte. Le cuffiette se le misero
quel diavoletto e i suoi fratelli. Quando già dormivo, mio marito si alzò da tavola, entrò
nella camera delle bambine e cercò tastando nel buio i letti. Quando sentì le coroncine
sulle teste dei ragazzi, pensò che fossero le sue bambine, andò verso l’altro letto e tagliò
la gola alle figlie. Poi venne a letto e incominciò a russare. Quando, alzatami di buon
mattino, guardai nella camera delle bambine, i sette ragazzi se n’erano già andati mentre
le mie figlie giacevano nel loro sangue. Svenni. Accorse mio marito, maledisse la sua sete
smodata1 e il destino, si mise gli stivali delle sette leghe e si buttò all’inseguimento dei
fuggitivi. A notte fonda tornò senza gli stivali. Glieli aveva sfilati quella peste di Pollicino
mentre si era messo a dormire lungo la strada. Intanto avevo lavato le mie figliolette e le
avevo preparate per le esequie2 cristiane.
Piangemmo a dirotto, io e mio marito. Da allora mangia raramente carne umana.
tratto da F. Hessel, L’arte di andare a passeggio, trad. di E. Venturelli, Serra e Riva Editori
1 smodata: eccessiva.
2 esequie: funerali.
Prova a riscrivere in prima persona una delle fiabe che hai letto, assumendo il punto di vista di un
protagonista “cattivo” e giustificando i tuoi comportamenti. Ti proponiamo qualche idea:
• in Raperonzolo, Madonna Strampalata ha rapito la ragazza solo perché soffriva di solitudine... E l’ha
relegata nel deserto per insegnarle che una brava ragazza non deve parlare con gli sconosciuti...
• quanto a Zio Lupo, quella ragazzina golosa si è dimostrata veramente impertinente nell’offrirgli
polpette di somaro invece di frittelle! Come non riconoscergli il diritto di arrabbiarsi?
BIETTIVO DIDATTICO
Modificare un testo a partire da un modello dato.
81
Testi a confronto
Fiaba e antifiaba
Le fiabe sono racconti tradizionali che si reggono su elementi comuni e
ricorrenti, che ci permettono di prevederne lo svolgimento e, soprattutto, il finale. Ma che cosa succederebbe se “alterassimo” questi elementi
comuni e li trasformassimo a nostro piacere?
Alcuni scrittori moderni hanno provato a farlo, creando delle divertenti
antifiabe, cioè delle storie in cui i personaggi e la morale risultano “capovolti” rispetto alle fiabe tradizionali.
Leggi una delle tante versioni della famosa fiaba Cappuccetto Rosso e la riscrittura da parte di James Thurber.
Charles Perrault
Cappuccetto Rosso
C’era una volta in un villaggio una bambina, la più carina che si potesse mai vedere. La sua mamma n’era matta1, e la sua nonna anche
di più. Quella buona donna di sua madre le aveva fatto fare un cappuccetto rosso, il quale le donava così tanto, che la chiamavano dappertutto Cappuccetto Rosso.
Un giorno sua madre, avendo cavato di forno alcune schiacciate2, le
disse: – Va’ un po’ a vedere come sta la tua nonna, perché mi hanno
detto che era un po’ incomodata3: e intanto portale questa schiacciata e questo vasetto di burro –. Cappuccetto Rosso, senza farselo dire
due volte, partì per andare dalla sua nonna, la quale stava in un altro
villaggio. E passando per un bosco s’imbatté in quella buona lana4 del
Lupo, il quale avrebbe avuto una gran voglia di mangiarsela; ma
poi non ebbe il coraggio di farlo, a motivo di certi taglialegna
che erano lì nella foresta. Egli le domandò dove andava. La
povera bambina, che non sapeva quanto sia pericoloso
fermarsi per dar retta al Lupo, gli disse:
– Vado a vedere la mia nonna e a portarle una schiacciata, con questo vasetto di burro, che le manda la
mamma mia.
– Sta molto lontana di qui? –, disse il Lupo.
– Oh, tutt’altro! –, disse Cappuccetto Rosso. – La
nonna sta laggiù, passato quel mulino, che si vede
di qui, nella prima casa, al principio del villaggio.
– Benissimo –, disse il Lupo, – voglio venire a ve1 n’era matta: le voleva un mondo di bene.
2 cavato di forno… schiacciate: tolto dal forno alcune focacce.
3 era un po’ incomodata: non stava bene.
4 buona lana: vecchio farabutto, canaglia.
82
Orchi, streghe e lupi cattivi
derla anch’io. Io piglierò da questa parte, e tu da quell’altra, e faremo
a chi arriva più presto. Il Lupo si mise a correre per la sua strada, che
era una scorciatoia, con quanta forza aveva nelle gambe; e la bambina
se ne andò per la sua strada, che era la più lunga, fermandosi a cogliere le nocciuole, a dar dietro alle farfalle, e a fare dei mazzetti con
tutti i fiorellini che incontrava lungo la via. Il Lupo in due salti arrivò
a casa della nonna e bussò.
– Toc, toc.
– Chi è?
– Sono la vostra bambina, son Cappuccetto Rosso –, disse il Lupo,
contraffacendone5 la voce, – e vengo a portarvi una schiacciata e un
vasetto di burro, che vi manda la mamma mia.
La buona nonna, che era a letto perché non si sentiva troppo bene,
gli gridò: – Tira la stanghetta, e la porta si aprirà.
Il Lupo tirò la stanghetta, e la porta si aprì. Appena dentro, si gettò
sulla buona donna e la divorò in men che non si dica, perché erano
tre giorni che non s’era sdigiunato6. Quindi richiuse la porta e andò
a mettersi nel letto della nonna, aspettando che arrivasse Cappuccetto Rosso, che, di lì a poco, venne a picchiare alla porta.
– Toc, toc.
– Chi è?
Cappuccetto Rosso, che sentì il vocione grosso del Lupo, ebbe dapprincipio un po’ di paura; ma credendo che la sua nonna fosse infreddata rispose: – Sono la vostra bambina, son Cappuccetto Rosso, che
vengo a portarvi una schiacciata e un vasetto di burro, che vi manda
la mamma mia.
Il Lupo gridò di dentro, assottigliando un po’ la voce: – Tira la stanghetta e la porta si aprirà.
Cappuccetto Rosso tirò la stanghetta e la porta si aprì. Il Lupo, vistala
entrare, le disse, nascondendosi sotto le coperte: – Posa la schiacciata
e il vasetto di burro sulla madia7 e vieni a letto con me.
Cappuccetto Rosso si spogliò ed entrò nel letto, dove ebbe una gran
sorpresa nel vedere com’era fatta la sua nonna, quando era tutta spogliata. E cominciò a dire: – O nonna mia, che braccia grandi che avete!
– Gli è8 per abbracciarti meglio, bambina mia.
– O nonna mia, che gambe grandi che avete!
– Gli è per correr meglio, bambina mia.
– O nonna mia, che orecchie grandi che avete!
– Gli è per sentirci meglio, bambina mia.
– O nonna mia, che occhioni grandi che avete!
– Gli è per vederci meglio, bambina mia.
– O nonna mia, che denti grandi che avete!
– Gli è per mangiarti meglio. – E nel dir così, quel malanno di Lupo
si gettò sul povero Cappuccetto Rosso, e ne fece un boccone.
5 contraffacendone: imitandone.
6 non s’era sdigiunato:
non s’era tolto la fame.
7 madia: mobile che un
tempo era usato per
conservare il pane.
8 Gli è: È.
83
Testi a confronto
La storia di Cappuccetto Rosso fa vedere ai giovinetti e alle giovinette,
e segnatamente9 alle giovinette, che non bisogna mai fermarsi a discorrere per la strada con gente che non si conosce: perché di lupi ce
n’è dappertutto e di diverse specie, e i più pericolosi sono appunto
quelli che hanno faccia di persone garbate e piene di complimenti e
di belle maniere.
tratto da C. Perrault, Cappuccetto Rosso
9 segnatamente: particolarmente.
James Thurber
La terribile Cappuccetto Rosso
Un lupo aspettava un giorno nel folto della foresta il passaggio d’una
fanciulla che doveva portare un cestello di cibarie alla nonna.
Finalmente la fanciulla arrivò: essa portava la cesta dei commestibili.
– Porti quel canestro a tua nonna? – domandò il lupo.
La fanciulla rispose di sì, che lo portava alla nonna.
Allora il lupo le chiese dove la nonna abitasse; la fanciulla glielo disse,
e quello scomparve nel bosco. Quando la fanciulla aprì la porta della
capanna vide che qualcuno stava nel letto, qualcuno con un berretto
da notte. Ma non s’era avvicinata più di tre metri al letto e già s’accorgeva che non si trattava della nonna, bensì del lupo; giacché un
lupo, anche se si mette il berretto da notte, non assomiglia a una
nonna più di quanto il leone dei film della Metro-Goldwyn1 assomigli
al presidente della repubblica. Allora la fanciulla trasse una pistola
automatica dal cestello e freddò2 il lupo.
tratto da J. Thurber, La notte degli spiriti e altri racconti, Corbaccio
1 Metro-Goldwyn: casa di produzione cinematografica che ha come simbolo un leone.
2 freddò: uccise.
Confronta
Comprendi
1.Quali sono i principali elementi di differenza nell’antifiaba che hai
letto?
Il carattere dei protagonisti.
Il punto di vista di chi racconta la storia.
L’epoca in cui vivono i personaggi.
Il luogo in cui si svolge la vicenda.
2.Quale potrebbe essere, secondo te, la morale dell’antifiaba che ti
abbiamo proposto?
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