Scheda sull`opera e sul restauro

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Scheda sull`opera e sul restauro
IL RESTAURO, TRA FUNZIONALITÀ ED ESTETICA, DELLA TAVOLA DI
LUDOVICO MAZZOLINO RAFFIGURANTE LA MADONNA IN TRONO
COL BAMBINO E I SANTI ANDREA E PIETRO
Chiara Rossi, Ciro Castelli, Achille Bonazzi, Curzio Merlo, Mario Amedeo Lazzari,
Ivana Iotta, Paolo Mariani, Michele Bernardi, Gianni Toninelli
Direttore Tecnico Laboratorio Dipinti OPD Firenze
Capo restauratore supporti lignei OPD Firenze
Università degli Studi di Parma
Laboratorio di Diagnostica applicata ai Beni Culturali Cr.Forma
Dirigente del Sistema Museale città di Cremona
Scuola di Restauro Cr.Forma, Azienda Speciale della Provincia di Cremon
Restauratore del Museo Civico di Cremona
Sintesi
Il dipinto di Ludovico Mazzolino è un olio su tavola degli inizi del XVI secolo, cm 172 di
larghezza e cm 278 di altezza, del Museo Civico di Cremona. A causa dei gravi problemi di
conservazione fu trasferito nel 1985, su indicazioni dell’allora Soprintendente delle Province di
BS/CR/MN Antonio Paolucci, ai laboratori di restauro dell’O.P.D. Il dipinto presentava un
supporto ligneo molto compromesso che minava seriamente la conservazione della pellicola di
colore. Le operazioni per il restauro ligneo furono affidate alle cure di Ciro Castelli coadiuvato da
Mauro Parri e Andrea Santacesaria. L’intervento fu preceduto da una prima campagna diagnostica
non invasiva, realizzata presso i Laboratori dell’Opificio, utilizzando luminescenza UV,
riflettografia IR, riprese IR in falso colore, radiografia e fluorescenza rX. Sul retro del supporto,
composto da quattro assi di pioppo di cattiva qualità, era stata applicata una parchettatura in legno
di douglas che copriva tutta la superficie del dipinto. Come consueto, per applicare la
parchettatura, erano state realizzate una serie di operazioni: riduzione di metà dello spessore del
supporto, una serie di tagli longitudinali nello spessore del tavolato e riempimenti con sverze di
legno duro. Questo intervento ha aggravato la precaria stabilità degli strati preparatori e pittorici
favorendo estesi sollevamenti di colore. Si è, pertanto, proceduto alla progressiva rimozione della
parchettatura e sono state tolte le sverze interne ai tagli. Sulla faccia pittorica sono state rimosse le
ampie stuccature lungo le commettiture che livellavano i margini pittorici, coprendo molto del
colore originale. I margini delle sconnessioni e delle fessurazioni sono stati rettificati e portati allo
stesso livello dei margini dipinti. Le connessioni e le fratture nel supporto sono state ricollegate,
con piccoli cunei e sono state integrate alcune parti mancanti nel supporto. Considerate le
dimensioni del dipinto, la drastica riduzione dello spessore del supporto e la patologica fragilità
degli strati pittori, si è ritenuto opportuno dotare l’opera di un telaio perimetrale con traverse
interne. Il sistema di collegamento tra supporto e telaio è stato realizzato con un meccanismo che
permette il controllo lineare e della deformazione del supporto oltre che correggere alcune
anomale alterazioni delle assi. Quando il dipinto venne trasferito al laboratorio di Cremona, il
restauro del colore fu affidato alla direzione lavori di Chiara Rossi che ha seguito, con Michele
Bernardi e Gianni Toninelli, le operazioni di fermatura puntuale dei sollevamenti di colore, il
consolidamento sotto vuoto, la non facile pulitura e l’intervento di reintegrazione pittorica. Il
lavoro di pulitura e parziale asportazione delle ridipinture, frutto di un’analisi e un percorso
teorico/metodologico, è stato supportato dalle analisi diagnostiche eseguite presso il Laboratorio
di Diagnostica applicata ai Beni Culturali della Scuola di Restauro di Cremona. Le tecniche
imaging, con particolare riferimento alla luminescenza UV, si sono rivelate fondamentali per la
definizione della miscela solvente da utilizzare per la sverniciatura: i numerosi tasselli sono stati
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documentati in tempo reale per evitare che una pulitura non selettiva intaccasse il livello pittorico.
I risultati della fluorescenza rX hanno avvalorato ed integrato le informazioni già acquisite
dall’Opificio. Si è proceduto, infine, al prelievo di cinque microcampioni, inglobati e sezionati per
documentare le sezioni stratigrafiche in microscopia ottica ed elettronica con microanalisi EDS. I
risultati ottenuti hanno chiarito la tecnica esecutiva della policromia su legno. La ricollocazione
dell’opera nel Civico Museo di Cremona, che è stato completamente rivisitato in tempi recenti, ha
richiesto un analisi storico - museologica delle sale destinate ad accogliere sia la tavola del
Mazzolino ma anche quella del Mansueti, il cui restauro è in fase di completamento presso i
laboratori di restauro dell’O.P.D.
Notizie storiche [1]
Nella scheda che elenca gli oggetti donati al Museo di Cremona da Vincenzo Favenza [2], il
redattore Carlo Crippa avvertiva che il “13 settembre 1894 [questi era] venuto a Cremona per
trattativa circa i doni” e che il “24 ottobre [erano] arrivate le casse con doni e quadri” (AMCCr
Lab., Archivio di Carlo Crippa, cass. “Donatori e depositanti”, lettera F, Favenza Vincenzo); è
dunque probabile che la tavola possa essere stata depositata nelle collezioni del Museo almeno da
quella data. Nell’elenco inventariale del 30 maggio 1895 redatto dal segretario del Museo a
sanatoria di un precedente inventario del 1894 si legge: “19 Grande tavola attribuita a Dosso
Dossi rappresentante la Madonna in trono con santi” (v. in AMCCR Lab., cass. N bis, fasc. 2
“Donazione Favenza”). Nella scheda che la riguarda, così è annotato: “n. 661 Attribuito a Luteri
detto Dosso Dossi […] Il Favenza attribuiva questo dipinto a Dosso Dossi ferrarese, ma i più
escludono affatto tale attribuzione. Altri lo vogliono piuttosto di Benvenuto Tisi, maniera
primitiva. Frizzoni Gustavo lo attribuisce a Lodovico Mazzolino”. Nel periodico “Arte Italiana
decorativa industriale” (anno IV (MDCCCXCV), ed. Hoepli Milano e Arti Grafiche di Bergamo,
fasc. 6, p. 48), diretto da Camillo Boito, viene menzionato il dipinto “La Cattedra della Madonna
in un quadro di scuola ferrarese del secolo XVI” e un’attenta analisi dell’ “Egregio professor Fei
che insegna ornato e decorazione nell’Istituto Ala Ponzone di Cremona, che affermava “…essere
affatto erronea l’assegnare codesto quadro al pennello del Dosso […] Benché il quadro sia stato
maldestramente guastato da abbondante ristauro, guaio che si presenta in quasi tutti i quadri
provenienti dal Favenza, in questo abbiamo la fortuna d’avere la parte superiore della cattedra
della Madonna intatta […] bene inteso nella parte decorativa, poiché le figure purtroppo hanno
subito tali danni da non esser più riconoscibili” (v. in AMCCr Lab, Archivio di Carlo Crippa,
Cass. Dipinti, I, n.661). Tuttavia, in mancanza di ulteriori notizie, è stato invece possibile
recuperare nell’archivio del Museo il preventivo dei f.lli Porta di Milano del 21 maggio 1910
indirizzato al “R. Sovraintendente d’opere d’arte della Lombardia […] Preventivo della spesa
occorrente per il restauro ai seguenti dipinti esistenti nel Museo Civico di Cremona […] II Per
francatura del colore, pulitura stuccatura delle lacune coloritura con tinte neutre o locali nelle parti
mancanti di colore, rinnovo di vernice da farsi al dipinto su legno di m. 1.70x3 rappresentante
Madonna con Bambino e Santi, attribuito al pittore Dosso Dossi dell’epoca 1500 … L. 475”
(AMCCr Lab., Cass. P bis “Restauri”, fasc. 6). Nel frattempo era deceduto il Landriani, sostituito
dal marchese Antonio Sommi Picenardi e in seguito dall’avvocato Fulvio Maggi; poi fu assegnato
il rimborso spese ai f.lli Porta venuti a Cremona per visionare i dipinti. Nel 1912 venne pure a
Cremona il restauratore Vincenzo La Rocca per osservare le opere da restaurare, senza specificare
quali fossero (AMCCr Lab, Cass. I-Re, registro “Urano”, p. 15). La questione dei restauri si
protrasse fino alla convocazione della Commissione Conservatrice del Museo del 23 marzo 1915
in cui veniva annotato nel verbale di seduta a proposito del “Restauro tavole Favenza. Sentita la
relazione del membro Prof. Galeati che, richiamata la lunga pratica al riguardo e la necessità di
provvedere, accenna alla possibilità di servirsi del pittore Vanoli (attualmente qui per restauri in S.
Agostino) col quale ebbe ad intrattenersi anche per la relativa spesa con trasporto su tela. Preso
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atto della dichiarazione del membro sig. Priori [Pietro Priori, pittore e restauratore dr], disposto
agli occorrenti restauri senza staccare i dipinti [dalle rispettive tavole per il riporto sopra tela dr] e
per le pure spese. Rimette il conservatore di interpellare il Signor Sovraintendente delle Gallerie
in Milano” (AMCCr Lab, Cass. “Restauri”, fasc. 6). Il 14 giugno 1915 il Conservatore Maggi
scriveva al Modigliani sull’offerta di restaurare le tavole fatta dal Priori, specificando che lo stesso
pittore intendeva agire con il minimo intervento e tuttavia col permesso del Sovraintendente; che
rispondeva il 12 luglio seguente, dichiarando la propria soddisfazione per “l’intenzione
manifestata”, ma avvertendo che per ogni operazione, anche se meccanica, era preferibile (e
necessaria) l’opera di uno specialista e non semplicemente di un pittore. Probabile dunque che il
Priori non abbia messo mano (almeno ufficialmente) alla saldatura e integrazione delle lacune
della tavola, mentre della posa in opera di questi restauri non s’è trovata altra traccia. Nei verbali
di congregazione degli anni seguenti e durante lo svolgersi del conflitto mondiale 1915-18,
l’unica nota interessante è l’arrivo al Museo nel 1917 della gigantesca tavola di Tiziano,
L’Assunta, capolavoro di m. 6,90x3,60, trasportata “per via fluviale” onde proteggerla da possibili
incursioni aeree e conservata, debitamente imballata e protetta con sacchetti di sabbia “nella sala
terrena verso corso Vittorio Emanuele dove si trovano le terrecotte e parte della libreria Albertoni”
(AMCCr Lab, Cass. N bis, Verbali di sedute (1915-1919) ). In seguito, tra il 1927 e 1928, il
materiale artistico fu trasferito nella nuova sede museale di Palazzo Affaitati ad opera del nuovo
direttore Illemo Camelli che succedeva al Conservatore onorario, ingegnere Ettore Signori. Nel
1930 il dipinto, ancora attribuito a Dosso Dossi, fu pubblicato sul catalogo della nuova
Pinacoteca, ma identificando il santo che regge la croce non in sant’Andrea, ma in un improbabile
san Filippo Benizzi dell’Ordine Servita (in rivista “Cremona”, 6 (1930). Sembra tuttavia
impossibile che durante i vari alloggiamenti, imballaggi e trasporti dell’opera (e senza dimenticare
che analoghe operazioni vennero compiute durante l’ultimo conflitto) non possano essere state
applicate almeno le cure necessarie per evitare disastri assai peggiori di quelli osservati nel 1907
dal Modigliani. E’ noto, per esempio, che il restauratore ufficiale del Museo durante la
conservatoria Camelli fu il cremasco Giuseppe Papetti che spesso operava con il consenso e sotto
la diretta tutela del direttore, tra l’altro Ispettore onorario della Soprintendenza, ed è assai
probabile che il Papetti vi possa aver posto mano. Il 13 aprile 1949, il pittore Ernesto Piroli,
restauratore presso il Museo, praticò alla tavola del Mazzolino, su invito di Alfredo Puerari nuovo
Commissario-Direttore dal 1945, una “fissatura particolarmente ai lembi di due fenditure
longitudinali, stuccatura, intonatura” (AMCCr Lab., Cass. 10 B “Restauri”, Archivio di Luisa
Piroli, fasc. 2). Da una lettera del 16 marzo 1966, inviata da Puerari al Soprintendente di Mantova
Giovanni Paccagnini per favorire un necessario intervento ad opera di Ottemi Della Rotta, allora
restauratore milanese di grande prestigio, si vengono a conoscere le reali condizioni dell’opera:
“Stato di conservazione: pessimo. Nonostante il restauro del 1949, che si risolse in una
superficiale pulitura, la grande importante tavola è in uno stato pietoso. Presenta due grandi
fenditure verticali, e un diffusissimo sollevamento del colore, sia in ampie zone, sia che in
moltissimi punti particolari. Numerose le bolle e piuttosto grosse. La tavola necessita di una
nuova imparchettatura che impedisca al legno di muoversi rompendo il colore, e di una
accuratissima fissatura di tutto lo strato pittorico. Inoltre ha bisogno di una diligente pulitura che
restituisca al colore il suo smalto originale” (AMCCr Lab., cass. N bis “Restauri”, fasc. 2). Il 4
giugno dello stesso anno, Paccagnini rispondeva a Puerari dando il proprio assenso all’intervento
ma colla richiesta della “dichiarazione di proprietà e di non intervento finanziario” del Comune ed
inoltre di foto a luce radente in doppia copia. I lavori ebbero effettivamente inizio il 17 ottobre
1966 e questi, con le testimonianze pubblicate alcuni mesi dopo dalla Provincia, sono gli unici
restauri dei quali è stato possibile avere notizie certe, oltre all’operazione di Piroli.
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La metodologia
Nell’ambito del restauro delle tavole dipinte i casi di instabilità degli strati pittorici, come quello
che presentato dall’opera, costituiscono uno dei problemi di più difficile soluzione. In realtà la
fragilità del colore, se non legata a particolari episodi traumatici, non è che il sintomo più evidente
di una patologia che può avere varie cause lontane e complesse, come si evince, in questo caso
anche, dalla approfondita ricerca storica. Fino a quando non verrà recuperata la stabilità
strutturale, i sollevamenti continueranno a formarsi ed il degrado ad avanzare. Si capisce, quindi,
come sia indispensabile la fase della diagnostica e la successiva progettazione dell’intervento: lo
studio preliminare permette di appurare quale sia la causa dello stato di degrado e consente di
definire le operazioni da compiere, per operare in modo efficace e risolutivo. Nel caso in esame
l’origine del degrado era da individuarsi nell’instabilità del supporto, già sottoposto ad un
intervento di assottigliamento e parchettatura che ha aggravato, invece che risolto, il problema.
Dopo avere acquisito i risultati della prima campagna diagnostica svolta presso i Laboratori
dell’OPD, si è proceduto, inizialmente, al risanamento e stabilizzazione della struttura lignea,
creando un sistema di traversatura adeguato a garantirne la stabilità. Successivamente sono stati
abbassati i sollevamenti e consolidata la preparazione operando in modo tale da garantire la
penetrazione in profondità del consolidante. Il terzo e ultimo obiettivo, conseguito a seguito delle
indagine svolte dal Laboratorio di Diagnostica della Scuola di Cremona, è stato quello di liberare
la superficie pittorica dalle vernici alterate e dalle numerose ridipinture che si sovrapponevano a
larghe parti di originale. La ricostruzione, poi, con metodo reversibile ed identificabile, delle
mancanze e delle abrasioni ha riportato l’opera ad una piena leggibilità. Le fasi di integrazione
pittorica e verniciatura si pongono come conclusive nella sequenza degli interventi. Ora solamente
la conservazione del dipinto in condizioni ottimali e controllate del microclima potrà evitare che
variazioni significative dei parametri ambientali provochino dilatazione, rigonfiamento o
contrazione del supporto ligneo sollecitando pericolosamente preparazione, imprimitura e la
pellicola pittorica.
La diagnostica
Il restauro ligneo fu preceduto da una prima approfondita campagna diagnostica non invasiva,
realizzata presso i Laboratori dell’Opificio (P. Moioli, C. Seccaroni, 2004), utilizzando
luminescenza UV, riflettografia IR, riprese IR in falso colore, radiografia e fluorescenza rX. La
radiografia X ha fornito informazioni particolarmente significative sia per comprendere la tecnica
originale sia per ricostruire l’evolversi del dipinto nel tempo. Indicazioni sulla struttura del
supporto, la sua natura fisica e i suoi componenti (ad es. fibratura e condizione del legno, presenza
di elementi costitutivi - cavicchi, chiodi, ecc. -, e di restauro), oltre a quelle relativi agli strati
preparatori e pittorici. Sono emersi diversi pentimenti in corso d’opera, particolarmente evidenti
nelle aree contenenti quantità elevate di materiali a base di piombo, come gli incarnati e altri
colori ottenuti in miscela con biacca. Tra questi spicca un netto cambiamento del posizionamento
della testa della Madonna, già nella versione originale portata ad un grado molto dettagliato e
completo di pittura (Figure 1 e 2). Questo mutamento è unito alla presenza di elementi aggiunti
alla struttura architettonica in secondo piano dietro al trono che attualmente coprono lo sfondo di
paesaggio inizialmente esteso fino ai bordi laterali del dipinto (Figure 3 e 4). Il paesaggio, che si
scorgeva nell’idea originale attraverso delle aperture formate da arcate e una sorta di muretto o
balaustra, di cui si notano i segni incisi sulla preparazione fatta prima di dipingere, è stato
sostituito dalle parti dipinte a monocromo con motivi ornamentali simili a quelli che sono visibili
nel resto della costruzione monumentale oltre che sul trono. Un altro interessante “pentimento” è
stato ravvisato nella parte centrale del piede del trono: una scena di combattimento dipinta a
monocromo è stata ricoperta da una iscrizione in lingua ebraica racchiusa in una tabella (Figura
5). Questa frase è analoga a quella contenuta in altre due iscrizioni che si trovano nei cartigli
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sagomati in alto ai lati del trono (Figure 6 e 7). La riedizione della composizione è stata eseguita
probabilmente a dipinto già compiuto, forse in seguito a danni che hanno provocato notevoli
cadute della pellicola pittorica e della preparazione, in particolare nell’asse di sinistra e, in misura
minore, in quella mediana a destra. L’analisi della fluorescenza rX di 47 punti indagati ha
evidenziato la natura della preparazione, presumibilmente a gesso e colla, che risulta di marcata
fragilità, applicata al legno senza interposizione di tela o altro materiale. Per quanto riguarda gli
strati pittorici, le stesure successive di pigmenti in un legante oleoso risultano tipiche di una
tavolozza tradizionale. In alcuni casi i colori usati sono più specificamente riferibili all’ambiente
padano/veneto di provenienza dell’opera (ad esempio l’utilizzo di un pigmento a base di arsenico,
orpimento o realgar, per l’intero manto di San Pietro di colore marrone arancio, tipica dei dipinti
rinascimentali di area padana, in particolare di scuola ferrarese e veneziana). E’ stata, inoltre,
rilevata una notevole presenza di pigmenti moderni di sintesi nelle aree interessate da ritocco. Il
lavoro di pulitura e parziale asportazione delle ridipinture, frutto di un’analisi
teorico/metodologica, è stato supportato dalle analisi diagnostiche eseguite tra il 2010 ed il 2011
presso il Laboratorio di Diagnostica della Scuola di Restauro di Cremona (A. Bonazzi, F.
Campana, C. Galli, M. Lazzari, C. Merlo). Le tecniche imaging, con particolare riferimento alla
luminescenza UV, si sono rivelate fondamentali per la definizione della miscela solvente da
utilizzare per la sverniciatura: i numerosi tasselli sono stati documentati in tempo reale per evitare
che una pulitura non selettiva intaccasse il livello pittorico (Figure 8 e 9). In particolare, a seguito
della sverniciatura, è stato possibile osservare e documentare all’IR alcune lettere posizionate in
basso nell’angolo destro della tavola (Figura 10). I risultati della fluorescenza rX portatile di 35
punti indagati, con particolare riferimento alle aree maggiormente compromesse e/o soggette a
ritocco pittorico, hanno avvalorato ed integrato le informazioni già acquisite dall’Opificio. La
possibilità di effettuare indagini anche dopo la sverniciatura e, talvolta, all’interno di alcuni
tasselli aperti “a secco”, ha permesso di caratterizzare la composizione di differenti livelli
stratigrafici, evidenziando la presenza di azioni di ritocco differenziate nel tempo (Figura 11). Si
è proceduto, infine, al prelievo di cinque microcampioni per osservare e documentare le sezioni
stratigrafiche in microscopia ottica visibile/UV ed elettronica con microanalisi EDS. I risultati
ottenuti hanno evidenziato la presenza in tutti i campioni di un sottile livello di biacca steso al di
sopra della preparazione a gesso e colla e hanno consentito di caratterizzare e “mappare” la
distribuzione di alcuni pigmenti come i verdi di rame (malachite e resinato) e le lacche mettendo
in evidenza la presenza di una preparazione leggermente colorata al di sotto del film pittorico
superficiale (Tabella 1).
Figura . Radiografia, particolare del volto
Figura . Versione definitiva del volto
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Figura . Radiografia, particolare paesaggio
fondo
Figura . Riflettografia IR piede del trono
Figura . Strutture architettoniche coprenti il
paesaggio
Figura . IR cartiglio
sx
Figura . IR cartiglio
dx
L’intervento sul supporto
Il dipinto misura 278x172 cm e il suo attuale spessore è 1,2 cm. Considerata la posizione attuale
dei cavicchi presenti nel supporto ligneo, lo spessore originale si presume fosse di circa 2,5-2,6
cm. Il supporto, di forma centinata, si compone di quattro assi di legno di pioppo poste in senso
verticale unite a spigoli vivi; all’interno di ciascuna commettitura, incollata con caseinato di
calcio, ci sono tre cavicchi. Le assi sono di taglio relativamente centrale, la venatura è in parte
curvilinea e ci sono altre deformazioni della fibra dovute alla presenza di numerosi nodi. Le assi
sono state disposte con la faccia più interna verso la preparazione. Sul retro del supporto, in
corrispondenza della commettitura centrale erano incassati quattro inserti a forma di farfalla, nelle
altre connessioni tre inserti.
Figura . Luminescenza UV prima della
sverniciatura
Figura . Luminescenza UV dopo la
sverniciatura
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Figura . Ripresa IR delle lettere in basso a destra
VERDE VESTE
ANDREA
malachite,
resinato, biacca,
orpimento, giallo
di Pb (?)
INCARNATO
PIETRO
biacca, cinabro,
ematite (2^)
INDICE
Figura . Analisi XRF livelli differenti
ROSSO VESTE
MADONNA
BLU MANTO
MADONNA
lacca rossa
azzurrite, biacca
azzurrite, biacca
cinabro, ematite
(2^),
tracce di biacca e
orpimento
malachite,
biacca,
orpimento,
giallo di Pb (?)
biacca
gesso - colla
biacca, ematite
biacca
AZZURRO CIELO
biacca, cinabro
biacca, azzurrite
biacca
biacca
gesso - colla
gesso - colla
gesso - colla
Tabella 1. Composizione dei livelli stratigrafici
Biacca e tracce
di azzurrite
biacca
gesso - colla
Sulla faccia anteriore, in corrispondenza di ogni commettitura in alto e in basso, sono presenti due
inserti a farfalla.
(Figura 14). Il sostegno strutturale e il controllo delle deformazioni del supporto era affidato a
due traverse del tipo a coda di rondine. Le tracce ricavate nel supporto erano profonde all’origine
circa 1,3 cm, con larghezza che si riduce da una testa all’altra. Il dipinto in passato è stato oggetto
di vari interventi nel supporto, probabilmente l’ultimo degli anni Sessanta è stato il più invasivo.
Le assi che si presentavano scollegate sono state riunite in modo impreciso, sia sulle facce di
unione, sia sul piano pittorico. Le imperfezioni di questo intervento sono state colmate con un
impasto di segatura, gesso e colla forte. I margini dipinti che non erano sullo stesso livello sono
stati aggiustati grattando il colore originale e stuccando a livello le commettiture. E’ seguito
l’intervento di parchettatura. Per poter realizzare questa complessa operazione il supporto è stato
ridotto di circa metà dello spessore ed è stato raddrizzato forzandolo. Per mantenerlo nel piano
acquisito è stata realizzata e applicata una griglia di legno composta da listelli verticali e traverse
orizzontali (Figura 12). I listelli verticali con le feritoie per contenere le traverse sono stati
incollati al supporto nel senso longitudinale. Il legno impiegato per la parchettatura era di douglas.
L’intervento di parchettatura subito dal supporto negli anni Sessanta, oltre ad aver creato
pericolosi sollevamenti di colore ha dato origine ad una serie di fratture lungo la fibra del legno
del supporto. La superficie pittorica presentava estesi sollevamenti di colore lungo la fibra del
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legno. Parte delle commettiture erano scollegate, le farfalle sotto il colore erano deformate e
distaccate dalle sedi.
Figura 12. Retro del dipinto con la
parchettatura
Figura 13. Retro del dipinto con il telaio
montato
Considerate le problematiche conservative del dipinto, il progetto d’intervento ha previsto: 1.
Rimozione della parchettatura. 2. Ricollegamento tra le assi. 3. Ripristino del livello dei margini
dipinti. 4. Realizzazione di un telaio per il sostegno e controllo delle deformazioni per migliorare
la stabilità del dipinto al variare del microclima. Verificata la correttezza delle variabili ambientali
misurate nel laboratorio di restauro, si è progressivamente rimossa la parchettatura e sono state
tolte le sverze interne ai tagli. Sulla faccia pittorica sono state rimosse le ampie stuccature lungo le
commettiture che livellavano i margini pittorici, coprendo molto del colore originale. Si è quindi
proceduto alla rettifica dei margini delle sconnessioni e delle fessurazioni e sono stati portati allo
stesso livello i margini dipinti. Le connessioni e le fratture nel supporto sono state ricollegate, con
piccoli cunei. Sono state integrate alcune parti mancanti nel supporto. Le farfalle dipinte sono
state ricollocate nel piano pittorico. Per realizzare il telaio, curvo in senso ortogonale e centinato,
si è costruita una base per poter disporre i singoli pezzi (Figura13). La costruzione di questa
struttura è stata realizzata mediante liste di legno di rovere sovrapposte in quattro strati e
intersecate nel senso della lunghezza. Anche le traverse sono in quattro strati e si collegano ai ritti
laterali per mezzo di un incastro (si tratta di una costruzione ottenuta sovrapponendo ed
alternando gli elementi lignei nel senso della lunghezza). Con lo stesso sistema di legame a
incastri è stata costruita la parte centinata. L’incollaggio tra le parti del telaio è stato fatto in una
sola volta con resina epossidica e sottovuoto. Il collegamento tra supporto e telaio è realizzato
tramite un meccanismo che permette il controllo lineare e di deformazione del supporto (Figura
15). Inoltre consente di correggere alcune deformazioni delle assi che presentano un
imbarcamento anomalo concavo per il colore. Per rallentare gli scambi climatici tra il supporto e
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l’ambiente di esposizione il supporto è stato protetto con cera microcristallina, multiwax 445, il
retro del telaio è stato chiuso con un compensato di otto millimetri. Il dipinto e le parti realizzate
per il restauro sono state protette con antitarlo a base di permetrina steso a pennello.
L’intervento al colore
La tavola è ritornata nella sede museale di Cremona alla fine del 2009 per completare l’intervento
di restauro iniziato a Firenze. E’ stata oggetto di ulteriore approfondimento diagnostico, a seguito
del quale sono intervenuti i restauratori Gianni Toninelli e Michele Bernardi, collaboratori della
Scuola di Restauro Cr.Forma, coadiuvati da Chiara Rossi, Direttore Tecnico del Laboratorio
Dipinti OPD. Inizialmente si è proceduto alla rimozione del velatino cartaceo, che ricopriva
l’intera superficie del manufatto, con tamponi d’ovatta imbevuti di tiepida acqua demineralizzata.
Successivamente è stata eliminata l’eccedenza di colla animale rimasta adagiata al supporto
pittorico. Per l’intervento di pulitura, mirata all’eliminazione delle vernici, dei ‘beveroni’ e delle
numerose ridipinture cromaticamente alterate (Figura 16) i restauratori e il chimico diagnosta
hanno realizzato una serie di test sulla pellicola pittorica per individuare la miscela di solventi più
idonei alla corretta rimozione dei materiali sovramessi.
Figura 14. Farfalla, particolare
Figura 15. Fedi che ricevono gli ancoraggi, retro,
particolare
La complessa opera di rimozione totale è stata eseguita con una miscela di alcool isopropilico e
ligroina al 50%. L’operazione si è conclusa con una pulitura meccanica a bisturi delle vecchie
ridipinture molte delle quali eccedenti sull’originale (Figura 17). Dopo la rimozione delle spesse
vernici la superficie pittorica si presentava ricca di minute crestine e sollevamenti della
preparazione (Figure 18 e 19). Per ridare al colore un’adeguata planarità si è proceduto ad
un’operazione mirata all’abbassamento delle creste, operando a zone circoscritte di (10x10 cm)
tramite l’apporto di umidità e temperatura, applicando colla di storione diluita al 8% su velatino
inglese e lavorando su un foglio di melinex con termocauterio ad una temperatura controllata che
non superasse i 35°C (controllo effettuato con termometro laser). Le zone sono state
“massaggiate” per far rientrare tali increspature presenti sulla superficie pittorica e lasciate
asciugare sotto una leggera pressione di cuscinetti di carta assorbente utili al fine di eliminare
velocemente l’umidità in eccesso. Questa operazione ha interessato gran parte della superficie
dipinta ed in particolare le zone dove le fibre del supporto ligneo risultavano più larghe e
disomogenee e, pertanto, più facilmente sottoposte a quelle forze generate, a causa di frequenti
sbalzi microclimatici, dal movimento del supporto. Dopo l’operazione di riadagiamento della
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pellicola pittorica, sono state chiuse le fessure di congiunzione delle tavole in sottolivello con
balsite. Successivamente è stata eseguita la stuccatura provvisoria delle innumerevoli lacune del
supporto con mestichino di gesso e colla, in previsione del successivo consolidamento sottovuoto,
per impedire alla colla di arrivare direttamente al supporto ligneo. Allo scopo di conferire una
maggiore omogeneità e resistenza allo strato preparatorio, rinforzato in molte zone dalla fermatura
dei sollevamenti, si è deciso di realizzare un consolidamento generale su tutta la superficie del
dipinto. Era, inoltre, necessario che i sollevamenti della pellicola pittorica fossero già stati
abbassati. L’operazione è stata eseguita al termine delle difficili fasi di pulitura e di fermatura,
proprio per evitare la formazione di indesiderati accavallamenti o “malposizionamenti” di
porzioni di colore. Sono stati attivati tutti i possibili accorgimenti utili a facilitare la penetrazione
del consolidante e permettere la buona riuscita dell’operazione. Lo stato di conservazione del
supporto ha consentito l’attuazione della tecnica sottovuoto, applicando una pressione di 0,600
bar. Al di sotto ed intorno alla tavola sono state fissate porzioni di tela che favorissero l’uscita
dell’aria attraverso le pompe per realizzare un’omogenea distribuzione della pressione. E’ stata
utilizzata colla animale, materiale ben conosciuto e compatibile con quelli originali presenti
sull’opera, in particolare la colla di storione in quanto ha il pregio di rimanere fluida a temperatura
ambiente, garantendo, per la ridotta tensione superficiale, una conveniente bagnabilità. Per
migliorare ulteriormente questi parametri è stata aggiunta una piccola percentuale di tensioattivo
naturale (fiele di bue al 2%); la colla è stata utilizzata a circa 37/40 °C. Per evitare qualunque
danno al dipinto tutte le lacune, le fessurazioni, le mancanze sono state stuccate affinchè l’acqua
non arrivasse direttamente alle fibre del legno. Sulla superficie è stata applicata carta velina
giapponese la quale, oltre a proteggere la superficie pittorica, favorisce anche la formazione del
vuoto e la diffusione del consolidante. Molto importante in questo tipo di intervento è la velocità
di esecuzione, onde evitare che i residui di collante sulla superficie si asciughino mentre
l’operazione è ancora in atto, fatto questo che potrebbe complicare non poco l’apertura del sacco
al termine del sottovuoto (Figure 20 e 21). Dopo l’apertura del sacco il consolidante in eccesso è
stato eliminato, la superficie è stata tamponata con carta assorbente e l’opera è stata lasciata ad
asciugare nell’ambiente laboratoriale. Eliminate le stuccature provvisorie abbondantemente
impregnate di colla e, pertanto, troppo rigide, ne sono state eseguite delle nuove con gesso di
Bologna e colla di coniglio. Dopo aver compiuto definitivamente la stuccatura, avvenuta nelle
diverse fasi di rifinitura e di relativo livellamento, si è proceduto alla complessa e lunga fase
d’integrazione pittorica ad acquerello, che ha compreso, in aggiunta, la ricostruzione di larghe
partiture mancanti o lacunose. In seguito è stata applicata una prima stesura di vernice mastice al
5% in butilacetato, stesa a pennello per saturare le precedenti integrazioni e creare un film
protettivo al fine di procedere, con un’attenta integrazione, a selezione cromatica tramite tecnica a
rigatino con colori a vernice. La verniciatura finale eseguita a spruzzo, sempre con vernice
naturale al 5% in essenza di trementina, ha concluso il restauro estetico.
Figura 16. Ridipinture alterate, particolare
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Figura 17. Stuccature debordanti
sull’originale
Figure 18 e 19. Grinze e sollevamenti dopo la pulitura, luce radente
Figure 20 e 21. Particolare della fase di consolidamento sottovuoto
NOTE
[1] Fonti archivistiche: la documentazione originale menzionata nella stesura della parte storica
del saggio e nella nota [1] è depositata presso l’Archivio del Museo Civico “Ala Ponzone” di
Cremona (e d’ora in poi AMCCr), in cassette il cui contrassegno e posizionamento archivistico
corrisponde alla datazione dei documenti (es. “1908”, “1909” … e seg.). Inoltre gli stessi atti,
ordinati in cassette contrassegnate da lettere maiuscole dell’alfabeto e da numeri in carattere
romano e arabo, sono consultabili presso l’Archivio del Laboratorio di Restauro del Museo
sopraccitato (e d’ora in poi AMCCr Lab.). Si ringraziano infine la dirigente del Museo, dott. Ivana
Iotta, e la responsabile dell’Archivio, dott. Luisa Baltieri, per aver favorito le necessarie ricerche
storiche.
[2] E’ necessario aggiungere qualche notizia biografica di Vincenzo Favenza; è noto che sia stato
antiquario a Venezia almeno negli ultimi due quarti dell’800. Non è conosciuto l’anno della sua
nascita ma il Crippa ne rivelava la scomparsa avvenuta, probabilmente a Venezia, il 26 febbraio
1901. Inoltre è forse possibile che possa essere stato un intagliatore in avorio e legno operante in
quella stessa città intorno al 1850: “Favenza Vincenzo da Cremona già alunno dell’I. R.
Accademia di Belle Arti è scultore in avorio e in legno, facilmente dei migliori che vi siano in
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Europa” (notizia menzionata in: Venezia e le sue lagune, I, Venezia 1847, p. 410), e, in seguito,
divenuto commerciante d’arte. Nella sua donazione del 1894 compaiono infatti due pregevoli
intagli in avorio d’incerta cronologia. Infine, pare fosse titolare di uno stabilimento artistico per la
fabbricazione dei vetri d’arte (infatti ne donò alcuni al nostro Museo). Secondo Bernard Berenson,
il Favenza altro non era che un “fabbricante e venditore di falsi”. Il giornalista e storico Elia
Santoro ricordava, in un articolo apparso sulla Provincia (Quotidiano “La Provincia”, Sabato 8
aprile 1967) che l’antiquario “era un raccoglitore appassionato di cose d’arte e, soprattutto di
memorie cremonesi” e che “ebbe in eredità dalla famiglia anche numerosi strumenti musicali e
sembra avesse posseduto alcuni meravigliosi esemplari di violini di Antonio Stradivari che
vennero acquistati dai suoi antenati direttamente dal figlio del grande liutaio, Paolo”. Stando al
tenore dei documenti fino ad ora rinvenuti, risulta che le condizioni conservative della tavola del
Dossi (ed ora del Mazzolino) erano già considerate assai precarie. Va inoltre ricordata la scheda di
Elisabetta Sambo nel recente catalogo del Museo (v. in La Pinacoteca Ala Ponzone. Il
Cinquecento, a c. di M. Marubbi, Milano, Cremona 2003, pp. 78-80) in cui la studiosa
ricostruisce il percorso delle proprietà, partendo da quella milanese dell’abate Mussinelli nel
1818, passando per la collezione bresciana del conte Teodoro Lechi e al nipote di questi che la
vendette poi al Favenza. Da tali itinerari si possono intuire possibili restauri avvenuti in almeno tre
casi a partire dalla data 1818. La prima menzione è del 10 febbraio 1909 ed è la lettera dal
“Sovrintendente alle raccolte d’arte delle province lombarde Ettore Modigliani” indirizzata all’
“Ill. Sig. Sindaco di Cremona”, che scriveva: “Di passaggio per codesta città visitai giorni or sono
la piccola ma interessante raccolta di pittura, conservata a cura di questa On. Amministrazione nel
Palazzo Ala Ponzone. Avendo rivelato con rammarico lo stato non buono di conservazione delle
tre pitture del dono Favenza – Trinità del Civerchio [e ora del Mansueti], polittico di Benedetto
Diana e Madonna con santi attribuita a Dosso Dossi, mi rivolsi per schiarimenti al Sig.
Conservatore [pittore Alessandro Landriani dr] dal quale seppi che codesta Amministrazione con
lodevole premura si era rivolta ad un noto riparatore [si trattava dei f.lli Steffanoni di Bergamo
che ‘spararono’ per il solo Dossi-Mazzolino 800 lire, v. minuta del 5/2/1909] per un preventivo di
lavori atti ad assicurare la buona conservazione di quei dipinti. Sembra peraltro, che il preventivo
molto elevato non abbia permesso l’esecuzione di tali opere di riparazione; […] L’imprimitura
delle tre tavole in più punti non solo si è sollevata dando luogo a larghe sbollature, ma è crinata e
frantumata per modo che il più leggero strofinio, anche soltanto la sfioritura della superficie
dipinta, sarebbe cagione della caduta e della perdita di numerose ed ampie zone di colore […] ho
pregato il Sig. Conservatore d’appilcare immediatamente ai dipinti nei punti lesionati, e con le
norme consuete, veli di garza o di carta velina, allo scopo di prevenire la caduta di parti
d’imprimitura e di colore …” (AMCCr Lab., Cass. P bis “Restauri”, fasc. 6). In una nota di
promemoria del 23/2/1909 da inviare al Sindaco, il Conservatore Landriani, pur accettando
l’invito del ‘Sovraintendente’ Modigliani e lamentando che tuttavia era da valutare se le tavole
“dopo i gravi danni subiti da cattivi restauri in tempo che appartenevano al Favenza medesimo,
possano avere la prevalenza su altri quadri che di presente giacciono arrotolati e dispersi” (ID,
fasc. 6). La risposta del Modigliani, del 2/3/1909, pur ritenendosi “…lieto che codesta
Amministrazione Comunale intenda provvedere a migliorare lo stato di conservazione di quelle
pitture del suo patrimonio”, sottolineava l’urgenza di provvedere “alle tre tavole del dono
Favenza” consigliando all’Amministrazione di “rivolgersi al riparatore sig. Annoni di Milano, il
quale compie spesso lavori per la nostra Pinacoteca, è assai guardingo e non corre troppo nel
procedere a trasporti [lo stacco da tavola e riporto su tela come proposto dagli Steffanoni dr] […]
Interpellato da questa Direzione l’Annoni si è mostrato disposto a recarsi costà , purché dal
Comune gli sia rimborsata la pura spesa di viaggio …” (ID, fasc. 6). Non è chiaro se l’Annoni
possa essere venuto a Cremona, anche se una nota del Conservatore del 17/6/1909 suggeriva al
Sindaco di “chiedere al restauratore Annoni di Milano le condizioni a cui eseguirebbe tale
operazione” (ID, fasc. 6).
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BIBLIOGRAFIA
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Firenze, Edifir, 2003.
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21/2009, n. 22/2010 a cura della casa editrice Centro Di, Firenze
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conservazione dei beni culturali: guida all’analisi dei pro e dei contro dei vari sistemi di
riscaldamento”, Milano, Electa Mondadori, 2007
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