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LE RADICI DEL FASCISMO BALTICO: L'ARCHIVIO DI KRYSIN di Carlo Benedetti Ci siamo abituati - grazie ad una vasta mole di pubblicazioni - a ritenere Simon Wiesental e il suo centro di documentazione sui crimini e sui criminali nazisti come unica fonte di ricerca. Ma ora, dalla Russia, arriva un giovane storico - Michail Krysin (classe 1973) - che organizza un suo "Centro" dedicato alla individuazione di quei criminali di origine baltica che operarono a fianco dei nazisti. Un compito di estrema difficoltà tenendo conto che nell'intera area (ora ex sovietica) molte fonti sono state annullate. Si cerca, inoltre, di far cadere una cortina fumogena su una intera pagina di storia. Krysin entra in lotta contro i sistemi politici che dominano ora nel Baltico e, grazie alla sua conoscenza di quelle regioni e delle lingue locali, fornisce nomi e fatti. E lo fa con due libri usciti ora in Russia (in russo) intitolati: "La legione lettone delle Ss: ieri e oggi" e "Il fascismo baltico". Opere che analizzano le radici del nazionalismo di quelle terre, spingendo l'analisi sino ai nostri giorni. Ma c'è bisogno, prima di entrare nel merito dei lavori di Krysin, di una serie di precisazioni di ordine storico relative all’area del Baltico e, in particolare della Lettonia. IL CASO LETTONE. La Lettonia è regione carica di eventi tutti legati alle vicende russe: dai rapporti politici e commerciali con Novgorod e Pskov e con altri principati russi, per giungere all'inizio del XX secolo quando la Lettonia divenne una delle regioni industrialmente più sviluppate. E' noto, comunque, che nel periodo zarista i proprietari terrieri tedeschi avevano mantenuto intatti i loro privilegi. Inoltre il brutale sfruttamento del popolo lettone era accompagnato da una duplice oppressione nazionale: da parte dei baroni tedeschi e dello zarismo russo che ledevano i diritti nazionali dei lettoni. Intanto la classe operaia locale si affermava come uno dei reparti più avanzati del proletariato russo. Con gli operai lettoni che parteciparono attivamente alla rivoluzione del 1905-1907. Durante la Prima guerra mondiale (1914-1918) una parte considerevole della Lettonia fu occupata dalla Germania e proprio per questo nel 1917 il potere sovietico riuscì ad instaurarsi solo nelle zone non occupate. LA LETTONIA TRA ROSSI E NERI. La nostra rievocazione, appunto, comincia proprio con il settembre del 1917 quando i tedeschi (con l’esercito russo in rotta) occuparono parte della Lettonia e in questa zona si costituì un blocco detto democratico, di tendenze progressiste, diretto da Karlis Ulmanis, esponente della borghesia locale. Nell'altra parte, con l'avvento al potere in Russia dei bolscevichi, si costituì a Valka un consiglio nazionale, che inviò un rappresentante a Londra e a Parigi. Il 3 marzo 1918 il trattato di Brest-Litovsk creò uno stato comprendente Livonia ed Estonia sotto sovranità tedesca e trasformò la Curlandia in ducato legato alla Prussia, ma dopo la sconfitta austro-ungarica, il 18 novembre 1918, il consiglio nazionale e il blocco democratico proclamarono concordemente l'indipendenza della Lettonia nelle sue frontiere etnografiche (Curlandia, Livonia e Letgallia), affidando a Ulmanis il governo provvisorio. Con la cacciata degli occupanti - il 17 dicembre 1918 - in Lettonia fu instaurato il potere sovietico. Ma nel maggio 1919 l'esercito delle Guardie Bianche - formato con l'aiuto degli imperialisti stranieri - occupò la Lettonia che, nel 1922, fu dichiarata repubblica borghese. Nel 1934 i fascisti instaurarono una dittatura militare che fu poi rovesciata nel 1940. E il parlamento proclamò - il 21 luglio 1940 - la Repubblica socialista sovietica. Poi, il 5 agosto 1940, il Soviet Supremo dell'Urss accettò la Lettonia nell'ambito dell'Unione Sovietica. Ma nell'estate del 1941 la Lettonia fu occupata dai tedeschi i quali cominciarono a reclutare i lettoni nei battaglioni di polizia ausiliaria, che nel 1944 erano diventati più di quaranta. Il 10 febbraio 1943 Hitler ordinò la costituzione di una legione di volontari lettoni e quasi simultaneamente cominciarono a formarsi due divisioni Waffen-Ss. Le quali dall'ottobre 1943 formarono il VI Corpo d'armata Ss. LA WAFFEN-SS. Nell'estate del 1942 la Waffen-Ss cominciò a costituire una legione estone che nel marzo 1943 raggiunse una forza di 969 uomini. Fu poi trasformata in brigata, e nel gennaio 1944 fu impegnata nel settore settentrionale del fronte orientale. Il 10 febbraio 1943 i nazisti ordinarono la mobilitazione generale e migliaia di lettoni furono deportati in Germania. Contro i nazisti si rivoltarono le truppe lettoni della Curlandia occidentale al comando del generale Cùrelis. Spettò poi a Martin Franz Rudolf Erwin Lange, che era al servizio dei nazisti, il compito di organizzare i massacri di ebrei lettoni e tedeschi nei pressi di Riga. Durante gli anni di occupazione, Lange rimase al suo posto a Riga; il 9 novembre fu promosso consigliere di 1a classe e nel 1944 decorato con la croce di ferro di 1classe. LA LEGIONE NAZISTA DI RIGA. E veniamo alla ricerca attuale che aggiunge nuove pagine di storia e di documentazione. L’opera di Krysin si apre con la rievocazione della storia della legione SS della Lettonia. E’ l’inizio del 1943. Seguono In questa dettagliata ricostruzione fatti e nomi di nazisti lettoni che hanno commesso efferati delitti contro il proprio popolo servendo le truppe di occupazione. Kryisin presenta un documentazione impressionante con nomi, cariche, luoghi di intervento, carriera e collegamenti con le maggiori organizzazioni naziste e con la Cia negli anni del dopoguerra. Ecco Viktor Arais, uno dei boia nel lager di Salaspils, implicato negli arresti di antifascisti lettoni; Konrad Kalejs agente della polizia nazista, fuggito poi negli Usa; Karlis Detlavas boia del campo di Salaspils che riuscì a fuggire negli Usa... Seguono altri nomi e altre tragiche vicende. In particolare l’autore del libro descrive l’intera vicenda relativa alla organizzazione del lager di Salaspils, l’Auschwitz della Lettonia, dove fu effettuata la repressione di gran parte della popolazione di origine ebrea. Altri “dati” riferiti nel libro si riferiscono ai campi di Riga, Daugavpils, Rezenke, Elgove... dove furono uccisi oltre quarantamila bambini. A dirigere le operazioni repressive c’erano dei lettoni dei quali Krysin fornisce nomi e biografie: da Gherbert Cukurs a Karlis Ozols... NAZISTI OGGI. Infine nell’opera in questione si respinge (sempre attraverso documenti e testimonianze) la tesi di una “occupazione sovietica” della Lettonia. E si affronta in questo contesto il periodo della Lettonia sovietica. Non mancano, qui, dati e informazioni sulla presenza nel paese di bande militari che operarono in clandestinità nei primi periodi del nuovo potere sovietico e che contavano su un contingente di 60.000 militanti. Risulta poi che dal novembre 1944 al 1945 gli organi della polizia sovietica giustiziarono, in tutto il Baltico, 4176 membri di organizzazioni terroristiche antisovietiche. Ed oggi sappiamo e vediamo che nelle zone del Baltico le organizzazioni nazionaliste e fasciste alzano la testa. Il periodo sovietico viene presentato come "occupazione". La storia viene riscritta e si avvia una incredibile azione contro la popolazione locale di lingua russa che, nonostante tutto, si sente partecipe della vita nazionale. Intanto sull’intera vicenda si scatenano le proteste che però coinvolgono solo quella pur agguerrita minoranza che ricorda il valore della guerra antifascista. Il fronte che si oppone - quello della destra - conta sui deputati della “Unione Patriottica”, sul “Partito dei riformatori” ed infine sui socialdemocratici che si sono vergognosamente uniti agli ambienti più reazionari del paese. LE RICERCHE DELLO STORICO KRYSIN. La lettura dei libri di Krysin sollecitano, ovviamente, una serie di approfondimenti legati all’oggi. E così, a Mosca a margine del libro - incontro questo giovane autore per discutere fatti e situazioni del fascismo baltico. Tutto, appunto, in relazione alle sue opere. Chiedo a Krysin: Qual è l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei paesi baltici rispetto alle manifestazioni fasciste e qual è l’atteggiamento verso la Russia? “È per me difficile - risponde - giudicare in merito alle simpatie e antipatie dei popoli, poiché come sempre ci sono i sostenitori del regime al potere, gli oppositori e coloro che in generale sono lontani dalla politica. Persino centinaia di inchieste sociologiche trovano difficoltà a rispondere a questa domanda. Pertanto le mie opinioni su questo tema sono soggettive. Stando a quanto dichiarano singole persone che vivono nei paesi baltici, posso ritenere che nei confronti della Russia l’atteggiamento è nel complesso positivo. Gli estremisti nazionalisti, che proclamano eroi gli ex sbirri e legionari, hanno ovviamente un atteggiamento diverso. Ma per quanto ne so essi costituiscono una minoranza, pur avvalendosi dell’appoggio delle autorità. A proposito dei governi dei paesi baltici, voglio rilevare che anche qui si sono verificati mutamenti positivi verso una normalizzazione dei rapporti con la Russia. Molte personalità ufficiali, ad esempio, si mostrano interessate ad un ampliamento dei rapporti commerciali con la Russia. Tanto più che nei paesi del Baltico oggi si avverte acutamente una penuria di manodopera. Molti cittadini autoctoni della stessa Lettonia, ad esempio, hanno abbandonato il paese già negli anni “indipendenti” del 1990, alla ricerca di lavoro nei paesi dell’Europa Occidentale e nell’America settentrionale. Il lavoro non c’era per tutti e spesso non c’era per nulla. Molte fabbriche, costruite o ricostruite dalle rovine negli anni postbellici (durante il potere sovietico!) vennero chiuse. La fabbrica di automobili RAF in Lituania, ad esempio, che forniva i celebri microautobus “RAF” a tutta l’Unione Sovietica, venne chiusa poiché era “nociva all’ambiente” (Un’altra accusa dei nazionalisti all’indirizzo degli “occupanti sovietici”: le vostre fabbriche hanno rovinato il nostro ambiente!). Ma ai tempi sovietici le repubbliche del Baltico dipendevano in larga misura, sul piano economico, dall’Unione Sovietica. Financo alla fine del 1980, il saldo del commercio all’interno dell’Unione Sovietica ed estero di Lituania, Lettonia e Estonia, era negativo, ovvero l’importazione in questi paesi superava l’esportazione. I nuovi contatti con i paesi dell’Unione Europea non si sono giustificati fino in fondo. Sicché la necessità dei paesi del Baltico di ripristinare i tradizionali rapporti commerciali, industriali e scientifici con la Russia, si pone ormai da parecchio tempo. Di ciò cominciano gradualmente a rendersene conto a Riga, a Tallin e a Vilnius. Non per nulla negli ultimi anni i circoli imprenditoriali dei paesi del Baltico si mostrano interessati alla conclusione di accordi di cooperazione economica con la Russia. Anche i rappresentanti ufficiali di molti paesi d’Europa, dell’Unione Europea e persino degli Stati Uniti d’America si sono espressi negli ultimi tempi in questo senso. Questa aspirazione è confermata anche dal fatto che il Trattato sui confini tra la Russia e la Lettonia è stato alla fin fine ratificato dalla Dieta lettone il 17 maggio del 2007. Analogo trattato è stato stipulato dai presidenti della Federazione Russa e della Lettonia, Eltsin e Brazaukas nell’ottobre del 1997, mentre la Seima della Lituania ha ratificato questo trattato ancora alcuni anni prima, anche se i problemi dei rapporti russo-lettoni continuano a sussistere (soprattutto quello del passaggio di transito senza visto per i cittadini russi della regione di Kaliningrad, attraverso il territorio della Lettonia). La situazione è ancor più complicata con l’Estonia, dove nel giugno del 2005 l’opposizione di destra (i partiti “Repubblica” e “Unione patriottica”) hanno fatto fallire il Trattato sul confine con la Russia, firmato dall’ex presidente A. Rjuitel il 18 maggio del 20005, proponendo di emendare il testo inserendo la frase “occupazione sovietica dell’Estonia dal 1940 al 1991”. A questo proposito occorre prestare attenzione al fatto che tutte le pretese territoriali avanzate dai governi della Lettonia e dell’Estonia sono soltanto un pretesto per denunciare ulteriormente la famigerata “occupazione sovietica”. Le autorità della Lettonia, ad esempio, avanzando la pretesa della provincia di Ptyalovo nella regione di Pskov (sino al 1944 la provincia di Abrenskij faceva parte della Lettonia) ancor prima della ratifica del trattato, non rivendicavano la restituzione di questa provincia, ma si limitavano a cercare di ottenere il riconoscimento dalla Russia della separazione illegale di questi territori. In modo analogo si pone ora la questione con l’Estonia. Le autorità di questo paese avanzano pretese territoriali nei confronti di alcune province delle regioni di Leningrado, Novgorod e Pskov, passate all’Estonia sulla base del trattato di Tartu del 1920. Anche qui ciò che importa non sono i territori, ma il riconoscimento della “occupazione illegale dell’Estonia”. In tal modo la firma dei trattati sui confini con i paesi del Baltico non significa ancora la fine del mito della “occupazione sovietica”. Più di due anni orsono, alla vigilia del 60mo anniversario della vittoria sul fascismo, i parlamenti di Lettonia, Lituania ed Estonia, nonché l’Assemblea del Baltico, avanzarono la richiesta di nuove scuse ufficiali dalla Russia per “l’occupazione dei paesi Balitici”. E, come testimoniano le dichiarazioni del presidente degli USA, Gorge Bush, del primo ministro della Danimarca, Anders Fog Rasmussen, o del commissario dell’Unione Europea, rivolte ai paesi del Baltico, sono riusciti a ottenere su questa questione l’appoggio dell’Europa e della America settentrionale, al più alto livello. Vari deputati del Parlamento europeo hanno presentato un progetto di risoluzione in cui si chiede alla Russia di riconoscere “l’occupazione illegale dei paesi del Baltico”. Sono stati sostenuti da noti “combattenti per la libertà e la democrazia in tutto il mondo”. I congressisti americani Jon Simcus e Denis Cusinic, coopresidenti del “Comitato baltico del Congresso USA” (The Baltic Caucus, U.S. House of Representativ), sottoposero il 12 aprile del 2005 all’esame del Congresso il progetto di risoluzione n. 128, in cui si sosteneva che la Russia, come erede di diritto dell’Unione Sovietica, “è intervenuta con una dichiarazione chiara e inequivoca di condanna contro l’occupazione illegale e l’annessione dell’Estonia, della Lituania e della Lettonia dal 1940 al 1991”. A sostegno di questa dichiarazione intervennero i senatori Smit, Richard Durbin e Diana Fejnstejn, che il 19 maggio del 2005, sottoposero all’esame della camera alta del Congresso USA, un progetto di risoluzione del Congresso USA n° 32, che conteneva la stessa richiesta della sopra citata risoluzione del Congresso USA n° 128. Entrambe le risoluzioni godettero di un sostegno al livello più alto, alla Casa Bianca, come ben dimostra il discorso tenuto da Bush a Riga l’8 maggio del 2005. A questo proposito vale la pena di ricordare che le scuse pretese dai paesi baltici, sono già contenute in tutta una serie di atti e risoluzioni del Soviet Supremo e del Congresso dei deputati del 1991. Inizialmente, nel 1989, “l’occupazione sovietica” dei paesi del Baltico, venne stigmatizzata dalla “Commissione Jakovlev”, dando così nel frattempo anche una forte spinta al separatismo delle repubbliche dell’Unione e alla successiva disgregazione dell’Unione Sovietica. Il 7 marzo del 1991 il Soviet Supremo approvò una risoluzione in cui si definivano illegali e criminali le repressioni contro i popoli sottoposti a trasferimenti coattivi. Nell’ottobre dello stesso anno, già dopo il riconoscimento di Eltsin dell’indipendenza delle repubbliche del Baltico, il 5° congresso straordinario dei deputati del popolo dell’URSS, invalidò i protocolli segreti allegati al patto Molotov-Ribbentrov del 1930 e presentò le sue scuse ai popoli lettoni, estoni e lituani. Nel 1992 la questione dei crimini del regime staliniano contro i popoli del Baltico è stata esaminata dal Tribunale costituzionale della Federazione Russa, nell’ambito del cosiddetto “Affare PCUS”. Di scuse ce ne sono state perfino troppe, tenendo conto di quanto ha fatto il famigerato “regime sovietico” per le repubbliche del Baltico. Quali altre scuse si pretendono? Come ha dichiarato nel 2005 il presidente della Russia, Putin, sono assolutamente superflue”. "OCCUPAZIONE SOVIETICA"? "Sempre nel contesto della situazione attuale chiedo a Krysin - perché mai i paesi del Baltico debbono nuovamente sollevare la questione della compensazione per “l’occupazione sovietica”? Non è che pensano di risolvere così i propri problemi economici? “La rivendicazione del “riconoscimento della occupazione sovietica” - risponde Krysin - non è stata risollevata casualmente un’altra volta, poiché alle sue spalle vi sono pretese del tutto concrete e territoriali. Il 12 maggio del 2005, la dieta della Lettonia ha approvato una delibera in cui rivendica un risarcimento dal governo della Russia “dell’ordine di 60-100 miliardi di dollari”. Il parlamento dell’Estonia ha avanzato a sua volta nel giugno del 1995, non solo la rivendicazione del riconoscimento della “illegale occupazione sovietica”, ma anche un risarcimento materiale di 4 miliardi di dollari per i danni economici provocati dall’URSS, nonché 75mila dollari per ciascuno dei 180mila cittadini del paese, ovvero altri 13,5 miliardi di dollari. Analoghe richieste sono state avanzate dalla Dieta della indipendente Lituania. Inizialmente i lituani valutarono in 278 miliardi di dollari, ma poi ne ridussero sensibilmente l’entità, e alla fin fine la Dieta approvò una risoluzione che impegnava il governo Lituano ad avviare trattative con la Russia per un risarcimento di 20 miliardi di dollari. Ovviamente si possono stimare quanti mezzi ha investito l’Unione Sovietica nella economia, nella sanità e nella cultura delle repubbliche baltiche, oppure quale danno (anche di vite umane) hanno inflitto alla Russia negli anni della seconda guerra mondiale, gli sgherri dei battaglioni polizieschi lettoni, estoni e lituani… Questa somma sarebbe notevolmente superiore. Inoltre, se la Russia riconosce che l’aggregazione delle repubbliche baltiche è stata una “occupazione”, sorge un altro paradosso. Risulterebbe, infatti, che la Lettonia, l’Estonia e la Lituania, allora facenti parte dell’Unione Sovietica, ricevettero illegalmente la loro parte di riparazione dalla Germania, ottenuta dall’Unione Sovietica dopo la guerra. Se, poniamo, le autorità dei paesi del Baltico, ottenessero il riconoscimento di essere stati abusivamente defraudati dai Soviet, (l’ordinamento statale prebellico continuò ad esistere durante il regime hitleriano) ed allora debbono essere considerati alleati della Germania nella seconda guerra mondiale. Ne consegue che non solo la Russia, ma anche una serie di paesi dell’Europa Occidentale potrebbero a buon diritto rivendicare da loro risarcimenti miliardari per l’annientamento di loro cittadini a Salaspils e in altri campi della morte esistenti nei paesi baltici. Ecco perché molti paesi europei (Francia, Germania, Italia) non approvano la richiesta dei paesi baltici di un risarcimento per “l’occupazione sovietica” e altre dichiarazioni analoghe, godendo del sostegno degli Stati Uniti e dei loro fedeli alleati dei paesi dell’Europa Orientale”. UN PARTITO FASCISTA NEL BALTICO? Chiedo a Krysin: "Da tutto questo discorso sembra che le manifestazioni dei veterani delle legioni naziste possono divenire la base per la creazione di un partito fascista baltico, oppure si tratta soltanto di un'espressione dell’odio verso la Russia da parte dei vecchi gerarchi nazisti? “Nei paesi del Baltico - è la risposta esistono partiti neofascisti, come tra l’altro in tutta l’Europa e, purtroppo anche in Russia agli inizi degli anni ’90. In Lettonia, nel 1990, ha ripreso la sua attività il partito apertamente nazista e antisemita “Perkonkrust”, esistente sino al 1940 e, in parte, durante l’occupazione hitleriana. Esistono ed operano anche filiali del partito neonazista russo RNE (“Unione nazionale russa”). Ma il principale pericolo non è costituito da queste forze, e neppure dai veterani ex legionari, che organizzano annualmente i loro cortei e adunate. Il principale pericolo è rappresentato dal fascismo a livello statale. Perché il fascismo è prima di tutto la divisione tra gli uomini di “alto” e “basso” rango. E i governi dei paesi del Baltico, ancora negli anni della lotta per l’indipendenza dall’Unione Sovietica, durante la “perestrojka”, proclamavano “eroi della guerra di liberazione” ex poliziotti, legionari e “fratelli del bosco”, in attesa di trovare migliori sostituzioni per loro e i loro ideologi. In tal modo l’ideologia nazista nei paesi del Baltico sopravvive ancora a livello statale. Di fatto i nostri “eroi” hanno combattuto per l’indipendenza dalla parte di Hitler, che non l’ha mai promessa e non si apprestava affatto a farlo, tanto più che considerava gli estoni, i lettoni e i lituani di “razza inferiore” e soltanto una minima percentuale degna della “germanizzazione”. Questi stessi “eroi” spararono sui soldati sovietici, sugli attivisti sociali e di partito, su pacifici cittadini sovietici, e non contro gli hitleriani, che portarono nei paesi del Baltico la schiavitù e non già l’indipendenza… Come chiamare tutto ciò se non fascismo? Per la verità, negli ultimi anni questa “ideologia legionaria” sta vivendo un periodo difficile. Gli ex poliziotti e legionari, come dimostrano i documenti, non sono tanto attratti dallo status di “eroi della guerra di liberazione contro i Soviet”. Sono infatti troppo screditati dalla storia stessa. Anche se la maggioranza degli ex legionari furono tutto sommato vittime del regime nazista più che eroi o carnefici. Essi furono arruolati nelle legioni forzatamente, le loro opinioni non inquietavano i nazisti. Per questo “l’eroizzazione” degli ex poliziotti e legionari, penso, cadrà presto nell’oblio. Per queste ragioni le autorità attuali dei paesi del Baltico sono alla ricerca di nuovi eroi, di eroi della lotta di liberazione, di partecipanti alla resistenza. Ad una sola condizione: che non fossero comunisti. Ecco perché gli autentici eroi liberatori dei paesi baltici furono i partigiani sovietici e i clandestini, i soldati delle divisioni baltiche dell’Armata Rossa. Ma in questo “eroico elenco ufficiale” non capiteranno comunque. Negli ultimi tempi i governi dei paesi baltici sostengono che se non ci fosse stata la famigerata “occupazione sovietica”, i loro predecessori (Pjats, Ul’manis, Smetona) si sarebbero schierati dalla parte degli alleati e non, conseguentemente, dell’Unione Sovietica. Gli storici dei paesi del Baltico cercano nuovi eroi della Resistenza che combatterono, come nell’Europa occidentale, sia contro i Soviet che contro Hitler. Un compito difficile, poiché sia nell’Europa occidentale che in quella Orientale l’avanguardia della resistenza antifascista era fondamentalmente costituita da comunisti, come ad esempio in Italia e in Francia. Per questa ragione si tenta oggi di inscrivere tra gli eroi personaggi come il generale lettone Janis Kurelis, l’ammiraglio Pitka e l’ex primo ministro estone o il generale lituano Lexhavicjus. Ma la resistenza presuppone la lotta armata, ma questi personaggi si occupavano di trattative, tra l’altro non proprio con i paesi della coalizione antinazista, ma piuttosto con gli stessi hitleriani. Come definirli in questo caso? Sostanzialmente essi non rappresentavano la resistenza, ma l’opposizione al regime nazista, tra l’altro in modo piuttosto leale. Chi di loro ha fatto appello alla lotta armata contro l’occupazione nazista? Nessuno. Chi levò le armi contro i nazisti? Solo singoli legionari-disertori, che nella maggioranza dei casi, purtroppo, rimasero ignoti. Essi furono autentici eroi della Resistenza, accanto alla Resistenza filosovietica e comunista, anche se le dimensioni e i ruoli della prima e della seconda Resistenza sono incomparabili. Mentre il battaglione di Rubenis (facente parte dell’ “esercito” di Kurelis, che in quel periodo veniva consultato dal “dittatore” tedesco dei paesi Baltici F. Jekeln) come uno dei migliori nel reprimere gli insorti, era costituito da alcune centinaia di persone, nei reparti partigiani “rossi” lettoni militavano decine di migliaia di partigiani, ed altre centinaia di migliaia militavano nelle divisioni rosse partigiane e facevano parte delle divisioni lettoni dell’Armata Rossa. Ma qual è il senso della ricerca di nuovi “eroi”? Dimostrare che nei paesi baltici esisteva un movimento sovietico della Resistenza ma anche nazionalistico che combatteva sia contro il potere sovietico che contro i nazisti. Sostenere l’ideologia statale dei paesi del Baltico che si è fatta strada negli ultimi anni, conservare ad ogni costo l’idea della “lotta di liberazione contro i Soviet” e contro “l’occupazione sovietica dei paesi baltici”, conservando così il diritto di rivendicare in futuro dalla Russia un risarcimento materiale di cui abbiamo già parlato prima. Ancora recentemente, il 25 gennaio del 2006, il Consiglio d’Europa ha approvato una risoluzione, retrodatata, che condanna i regimi totalitari, compresi quelli comunisti in tutto il mondo. Ma a mio giudizio personale, il capitalismo monopolistico ha molto di più in comune col regime hitleriano, persino della dittatura stalinista. (Hitler, in sostanza, pervenne al potere grazie ai monopoli e lo stesso regime economico del terzo reich fu capitalistico ed ebbe ben poco in comune col socialismo). Il senso di questo documento è chiaro. Consiste soprattutto nel fatto che i nuovi membri dell’Unione Europea, costituiti da Lettonia, Lituania ed Estonia, otterranno dalla Unione Europea il diritto giuridico di rivendicare il risarcimento per i danni subiti dalla Russia per l’“occupazione sovietica”. Questione che venne attivamente esaminata durante tutto il 2005. Questa compensazione è molto necessaria ai paesi del Baltico, poiché con i loro indici socio-economici non riusciranno mai a raggiungere il livello europeo. Come ha rilevato il direttore dell’Istituto per le ricerche politiche Sergej Markov, le repubbliche del Baltico sono state ammesse dall’Unione Europea in “anticipo”, per consentire loro di raggiungere più tardi gli standards europei. Ma è anche vero che il salario medio in Lettonia è costituito da 100 lato, ovvero 150 euro, mentre la pensione media è di soli 60 latov. Inoltre le repubbliche baltiche (come i paesi dell’Europa occidentale nel loro complesso) debbono versare una quota per la loro appartenenza alla NATO, aumentando costantemente il loro bilancio militare e il loro contributo alla “lotta americana contro il terrorismo internazionale”. I contingenti militari dei paesi del Baltico sono schierati dalla parte della Nato, là dove occorre difendere gli interessi politici ed economici di questa organizzazione. Nel sud-est dell’Iraq, ad esempio, ad AlKarnach, nel 2003, operava un gruppo lituano-danese, mentre a sud, a Kerbel, era schierato un gruppo di battaglioni polacco-lettoni-estoni. Più tardi alle operazioni nell’Iraq si unì anche l’Estonia. In generale per l’ “alta fiducia” ad essi concessa i paesi del Baltico debbono pagare con “carne da cannone”, come la pagarono a suo tempo ad Hitler, fornendo manodopera per l’industria bellica tedesca e nuove reclute per nuove divisioni delle SS. Ma la crescita delle spese militari costringe gli Usa a ridurre l’aiuto economico ai suoi alleati euro-occidentali, compresi i paesi del Baltico. Nel 2005 più della metà delle unità mobili degli Usa in Gran Bretagna venne destinato in Iraq e in Afghanistan. Inoltre occorre ancora mantenere molte basi militari in tutto il mondo, anche nell’Europa Occidentale… E se improvvisamente gli interessi degli USA richiedessero una ingerenza armata in un altro punto del globo terrestre considerato dalla Casa Bianca “sfera dei suoi interessi vitali”, poniamo il Medio Oriente, la Corea, l’Africa? A combattere per loro ci sarebbero gli alleati della Nato. Per questa ragione le autorità dei paesi del Baltico e i loro alleati nel Congresso degli Usa, tendono, evidentemente, ad elevare il tenore di vita dei paesi baltici a spese della Russia. Sono questi mezzi che gli uni e gli altri sperano di poter ottenere dagli ex “occupanti”, ovvero dalla Russia come erede legittima dell’Unione Sovietica”. GLI "AIUTI" DEGLI USA. Che ruolo giocano o potrebbero giocare nei paesi del Baltico - chiedo ancora a Krysin - le organizzazioni non governative, che com’è noto ricevono aiuti materiali e politici e sostegno dagli USA? “Le organizzazioni non governative - precisa Krysin - assolvono oggi un grande ruolo nella politica, sostenendo lobbisticamente a livello internazionale gli interessi dei loro finanziatori: i monopoli, i governi, le frazioni parlamentari, i servizi segreti… In generale assolvono quei compiti che per tante ragioni non possono assumersi i governi. Ci sono ad esempio organizzazioni non governative che assolvono un ruolo positivo nello sviluppo della democrazia nei paesi del Baltico, e ve ne sono altre che cercano di allineare sempre più questi paesi al corso politico degli USA e di renderli ostaggio di questa politica in campo economico, politico e militare. Tra le principali troviamo alcune organizzazioni antifasciste ed ebraiche, come il “Centro Simon Wisental” (attualmente è diretto da Efraim Zurov) e il “Centro Jad” che si occupa della ricerca di criminali nazisti sfuggiti alle meritate pene. Inoltre alcune organizzazioni apertamente antisovietiche e antirusse, come ad esempio la “Lega per la lotta contro la diffamazione” (“Anti Defamation League”, di cui attualmente è direttore Abracham H. Koksman), che intervennero nel 1980 come lobbisti della politica americana nell’Afghanistan, oggi esprimono insoddisfazione per le azioni dei nazional-radicali e neonazisti e per le manifestazioni di antisemitismo nei paesi del Baltico (portando ad esempio all’esplosione del monumento alle vittime del nazismo nel bosco di Rumbul’sk, avvenuta alcuni anni orsono. Ma ce ne sono anche altre…) I principali lobbisti che sostennero l’ingresso dei paesi del Baltico nella NATO sin dalla fine degli anni ’80-inizio degli anni ’90, furono le organizzazioni di emigranti dei paesi Baltici negli USA, come ad esempio la Join Baltic-American National Committee (JVANS) che è sino ai nostri giorni la principale organizzazione non governativa di emigranti baltici in America. L’emblema stesso di questa organizzazione è degno di nota: la bandiera americana a stelle e striscie, dove soltanto il colore delle striscie ripete il colore delle bandiere delle tre repubbliche baltiche: Estonia, Lettonia e Lituania (azzurro, nero e bianco, cremisi e bianco, verde e rosso rispettivamente). Soltanto questo emblema la dice lunga… Fanno parte del JVANS organizzazioni di nazionalisti lettoni, estoni e lituani negli Stati Uniti; il “Consiglio nazionale estone-americano”, l’ “Associazione lettone-americana” e il “Comitato lituano-americano”. Queste associazioni assolvono le stesse funzioni. Negli anni della “perestrojka” queste organizzazioni, con a capo la “JVANS” furono le principali sostenitrici della separazione dei paesi baltici dall’Urss, e dal 1990 hanno svolto una attività mirante ad attrarre i paesi del Baltico nella Nato e per costringere la Russia a riconoscere come “illegale l’occupazione dei paesi baltici” e, conseguentemente ad impegnarsi per il risarcimento economico agli stessi. Un’altra organizzazione consimile, la “Lega baltico-americana per la libertà” (“BalticAmerican Freedom League – BAFL”), fondata a Los Angeles da un gruppo di immigrati dei paesi baltici nel 1981, nel pieno della seconda spirale della “guerra fredda”, si poneva l’obiettivo di “sostenere la lotta dei popoli baltici per la loro libertà ed indipendenza dalla occupazione sovietica”. Come si può constatare guardando all’ “JVANS”, ai tempi del discorso di Churchill a Fulton, i compiti dei leader emigrati dei “popoli schiavizzati dall’URSS e dall’Europa Orientale” cambiarono abbastanza. Nello spirito della politica generale dell’Occidente, la loro direttrice generale non fu semplicemente la “lotta contro il bolscevismo sanguinario”… Dall’argomento l’intellettualità europea e americana, non si faceva più corrompere, soprattutto dopo il Vietnam. Ora doveva documentare questo famigerato “bagno di sangue”. E questo mancava. Ecco perché si poneva ora l’accento sui “diritti dell’uomo”. A questo scopo l’occidente utilizzava proficuamente molti principi dell’ “Accordo di Helsinki per la sicurezza e la cooperazione europea”. Oggi il compito principale della “BAFL” consiste nell’ottenere dalla Russia lo stesso “famigerato risarcimento per l’occupazione sovietica” delle repubbliche baltiche. La lega della libertà “Baltico-americana” (si afferma nel sito ufficiale della “BAFL”) fa “appello alla Russia affinché riconosca e si assuma la responsabilità per l’illegittima e violenta occupazione dei paesi baltici”. L’ex nazionalista lituano Baldas Anelauskas, emigrato dall’Urss come dissidente, così descrive i risultati della attività di queste organizzazioni: “Dopo il crollo dell’URSS tutto il mondo è come precipitato in un abisso. Per quasi vent’anni ho lottato contro il sistema sovietico, ed ora dico a tutti che il crollo dell’Urss è stato semplicemente una catastrofe per tutta l’umanità. Ciò che avviene oggi in Russia, in Lituania, diciamo pure nel resto del mondo, ne è la migliore conferma. Vent’anni orsono non avrei mai creduto che ciò fosse possibile. Allora lottavo per l’indipendenza della Lituania, per i diritti dell’uomo, per la democrazia. Ora la Lituania formalmente ‘indipendente’, si trova in una condizione di dipendenza ancora maggiore di quando faceva parte dell’Urss…”. Nel complesso il tema delle organizzazioni indipendenti e il loro ruolo nella politica mondiale, compresi i paesi del Baltico, è un tema che merita uno studio speciale ed approfondito, poiché molte cose ad esso collegate - conclude Krysin - sono tenute nascoste alla pubblica opinione”.