I fuggitivi - Rivista di Psichiatria

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I fuggitivi - Rivista di Psichiatria
I fuggitivi
The fugitives
ALESSANDRA BERTI, CAMILLA MABERINO
Dipartimentento di Neuroscienze, Università di Genova
RIASSUNTO. Dal punto di vista psicopatologico ogniqualvolta esista una deviazione della coscienza dallo stato di lucidità,
continuità o connessione con l’Io, cioè un’alterazione della coscienza associata ad un deficit mnesico, ci troviamo nell’ambito di quelli che la psicopatologia tende ad indicare come stati dissociativi e la neurologia assenze. Nel presente lavoro gli autori studiano quegli stati in cui, pur compiendosi delle azioni, la coscienza è parzialmente o totalmente assente, classificandoli in base alla presenza o meno di un processo neurofisiologico che ne permetta, dettagli a parte, l’esatta comprensione. In
quest’ottica si parlerà pertanto di fughe giustificate e fughe comprensibili.
Presentando alcune osservazioni cliniche viene posta particolare attenzione all’eziopatogenesi psicodinamica delle Fughe
Dissociative.
PAROLE CHIAVE: fuga, memoria, emozioni, dissociazione, coscienza
SUMMARY. In psychopathology everytime an alteration of conscoiusness is associated to an amnesia we are in front of a dissociative state. In this article the authors analyse the situations in which consciousness is partially or totally absent although
the subject does act. They classify these situations by the presence or not of a known neurophysiological process, so that it is
possible to talk about “justified fugues” and “understandable fugues”. A clinical observation leads to think about consciousness and its alterations from a psychodynamic point of view, with particular attention to Dissociative Fugues.
KEY WORDS: fugue, memory, emotions, dissociation, consciousness
“- Dov’è il mio vecchio padre? Che si avvicini. E mio
figlio Penteo, dov’è? Arrivi con delle scale, le appoggi ai
muri del palazzo: c’è da inchiodare sul fregio questo
cranio di leone, il mio bottino, osservatelo.
- Quando vi tornerà la ragione, patirete il patibile
per quello che avete fatto; ma se rimarrete sempre così
come adesso, non vi sembrerà di essere infelici, anche
se lo siete.
- Cosa c’è che non va, cosa ti da fastidio?
- Ti prego, alza gli occhi, un attimo, verso il cielo.
- D’accordo, perché vuoi che lo faccia?
- Ti sembra lo stesso, o ti sembra diverso?
- È più luminoso, più limpido.
- E sei ancora tutta sottosopra, nel tuo animo?
- Non capisco cosa dici. Ma la mia testa si va schiarendo, qualcosa è cambiato nella mia mente.
- Sei in grado di ascoltarmi e rispondermi con chiarezza?
- Sì, le cose che abbiamo detto prima le ho scordate,
padre.
- Dimmi, quando hai preso marito, in che casa sei entrata?
- Mi hai dato in moglie a Echione, della stirpe, raccontano, del drago.
- E hai avuto un figlio da Echione?
- Sì, Penteo, nato dall’unione mia e di suo padre.
- E la testa che tieni fra le braccia di chi è?
- Di un leone, me l’hanno assicurato quelle che gli davano la caccia.
- Guardalo bene: non ti costerà un grande sforzo.
- Dio mio, cosa vedo? Che cosa ho tra le mani?”
Questo il dialogo straziante tra il vecchio Cadmo ed
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Agave, in preda all’esaltazione dionisiaca, mentre reca
alto sul tirso il capo mozzato del figlio Penteo, credendolo d’un leone, e lentamente riacquista coscienza del
tragico atto (1).
È dunque proprio nell’ultima tragedia di Euripide
che possiamo trovare un esempio emblematico di
un’alterazione della coscienza, che già ci permette di
avvertire tutta la complessità e la plasticità di questa
straordinaria facoltà umana.
Che le si siano provate personalmente al risveglio
da una anestesia o sognando ad occhi aperti nei banchi
di scuola (2), o che le si siano osservate nei propri pazienti, si sa che le alterazioni dello stato di coscienza
danno origine a fenomeni e situazioni così particolari,
che non è necessario uno scrittore di talento per renderle affascinanti, ma è sufficiente la loro conoscenza
dalla cronaca.
Un esempio per tutti, la scomparsa di Agatha Christie: nel 1926 dopo la morte della madre e la confessione del marito di avere un’amante, fu ritrovata la sua
macchina abbandonata al ciglio di una strada, senza alcuna traccia della scrittrice. Le ricerche della polizia su
una presunta morte violenta portarono alla città termale di Harrogate dove la nota giallista, in stato di amnesia, albergava registrata sotto falso nome, che si seppe era in seguito lo stesso dell’amante del marito.
Approcciare la coscienza partendo dalle sue assenze (3-4), dalle fughe da essa, cioè da situazioni di noncoscienza trova la sua ragione nell’evidenza clinica, essendo più facile cogliere l’elemento strano della norma, e nondimeno nella filosofia. Fichte (5), il grande filosofo idealista di fine Settecento, nel suo “Concetto
della dottrina della scienza” ci spiega che la “coscienza
sorge come avvertimento di una limitazione” e conseguentemente la conoscenza avviene dopo l’aver posto
una antitesi: l’io si conosce solo dopo la posizione di un
non-io. È il metodo antitetico quello che ci conduce alla conoscenza ed esso è fondato proprio sull’azione dinamica delle contrapposizioni, degli stati di essere contrapposti agli stati di non-essere. La statica osservazione non conduce alla conoscenza.
La coscienza (6) è un’attività straordinaria, è quel tipo di attività mentale che opera sulle altre attività
mentali. È una funzione al quadrato, che inquadra cioè
tutta la nostra attività mentale. È la mente che contiene il corpo: basti pensare ad un bambino di due anni
che, non avendo ancora elaborato la coscienza, si perde se lasciato solo. Ed ancora, la coscienza, optional
degli esseri superiori, è lo strumento che ha permesso
all’uomo di dominare la terra dal polo Nord al polo
Sud, che ha creato ad esempio il culto dei morti, le leggi, le trappole per gli animali. Essa ci fa vivere ma ci
informa pure che dobbiamo morire.
Attenendosi alla semplice definizione del vocabolario, la coscienza è la consapevolezza che un organismo
ha di sé stesso e di ciò che lo circonda (Cobb 1958;
Plum e Posner 1980). Pensando, invece, alla coscienza
come carattere distintivo degli umani, ci si pone dal
punto di vista fenomenologico, intendendo cioè un organo di senso supervisore che permette all’individuo di
sapere chiaramente che cosa sta pensando nel momento stesso in cui pensa, di sapere e volere ciò che fa, ed
inoltre di sapere che ciò che prova (l’esperienza) è collegato a sé stesso e conservato nella memoria (7).
Ad un’analisi più attenta del fenomeno coscienza,
però, la sensazione a cui si perviene è quella di trovarsi non di fronte a due definizioni dello stesso oggetto,
bensì a due generi diversi di coscienza. Uno più semplice, che chiameremo coscienza nucleare, prevalentemente legato alla percezione, fornisce all’organismo il
senso di sé in un dato momento e in un dato luogo, e il
cui raggio d’estensione è il “qui ed ora”. L’altro, decisamente più complesso e saldamente articolato con le
funzioni mnesiche, colloca la persona in un tempo storico individuale, con la piena consapevolezza del passato vissuto e del futuro previsto e con una profonda
conoscenza del mondo circostante. Questo tipo di coscienza, che la teoria psicodinamica considera un mezzo di adattamento dell’individuo alla realtà, al servizio
dell’Io, viene definito da Damasio (8) coscienza autobiografica.
Quest’ultima non è poi diversa da ciò che Jaspers
(9) definiva, con una precisione ancora oggi estremamente utile ed attuale, la coscienza dell’io, intesa come
sentimento di proprietà dei propri atti di conoscenza.
Essa risulta essere caratterizzata da un sentimento di
continuità temporale (pur essendo io oggi molto diverso da quello che ero trenta anni fa, esiste un fil rouge
che determina una continuità tra il me di allora e il me
di adesso), un sentimento di unità spaziale (sono sempre io, pur nelle diverse situazioni nello spazio e non
posso essere contemporaneamente in diverse situazioni), una continuità affettiva (le mie emozioni sono
sempre le mie emozioni), un sentimento dei limiti e dei
confini (che si ampliano fino a comprendere oggetti,
persone care, interessi, ricordando comunque che il vero confine invalicabile è la pelle).
La divisione della coscienza in almeno due livelli di
fenomeni, pur essendo improbabile dal punto di vista
neurobiologico, è un utile modello teorico di riferimento che divide il semplice dal complesso, una dicotomia sostenuta sia dalle osservazioni neurologiche sia
dalle analisi cognitive e comportamentali (10-12).
Dal punto di vista psicopatologico, ogniqualvolta
esista una deviazione della coscienza dallo stato di lucidità, continuità o connessione con l’Io, cioè un’alte-
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razione della coscienza associata ad un deficit mnesico,
ci troviamo nell’ambito di quelli che la psicopatologia
tende ad indicare come stati dissociativi e la neurologia assenze.
Vi sono buone ragioni per prevedere che l’embricatura tra psicoanalisi e neuroscienze (4), così come è
stato per la memoria, contribuirà alla comprensione
della coscienza. Infatti, pur considerando che le nuove
tecniche strumentali (PET; fRNM) permettono di analizzare l’attività di alcune aree del cervello mentre è in
corso una stimolazione sensoriale o comportamentale,
l’interpretazione psicodinamica rimane ancora l’unico
mezzo di analisi per la comprensione dei contenuti. In
altre parole, ad oggi è possibile individuare il funzionamento cerebrale di un paziente durante una crisi di
automatismo epilettico, ma non è possibile comprendere perché si abbia un gesto, una frase, una meta piuttosto che un’altra, se non facendo ricorso alla psicodinamica.
Volendo proporre per questo lavoro un taglio psicodinamico, che non escluda a priori gli aspetti organici, parleremo di coscienza del sé indicando quella coscienza limitata all’hic et nunc e, facendo nostra la definizione di coscienza autobiografica, cercheremo di
studiare quegli stati in cui, pur compiendosi delle azioni, la coscienza è parzialmente o totalmente assente;
tali stati verranno classificati in base alla presenza o
meno di un processo neurofisiologico che ne permetta,
dettagli a parte, l’esatta comprensione.
In quest’ottica parleremo, pertanto, di fughe giustificate e fughe comprensibili.
i movimenti sono scoordinati e i gesti afinalistici.
Quando poi la coscienza ritorna d’un tratto, così come
era scomparsa, gli eventi accaduti durante la crisi non
sono stati registrati dalla memoria o comunque non sono recuperabili ed è necessario spiegare la situazione
al paziente e riaccompagnarlo là dove si trovava all’inizio dell’episodio. Una fuga epilettica può essere diagnosticata con certezza in quanto il soggetto può presentare la caratteristica aura, alterazioni percettive,
uno stato post-accessuale, e reperti anomali all’EEG
seriale.
FUGHE GIUSTIFICATE
A., una quarantenne affetta da epilessia temporale
dall’età di 8 anni, racconta l’episodio per il quale è stata
sottoposta ad una perizia psichiatrica, che ne valutasse
la capacità di intendere e volere ai fini di una interdizione. La paziente ricorda di aver letto tra gli annunci
pubblicitari di un noto quotidiano, quello di un pranoterapeuta e astrologo in grado di dare conforto a chi come lei soffrisse da sempre di una malattia incurabile. La
paziente ricorda di essersi recata all’indirizzo indicato
dall’annuncio e di essere rimasta colpita dall’aspetto aitante dell’uomo. Da questo momento i ricordi svaniscono fino al momento in cui viene ritrovata in un autogrill
autostradale dopo un giorno di ricerche. Di che cosa sia
accaduto nelle 24 ore di assenza da casa nessuno ha certezza, ma sicuramente è indicativo il prelievo fatto dalla
paziente su un conto svizzero. Il bancario che ha seguito l’operazione si è accorto di uno strano modo di comportarsi della cliente e dello sguardo fisso e, memore dei
problemi di salute della cliente, ha ritenuto utile avvertire il marito delle operazioni di prelievo che la signora
stava portando a termine. Della somma prelevata non si
è più saputo nulla, così come del guaritore.
Consideriamo le fughe giustificate, quelle comprese
sulla base di un substrato organico e in particolare
quelle epilettiche, che rappresentano gli episodi più
drammatici e complicati di automatismo epilettico. I
quadri più interessanti dal nostro punto di vista sono
quelli associati ad una assenza, sebbene gli automatismi si presentino anche in associazione ad attacchi di
epilessia temporale. Nelle crisi di assenza la coscienza
è momentaneamente sospesa, sia quella del sé sia quella autobiografica ed in seguito, infatti, il paziente non
ha il ricordo di quello che è avvenuto e non saprà mai
autonomamente quello che ha fatto in quest’intervallo. Il paziente in questo stato non cade a terra, non ha
convulsioni, se ha degli oggetti in mano non li fa cadere a terra, ma nei casi di fuga epilettica può compiere
azioni o itinerari apparentemente non casuali. Agli occhi di un buon osservatore non sfugge però che il paziente in questo stato ha un aspetto strano, è amimico,
Mentre nel caso dell’automatismo epilettico la coscienza è annullata in toto, nel caso dell’Amnesia Globale Transitoria legata ad un T.I.A. è annullata quella
che abbiamo definito coscienza nucleare e ciò fa sì che
la fuga che si verifichi in questa situazione sia sorprendente all’osservatore. In questi casi la coscienza autobiografica risulta nel complesso conservata, anche se si
verifica un fenomeno particolare: tipicamente vi è una
reiterata ripetizione di domande per cui il paziente
chiede preoccupato agli astanti dove si trovi, come sia
arrivato lì e che cosa stia avvenendo (Fazio, Loeb
1996).
Assimilabile può essere la condizione che si verifica
come prodromo di un quadro di attacchi di emicrania,
anch’essa transitoria e benigna: i pazienti rimangono
d’un tratto privi delle registrazioni che sono state aggiunte di recente alla memoria autobiografica, non ricordano nulla di quello che è accaduto nei giorni prece-
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denti e non hanno idea del futuro, ma sono consapevoli
della loro alterazione della coscienza, tanto che la situazione che sanno di vivere appare loro priva di senso e
sono ricorrenti le domande del tipo “cosa faccio qui?” o
“Dove sono?”, mentre non si chiedono chi sono.
Una donna di 56 anni, B., si sveglia al mattino con un
forte mal di testa a cui è tristemente abituata e ricorre a
quegli analgesici che le sono stati prescritti per la sua cefalea muscolo-tensiva. Appena avverte il beneficio farmacologico si prepara per la trasferta in campagna del
fine settimana. Durante il breve viaggio non prende parte ai discorsi comuni in quelle occasioni e dice al figlio
di sentirsi frastornata. L’affermazione viene sdrammatizzata e minimizzata con toni ilari, senza che figlio e
marito si preoccupino di quello sguardo un po’ assente
che ricorderanno poi davanti ai medici del Pronto Soccorso. Infatti, dopo qualche ora, arrivati a destinazione,
la donna inizia a comportarsi in modo strano: si siede in
cucina, dice che non sa dov’è, chiede cosa deve fare e si
muove come se davvero non riconoscesse la loro casa di
campagna, chiede come mai è in quel posto e, pur riconoscendo le persone che ha accanto e la funzione degli
oggetti, sembra averne perso il senso di appartenenza.
La sensazione di estraneità che la donna ricorda e che
abbiamo descritto inizia a dissolversi gradualmente dopo 12 ore. Tutti gli accertamenti diagnostici (ecodoppler
dei TSA, TAC, RMN) hanno dato esito negativo.
Lo stesso stato di coscienza è frequente in conseguenza di traumi cranici, ma l’amnesia post-traumatica
è circoscritta a brevi intervalli temporali e per la situazione clinica complessiva difficilmente sono possibili
delle fughe.
Anche nella sindromi psicorganiche croniche, tipo
demenza di Pick, o nel caso di tumori frontali possiamo assistere a fughe da parte dei pazienti, che sono di
solito determinate da intolleranza del giudizio familiare e da deficit di critica, e che risultano finalisticamente poco strutturate.
Altre due assenze giustificate della coscienza si possono verificare negli stati confusionali acuti, tipicamente nel delirium tremens o nel tifo, oppure nelle situazioni causate dagli effetti fisiologici diretti di una
sostanza.
La signora C., di 26 anni, due anni fa ha iniziato le
pratiche per la separazione dal marito, avendo scoperto
una sua relazione extraconiugale. In questo periodo era
depressa, disillusa, incapace di lavorare, anedonica, iporessica con perdita di oltre 6kg di peso. Tentò il suicidio
due volte. Il medio di base le prescrisse triazolam e trinitrazepam per l’insonnia, ma presto ella divenne di-
pendente, fino ad assumere 50 compresse alla settimana,
anche dopo la riconciliazione con il marito. Nei mesi seguenti la paziente lamentava scarsa memoria, intorpidimento corporeo, tinnitus; affermava anche di udire occasionalmente voci, che peggioravano l’insonnia così da
creare paura di addormentarsi. Nel frattempo sviluppò
un’irresistibile pulsione a rubare, sebbene negasse l’intenzione di possedere gli oggetti rubati. Cominciò a taccheggiare e a rubare anelli, cibo e vestiti. Fu arrestata
spesso. Nove mesi fa andò dal medico di base per una
prescrizione di flunitrazepam. Quella sera prese 4 compresse, ma dormì solo dalle 4 alle 8 del mattino, ne prese qualcuna in più ma senza beneficio, così alle 10 si
alzò ed uscì di casa. Da quel momento non ricorda più
nulla fino alle 16, quando ricorda di aver incontrato dei
parenti al ristorante e di essere andata a giocare a carte
a casa loro. Alle 10 di sera uscì per rientrare a casa, fu
arrestata ed accusata di furto. Secondo la polizia quel
mattino lasciò l’abitazione per recarsi presso un ufficio
di collocamento. Posò gli effetti personali, inclusa la
carta d’identità, prima di usare una pistola giocattolo
per rapinare una gioielleria vicina, per un valore di
400$. Poi andò a lasciare il bottino a casa, prima di incontrare i parenti. L’EEG della paziente rivelò attività
lenta generalizzata periodica e picchi occasionali bitemporali (disfunzione bitemporale), normalizzatisi dopo
circa tre mesi. Il neurologo considerò la diagnosi di epilessia del lobo temporale improbabile e quindi nessuna
necessità di terapia (13).
In questi casi il DSM IV (14) riterrebbe la fuga conseguenza fisiologica diretta di una condizione medica
generale, perciò dovrebbe essere diagnosticata come
Disturbo Mentale Non Altrimenti Specificato Dovuto
a una Condizione Medica Generale.
I casi finora descritti, pur avendo chiara una forte
componente organica, non si discostano radicalmente
dal punto di vista clinico da alcuni quadri particolari
che si incontrano nella pratica psichiatrica, che nel presente lavoro chiameremo fughe comprensibili, data
l’assenza di un’eziologia organica rilevabile.
FUGHE COMPRENSIBILI
A supporto teorico delle “fughe psicopatiche” (Bini,
Bazzi, 1971) ci viene in aiuto la psicodinamica, secondo cui la fuga rappresenterebbe l’allontanamento da
un pericolo inconscio alla ricerca di sicurezza, protezione o gratificazioni scopofiliche.
In questo senso si spiega la funzione della coscienza
come meccanismo al servizio dell’Io, mezzo di adattamento dell’individuo alla realtà.
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Per meglio descrivere il meccanismo che genera tali fenomeni, partiamo dall’ipotesi darwiniana secondo cui a far prevalere la coscienza nell’evoluzione è
stata la necessità di conoscere i sentimenti causati
dalle emozioni, indispensabile per l’arte del vivere.
Ed è proprio con questa finalità che talvolta usiamo
la coscienza: non per conoscere i fatti, ma per nasconderli, e tale schermatura non è necessariamente
intenzionale.
Pensiamo, a questo proposito, al fenomeno globale
che un tempo veniva chiamato amnesia isterica e che
oggi chiamiamo dissociazione della coscienza, cioè un
meccanismo per cui “non sa la mano destra quel che fa
la mano sinistra”, permesso dalla straordinaria plasticità tipica della coscienza.
Del resto lo stesso Freud sottolineava che “quella
scissione dell’attività psichica così sorprendente nei
noti casi di double conscience, esiste in stato rudimentale in ogni grande isteria e l’attitudine e la tendenza a
tale dissociazione è il fenomeno basilare di questa nevrosi” (15).
Si tratta in particolare di fatti psicogeni con un fortissimo guadagno secondario a perdere la memoria.
In questo senso affermiamo che la dissociazione, in
quanto dissoluzione dei nessi dell’accadere psichico, in
conseguenza della quale alcuni processi inconsci non
giungono ad inoltrarsi sino alla coscienza (16), nasce
come meccanismo di difesa da un conflitto interno, che
ha provocato la rimozione di un impulso (17). La resistenza creata dalla rimozione è la causa sia delle dissociazioni sia dell’amnesia relativa al loro contenuto psichico (18).
Dissociazione e rimozione, meccanismi di difesa in
cui i contenuti della mente sono banditi dalla consapevolezza, differiscono peraltro per le modalità specifiche con cui vengono trattati i contenuti mentali. Nella
rimozione, infatti, si crea una scissione orizzontale per
cui il materiale è trasferito nell’inconscio, per contro
nella dissociazione si crea una scissione verticale così
che i contenuti mentali esistono in una serie di coscienze parallele (19).
La manifestazione estrema di dissociazione è il disturbo di personalità multipla, che implica sia la scissione (infatti diverse rappresentazioni di sé sono mantenute separate) sia la rimozione (nel senso che una
personalità non ha memoria delle altre) (20). In questi
casi si può pensare, dal punto di vista neurobiologico,
che anche la coordinazione talamica sia coinvolta nel
passaggio da una personalità ad un’altra.
Inoltre tali pazienti possiedono soltanto un meccanismo di coscienza del sé, ma possono esibire più di
una coscienza autobiografica, mantenendo comunque
i diversi schemi o rappresentazioni del sé in comparti-
menti mentali separati, poiché essi sono in conflitto
l’uno con l’altro (21).
Sulla base di queste premesse teoriche sottolineiamo che consideriamo escluse dalle fughe ingiustificate
le fughe come scelte di vita (cfr. globe trotters o clochards) e quegli impulsi ripetuti e coscienti a fuggire
dal luogo abituale di residenza e/o a vagabondare, che
rientrano nel quadro della poriomania (22). Qui i pazienti vengono presi improvvisamente dal vivo desiderio di girare il mondo, talvolta con uno scopo stravagante qualsiasi, spesso per mesi, finchè i mezzi mancano o il vagabondare incontra degli ostacoli. Questi ammalati conservano un ricordo chiaro dei loro viaggi e il
loro modo di agire non appare ad essi affatto un fenomeno anormale. Si tratta di una situazione così frequente nel mondo attuale che a chiunque è dato di conoscere qualcuno che ha scelto di partire alla ricerca di
paradisi perduti o che accumula denaro e giorni di ferie per potersi godere “la vacanza itinerante” di cui
conservare il ricordo.
Il fatto che si tratti di un atto cosciente pone la diagnosi differenziale con la fuga psicogena per antonomasia, cioè quella che oggi il DSM-IV chiama Fuga
Dissociativa, che al contrario ha come peculiarità plateale quella che la coscienza ritorna improvvisamente,
così come se ne era andata, ma il paziente non conserva alcuna memoria dell’accaduto, che proprio non è
stato registrato dalla memoria.
Si tratta in questi casi di un improvviso ed inaspettato allontanamento da casa o dal posto di lavoro con
incapacità di rievocare il proprio passato (22-6), più o
meno strutturato, talora con comportamenti bizzarri.
Tale fuga può essere inquadrata come “stato crepuscolare” nella prospettiva psicopatologica della tradizione
europea.
Punto importante è il riferimento alla confusione
circa l’identità personale, oppure alla più rara assunzione di una nuova identità, generalmente caratterizzata da tratti più gregari e disinibiti rispetto alla precedente, talora con travestimenti e alterazione dei connotati.
Il tipo di viaggio può variare da spostamenti di breve durata a vagabondaggi complessi, di lunga durata.
Durante la fuga di solito il soggetto appare esente da
psicopatologia e non attira l’attenzione. Una volta che
il soggetto ritorna allo stato che precedeva la fuga, può
non esserci alcun ricordo per gli eventi accaduti durante la fuga. Normalmente esita in guarigione senza
ulteriori ricadute.
Tra le fughe comprensibili annoveriamo poi il vagabondaggio e i viaggi finalizzati che possono verificarsi
durante un Episodio Maniacale. Come nella Fuga Dissociativa, i pazienti possono riferire amnesia, tuttavia
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qui il viaggio è collegato a qualche idea grandiosa e ad
altri sintomi maniacali, e questi soggetti spesso richiamano su di sé l’attenzione per i loro comportamenti
inadeguati. Non si verifica, inoltre, assunzione di una
identità alternativa (14).
D., 33 anni, sposata da 14, con due figlie, vive un menage familiare piuttosto faticoso: il marito abusa di alcool e sperpera denaro, mentre D. accudisce le figlie ed,
essendo saltuario il lavoro del marito, cerca di fronteggiare le difficoltà economiche, lavorando anch’ella.
Un giorno, uno dei tanti in cui si reca al lavoro nel
quartiere di Pontedecimo, dall’altra parte della città, si
ritrova su una nave diretta in Sardegna, su cui, in uno
stato di confusione mentale, si rivolge al comandante
chiedendo a che ora sarebbero arrivati a Pontedecimo.
I parenti vengono avvertiti dall’equipaggio, la vanno a
prendere a Porto Torres e la accompagnano all’Ospedale a Genova.
D. racconta sommariamente l’accaduto, così come le
è stato riferito dai familiari. Da allora D. presenta fasi di
tono dell’umore depresso, caratterizzate da moderata
astenia e tendenza al ritiro, alternate a periodi in cui prevale un umore tendenzialmente espanso, con aumento
dell’iniziativa psicomotoria, impegno crescente e vivace
efficienza sul lavoro.
Un altro tipo di fughe di questo ambito sono i comportamenti peripatetici tipici dei pazienti schizofrenici.
I ricordi riguardanti gli eventi dei periodi di vagabondaggio possono essere difficili da verificare a causa della disorganizzazione dell’eloquio del paziente. Le fughe
deliranti sono peraltro caratterizzate da maggior angoscia ed ansia, allucinazione sintonica, perplessità (14).
E., donna di 33 anni, testimone di Geova da 15 anni,
vive con il marito e lavora con i fratelli in un’impresa di
pulizia. La madre è morta per complicanze da LES
quando la paziente aveva 10 anni, il padre di 60 anni vive con una nuova compagna ed ha pochi contatti con i
figli.
A 14 anni E. racconta di essere scomparsa improvvisamente da casa e di essere poi stata ritrovata dopo 3
giorni a Roma dalla polizia. Racconta l’episodio in modo minimizzante e sbrigativo; la sua intenzione era
quella di recarsi in America, è vaga, imprecisa e poco
critica, taglia corto dicendo di non ricordare bene. Dopo dieci anni circa descrive una sorta di cambiamento
improvviso e sostanziale al fisico e al corpo, insidioso e
sempre più profondo, si sente strana e cambiata, ha l’impressione di aver perso la propria identità e personalità,
interrompe ogni relazione sociale, non lavora più. Anche la realtà esterna viene vissuta come estranea e mi-
nacciosa, si sente “modificata” da qualcuno e influenzata da forze esterne e ostili. In seguito insorgono deliri
veri e propri ed allucinazioni, tali da giustificare oggi la
diagnosi di disturbo schizoaffettivo.
In ultimo ricordiamo che sintomi dissociativi tipo la
fuga possono verificarsi in pazienti affetti da Disturbo
Borderline di Personalità, più frequentemente associati a gesti autolesivi (23-24).
F., maestro di Scuola Media Inferiore, chiede una psicoterapia dopo essersi allontanato volontariamente dalla scuola a seguito di una denuncia da parte di una sua
allieva per molestie sessuali. Pur ribadendo di fronte a
tutti di essere innocente, ammette di essere innamorato
della ragazzina e rivela di essere già stato attratto in passato da giovanette e, anche se più raramente, da ragazzini.
Dopo un anno di psicoterapia decide di rientrare nel
corpo insegnante, invogliato dall’idea che sta per riiniziare l’anno scolastico. Gli vengono assegnate quattro
classi: di queste una è la terza B, la stessa classe in cui
l’anno precedente si sarebbe verificato “il fattaccio”.
Dopo quindici giorni dall’inizio dell’anno si compie
nella scuola un atto vandalico e vengono individuati i
responsabili nella fatidica terza B.
Il paziente ha in quella classe, situata nella succursale, l’ultima ora del venerdì in modo da avere il tempo di
trasferirsi da un edificio all’altro. Un venerdì alla penultima ora si presenta in classe per salutarlo uno degli allievi della terza B dell’anno prima, rendendo S. particolarmente ansioso all’idea che quel ragazzo ricordi sicuramente la vicenda dell’anno precedente. L’ex alunno lo
mette al corrente che in quello stesso istante in succursale c’è, proprio nella sua ex classe, un maresciallo dei
carabinieri che sta interrogando uno ad uno gli alunni
per sapere chi sia l’autore delle sassate alle finestre. La
lezione finisce e il paziente si avvia verso la succursale,
dove racconta di non essere mai arrivato. Lasciata la
scuola ricorda perfettamente di aver preso l’autobus e di
essere andato a comperare il pane in un supermercato
per altro molto distante dai soliti itinerari, di essersi attardato nel fare la spesa e di aver telefonato alla moglie
per chiederle cosa dovesse comperare. Tornato a casa la
moglie gli riferisce di essere stato cercato a casa dalla
preside preoccupata della sua assenza all’ultima ora di
lezione. Il paziente “cade dalle nuvole” non riuscendo a
ricordare a quale ora di lezione si riferisse la preside.
G., 40 anni, dopo un matrimonio in cui ha riconosciuto tutte le particolarità di un rapporto edipico e di
un amore ancillare, conclusosi dopo quattro anni, a pochi mesi dal decesso del padre, vive con il secondo ma-
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rito, suo coetaneo e meritevole di averle suscitato quella
passionalità che fino ad allora le era stata sconosciuta.
Inoltre G. lavora in una importante azienda, svolgendo
un lavoro gratificante. Questa situazione di equilibrio si
infrange però dopo pochi mesi: rimane incinta, incapace di interrompere la gravidanza contro il parere del
marito, fa nascere il bambino, ma chiude definitivamente la possibilità di ogni contatto sessuale con lui e riinizia con la madre un rapporto conflittuale.
Dopo qualche anno viene diagnosticata alla madre
una neoplasia maligna: G. decide di trasferirsi nella casa materna abbandonando il marito, chiede una aspettativa sul lavoro e dimostra a sè e agli altri di essere capace di qualunque sacrificio pur di stare con la madre.
Pochi mesi prima del decesso della madre, G. conosce
un uomo con il quale ha alcuni rapporti sessuali occasionali, ma abbastanza coinvolgenti, e a due giorni dal
funerale lascia la sua città natale e si trasferisce con lui
portando con sé il figlio in un posto fino a quel momento per lei sconosciuto e insignificante, ma dove sono possibili matrimoni veloci e senza formalità. Si sposa, acquisisce il nome del marito e inizia una nuova vita. Al sesto mese di una nuova gravidanza viene rintracciata dalla polizia internazionale su denuncia del
marito. G., peritata durante il processo a suo carico per
rapimento di minore e bigamia, ha la sensazione che
tutto sia avvenuto per caso, di non ricordare l’esatta sequenza degli avvenimenti ma soprattutto di non aver
avuto nessun potere decisionale su questi e di essersi lasciata vivere incurante di quel che sarebbe accaduto.
Nei casi descritti è possibile ritrovare due fasi principali: nella prima fase, quella della fuga, il paziente
perde l’identità personale (la coscienza nucleare, quella del sé e conseguentemente la coscienza autobiografica); in seguito riacquista la coscienza del sé e diventa
consapevole della perdita dell’identità personale, ma il
sé autobiografico annullato durante la fuga conserva
l’amnesia dell’accaduto. Questa consequenzialità è stata più volte descritta negli studi riguardanti le fughe e
le amnesie, in particolare nell’osservazione di una serie
di casi fatta durante la seconda guerra mondiale (2526). Inoltre, nella fuga, insieme alla coscienza di sé, viene sospeso il controllo degli impulsi.
Nella fase di ritorno della coscienza del sé e di recupero della coscienza autobiografica si assiste ad un
quadro in cui il paziente appare normale, ma non è ancora del tutto cosciente della propria identità. Egli è
preoccupato e a volte mostra disagio per tale situazione. La memoria mostra lacune selettive e la coscienza
autobiografica è presente ma ancora limitata. In questa situazione il paziente tende a rifiutare il ricovero in
ospedale e le cure, credendo di potersela cavare da so-
lo e le difficoltà che il curante incontra non sono diverse da quelle che si presentano in caso di malattie
senza coscienza di malattia. Si pensi alla “belle indifference” degli isterici, alla schizofrenia e a quasi tutti i
casi di paranoia.
In questa fase, inoltre, può ripresentarsi una perdita
della coscienza sotto l’imperiosità del desiderio che ha
dato il via all’episodio non ancora concluso.
Riteniamo, inoltre, che le fughe che abbiamo descritto possano essere distinte in due tipi, non lontani
dalle forme di sonnambulimo descritte da Pierre Janet
(1907): la forma monoideica o polideica.
Le varietà cliniche che distinguiamo nelle fughe differiscono soprattutto nella prima fase, quella di fuga
propriamente detta, in cui si assiste alla perdita dell’identità personale e della coscienza del sé, che sembra
caratterizzata da un desiderio o da un’idea centrale
che esclude dalla coscienza tutto il resto. In questa fase la persona è in uno stato di confusione e, non appena la gente attorno la nota, viene in breve richiamata
alla realtà, rendendosi parzialmente conto che è successo qualcosa di strano.
Lo stato di fuga può d’altra parte essere caratterizzato da una serie complessa di idee, da un intero processo fantastico che rimane inconscio: si osserverà allora il mutamento di identità e la persona potrà passare inosservata per lungo tempo. Questa seconda varietà, paragonabile in un certo senso al sonnambulismo
polideico di Janet, mostra anche uno stretto rapporto
con i casi descritti sopra di personalità multipla.
I casi clinici presentati ci permettono di effettuare le
seguenti considerazioni, partendo dall’ipotesi iniziale
secondo cui, qualunque sia il contesto clinico in cui si
verifica una fuga, è possibile ritrovare meccanismi patogeni universali.
Diciamo, infatti, che quando esista una frattura tra
le richieste dell’ambiente e la capacità di un individuo
di farvi fronte per mezzo di dispositivi adattivi stereotipati e automatici, si può determinare uno slittamento
della coscienza.
In questo senso la fuga viene a realizzare un desiderio in maniera più o meno manifesta. Fatta eccezione
per i parricidi, i matricidi, gli infanticidi e gli stupri
commessi in fase di fuga (e questi nonostante il clamore che suscitano sono relativamente rari), le azioni di
fuga sono solitamente azioni altamente simboliche che
soddisfano più desideri, contemporaneamente, a diversi livelli. Nel caso di G., ad esempio, si può facilmente
notare il desiderio di assassinare la madre, che fa scattare il senso di colpa alla sua morte; contemporaneamente la fuga appare come un colpo violento al marito, che ella non vuole più, ma che la cattolicissima madre non le permetteva di abbandonare.
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I fuggitivi
Considerare il desiderio o il complesso di fantasie
attorno a cui l’individuo costruisce la fuga significa riconoscere che questi stati realizzano un desiderio inconscio e, proprio come i sogni, lo esprimono in maniera simbolica; il che induce ad accettare per questi
stati di coscienza un carattere di autonomia vicino a
quello del sogno.
Vediamo, infatti, che il mondo dell’immaginazione e
della fantasia diventa il possibile collegamento tra la
regolazione automatica e l’inconscio.
In conclusione riteniamo che sia un’assurdità pensare che esperienze soggettive non siano accessibili all’indagine scientifica; a tal fine è però indispensabile che
un numero sufficiente di osservatori intraprendano studi rigorosi secondo lo stesso schema sperimentale. La
conoscenze ottenute attraverso l’osservazione soggettiva, ad esempio la psicoterapia psicodinamica, possono
offrire lo spunto per esperimenti oggettivi. L’idea che si
possa accedere alla comprensione delle esperienze soggettive soltanto attraverso l’osservazione del comportamento è peraltro a nostro parere incompleta.
A questo proposito possiamo affermare che la psichiatria, o tutto quello che si occupa della psiche, ha
due anime: una si occupa del vissuto e l’altra del comportamento. Il comportamento è ciò che obiettivamente si rivela, che permette quindi di inserire la scienza
della psiche nell’ambito delle scienze naturalistiche: ad
esempio in un soggetto depresso osserverò il rallentamento psicomotorio, l’assenza di iniziativa, la sonnolenza, lo scarso eloquio. Ma accanto a tutto ciò esiste
un’altra dimensione, quella del vissuto, che non può essere facilmente misurato, in quanto non semplicemente espresso ed esternato. La descrizione interna o il vissuto dei sentimenti (erleibniss), come ha definito
Freud per primo, è possibile solo se sono stati provati
una volta. “Non si possono far comprendere ad altri
verità che già non portino in sé…”, diceva Proust (27).
In questo senso diciamo che ciò che fa lo psichiatra è
sempre continuamente misurare il vissuto dell’altro,
confrontandolo con il proprio, ed in questo senso forse
abbiamo a disposizione Il DSM IV, che notoriamente
mescola elementi di vissuto ed elementi di comportamento, e le Rating Scales, come convenzioni metaforiche universali per comunicare i vissuti.
La coscienza è, quindi, l’elemento fondamentale
perché, se alterata, può far saltare tutti gli elementi del
vissuto, che pur essendoci, risulta non comunicabile. I
nostri strumenti razionali, l’Io che pianifica, organizza,
ha bisogno di essere vigile e cosciente, altrimenti il vissuto esce dalla convenzione linguistica che mi permette la comunicazione dei vissuti.
È chiaro, quindi, che la coscienza, attività complessa che risulta da uno strano adattamento darwiniano
dell’uomo, con la sua formidabile plasticità, diventa
per l’uomo l’optional che offre una possibilità di sopravvivenza ulteriore, con i suoi giochi ed i suoi inganni.
In questo lavoro abbiamo descritto una serie di varianti dello stato di fuga, in cui pensare alla coscienza
come un fenomeno complesso e non unitario, ci ha
permesso di ipotizzare delle variabili indipendenti che
sottendono questi stati. D’altro canto considerare
l’amnesia, i desideri sottostanti e il discontrollo degli
impulsi come fenomeni legati alla fuga dalla coscienza
ci ha permesso di pensare a delle variabili dipendenti.
In questo senso potremmo costruire una funzione matematica, in cui la fuga (y) dipende dalla plasticità (f)
della coscienza (x) [y = g(x)].
Identificare un fenomeno attraverso la descrizione
di variabili indipendenti e dipendenti pone le basi per
un lavoro di classificazione importante, finchè non ci
saranno elementi sufficienti per una comprensione
scientifica del fenomeno che riporti ad una sintomo
patologico di conclamata eziologia organica, caratteristico della maggior parte dei quadri psicopatologici.
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