Diapositiva 1
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4 Workshop Percezione, rappresentazione, simbolizzazione: il corpo incontra l’acqua Lucia Precchia TNPEE, Centro Don Orione - Napoli “L a psicomotricità consiste nell’aprire il soggetto alla comunicazione verso l’altro, permettendogli il riconoscimento del suo corpo, sviluppando le sue potenzialità espressive attraverso la liberazione dal peso delle menzogne, delle minacce, dei rifiuti inscritti nel suo corpo” (Soubiran) Questo assunto veicola l’abilitazione funzionale tramite la relazione del soggetto con l’altro, lo spazio, il tempo, gli oggetti e la motricità di relazione. Parametri Motricità Linguaggio Spazio Tempo Schema corporeo Sviluppo affettivo Capacità di gioco Perché la psicomotricità in acqua? Perché l’acqua con la sua densità e il suo calore, avvolge il corpo, lo sostiene, lo modella, lo massaggia come l’aria non può fare. Perché creando una resistenza al movimento e al gesto, permette al bambino di riflettere su schemi che percepisce fuori dall’automatismo, e può quindi, rappresentare in un rapporto di causalità immediata (spinta/spruzzo). Ancora, perché permette di recuperare una globalità di sensazioni, che fuori dall’utero sono possibili solo nell’acqua. Perché la leggerezza consentita dalla galleggiabilità permette di recuperare piani percettivi impensabili. Con chi? Con chi? Coloro che, fuori da una sperimentazione sensomotoria, vivono il gioco simbolico nella staticità degli stati creativi, nella immobilità del corpo dove la fantasia crea e trasforma esaltando i connotati fantasmatici, impedendo il passaggio a strategie di pensiero più mature. Il lavoro in acqua esalta il piano di realtà creando piani inusuali di utilizzo del corpo dove nulla è dato per scontato favorendo quell’uso dello spazio, del tempo e dell’oggetto in chiave simbolica che permettono una rappresentazione mentale più coerente ed aderente. Con chi? I bambini che trovano difficoltà ed elaborare un tono coerente e funzionale, quale che ne sia la causa, perché attraverso un mediatore più denso dell’aria possono rendersi consapevoli del gesto, della sua direzione, forza, velocità, degli effetti che produce sul piano sensibile. Oltre agli effetti sul movimento questo lavoro, attraverso il riconoscimento di un rapporto causale, permette a questi bambini di entrare nel parametro del tempo. Grazie al dialogo tonico, mediato dal corpo del terapista in un elemento uniformemente sentito sul piano cinestetico, consente di recuperare la dimensione di un sé corporeo come intero nelle sue parti. Con chi? Tutti quei bambini con distorsioni relazionali che, attraverso il recupero di una dimensione acquatica, possono giocarsi una relazione arcaica con l’altro, dove il livello funzionale può essere mediato da un piano di realtà oggettiva rappresentato dallo spazio piscina, dall’uso del tempo, nella ricostruzione metafisica di una individuazione di sé. Qui presenza/assenza, vicinanza/distanza, egocentrismo e onnipotenza si giocano su piani simbolici profondi in un universo trasparente ma visibile che attutisce ed esalta entrambe le esperienze. Con chi? Quella categoria di bambini che hanno difficoltà ad affidarsi all’altro e al piacere del gioco. Qui la dimensione acqua favorisce l’apertura al piacere senso-motorio, dove la peculiarità dell’elemento nel suo rallentare, attutire, accompagnare, sottolineare il movimento, permette al bambino di sentire senza che l’emozione sia pervasiva, invadente, sconvolgente. E’ il piacere che muove la motivazione; è il desiderio che la sostiene. Perciò in acqua quei bambini imparano a crescere attraverso un’esperienza impensabile fuori casa. Con chi? La categoria dei bambini “instabili”, quelli che non riescono ad assimilare le esperienze, quelli che passano attraverso la vita senza potersi fermare, quelli per cui ascoltare è impossibile, guardare non diventa vedere, per loro il lavoro in acqua è trovare un luogo dove “stare”, in cui esprimersi, in cui progettare, costruire un gesto, un movimento legato ad un’azione. Qui il feedback è immediato, l’atto prende corpo e il tuffo, il nuoto, lo spruzzone o evitare lo spruzzo permettono di passare a livelli di coscienza, dove si può dirigere l’esperienza, assimilarla per poi accedere ad una struttura di pensiero. Quando? Quando? Sicuramente, dopo una buona osservazione in sala. Non esistono regole fisse e quasi tutte le motivazioni si legano alla storia del bambino, alla sua storia terapeutica, alla validità del progetto, ai tempi ed all’obiettivo che si vuole raggiungere. Si può utilizzare l’elemento acqua all’inizio di una terapia, per destrutturare degli automatismi o per ristrutturare un corpo; al termine di un percorso terapeutico, per segnare un distacco dalla sala e cominciare a istituire un processo di separazione o per trovare nuove motivazioni in una situazione terapeutica fissa ed immobile da troppo tempo. Per quanto tempo? Questa domanda è strettamente collegata alla precedente, sarà l’equipé a scegliere se sono indicate tutte le sedute in acqua o se conservarne qualcuna in sala. Personalmente trovo che un intervento condotto esclusivamente in acqua sia un po’ riduttivo e possa essere proposto solo alla fine del percorso. Vorrei aggiungere che quando parlo di “Psicomotricità in acqua” in realtà allargo il campo alla psicomotricità con l’acqua: non è necessario che il bambino s’immerga, se in un ambiente adatto, può lavorare con e nell’acqua. Certo, le percezioni attivate e le sensazioni provate saranno totalmente diverse e serviranno ad altri scopi e per altri obiettivi. Nell’acqua cambia totalmente la percezione del corpo, si attivano immediatamente: la percezione sensoriale sul contrasto caldo/freddo, con tutte le conseguenze toniche e posturali; -la sensazione cinestesica di pressione dovuta alla densità; -la percezione di leggerezza dovuta alla galleggiabilità dove cambiano anche totalmente i punti di baricentro e di equilibrio del corpo e delle sue parti; -Cambiano i valori pressori per una vasodilatazione o vasocostrizione; -Cambia la visione di se stesso e dell’altro in costume e cuffia; -Cambia la forza, l’economia e la velocità del movimento a causa della viscosità e non va dimenticato l’effetto di turbolenza, ed attrito; -cambia il respiro e la tecnica di respirazione; -cambiando i riferimenti corporei, cambiano quelli spaziali, cambia la percezione dei parametri topologici, così come il tempo assume la caratteristica arcaica del contrasto piacere/dispiacere. Non va sottovalutato l’aspetto della vulnerabilità dovuta alla perdita della “corazza” del vestito che ha assunto l’importanza di mezzo di comunicazione di sé. Si attiveranno sicuramente elaborazioni inconsapevoli sul piano tonico che si tradurranno sul piano posturale e sul piano dell’investimento dello spazio. In acqua il sopra/sotto, dentro/fuori, orizzontale/verticale sono categorie assolutamente arcaiche investite sul piano senso-motorio del gioco in maniera spontanea. Il bisogno di rassicurazione spesso supera le capacità ideative che si ancorano ad esperienze ripetitive di tuffo, nuoto, schizzo ricostruendo un piano di conoscenza usuale con l’elemento. Tutte le informazioni percettive trovano una elaborazione rappresentativa sul piano cognitivo e, se il lavoro si strutturerà in un ambito motivazionale e di piacere che preveda l’uso di tutte le categorie analogiche ed espressive, di fatto vengono attivate più velocemente la categoria del gioco, la fluidità del movimento e la ricchezza della sperimentazione. Più veloce e sicuro sarà il passaggio dall’area del gioco motorio a quella fantasmatica, per ritrovare il piacere dell’esibizione motoria in coloro che vivono con una buona acquaticità le esperienze proposte. E’come se da una strutturazione rassicurante e automatica del movimento e del gioco si potesse passare ad una riscoperta di tutte le valenze del corpo, da quelle eterocettive a quelle volte all’esterno, attraverso il passaggio dalla sensazione alla percezione, e dalla percezione alla rappresentazione mentale, nella quale il corpo riacquista le sue capacità affettive, cognitive e motorie. Si trovano indici di verifica non solo sul piano sperimentale dell’azione, per quanto già basterebbe, ma risultano visibili anche dalla verbalizzazione successiva. Si sviluppano relazione: insieme alla -lo schema corporeo -la permanenza dell’oggetto -l’immagine di sé -l’orientamento nello spazio e nel tempo -la capacità di elaborare una relazione significativa con l’altro. La capacità di simbolizzare è strettamente collegata alla capacità di rappresentare mentalmente le informazioni che arrivano dai canali sensoriali. In qualche maniera è il feedbach in uscita delle informazioni ricevute. Molte sono le modalità di simbolizzare in area psicomotoria. La più immediata è la capacità di accedere a giochi diversi, di sperimentare situazioni uguali in maniera diversa e situazioni diverse in maniera uguale. Simbolizzare in acqua significa fare finta senza avere la possibilità di costruire lo spazio, di travestirsi, di impersonare un ruolo se non attraverso il tono, la mimica, il gesto, l’uso della vicinanza/lontananza, del sopra/sotto, dentro/fuori, con una modalità molto arcaica e molto vicina a quella del bambino, senza che sia necessaria la mediazione dell’oggetto. Ciò non toglie che si attivano azioni profondamente simboliche strettamente legate alle attività rappresentative di un corpo che cambia i suoi parametri. Attività significative che permettono un’evoluzione sul piano della relazione con l’altro e nell’uso del contatto e nella ricerca dell’interazione, attraverso lo sguardo che si fissa sul viso dell’altro ritrovandolo alla stessa altezza. Durante la ricerca formale della ricostruzione del senso dell’azione si propongono canali espressivi diversi quali: modellaggio, attività pittorica, racconto, ma soprattutto verbalizzazione. Il bisogno di rassicurazione spesso supera le capacità ideative che si ancorano ad esperienze ripetitive di tuffo, nuoto, schizzo ricostruendo un piano di conoscenza usuale con l’elemento. Durante quest’ultima fase si mettono parole non solo su quanto emozionalmente ha permeato l’esperienza, ma si indaga soprattutto su: Cosa ho fatto Come l’ho fatto Affinchè uno psicomotricista possa sentirsi più sicuro nell’utilizzare l’acqua come uno strumento terapeutico, il processo formativo proporrà dunque, una sperimentazione del cambiamento sul piano corporeo. Proporrà organizzazioni del tempo più strettamente correlate all’affettività, alla costruzione di un prima/dopo ed alla strutturazione di un rapporto di causalità. Proporrà modi di strutturare lo spazio in maniera aderente al contesto, tenendo presenti le caratteristiche fondamentali dell’acqua e del suo contenitore piscina. “E’ l’esperienza corporea che permette al contenente psichico di acquistare un suo statuto. Occorre partecipare all’elaborazione del contenente psichico con un lavoro attraverso il corpo” (Anzieu)