Robiati Ben Daud “Gravidanze e nascite inattese
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Robiati Ben Daud “Gravidanze e nascite inattese
Robiati Ben Daud “Gravidanze e nascite inattese. Alcune pagine bibliche” martedì 10 novembre 2015 [testo non rivisto dall’autore] Questa sera compiremo un viaggio in alcune pagine bibliche per parlare di generazioni e di donne. Ci sarebbe veramente molto di cui parlare, visto che ho intenzione di soffermarmi su pagine non scontate, ammesso che vi siano nella Bibbia pagine scontate e ovviamente non è così. Mi diffonderò su alcune figure, alcune pagine, fino a quando non mi direte “basta”, perché potrei andare avanti a lungo, che è a tutto vostro rischio e pericolo. Mi avvarrò in questo dell’aiuto di alcuni grandi commentatori, alcuni vi verranno citati in sede di commento e vi verrà spiegato chi sono. Vorrei partire da una frase, molto nota della Bibbia, della Genesi nello specifico, che al Capitolo 1 versetto 27 recita: �הים ָבּ ָ ֣רא א ֹ֑תוֹ זָ ָ ֥כר וּנְ ֵק ָ ֖בה ָבּ ָ ֥רא א ָ ֹֽתם׃ ֖ ִ ת־ה ָא ָד ֙ם ְבּ ַצ ְל ֔מוֹ ְבּ ֶ ֥צ ֶלם ֱא ֽ ָ �הים׀ ֶא ֤ ִ וַ ְיִּב ָ ֙רא ֱא “Vaiyivra Elohim Et-Ha'Adam Betzalmov Betzelem Elohim Bara Otov Zachar Unekevah Bara Otam” 1. 0F Tradotto significa: “E creò il Signore l’essere umano (Et-Ha'Adam) nella sua immagine, attraverso la sua immagine, con la sua immagine, nell’immagine di Dio (Betzelem Elohim) lo creò, maschio e femmina li creò (Zachar Unekevah Bara Otam)”. Vorrei citare a questo proposito l’opera di uno dei più grandi maestri di Israele del Novecento, il rabbino Joseph Dov Soloveitchik, purtroppo poco noto in Italia a parte agli addetti ai lavori e ovviamente ai Rabbini. Il Rabbino Soloveitchik ha ordinato più di tremila rabbini nella sua vita, è stato il Rettore per vari decenni della Yeshiva University di New York, ed è universalmente riconosciuto come il massimo esponente di quella corrente dell’ortodossia ebraica che è chiamata “Modern Orthodoxy” (“Moderna Ortodossia”). Questa corrente non è nata con lui, bensì in Germania -si chiamava “Neorotodossia” -, ad opera dal rabbino Samson Rapahel Hirsch nella metà dell’Ottocento e ha gemmato in America dove, con qualche variante – diciamo però che c’è una continuità di linea – ha preso il nome di “Modern Orthodoxy”, e Soloveitchik ne fu il massimo esponente. Vi ho citato questo versetto perché vorrei partire da un’analisi, più che condivisibile e condivisa, che il rabbino Soloveitchik, con la sensibilità odierna, fa di questo versetto laddove viene presentata una dualità in relazione all’essere umano. Come vedremo dopo, quando si parla di generazioni, la dualità è fondamentale altrimenti non vi sarebbe generazione. La dualità è, ovviamente maschio e femmina, ma è anche spirituale e materiale, laddove l’Adàm ha-Rishòn, il primo essere umano creato, racchiude insieme questa dualità in unità psicofisica, fatta di fisicità, materialità e spiritualità, e al contempo di maschile e femminile, una specie di androgino. Sottolinea Rab Soloveitchik che laddove soltanto nel mondo biologico esiste la definizione netta per i caratteri fisici del maschile e del femminile, nel mondo spirituale, nel mondo della psiche 1 Per la traslitterazione dell’ebraico mi sono avvalso del testo contenuto in http://bibeltemplet.net [N.D.R.] umana, esistono entrambi gli elementi contenuti in ciascuno di noi, sia maschile che femminile. Quindi nel mondo spirituale, ciascun essere umano – scriverà Soloveitchik – porta avanti entrambi i tratti e soltanto nel pieno sviluppo di entrambi, sia del maschile che del femminile di ciascuno di noi, l’individuo raggiunge il suo pieno sviluppo potenziale spirituale. Soloveitchik fa un esempio molto bello, tratto dal Talmud: laddove nella tradizione ebraica si assume un maschile spirituale, cioè un qualcuno che dà, esso è il maestro, e laddove si assume un femminile spirituale, un qualcuno che riceve, esso è lo studente, il discepolo. Nessuno dei due è più importante: come nel rapporto uomo-donna è importante sia l’ovulo femminile che il seme maschile, anche se, quando la donna riceve il seme maschile, poi tutto il lavoro è suo, perché è la donna che crea, trasforma, fa e mantiene in essere. Allora, la polarità maschio/femmina, femminile/maschile spirituale è data da una coppia che sembrerebbe essere fissa: maestro/discepolo e questo in via ordinaria. Chi è influenza e chi è che è influenzato? Nessuno in questa prospettiva è soltanto maestro e nessuno è soltanto discepolo: quando un discepolo pone una buona domanda, il discepolo diventa il datore e il maestro il ricettore. La polarità si inverte. Questa prospettiva d‘apertura può tornarci utile per vedere quella che è la prima generazione che gli esseri umani fanno, che è molto particolare, e affrontarla: quella di Caino e Abele che noi troviamo nel Capitolo 4 della Genesi. Il testo recita così: הוה׃ ֽ ָ ְ֥יתי ִ ֖אישׁ ֶאת־י ִ אמר ָק ִנ ֶ ֹ ת־קיִ ן וַ ֕תּ ֔ ַ ת־חָוּ֣ה ִא ְשׁ ֑תּוֹ וַ ַ֙תּ ַה ֙ר וַ ֵ ֣תּ ֶלד ֶא ַ וְ ָ ֣ה ָא ָ ֔דם יָ ַ ֖דע ֶא ”Veha’Adam Yada Et-Chavvah Ishtov Vattahar Vatteled Et-Kayin Vattomer Kaniti Ish EtHashem”. Traduco: “E l’uomo conobbe Eva sua moglie e questa concepì e partorì Caino e disse “Kaniti” – vedremo cosa vuol dire “Kaniti” – un uomo dal Signore, con il Signore”. Questo versetto è molto particolare, forse il più particolare di tutti, perché noi non abbiamo una tradizione precedente di come si faccia a fare bambini. È la prima coppia che genera. Badate, per fugare ogni dubbio, qui non è questione di credere nel darwinismo o nella Bibbia. Stando nel simbolo e nella verità del simbolo, indipendentemente da come la si possa pensare, si pone il problema dato dal fatto che non c’è un pregresso su come si genera, questa è la prima generazione. Si è letto che l’uomo conosce sua moglie – vedremo adesso cosa vuol dire – e questa concepisce e genera. Non, però “genera un bambino”, nella formula canonica del “Vatteled Hen”, “E venne dato al bambino il nome di”. Qui abbiamo qualcosa di molto strano: partorì un uomo, come se fosse in qualche modo già adulto. Non viene detto che quest’uomo viene poi chiamato “Caino”, “partorì Caino”, letteralmente dice il testo. Il verbo usato è il verbo “Yadà” che vuol dire “conoscere”. Il che significa che, nella prospettiva in cui ci muoviamo, la “conoscenza fisica” – nella vita di coppia, di relazione sponsale – non è meramente fisica ma ha un riflesso metafisico, spirituale. E le prospettive si fondono. La vita relazionale di coppia, cioè, è la capacità di portare in alto, a livello spirituale, qualcosa che è in basso, a livello materiale. Analogamente, anche trascinare lo spirituale dentro il materiale. Questo verbo ci dice che stiamo parlando di qualcosa di estremamente sensibile. Il filosofo Martin Buber, in un famoso saggio, individua due coppie di parole chiave fondamentali: una è: “io-esso”, e l’altra è: “io-tu”. Laddove “io-esso” pone una distanza – questa è la filosofia dialogica di Buber – tra soggetto conoscente e il resto del mondo, l’altro da sé; l’“io-tu” crea invece una comunione, una vicinanza, una compenetrazione in qualche modo che comprende l’io che conosce e ciò che è conosciuto, che non è più “ciò” ma torna ad essere soggetto. Scriverà Soloveitchik che attraverso il matrimonio si attua una miracolosa trasformazione di ciò che è “ioesso”, in “io-tu”. e questo lo troviamo in questa prima conoscenza archetipica, che è spirituale e sessuale insieme, dell’uomo con la donna. Dirò subito che i commentatori hanno opinioni diverse su quando succeda questa “conoscenza”, perché secondo alcuni, più che autorevoli, questa sarebbe avvenuta quando erano ancora nel Giardino di Eden, mentre secondo altri sarebbe avvenuto dopo. Ci sono opinioni diverse ma a noi questo non interessa. Interessa invece cercare di entrare un attimo nel testo per capire perché troviamo la parola “Kaniti” e cosa significhi quel “Et-Hashem”, “con il Signore”. Vorrei subito far presente che il verbo “Kaniti” lo troviamo qui per la prima volta e letteralmente significa “ho acquistato”, “ho avuto potere”, “ho governato”. Lo ritroviamo, tuttavia, nella Bibbia anche qualche capitolo dopo, in una seconda occorrenza, se non erro nel Capitolo 14,19, successivamente alla Guerra dei Re. Voi sapete, che c’è una grande guerra che si scatena, una guerra mondiale fondamentalmente, che, se prendete i nomi dei re e dove regnavano, va dall’est dell’Iran fino all’Oriente dell’Egitto. È una guerra molto estesa: quattro re contro cinque re. Finita la guerra, Abramo, che entra anche lui in guerra anche se obtorto collo, viene ricevuto, o meglio, vede uscire dalla citta di Shalem, Melchizedek il re di Shalem che dice: אמר ָבּ ֤רוּ� ַא ְב ָר ֙ם ְל ֵ ֣אל ֶﬠ ְלי֔ וֹן ק ֵֹנ֖ה ָשׁ ַ ֥מיִם וָ ָ ֽא ֶרץ׃ ֑ ַ ֹ יְב ְר ֵכ֖הוּ וַ יּ ָ ַ ֽו “Baruch Avràm Le'El Elyovn Koneh Shamàyim Va'Àretz”, “Benedetto Abramo dal Dio Altissimo, [è impreciso ma per intenderci], Koneh Shamayim Va'Aretz”. “Koneh” è come “Kaniti”, cioè “che governa il cielo e la terra”. Cosa vuol dire questo verbo? Dico subito che c’è discussione tra i maestri e vorrei leggervi alcune interpretazioni. Una delle prime interpretazioni è quella che viene data dal rabbino Isaac ben Yahuda Abrabanel, che risiedette a Padova. Ministro delle Finanze del re di Spagna poi del re del Portogallo, con la cacciata degli ebrei dalla Spagna e poi dal Portogallo, si trasferì prima a Napoli, e poi mosse verso il Nord arrivando nella Serenissima. Dimorò a Padova assieme al figlio che fu un grande umanista del Rinascimento Italiano noto come “Leone Ebreo”. Entrambi dimorarono tra Venezia e Padova, Padova in particolare. Abrabanel sostiene che dire “ho acquistato un uomo” significa dire che ho portato un altro essere umano dentro il mondo. C’è un impegno in prima attività di una donna per creare un essere umano, ovviamente con l’aiuto di Dio. Sorge allora un’altra questione – che Abrabanel fa presente – che ribalta una prospettiva precedente. Secondo la Bibbia, in una delle due narrazioni della Creazione della donna, essa è creata dall’uomo. Qui, invece è la donna che crea un uomo, per cui si va ad equilibrare una prospettiva. Prima è la donna che Dio crea dall’uomo. Qui Dio, grazie, ad una donna, crea un uomo da una donna. Per cui, come fa notare Isaac Abrabanel, il movimento è speculare. Il fatto però che ci sia questo “kaniti” - che vuol anche dire “fattore”, “possessore” – fa sostenere ad un’altra autorità rabbinica quello che ho detto prima a proposito del versetto di Melchizedek, ossia che è come se avesse creato un Sovrano, un uomo di potere, un uomo forte. Quindi questo verbo ci dice qualcosa sulla creatura che viene fuori da Eva, sia che sia nel lemma “acquistare” sia che sia nel lemma “dominare”, “governare”. C’è un carattere estremamente forte e assoggettante. E infatti “Kayin” “Kaniti”. La domanda che ci si pone successivamente è quindi se il personaggio principale di questa strana generazione sia Caino. C’è una terza possibile tra le tante interpretazioni che è questa: per creare un essere umano, come ovviamente fanno notare i maestri, servono tre forze: l’uomo, la donna e Dio. Nessuno si crea da solo e quando c’è una creazione di un essere umano i soggetti in gioco non sono soltanto (a proposito di spirituale e materiale al contempo), i partner della coppia e, nel momento dell’atto sessuale i due amanti, ma anche Dio. Assistiamo qui ad un altro fatto strano: cambia il nome di Dio. Prendete il primo Capitolo della Genesi: �הים ֵ ֥את ַה ָשּׁ ַ ֖מיִ ם וְ ֵ ֥את ָה ָ ֽא ֶרץ׃ ֑ ִ אשׁית ָבּ ָ ֣רא ֱא ֖ ִ ְבּ ֵר ל־פּ ֵנ֥י ַה ָ ֽמּיִם׃ ְ �הים ְמ ַר ֶ ֖ח ֶפת ַﬠ ִ֔ ל־פּ ֵנ֣י ְת ֑הוֹם וְ ֣ר ַוּ� ֱא ְ הוּ וָ ֔בֹהוּ וְ ֖חֹ ֶשׁ� ַﬠ ֙ ֹ יְתה ֙ת ֥ ָ וְ ָה ָ֗א ֶרץ ָה “Bereshit bara Elohim et hashamayim ve'et ha'arets/ Veha'arets hayetah tohu vavohu vechoshech al-peney/ Tehom veruach Elohim merachefet alpeney hamayim”. Il nome di Dio che ricorre per tutto il primo Capitolo che narra la creazione del mondo, è il nome “Elohim”, che rappresenta, secondo la tradizione ebraica, la “Middat Din”, cioè Dio che si rivela nell’aspetto della sua forza e del suo “Din”, “giudizio”. Dio crea il mondo e creare il mondo è un atto in cui Dio si dispiega, è un atto anche rivelatore di Dio stesso. Si dipana la potenza dell’Onnipotente e al contempo il mondo è affidato a leggi proprie e quindi le leggi che governano il Creato. E quindi Dio dal punto di vista del suo potere, la sua sovranità e dal punto di vista della sua giustizia. Con la creazione dell’uomo, e quindi con qualcosa con una realtà estremamente particolare, perché creata nello “Tzelem” con lo “Tzelem”, attraverso lo “Tzelem”, cioè con l’immagine [ ] ֶ ֥צ ֶלם di Dio –, Dio ha un’ulteriore rivelazione, per cui troviamo accostato al nome “Elohim” il nome “Adonai”, il tetragramma, che ricorre per tutti i capitoli successivi fino a questo punto. In relazione all’uomo, che è fallibile, che erra, che è una scommessa rispetto a Dio, perché l’uomo è libero, in relazione ad Adamo e ad Eva, si manifesta ulteriormente Dio con un nome più intimo, cioè compare assieme all’attributo della giustizia, della sovranità divina, l’attributo della misericordia divina. Badate che secondo la maggior parte dei maestri, quando si parla della creazione del mondo si sta dicendo soltanto una cosa: che il mondo è sotto l’insegna della libertà. Adesso vi spiego cosa vuol dire ma è fondamentale. In relazione a Caino troviamo soltanto “Adonai”. Per la prima volta troviamo: הוה׃ ֽ ָ ְ֥יתי ִ ֖אישׁ ֶאת־י ִ אמר ָק ִנ ֶ ֹ ת־קיִ ן וַ ֕תּ ֔ ַ ת־חָוּ֣ה ִא ְשׁ ֑תּוֹ וַ ַ֙תּ ַה ֙ר וַ ֵ ֣תּ ֶלד ֶא ַ וְ ָ ֣ה ָא ָ ֔דם יָ ַ ֖דע ֶא ”Veha’Adam Yada Et-Chavvah Ishtov Vattahar Vatteled Et-Kayin Vattomer Kaniti Ish EtHashem”. Sparisce “Elohim”. perché qui ci vuole evidentemente una doppia dose, un ingranare meglio la marcia, sulla misericordia. Perché ho parlato della libertà? Perché affermare che Dio ha creato il mondo e che quindi il mondo è nelle mani di Dio e che tutto dipende da Dio, può sembrare contradditorio da un certo punto di vista con la liberà dell’uomo. Voi sapete che per la tradizione mistica dell’Ebraismo, indipendentemente che si vada nella Kabala più spinta, l’atto della creazione è un atto in cui Dio fa spazio a qualcosa altro da sé, permette che qualcosa altro da sé esista. Il che significa che Dio, in un certo qual modo, si ritrae. Per la mistica ebraica, in maniera più appropriata, questa è la cosiddetta teoria dello “Tzimtzum”. Ma è chiaro che con l’uomo, in cui si crea una libertà perché l’uomo è creato nell’immagine di Dio ma ha volontà, indipendentemente dalla teoria dello “Tzimtzum”, troviamo un’altra libertà in gioco. Tutta la creazione è con il sigillo della libertà. Affermare che Dio ha creato il mondo, cioè che permette che qualcosa altro da lui sia e che sia libero, è affermare al contempo la libertà degli esseri umani. Ora, questo verso va a complicarsi con quanto segue nel Capitolo 4.2: ת־ה ֶבל ֑ ָ ת־א ִ ֖חיו ֶא ָ תּ ֶסף ָל ֔ ֶל ֶדת ֶא ֹ ֣ ַו “Vattosef Laledet Et-Achiv Et-Havel”, “e aggiunse nel generare suo fratello Abele”. Qui hanno imparato come si fa. Infatti questo “Vattosef Laledet” è un’espressione meno carica, è meno pregnante del verso che viene prima. Ma vuole anche dire un’altra cosa. Ossia vuol significare che nascita di Abele, assunto che Caino è la parte dominante anche detto in relazione al verbo “kaniti”, appare probabilmente, visto che è la seconda, meno importante, significativa agli occhi di Eva. E questo spiegherebbe anche il nome, “Havel”, che vuole dire “inconsistente”, “vanità”, “vacuità” “soffio”. Il trovare questo calo di intensità nel verso successivo, che riguarda la seconda generazione, in qualche modo ci induce a pensare anche che successivamente nasceranno dei problemi. E infatti la storia avrà il suo corso, ma questo adesso a noi non interessa. A noi interessava per entrare in argomento, su questa molto strana seconda generazione. Rispetto ad una discendenza, il testo biblico si diffonde su quella di Abramo. Faccio subito ְ ֶל presente che il Capitolo 12.1 della Genesi, quella con cui inizia in ebraico la pericope di ֛��־ל “Lech-Lechà”, inizia con “esci dalla terra tua, dalla casa di tuo padre” eccetera. Notiamo, en passant, una cosa fondamentale: quando si parla di generazione - e io ho fatto notare che una generazione è qualcosa di estremamente spirituale - la controparte è “benedizione”. Generazione, abbondanza di figli e benedizione sono delle cose che nel testo biblico vanno assieme e hanno un carattere che è cifra della spiritualità. Quando Dio dice ad Abramo di andarsene, ad un certo punto il testo della Genesi nel Capitolo 13.3 continua, dicendo “che tu sarai un grande popolo e io ti benedirò, renderò grande il tuo nome e tu sarai una benedizione. Io benedirò coloro che ti benediranno, coloro che ti malediranno, maledirò e attraverso di te saranno benedette le famiglie della terra”. Cinque volte ricorre la parola “benedizione”. Vorrei, inoltre, farvi notare un’altra cosa. All’inizio del Libro della Genesi, nel Capitolo 1 il versetto 3 recita: י־אוֹר׃ ֽ �הים יְ ִ ֣הי ֑אוֹר ַ ֽו יְ ִה ֖ ִ אמר ֱא ֶ ֹ וַ ֥יּ י־טוֹב ֑ ת־ה ֖אוֹר ִכּ ָ �הים ֶא ֛ ִ וַ ַיּ ְ֧ רא ֱא וּבין ַה ֽחֹ ֶשׁ�׃ ֥ ֵ �הים ֵ ֥בּין ָה ֖אוֹר ִ֔ וַ ְיַּב ֵ ֣דּל ֱא אוֹר י֔ וֹם ֙ �הים׀ ָל ֤ ִ וַ יִּ ְק ָ ֙רא ֱא “Vaiyomer Elohim Yehi Ovr Vayhi-Ovr.” (Il Signore disse “ci sia la luce” e ci fu luce) “Vaiyar Elohim Et-Ha'Ovr Ki-Tovv” (“E vide il Signore che era cosa buona”) “Vaiyavdel Elohim Bein Ha'Ovr Uvein Hachoshech” (“e il Signore separò la luce dalle tenebre”), “Vaiyikra Elohim La'Ovr Yovm” (“e il Signore chiamò la luce “giorno”). Trovate tantissimi versetti dei Salmi e dei Proverbi che mettono in parallelo il giusto con il sole e con la luce. L’inizio della Genesi apre in pochissimi versetti, con cinque occorrenze della parola “luce” (֑אוֹר “Ovr”) e quando abbiamo Abramo occorre cinque volte la parola “benedizione”. Se si giocasse con il testo biblico, nella Genesi c’è un passo, nella Creazione, nel quale basterebbe sostituire una lettera per ottenere dalla parola “luce” (“Ovr”) la parola “Abramo” (“Avram”) il che significa non soltanto che c’è una correlazione tra la luce e Abramo ma vuole anche dire che il mondo con Abramo inizia ad essere rifondato. Il problema, allora, è che cosa ne è della discendenza eventuale di Abramo, nostro Padre. Nel Capitolo 13 della Genesi, al versetto 16, viene promessa ad Abramo una discendenza che in qualche modo sarà corrispondente alle stelle del cielo. Qualcosa di simile lo troviamo anche nel Capitolo 15 dove viene ribadita questa progenie quando ancora Abramo non ce l’ha. Il testo nel Capitolo 15.5 utilizza un verbo diverso rispetto al Capitolo 13. Il verbo che viene utilizzato è il verbo “ ִל ְס ֹ֣פּרlispor”, laddove “lispor” vuol dire sì contare, ma nel senso di “enumerare capendo” ossia contare sapendo cosa si sta contando. Un testo mistico molto antico dell’ebraismo, il “Sefer Yetzirah”, nel Capitolo 1.1, cambia la vocalizzazione delle consonanti “Samec”, “Pe” e “Reš” da cui si può ottenere “Sefor”, cioè “conta” ma possiamo anche ottenere “Saper”, “racconta” e “Sofer”, lo “scriba”. La mistica ebraica ne deduce che Dio creò il mondo con il numero, con il racconto e con il “Sippur”, la comunicazione. In relazione alle generazioni di Abramo, ne consegue che Abramo non doveva contare unicamente le stelle ma doveva cercare di capire le stelle, capire il loro moto, le indicazioni che danno per orientarsi, i loro riferimenti spirituali, allegorici, morali. Paragonando la discendenza di Abramo alle stelle, che sono qualcosa di estremamente lontano, indecifrabile, difficilmente comprensibile, si sta dicendo che il destino della discendenza di Abramo è in qualche modo avvolto da un carattere di insondabilità e di enigma e che quindi, come per la storia dei cieli le stelle sono qualcosa di lontano ed enigmatico, così per la storia della discendenza di Abramo l’enigma e il mistero saranno quello che accompagnerà i figli del suo popolo. Il testo della Genesi ci porta, nel Capitolo 16, a un fatto molto noto, ossia il rapporto tra Abramo e Sara, del quale ci sono molte cose da dire. La prima cosa è questa: la prima volta che troviamo registrata una conversazione tra un uomo e una donna, la troviamo in relazione ad Abramo che dice a sua moglie, prima di andare in Egitto, “mi sono accorto che sei bella”. Cosa un po’ strana perché, visto che l’ha sposata da tanti anni, il fatto che non se ne fosse accorto prima dà a pensare. Lascio stare sulle cose private riguardanti i due ma vi dico subito che i rabbini si diffondono molto su queste questioni. Per il momento noi le saltiamo. Il testo della Genesi ci presenta un archetipo: quello della donna che non riesce ad avere figli. Cosa che pone anche una serie di problematicità riguardanti le generazioni che ne seguiranno. Voi sapete che l’incontro tra Abramo e Sara è un incontro fondamentale perché, se teniamo valido quello che abbiamo detto per Adamo e per Eva, laddove l’unione e l’avventura di coppia dei due non è soltanto un qualcosa di fisico ma è qualcosa di profondamente spirituale, quello che riguarda Sara e Abramo è altrettanto importante da un punto di vista spirituale. Il testo recita, nel Capitolo 16.1: וּשׁ ָ ֥מהּ ָה ָ ֽגר׃ ְ וְ ָשׂ ַר֙י ֵ ֣א ֶשׁת ַא ְב ָ ֔רם ֥ל ֹא יָ ְל ָ ֖דה ל֑ וֹ וְ ָל֛הּ ִשׁ ְפ ָ ֥חה ִמ ְצ ִ ֖רית “Vesarai Eshet Avram Lo Yaledah Lov Velah Shifchah Mitzrit Ushemah Hagar” (“Sara, moglie di Abramo non aveva generato a lui ed era lei la padrona di una serva egiziana il cui nome era Agar”). Su questo versetto abbiamo migliaia di commenti. La cosa fondamentale è questa: il testo ci introduce Sara come la partner di Abramo. Non ci dice Sara e basta, dice “Eshet Avram”, ci sta dicendo che sono compartecipi di questa avventura. Ciò che Abramo fa, lo fa con Sara ed è qualcosa di fondamentale, spiritualmente rilevante ed è ovviamente la nascita del popolo ebraico. Una prova di quanto detto è che quando Sara muore, Abramo esce di scena. Se vuoi guardate, dopo la morte di Sara, Abramo manda Eliezer a trovare moglie ad Isacco ma sparisce come soggetto attivo. Abbiamo un’altra coppia che porta avanti questa avventura spirituale ed è evidente che Rebecca sta a Sara come Isacco sta ad Abramo. Ma, senza Sara, Abramo esce di scena. Basta leggere il testo e vi renderete conto che appunto, morta Sara, lui si occupa di trovare la tomba per Sara (e anche questo è rilevante) poi di trovare la moglie per Isacco. Di avventure, di rivelazioni, di incontri con Dio, non c’è più nulla. Abramo si congeda lentamente e subentra qualcun altro. Una comprova ulteriore è questa. Se voi guardate, nel testo riguardante la morte di Sara, di cui ci viene detto che visse centoventisette anni eccetera, viene detto che Sara verrà sepolta a Kiryat Arba, che sarebbe la “Città dei quattro”. Ovviamente gli interpreti si diffondono, ma effettivamente secondo la tradizione le coppie sepolte lì sono quattro, sepolte a due a due: Abramo e Sara, Isacco e Rebecca e Israel con Lia (voi sapete perfettamente che Rachele non è sepolta lì). C’è un’altra coppia che secondo tradizione è sepolta lì e questo è il motivo per cui Abramo ha comprato lì il terreno: Adamo ed Eva. Secondo la tradizione Abramo sceglie il luogo di sepoltura come a dire: la mia missione non è estranea al resto dell’umanità, la nostra missione non è di antagonismo rispetto all’umanità o di esclusivismo, ma le due missioni vanno in qualche modo, con afflati diversi, strategie diverse da parte dell’Eterno, a corrispondersi, ad integrarsi. Il testo ci dice che Sara non gli aveva dato figli. Vi sono varie interpretazioni a questo proposito: alcuni interpreti sostengono che la questione riguardasse Sara, ma secondo molti altri era Abramo a non riuscire da dare figli a Sara. Nel discorso che Abramo ha con Dio, Abramo si pone un problema di cosa sarà di lui, della sua casa. Visto che Abramo non ha figli, la sua missione verrà ereditata da qualcuno che non è dentro la sua famiglia, cioè da Elieser. Dio dice ad Abramo che non sarà così. È Sara che prende l’iniziativa, una iniziativa eroica per una donna sposata, ovvero quella di dire: אוּלי ִא ָבּ ֶנ֖ה ִמ ֶ ֑מּנָּ ה וַ יִּ ְשׁ ַ ֥מע ַא ְב ָ ֖רם ְל ֥קוֹל ָשׂ ָ ֽרי׃ ֥ ַ ל־שׁ ְפ ָח ִ֔תי ִ ה־נא ֲﬠ ָצ ַ ֤רנִ י יְ הוָ ֙ה ִמ ֔ ֶלּ ֶדת בֹּא־נָ ֙א ֶא ָ ֞ ִֵהנּ “Hinneh-Na Atzarani Hashem Milledet Bo-Na El-Shifchati Ulai Ibbaneh Mimmennah Vaiyishma Avram Lekovl Sarai” che tradotto significa: “Orsù, dunque, Dio mi ha reso impossibile generare, vai con la mia serva e forse allora “Ulai Ibbaneh Mimmennah” “avrai un figlio” come viene tradotto di solito, ma, tradotto in maniera letterale più precisa sarebbe “costruirai da lei, attraverso di lei”, “edificherai con lei”. Il verso si chiude con “Vaiyishma Avram Lekovl Sarai”, Abramo, ascoltò, prestò ascolto, “si adeguò alla voce di Sara”. “ ִא ָבּ ֶנ֖הIbbaneh”, “costruire”, è un verbo fondamentale. Questo verbo lo ritroviamo esattamente con Rachele, nel Capitolo 30 della Genesi dove succede la stessa cosa. C’è un’altra cosa da tenere presente. Nella traduzione ebraica c’è scritto: “non leggere i tuoi figli, leggi i tuoi costruttori”. Quelli che ti costruiscono – ricordate, per questo vi avevo fatto presente la questione del maestro e del discepolo all’inizio per maschio e femmina – sono i tuoi figli. Quindi, Sara sta dicendo ad Abramo che forse, per edificare ciò che sono chiamati ad edificare, è necessario che tu abbia figli da Agaar e che questo stabilisca, crei, radichi, quello che noi stiamo facendo. Anche perché il testo dice che seppure è Agaar a generare, ciò avviene attraverso Sara, che comunque rimane la sua padrona. Voi sapete che tutto questo creerà dei grossi problemi perché Agar si insuperbì contro Sara che divenne ai suoi occhi trascurabile. Questo è un aspetto che troviamo in un altro fatto molto simile che riguarda Anna e che viene raccontato nel Primo Libro di Samuele. Anna, che non riusciva ad avere figli, riesce ad avere figli, a far avere figli a suo marito grazie alla sua serva. Ma la serva rispetto ad Anna avrà un atteggiamento scostante, irriverente, cattivo e questo farà molto soffrire Anna nonostante il marito le dica – cosa che in relazione a Sara non vediamo – che ama solo lei e che questo dovrebbe bastarle indipendentemente dai figli e dal fatto che lui abbia avuto figli dall’altra donna. Occorre qui far presente una cosa, se non altro a livello sociologico. Voi sapete che l’ideale biblico è un ideale monogamico. La monogamia (pensiamo ad Adamo ed Eva, Isacco e Rebecca) è un qualcosa di estremamente rilevante dal punto di vista religioso, una cosa che riscontriamo anche nelle coppie dei Patriarchi. Tuttavia, in deroga, è concessa la poligamia. Che l’ideale biblico sia un ideale monogamico lo vediamo anche da altri scritti famosi: il Cantico dei Cantici e dal Profeta Osea. Quando Dio ha necessità di far capire ad Osea cosa significhi l’allontanarsi del popolo e i peccati del popolo, che è necessario trovare una storia d’amore coniugale (archetipo del rapporto amoroso tra Dio e il Creato, Dio e l’umanità, più nello specifico, Dio e Israele, in modo ancora più specifico) gli fa sposare una prostituta. Nello sperimentare la crisi, viene avvalorato l’archetipo, cioè il rapporto monogamico. Il comandamento dell’adulterio riguarda donne sposate, non uomini sposati a rigor di lettera biblica. Ovvero, una donna sposata non può avere rapporti con altri uomini. Chiaramente, visto che è tollerata la poligamia, è diverso il caso che un uomo possa avere rapporti con altre donne. Se è tollerata la poligamia, vuol dire che l’adulterio si applica soltanto alla donna sposata e, ovviamente, anche all’uomo che va con una donna sposata. Ma l’uomo sposato che va con una donna libera, a rigor di precisione, non avrebbe questo problema. Anche se, ripeto, l’ideale biblico è certamente monogamico, la poligamia è tollerata. L’ebraismo su questo si è interrogato. Devo dirlo, altrimenti non si capisce bene come ci si muove. Nell’anno mille Rabbènu Ghèrshon in Germania, promulgò un decreto rabbinico che vietava la poligamia e questo venne recepito da tutti in Europa, anche perché c’era un rapporto con un'altra cultura monogamica che è quella cristiana. I rabbini del mondo sefardita, legati al mondo islamico, rifiutarono l’editto di Rabbènu Ghèrshon sicché quando nacque lo Stato di Israele nel 1948 – voi sapete che anche prima gli ebrei nei paesi arabi vivevano tutt’altro che bene, molti scapparono in Israele, specialmente dallo Yemen – si verificò un fatto che ci illumina su questi testi. Arrivarono, infatti, in Israele anche ebrei yemeniti, che venivano da paesi sperduti sulle montagne. Quasi tutti erano in coppie monogamiche ma qualcuno arrivò con più mogli e questo sconvolse gli ebrei, i primi israeliani D.O.P. Essendo ebrei ashkenaziti o italiani la pratica della poligamia era per loro totalmente sconosciuta, perché, anche laddove era permessa, dato che l’ideale biblico è chiaramente monogamico, la poligamia era praticata da pochissimi. Da allora, pur trattandosi di un fenomeno estremamente marginale anche i rabbini sefarditi hanno proibito la poligamia. L’ideale della Bibbia è tuttavia fondamentale anche per una cosa di estrema attualità. Se la Bibbia non fosse entrata nella coscienza del mondo occidentale, tramite l’ebraismo e il cristianesimo, non esisterebbero i diritti delle donne, nonostante la loro storia controversa. Perché dire “monogamia”, significa equiparare almeno in archetipo i ruoli. Questo non vuol dire che la storia non sia stata drammatica, controversa, con enormi pagine oscure, su questo siamo tutti d’accordo. Tuttavia, se non si ha l’equiparazione stringente dei ruoli e della coppia, è chiaro che la poligamia - intesa quasi sempre, tranne rarissime culture che non sopravvivono quasi più – riguarda un uomo più mogli, e quindi implica una subordinazione della donna all’uomo. Cosa che nella Bibbia non c’è. Tornando al nostro brano, parlando di Sara, Agar e Abramo, non possiamo tacere il fatto che la storia si evolverà poi in maniera difficile. Alla fine Sara farà scacciare Agar e, anche in questo caso, Dio dirà ad Abramo di seguire quello che dice di fare Sara. Dio è dalla parte di Sara. Abramo con Ismaele e con Isacco si comporta in maniera diversa ma analoga. Quando Dio gli dice di scacciare Ismaele e sua madre, il testo recita “e si alzò Abramo di buon mattino”. Cosa che ci lascia perplessi. Quando, nel Capitolo 22, Dio comanda ad Abramo di legare sull’altare Isacco, Abramo si comporta allo stesso modo: “e Abramo si alzò di buon mattino”. Sono diverse le situazioni, ma il comportamento di Abramo è analogo. Dopo la morte di Sara, le cose nel testo sembrano cambiare. Fondamentale è il fatto che Isacco abbia una benedizione, che è una benedizione importantissima ma che anche Ismaele ne abbia una. Ismaele avrà la sua benedizione. Il fatto che Isacco abbia la sua, infatti, non vuol dire che Ismaele non abbia la propria. Come dicevamo, quando si parla di generazioni, nella Bibbia scatta il termine correlato che è quello della benedizione. Lo ritroveremo con Giacobbe e con Esau. Esau avrà la sua benedizione. Così come Giacobbe avrà la sua benedizione. La benedizione viene data in relazione a chi sono le persone che la ricevono. Non tutti possono avere la stessa benedizione perché diversi sono i caratteri. Tant’è che, quando Giacobbe prenderà la primogenitura quella benedizione, una benedizione che riguarda le genti che si prostreranno dinanzi a lui, riguarda i beni, il potere, fondamentalmente; quando i due fratelli si rincontreranno anni dopo, gli verrà resa quella benedizione ad Esau perché era la benedizione per Esau, che consiste esattamente in quello: terra, potere e altre cose. Non era la benedizione per Giacobbe. A Giacobbe Isacco darà un’altra specifica benedizione che saranno figli e alleanza. Sono benedizioni diverse, non vuol dire che uno è rifiutato e l’altro no. Vuol dire che a persona sta benedizione, non tutte le benedizioni sono idonee per la stessa persona. Quello che noi troviamo con Sara lo ritroveremo con Rebecca. Vorrei tornare con un’ultima generazione. Abbiamo parlato di Adamo ed Eva, abbiamo parlato di Sara e abbiamo visto come ci sia questa partnership tra uomo e donna fondamentale nello spirituale, abbiamo fatto una prolessi per tangenza su Anna, Samuele e su Rebecca. E potremmo andare anche avanti con Giacobbe perché sappiamo perfettamente che per avere Giuseppe avrà molti problemi e molte mogli, un’altra moglie e due concubine. Tuttavia, vorrei concentrarmi su un brano che raramente viene in mente perché è strano il contesto. Vorrei andare con voi al Capitolo 19 della Genesi che riguarda un’altra generazione molto particolare. Bisogna premettere una cosa. Nel Capitolo precedente il testo ci racconta la distruzione di Sodoma e delle altre città che vengono distrutte. I peccati di Sodoma vengono annunciati già nel Capitolo 13, dove si dice אד׃ ֹ ֽ יהו֖ה ְמ ָ שׁי ְס ֔ד ֹם ָר ִ ֖ﬠים וְ ַח ָטּ ִ ֑אים ַל ֣ ֵ ְ“ וְ ַאנVe'Anshei Sedom Ra'Im Vechatta'Im Lashem Me'Od” “gli uomini di Sodoma erano malvagi e i peccati verso il Signore molti”. Ciò non toglie che il Re di Sodoma e i suoi alleati - erano i cinque re contro i quattro re - evidentemente, da come viene messo il testo della guerra, pur essendo malconci – passatemi l’espressione ma almeno ci capiamo- facevano meno schifo degli altri. Il Capitolo 13, ci racconta della guerra che viene scatenata da parte di Chedorlaomer re dell'Elam, la regione a sud est dell’Iran. La storia per altro conferma che, in tutto il Terzo-Secondo millennio (quindi ci siamo più o meno con le date), gli Eraniti invadevano spesso la piana mesopotamica spingendosi più possibile verso sud ovest, assoggettando e depredando. C’è questa coalizione di quattro re, di cui faceva parte Chedorlaomer contro questi cinque re di Sodoma e dintorni che erano tributari. I cinque re pagano il tributo per tredici anni e l’anno successivo non lo pagano più. Questa lesa maestà fa scattare la guerra. La logica che informa l’Elam è la logica del dominio, la logica del potere che assoggetta mentre la logica che informa l’avversario è un'altra logica, una logica di tipo edonista. Se guardate la guerra, finché non interviene Abramo, chi perde è la logica edonista. Tra la logica edonista e la logica del potere e della conquista, è quest’ultima a prevalere, si mangia quella che si basa sul laisser-faire, se la pappa in quattro e quattr’otto. Quando arriva Abramo le sorti della guerra si mutano. Abramo, però, non si schiera né per gli uni né con gli altri. Interviene a causa del rapimento di Lot. Abramo farà di tutto per salvare gli abitanti di Sodoma. Come ho detto, erano messi molto male ma evidentemente erano meno peggio di quegli altri e quindi qualcosa si poteva pensare di salvare. Tant’è che ancora un po’ sopravvivono. Il peccato di Sodoma non è l’omosessualità, sia ben chiaro che non centra assolutamente niente. Il peccato di Sodoma è la mancanza di ospitalità e un modo di esercitare la giustizia tale per cui la giustizia diventa ingiustizia, viene cioè sovvertita. Il brano che ho citato prima riguardante Malkizedec, è un’interpolazione del racconto di quando Abramo ritorna dalla guerra, sconfigge Chedorlaomer e vede il re di Sodoma. Il re di Sodoma gli chiede dove siano i suoi beni, presi da Chedorlaomer. Mentre – e la Bibbia ci fa vedere proprio l’esatto contrario – Malkizedec, che vede quest’uomo tornare, gli porta pane e vino. Sono due logiche totalmente contrapposte. Da una parte Malkizedec, che esce come Abramo era uscito, come Sara era uscita alle querce di Mamre, episodio raccontato appena prima della distruzione di Sodoma. Vi è quindi un un’analogia, una similitudine, un’etica simile dell’ospitalità. Poi abbiamo Sodoma con il suo re che dice “bene sei tornato, dammi i soldi”. Il Trattato dei Padri, nella Mishna dice così: esistono quattro tipi di esseri umani: colui che dice “ciò che è mio è mio e ciò che è tuo è mio” è un malvagio; colui che dice “ciò che è mio è tuo, ciò che è tuo è tuo” è un pio; colui che dice “ciò che è mio è tuo, ciò che è tuo è mio” è un cretino. E chi dice “ciò che è mio è mio, ciò che è tuo è tuo”. Su quest’ultimo atteggiamento mediano il giudizio della Mishna si divide: “questo è un atteggiamento mediano”. La chiosa successiva riporta che questa è l’attitudine di Sodoma. Cosa vuol dire? È chiaro che il testo ci dice “ciò che è mio è mio, ciò che è tuo è mio” è un atteggiamento rapace che annienta il prossimo, lo nega, è l’Elam; “ciò che è mio è tuo, ciò che è tuo è tuo” va al di là della norma, è un gesto che è nell’ ”io-tu”, è il massimo dell’ ”io-tu”, per tornare alle parole fondamentali di Buber; “ciò che è mio è tuo, ciò che è tuo è mio” è un cretino. Perché? Io dico sempre: è come prendere un libro. Un libro uno lo legge, ci fa le orecchie, lo sottolinea, se lo legge la notte, magari lo fa talmente annoiare che gli cade, è ammaccato. Se io propongo uno scambio con l’esatto volume, uguale, stesso costo, stesse pagine, stessa edizione … è lo stesso libro? No! È diverso il vissuto e il vissuto non ha prezzo perché c’è dentro l’identità. Non è equo, è come dire: cambiamo una casa, stesso posto stessa metratura, stessa luce eccetera. La “mia” casa è la casa dove ho vissuto, i miei ricordi e i sentimenti, ci ho pensato ho pianto, ho riso. Non è la stessa cosa, non è a costo zero lo scambio. Poi abbiamo: “ciò che è mio è mio, ciò che è tuo è tuo” che sembra un’etica quasi aristotelica, di buonsenso. Tuttavia se ci si ferma a questo spesso non basta. È quello che fa il re di Sodoma. “Bene, bene sei tornato, adesso quello che era mio per favore ridammelo”. Perché il rischio è un’etica cieca. E lì si entra in quello che sarà l’atteggiamento di Sodoma dove c’è formalmente la giustizia, c’è un uomo, il migliore dei capi di bottega, Lot, che siede dove siedono i giudici, alle porte della città. Lot non vive dentro a Sodoma, vive alla porta di Sodoma il che, da un certo punto di vista ci dice che aveva imparato da suo zio, il cui atteggiamento non lo aveva fatto proprio tutto suo. Ma ci vuole anche dire che, visto che sta sulla porta della città, dove nella Bibbia si esercita la giustizia, il giudice di Sodoma era lui, Lot. Esau era il miglior capo di bottega figuriamoci gli altri. Ora, distrutta Sodoma, Capitolo 19, siamo di fronte a quello che adesso vorremmo vedere. Lot e le sue figlie, una maggiore e una minore, sopravvivono alla distruzione. La moglie non sopravvive, diventa una statua di sale come è noto. Sono in una situazione disperata perché evidentemente pensano che, come dopo il Diluvio, il mondo sia stato distrutto. La maggiore delle figlie dice alla minore: “ ָא ִ ֣בינוּ זָ ֵ ֑ קןAvinu Zaken” “Nostro padre è vecchio”. Il problema è che si si trova in una situazione anomala in cui bisogna perpetuare e rispondere al comando divino di crescere e moltiplicarsi, di mantenere in essere ciò che è vitale. Però in un contesto folle, abnorme. Voi sapete che succede qualcosa di molto pesante: queste due figlie giaceranno, una volta l’una la notte successiva l’altra, con il loro padre. C’è una cosa molto strana che fa veramente interrogare gli esegeti: il padre viene fatto ubriacare. Fatto ubriacare perché non se ne renda conto, perché si sarebbe opposto, perché anche per loro sarebbe stato drammatico. C’è tuttavia una domanda che ci si deve fare, ossia dove abbiano trovato il vino. Vivono in una caverna, è inverosimile che dalla città distrutta siano scappate con la bottiglia di vino. Ovviamente i commentatori si sono posti il problema e hanno dato varie risposte. C’è chi dice che la presenza lì fu provvidenziale, servì all’occorrenza. O chi, nel Midrash stesso, viene a dire che fu provvidenziale nel senso di “provvidenziale/strategico”. Evidentemente era uso, dice il Midrash, che gli abitanti di quella zona mettessero in alcune cave, in alcuni anfratti nella roccia, il vino ad invecchiare e anche come riserve di vino fuori città. E che quindi le figlie, tra tante grotte disponibili, siano provvidenzialmente entrate in quella grotta perché c’era vino in modo da poter far ubriacare il padre. C’era il posto giusto al momento giusto. Chi insegna è la maggiore e la minore copia, come se la maggiore avesse più responsabilità. Ma c’è qualcosa che succede dopo: queste donne rimangono incinte. Se noi presumiamo che le figlie siano le due ragazze che Lot avrebbe voluto dare agli uomini di Sodoma – il testo dice “ho due giovani vergini” – significa che era la prima volta che queste ragazze avevano un rapporto sessuale. Questo rende ancora più particolare la situazione. Della maggiore, c’è scritto – mentre della seconda non viene detto – che il figlio che ebbe da suo padre venne chiamato Moab, cioè letteralmente “da mio padre”, che è chiaramente offensivo. Questa generazione è un caso estremo. È chiaro che su queste generazioni pesano tante cose: disastri, etiche violate, situazioni nate male che poi sono andate male anche dopo. Peraltro si generano due popoli, i Moabiti e gli Ammoniti, che creeranno non pochi disagi ad Israele. Sono popoli nemici. Ora però stiamo parlando di generazioni. Io ho detto che quando si parla di generazioni si parla sempre anche di benedizione. Perché quel vino era provvidenziale? Perché, nell’economia della salvezza, da quell’incesto, da Moab, nasce Ruth e da Ruth il re Davide e dal re Davide il Messia. Quando dico che le benedizioni sono specifiche è perché gli esseri umani sono specifici e non tutte le benedizioni possono andare bene a tutti. Questa è una generazione estrema, difficile, a tinte fosche eppure vediamo una luce nel buio, e che luce. Ci voleva davvero il vino perché senza il vino quello che sarebbe derivato non ci sarebbe stato. Ci troviamo a fare i conti con delle storie intrise di grande spiritualità, anche questo fatto ha delle ricadute ultime che hanno da venire, ma di grande materialità. Spero in qualche modo di essere stato nei tempi e di aver detto qualcosa che sia rientrato nel vostro percorso di studi. Grazie.