Prime Now: ecco come Amazon consegna in un`ora a Milano
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Prime Now: ecco come Amazon consegna in un`ora a Milano
n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 Tutti a scuola di tariffe elettriche C’è una cosa che accomuna tutti, ma proprio tutti, gli oggetti di cui parla abitualmente DDAY.it: vanno a corrente. Tutti vanno collegati alla presa elettrica e assorbono energia. La bolletta, nella sua assoluta incomprensibilità, è un fatto sempre doloroso: primo perché si paga, spesso anche tanto; e poi perché è difficile capire perché si paga così tanto. Abbiamo di fronte tre tappe importanti che riguardano la bolletta elettrica: la prima è l’inserimento in bolletta del canone RAI, che aggiungerà confusione alla confusione. La seconda tappa, praticamente contemporanea, è l’arrivo della cosiddetta bolletta “trasparente”: vedremo nella pratica quanto questo nome sia adeguato. Infine, guardando avanti alla fine del 2017, ogni utente dovrà scegliere un’offerta dei gestori in cosiddetto “libero mercato”, dato che la “maggior tutela”, ovverosia le tariffe stabilite a livello ministeriale, sarà un regime che verrà abolito. Partiamo proprio da qui: se alla prima liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica venne istituito il concetto delle tariffe di “maggior tutela”, era perché il legislatore qualche dubbietto sul fatto che il mercato libero sapesse autoregolarsi verso il basso ce l’aveva. Basta sapere l’italiano per capire che la formula “maggior tutela” si contrappone semanticamente alla maggior possibilità di andare incontro a “fregature”; le stesse che molti utenti hanno già sperimentato dopo aver aderito a qualche offertissima convenientissima proposta dal call center di turno. Alle orecchie di un povero utente oggi, quindi, appare quanto mai bizzarro sentire da più parti che la fine del regime di maggior tutela porterà finalmente i meravigliosi effetti della concorrenza nel mercato dell’energia. La liberalizzazione dei prezzi della benzina e del gasolio – che pur è materia molto più facile da capire - non hanno ridotto i prezzi, che vanno alle stelle se il barile di petrolio cresce un po’, ma che sono restie a riadeguarsi verso il basso quando il petrolio crolla. Il Governo ci assicura che le condizioni offerte dai gestori saranno tutte facilmente comparabili, anche con un apposito sito che aiuterà il consumatore nella scelta. Ovviamente non ha senso: se le tariffe fossero semplici e facilmente comparabili, tutti aderirebbero all’offerta più conveniente. Il chilovattora è il bene più standard che ci sia e il rivenditore ha solo una funzione nella testa del cliente: offrire il prezzo più basso. L’unico modo per venir meno a questo ruolo è mescolare e confondere le carte, con tariffe non chiaramente confrontabili, operazione che resta vitale per la marginalità dei gestori. Forse in aiuto, è qui torniamo al punto precedente, arriverà la bolletta semplificata. Ma anche qui toccherà fare attenzione: il rischio di confondere semplificazione con banalizzazione è dietro l’angolo. L’attuale bolletta – sia chiaro – è una giungla di termini incomprensibili; ma continuare a fare i calcoli nella vecchia maniera (con gli scaglioni in cui chi consuma di più, invece di godere di economie di scala, paga di più) e rappresentare tutto in maniera aggregata in nome della semplificazione non farà che nascondere il problema, invece che rendercene maggiormente edotti. E, indirettamente, le tariffe, proprio perché le bollette sono troppo semplici, potrebbero essere ancora meno confrontabili. Non vogliamo precorrere i tempi, per ora ci teniamo il nostro sospetto e sospendiamo il giudizio. Ma resta il fatto che nessuno, neppure le nonnine ultraottantenni, potranno esimersi dal capirci qualcosa di più relativamente alle tariffe energetiche. DDAY.it seguirà tutte le vicende da vicino, informerà e allestirà le consuete guide indipendenti al supporto del consumatore. Malgrado ciò, il passaggio al completo libero mercato sarà una piccola violenza per ogni cittadino in cerca di un po’ di serenità in un mondo sempre più pieno d’insidie. Buona fortuna. Gianfranco GIARDINA torna al sommario MAGAZINE Sky rivoluziona Una tecnologia la TV con la nuova può rivoluzionare piattaforma Sky Q 05 l’OLED 09 EICMA 2015, tutte le moto elettriche e smart in mostra 21 Prime Now: ecco come Amazon consegna in un’ora a Milano Abbiamo visitato il polo logistico di Milano. Scopriamo cosa c’è nel magazzino, come funziona e soprattutto come è possibile essere così veloci in una grande città 03 Apple iPad Pro, grande potente e adatto a tutti 26 La costruzione è al top e la penna va bene Si chiama “Pro”, ma è adatto a chiunque desidera uno schermo più grande Microsoft Surface Pro 4 Tablet e notebook tutt’uno 29 33 Ottimo come tablet e valido in versione notebook: Surface Pro 4 convince sempre, grazie anche a Windows 10 36 37 OnePlus X, piccolo HTC Vive, realtà AKG N90Q bello e costa poco virtuale “da paura” Cuffie da sogno n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Al Digital Day di Torino, Renzi ha parlato di tecnologia, sicurezza e del futuro dell’Italia Renzi: “Taggare i sospetti non vìola la privacy” Intensificare i controlli, usare banche dati, telecamere e tag per aumentare la sicurezza A di Emanuele VILLA l Digital Day di Venaria Reale (Torino) è intervenuto Matteo Renzi, che ha sottolineato ancora una volta il ruolo centrale della tecnologia ai fini dell’evoluzione e del progresso del nostro Paese. Il presidente del Consiglio, nel sottolineare i passi fatti finora e il loro ruolo di semplice apripista rispetto ai molti che verranno, ha dato appuntamento alle istituzioni e ai Digital Champion a tra due anni, stessa data e stesso posto, per verificare l’andamento dei lavori e affrontare quelli che - si spera - a quel punto saranno gli ultimi passi della digitalizzazione del nostro paese e della cosa pubblica. In particolare, si punta molto su Italia Login, il luogo unico dove gestire la propria identità digitale e mantenere ogni genere di rapporto con la Pubblica Amministrazione. Si parte subito, ma il completamento dell’iter richiederà, appunto, circa 2 anni. Il premier è intervenuto anche sui temi della sicurezza e del terrorismo, sottolineando il ruolo determinante della tecnologia e della digitalizzazione anche in questi ambiti di stretta (e triste) attualità: entrando nel delicato rapporto tra privacy e sicurezza, Renzi ritiene che si debbano fare più controlli, mettere in comune le banche dati, far sì che tutte le telecamere siano a disposizione delle forze dell’ordine, taggare potenziali soggetti e usare le tracce che vengono lasciate, poiché “seguire” queste tracce e persone non rappresenta un agguato al concetto di privacy. Come dire, ok alla privacy come principio ma non intendiamo cedere di fronte alla sicurezza. Soprattutto in questo periodo. Secondo Renzi la tecnologia renderà l’Italia un Paese più semplice, trasparente e giusto: la digitalizzazione e le banche dati condivise potrebbero addirittura azzerare l’evasione fiscale. Si è poi parlato ovviamente di banda ultralarga come una sfida da vincere, ma buona parte del discorso del premier è stato incentrato sul ruolo della tecnologia ai fini della semplificazione della nostra vita e del rapporto con le istituzioni, oltre che sulla riduzione della povertà educativa proprio tramite digitalizzazione della scuola. MERCATO Secondo Strategy Analytics, Windows chiuderà il 2015 con il 10% del mercato Vendite tablet Windows: 18% del mercato nel 2019 Le vendite di tablet Windows nei primi 9 mesi 2015 sono cresciute del 58% rispetto al 2014 D di Paolo CENTOFANTI a un paio d’anni a questa parte le vendite di tablet sono in ribasso, le quote di mercato di Apple sono ferme, mentre è aumentata la popolarità dei tablet Android di primo prezzo. In tutto questo la piattaforma Windows era rimasta a fare da fanalino di coda, ma le cose stanno cominciando rapidamente a cambiare. Secondo il rapporto Tablet Operating System Forecast - Shipments, Installed Base & by Price Tier di Strategy Analytics, nei primi 9 mesi del 2015 le vendite di tablet basati su Windows ha visto una crescita del 58% rispetto al 2014 e la categoria si appresta a chiudere il 2015 con 22 milioni di pezzi venduti e una quota di mercato dei sistemi operativi del 10%. Il rapporto fornisce una previsione dell’andamento del mercato da qui fino al 2019, data in cui, secondo le stime di Strategy Analytics, Windows potrebbe arrivare ad avere una quota del 18% e a torna al sommario muovere 48 milioni di pezzi. Nello stesso periodo non è prevista un’ulteriore crescita per iOS, se non di un minimo 1%, secondo la ricerca, grazie più che altro all’ingresso con l’iPad Pro nel segmento business. E proprio il settore aziendale sarà il nuovo terreno di conquista per il mercato dei tablet: qui Microsoft con Windows 10 potrebbe avere un grosso vantaggio, visto la diffusione di Windows su desktop. La crescita di Windows avverrà comunque soprattutto ai danni di Android, con prodotti più costosi ma più versatili rispetto a i tablet di primo prezzo che fino a qui hanno dominato le vendite: “Windows 10 getta delle solide fondamenta su cui far crescere l’ecosistema” ha dichiarato Eric Smith, Senior Analyst Tablet & Touchscreen Strategies. “Stiamo entrando in un’era in cui i tablet Windows possono rubare significative quote di mercato ad Android nella fascia bassa e competere testa a testa con iPad nel segmento premium”. Apple si compra il motion capture di Star Wars Stavolta nel mirino di Cupertino è finita Faceshift, un’azienda che ha collaborato alla realizzazione dei film di Star Wars Apple però non vuole far sapere cosa farà con la tecnologia motion capture di Roberto PEZZALI Non è certo una novità che ogni qual volta Apple noti una azienda medio-piccola che potrebbe farle comodo se la compra senza troppi complimenti. E questa volta è il turno di Faceshift, azienda esperta nel riconoscimento facciale e motion capture in tempo reale, tanto che la sua tecnologia è stata usata persino per la realizzazione delle pellicole di Star Wars. I ragazzi del sito TechCrunch hanno provato a chiedere spiegazioni a Cupertino, che come al solito ha risposto con un garbato no comment. Al momento l’unica informazione trapelata è che un certo numero di dipendenti di Faceshift stiano ora lavorando per Apple in Europa, dato che la base aziendale era Zurigo. Di seguito un breve video che mette in mostra le capacità di Faceshift. Faceshift, il video n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Nel polo logistico di Amazon Prime Now, il servizio che consegna beni di prima necessità a Milano in meno di un’ora Ecco come Amazon consegna in un’ora a Milano Scopriamo cosa c’è nel magazzino, come funziona e come è possibile essere così veloci in una città grande e trafficata di Roberto PEZZALI Milano è arrivato Prime Now di Amazon: consegne in un’ora in città, due ore in periferia e i vantaggi del prezzo e dell’efficienza Amazon. Un servizio che è piaciuto ai milanesi e, per capire meglio come fa Amazon a consegnare in una città spesso criticata per traffico assicurando, precisione e puntualità siamo andati a curiosare nel magazzino. Il centro logistico di Amazon Prime Now ricalca, in piccolo, quello di Amazon a Castel San Giovanni, il super polo che abbiamo avuto modo di visitare lo scorso anno (qui il reportage completo): situato nella periferia di Milano si serve di piccole auto e motorini, entrambi dotati di vano refrigerato per non interrompere la catena del freddo, in grado di raggiungere in poco tempo tutte le zone della città. I responsabili del servizio si dicono soddisfatti dei primi giorni, soprattutto delle performance raggiunte sulle consegne: va precisato comunque che Amazon non ha dovuto ancora affrontare giornate di pioggia o situazioni particolari, dato che il tempo fino al momento della nostra visita è stato più che clemente. Una variabile comunque di cui tener conto, anche perché un servizio come Prime Now diventa assolutamente utile quando, per pioggia o per neve, non si vuole e non si può uscire di casa. Distribuite su 1400 mq si trovano tutte le corsie che contengono i prodotti, una sorta di supermercato con scaffali, frigoriferi e congelatori. Amazon Prime Now al momento ha circa 20.000 prodotti, 5.000 in più di quelli presenti a magazzino nella settimana della partenza. Il “catalogo” è dinamico, ci fa sapere uno dei responsabili: “Nonostante il reparto cibo resti quello preponderante, sotto Natale stiamo aggiungendo molti più giocattoli per poter soddisfare esigenze dell’ultima ora”. Prima di raccontarvi come funziona Prime Now, è bene ricordare le modalità di utilizzo del servizio: l’ordine minimo è 19 euro, e chi sceglie la spedizione in un’ora dovrà pagare altri 6.9 euro. Selezionando invece una finestra di consegna tra quelle disponibili a sistema la spedizione è gratuita, ed al momento quasi tutti prediligono ovviamente questa possibilità. A Nella foto che vi mostriamo, la “campana” che con il suo suono avvisa tutti dell’arrivo di un ordine da consegnare in un’ora, una urgenza che richiede un tempo di gestione inferiore ai 10 minuti, giusto il tem- torna al sommario po necessario per raccogliere i prodotti e preparare il sacchetto. Durante la nostra visita, durata quasi un’ora, la campana non ha mai suonato. Tra i prodotti più ordinati al momento su Prime Now ci sono sostanzialmente tre cose: acqua, birra e prosciutto. L’acqua non sorprende: Prime Now infatti effettua consegna al piano e per chi vive in città è una bella comodità. Il prosciutto invece è quello confezionato, in vaschette: Amazon non è ancora pronta a effettuare consegne di freschi, intesi come frutta, verdura, salumeria e pescheria, ma ha comunque un assortimento completo di prodotti confezionati e surgelati. Paragone con il supermercato? Chi ci ha accompagnato nella visita assicura che, tolta appunto la sezione dedicata ai freschi e tolti i prodotti con il brand del supermercato, l’assortimento è paragonabile, mentre per i prezzi va ovviamente fatto un confronto tra prodotto e prodotto perché il mercato degli alimentari ha prezzi variabili di giorno in giorno.Il vantaggio, in ogni caso, è la comodità della consegna rapida a domicilio. I prodotti ovviamente sono registrati a sistema, e quelli in scadenza come accade anche nei supermercati vengono dati al banco alimentare. ne” per depositare a scaffale la merce: per ridurre al minimo il tempo di pickup i prodotti vengono disposti in modo totalmente casuale, per non avere due prodotti simili uno accanto all’altro, situazione questa che potrebbe portare ad un errore umano. Il magazzino di Amazon Prime Now viene rifornito da più fornitori, ma la maggior parte della merce viene trasferita ogni giorno dal polo logistico centrale in provincia di Piacenza. In queste scatole arrivano i prodotti da registrare e inserire sugli scaffali. Come già abbiamo avuto modo di vedere a Castel San Giovanni, Amazon utilizza la logica del “disordi- Le corsie con i frigoriferi: Amazon Prime Now vende anche i surgelati, gli yogurt, il latte e ogni tipo di prodotto che deve rimanere in frigorifero o surgelato. I prodotti raccolti vengono portarti vicino alla zona di spedizione: passando il codice a barre un addetto All’arrivo dell’ordine parte il “carrellino”: quattro sacchetti per volta vengono caricati su un carrello che percorre le corsie alla ricerca dei prodotti ordinati. Il tempo di preparazione dell’ordine è di 10 minuti circa. segue a pagina 04 n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO I passeggeri in attesa potranno navigare in rete apparentemente senza limitazioni Fastweb: Wi-Fi gratis in 14 stazioni dei treni Il servizio è già attivo a Roma Termini e Tiburtina, Milano Cle, Napoli Cle e Torino Porta Nuova G di Roberto PEZZALI randi Stazioni, la società del Gruppo FS che gestisce i più grandi poli italiani ferroviari, ha annunciato un piano per portare il Wi-Fi gratuito in quattordici stazioni italiane, una rete wireless ad alta velocità a disposizione dei viaggiatori. Il servizio, che funzionerà grazie all’infrastruttura in fibra di Fastweb, è già disponibile a Roma Termini, Roma Tiburtina, Milano Centrale, Napoli Centrale e Torino Porta Nuova ma si estenderà nei prossimi mesi anche alle altre stazioni del network. Un progetto ambizioso, che non si ferma alla sola navigazione: secondo il comunicato rilasciato da Fastweb infatti “gli oltre 750 milioni di passeggeri e visitatori che ogni anno transitano in una delle 14 stazioni di GS, oltre alla normale navigazione Internet, potranno inoltre accedere al portafoglio di servizi digitali e di proximity offerto da Grandi Stazioni.” Sfruttando quindi la geolocalizzazione, i beacon Bluetooth disposti nei punti nevralgici delle stazioni e l’applicazione Around Station compatibile con Android e iOS, il viaggiatore potrà anche ricevere informazioni relative ai servizi oltre ad una sorta di navigazione “indoor” per muoversi liberamente al- l’interno delle stazioni più grandi, come ad esempio quella di Milano Centrale e Roma Termini, diventate ormai veri e propri hub. “Siamo molto soddisfatti di poter arricchire in questo modo la gamma dei servizi offerti ai nostri frequentatori. L’accordo con Fastweb ci consente, già oggi, di poter offrire il servizio a oltre il 60% dei visitatori e passeggeri che transitano nelle nostre stazioni. A breve allargheremo il servizio anche al resto del nostro network, consentendo a tutti i nostri clienti di poter accedere a un servizio che oggi è fondamentale per il lavoro, la vita familiare e il tempo libero. Con il valore aggiunto dei nostri applicativi, inoltre, il viaggio e il passaggio in stazione sarà ancora più veloci e piacevoli”, ha dichiarato Paolo Gallo, Amministratore Delegato di Grandi Stazioni. L’accesso alla rete Internet è completamente gratuito e chiunque potrà navigare tramite smartphone, tablet o pc portatile: non sappiamo se sarà necessaria una registrazione di qualche tipo, più probabile la scelta di un wi-fi immediato e veloce come quello presente nell’aeroporto di Malpensa, attivabile previa accettazione del regolamento. Fastweb non accenna a eventuali limitazioni temporali o di banda, limiti che probabilmente sono stati inseriti per evitare abusi da parte dei viaggiatori. MERCATO In Inghilterra Internet va a 5 Gbit/s Dalla Gran Bretagna arriva una notizia che ribadisce in quale direzione sta andando il mondo e perché sarebbe ora di escludere il rame da tutti i ragionamenti sulle infrastrutture del futuro. Gigaclear, provider britannico specializzato in servizi di connettività in “fiber to the premise” - formula equivalente alle più comuni sigle “fiber to the building” o “to the home” - ha annunciato che da inizio 2016 darà la possibilità ai propri abbonati residenziali e business di scegliere un piano Internet da 5 Gbit/s. Chiaramente, tanta banda ha un costo: si parla di 399 sterline al mese per le utenze residenziali, pari a circa 570 euro. Attenzione, non è che in Gran Bretagna sia possibile avere ovunque una linea a 5 Gbit/s. Gigaclear è un provider specializzato nel portare la sua rete in fibra nelle zone rurali, con un modello di business che coinvolge le comunità locali nell’assicurare l’interesse di almeno il 30% degli abitanti nel servizio. Il punto è che se già oggi c’è chi arriva a offrire servizi consumer a 5 Gbit/s, sentire parlare, come si fa in Italia, di 100 Mbit/s come di obiettivo per la rete a banda ultralarga per il 2020, fa un sorridere. MERCATO Amazon Prime Now segue Da pagina 03 applica su ogni pacco il cartellino con la destinazione e la fascia oraria di consegna. Nel caso in cui un ordine abbia all’interno prodotti surgelati, vicino alla zona di carico troviamo una serie di celle frigorifere che mantengono la catena del freddo fino al momento in cui l’ordine parte effettivamente per la consegna. Come già scritto anche su auto e motorini è presente la cella frigorifera. torna al sommario Il percorso di consegna viene elaborato dal computer in base ad una serie di variabili e inviato ai computer di bordo degli scooter e delle auto: chi si occupa della consegna, seguendo il percorso, dovrebbe comunque riuscire a consegnare in tempo. Abbiamo chiesto ad Amazon come intendono affrontare eventuali urgenze, con tanti ordini nella stessa fascia oraria e pochi corriere a disposizione: è il computer a gestire il tutto, oscurando in fase di ordine le fasce orarie per le quali la consegna non sarebbe assicurata. Amazon Prime Now è sicuramente un ottimo servizio per chi abita a Milano e in provincia: risolve veramente tanti problemi, barattando la comodità con un prezzo che sicuramente è conveniente ma potrebbe non essere conveniente quanto quello di un supermercato in periodo di offerte o volantino. L’assortimento è buono, anche se non è completo a nostro avviso come quello di un supermercato: non esiste ad esempio una bottiglia di Amarone, il reparto “birre artigianali” è davvero scarno e molte altre categorie sono meno assortite di un ipermercato. Ma lo spazio c’è e Amazon sicuramente colmerà queste mancanze nei prossimi mesi. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Sky ha lanciato in Inghilterra Sky Q, una piattaforma completamente rinnovata Sky con la piattaforma Sky Q rivoluziona la TV Un prodotto incredibilmente moderno, basato su nuovi decoder, che fonde e web e satellite di Emanuele VILLA S ky ha tolto i veli dalla nuova piattaforma Sky Q, una vera rivoluzione per la pay TV satellitare, che miscela in modo incredibile satellite e web. Sky Q è un prodotto tutto nuovo, che utilizza le più moderne tecnologie come Powerline, 4K, streaming, Airplay e tanto altro. La nuova piattaforma arriverà nel 2016 in Inghilterra, ma come è già successo per altre tecnologie e innovazioni Sky, potremmo vederla anche in Italia. Sky Italia ci ha comunicato che prima o poi arriverà, ma ovviamente nulla è ancora definito. Con il nuovo sistema, Sky ha cercato di ridisegnare il modo in cui si guarda e si fruisce della TV, sia a casa sia in mobilità, prendendo spunti dai migliori dai servizi esistenti come Tivo, Netflix e la stessa Sky. Sky Q è un ecosistema sviluppato su un concetto: poter vedere tutto quando e dove si vuole, una cosa che molti hanno cercato di fare ma nessuno ci è mai riuscito per la mancanza di qualche tassello. Sky può farlo benissimo in Inghilterra dove è provider internet e operatore di pay TV satellitare. Prima di vedere quali sono i componenti del sistema Sky Q, quattro nuovi set top box ognuno con funzioni specifiche, vediamo cosa promette Sky con il nuovo “Q”: • Possibilità di vedere i canali e i contenuti onDemand da tutte le TV di casa o da un tablet, sempre in casa. il Multivision diventa “di serie” • Possibilità di mettere in pausa ogni canale Live, riprendendolo dai tablet o da un’altra stanza • Possibilità di salvare i contenuti, anche quelli registrati da satellite, su un tablet per la visione in mobilità • Possibilità di vedere cinque contenuti Sky diversi su cinque diverse TV mentre il decoder registra altri quattro canali • Tutti i decoder e i set top box diventano hotspot Wi-Fi e portano internet in tutta la casa • Telecomando con touchpad • Interfaccia con funzione di ricerca avanzate e una completa guida TV • Compatibilità con il 4K • Accesso ad alcune applicazioni di streaming video, come Vevo e Youtube, e alle proprie foto caricare sul cloud • Compatibilità con lo streaming audio tramite bluetooth oppure con AirPlay torna al sommario La presenza della compatibilità con il 4K lascia presupporre che Sky inizierà a trasmettere in Ultra HD, sia da satellite che da rete. Il pezzo forte del sistema oltre alla nuova interfaccia (qui il video di presentazione), sono i decoder: Sky ha preparato due set top box che uniscono le potenzialità della rete a quelle della parabola e destinati ai locali principali della casa, un piccolo set top box wireless per le stanze secondarie e un hub per mettere in contatto tutti i dispositivi. Sky Q Silver (scheda tecnica) e Sky Q (scheda tecnica) sono i due nuovi decoder: il primo, il top di gamma, è il decoder compatibile 4K dotato di un hard disk da 2 Terabyte per registrare oltre 350 ore di contenuto HD, mentre il secondo ha un disco da 1 Terabyte e non è Ultra HD. Entrambi hanno 12 tuner interni, un numero impressionante. ne e sfrutta i tuner contenuti all’interno del decoder principale. Sky Q Mini, il decoder pensato per le stanze secondarie Sky Q Hub (scheda tecnica) è invece il centro di controllo: è il potente router che funziona come modem internet e distribuisce la connettività agli altri dispositivi tramite wireless o powerline. Sky ha anche lanciato una nuova applicazione destinata a tablet e smartphone per poter fruire dei nuovi servizi: si chiamerà ovviamente Sky Q App. Sky Q Silver, Ultra HD e 2 TB di disco Il nuovo modem router Sky Q Hub Sky Q, la versione HD Sky Q Mini (scheda tecnica) è il piccolo decoder pensato per le stanze secondarie: funziona esclusivamente tramite connessione wireless oppure powerli- Una vera rivoluzione nel campo della TV, e i primi che hanno potuto vedere in funzione il sistema assicurano che è qualcosa di davvero rivoluzionario. Al momento Sky non ha parlato di prezzi, e non è dato sapere se Sky Q sarà un prodotto alternativo a Sky tradizionale, anche se ipotizziamo che in un primo momento sarà così. Campo Dall’Orto “La Rai non entrerà nel mercato Pay” Il direttore generale della Rai, davanti alla commissione di vigilanza, smentisce l’intenzione di voler offrire un servizio a pagamento Le risorse del canone verranno utilizzate per allargare l’offerta multipiattaforma di Roberto PEZZALI Davanti alla commissione di vigilanza parlamentare sulla Rai, il direttore generale Campo Dall’Orto ha dato alcune anticipazioni sul prossimo piano industriale della televisione pubblica, ma soprattutto ha smentito le indiscrezioni che erano circolate “Non abbiamo intenzione di entrare nel mercato a pagamento: acquisire il calcio non è il nostro mestiere. Abbiamo invece la volontà di una incisiva strategia multipiattaforma.” Il piano in realtà non c’è ancora, ed è in via di definizione. Quello che è certo è che a quanto pare non c’è alcuna intenzione di investire in contenuti “americani” né tanto meno diritti per le partite di calcio della Serie A. Piuttosto, ha detto sempre Campo Dall’Orto, l’idea è quella di sfruttare la stabilità del gettito del canone, che sarebbe assicurata dal nuovo modello di riscossione, per rilanciare la presenza sul web con l’intera digitalizzazione della libreria del patrimonio della Rai, processo che a dire il vero è in atto da tempo. Per il momento dunque niente di concreto all’orizzonte. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT ll 16 dicembre esce nelle sale il nuovo episodio di Star Wars, il primo della trilogia sequel dei film originali Siete davvero pronti per Il Risveglio della Forza? Ecco qualche consiglio su dove recuperare tutti i film della saga e come organizzare al meglio la propria maratona Star Wars T di Paolo CENTOFANTI ra poco ci sarà l’evento cinematografico di questo 2015. Il 16 dicembre uscirà nella sale italiane il nuovo attesissimo film di Star Wars, Il Risveglio della Forza e per chi non ha mai visto nessun film della saga o per chi semplicemente vuole prepararsi a dovere prima di tornare al cinema per un nuovo episodio, il tempo comincia a stringere. Tutti i film, sia della trilogia classica che i prequel, hanno una durata superiore alle due ore, per un minutaggio complessivo di quasi 800 minuti senza contare le serie a cartoni animati Clone Wars del 2003 (tre stagioni in 2D) e The Clone Wars del 2008 (sei stagioni con animazione 3D), e l’ultima Rebels, per le quali ormai non c’è più il tempo per recuperarle come si deve. Da qui all’uscita nelle sale ci separapoco tempo, ma volendo il calendario ci viene in aiuto anche con un provvidenziale ponte dell’8 dicembre. Premesso che ovviamente nulla vieta di guardarseli quando e come si vuole, per gustarsi i film con la giusta tranquillità, atmosfera e magari in compagnia con la famiglia o gli amici, allora un po’ di pianificazione è necessaria, per sfruttare al meglio il tempo a disposizione per riunirsi tutti insieme. Vediamo alcune strategie per arrivare al cinema perfettamente preparati. Primo passo: dove trovare i film Con il passaggio a Disney di Lucasfilm, non è solo aumentata la quantità di titoli in produzione (oltre alla nuova trilogia ci saranno anche altri film a sé stanti e si parla persino di una nuova serie TV in live action), ma si è allargata anche la disponibilità dei film originali in termini di piattaforme di home entertainment in cui compaiono a catalogo. Oltre ai classici DVD e Blu-ray Disc, i film di Guerre Stellari sono ora disponibili anche in VOD su diversi servizi. Vediamo allora una panoramica delle opzioni a disposizione per procurarsi tutti i sei episodi di Star Wars, che, ricordiamo sono: La minaccia fantasma (1999), L’attacco dei cloni (2002), La vendetta dei Sith (2005), Una nuova speranza (1977), L’impero colpisce ancora (1980), Il ritorno dello Jedi (1983). In DVD e Blu-ray Disc Dopo il cofanetto pubblicato da 20th Century Fox a 9 dischi del 2011, è uscita una riedizione che propone gli stessi contenuti con confezioni diverse in tre soluzioni: tutta la saga, completa di tre dischi di contenuti extra, oppure trilogia originale e trilogia dei pre-quel, ciascuna con solo i dischi dei film. Ci sono anche i film disponibili singolarmente, ma, salvo promozioni, la scelta a livello economico non è delle più convenienti. Come spesa siamo intorno alle 80 euro per il cofanetto completo, e circa 30 euro per ciascun box delle due trilogie separate (ad esempio su amazon.it). torna al sommario Servizi VOD Quest’anno la saga di Star Wars è finalmente stata resa disponibile anche sui servizi di video on demand, in streaming o download. Rispetto ai classici supporti, abbiamo la praticità dei formati digitali che, a seconda del servizio scelto, permettono con un acquisto di vedere i film su dispositivi diversi. pleto da 69,99 euro, ma è possibile acquistare i film anche singolarmente a 13,99 euro. Fa eccezione il primo Guerre Stellari che ha mantenuto distribuzione Fox e ha un prezzo di 16,99 euro. I film sono disponibili in HD e con audio 5.1, ma non è compresa la lingua originale e non ci sono extra. https://play.google.com/ iTunes Store Sul negozio di Apple sono disponibili tutti i film in vendita singolarmente a 13,99 euro o tutti insieme a 69,99 euro. I film includono alcuni degli extra della versione Blu-ray Disc nella sezione iTunes Extra, sono disponibili in alta definizione a 1080p e con audio 5.1 italiano e inglese. https://itunes.apple.com/it/ Rispetto ai supporti si risparmia poco e spesso non sono disponibili extra, lingue audio multiple o audio multicanale. In più, nella maggior parte dei casi, occorre comunque una connessione Internet attiva. Insomma, si baratta la completezza dei contenuti per la comodità di acquistare i film direttamente dal nostro divano. Vediamo le principali opzioni disponibili in Italia. Chili TV Il servizio italiano propone la saga completa a 69,99 euro o i singoli film a 13,99 euro per l’HD. In questo caso sono inclusi anche dei contenuti extra, presenti in coda ai singoli film, per un totale di 10 ore. I film sono disponibili in alta definizione, ma con audio italiano e originale solo stereo. https://it.chili.tv/cinema/ Google Play Store La saga è sbarcata anche sul negozio di contenuti di Google, con un’offerta a “cofanetto” com- Playstation Store Un’altra soluzione per acquistare la saga di Star Wars è sullo store di Sony Playstation. L’offerta è simile a quella della concorrenza: tutti i film per 69,99 euro oppure ciascun film a 13,99 in HD e 11,99 in SD (tranne per Guerre Stellari che è solo in HD). Sul fronte audio, Sony offre solo la lingua italiana in 5.1 o stereo. Anche in questo caso, con i film non ci sono extra. https://store.playstation.com/ Windows Store Anche sullo store di Microsoft è possibile acquistare tutta la saga di Star Wars in bundle o film per film. Qui il cofanetto cofanetto digitale costa 74,99 euro ma comprende oltre ai film in alta definizione anche un buon numero di contenuti extra. In alternativa è possibile acquistare i singoli film per 14,99 euro (due euro in meno per la definizione standard), sempre con i contenuti speciali relativi al titolo scelto. L’audio è disponibile solo in italiano stereo. https://www.microsoft.com/it-it/ segue a pagina 07 n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Grazie a un’ottimizzazione della compressione promette una riduzione del consumo di banda fino al 50% Con Opera Max ascolti musica in streaming col 50% di dati L’ottimizzazione avviene sia sotto Wi-Fi che su rete mobile. Supporta anche i servizi di streaming ma non ancora Spotify di Andrea ZUFFI D opo anni di esperienza nel mondo dei browser Opera ha iniziato a sviluppare logiche votate al risparmio del traffico dati in mobilità. Le prime versioni di Opera Max, questo il nome dell’app salva-dati, erano concentrate soprattutto sul prevenire l’erosione del monte dati legato alla visualizzazione delle immagini più pesanti su Instagram e Facebook. A inizio 2015 Opera ha implementato la modalità per il risparmio dati durante la visualizzazione da servizi di video-streaming come YouTube o Netflix e negli ultimi giorni è arrivata la modalità “risparmiosa” anche per lo streaming di musica. La più recente versione di Opera Max, disponibile al momento solo per dispositivi Android, promette un consumo di banda del 50% inferiore al normale mentre si ascolto musica in streaming. Una tale ottimizzazione, resa possibile dalla conversione dei flussi di dati MP3 e MP4 in codec AAC+ a più alta effcienza, deriva dalle tecnologie di Rocket Optimizer acquisite da Opera nel 2013, contestualmente all’acquisto di Skyfire. In pratica, l’utente effettua la richiesta al server Maratona Star Wars segue Da pagina 06 Wuaki.tv Star Wars è disponibile anche sul servizio spagnolo ma in modo incompleto, visto che a catalogo manca il primo mitico Guerre Stellari. È anche la destinazione più cara, visto che ogni film in alta definizione costa ben 16,99 euro e con audio solo italiano stereo. https://it.wuaki.tv/ Il ripasso rapido Recuperiamo solo i classici ll Risveglio della Forza sarà l’episodio numero 7 secondo la cronologia narrativa della saga di Star Wars e sarà ambientato all’incirca 30 anni dopo gli eventi de Il Ritorno dello Jedi. Sappiamo che ci sarà il ritorno di alcuni dei principali personaggi dell’originale trilogia di Guerre Stellari, e che, tematicamente e visivamente, il film di J.J. Abrams cercherà di restare in parte fedele all’atmosfera dei tre episodi precedenti. Non è pertanto sbagliato pensare di arrivare al cinema dopo aver (ri)visto solo Guerre Stellari, L’Impero colpisce ancora e Il Ritorno dello Jedi. Anzi. È probabile che molti dei fan più ortodossi della saga, nel caso non abbiate mai visto un film di Guerre Stellari, vi suggeriscano di lasciar perdere del tutto la trilogia di prequel La trilogia originale è indubbiamente la più amata dagli appassionati e non solo. Episodio VII - Il Risveglio della Forza è il primo di tre sequel previsti Tube Music sono le prime cinque app ad aver passato i nostri test di qualità, ma a breve saremo in grado di supportare altre app di streaming musicale”. di George Lucas, tanto che alcuni di loro pagherebbero una fortuna per trovare il modo di dimenticarsela. Detto questo, i film da vedere sono solo tre in questo, ciascuno della durata di circa due ore. ENTERTAINEMENT torna al sommario di Opera che - dal canto suo - ha già effettuato la ricompressione, ottenendo come risultato un minor consumo di dati mobili. Anche se ad oggi sono supportati solo alcuni servizi di streaming audio, e tra questi mancano big del calibro di Spotify, le parole di Sergey Lossev, product manager di Opera lasciano ben sperare: “Pandora, Slacker Radio, Gaana, Saavn, e You- La trilogia dei “prequel” diretta da George Lucas è stata criticata per lo stravolgimento dell’atmosfera originale. È comunque importante perché ha fatto da apripista per la rivoluzione digitale. Strategia 1: tutto in un weekend Un film ogni serata, ad esempio, a partire dal venerdì: in un weekend si porta a termine il compito. Si parte da Guerre Stellari (in seguito ribattezzato Star Wars: una nuova Speranza) per poi proseguire sabato sera con L’Impero colpisce ancora e finire domenica con il Ritorno dello Jedi. In questo modo, il fine settimana successivo siamo pronti per andare in sala a gustarci il Risveglio della Forza. Tre film per 6 ore totali, si può anche pensare di dedicarci un pomeriggio intero: iniziando alle 14.30 con Guerre Stellari, possiamo arrivare con le pause tecniche del caso, a concludere la nostra visione in tempo per cena intorno alle nove di sera. dedicare alla nostra saga. Ne bastano in realtà tre per una confortevole maratona di due episodi al giorno. Ci si tiene libero il sabato per tutte le commissioni e i preparativi e quindi dedicare domenica, lunedì e martedì per la visione, che alla fine richiede poco più di 4 ore al giorno: due film ogni pomeriggio, uno di giorno e una la sera, due la sera, come preferite! L’esperienza completa Strategia 4: la vera maratona Escludendo la soluzione di recuperare solo la trilogia dei prequel (lo abbiamo già detto, tecnicamente Il Risveglio della Forza è il sequel de Il Ritorno dello Jedi), Abbiamo sei film da vedere prima dell’uscita del nuovo episodio, per un totale di 800 minuti di Star Wars da recuperare o guardare per la prima volta. Si può scegliere di seguire la cronologia cinematografica, quindi partendo con la trilogia originale e poi quella dei prequel, come hanno fatto milioni di spettatori, o viceversa, soprattutto se si è totalmente a digiuno, quella narrativa, che quindi parte con Episodio I, La minaccia fantasma. A nostro avviso, i prequel si apprezzano maggiormente dopo aver visto la trilogia originale, ma qualcuno potrebbe anche obiettare che così facendo forse si finisce più per disprezzarli che altro. A voi la scelta. C’è poi volendo la soluzione estrema: la vera maratona, più di 13 ore di film da vedersi in un solo giorno. Aggiungiamoci magari una sosta di mezz’ora tra un film e l’altro e ci rimane giusto il tempo per andare a farci una bella dormita, quindi qui la pianificazione è decisiva. La soluzione migliore? Si inizia la mattina alle 10 con Episodio 1. Senza esagerare e per prepararsi all’intenso pomeriggio ci si fa una bella pausa pranzo di 45 minuti e si riprende alle 13 con Episodio 2. Qualche minuto di pausa e alle 15.30 si concludono i prequel con Episodio 3. Alle 18 si passa alla trilogia classica con il mitico Guerre Stellari, leggero e avvincente. Si finisce intorno alle 20 tonde, ora in cui ci si alza dal divano per un’oretta (non di più!) per una bella cenetta. A questo punto alle 21 parte il rush finale: gli ultimi due film, tra l’altro, ben si prestano per essere visti di fila. E non si finisce neppure troppo tardi: intorno all’una e mezza di mattina, a seconda dei tempi tecnici per passare da un film all’altro. Strategia 2: tutto in un giorno o una serata Strategia 3: il lungo ponte Quest’anno il calendario regala un bel ponte dell’immacolata, con cinque serate piene o quattro giornate da NESSUN CONFRONTO È POSSIBILE NERO PERFETTO, COLORI PERFETTI LG lancia la nuova tecnologia OLED superando ogni limite qualitativo. OLED TV è l’unico tv in cui i pixel hanno la capacità di illuminarsi e spegnersi uno ad uno regalandoti il contrasto infinito e colori veri come in natura , per immagini che non temono nessun confronto. www.lg.com/it n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TV E VIDEO La tecnologia PCOLED promette di risolvere il problema di produzione dei display OLED Una tecnologia potrebbe rivoluzionare l’OLED Un effetto quantistico permette di aumentare la durata dello strato emissivo della luce blu U di Paolo CENTOFANTI no dei i problemi che complica la produzione di display OLED è l’emissione del colore blu. Per realizzare una cella OLED capace di produrre luce bianca, infatti, il metodo più utilizzato è quello di realizzare tre strati emissivi uno per ognuno dei tre colori primari. Il problema è che finora la durata di una siffatta cella è legata a quella dello strato emissivo del blu, che si deteriora più velocemente. Il centro di ricerche di Taiwan Industrial Technology Research Institute (ITRI) ha però annunciato una scoperta che potrebbe risolvere il problema, con una nuova struttura denominata PCOLED (Plasmon-Coupled OLED), che per emettere il blu utilizza un materiale verde, molto più facile da utilizzare e più efficiente. Il meccanismo è complicato da descri- vere, coinvolge dei fenomeni di fisica quantistica e in particolare i plasmoni di superficie, “quasiparticelle” che esistono all’interfaccia tra un materiale metallico e il vuoto come oscillazioni collettive degli elettroni. I plasmoni possono essere manipolati con un processo di “accoppiamento” (da cui il nome di Plasmon-Coupled) per cambiare il colore del materiale, spostando la probabilità di emissione dal verde al blu. Ciò avviene con una particolare struttura a panino dove lo strato emissivo è delimitato da due superfici metalliche, aumentando la produzione di plasmoni e consentendo di evidenziare solo la componente blu del materiale verde. Secondo i ricercatori, con questo metodo la vita del blu raggiunge lo stesso livello del verde, portando la durata di un display o una lampadina OLED di questo tipo a 300.000 ore di funzionamento. Il team ha realizzato con successo una produzione pilota di piccoli display OLED a matrice passiva da 10x10 cm e sostiene che grazie al fatto che si utilizzano meno materiali sfruttando solo il verde, potenzialmente ci potrebbe essere anche una sensibile riduzione dei costi. La tecnologia è compatibile con le attuali linee di produzione e in un paio d’anni la tecnologia PCOLED potrebbe essere disponibile commercialmente. Google Play Movies arriva sui TV LG con WebOSV Stretta di mano tra LG e Google per portare Play Movies all’interno delle piattaforme Smart TV LG I primi TV a beneficiarne saranno quelli con WebOS, seguiti da quelli con NetCast di Massimiliano ZOCCHI TV E VIDEO Lo scontro riguarda i pannelli LCD 4K con pixel RGBW utilizzata da LG e altri produttori Guerra tra Samsung e LG per il pixel bianco Samsung afferma che riduce la risoluzione e chiede la modifica degli standard di misurazione di Paolo CENTOFANTI S amsung ha ufficialmente proposto alla Society for Information Display (o SID) una nuova metodologia per la misura della risoluzione di un display, con l’esplicito scopo di smascherare quelli che definisce i “falsi pannelli 4K”. Nel mirino di Samsung c’è una particolare tecnologia denominata RGBW e utilizzata dalla concorrente LG oltre che da molti produttori cinesi di LCD. Da non confondere con la tecnologia OLED di LG, Si tratta di qualcosa molto vicino alla configurazione pentile dei subpixel, che una volta veniva utilizzata proprio da Samsung sui suoi OLED per i dispositivi portatili. In questo caso è un metodo per produrre pannelli 4K a minor costo, riducendo il numero di subpixel con un particolare arrangiamento che ne riduce il numero complessivo di un terzo. Il sistema funziona introducendo su ogni riga del display un subpixel bianco dopo ogni tripletta RGB. Il “trucco” a questo punto è quello di ragruppare tutti questi punti in pixel condividendo però i subpixel adiacenti: in pratica 2 pixel si spartiscono gli stessi 5 subpixel, sfruttando il fatto che la nostra vista è molto meno sensibile alla torna al sommario risoluzione cromatica. Ciò introduce una maggiore complessità nell’elaborazione del segnale, che deve essere rimappato sulla matrice RGBW, ma il pannello LCD risulta semplificato e meno costoso grazie al minor numero di subpixel che lo compongono. Samsung ha iniziato negli ultimi mesi una battaglia volta a ribadire che mentre i suoi pannelli LCD sono realmente 4K grazie all’utilizzo della classica configurazione RGB, quelli della concorrenza non lo sono, visto il ridotto numero di subpixel per ogni riga. E qui entra in gioco il modo in cui viene determinata la risoluzione di un display. Negli attuali standard, questa viene usualmente definita contando una linea di risoluzione ogni volta che il passaggio da una riga nera a una bianca produce una variazione di circa tre volte nella luminosità misurata. Questa metodologia consente di considerare gli LCD RGBW equivalenti a un pannello 4K dal punto di vista della risoluzione. Samsung invece propone un nuovo metodo che tenga anche conto del colore nella misura e quindi non solo della luminosità. L’americana CEA (Consumer Electronics Association), ad esempio, per la sua certificazione 4K La matrice RGBW messa sotto accusa da Samsung Lo stesso produttore aveva utilizzato un metodo simile sui suoi primissimi modelli Ultra HD entry level Ultra HD, richiede esplicitamente che ogni pixel sia in grado di riprodurre l’intera gamma di colori, motivo per cui alcuni produttori non possono utilizzare quel logo negli Stati Uniti nella promozione dei propri TV Ultra HD. La proposta di Samsung sarà discussa al prossimo convegno dell’International Committee for Display Metrology del SID che si terrà in febbraio, ma occorrerà una maggioranza del 75% dei voti per approvare la nuova metodologia. Intanto LG è passata al contrattacco, stando quanto riportato da Etnews, contattando uno a uno i delegati del comitato per illustrare la bontà della sua soluzione. Importante annuncio da parte di LG che ha siglato un accordo con Google per inserire nei suoi Smart TV lo streaming video on demand di Play Movies & TV. In questo modo i TV LG con sistema operativo WebOS (il primo che supporterà la nuova app) saranno i primi del mercato Smart TV ad abbracciare i servizi di Mountain View, ad esclusione (ovviamente) delle aziende che utilizzano Android TV. L’upgrade interessa anche i TV più vecchi con ancora la piattaforma NetCast 4.0 e 4.5. Come spesso accade, noi dovremo avere pazienza dato che il rollout partirà da Stati Uniti e Regno Unito, seguiti da Australia e Canada per poi espandersi in 104 paesi diversi, ma senza una tabella di marcia precisa. In questo modo LG sarà la prima a proporre praticamente tutti i più popolari servizi di streaming video (ad eccezione di iTunes ovviamente), avendo già app dedicate per Netflix, Hulu, Amazon Video, YouTube, e Vudu, oltre ad altre realtà locali come le italiane Chili TV e TIM Vision. Sembra che dopo un periodo difficile, il concetto di Smart TV stia riguadagnando popolarità. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Colpo di Mediaset nella lotta alla pirateria: Fastweb deve oscurare Rojadirecta È deciso: Fastweb deve bloccare Rojadirecta Il tribunale di Milano impone il blocco del sito in tutte le sue forme, anche quelle future M di Roberto PEZZALI ediaset chiede e ottiene l’oscuramento di Rojadirecta: Fastweb sarà obbligata a rendere inaccessibile a tutti i suoi clienti il famoso sito specializzato nella trasmissione di partite di calcio pirata. La sentenza del giudice del tribunale di Milano questa volta ha un sapore diverso dal classico oscuramento già imposto in altre situazioni. Prima di tutto bisogna spiegare perché Fastweb: da quanto siamo riusciti a ricostruire infatti Fastweb fu l’unico provider che, diversi mesi fa, scelse di non inibire l’accesso al sito spagnolo dichiarato illegale dal tribunale di Roma, decisione rispettata invece dagli altri operatori. Mediaset, di fronte a tale comportamento, ha deciso di denunciare il provider. In seconda battuta invece è interessante capire anche cosa ha di rivoluzionario questa sentenza del giudice: non solo Fastweb sarà costretta a impedire l’accesso a it.rojadirecta.eu, ma dovrà anche impedire in futuro l’accesso a tutti i siti con il nome rojadirecta all’interno del dominio. Siti come questo, infatti, sono soliti spostarsi saltando da un dominio ad un altro, ma in questo caso il giudice ha stabilito che non va colpito il dominio ma il sito stesso: che sia .eu, .food o .rock poco importa, siamo sempre di fronte allo stesso sito e non dev’essere assolutamente raggiungibile. Fastweb deve mettersi in regola, altrimenti sarà costretta a pagare una multa di 30.000 euro per ogni giorno di ritardo o ogni giorno in cui il sito tornerà visibile. Solitamente gli operatori utilizzano il blocco dei DNS, misura questa facilmente aggirabile utilizzando DNS pubblici come quelli di Google. Il giudice che ha emesso il verdetto non era ovviamente un tecnico e non è entrato nei dettagli (DNS, proxy, IP), ma sembra che comunque sia ben evidenziata nella sentenza l’indicazione che Fastweb deve “adottare la migliore soluzione tecnologica possibile per impedire l’accesso al servizio”. L’operatore potrebbe quindi scegliere, per essere più sicu- ro, un filtro decisamente più efficace, un blocco sull’IP o sulla parola stessa “rojadirecta”. Sta infatti a lui controllare se il sito si sposta di dominio o se apre dei siti paralleli: nel caso in cui solo uno di questi risulti nuovamente accessibile ai clienti, scatta la sanzione giornaliera. Una soluzione, quella del filtro sul nome o sull’IP, che se venisse adottata anche da tutti gli altri provider italiani potrebbe davvero porre fine alla piaga del calcio gratis via internet. Haier lancia i TV entry level con Android Haier annuncia l’arrivo in Italia della nuova serie di TV LCD a LED U5000A, composta da modelli da 32, 40, 43 e 49 pollici. Per questa serie, Haier ha deciso di montare pannelli full HD, ma puntando sulla retroilluminazione direct LED - che presumiamo stia a indicare una configurazione di tipo “full” LED, in contrapposizione ai classici LED edge - e soprattutto sulla piattaforma di Smart TV basata su Android. In questo caso non si può parlare propriamente di Android TV, visto che Haier utilizza Android 4.4 come base per la sua piattaforma, ma c’è comunque il Google Play Store, con la possibilità di scaricare non solo applicazioni, ma anche film e musica. I nuovi TV sono naturalmente dotati di Wi-Fi integrato, tuner digitale terrestre anche DVB-T2 e funzione di PVR e Time Shift collegando dischi alle porte USB. Contenuti i prezzi, compresi tra i 349 euro del 32 pollici e i 649 euro del 49 pollici. TV E VIDEO I modelli di TV Ultra HD consumano di più e la bolletta della luce diventa “più pesante” Passare ai TV Ultra HD costa 1 miliardo di dollari Un’indagine americana rivela che i TV UHD consumano il 30% in più rispetto ai TV Full HD MAGAZINE di Michele LEPORI Estratto dal quotidiano online C irca 1 miliardo di dollari in più: è questa la stima che la NRDC (National Resources Defense Council), organo di controllo americano che vigila sulla difesa delle risorse energetiche, rilascia ai consumatori e che avvisa circa i consumi extra che un TV UHD andrebbe a portare in bolletta rispetto ai più diffusi TV Full HD. Niente che non si potesse prevedere vista la dotazione tecnica, ma pur sempre un aspetto che si considera raramente e sul quale l’NRDC vuole invece porre l’accento. I conti che l’NRDC fa in tasca ai 300 milioni di americani in possesso di un TV è facile: le stime di acquisto parlano chiaro, e la quasi totalità di coloro che cambieranno un TV con diagonale maggiore di 36” andranno su un modello ad altissima definizione. Calcolatrice alla mano, il documento rilasciato stima che ci sarà una crescita di kWh di +8 miliardi torna al sommario www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono, Simona Zucca (3 volte il consumo annuale di una città come San Francisco), +1 miliardo di costi di gestione elettrica per il consumatore e 5 milioni di metri cubi di extra di diossido di carbonio emesso dall’incremento di consumo elettrico. Un impatto ambientale notevole, amplificato dai grossi volumi del mercato americano ma che si andrà a sommare con quello europeo e - soprattutto - dei giganti asiatici. Fuori dalla stima ci sono le TV dotate di HDR: per questi modelli il contatore elettrico dovrà fare degli ulteriori straordinari. Gli organi di controllo americani, Energy Star in prima fila, sono al lavoro per delle certificazioni e delle restrizioni da imporre ai produttori, ma la strada delle nuove tecnologie UHD sembra difficilmente percorribile al fianco di consumi completamente ecosostenibili. Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Chassis tutto in alluminio, dual Sim, 3 e 4 GB di RAM per ultimo nato in casa Huawei Display da 6’’ e look di classe per il Mate 8 Prezzi in Cina a partire da 2.999 yuan (442 euro), al momento non si sà se lo vedremo in Italia di Pierfrancesco PETRUZZELLI X Huawei ha presentato in Cina il successore di Ascend Mate 7, ovvero il Huawei Mate 8 Dual Sim. La prima cosa che salta all’occhio in questo nuovo modello è lo spessore infinitesimale delle cornici laterali, cosa che ovviamente mette in risalto lo schermo LCD IPS da 6 pollici con risoluzione Full HD. Si tratta dunque di un modello dedicato a chi cerca un phablet dal look di alta gamma e specifiche tecniche importanti: non per niente il case è completamente in alluminio e con almeno 4 varianti di colore disponibili al momento del lancio. La fotocamera posteriore è equipaggiata con un sensore Sony IMX298 da 16 megapixel e doppio flash, sotto alla quale è stato posizionato un lettore d’impronte digitali. Per quanto riguarda il processore sono state confermate le indiscrezioni, si tratta del nuovo HiSilicon Kirin 950 octa-core a 64bit con una frequenza di 2.2 GHz, mentre per la RAM esisteranno due varianti, da 3 e 4 GB. i primi benchmark confermano prestazioni superiori Xiaomi ha annunciato uno smartphone Android con design metallico, sensore di impronte, schermo Full HD e una batteria da 4000 mAh di Paolo CENTOFANTI anche al nuovo Samsung S6. Il Mate 8 è equipaggiato con Android 6.0 Marshmallow in versione personalizzata dal produttore cinese. Per il momento le informazioni circa il lancio sul mercato sono scarse, il dispositivo sarà disponibile in Cina a partire dal primo trimestre del 2016 con dei prezzi che partono dai 2.999 yuan (442 Euro) e variano a seconda del quantitativo di RAM e memoria interna fino ad arrivare ai 4.399 yuan (649 Euro) per la versione con 4 GB di RAM e 128 GB di storage. Ulteriori notizie saranno rilasciate durante il prossimo CES di Las Vegas (6 – 9 gennaio). MOBILE Una ricerca del MIT ha evidenziato il consumo anomalo di dati da parte di app Android Troppe app Android consumano dati di nascosto In molti casi, la metà dei dati scambiati durante l’utilizzo non è utile al funzionamento di Massimiliano ZOCCHI L a sicurezza dell’ecosistema Android è stata molte volte nell’occhio del ciclone, e anche una recente ricerca del MIT è destinata a far discutere. I ricercatori, basandosi su un campione di 500 app tra le più popolari, hanno scoperto che circa il 50% dei dati scambiati durante l’utilizzo è inutile torna al sommario Il nuovo Xiaomi Redmi Note 3 ha una mega batteria e costa pochissimo al funzionamento stesso dell’applicazione. Molti dati in entrata e in uscita spesso sono utilizzati da sistemi di diagnostica o di precaricamento in caso la connessione cada improvvisamente. Fin qui tutto normale, se non fosse che lo studio ha messo in risalto come a volte questi pacchetti di dati vadano a finire su server esterni. Un caso eclatante posto come esempio è l’app dei grandi magazzini Walmart. L’applicazione consente di effettuare uno scan dei codici a barre dei prodotti in vendita per ottenere informazioni. Analizzando però il flusso dei dati, all’MIT hanno scoperto che ogni volta che questa funzione viene utilizzata l’app effettua un collegamento con dei server in qualche modo legati ad ebay. Da qui a sospettare una raccolta dati sulle abitudini e interessi dei clienti il passo è stato breve. Il problema più grosso è che in fase di installazione non c’è nessun avviso per l’utente di questi collegamenti esterni, ed è quindi impossibile evitarli, come anche probabile che qualche sviluppatore poco onesto possa approfittarsene. Curiosamente i ragazzi dell MIT hanno anche scoperto che nella maggior parte dei casi, tagliando queste comunicazioni non volute, la funzionalità delle app non ne risente affatto. Xiaomi alza l’asticella della qualità dei suoi prodotti con Redmi Note 3, un nuovo smartphone che introduce diverse “prime” per il produttore cinese. Redmi Note 3 presenta innanzitutto una svolta sul fronte del design con il metallo che sostituisce per la prima volta la plastica del guscio posteriore. Ma è anche il primo smartphone di Xiaomi a essere dotato di sensore di impronte digitali. Dal punto di vista del “formato”, il Redmi Note monta un display da 5.5 pollici con risoluzione full HD, sotto il quale Xiaomi è riuscita a infilarci una batteria da ben 4000 mAh, mantenendo un peso di 164 grammi. Per il processore è stato scelto il MediaTek Helio X10 e lo smartphone sarà disponibile in due varianti, una con 2 GB di RAM e 16 GB di memoria integrata, e una seconda con 3 GB di memoria e 32 GB di storage. Completano il quadro la fotocamera posteriore da 13 Megapixel con autofocus a rilevamento di fase e quella frontale da 5 Megapixel. Come sempre popolari per gli standard occidentali i prezzi, rispettivamente di poco più di 130 euro per la versione base e 160 euro per quella top, ma il Redmi Note 3 sarà venduto esclusivamente in Cina. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Per chi ha vecchia SIM su Vodafone, la velocità maggiore disponibile resterà il 3G PosteMobile passa al 4G, ma non per tutti Il servizio mobile di Poste Italiane passa al 4G LTE, ma solo per chi ha SIM su rete Wind È Presentato al CES 2013, il super tablet Panasonic da 20’’ è sempre stato un prodotto business Ma ora l’aggiornamento hardware e l’aggiunta di una HDMI 2.0 lo trasformano in un ottimo monitor per applicazioni video di Dario RONZONI tempo di banda ultralarga per PosteMobile, l’operatore telefonico del gruppo Poste Italiane che ha aperto ufficialmente al 4G LTE. Primo operatore virtuale italiano a compiere il passaggio, PosteMobile non garantirà tuttavia la banda ultralarga a tutti i suoi clienti: la connettività ultraveloce sarà appannaggio dei clienti attualmente in possesso delle nuove SIM NFC su rete Wind. Per tutti i possessori delle vecchie SIM basate su rete Vodafone, invece, la velocità maggiore disponibile resterà il 3G. Nulla di particolarmente sorprendente, vista la migrazione già in atto da qualche tempo sulla rete Wind, che nei piani andrà a gestire nei prossimi mesi tutto il traffico degli oltre 3 milioni di clienti PosteMobile. Una migrazione che, soprattutto alla luce del nuovo servizio 4G LTE, potenzialmente stimolante per la nuova clientela, solleva qualche interrogativo: saprà la rete Wind offrire una copertura sufficientemente capillare per non far rimpiangere quella di Vodafone? Intanto sul sito di PosteMobile sono già comparse le prime promozioni dedicate, di Pierfrancesco PETRUZZELLI con l’indicazione 4G a caratterizzare i piani dati inclusi. MOBILE Microsoft ha presentato un nuovo feature phone a marchio Nokia, il modello 230 Microsoft lancia Nokia 230, anche Dual Sim Ha tastiera fisica, corpo in alluminio e fotocamera da 2 MPixel con flash: prezzo 65 euro di Pierfrancesco PETRUZZELLI N okia ha presentato una coppia di telefoni cellulari con un form factor vecchio stile, si tratta del modelli Nokia 230 e 230 Dual Sim (l’unica differenza tra i due dispositivi è appunto la presenza del doppio modulo SIM). Oltre ad un corpo compatto in alluminio che conferisce un look “premium”, troviamo una tastiera fisica sormontata da un display da 2,8 pollici con risoluzione QVGA (240x320), doppia fotocamera da 2 megapixel con flash a led e un tasto dedicato per i selfie. È presente inoltre un modulo FM integrato, Bluetooth 3.0 e una batteria che dovrebbe permettere fino a 23 ore di conversazione. Il sistema operativo è Series 30+ quindi potremmo scaricare applicazioni come Facebook, Twitter, Opera Mini etc. da Opera Store, inoltre Gameloft regalerà ai possessori un gioco ogni mese. La nota dolente è il prezzo che per l’Italia dovrebbe essere di 64,90 Euro. torna al sommario Il super tablet Panasonic per professionisti del video Troppo alto se consideriamo che ci sono smartphone Android o Lumia che si posizionano poco sopr. Tuttavia se state cercando un telefono di facile utilizzo e che sia solo un telefono, potrebbe essere l’acquisto ideale. Clicca qui per il video. Durante il CES del 2013 Panasonic presentò un tablet 4K con uno schermo da 20 pollici, venduto ad un prezzo di circa $6,000 e destinato ad un utenza strettamente business, progettisti CAD o grafici in primis. Ed evidentemente il prodotto ha riscosso un certo successo perché qualche giorno fa è stata annunciata una versione aggiornata del Toughpad rivolta soprattutto ai professionisti del mondo cinematografico. Infatti grazie a un hardware completamente rivisto e all’ingresso HDMI 2.0 con HDCP 2.2 il dispositivo può funzionare da monitor per videocamere e fotocamere Digital Camera 4K con supporto video fino a 4090×2160 pixel e 60 fps. Il cuore del Toughpad è il processore Intel Core 7-5600U vPro 2.6 Ghz 4MB cache (fino a 3.2GHz con Turbo Boost) Broadwell di quinta generazione e una GPU AMD FirePro M5100. Per il resto c’è un SSD da 256 GB e 8GB di memoria RAM. La scocca rimane in lega di magnesio quindi adatto all’utilizzo in ambienti umidi o polverosi, anche se è consigliata la massima cura verso questo dispositivo dato che il prezzo per la versione con Windows 10 Pro è di 4.229 dollari. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Gli sviluppatori di applicazioni professionali chiedono di rivedere alcune politiche di gestione dello store applicazioni L’iPad Pro rischia di diventare un iPad Air Plus Vendere e creare app professionali è costoso e portarle su iPad Pro non conviene a tutti. Occore cambiare qualcosa di Roberto PEZZALI pple, è inutile negarlo, deve parte della sua recente fortuna agli sviluppatori: con iOS prima, e OSX poi, è riuscita a creare un ecosistema in grado non solo di arricchirsi, trattenendo il 30% dei guadagni, ma anche di far arricchire tutti coloro che hanno creduto e hanno sviluppato applicazioni per i suoi prodotti. Ogni nuovo prodotto Apple, dal Watch all’iPad fino ad arrivare alla nuova Apple TV, hanno attirato gli sviluppatori desiderosi di rilasciare applicazioni dedicate ai nuovi iDevice, un po’ ovviamente per guadagnare visibilità, un po’ per aumentare i guadagni sfruttando il periodo migliore, quello di lancio. Una situazione che non ha avuto seguito con l’iPad Pro: sfogliando le applicazioni disponibili e ottimizzate per il nuovo iPad di Apple ci si rende conto subito che le app non sono poi tantissime. Stiamo parlando ovviamente di app pensate per il nuovo tablet, perché è bene ricordare che l’iPad Pro è comunque pur sempre un iPad e funzionano tutte le app destinate ai tablet Apple. Ci sono un po’ di app Adobe, ci sono ovviamente le applicazioni Apple e non mancano altre applicazioni realizzate da alcuni partner forti su richiesta e input della stessa Apple, ma all’appello mancano molte applicazioni di successo per il Mac. I motivi sono molteplici, e anche il magazine americano The Verge ha provato nei giorni scorsi a interrogare alcuni sviluppatori per sapere se l’iPad Pro per loro rappresentasse una opportunità oppure un qualcosa di cui si può semplicemente fare a meno, trattando semplicemente l’iPad Pro come un iPad più grande. Il problema dell’iPad Pro sembra essere proprio la parola “Pro”: Apple ha messo sul mercato un prodotto con prestazioni incredibili e uno schermo superlativo, dedicato ad una utenza evoluta, un tablet che può sostituire all’occorrenza il notebook per diversi utilizzi in mobilità, dal disegno alla progettazione al fotoritocco. “Pro” sta per professionale e produttività, due concetti che non possono vivere però solo di ottimo hardware: il software e le applicazioni, in questi casi, fanno la differenza. Apple è stata bravissima negli ultimi anni a convincere i consumatori che si possono spendere A uno o due euro per acquistare ottime app, ma nel caso dell’iPad Pro le cifre in gioco sono decisamente più alte, con programmi che richiedono anche una spesa ingente. Le licenze dei software dedicati ad applicazioni “pro” costano, motivo per il quale oggi si sceglie spesso di puntare su modelli di business dove, a fronte di un canone mensile, si possono sfruttare tutte le funzionalità di un programma e si ha accesso, in tempo reale ad ogni aggiornamento rilasciato. Una politica questa che Adobe e Microsoft hanno sfruttato molto bene con la Creative Cloud e Office, ma non sempre l’abbonamento mensile è la soluzione. Alcune discussioni pubblicate sui blog di alcune software house, oltre ad alcune diatribe all’interno del forum dedicato proprio allo sviluppo di Apple, mettono in evidenza una serie di problematiche che ad oggi non sembrano così facili da superare senza un aiuto da parte di Apple. Le policy per il caricamento di applicazioni iOS all’interno dello store, che sono uguali per tutti i tipi di dispositivo, vietano infatti alcune pratiche che sarebbero decisamente interessanti in ambito “pro”. Creare una applicazione per iPad Pro, soprattutto per piccole aziende, non è oggi affatto facile per diversi motivi, e questo rappresenta senza dubbio un ostacolo alla crescita dell’ecosistema “pro” dell’iPad. Serve una versione demo Per far provare le app costose Partiamo dal prezzo: alle persone piace ottenere tutto e gratis, pagare le applicazioni non piace a nessuno. Ci sono prodotti, in ogni caso, che vengono pagati e hanno anche avuto performance di vendite incredibili, anche se il prezzo pagato resta sempre di pochi euro. Una applicazione di disegno seria non può costare qualche euro: Sketch Up, una delle applicazione più note per chi disegna wireframe e prototipi di applicazioni, viene venduta per OSX a 99$, e la versione per iPad Pro, con le stesse funzionalità, non può costare certo di meno. Gli sviluppatori vorrebbero in molti casi poter offrire delle trial a tempo complete, ma la policy di Apple non permette la creazione né di trial né di versione demo a scadenza. La soluzione è giocare con gli app-in-purchase, ma offrire un prodotto a metà è diverso dall’offrire un prodotto completo in tutte le sue funzioni per una valutazione seria. Questo non ci sembra un grossissimo problema: Apple ha semplificato le procedure di rimborso per un acquisto errato o per mancata soddisfazione e si può sempre realizzare una applicazione completa con il blocco sulle possibilità di salvataggio e condivisione del lavoro fatto. Non si possono creare app di sviluppo Un’applicazione può costare anche 50 euro e valere tranquillamente tutti i soldi spesi torna al sommario Le app Adobe per iPad Pro permettono di provare alcune funzionalità. Poi serve l’abbonamento Più credibile, invece, la lamentela sulla impossibilità di eseguire codice dinamico all’interno di una applicazione: Apple ha preso alcune precauzioni per migliorare la sicurezza di iOS, ma alcune regole impediscono di sviluppare software per iPad Pro destinati agli sviluppatori. Apple non può quindi rilasciare una versione per iPad di XCode, e allo stesso modo non si possono segue a pagina 14 n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Dopo i Bitcoin ecco arrivare un’altra valuta virtuale, basta camminare per “fare soldi” MOBILE Con BitWalking più cammini più guadagni Servono solo un paio di gambe allenate: ogni 10.000 passi si guadagna un Dollaro Bitwalking di Dario RONZONI I n tempo di crisi galoppante, ha ancor più senso ideare metodi alternativi di guadagno. In pochi però avranno pensato a uno dei più semplici gesti della nostra quotidianità: camminare. L’israeliano Nissan Bahar e l’italiano Francesco “Franky” Imbesi hanno raccolto oltre 10 milioni di dollari da investitori in massima parte giapponesi per dar vita al progetto BitWalking, una nuova valuta virtuale che si crea… camminando. Con gli ormai collaudati BitCoin servivano computer, possibilmente potenti, per completare le azioni di mining che portavano alla “creazione” di valuta. Con i dollari BitWalking basterà una specifica app installata sullo smartphone, che trasformerà i passi dell’utente in valuta. Al momento il tasso di cambio è fissa- to indicativamente a 10.000 passi (circa 8 km) per 1 BW$. I dollari BitWalking guadagnati potranno essere spesi in acquisti online o convertiti in denaro corrente secondo modalità ancora da definire. Il colosso giapponese dell’elettronica Murata è impegnato nella progettazione di un braccialetto che, in alternativa alla combinazione smartphone-app, determinerà il numero di passi completati dall’utente convertendoli in BW$. I fondatori del progetto, già autori di Keepod, la chiavetta USB Android da 10 euro in grado di “parassitare” l’hardware di un PC per funzionare, intendono cavalcare con BitWalking il trend del fitness, tematica particolarmente sentita in questi anni specialmente nei Paesi occidentali dove il problema dell’obesità è ormai una piaga sociale. La partnership con marchi di sportswear è lo sbocco commerciale più naturale, ma potrebbero partire anche interessanti campagne di sensibilizzazione nei Paesi in via di sviluppo, dove un paio di gambe sono spesso l’unico mezzo di locomozione disponibile. E perché non trasformare le lunghe camminate verso scuole e luoghi di lavoro in opportunità di guadagno? Watch Urbane 2 ritirato a causa del display? LG ha annunciato l’interruzione delle vendite della seconda edizione di Watch Urbane, lo smartwatch dotato di connettività LTE. Chi l’ha acquistato negli Stati Uniti lo può tenere o eventualmente manifestare ad LG la propria intenzione di restituirlo. Il motivo del ritiro non riguarda problemi di sicurezza: parlando al Telegraph, LG ha rilasciato qualche indizio sull’accaduto accenando a un componente inadatto a soddisfare gli stringenti test qualitativi di LG, capace di portare a un degrado nella qualità d’immagine nel corso del tempo. Interpretando questa affermazione si potrebbe pensare a un problema di burn-in del display, anche perchè la riproduzione di immagini statiche per lunghi periodi fa parte di questa tipologia di prodotto. MOBILE iPad Pro rischia di diventare un iPad Air segue Da pagina 13 realizzare IDE per altri ambienti operativi. Se il Mac è oggi il computer preferito per chi sviluppa, l’iPad Pro non può sostituirlo in alcun modo, neppure per mostrare progetti di siti che girano il locale sull’iPad stesso. Update solo gratis Non si premiano i clienti fedeli Il problema più grosso in ogni caso è quello relativo agli update: Apple oggi non permette gli update a pagamento delle app, e se questo è un bene per le applicazioni destinate ad iPhone o iPad non è necessariamente un beneficio su iPad Pro. Mantenere e aggiornare app professionali costa, e se il semplice bugfix dovrebbe essere garantito a tutti in modo gratuito, una major release andrebbe pagata il giusto. Ad oggi chi vuole rilasciare un aggiornamento della propria applicazione può farlo gratuitamente oppure può rilasciare una nuova app, chiedendo di pagare il prezzo intero per la nuova versione. Una politica questa che non permette di proteggere coloro che hanno magari acquistato tutte le versioni precedenti: il prezzo è uguale per tutti. Anche qui, sfruttando gli acquisti in app, si può in qualche modo ovviare alla problematica ma è chiaro che non è affatto la stessa cosa: gli AIP sono nati per aggiungere funzionalità ad un gioco o ad un software pagando solo quello che serve. Nel caso dell’iPad ci sono stati casi dove una software house, rilasciando una nuova versione dell’app, ha impostato un prezzo più basso per i primi giorni facilitando l’upgrade, ma così facendo dello sconto ne hanno beneficiato anche torna al sommario Le app sono legate al disegno: non è possibile creare editor per lo sviluppo o tool che eseguono codice coloro che non avevano mai comprato alcuna versione precedente. Uno sviluppatore che vende una applicazione da 100 euro non può rilasciare una nuova versione facendola pagare ancora 100 euro, ma non può neppure permettersi di mettere in vendita la versione nuova a 29 euro per una settimana. Il 30% di percentuale non è troppo? Apple ha sempre ascoltato gli sviluppatori, e non è escluso che con il prossimo iOS 10 possa prendere qualche decisione per dare vantaggi a chi sviluppa app per iPad Pro. Resta un’ultima questione spinosa, ed è forse questa quella che gli sviluppatori, senza dirlo apertamente, vorrebbero in qualche modo cambiare: Apple si tiene il 30% di ogni acquisto fatto tramite app-store. Una percentuale secondo alcuni giusta, secondo altri troppo elevata: nonostante la presenza del Mac App Store, molte aziende su OS X continuano a vendere i software direttamente dal loro sito per guadagnare il 100% su ogni software venduto. Opzione, questa, che non può esistere su iOS per ovvi motivi. Apple ha un problema da risolvere se non vuole che il suo iPad Pro diventi un iPad Air Plus ma con un qualcosa in più che va oltre il grande schermo e le prestazioni elevate. Questo non può ovviamente farlo da sola, ma deve trovare il modo di far guadagnare adeguatamente gli sviluppatori che non si limitano a produrre un giochino da pochi euro, ma che perdono anche anni per realizzare applicazioni di un certo livello che valgono effettivamente quello che viene chiesto. Esistono applicazioni che su Mac App Store, nonostante il prezzo richiesto, sono vendutissime e insostituibili: molte di queste, se non ci sarà una apertura di Apple, rischiano di non sbarcare mai su iPad Pro. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE GADGET Lo smartwach di Fossil è disponibile in Europa a 299 €, si attendono notizie per l’Italia Fossil Q Founder, look classico e Android Wear Buon bilanciamento tra un orologio tradizionale e uno smartwatch, è dotato di certificato IP67 di Emanuele VILLA ossil, noto marchio americano di abbigliamento, orologi e accessori, ha annunciato qualche mese fa il lancio del suo primo smartwatch, un modello che vuole coniugare il look tradizionale - cui quasi nessuno riesce a rinunciare - con tutte le funzionalità smart di questo periodo. A differenza di molti competitor dell’industria orologiera, però, non si è limitato a realizzare un modello classico con Bluetooth, contapassi e poco altro ma ha basato Q Founder su Android Wear. Q Founder, che è disponibile negli store Fossil di Francia, UK e Germania, costa 299 euro ed è completamente realizzato in acciaio inossidabile, con tanto di certifica IP67 per le immersioni in acqua fino a un metro. Il quadrante è da 46 mm, mentre il cuore tecnologico è formato da un processore New Balance annuncia la prima scarpa da corsa stampata in 3D e promette durata, flessibilità e soprattutto peso ridotto F FOTOGRAFIA Nikon annuncia lo sviluppo della reflex D5 Nikon ha “annunciato” quella che sarà la nuova ammiraglia dedicata ai fotografi professionisti, l’evoluzione della D4. Le virgolette sono d’obbligo in questo caso, perché il comunicato di Nikon è di quanto più vago ci possa essere: la notizia è che la nuova fotocamera, chiamata guarda un po’ D5, è in programma ed è in fase di sviluppo. Non c’è nemmeno un indizio su cosa aspettarci, ma le indiscrezioni comunque ci sono e parlano di sensore full frame con risoluzione che passa da 16 a 20 Megapixel, sensibilità ISO fino a 102.400 e scatto continuo a raffica a 15 fps a piena risoluzione contro gli 11 della D4. Anche il supporto per il video 4K sembrerebbe essere scontato, considerando che si tratta di una macchina che vedrà la luce nel 2016 o forse ancora più avanti, in un’era in cui anche i modelli consumer offrono questa possibilità. torna al sommario New Balance stampa in 3D la scarpa da corsa perfetta di Franco AQUINI Atom con 4 GB di memoria di storage e Bluetooth 4.1 per la connettività allo smartphone. Non mancano una batteria in grado di gestire il carico di una giornata di utilizzo e i classici sensori come l’accelerometro, il giroscopio e il sensore di temperatura che lo ren- dono utilizzabile anche come Fitness Tracker. A livello software, Q Founder è basato su Android Wear e ne supporta pienamente le funzionalità, dal controllo vocale alla gestione delle notifiche, della musica e delle app compatibili. GADGET Un prodotto da utilizzare in campo ospedaliero Google pensa a un tracker medicale F di Pierfrancesco PETRUZZELLI orse non tutti sanno che Google (o meglio Alphabet) ha al suo interno un laboratorio “segreto” denominato X Lab dove vengono sviluppate importanti tecnologie non strettamente legate al mondo dei servizi web. Il progetto più famoso attualmente in sviluppo è quello dell’automobile a pilota automatico, la famosa Google Car, tuttavia oggi sono trapelati ulteriori dettagli circa un tracker medico, il cui nome in codice è Capicola. Nello specifico si tratterebbe di un dispositivo da utilizzare in campo ospedaliero, simile a uno smartwatch ma che all’occorrenza può essere rimosso dal cinturino, che oltre a misurare il battito cardiaco consente di rilevare temperatura corporea, il livello di luce e quello dei rumori ambientali. Certamente il fine di Alphabet non è quello di realizzare un oggetto bello da vedere, visto che dalle foto (che sono al vaglio della FCC americana) sembra uno smartwatch di primissima generazione, ma qualcosa di utile e pratico, che potrebbe trovare applicazioni in ambito ospedaliero nel prossimo futuro. Per il momento non si hanno altre informazioni, se non che Google sta cercando un partner per partire con la produzione già dalla prossima estate. Può sembrare esagerato ma spesso, dietro una scarpa da corsa, c’è più ricerca e tecnologia che in uno smartphone di ultima generazione. È sicuramente il caso degli ultimi due annunci di due giganti del settore, prima Adidas con le sue Futurecraft 3D e poi New Balance, che annuncia la collaborazione col team di 3Dsystems, azienda specializzata in questo tipo di stampa. Quando parliamo di stampa ovviamente ci riferiamo all’intersuola, che viene prodotta tramite una nuova polvere chiamata DuraForm Flex TPU. La polvere, in grado di subire grosse deformazioni elastiche, viene utilizzata per realizzare la fitta struttura ad alveare che compone l’intersuola. In questo modo, secondo l’azienda di Boston, dovrebbe garantire ai runner il bilanciamento perfetto tra flessibilità, longevità, resistenza e leggerezza. In poche parole, l’oggetto del desiderio per ogni podista che si rispetti. New Balance conta di presentarne un’edizione limitata al prossimo CES 2016, iniziando la commercializzazione non prima di aprile a Boston e successivamente nella propria catena di negozi ufficiali in tutto il mondo. Nulla è stato detto ancora a proposito del prezzo. Certo di tecnologia ce n’è tanta, ma la speranza è che non venga sconfessato il binomio tra stampa 3D e basso costo. P5 Wireless. Abbiamo eliminato il cavo ma il suono è rimasto lo stesso. P5 Bluethooth, musica in mobilità senza compromessi con 17 ore di autonomia e ricarica veloce per performance allo stato dell'arte. La solita qualità e cura nei materiali di Bowers & Wilkins adesso senza fili grazie alla nuova P5 S2 Bluetooth. www.audiogamma.it n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE PC Acer ha presentato in Italia il PC che si compone come il Lego. Prezzo a partire da 229 euro Acer presenta il PC modulare Revo Build Arriva a gennaio in 2 configurazioni, ma i “mattoncini” extra arriveranno qualche mese D di Emanuele VILLA opo la presentazione a Berlino, arriva finalmente in Italia Revo Build, il PC modulare con cui Acer punta sull’innovazione. Per chi non lo conoscesse (consigliamo comunque la lettura dell’approfondimento dell’IFA), Revo Build è un mini PC basato su Windows 10 i cui moduli possono essere personalizzati con una certa libertà dall’utente e si agganciano magneticamente uno sull’altro. Il concept è analogo a quello di Project Ara di Google - che peraltro non si è ancora visto sul mercato -, nel senso che l’utente sceglie una base tra i 2 o 3 modelli disponibili e poi vi aggiunge i moduli che ritiene importanti per la propria esperienza di utilizzo. Questo si sapeva: la novità è che Revo Build arriverà in Italia a gennaio (niente Natale, ahimè) nelle due configurazioni base, una con processore Celeron N3050U da 1.6GHz, 2 GB di RAM e 32 GB di storage a stato solido, e l’altra identica ma con Pentium dual core. Il prezzo di base è estremamente contenuto, in virtù delle specifiche, e parte da 229 euro per la versione Celeron. Più avanti nel 2016, Allestire un server con 1 TB di RAM è possibile grazie alla nuova tecnologia di Samsung che riesce a infilare ben 128 GB in un modulo DIMM di Paolo CENTOFANTI indicativamente un paio di mesi dopo, arriverà la versione più potente con Core i3 Skylake e saremo però nell’ordine dei 450 euro, nonostante per questo non sia ancora fissato lo street price definitivo. Insieme a questa versione “Premium” arriveranno anche i moduli aggiuntivi, quelli che incastrano magneticamente ed espandono le potenzialità del PC. Al momento ne sono previsti di 3 tipi: l’hard disk da 1 TB, con possibilità di aggiungerne più di uno fino ad arrivare a 4 TB, la scheda video AMD (non meglio precisata, al momento) e il modulo audio, con DAC e altoparlanti integrati. L’idea resta sicuramente interessante: con Revo Build Acer vuole realizzare un mini PC di costo contenuto e versatilità interessante, con in più specifiche tecniche adatte all’utilizzo di tutti i giorni. Niente di professionale o potentissimo, ma l’aggiunta di molto storage lo rende impiegabile anche come piccolo server domestico, così come la scheda video dedicata lo trasforma in una piccola postazione da gaming. Ma attenzione a non chiedergli troppo: per chi prende il gioco come una sfida, Acer ha i Predator, non il Revo. PC Apple starebbe lavorando a una nuova versione del modello entry level della gamma MacBook Il MacBook Air si rinnova: design ancora più sottile? Il nuovo Mac sarà più sottile e potrebbe essere disponibile anche con display 15 da pollici di Paolo CENTOFANTI Nonostante Apple abbia presentato un nuovo notebook ultra leggero con il nuovo MacBook con display retina, a quanto pare c’è ancora spazio nella gamma MacBook per un nuovo modello di Air. Secondo indiscrezioni che arrivano dall’ambiente dei grandi assemblatori cinesi, infatti, Apple avrebbe intenzione di lanciare verso giugno un nuovo MacBook Air completamente ridisegnato, ancora più sottile e con tagli di schermo da 13 e 15 pollici. Pur avendo uno schermo da 12 pollici e un processore di modesta potenza, l’ultimo MacBook presentato da Apple è comunque un prodotto di fascia alta, che si posiziona un gradino sopra sia al MacBook Air che al MacBook Pro base da 13 pollici. I nuovi MacBook Air andrebbero quindi sempre a posizio- G torna al sommario È di Samsung il primo modulo RAM DDR4 da 128 GBE narsi come modelli entry level, magari mutuando qualche aspetto costruttivo dal modello retina, che continuerebbe invece a rimanere un prodotto votato all’ultra portabilità. È lecito aspettarsi a questo punto anche un rinnovo della gamma Pro, magari per tornare a essere un prodotto di fascia più alta rispetto al piccolo MacBook da 12 pollici. Ovviamente, trattandosi di indiscrezioni, siamo ancora nell’ambito della pura speculazione. Anche se ne parliamo spesso per i suoi TV e smartphone, Samsung è in realtà uno dei più grandi produttori di memorie al mondo, nonché una delle aziende che porta più innovazione in questo settore. Un esempio? Samsung annuncia oggi l’inizio della produzione di massa del primo modulo di memoria DIMM DDR4 con una capacità di 128 GB. Avete letto bene, 128 GB su un singolo modulo. Ciò è stato reso possibile da una tecnologia denominata “through silicon via” (TSV) che permette di impilare uno sull’altro diversi chip di memoria RAM e di connetterli verticalmente tramite dei micro connettori. Il modulo è composto da 144 chip di memoria DDR4 a 20 nm, raggruppati in 36 blocchi da 4 GB, ognuno con il proprio buffer per migliorare le prestazioni dell’intero modulo DIMM. La RAM ha una velocità di trasferimento dati di 2400 Mbit/s e permette un risparmio del 50% sui consumi rispetto ai precedenti moduli da 64 GB di Samsung. Chiaramente al momento non si tratta di un prodotto pensato per i computer desktop, ma per i server dei grandi data center, dove la possibilità di accorpare la memoria in un unico modulo, non solo permette di moltiplicare la capacità, ma soprattutto di ridurre notevolmente i consumi di energia. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE PC Asus debutta nel segmento degli stick PC con a bordo ChromeOS, specifiche di livello base Asus Chromebit trasforma il TV in un PC Al momento è disponibile per il solo mercato USA. Buono il prezzo: costa solo 85 dollari di Franco AQUINI nche Asus tenta la strada degli Stick PC, ovvero un vero e proprio computer contenuto in un box dalla forma di una memory stick. Lo fa però in maniera diversa da Intel, ovvero mettendo a bordo ChromeOS. Il sistema operativo di Google è basato su Chrome e permette l’uso delle Google App e di tutta la costellazione di applicazioni presenti sul Chome Web Store. Pur integrando un file manager per caricare su Google Drive (il servizio di storage e modifica documenti della suite), ad esempio, dei documenti presenti su una chiavetta USB, non è paragonabile a un sistema operativo desktop vero e proprio. Tuttavia può essere un dispositivo molto utile per rendere Smart un TV che non nasce tale. Per capire se può fare al caso nostro o meno, basta fare una semplice considerazione: se si sta cercando qualcosa che permetta di utilizzare un servizio web sulla TV, allora può servire. Mostrare foto e video agli amici, ad esempio, un evergreen che spesso crea più di un grattacapo se la serata è improvvisata. In questo caso, se sono state assicurate le vostre foto ad un servizio cloud come Nella gamma di CPU in arrivo nel corso del prossimo anno spicca il Core i7-6950X dotato di ben 10 core con frequenza di 3 GHz A di Francesco FIORILLO Google Foto (ma ce n’è a disposizione un’infinità), per 85 dollari potrete navigare il vostro catalogo di foto con tastiera e mouse (da comprare a parte e collegare al Chromebit via USB). Oppure potreste giocare a qualche videogame, guardare i contenuti di YouTube, per non citare l’ormai onnipresente Netflix. Ma attenzione, il processore a bordo è un Rockchip, che appartiene a una famiglia di processori relativamente giovane e non troppo potente. Il tutto è accompagnato da 2 GB di RAM e 16GB di spazio di archiviazione, il che significa che non potrete esagerare con troppe tab aperte o video in alta risoluzione. Se state pensando a questa Chromebit come al dispositivo perfetto per guardare film in 4K, probabilmente non farà al caso vostro. Piuttosto, se l’unica cosa che interessa è la possibilità di fare lo stream di contenuti da uno smartphone o un tablet verso la TV, meglio tenere in considerazione una Chromecast che permette, senza velleità da computer, di ottenere un risultato molto simile per 39 euro. Asus Chromebit è disponibile per ora negli Stati Uniti al costo di 85 dollari. PC AOC rivela il nuovo monitor 24 pollici con risoluzione Ultra HD, il prezzo è interessante Ecco il monitor AOC con 4K e HDMI 2.0 a 399 euro Grazie alla connessione HDMI 2.0 sarà possibile utilizzare il monitor anche con altre sorgenti di Franco AQUINI G razie a questo monitor di AOC, il 4K diventa realmente alla portata di tutti. Con 399 euro ci si porta a casa un pannello da 24’’ PLS Ultra HD, ovvero un IPS capace di un angolo visuale ulteriormente esteso e dalla luminosità di picco superiore, nonostante i costi produttivi leggermente inferiori. Confermata la presenza di Display Port 1.2 e HDMI 2.0 con supporto HDCP, per quanto non sia chiaro se si tratti della versione 2.2, l’unica in grado di supportare gli UltraHD Blu-ray di prossima uscita. In effetti non si tratta di un dettaglio trascurabile, visto che si tratta dell’unico supporto fisico (esterno) in grado di sfruttare la risoluzione dello schermo. torna al sommario Svelate le prime specifiche della famiglia CPU Intel Broadwell-E Anche se sono ancora poche le periferiche in grado di sfruttare il 4K, l’unico vero ambito in cui può avere un senso desiderare un monitor con questa risoluzione è quello del PC. Sistemi operativi come Windows 10 o OS X (nelle sue ultime versioni), sono in grado di sfruttare la risoluzione di 3840x2160 pixel ingrandendo di due o tre volte la dimensione dei font e delle icone, in modo da rimanere comunque leggibili. Il 4K può essere addirittura quasi indispensabile, se si decide di lavorare con la fotografia, o anche col video, visto il diffondersi di periferiche, smartphone e Action Cam, che sfruttano questa risoluzione. Il monitor AOC U2477PWQ è già disponibile in Europa, ci auguriamo che il produttore possa far chiarezza sulla compatibilità con i Blu-ray di prossima generazione. Sono emersi maggiori dettagli sulle caratteristiche dei processori Intel Broadwell-E in arrivo il prossimo anno. I nuovi chipset, con tecnologia a 14 nanometri, sono destinati alla fascia di mercato High-End Desktop Platform. Il Core i7-6950X sarà dotato di 10 core e 20 thread e avrà una frequenza base di 3 GHz, in grado di accelerare fino a 3,5 GHz. Confermata la presenza di 25 MB di cache L3 e la compatibilità con le schede madre LGA 2011-3 con chipset X99 attualmente in commercio. Il Core i7-6900K, potrà contare invece “solo” su 8 core e 16 thread, oltre a 20 MB di cache L3. Le frequenze operative saranno qui più alte, con 3,2 GHz di base e 3,7 GHz in modalità Turbo Boost. Infine, le soluzioni Core i7-6850K e Core i7-6800K avranno entrambe 6 core e 12 thread, affiancati da 15 MB di cache L3. Il modello 6850K avrà inoltre una frequenza di base di 3,6 GHz, in grado di accelerare fino a 3,8 GHz, mentre il 6800K opererà per i 3,4 GHz; 3,6 GHz in modalità Turbo Boost. Tutti i processori avranno un TDP di 140 watt e moltiplicatore sbloccato, così come il supporto alle memorie DDR4 fino a 2400 MHz attraverso quattro canali. Una delle caratteristiche più attese della nuova gamma Broadwell, il Turbo Boost 2, viene dunque confermato. Per quanto riguarda i prezzi il Core i7-6950X chiederà un esborso economico pari a 1000 dollari, il prezzo del Core i7-6900K oscillerà tra i 550 e i 600$, mentre il 6850K e il Core i7-6800K necessiteranno rispettivamente di 450$ e di 400$ per esser acquistati. La gamma Broadwell-E debutterà nel corso del secondo trimestre del 2016. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE SMARTHOME Il kit di lampade BeON sfrutta il Bluetooth per comunicare con lo smartphone Ora la casa te la controlla una lampadina Le lampadine i BeON Home ospitano un modulo smart che tiene sotto controllo l’ambiente di Michele LEPORI L a domotica per tutti ha già fatto capolino da qualche anno nelle nostre case, con impianti in grado di comunicare con i nostri smartphone ed offrire i servizi più disparati. Kickstarter, la nota piattaforma di crowdfunding, ha senza dubbio sostenuto molti dei progetti che oggi sono realtà e uno dei più finanziati dai backer di tutto il mondo è stato BeON Home, il sistema di lampadine connesse che non si limitano ad illuminare la casa a nostro piacimento ma la tengono sotto controllo e ci avvisano in caso di effrazioni. Le “lampade magiche” da 60W di BeON Home ospitano un modulo smart dove normalmente alloggerebbe (in una lampadina tradizionale) il filo di tungsteno, e quel sistema è il cuore pulsante delle attività di sorveglianza e comunicazione: grazie alla tecnologia CSR Mesh di Qualcomm, il sistema di lampadine allestito in casa comunicherà via Bluetooth con la nostra app per iOS ed Android e si terrà aggiornato in tempo reale sulla situazione nelle varie stanze: movimenti, luce, ma anche perdite di gas e potenziali incendi. Display più ampio, diversi quadranti e nuove funzionalità automatiche contraddistinguono la nuova versione di Nest, che dopo il debutto americano sta arrivando in Europa Niente router né hub, quindi: le lampadine hanno una batteria ricaricabile all’interno. Riguardo all’illuminazione vera e propria, BeON sarà regolabile da remoto, potrà entrare autonomamente in funzione in caso di blackout e sarà in grado di replicare un pattern-tipo di accensione e spegnimento basato su quanto appreso dalla nostra quotidiana presenza: anche quando saremo via, quindi, la casa darà sempre l’impressione di essere abitata. Dopo la cavalcata su Kickstarter, BeON arriva in vendita per tutti: in diretta con- di Emanuele VILLA correnza con il sistema Hue di Philips, lo starter kit arriva nei negozi con 3 lampade a 199 dollari, ed ogni lampada extra sarà acquistabile per ulteriori 75 dollari. SMARTHOME L’Istituto Space10, in collaborazione con IKEA, studia la tecnologia Heat Harvest Il calore di una tazza di caffè ricarica lo smartphone Un sistema può ricaricare qualsiasi dispositivo grazie al calore generato da una tazza di caffè di Gaetano MERO P reparare una calda tisana per coccolarsi e riscaldarsi un po’ è uno dei piaceri che spesso ci concediamo durante le stagioni più fredde. Da oggi la nostra bevanda avrà anche un’altra proprietà: ricaricare in wireless i nostri dispositivi portatili. Non è fantascienza. Questo prodigio sta diventando realtà grazie a dodici studenti dell’Istituto Space10 di Copenaghen, merito di una tecnologia denominata Heat Harvest – letteralmente raccolta del calore. Il principio di base, come avrete capito, è quello di raccogliere l’energia termica di tutto ciò che viene posato su una superficie dotata di questo sistema, ad esempio un tavolino da colazione, e trasformarla in comune energia elettrica da utilizzare a proprio piacimento. Immaginiamo torna al sommario Il nuovo Nest arriva in Europa a 249 euro Non ancora in Italia dunque di posare una tazza di latte bollente sulla scrivania e che il suo calore ci permetta di caricare il nostro smartphone. Il progetto è attualmente in fase sperimentale e tra i partner figura IKEA, il più grande produttore di mobili e suppellettili del mondo. Sergey Komardenkov, ingegnere dello Space10, dichiara: “una delle più grandi sfide del nostro tempo è riuscire a risparmiare energia e, contemporaneamente, acqua in un’ottica di vita ecosostenibile”. Vihanga Gore, altra studiosa del team di Copenaghen, aggiunge: “una grande quantità di calore generata ogni giorno dagli oggetti che ci circondano viene dispersa. La soluzione può essere quella di recuperare questa energia e riutilizzarla” Il problema ha in realtà origini molto remote, come affermano allo Space10, ma sono tutti fiduciosi. Le recenti scoperte in nanotecnologia danno grosse speranze affinché l’Heat Harvest possa entrare fra qualche anno nelle nostre case. Sarebbe ottimo per le nostre tasche e per il mondo. Il nuovo termostato Nest è stato presentato negli Stati Uniti a settembre ed è finalmente pronto per il mercato europeo. Purtroppo non è ancora prevista la commercializzazione italiana, che dovrebbe arrivare in un secondo momento, ma resta il fatto che in Olanda, Belgio, Francia e Irlanda il termostato smart di terza generazione è acquistabile a 249 euro. Nest 3° Gen offre interessanti novità rispetto al predecessore: a parte un display più ampio e definito, ciò che colpisce è soprattutto un nuovo livello di funzionalità automatiche; stiamo parlando di Furnace Heads Up, che serve per verificare eventuali problemi di funzionamento della caldaia e segnalarli in modo rapido e tempestivo all’utente, riportando la causa e l’orario del malfunzionamento, ma troviamo anche OpenTherm per la gestione intelligente dei consumi di gas e Farsight, che accende il display del dispositivo non appena percepisce la presenza di una persona, mostrando tutte le informazioni sulla gestione termica della stanza, impostazioni gestite dall’utente in precedenza. Come anticipato, il prezzo di listino è di 249 euro: lo attendiamo anche da noi. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE Il sistema cancellazione del rumore ideato da Ford debutterà sulla Mondeo Vignale Nella Ford Mondeo Vignale c’è silenzio totale L’Active Noise Control è mutuato dalla cuffie audio, riuscirà ad elevare il comfort a bordo? di Franco ACQUINI ord dichiara di essere la prima ad esserci arrivata, i concorrenti potrebbero ribattere che sulle loro vetture non esiste l’esigenza ma tutti sappiamo quanto possa essere invadente il rumore del motore o della trasmissione in un viaggio, soprattutto in autostrada. Perciò ben venga l’ennesimo stratagemma volto ad elevare il comfort acustico all’interno dell’abitacolo. Quello che debutterà sulla Mondeo Vignale, una versione piuttosto esclusiva della berlina tedesca, è un sistema mutuato dalle cuffie auricolari e dagli smartphone, che sfruttano uno o più microfoni per cancellare alcune frequenze. In questo caso, ovviamente, quelle responsabili del rumore. Questo sistema prevederà la presenza di 3 microfoni all’interno dell’abitacolo, che avranno il compito di captare i rumori del motore, della trasmissione e del vento. Il sistema elaborerà poi queste frequenze ed emetterà delle frequenze opposte in modo da annullarle. Il tutto non dovreb- Il gruppo FCA ha realizzato una versione speciale della Fiat 500 elettrica È completamente personalizzata ispirandosi alla divisa dei soldati della saga di George Lucas F be impattare assolutamente sui suoni che invece vogliamo sentire, come le nostre voci o la radio, la musica o le telefonate che riceviamo sul vivavoce (ma scommettiamo che c’è chi farebbe carte false per poter annullare anche la voce di qualche passeggero). La mette invece sulla sicurezza alla guida John Cartwright, CMO (Chief Medical Officer) di Ford UK. Secondo lui “Il rumore è un elemento intrusivo che riduce la capacità di concentrazione del guidatore e altera le funzioni di analisi del cervello, incrementando i livelli di distrazione e di stress”. Quindi il sistema in questione non aiuterebbe soltanto ad aumentare la silenziosità dell’abitacolo, ma anche a ridurre lo stress di guida. Ma siamo certi che alla guida, soprattutto sulle strade di alcune città, il rumore del motore sia veramente l’ultima delle fonti di stress. L’Active Noise Control vedrà la luce inizialmente a bordo della Mondeo Vignale, ma in futuro verrà offerto (e saremmo curiosi di sapere a quale prezzo) su altri veicoli della gamma Ford. AUTOMOTIVE Un difetto alle cinture di sicurezza obbliga a una massiccia campagna di richiamo Tesla richiama ben 90.000 Model S. Tonfo in borsa Il costruttore rassicura i proprietari dell’auto, ma il rischio in caso di incidente è concreto T di Dario RONZONI empi duri per Tesla, il marchio di Palo Alto impegnato dal 2003 nella produzione di auto elettriche ad alte prestazioni. Un difetto riscontrato nelle cinture di sicurezza anteriori di un singolo modello immatricolato in Europa ha convinto il costruttore ad attivare una campagna di richiamo per le 90.000 Model S vendute nel Vecchio Continente. “Non ci sono stati né incidenti né feriti”, rassicura la lettera inviata da Tesla ai suoi clienti, ma il rischio di problemi in caso di impatto è concreto. Tesla non è nuova a richiami in massa: già lo scorso anno 29.000 Model S erano state richiamate per un problema all’adattatore del caricabatterie, soggetto a forte surriscaldamento. L’inconveniente era emerso in seguito a un incendio avvenuto nel novembre del 2013 in California. torna al sommario Fiat: la 500e Stormtrooper è l’auto elettrica di Star Wars Inevitabili le ripercussioni in borsa: venerdì scorso sull’indice NASDAQ il titolo Tesla ha subito un calo di oltre 4%, prima di risalire parzialmente in chiusura di seduta. Il problema per il costruttore statunitense è tuttavia la prospettiva di lungo periodo: a oggi le azioni Tesla hanno perso un valore complessivo di oltre 294 milioni di dollari, un deficit che pesa fortemente sul futuro di un marchio che ha fatto del “tutto elettrico” un credo imprescindibile. Come se non bastasse, i contrattempi tecnici minano ulteriormente una situazione già di per sé assai complicata. di Emanuele VILLA Il nuovo episodio della saga di Guerre Stellari viene celebrato anche al salone dell’auto di Los Angeles con la presentazione di un esemplare speciale della Fiat 500 elettrica, modello disponibile solo sul mercato USA. Per l’occasione il compito di creare la versione in stile Star Wars è stato affidato a Lapo Elkann e al suo Garage Italia Customs. Il risultato è una vettura tutta bianca e nera piena di dettagli riferibili ai personaggi di Guerre Stellari. Gli interni sono in pelle bianca con dettagli neri, i vetri sono coperti con pellicole oscuranti, i cerchi ruota sono neri mentre i pneumatici sono realizzati appositamente da Pirelli con una fascia bianca. la vettura probabilmente resterà un esemplare unico, senza seguiti commerciali. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE L’entusiasmo per i motori elettrici cresce anche nel mondo delle due ruote, sempre più le aziende ci credono EICMA 2015, tutte le moto elettriche e smart Prodotti così spiccatamente tecnologici e avanzati trovano negli smartphone e nel mondo delle app dei compagni ideali di Massimiliano ZOCCHI oche settimane fa vi abbiamo parlato del Salone di Francoforte e della crescente attenzione di tutte le case automobilistiche al mondo elettrico e alla green e smart mobility. Così non ci siamo lasciati scappare l’occasione di curiosare tra gli stand di EICMA 2015 per capire se anche le moto stanno attraversando questa rivoluzione. Vi anticipiamo subito che la risposta è positiva, forse anche sopra le aspettative, e le realtà in campo sono le più disparate e per ogni categoria di prodotto. Vediamole insieme. P La regina è 100% italiana Alcuni la considerano addirittura una delle novità più importanti di tutta EICMA. Stiamo parlando di Energica, azienda 100% italiana che nasce nella Modena Motor Valley. Nata come costola del Gruppo CRP, attivo da anni nel settore della componentistica per corse automobilistiche, Energica aveva già stupito con la sua prima creatura, la Ego. Quest’anno al loro stand hanno messo in mostra la prima streetfighter 100% elettrica e 100% italiana: Energica Eva. Entrambi i modelli della casa modenese si caratterizzano per materiali di alto livello e cura nella progettazione fin nei minimi dettagli. Sono moto top di gamma a tutti gli effetti, e lo è anche il prezzo di 25.000 euro più IVA. Ego è già in commercio da alcuni mesi, anche se non ufficialmente in Italia, mentre Eva è ormai in versione definitiva, e le vendite partiranno nella primavera 2016 con un target price dello stesso livello. Prezzo sicuramente non popolare, ma Energica conta di abbassarlo con la produzione di massa. Da quello che ci hanno detto allo stand, i clienti sono già molti in tutto il mondo con il mercato di riferimento che è la California, tanto da essersi guadagnata il soprannome di “Tesla wannabe”. Anche alcuni appassionati italiani non hanno saputo attendere le vendite ufficiali e si sono accaparrati una Ego fresca di fabbrica. Dal punto di vista tecnico, Ego raggiunge la velocità massima di 240 km/h con una coppia di 195 nm disponibile da zero giri come prerogativa del motore elettrico. L’autonomia può arrivare fino a 150 km a seconda dell’andatura e della mappatura a scelta tra Standard, Eco, Rain e Sport. Regolabile anche la rigenerazione elettrica in frenata, tre diversi livelli oppure spenta. La batteria ha una capacità di 11.7 kWh e raggiunge la carica completa in circa a 3 ore e mezza, oppure 30 minuti se si può sfruttare la ricarica veloce di tipo Combo CCS, la stessa delle automobili elettriche delle case tedesche e standard europeo in generale. La nuova Eva è molto simile, con velocità limitata a 200 km/h, stesse mappature e stessa batteria, che però in virtù della minore potenza può offrire fino a 200 km in ciclo urbano. Entrambe le moto sono dotate di connessione Bluetooth, e proprio durante la fiera è stata presentata l’app dedicata, che tramite anche il nuovo modulo LTE, offrirà tutti i dati in tempo reale, permettendo anche di controllare lo stato di ricarica da remoto. Anche in Irlanda fanno sul serio Di sicuro l’Irlanda non è famosa per la produzione delle due ruote, ma oggi arriva una proposta seria e dal nome inconfondibile: Volt Motorcycles. A differenza di Energica, il fondatore Colin Darby non ha focalizzato la sua attenzione solo a moto da strada ma a un catalogo più ampio, dallo scooter urbano fino al maxi scooter, e infine la Volt 220, una sportiva da strada. Con un prezzo ancora non comunicato, la Volt 220 ha sempre un aspetto da super sportiva, anche se è subito evidente che le finiture e i materiali sono inferiori rispetto alla concorrenza italiana. Ed anche le specifiche tecniche rispecchiano un modello che forse vuole essere più a buon mercato, anche se il prezzo è ancora sconosciuto. La velocità è limitata a 120 km/h e l’autonomia a 120 km. La ricarica totale si raggiunge dopo circa 6 ore, e non ci sono notizie di un eventuale caricatore fast. Sicuramente non si tratta di una moto con le caratteristiche che molti appassionati si aspetterebbero ma ci riserviamo di dare un giudizio non appena avremo modo di provarla, perché nonostante la velocità limitata chi l’ha guidata parla di un’accelerazione bruciante e diverte non poco nelle vie cittadine. Come detto però la proposta di Volt è molto ampia, e anche i prezzi comunicati per tutta la gamma sono decisamente interessanti per la categoria. Il resto del catalogo di Volt Motorcycles si articola in quattro modelli di scooter elettrici, dalle crescenti dimensioni e prestazioni. Si parte dal classico piccolo scooter cittadino, City 60, con un design spiccatamente retrò ma con linee e colori che convincono. Come normale per la categoria, la velocità è limitata a 45 km/h e la batteria che si ricarica in 5 ore assicura un range di 90 km. Più che sufficiente per utilizzo cittadino. In linea anche il peso non segue a pagina 22 torna al sommario n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE EICMA 2015: rassegna moto elettriche segue Da pagina 21 eccessivo di 70 kg. Prezzi a partire da 2.569 euro. Il secondo della famiglia è Volt 70, che per 2.846 euro offre sempre una dimensione urbana ma con linee più moderne. Identiche al fratello minore la velocità e la percorrenza, ma il tempo di ricarica sale a 6 ore, segno che per contrastare il peso maggiore la batteria è leggermente più grande. Il modello più interessante è Volt 80. Offre le stesse caratteristiche di 45 km/h e 90 km di autonomia, ma ha un design inusuale, un incrocio tra sport e mezzo da lavoro. Curiose le frecce integrate nel manubrio che svolgono anche il compito di paramani. Per portarselo a casa occorrono 3.725 euro. Si arriva infine a Volt 90, il maxiscooter della proposta irlandese. I km percorribili sono sempre 90, ma la velocità in questo caso sale a 90 km/h. Ovviamente anche il peso sale fino a 115 kg. Il prezzo, tutto sommato discreto per il suo settore è di 5.660 euro. Tutti i prezzi indicati sono tasse escluse, e al momento non c’è un rivenditore ufficiale italiano. Tuttavia sono molto interessati all’Italia e ci hanno fatto sapere di poter già organizzare delle prove anche nel belpaese, nel caso di clienti interessati. Gogoro, lo scooter del futuro è già un successo Vi avevamo già accennato qualcosa in una nostra news, e quindi non potevamo evitare di fare due chiacchiere con i ragazzi di Gogoro, presenti in forza a EICMA 2015. Innanzitutto lasciatecelo dire, l’entusiasmo e il dinamismo di questa azienda è contagiante, ed è evidente che ci credono tantissimo e sono molto convinti della bontà del loro prodotto. Sembra forse più complesso, ma in realtà è semplicissimo e immediato. Le stazioni Gogoro, che sono già 90 a Taiwan, dove il progetto è di casa, non sembrano affatto complesse mini officine ma piuttosto degli infopoint con tanto di monitor touch screen. Quando ci si avvicina col proprio scooter, il riconoscimento avviene via wireless senza nessun tipo di autenticazione e l’operazione è totalmente self service. Basta alzare la sella, estrarre le due batterie con maniglia e inserirle negli slot liberi della stazione. A questo punto dopo 6 sencodi esatti (sì, abbiamo assistito e abbiamo contato) vengono proposte altre due batterie già cariche, si inseriscono al volo, si chiude la sella e si è pronti a ripartire. Inoltre ogni volta che si effettua un cambio, il sistema effettua anche un controllo diagnostico e rileva eventuali anomalie. Il prezzo di Gogoro è di poco più di 4.000 dollari, e si paga poi un canone mensile per le batterie e le ricariche. Per 50 dollari sono inclusi cambi di batteria illimitati, e presto verrà introdotta anche una tariffa più economica per chi invece usa poco lo scooter e necessita di un numero limitato di swap batteria. Un mezzo così non poteva che essere smart infatti ha una sua companion app che elenca qualsiasi dato disponibile: km percorsi, velocità media, autonomia stimata, e persino una mappa con le stazioni Gogoro più vicine. Proprio durante l’EICMA Gogoro ha annunciato di aver individuato in Amsterdam il giusto approdo in europa, per la sua notevole attenzione alla mobilità sostenibile, ma si sono detti fiduciosi di potersi espandere velocemente in altre città. Per far questo sono fondamentali le stazioni di sosta, che però hanno il vantaggio di essere facilmente installabili, sono belle e non necessitano di personale a presidiarle. ore aggiungendo i caricatori opzionali. Da notare che le batterie sono garantite 5 anni oppure 160.000 km. Dicevamo anche prezzi abbordabili, e infatti sia la Zero S che la DS partono da 12.800 euro. Per questa cifra offrono rispettivamente 195 km e 177 km di autonomia. Interessante notare come la S, con tutti i sovrapprezzi del caso, possa arrivare anche a 317 km. Velocità sempre di poco sopra i 150 km/h. Nelle versioni base la carica si riduce a quasi 7 ore oppure fino a 2 ore per via della taglia più piccola. Completano la famiglia le supermoto Zero FX e FXS, adatte ad ogni terreno e al divertimento ai massimi livelli, con un prezzo ancora più interessante: 10.390 euro. La velocità è più bassa, circa 130 km/h e la massima autonomia in ciclo urbano si ferma a 70 km, che scendono parecchio se ci si diverte un po’. La batteria è ovviamente più piccola e si carica in 4.7 ore o alla massima velocità opzionale in un’ora e mezza. E le grandi? Grandi assenti Assenti non nel senso di non essere presenti. Tutti i grandi brand delle due ruote erano presenti a EICMA 2015. I soliti noti, Honda, Yamaha, Ducati, Suzuki e Kawasaki avevano tutti stand enormi con modelli in bella vista. Tuttavia nessuna casa, comprese anche MV Agusta, Benelli o Moto Guzzi ha messo in mostra anche un semplice prototipo di mobilità alternativa al petrolio. Se per paura o per eccessiva segretezza o per altro non è dato saperlo. Solo due le realtà che hanno già svelato dei piani futuri: BMW e Harley Davidson. Le americane belle e accessibili Uno degli stand più grandi del settore green è stato quello di Zero Motorcycles. Partendo da un piccolo garage a Santa Cruz in California, Zero è in poco tempo diventata una casa di fama internazionale, con una gamma completa ma soprattutto con prezzi accessibili da subito. Cosa rende davvero unico Gogoro? I fattori sono tanti ma il più importante è di sicuro l’idea di non abbandonare il cliente in balia di colonnine di ricarica, ma di offrirgli un supporto sul campo. Gogoro non si può ricaricare, ma una volta finita la carica le batterie devono essere sostituite presso una apposita stazione. torna al sommario Le moto Zero sono già da tempo disponibili sul mercato italiano e sono disponibili anche dei test drive per i motociclisti più scettici. La top di gamma è la Zero DSR, con una accelerazione da 0 a 100 in 3.9 secondi e 144 nm di coppia. Si parte da 18.290 euro più eventuali optional che sono il caricatore fast oppure una batteria più capiente. Il modello base può percorrere fino a 237 km in ciclo urbano ed avere una velocità di punta di 158 km/h. La ricarica standard avviene in quasi 9 ore e può essere abbassata fino a 2.6 BMW aveva nel suo stand un’area dedicata alla mobilità sostenibile, con in bella vista il suo maxi scooter CEvolution elettrico. Niente di particolarmente nuovo, modello già visto in mille occasioni, ma è interessante notare che il gruppo tedesco non tenga nascoste le sue proposte alternative (nel campo automotive ci sono la i3 e la i8) ma anzi gli dedichi delle aree apposite nei suoi spazi espositivi. chissà che non ci siano in cantiere anche delle vere e proprie moto per il marchio dell’elica. L’altra casa che ha messo in mostra una sua creatura elettrificata, in netta controtendenza con il target aziendale, è Harley Davidson. La LiveWire godeva di un’area dedicata con tanto di simulatore per far provare agli appassionati la forza del motore elettrico. Un segue a pagina 23 n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE EICMA 2015: rassegna moto elettriche segue Da pagina 22 tecnico era disponibile a spiegare tutti i dettagli della moto, e il mezzo, un esemplare reale, era collegato a un rullo meccanico con una turbina a buttare aria in faccia al pilota per simulare la velocità. Inutile negarlo, molti Harley fan decisamente scettici sono rimasti piacevolmente colpiti nello scoprire che la LiveWire è tutt’altro che silenziosa, ma ha un rumore diverso. La casa americana non ha ancora specificato quanto questo progetto abbia possibilità di uscire dalla fase prototipo e diventare una moto commerciale, ma lo sforzo mediatico e sul campo (con prove, recensioni e test drive) fanno ben sperare. Non resta che attendere la prossima edizione per capire se le grandi case classiche stiano solo prendendo tempo per uscire allo scoperto in tempi migliori, oppure se non vogliano boicottare un’idea di mobilità nella quale non riescono a rispecchiarsi. Cina potenza emergente La forza industriale e creativa dei cinesi è diventata quasi incontenibile, e anche nel mondo motociclistico l’invasione è già in atto. Le aziende asiatiche che propongono diversi modelli nel nostro mercato sono attive già da tempo, e ora una nuova ondata sta arrivando per seguire la marea delle moto elettriche. Erano tantissime le proposte di scooter e moto di chiara derivazione cinese, tanto che per molti stand era persino difficile capire chi fosse produttore e chi fosse un semplice importatore e rimarchiatore. Oltre alle grosse realtà come appunto Gogoro, ci sono una moltitudine di nomi sconosciuti e talvolta dalla pronuncia impossibile che cercano di ritagliarsi una fetta di questo mercato in espansione. Ne citiamo una in particolare perché ha stupito per la dimensione dello stand, al pari di molti nomi molto più blasonati: Yadea. Questa azienda cinese, che ha anche un partner italiano, ha un catalogo sterminato che va dalle bici più semplici, passando per diversi modelli di scooter fino alle moto. La loro presenza aveva sicuramente un sapore molto istituzionale, per mettere in mostra la potenza produttiva dell’azienda e anche quella tecnica, dato che alcuni modelli in mostra hanno caratteristiche interessanti anche dal punto di vista stilistico. L’intento di molte di queste aziende non è vendere direttamente nel nostro mercato, data la difficoltà di creare una rete di vendita e di assistenza. Spesso sono in cerca di collaborazioni, con aziende già esistenti o con investitori, per offrire la loro produzione e esportare in diversi paesi e con nomi diversi. Spazio alla creatività Un vantaggio della mobilità di nuova concezione, green e smart, è che il pubblico accetta di buon occhio anche idee particolari, design avveniristici, e tentativi fuori dal comune. E esempi di questo tipo non sono mancati nemmeno a EICMA. Citiamo ad esempio la francese Doohan, anche loro in collaborazione con un gruppo asiatico, con in mostra un modello a tre ruote pronto per la vendita nel 2016. Progetto interessante, e design che sembra uscito direttamente da Tron. Italianissima anche la Armotia, una moto da cross, la prima a due ruote motrici. Sicuramente un progetto torna al sommario da tenere d’occhio, che si avvale anche della stampa 3D per personalizzare la moto sulle richieste dei clienti. La svizzera Quadro, tra i molti modelli del suo compact SUV a quattro ruote, ha messo in mostra anche un prototipo a tre ruote elettrico. Oltre ai progetti particolari ed esteticamente insoliti, il gruppo forse più nutrito era quello degli scooter. Anche qui è veramente difficile distinguere tra produttori e importatori, e la sensazione è che molti si limitino a buttarsi in un mercato senza troppe conoscenze specifiche e basandosi molto sull’estetica del prodotto. Questa fetta di mercato avrà sicuramente nuova linfa vitale, ma il rischio è di trovarsi sul mercato troppi prodotti dalla dubbia affidabilità, e senza le competenze per risolvere problemi tecnici e meccanici. Siamo usciti da EICMA con la consapevolezza che di anno in anno l’attenzione alle nuove soluzioni tecniche e motoristiche aumenta sempre più. La crescita vertiginosa del mondo smart e in generale “dell’internet delle cose” sta contagiando ogni settore, e le due ruote non sono certo immuni, con gli smartphone sempre più compagni di viaggio. Il prossimo anno potremo giudicare se in 12 mesi ci sarà stata davvero un’evoluzione, non solo tecnica ma anche di mentalità. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE SCIENZA E FUTURO Una probabile soluzione per risolvere il problema del consumo della batteria Il display che non consuma diventa realtà Bodle Technologies sta testando uno schermo per device mobili che necessita di poca energia di Dario RONZONI a durata della batteria è ormai da tempo il cruccio maggiore dei possessori di smartphone e smartwatch. Se consideriamo che il 90% del consumo di energia dei device mobili è imputabile all’illuminazione dei display, possiamo valutare bene la portata della scoperta di Peiman Hosseini, fondatore di Bodle Technologies e ricercatore della Oxford University. Partendo dagli stessi materiali utilizzati per produrre DVD riscrivibili, Hosseini sta mettendo a punto un display a cambiamento di fase che necessiterà di pochissima energia, in sostanza solo impulsi elettrici, per funzionare e risultare perfettamente leggibile anche in pieno giorno. I dettagli tecnici sono al momento ridotti all’osso, aspetto che inevitabilmente lascia campo aperto a dubbi e perplessità. Rimane però la curiosità per una L Storico traguardo per New Shepard, primo razzo in grado di atterrare dopo il lancio Si apre la stagione del riutilizzo anche per le missioni spaziali serie di applicazioni potenzialmente assai ampia, che non si limiterebbe al mondo mobile: Hosseini sta, infatti, pensando a finestre “intelligenti”, in grado di bloccare il calore e mantenere le case fresche anche in estate, senza la necessità di aria condizionata, con un risparmio di energia del 20%. Fan- tascienza? Ai posteri l’ardua sentenza. I tempi di attesa per poter toccare con mano i risultati saranno presumibilmente lunghi, ma pare che Bodle Technologies abbia già siglato un accordo con un colosso dell’elettronica, il cui nome rimane riservato per ragioni legali. Staremo a vedere. SCIENZA E FUTURO Il progetto è realizzato da un team di ingegneri della Rice University Ecco FlatCam, è la fotocamera più sottile al mondo Utilizza una matrice di sensori e un algoritmo per fare foto senza la necessità della lente di Gaetano MERO L a fotocamera più sottile al mondo è arrivata. A parlarcene è il team di ingegneri della Rice University di Houston: la FlatCam, questo il nome dato al progetto, può scattare foto senza utilizzare alcun tipo di lente. Più sottile di un decimo di dollaro e flessibile, potrà certamente trovare innumerevoli modi di impiego e trasformare in modo decisivo il design dei device così come li conosciamo oggi. Lo spessore degli smartphone, ad esempio, potrebbe assottigliarsi ulteriormente ed eliminare la necessità di ottica sporgente (ormai un classico nei terminali di alto livello). FlatCam cerca di sopperire all’assenza di lenti attraverso una maschera posta direttamente su una matrice di sensori. A differenza delle fotocamere tradizionali, dotate di obiettivo, FlatCam sfrutta una griglia di sensori con diverse aperture che le permettono di catturare la luce. Ogni pixel registra una combinazione lineare di luce da più elementi della scena inquadrata. Le informazioni vengono torna al sommario Il razzo “riciclabile” di Bezos completa il primo atterraggio successivamente inviate a un computer ed elaborate attraverso un algoritmo che, eseguendo diversi milioni di calcoli, mette a fuoco e ricostruisce l’immagine. La risoluzione generata non è tuttavia il massimo, 512 x 512, e neanche la messa a fuoco risulta essere tra le più riuscite. Il team di sviluppatori è comunque fiducioso e sta già lavorando a un secondo prototipo. Le possibili applicazioni della FlatCam sono quasi inimmaginabili: vanno dal campo medico a quello ludico, e considerando il risparmio nella produzione, grazie all’inutilizzo di lenti, potrà costituire un’alternativa meno dispendiosa rispetto agli standard attuali. Richard Baraniuk, professore di ingegneria della Rice University, afferma: “Stiamo cercando di sfidare la progettazione tradizionale delle macchine fotografiche che prevede la presenza di una lente cubica tridimensionale. Con FlatCam potremo realizzare fotocamere curve e installarle direttamente sulla nostra carta di credito o su qualsiasi altra superficie in modo pratico”. di Dario RONZONI Riciclare è un imperativo categorico in tutti i campi, anche nell’industria aerospaziale. Non è infatti il carburante, quanto i componenti usa e getta dei razzi vettori a incidere maggiormente sui costi delle missioni. Blue Origin, società di proprietà del fondatore e CEO di Amazon Jeff Bezos, ha appena completato con successo l’atterraggio di New Shepard, un razzo in grado di ritornare tutto intero al suolo e di essere riutilizzato per più lanci. Il razzo, dopo un’ascensione di 100 km, è ritornato dolcemente a terra nella base di Blue Origin nei pressi di Van Horn, Texas. “Il totale riutilizzo è un fattore rivoluzionario [nell’industria aerospaziale, ndr], e non vediamo l’ora di fare rifornimento e ripartire”, sono le parole di un Bezos evidentemente entusiasta per la buona riuscita del test. Col successo di New Shepard, Bezos si toglie anche una piccola soddisfazione nei confronti del fondatore di Tesla Motors, Elon Musk, a sua volta impegnato in un progetto di razzo riutilizzabile sotto le insegne SpaceX. Fino ad ora SpaceX non è riuscita a completare la procedura di atterraggio, anche se il compito del team di Musk è decisamente più impegnativo: il Falcon 9, il razzo di SpaceX, è infatti progettato per volare in orbita, con conseguente necessità di una maggiore spinta, mentre il New Shepard si limita a un utilizzo suborbitale. Clicca qui per il video. I T S TA R T S W I T H NUOVO TV 4K ULED 65XT910 ASSOLUTA PROFONDITÀ E MASSIMA BRILLANTEZZA PER UNA SORPRENDENTE QUALITÀ DELL’IMMAGINE. Tecnologia ULED con controllo dinamico della retroilluminazione. 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Nonostante le indiscrezioni parlassero di un prodotto con a bordo una versione custom di OSX, Apple ha mantenuto una certa coerenza proponendo un tablet con iOS, che ricalca le logiche degli altri iPad e che può sfruttare le nuove funzionalità che iOS 9 ha introdotto, molte delle quali probabilmente sono state aggiunte proprio per il nuovo iPad, l’unico che può sfruttare a pieno, ad esempio, la modalità split screen. I punti di forza del nuovo iPad sono sostanzialmente quattro: lo schermo, di qualità eccellente e di dimensioni generose, iOS che è un sistema operativo semplice che garantisce un numero enorme di applicazioni già pronte, Apple Pencil, una penna creata appositamente per l’iPad Pro in grado di ampliare le possibilità in ambito artistico del prodotto e la tastiera cover, un accessorio che Apple ha sempre lasciato produrre ad abili partner come Logitech e che invece, per l’iPad Pro, ha voluto disegnare lei stessa per offrire un prodotto di assoluta qualità e affidabilità. Nella nostra prova non abbiamo inserito la tastiera Apple ufficiale per un semplice motivo: esiste solo la versione con layout americano, una scelta decisamente particolare legata probabilmente a logiche di produzione. Apple, nel corso della presentazione del prodotto, ci ha detto di aver agito in questo modo per lasciare ai partner la libertà di creare tastiere per i vari paesi, ed effettivamente Logitech ha colto la palla al balzo offrendo un ottimo prodotto destinato al mercato italiano. L Non è solo un iPad più grande L’iPad Pro a prima vista sembra essere solo un iPad più grande: prendete un iPad Air 2, fate una fotocopia video Apple iPad Pro PIÙ CHE “PRO” È “BUSINESS CASUAL”: VA BENE PER TUTTI da 919,00 a €b l iPad Pro non deve spaventare: la parola “Pro” è meglio leggerla come “productivity” piuttosto che “professional”. Il nuovo tablet, merito anche dello schermo grande, è perfetto per fare editing, fotoritocco, guardare video, sfogliare riviste e fruire delle centinaia di migliaia di applicazioni che gli sviluppatori hanno preparato per l’iPad. La potenza e il display, oltre ovviamente alla penna, lo rendono un prodotto che può soddisfare anche esigenze business, ma al momento le applicazioni in questo senso non sono moltissime. Non è un caso che la penna sia un optional, così come la tastiera: la versione liscia di fatto è un grosso e soddisfacente iPad Air che volendo può diventare qualcosa di più completo. Crescono le dimensioni e anche il costo: iPad Pro non costa poco, 1.099 euro per la versione da 128 GB che diventano 1.249 euro nella versione Wi-Fi + cellular, ai quali vanno aggiunti 109 euro per l’eventuale penna e 179 euro per la tastiera. A conti fatti, chi vuole un prodotto completo, si ritrova a spendere la stessa cifra che serve per un MacBook o per un MacBook Air. Forse ha più senso, al momento, la versione liscia a 919 euro, un perfetto tuttofare con uno schermo incredibile e tanta potenza. E non è e non può fare il PC, almeno non ancora. 8.5 Qualità 9 Longevità 9 Design 9 Qualità dello schermo e prestazioni COSA CI PIACE Penna capace di un realismo incredibile al tratto Qualità audio ingrandita ed ecco che esce un prodotto sostanzialmente identico ma con schermo da 12.9”. Apple, con la solita precisione che la contraddistingue, sembra aver tenuto in scala anche la larghezza delle cornici e lo spessore: l’iPad Pro, infatti, è spesso 6,9 mm contro i 6,1 mm dell’iPad Air 2, con un peso complessivo di 720 grammi per la versione Wi-Fi - LTE che abbiamo in prova. Parlare di spessore in ogni caso è relativo: un prodotto del genere non viaggia mai senza una cover di protezione adeguata, e con il doppio guscio in silicone che Apple ha realizzato per proteggere fronte e retro, si arriva a un centimetro di spessore. Rispetto all’iPad Air 2 e, ovviamente all’iPad mini, il Pro risoluta essere meno portatile: rimane pur sempre un tablet, ma l’unico vero vantaggio rispetto ad esempio a un MacBook è il fatto che può tranquillamente essere usato senza la necessità di un piano di appoggio. Se vogliamo utilizzarlo però in piedi su un autobus, per leggere una rivista in treno e per andarci a passeggio non è troppo confortevole, più che altro perché richiede una presa con due mani e dopo qualche minuto inizia a pesare. Ciò non toglie che in modalità portrait, per leggere una rivista, è probabilmente il miglior tablet che si può avere tra le mani, con il van- Semplicità 9 D-Factor 8 Prezzo 7 Prezzo decisamente elevato COSA NON CI PIACE iOS 9 da perfezionare per gestire al meglio alcune funzionalità È grosso, e non è un PC taggio che grazie al grande schermo le riviste si possono leggere senza neppure ingrandire le porzioni di pagina per leggere i caratteri più piccoli. La necessità di tenerlo con due mani per non stancarsi preclude alcune possibilità in ambito gaming, dove non si può certo afferrare con una mano il tablet e usare l’altra per indicare diversi elementi sullo schermo. L’iPad Pro è comunque comodo da trasportare nella borsa e nello zaino, è perfetto per uso educational, sul lavoro e in casa, dove il suo schermo grande soddisfa a pieno le esigenze di molte persone che ormai, stanche per la dura giornata, preferiscono mettersi a letto per segue a pagina 27 torna al sommario n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Apple iPad Pro segue Da pagina 26 guardare qualcosa in streaming piuttosto che restare davanti al televisore. Rispetto agli altri modelli di iPad le differenze a livello di dotazione sono minime: c’è il jack audio, ci sono i tasti di accensione e volume e c’è un nuovo connettore magnetico per agganciare la tastiera, in grado di veicolare nei tre poli i dati e l’alimentazione. Apple ha anche rivisto il controller del connettore Lightning: il teardown di iFixit ha evidenziato come sia stato utilizzato un controller host USB 3.0, segno che la porta di connessione potrebbe anche gestire una connessione USB High Speed in futuro, perché al momento il cavo inserito è un normale cavo USB 2.0. Ruotando l’iPad Pro tra le mani ci si accorge subito dei quattro speaker che Apple ha inserito agli angoli: può sembrare una banalità, ma qui si capisce che in realtà Apple non ha voluto del tutto creare un prodotto dedicato al professionista quanto un prodotto più “business casual” che soddisfa a pieno anche coloro che un tablet lo usano per guardare i film. Sempre iFixit, che ha smontato da cima a fondo l’iPad Pro (noi siamo costretti purtroppo a restituirlo integro a Apple, ndr), ha messo in luce come Apple abbia sacrificato il 50% di capacità della batteria in più per poter alloggiare dentro il case di iPad Pro quattro diffusori dotati ognuno di una piccola camera di amplificazione per i bassi. Una scelta che contiene anche il peso (la batteria aggiuntiva sarebbe pesata di più dell’aria), ma che in ogni caso porta sull’iPad una resa audio davvero più che buona, non solo come pressione sonora ma anche come qualità. L’uso di quattro diffusori agli angoli presenta anche diversi vantaggi: è impossibile bloccarli tutti e quattro con le mani e inoltre Apple, utilizzando il giroscopio, può sfruttare un equalizzatore attivo per gestire l’uscita di ogni diffusore a seconda dell’orientamento del device. I due speaker nella parte alta così sono “tagliati” dal crossover per far uscire le frequenze medio/alte, i due nella parte bassa invece forniscono le basse frequenze. Passando allo schermo ci troviamo davanti al solito bellissimo schermo che Apple utilizza per i suoi tablet, calibrato di fabbrica e con una copertura quasi totale dello spazio colore sRGB. Non è ovviamente lo schermo dell’iMac 4K o 5K, ma Apple ha prelevato dai modelli desktop il custom controller che gestisce il pannello LCD “photo aligned” per adattare in modo automatico il refresh rate. Se nulla si muove sullo schermo, quindi se stiamo leggendo una mail, il refresh viene portato a 30 Hz per risparmiare anche energia, se invece ci sono elementi in movimento subito viene alzato a 60 Hz per rendere come sempre fluida e piacevole l’interfaccia. Lo schermo ha caratteristiche del tutto simili a quelle di iPad mini 4 e iPad Air 2, dall’efficientissimo trattamento superficiale anti riflesso all’ottima resa di neri e colori. La luminosità è forse un po’ più bassa: siamo davanti a uno schermo con illuminazione laterale e le dimensioni più ampie si fanno sentire, ma è una cosa davvero impercettibile se si considera che la massima luminosità viene usata solo all’aperto per compensare la luce ambientale. Il tasto home è dotato ovviamente di Touch ID, ma il modulo usato ci è apparso leggermente più lento di quello del nuovo iPhone 6S: una cosa da poco comunque, visto che la rapidità è fondamentale su uno smartphone ma sul tablet quella frazione di secondo in più non crea più di tanto problemi. Un nuovo processore e tanta memoria per gestire due app insieme Apple non ha badato a spese per costruire il nuovo iPad Pro: lo schermo, come abbiamo detto, è un componente di altissima qualità, con la più alta definizione mai usata da Apple per un dispositivo con a bordo iOS, 264 pixel per pollice. Tradotto sui 12.8” di diagonale vuol dire 2732 x 2048, veramente tanti pixel. Uno schermo così risoluto potrebbe onestamente non servire su un tablet, ma nel caso dell’iPad Pro sono due gli elementi che lo rendono indispensabile: in modalità split screen sembra quasi di avere a disposizione due iPad fianco a fianco per dimensioni di schermo e risoluzione, e ovviamente più definizione ha lo schermo più realismo guadagnano tratti e disegni fatti con la penna. Per spingere tale display, Apple ha dovuto preparare un processore dedicato con una GPU più spinta, un SoC derivato direttamente dall’A9 usato sull’iPhone 6S e denominato A9X. Siamo di fronte a un dual core con all’interno due processori Twister a 2.26 GHz, ma non è dato sapere se si tratta di un SoC prodotto da Samsung con tecnologia FinFet a 14 nanometri oppure da TMSC a 16 nanometri: in ogni caso è un processore velocissimo, con 51.2 GB/sec di larghezza di banda e una GPU PowerVR Series7 di Imagination Technology che rappresenta il vero pezzo forte. Trattandosi di processori custom riteniamo totalmente inutile il confronto diretto con processori x86 e altri Soc, ma nel confronto con l’iPhone 6S e quindi con l’Apple A9 l’A9X ha un processore grafico dotato di potenza doppia, mentre è relativamente inferiore l’aumento di velocità della CPU, comunque nell’or- dine del 30% circa. Raddoppia anche la RAM: l’iPad Pro ha a bordo 4 GB di LPDDR4 utili soprattutto per gestire le applicazioni in side by side. Le altre caratteristiche sono quelle classiche, coppia di fotocamere 8/2 Megapixel, Wi-Fi 801.11ac con doppia antenna e nella nostra versione anche la connessione LTE. Da segnalare che l’iPad viene venduto nel taglio minimo di 32 GB, che non sono tantissimi per un tablet del genere ma almeno non sono i 16 GB dell’iPhone 6S con i quali è davvero difficile convivere. La penna è incredibile Sembra una vera matita Apple Pencil è un costoso optional, indispensabile per chi vuole sfruttare l’iPad per disegnare. Apple qui ha fatto un lavoro incredibile, e i 109 euro richiesti sono assolutamente proporzionati alle potenzialità dell’oggetto e allineati al prezzo di altre penne Bluetooth per scrivere su iPad. Apple Pencil sfrutta appunto la connessione Bluetooth per trasferire all’iPad Pro le informazioni legate al livello di pressione e all’inclinazione del pennino rispetto allo schermo, indicazioni che vengono raccolte dal piccolo sensore nascosto sotto la punta che si può anche svitare. Apple Pencil è un prodotto davvero ben fatto e bilanciato, elegante, facile da impugnare e con una resa davvero sorprendente. Non siamo ovviamente artisti (a breve la faremo provare a un artista) ma grazie al campionamento del tratto rapidissimo, al refresh dello schermo e all’ottimizzazione delle api che Apple ha inserito per gestire Pencil sembra quasi di scrivere su carta, con un ritardo tra scrittura e tratto praticamente inesistente. Efficacissimo il sistema di Palm Rejection: si può appoggiare l’intera mano allo segue a pagina 28 torna al sommario n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Apple iPad Pro segue Da pagina 27 schermo, e il tocco occasionale non viene rilevato. Abbiamo provato a disegnare un po’ utilizzando le app in dotazione ottimizzate, e dobbiamo dire che Pencil ci ha stupito sia per la precisione nel gestire la pressione sia nella gestione dell’inclinazione della penna. La matita, ad esempio, può essere usata per sfumare un tratto esattamente come si fa con una matita vera appoggiata di piatto sul foglio, una cosa che solo quando hai pieno controllo di hardwa- Una delle app Adobe già pronte per gestire la penna. Adobe è una delle poche aziende ad aver creato un’interessante suite grafica per iPad Pro re e software puoi gestire al meglio. La penna può essere usata ovviamente in ogni applicazione, ma solo quelle già ottimizzate potranno gestire i livelli di pressione: lo schermo ovviamente è di tipo tradizionale, come abbiamo specificato prima il merito è dei sensori nella penna. Penna che, e visto il costo c’è da preoccuparsi, è abbastanza facile da smarrire in quanto non solo è molto simile a una penna vera ma rotola pure, essendo completamente liscia. iOS 9 non è il vestito perfetto Ma migliorerà Come sempre un ottimo hardware vale davvero poco se il software e il sistema operativo che lo accompagnano non riescono a tenere il passo, e la scelta di Apple di utilizzare iOS 9, opportunamente adeguato, per certi versi è anche la più corretta. iOS 9 è stato pensato probabilmente con l’iPad Pro in mente, ma siamo sicuri che la vera rivoluzione arriverà con iOS 10. Sul fronte delle applicazioni abbia- torna al sommario mo già scritto tanto in questo articolo: le app per iPad funzionano tutte benissimo, ma al momento di applicazioni che possano liberare l’anima professionale di iPad Pro non ce ne sono molte. Vogliamo, invece, spendere qualche parola in più, e qui ci tocca entrare un po’ nel tecnico, per illustrare alcune potenzialità che al momento sono presenti solo nell’iPad Pro. iOS 9 ha introdotto, oltre al picture in picture video, anche la modalità split screen, ovvero una modalità che permette di affiancare due applicazioni sullo schermo contemporaneamente. Le applicazioni per iOS, per come sono programmate, utilizzano un sistema chiamato “size classes” per gestire il layout di visualizzazione a seconda del dispositivo che le visualizza. Questo sistema è stato creato da Apple per poter gestire diversi layout a seconda della dimensione dello schermo e dell’orientamento. Le applicazioni ben scritte che usano le “size classes” presentano diverse modalità di visualizzazione a seconda della classe che il programmatore sceglie, e in questo caso la scelta può essere o “regular” o “compact”. Prendiamo l’applicazione orologio/timer visualizzata nell’immagine qui in basso: a destra la larghezza è “compact”, a sinistra invece è “regular”. Diciamo questo perché mentre lo split screen su iPad mini e iPad Air 2 permette di visualizzare affiancati il layout regular di un’applicazione e un layout compact, l’iPad Pro permette di avere due layout regular uno a fianco all’altro, quindi due applicazioni per tablet vere. Questo vuol dire anche un’altra cosa però, ovvero che non tutte le app possono essere visualizzate in uno split screen perfetto 50 / 50: iMovie, ad esempio, non supporta questo tipo di visualizzazione perché è privo di vista “compact”, e lo stesso vale anche per altre applicazioni. Solitamente le app create solo per iPad, prive quindi della visualizzazione per smartphone, non hanno all’interno una visualizzazione “compact” e quindi non possono funzionare in split screen. Nella colonna di destra, quella nella quale si “pesca” l’applicazione da affiancare a quella principale, Apple visualizza solo le app compatibili. Qui Apple può, e deve, migliorare un po’ il sistema e pensiamo che lo faccia con iOS 10: quando si seleziona un’applicazione per lo split screen viene visualizzata solo una colonna con le app in un ordine non sempre uguale, e cercare un’applicazione senza una barra di ricerca può risultare anche difficile. Inoltre, non è possibile affiancare due applicazioni dello stesso tipo: per come è fatto iOS si può eseguire solo una sessione di un’app per volta, e quindi se vogliamo guardare side by side due pagine di un sito bisogna installare anche un altro browser, nel nostro caso Chrome. Manca, inoltre, il “Force Touch”: lo schermo non è Force Touch, ma utilizzando la penna che rileva la pressione Apple avrebbe potuto benissimo implementare peek & pop anche su iPad Pro. Siamo davanti a piccolezze software, ma è chiaro che iOS 10 darà una marcia in più a un prodotto che, tranne per alcune piccole cose, si lascia usare già benissimo adesso. Notevole la durata: quasi 9 ore con uso intensivo e guardando anche film in streaming, e se non si esagera si possono passare anche le 10 ore. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Microsoft ha lanciato la nuova versione del suo tablet / notebook: lo abbiamo provato e siamo rimasti davvero sorpresi Surface Pro 4 : non è ancora un vero notebook Ma sicuramente adesso è un tablet migliore Netto miglioramento in modalità tablet grazie a Windows 10 e uno schermo di grande qualità. Ma anche il prezzo è super S di Roberto PEZZALI urface, il tablet che Microsoft promuove come perfetto laptop replacement, è giunto alla sua quarta generazione dopo aver scoperto una nuova giovinezza con l’indovinato modello dello scorso anno, il Surface Pro 3. La logica dice che “prodotto che vince non si cambia” e Microsoft quest’anno ha sapientemente rivisto un prodotto vincente senza snaturare la sua anima ma aggiungendo quello che il consumatore chiedeva: dallo schermo più risoluto al pennino più sensibile per arrivare ad una maggior potenza generale, con prestazioni che battono senza alcun problema i migliori notebook di quelli che un tempo erano partner Microsoft e ora hanno indossato il cappellino da competitor. Abbiamo usato il nuovo tablet / notebook come computer di lavoro, provando a sostituire l’immancabile laptop che teniamo sempre nella borsa, quel MacBook Air che la stessa Microsoft ha più volte preso come termine di paragone e avversario da battere. Può davvero un tablet fare il notebook? Microsoft ha scommesso su questa idea, ma se lo scorso anno non poteva dire altrimenti per inquadrare Surface in un settore comunque difficile, quest’anno c’è un certo Surface Book che, con un vestito da vero notebook, vuole occupare la stessa scena. Da Surface Pro 3 a Surface Pro 4 Tanti miglioramenti senza stravolgimenti Microsoft ha gestito il nuovo modello di Surface con una intelligenza rara tra i produttori di hardware: la scelta, ad esempio, di mantenere invariate le dimensioni per poter rendere retrocompatibili alcuni accessori della versione precedente, come le cover, è sicuramente da elogiare considerando che molti, invece, sfruttano i cambi generazionali per succhiare altri soldi con gli accessori a chi già sta investendo su un prodotto nuovo e comunque di un certo livello. Nonostante le dimensioni, però, l’upgrade c’è, ed è consistente a tal punto che non si può parlare di “piccole” modifiche: lo schermo da 12” passa ad 12.3” torna al sommario video lab Surface Pro 4 PIÙ TABLET O PIÙ NOTEBOOK? LA BILANCIA SI FERMA A METÀ 1.029,00 € Posizionare Surface Pro 4 è davvero difficile: lo scorso anno Microsoft con Surface Pro 3 e Windows 8.1 era costretta a definire il suo tablet una vera alternativa ai notebook. Costretta perché il precedente sistema operativo non permetteva certo un utilizzo piacevole in modalità tablet: le finestre piccole, le icone minuscole e una interfaccia che non era nata per essere utilizzata con le dita penalizzavano troppo l’uso in mobilità. Con Windows 10 è tutta un’altra musica: la modalità tablet e le Universal App permettono di utilizzare Surface con le dita come se fosse un vero tablet, con un menu facile da usare, applicazioni a pieno schermo o in split screen e una sezione notifiche ben organizzata e di facile accesso. L’utente, ed è questo il bello di Windows, può comunque tornare alla modalità classica, quindi con finestre libere, menu standard e tutte le altre belle novità che Windows 10 ha portato, in questo modo si può utilizzare Surface come un vero notebook con ottime prestazioni. Surface Pro 4 è sicuramente un prodotto migliore rispetto al modello precedente, ma il vero salto dal punto di vista dell’usabilità lo ha fatto fare Windows 10. In quest’ottica, chi non vuole spendere troppo può cercare anche una buona offerta sul Surface Pro 3, aggiornabile a Windows 10, ma è chiaro che il nuovo modello con penna integrata a 1024 livelli di pressione, processori Skylake e camera biometrica per Windows Hello rappresenta un notevole passo avanti anche sotto il profilo hardware. 8.2 Qualità 9 Longevità 8 Design 8 - Display di ottima qualità - Costruzione e prestazioni eccellenti COSA CI PIACE - Con Windows 10 si usa anche come tablet con una risoluzione ancora maggiore, 2736×1824 pixel rispetto ai 2160×1440 della generazione precedente, il processore è più veloce, la tastiera migliore e il trackpad più ampio. Microsoft è riuscita, nonostante lo schermo più grande, a ridurre sia il peso sia lo spessore: il nuovo Surface è spesso infatti solo 8,3 mm e pesa 786 grammi, e se i pochi grammi in meno sono difficili da percepire nell’uso quotidiano lo spessore ridotto si fa sentire. Il telaio in magnesio, realizzato con tecnologia VaporMG, presenta come sul modello precedente le piccole feritorie per la fuoriuscita dell’aria nel sistema di dissipazione, piccoli forellini lungo tutto il bordo superiore dove Microsoft ha inserito anche i tasti di accensione e volume. Semplicità 8 COSA NON CI PIACE D-Factor 8 Prezzo 7 - Tastiera non inclusa - Molte applicazioni non pronte per essere usate con le dita - Il prezzo è davvero elevato Sul retro, come per gli altri modelli, trovano spazio il kickstand privo di posizioni fisse e la fotocamera da 8 Megapixel. Il meccanismo di chiusura e apertura del kickstand, che permette di regolare l’angolo di appoggio, ci è parso come per il modello precedente decisamente solido e affidabile. Le connessioni presenti sono le stesse di Surface Pro 3: c’è una mini Display Port, un jack audio, una porta USB 3.0 a dimensioni standard, uno slot MicroSD nascosto sotto il kickstand e una porta proprietaria per la docking esterna e per la ricarica. Una scelta, quest’ultima, che potrebbe apparire troppo conservatrice da parte di Microsoft: un connettore USB Type C sarebbe segue a pagina 30 n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Microsoft Surface Pro 4 segue Da pagina 29 stato perfetto per poter gestire non solo la ricarica ma anche la docking esterna. Microsoft ha voluto probabilmente tutelare i possessori della vecchia docking, anche perché ha usato il connettore Type C sugli smartphone della serie Lumia 950: difficile dire se questa è una scelta corretta, sicuramente oggi non ci sono controindicazioni, ma probabilmente in ottica futura l’adozione del nuovo connettore avrebbe garantito maggiori possibilità di espansione. Rispetto a Surface Pro 3 sul nuovo modello sparisce il tasto Windows dalla cornice: una scelta “strana”, giustificabile però dalla presenza di Windows 10, che in modalità tablet offre il tasto “Start” sempre a portata di dito. Sempre sulla cornice frontale Microsoft ha inserito il sensore di luminosità, un microfono, un modulo camera da 5 Megapixel e un sensore IR per il riconoscimento del viso sfruttando il sistema di autenticazione Windows Hello, che su Surface funziona a meraviglia, anche con poca illuminazione: non si può sorpassare usando una fotografia, riconosce anche gli occhiali e in una frazione di secondo autentica correttamente l’utilizzatore nel suo profilo. Schermo incredibile Rivestimento troppo sottile Lo schermo da 12.3” di Surface Pro 4 è stato interamente rivisto, e non solo nella risoluzione. Microsoft ha infatti dichiarato di aver utilizzato una tecnologia chiamata PixelSense, nome storico per una tecnologia di schermo che Microsoft utilizzò sul primo Surface. E non ci stiamo riferendo al tablet: Microsoft infatti utilizzò il termine PixelSense per descrivere la tecnologia del tavolo interattivo che diede poi il nome alla linea di tablet, una tecnologia che permetteva di sfruttare i pixel dello schermo per rilevare la posizione e il tipo di oggetti appoggiati sullo schermo. Non siamo davanti alla stessa tecnologia, ma Microsoft in questo modo vuole comunicare che lo schermo non è più solo un display, ma anche un elemento con un ruolo fondamentale nell’interazione uomo – Surface. Rispetto allo schermo su Surface Pro 3 Microsoft ha migliorato un po’ tutto, e se dobbiamo scegliere l’aspetto che tra tutti più ci ha colpito oltre alla risoluzione è l’ottimo trattamento antiriflesso utilizzato sul vetro Gorilla Glass di quarta generazione. Il vetro è forse l’unico aspetto che porge il fianco ad una critica: come sul modello precedente Microsoft ha usato un sottilissimo strato di vetro ad elevata resistenza pari a soli 0.4 mm, una “sfoglia” che sotto la torna al sommario pressione della penna fa intravedere qualche piccolo temporaneo segno. Anche questa è una scelta: se da una parte una frazione di millimetro in più avrebbe aumentato la resistenza senza aumentare troppo lo spessore, dall’altra uno spessore minimo permette di ridurre la distanza tra penna e schermo, migliorando il feeling in fase di scrittura. Sul rapporto tra penna e schermo Microsoft ha lavorato moltissimo, affogando i sensori touch nel pannello stesso e utilizzando la tecnologia acquisita dall’israeliana N-Trig per permettere il riconoscimento di 1024 livelli di pressione con la penna in dotazione. Riguardo al pannello Microsoft ha parlato di “metal oxide LCD”, riteniamo di trovarci di fronte ad un pannello Sharp con tecnologia IGZO con una risoluzione di 2736×1824, quindi 267 ppi. Lo schermo viene calibrato in fabbrica e copre il 100% dello spazio colore sRGB, con un ottimo contrasto e una buonissima luminosità. Qui a lato, come sempre, le misure dello schermo di Surface Pro 4. La penna è magnetica Perderla è difficile (ma non impossibile) Difficile immaginare un Surface senza penna, anche se ad essere onesti l’abbiamo utilizzata abbastanza poco nel corso della nostra prova: Windows 10 permette di utilizzare con soddisfazione il tablet anche con le dita, e la penna diventa quindi uno strumento utile per task specifici, come il disegno, gli appunti, le note o il ritocco. Microsoft ha rivoluzionato interamente l’apparato di input, utilizzando un nuovo controller N-Trig capace di sfruttare la GPU per elaborare le informazioni: migliora la sensibilità, migliora l’algoritmo che rileva il palmo appoggiato allo schermo e si riduce la latenza tra il tocco e la traccia disegnata sullo schermo. Non siamo artisti, ma scrivere sullo schermo di Surface sembra quasi naturale, analogico. La nuova penna, oltre al digitalizzatore integrato nello schermo in grado di rilevare 1024 livelli di pressione, sfrutta una connessione bluetooth per gestire il bottone nella parte alta: una pressione veloce e si lancia OneNote, una pressione prolungata e si chiama Cortana, doppio click e si cattura una schermata che finisce su One Note. Il cappuccio, come le vecchie matite, si può usare per cancellare una traccia. Microsoft ha anche pensato ad una soluzione per non smarrire la penna: si può agganciare magneticamente al bordo. La soluzione migliore, in ogni caso, è fissarla alla cover tramite la clip metallica. Ottime prestazioni Ma Windows può migliorare ancora E’ arrivato il momento di parlare di prestazioni, e quindi parallelamente anche di prezzo: Surface viene venduto come un computer, quindi con differenti configurazioni di processore, memoria e disco, e il prezzo di listino è ovviamente legato alle scelte fatte. Siamo davanti ad un prodotto che non costa affatto poco, anzi: la versione da noi provata è l’unica che al momento sullo store di Microsoft non si può preordinare (esaurita?), processore Core i5 con processore Intel HD Graphics 520, 8 GB di RAM e 256 GB di disco SSD a 1499 euro, prezzo che include la penna ma non l’ottima tastiera, altri 160 euro da mettere in conto. Paradossalmente tra i due accessori la tastiera è quella più utile nell’insieme, perché senza la penna di perdono alcune possibilità in determinati campi, ma senza la tastiera e il trackpad ci troviamo davanti ad un prodotto davvero depotenziato. Da segnalare infine l’assenza di una versione dotata di modulo LTE integrato, scelta che stride con la disponibilità della versione LTE di Surface 3, modello più consumer. Dal punto di vista hardware siamo davanti ad un prodotto potente, con un processore di sesta gesegue a pagina 31 n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Microsoft Surface Pro 4 segue Da pagina 30 nerazione Skylake Core i5 i6300U, una CPU dual core che integra come chip grafico una scheda HD Graphic 520. Nonostante si tratti di un chip grafico integrato, abbiamo ripreso alcuni benchmark fatti con Surface Pro 3 notando come il nuovo modello sia più veloce del 65% circa, con picchi che a seconda dei test raggiungono anche una velocità maggiore dell’80%. Siamo comunque davanti ad un prodotto che può fare senza problemi editing 4K, fotoritocco avanzato e volendo anche composing, ma quando il carico si fa elevato deve intervenire la piccola ventola che Microsoft ha inserito all’interno. La versione Core M, quella di base, è totalmente fanless, ma l’esemplare in prova ha una ventolina che sotto sforzo inizia a sibilare in modo impercettibile. Il processore è leggermente più veloce di quello usato su Surface Pro 3, ma come per tutti i notebook il vero boost prestazionale viene dato dal disco SSD integrato, una unità Samsung che sfoggia ottime performance in lettura e scrittura. Trattandosi di un portatile anche l’autonomia è importante, soprattutto per un prodotto che necessita del suo caricatore dedicato e non si può certo ricaricare “on the fly” con un power bank USB e una connessione USB: utilizzandolo molto, quindi applicazioni Adobe, rendering, tastiera e molte finestre aperte abbiamo raggiunto le 4/5 ore di autonomia, ma con un uso più tranquillo e la luminosità del display non troppo spinta abbiamo passato le 8 ore. Giusto per dare un’idea, il giorno in cui Satya Nadella è venuto a Roma abbiamo utilizzato Surface Pro 4 sul Frecciarossa Roma - Milano sia all’andata che al ritorno, a Roma per scrivere il pezzo durante la conferenza e alla sera Surface dava ancora 35 minuti di carica residua. Al giorno d’oggi è innegabile tuttavia che l’hardware passa un po’ in secondo piano se il sistema operativo non è adeguato, e nel caso di torna al sommario Windows 10 Microsoft ha fatto un notevole passo in avanti. Il tempo di boot è abbastanza rapido, circa 15 secondi, mentre il resume dalla sospensione è quasi istantaneo. Non aspettatevi tuttavia prestazioni da tablet Android o iPad: prima di essere operativi qualche secondo passa. Tornando a Windows 10, il suo arrivo ha introdotto, oltre alla modalità d’uso classica, anche una modalità tablet: attivando questa modalità le gestione delle applicazioni si semplifica, eliminando la logica delle finestre e mettendo le app a pieno schermo. In “tablet mode” sembra di trovarsi di fronte ad una interfaccia simil Windows Phone, facilissima da usare e con potenzialità notevoli se pensiamo che si può sfruttare lo split screen e si possono comunque lanciare tutte le app, non solo quelle ottimizzate. Qui Microsoft ha fatto passi in avanti, ma potrebbe fare ancora di più. Windows 10 gestisce infatti quelle che vengono definite Universal App, ovvero applicazioni “responsive” in grado di cambiare il layout grafico per adattarsi ai vari dispositivi. Questo particolare tipo di applicazione, se usata in modalità classica, mostra l’interfaccia standard pensata per un utilizzo con tastiera e puntatore, mentre in modalità “tablet” viene ridisegnata automaticamente per essere usata con facilità utilizzando semplicemente le dita. Molte app di Windows sono già “universali”, molte invece non sono state affatto ottimizzate e anche in modalità tablet risultano piccole e poco gestibili: basta osservare la schermata qui sotto per rendersi conto di come “Esplora Risorse” non sia assolutamente ottimizzata mentre One Note lo è. Allo stesso modo alcune applicazioni, se usate side by side, non riescono ad adattarsi ad una visualizzazione su colonna stretta: Microsoft dovrebbe impedire il side by side per queste app. Windows 10 è un sistema in continua evoluzione, e siamo certi che molte di queste cose verranno sistemate: è un bene che Microsoft abbia introdotto una modalità Tablet, tuttavia questa modalità è ancora contaminata da troppi elementi pensati per un utilizzo classico. Intelligente infine la gestione dei DPI dello schermo: come nel caso di OSX Windows 10 ora permette di gestire l’ingrandimento degli elementi per sfruttare al massimo lo schermo a risoluzione elevata. Una tastiera più ampia Per scrivere più velocemente La tastiera TypeCover è senza dubbio l’elemento che giustifica il posizionamento di Surface come laptop replacement. Microsoft in questi anni ha migliorato tantissimo questa tastiera, passando da modelli a nostro avviso difficilissimi da usare, come la Surface Touch Cover, alla buona tastiera disponibile come accessorio per Surface Pro 3. Con il nuovo modello, che ricordiamo è retrocompatibile con la generazione precedente, Microsoft riesce a superarsi: è leggera, ben fatta e soprattutto decisamente più stabile del modello precedente, facile da usare anche appoggiata sulle gambe e più tenace nella presa magnetica lungo la cornice. Nonostante le tastiere ultrapiatte non ci piacciano troppo, digitare un testo sulla tastiera in dotazione con Surface è quasi naturale. Ovviamente si fanno più errori rispetto alla digitazione normale, ma molto dipende da quanto è abile una persona a scrivere su una tastiera: chi scrive utilizzando tutte le dita si troverà benissimo dopo poche ore di ambientamento, chi invece usa solo due o tre dita saltando da un tasto all’altro come un cavalletta sicuramente farà più errori. Migliorato tanto anche il touchpad: è ampio, scorrevole, ha un buon feedback al click e permette l’utilizzo di più dita per le gesture. Il “problema” è il prezzo: 154,90 euro per la tastiera non sono affatto pochi, soprattutto se calcoliamo anche il costo dell’intero tablet e il fatto che è un accessorio praticamente indispensabile. Verrebbe quasi da chiedersi: se Surface Pro 4 è il tablet che può rimpiazzare il notebook, perché un elemento fondamentale come la tastiera è solo un accessorio? Microsoft ha realizzato una tastiera dotata anche di fingerprint reader: questa versione tuttavia non arriverà in Europa. Serie S78 / Ultra HD 50” / 58” Immergetevi in una nuova esperienza ! Avvicinatevi al vostro grande schermo UHD e tuffatevi in un’immagine di una ricchezza incredibile di dettagli. Un’immagine che non è mai stata cosi profonda grazie alla precisione dei contorni, anche nei dettagli più lontani. Un’immagine che non è mai stata cosi realistica grazie alla nitidezza dei colori. Ammirate la perfetta fluidita del movimento, resa possibile dalla tecnologia Clear Motion Index 800 Hz. ww.tcl.eu/it n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TESTOnePlus X costa 269 euro e stavolta ottenere un invito per l’acquisto non sembra così impossibile. Esperimento riuscito? OnePlus X in prova, piccolo, bello e costa poco OnePlus X è uno smartphone non estremo nelle specifiche ma incredibilmente bilanciato e dalla costruzione impeccabile di Vittorio Romano BARASSI nePlus ha recentemente annunciato il suo terzo smartphone e dopo qualche giorno di attesa eccoci alle prese con il OnePlus X, dispositivo che inaugura la serie “sperimentale” del marchio (X sta per “eXperiment”) e che ha tutte le caratteristiche per attaccare con decisione la fascia media del mercato. Si parte da un prezzo di 269 euro per la versione Onyx da 16 GB di memoria fisica e si arriva 379 euro per la versione limitata in ceramica, anch’essa con 16 GB di ROM ma prodotta in una limitatissima serie di 10mila esemplari. Per portarsi a casa il nuovo modello della gamma OnePlus, come al solito, bisogna sottostare al sistema degli inviti messo in piedi dall’azienda stessa. A differenza di OnePlus One e OnePlus 2, ottenere un invito per X (nella variante Onyx) non sembra essere così impossibile: basta andare sul sito ufficiale, inserire la propria e-mail e nell’arco di una settimana o poco più arriverà il tanto agognato invito direttamente nella casella di posta elettronica indicata. Discorso diverso per la versione in ceramica: a causa della tiratura limitata sarà molto più difficile avere l’opportunità di comprarla e, quando inizieranno ad essere distribuiti gli inviti (Onyx è disponibile dal 5 novembre, sulla versione in ceramica si sa ancora poco), saranno privilegiati i “guru” della comunità OnePlus. O Non è “originale”, ma è uno dei più belli in questa fascia di prezzo La versione Onyx inviataci da OnePlus è ovviamente l’oggetto di questa recensione. Già dalla visione della confezione di vendita non si fa fatica a ritrovare immediatamente l’assoluta ricerca del dettaglio già sottolineata nel test completo di OnePlus 2: la scatola è bella, contraddistinta dall’ottimo contrasto tra bianco e rosso, ben organizzata e abbastanza completa. Ci sono caricabatterie USB, cavo USB-microUSB (niente USB-C come sul fratello maggiore), una graffetta per l’apertura dello slot per le schede, un paio di piccoli “manuali” e un’ottima custodia in silicone (con il retro “trattato” per essere meno scivoloso) che si adatta perfettamente alle forme del terminale. Se non siete avvezzi all’utilizzo di questo genere di accessori, vi consigliamo assolutamente il suo utilizzo: nonostante non sia bellissima, aiuta tantissimo a tenere il device immacolato. È firmata sui due lati (“Designed by video lab OnePlus X ESPERIMENTO RIUSCITO. MA IL CONCORRENTE PRINCIPALE È ONEPLUS 2 269,00 € OnePlus X è uno smartphone a cui si sentiamo di affibbiare un appellativo piuttosto insolito: strategico. OnePlus probabilmente aveva qualche Snapdragon 801 ancora in magazzino e l’ottima conoscenza maturata su questo chip ha fatto sì che il nuovo smartphone - una sorta di OnePlus One di “seconda generazione” - risultasse perfetto per un prodotto che è “nuovo” solo nell’aspetto. Ecco, l’aspetto; OnePlus X è probabilmente uno degli smartphone meglio riusciti degli ultimi tempi, un vero e proprio capolavoro di design e di costruzione che si fa fatica a trovare anche su analoghi prodotti che costano tre volte di più. È strategico proprio per questo: nonostante la piattaforma datata (ma validissima) e qualche svista evidente, vedasi la fotocamera decisamente sotto tono, OnePlus X è un prodotto talmente equilibrato e bello che saprà far innamorare moltissimi utenti alla ricerca di uno smartphone sotto i 300 euro e che farà vacillare anche coloro che possono/vogliono spendere di più. A 269 euro non c’è un altro dispositivo con queste qualità; il problema è che a 329 euro c’è OnePlus 2 in versione “base”, tutto di ultima generazione, più grande, potente e con una fotocamera migliore. Ma OnePlus X è più bello, molto più bello. A voi la scelta. 8.5 Qualità 9 Longevità 7 Design 10 Semplicità 7 D-Factor 8 Prezzo 9 Design favoloso Fotocamera non all’altezza Costruzione superlativa COSA CI PIACE Schermo AMOLED di qualità COSA NON CI PIACE Tasti a sfioramento “invisibili” Pellicola frontale applicata male Buone prestazioni, sistema molto snello OnePlus”) e offre un ottimo grip. Mancano le cuffie, davvero un peccato considerando che il dispositivo propone di default l’app Radio OnePlus. OnePlus X è uno smartphone che non passa inosservato. Estratto dalla confezione si apprezzano subito la sua leggerezza e l’estrema sottigliezza: parliamo di 138 grammi egregiamente distribuiti su una scocca spessa solo 6,9 millimetri. Grazie al suo formato relativamente compatto (ha un display da “soli” 5 pollici) non si fa fatica a metterlo nelle tasche dei pantaloni, si tiene benissimo e si utilizza alla grande anche con una sola mano. Il retro del telefono è realizzato in vetro e, a riguardo, è d’obbligo fare qualche considerazione: il vetro è bellissimo da vedere, ma può essere scivoloso, si sporca, si graffia e si può rompere. Ritorniamo dunque al discorso fatto in precedenza sulla custodia: OnePlus la offre in dotazione sapendo della relativa “fragilità” del retro di questo device e, sinceramente, non abbiamo trovato controindicazioni nel suo utilizzo che, ancora una volta, consigliamo vivamente. OnePlus è caratterizzato da una bellissima cornice interamente realizzata in metallo egregiamente lavorato: i bordi sono “spazzolati” mentre la porzione centrale segue a pagina 34 torna al sommario n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST OnePlus X segue Da pagina 33 del materiale è caratterizzata da diversi micro intagli, ben 17, che corrono parallelamente per tutto il frame. Ad intervallare la costruzione vi sono, sul lato destro, il bilanciere del volume, il tasto di sblocco (zigrinato) e lo slot combinato per nanoSIM (fino a due, questo è uno smartphone dual SIM) e microSD mentre il lato sinistro è contraddistinto unicamente dal comodissimo switch per la selezione delle modalità di utilizzo (tre: Tutte le notifiche, Solo interruzioni con priorità e Nessuna interruzione) già visto su OnePlus 2. La porzione superiore vede la presenza di un jack da 3.5mm e di un microfono ambientale mentre quella inferiore è caratterizzata dall’ingresso microUSB ai cui lati sono posizionate, simmetricamente, due griglie: una nasconde l’altoparlante e l’altra il microfono principale. Presenti tre “bande” grigie per l’antenna: due inferiormente e una in alto a destra. Il retro in vetro è minimal: c’è il logo OnePlus ben in evidenza in posizione centrale e fotocamera con relativo flash LED in alto a sinistra. Impossibile, dunque, non giudicare positivamente il design di questo dispositivo: seppur vi siano chiarissimi richiami ad elementi di stile già visti su altri terminali (in primis iPhone 4/4s ma anche 5/5s), il risultato finale è assolutamente eccezionale. Sotto l’aspetto prettamente stilistico è forse uno dei terminali meglio riusciti degli ultimi due-tre anni. Ottimo display, meglio di OnePlus 2 Dopo la non felicissima scelta del display LCD di OnePlus 2 (buono, ma non da flagship), gli ingegneri cinesi hanno provato a farsi perdonare dotando OnePlus X di un pannello decisamente più interessante. Il terminale, come già anticipato, monta un display da 5 pollici di diagonale e dalla risoluzione di 1920x1080 pixel, valore che su questa dimensione e con la densità pari a 441ppi è pressoché perfetto. Il vero merito di OnePlus è stato però quello di scegliere un buonissimo pannello con tecnologia AMOLED; a differenza del “poco vivace” schermo di OnePlus 2, qui troviamo un display che offre tonalità forti e molto accese, forse anche troppo, che però fanno subito emergere la qualità del componente. Il nero è “vero” e anche il bianco è riprodotto in maniera assolutamente corretta, altro elemento che avvalora ulteriormente la sensazione di bontà che questo terminale è in grado di offrire. Ot- torna al sommario timo il contrasto, la luminosità massima è buona (ma non eccezionale) e gli angoli di visuale sono molto ampi, ma qui siamo assolutamente nella media della tecnologia OLED. Lo schermo è protetto da un prezioso Corning Gorilla Glass 3 con una finitura 2.5D: i lati sono dunque morbidi e arrotondati, non una novità assoluta nel settore ma che fa davvero piacere trovare su un dispositivo che costa tre volte meno rispetto ad un top di gamma. Sopra il display c’è spazio per la capsula auricolare con ai due lati, da sinistra a destra, fotocamera da 8 megapixel e sensori di prossimità e luminosità (non fulmineo, ma abbiamo visto di peggio). All’estrema destra c’è un piccolo e bellissimo LED di notifica multicolore. Al disotto dello schermo c’è spazio per tre pulsanti a sfioramento, completamente personalizzabili nelle funzioni ma praticamente invisibili già di giorno, figuriamoci al buio! Una scelta davvero senza senso in questo caso; va bene risparmiare sulla retroilluminazione ma almeno si sarebbe potuto cercare di rendere più evidenti i tasti. Forse non si è voluto rovinare il design o forse c’è stata una piccola svista; alla fine dei conti si è ottenuto un frontale tutto nero, bellissimo, ma con tasti che per essere premuti correttamente necessitano anche di due-tre “tentativi”. Alla lunga ci si fa l’abitudine... Impossibile poi non rivolgere un’altra critica a questo OnePlus X. Come abbiamo sottolineato anche nella recensione di OnePlus 2, l’azienda ha deciso di installare una pellicola frontale a protezione dello schermo; ma se su OnePlus 2 questa è risultata perfetta, sia nelle dimensioni che nell’applicazione, (fatta direttamente in fabbrica), su OnePlus X non si può dire altrimenti. La pellicola ci è sembrata piccola, soprattutto sul lato “corto” (rimane 1 mm “scoperto”) e di sicuro “storta”; non è una cosa che dà poi tanto fastidio durante l’utilizzo, ma guardando da vicino il dispositivo lo si può notare abbastanza facilmente e spesso è un qualcosa che emerge anche di sera, soprattutto in visione laterale. Forse il trattamento 2.5D dei bordi non ha aiutato, ma è un vero peccato perdersi così in un bicchier d’acqua. Una vecchia gloria ra le CPU Più in forma che mai Ogni smartphone che si rispetti deve poter contare su una piattaforma potente e affidabile e OnePlus X non è da meno. La scelta del SoC è stata per molti versi sorprendente poiché gli ingegneri cinesi hanno deciso di affidarsi ad un non-recentissimo Snapdragon 801 di Qualcomm, un ex top-di-gamma che ha equipaggiato gli smartphone flagship usciti tra fine 2013 e prima parte del 2014, il quale è stato tirato fuori dal cilindro per vivere una seconda giovinezza. Per chi non si ricordasse, parliamo dello stesso chip che ha vissuto momenti di gloria sui vari HTC One M8, LG G3, Samsung Galaxy S5 e Sony Xperia Z2 e Z3; è anche il SoC montato sul primo OnePlus One, elemento che forse più di tutti ha spinto i tecnici OnePlus nella scelta di questo componente. Snapdragon 801 è un SoC integrante una CPU Krait 400 quad-core che spinge fino a 2,3 GHz abbinata ad una GPU Adreno 330 che non ha nulla da invidiare anche a soluzioni più recenti. Eccellente la decisione di equipaggiare OnePlus X con ben 3 GB di RAM: il quantitativo è più che adeguato per il dispositivo in questione e in ambito Android garantisce una buona longevità. Il risultato finale è un dispositivo che si muove agevolmente in tutti gli ambiti di utilizzo e che ben si difende pure nel multitasking più spinto e nel gaming, anche se qui qualche piccola incertezza in termini di framerate l’abbiamo riscontrata. Buoni, per quanto possano valere, i punteggi ottenuti nei principali benchmark: circa 2500 punti con Geekbench 3 (Multi-core score) e 41000 punti con AnTuTu. Peccato per i soli 16 GB di memoria eMMC v5.0 integrati; nonostante ci sia spazio per microSD fino a 128 GB, uno spazio interno di 32 GB sarebbe certamente stato più apprezzato. Ossigeno per l’interfaccia Una delle migliori OnePlus X è uno smartphone che arriva all’utente con Android 5.1.1 Lollipop preinstallato a bordo. L’interfaccia di sistema è l’ottima OxygenOS di cui abbiamo già tessuto le lodi nella prova di OnePlus 2, la quale riconferma le proprie doti anche sul più piccolo dei dispositivi dell’azienda. All’accensione abbiamo trovato la versione 2.1.0 della UI ma immediatamente è apparsa la notifica per l’aggiornamento dell’interfaccia alla release 2.1.2, la quale ha introdotto qualche piccolo migliorasegue a pagina 35 n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST OnePlus X segue Da pagina 34 mento sul fronte della stabilità generale. Inutile dilungarsi più di tanto: Oxygen OS è forse una della migliori UI (essenzialmente è solo un launcher) presenti sul panorama Android. È praticamente l’interfaccia “stock” di Lollipop alla quale sono state aggiunte quelle piccole rifiniture necessarie a renderla “quasi” perfetta. Anche qui troviamo Shelf, utile dashboard personalizzabile e accessibile effettuando uno swipe da sinistra verso destra quando si è sul desktop home; presente la possibilità di scegliere tra un’interfaccia light e una dark, con quest’ultima sicuramente più affine alle caratteristiche del display AMOLED di questo OnePlus X. A differenza di OnePlus 2 non vi è la tastiera SwiftKey preinstallata e anche in questo caso dobbiamo segnalare l’assenza di una vera e propria applicazione “Galleria”; ci sono Google Foto e un buon File Manager, ma è quasi d’obbligo una visita sul Play Store per l’installazione di un’app di terze parti. Presente l’opzione (disattivata di default) di accensione del display con un doppio tap sullo schermo mentre anche in questo caso si può premere velocemente due volte sull’invisibile tasto Home per bloccare il device. Molto interessante è poi la funzionalità che permette di “accendere” il display semplicemente passando una mano in corrispondenza della porzione superiore dello schermo, dove è installato il sensore di prossimità. Il sistema è abbastanza comodo, ma c’è da dire che non ha nulla a che vedere con quello già visto sui Motorola (che però ha più sensori distribuiti sulla superficie frontale); bisogna passare la mano molto vicino allo schermo e spesso lo smartphone “ignora” totalmente il gesto. È un qualcosa in più, ma nulla di trascendentale. Non c’è il sensore per le impronte digitali ma come su OnePlus 2 si può disegnare una “V” sul display per attivare la fotocamera oppure una “O” per accendere la torcia; in attesa dell’aggiornamento ad Android 6.0 (dovrebbe arrivare entro Natale), non manca infine il controllo completo sui permessi delle app. Confermiamo dunque il giudizio estremamente positivo sull’interfaccia e sull’esperienza d’uso generale. OnePlus X è un device sempre molto reattivo. Nel browsing web (c’è Chrome) se la cava alla grande e, grazie alle qualità di Snapdragon 801, può riprodurre senza problemi anche file video 4K. La fotocamera è la nota stonata Sapevamo già di non poter trovare una fotocamera fenomenale su questo OnePlus X, ma un po’ ci ab- torna al sommario biamo sperato. Il modulo principale da 13 megapixel è caratterizzato da un sensore ISOCELL, da un obiettivo con apertura massima f/2.2 e da un autofocus ibrido: mancano però la stabilizzazione ottica e il sistema di messa a fuoco laser presenti sul fratello maggiore. Con queste specifiche non è lecito aspettarsi più di tanto dal dispositivo in questione ed il risultato è stato assolutamente nel range delle nostre attese. Le fotografie scattate con OnePlus X (di default, in 4:3) sono di qualità più che sufficiente se si considera la fascia di mercato in cui è posizionato lo smartphone, ma da qui ad affermare che il telefono fa ottime foto ci passa parecchia di strada. Con un po’ di fortuna e con qualche tentativo è davvero possibile togliersi più di una soddisfazione ma, mediamente, è difficile ottenere scatti degni di nota. In linea generale, di giorno, ci si può ritenere abbastanza gratificati: le foto sono abbastanza dettagliate e offrono colori piuttosto naturali se guardate sullo schermo del computer. Si nota una certa compressione, ma niente di troppo esasperato. Buona la selezione automatica dell’esposizione, ma con una certa tendenza a sovraesporre i soggetti inquadrati. Solo sufficiente il bilanciamento dei bianchi: spesso il sistema “toppa” virando su tonalità troppo calde. Quando le condizioni iniziano ad essere meno ottimali, però, si assiste ad un crollo della qualità; il dettaglio diminuisce in maniera importante e da quello che è possibile intuire pare che tutto sia imputabile ad un sistema di eliminazione del rumore decisamente troppo aggressivo. Di sera non si nota troppa “grana” nelle foto, ma i dettagli sono pressoché invisibili; ciò che ne risulta è sempre una foto povera e piuttosto “morbida”, con una resa complessiva tutt’altro che soddisfacente. Per Facebook e Instagram le foto vanno più che bene, ma se si cerca un buon dispositivo “punta e scatta” bisogna necessariamente guardare altrove. Presenti le modalità “Immagini chiare” e HDR già viste su OnePlus 2: funzionano bene ma non aiutano a rivoluzionare il risultato finale. Ritardano inoltre un po’ lo scatto a causa della loro logica di funzionamento, il che non è il massimo su una fotocamera non proprio eccezionale come quella di OnePlus X. Una nota di merito però gliela concediamo: non c’è nessun altro lag tra la pressione del tasto di scatto e l’effettivo salvataggio dell’istantanea. Nessuna nota di merito invece per la fotocamera frontale da 8 megapixel; fa selfie decenti e, anche in questo caso, tanto “morbidi” da sembrare un po’ artificiosi. OnePlus X registra filmati a 1080/30p di qualità assolutamente nella media; la mancanza della stabilizzazio- ne ottica spesso si fa sentire ma, in linea generale, il risultato finale è sempre in linea con quelli fatti registrare dalla concorrenza: video di sufficiente qualità, tutt’altro che ricchi di dettagli. È possibile salvare filmati a 720/120p ma non è stata inserita la modalità di registrazione in 4K, probabilmente più una scelta di marketing che una decisione presa in relazione alle caratteristiche dell’hardware a disposizione. OK l’autonomia. Manca l’NFC La batteria da 2.525mAh integrata, non rimovibile, di OnePlus X permette di arrivare a sera anche se sfruttata in modo abbastanza intenso. Lo smartphone giunto in redazione, essendo nuovissimo (raramente i modelli “stampa” sono “di prima mano” e arrivano direttamente dal produttore), ha manifestato la tipica tendenza riscontrabile con i dispositivi alle prese con i primi cicli di carica. Nei primi due giorni di utilizzo abbiamo fatto molta fatica ad arrivare a sera, anche con un utilizzo non troppo “esagerato”, mentre dal terzo-quarto giorno in poi e dopo altrettanti cicli di carica l’autonomia è cresciuta significativamente. Dopo una settimana di utilizzo e con cariche effettuate sistematicamente ogni notte, il risultato si è stabilizzato su buoni livelli, non eccezionali ma assolutamente in linea con le aspettative. Lo Snapdragon 801 sembra essere fatto su misura per questo smartphone e questa sensazione diviene assolutamente evidente se si considera l’irrisorio draining di batteria anche dopo molte ore in stand-by; il chipset ha ormai più di due anni (quindi non può vantare sulle ultimissime specifiche in quanto a battery-saving) ma l’esperienza accumulata nel tempo ha contribuito non poco all’ottimizzazione dei consumi. Promossa. Come su OnePlus 2 è importante la mancanza dell’NFC e, se proprio dobbiamo andare a ricercare il pelo nell’uovo, mancano pure Wi-Fi “ac” e un paio di bande LTE (principalmente la 12 e la 17 utilizzate soprattutto in USA, ma nessun problema in Italia). Il Bluetooth è in versione 4.0 e ci sono A-GPS e GLONASS. È un dispositivo dual-SIM con un’ottima gestione contemporanea delle due schede, molto buona la ricezione del telefono (ancora meglio senza cover) come altrettanto buona è la qualità delle chiamate: c’è un sistema di eliminazione dei rumori di fondo - a due microfoni - che funziona abbastanza bene (anche se non “cancella” come altri) e la capsula auricolare offre un suono chiaro, anche se non proprio fortissimo. Infine un dettaglio: attenzione alla vibrazione. La custodia in silicone attenua moltissimo la potenza del motorino e, in modalità silenziosa, potreste perdervi qualche notifica. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Abbiamo provato Vive di HTC realizzato in collaborazione con Valve: è uno dei prodotti più avanzati per la realtà virtuale HTC Vive: il virtuale non è mai stato così reale La sensazione di estraniazione dalla realtà è quasi totale: i mondi virtuali prendono quasi vita, con noi protagonisti di Roberto PEZZALI n’esperienza sconvolgente, nel bene e nel male. E’ questa la prima cosa che ci viene in mente dopo la prova della versione HTC della realtà virtuale, quel famoso visore Vive presentato al Mobile World Congress e sviluppato in collaborazione con Valve. Sconvolgente perché quello che si prova indossando questo visore è qualcosa di mai visto prima, una esperienza sicuramente più profonda di quella che si ha con un visore stile OculusVR o Samsung GearVR, ma anche sconvolgente perché un visore di questo tipo probabilmente contribuirà all’isolamento sociale delle persone, una sorta di “Second Life” virtuale che questa volta avrebbe davvero senso di esistere. HTC, con la nuova divisione creata appositamente per lo sviluppo di questo nuovo prodotto, ha saputo interpretare al meglio i desideri di Valve ed è riuscita a creare un visore tecnologicamente avanzato, con diversi punti di forza rispetto a quella che sarà la concorrenza. Dal punto di vista costruttivo c’è poco da inventare: il casco è comodo, con la forma che ricalca quella di una grande maschera da sci confortevole da indossare soprattutto se non si indossano occhiali. Dietro le due lenti, perfettamente integrati, ci sono due schermi da 1080 x 1200, pannelli in grado di raggiungere un refresh rate fisso di 90 Hz se abbinati ad un computer adeguato. Vive non ha un sistema audio integrato: HTC ha preferito lasciare all’utente la scelta della cuffia da usare ed è consigliabile un modello di tipo chiuso, che aumenta il senso di isolamento rispetto al mondo reale. La ricetta segreta di HTC è formata da due elementi: un accuratissimo sistema di posizionamento che unisce ai classici accelerometro e giroscopio anche una serie di sensori laser, e i due controller da tenere in mano che aggiungono un senso di percezione. I sensori laser sono incredibilmente accurati: riescono a rilevare la posizione della testa all’interno della stanza con una precisione di un decimo di grado, condizione questa indispensabile per sentirsi davvero parte di un’altra realtà. Entrare nel magico mondo di HTC Vive non è comunque semplice: prima di tutto serve una stanza adeguata, nel nostro caso siamo entrati in un ambien- U te quadrato di circa quattro metri per quattro, in secondo luogo bisogna calcolare la presenza di un bel cordone di cavi che non è certo semplice da gestire e che potrebbe intralciare i movimenti, infine serve un computer potente, anche se per ora HTC non ha rilasciato le specifiche. Graham Breen, responsabile di HTC per il prodotto, ci ha confermato che servirà un computer da gioco di fascia alta se non altissima, perché gestire l’elaborazione necessaria per i due visori da 1920 x 1200, oltre a tutti i calcoli per il posizionamento senza ritardi non è affatto semplice. Niente da fare invece per i cavi: l’esperienza perfetta di HTC Vive è dovuta in parte all’assenza di ritardo rispetto ai movimenti reali, una situazione questa che non può essere affrontata con una connettività wireless. Pure il terzo ostacolo non è cosa da poco: Vive si potrà utilizzare anche da seduti se il gioco o l’applicazione lo permetteranno, ma non sarà la stessa cosa. Spiegare perché questo visore ci ha impressionato non sarà affatto facile, ma ci proviamo ugualmente. L’obiettivo della realtà virtuale è quello di separare il mondo reale dal mondo creato da un computer, per ingannare il nostro cervello facendogli credere di trovarci da un’altra parte dobbiamo ingannare il maggior numero possibile di sensi. Se OculusVR riesce abilmente a ingannare vista e udito, HTC Vive aggiunge anche il “tatto” e un senso di movimento nello spazio che Oculus non garantisce: se con quest’ultimo infatti siamo spettatori di una scena, con Vive “viviamo la scena”. Nella mezz’ora abbondante di demo abbiamo avuto modo di provare diverse demo e in tutti i casi alla semplice componente visuale Valve e HTC hanno saputo aggiungeRiparare un robot, forse la miglior demo per provare HTC Vive re quel giusto livello di interazione torna al sommario video lab che ci fha fatto sentire parte della scena. Dall’impressionante laboratorio per la riparazione dei robot alla possibilità di usare i due controller come strumenti di disegno, abbiamo davvero viaggiato in un crescendo di stupore e incredulità per quello che HTC è riuscita a fare. Il ritardo rispetto alla realtà è inesistente, la risoluzione decisamente buona e la ricostruzione tridimensionale delle scene incredibile, per realismo e profondità: il minimo movimento della testa corrisponde anche ad un micro spostamento della visuale. Valve e HTC hanno fatto un lavoro super anche nella creazione dei due controller: grazie a due touch a portata di pollice e ai due trigger, i controller possono davvero trasformarsi in quello che si vuole, diventando a seconda del mondo in cui ci troviamo utensili meccanici, attrezzi da cucina, strumenti da disegno o altro ancora. Geniale infine la gestione dello spazio: la realtà virtuale di HTC è uno spazio all’interno del quale ci si può muovere liberamente, e in questa condizione diventa fondamentale segnalare la presenza di una parete reale che costituisce ovviamente un pericolo. Vive, dopo aver misurato la stanza, mostra nel mondo virtuale una sorta di griglia da non oltrepassare non appena ci avviciniamo troppo ad un ostacolo, avvisandoci quindi prima di un probabile impatto. Vive HTC ha sicuramente detronizzato OculusVR: è un prodotto più completo e affascinante, almeno da quanto abbiamo potuto vedere sui modelli provati fino ad oggi. L’hardware è di altissimo livello, ma parte del merito va anche alle ottime demo che Valve ha preparato per questo visore, e spesso è proprio la demo a far la differenza. Sarà interessante vedere, oltre ai software compatibili, anche il prezzo: HTC promette il lancio del prodotto nel primo trimestre del 2016, anche se ancora non è stata definita la strategia di distribuzione e neppure si è deciso quali saranno i primi Paesi interessati al lancio. Vista la collaborazione con Valve, è molto probabile che vengano privilegiati i paesi con la maggiore diffusione di Steam. n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Ci sono persone disposte a investire 1.499 euro per una cuffia? Evidentemente sì e forse non sono poi nemmeno poche In prova la super cuffia AKG N90Q: sogno o follia? La AKG N90Q è stata creata con la consulenza di Quincy Jones, scopriamo se va messa nella lista dei desideri “impossibili” di Roberto FAGGIANO icuramente AKG non ha nulla da invidiare ai più grandi nomi del settore e quindi è giusto che anche il marchio austriaco abbia la sua proposta nell’impero del settore. Ecco allora questa prestigiosa N90Q, che concentrato tutte le migliori tecnologie AKG, unite all’esperienza da musicista e produttore di Quincy Jones. Certo che la cifra richiesta la posiziona oltre il livello di cuffie quasi leggendarie come le Grado 1000, le Sennheiser 800 o le elettrostatiche Stax 507. Oltre al prezzo però la nuova punta di diamante di AKG ha molto altro fuori dal comune, prima di tutto il sistema Trunote per la calibrazione della risposta in frequenza fatta su misura per il padiglione auricolare dell’ascoltatore. Altro gadget è la possibilità di regolare i toni alti e bassi direttamente sulla cuffia, oltre a un circuito DSP con due diverse simulazioni ambientali per adattarsi ai gusti personali. Poi c’è il sistema attivo di cancellazione del rumore nonché la possibilità di collegarsi direttamente a PC e smartphone (per ora solo Android) con funzione di convertitore digitale/analogico fino ai 96 kHz. S Eccessiva in tutto La confezione della N90 è un primo segno di opulenza: dentro un primo imballo di cartone troviamo una seconda scatola in materiale plastico con coperchio dorato, opportunamente imbottita, che contiene la cuffia, la batteria/alimentatore, una custodia morbida in pelle per la cuffia e un’altra custodia in pelle per l’alimentatore da sistemare nell’apposito vano con cerniera della prima custodia. Infine ci sono tutti i cavi nascosti in un piccolo vano chiuso da un coperchio. Un ulteriore cavo per la ricarica è fissato all’interno della scatola, in modo poter ricaricare la batteria senza dovere nemmeno aprirla, comodo durante un viaggio. Una bella soddisfazione visiva considerata la cifra richiesta. L’estetica dell’esemplare in prova è piuttosto vistosa con i suoi particolari dorati, per chi desidera un modello più sobrio c’è anche la versione tutta nera. Va anche detto che AKG aveva in listino un paio di decenni fa delle cuffie professionali come le K340 proprio con finitura oro. Quindi non sono loro che hanno imitato altri, ma viceversa. Tornado alla dotazione troviamo molti diversi cavi di collegamento: uno è destinato all’utilizzo con smartphone Android con microfono e tasti funzione, uno con le stesse funzioni è invece per gli iPhone e gli altri dispositivi mobili di Apple, poi c’è un classico cavo lungo minijack con adattatore jack per il collegamento a un sistema stereo e infine un cavo USB - MiniUSB che ha il doppio scopo di collegamento con un computer per la riproduzione diretta con funzione convertitore oppure per la ricarica della batteria. Volendo essere pignoli mancherebbe il cavo con terminali MiniUSB per la riproduzione diretta da smartphone Android di ultima generazione, ma pensiamo che il negoziante che vende una N90Q possa anche omaggiarlo al cliente. video lab AKG N90Q FORSE LA MIGLIORE CUFFIA, MA È DAVVERO TROPPO CARA 1.499,00 € Senza dubbio la AKG N90Q è una delle migliori cuffie che abbiamo mai ascoltato, le sue prestazioni raggiungono un livello davvero elevato, svelando ogni più minimo dettaglio sonoro che spesso rimane nascosto tra le pieghe della musica. Notevole anche la possibilità di adattamento ai gusti personali e assoluta la cancellazione dei rumori esterni. Però il prezzo di listino impone una riflessione su quel migliaio di euro in più che separa la N90Q da altre eccellenti cuffie: se potete permettervela e avete sorgenti adeguate forse ne vale la pena, altrimenti meglio ripiegare su modelli che non raggiungono le stesse prestazioni ma hanno un migliore rapporto qualità/prezzo. 8.8 Qualità 10 Longevità 9 Design 8 Semplicità 8 Prestazioni audio eccellenti COSA CI PIACE Sistema di calibrazione automatico COSA NON CI PIACE DSP integrato D-Factor 9 Prezzo 7 Prezzo molto elevato Controlli di tono migliorabili Peso notevole Il massimo in ogni dettaglio La costruzione della N90Q è curata nei minimi dettagli: per esempio, l’imbottitura dei padiglioni è a doppia densità con un primo strato più rigido e un secondo più morbido per avere il miglior compromesso tra comfort e tenuta in posizione. Le articolazioni dei padiglioni sono in alluminio per avere robustezza e peso contenuto e poi ci sono i particolari in vera pelle. Il trasduttore è stato realizzato appositamente per questo modello e misura 52 mm con movimento a pistone. Infine il convertitore digitale/analogico per formati in alta risoluzione fino a 96 kHz, e magari ci si poteva anche spingere oltre data la classe della cuffia. Inevitabilmente notevole il peso di ben 460 grammi. Un mare di controlli per ascoltare meglio Il sistema di cancellazione del rumore attivo non è certo un’esclusiva AKG, ma qui funziona in modo quasi totale; per fare un esempio pratico, durante una seduta d’ascolto non abbiamo sentito lo squillare di un telefono che era posto a circa 50 cm da noi. Bisogna tenerne conto quando non si vuole completamente perdere il contatto con la realtà che ci circonda. E non dimentichiamo che la cuffia non funziona se la batteria è scarica, quindi meglio avere sempre a portata di mano l’alimentatore per la ricarica. Uno dei gadget più curiosi della N90 è il sistema di calibrazione automatica Truenote: basta premere il tasto multifunzione per cinque secondi e la procedura si avvia. E’ una fase quasi deludente perché il tutto dura il tempo di un secondo con due toni di rumore, tutto qui. Forse siamo troppo abituati ai complessi sistemi di calibrazione home theater che durano parecchi minuti, segue a pagina 38 torna al sommario n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA La RIAA annuncia l’adozione del logo univoco da parte dei principali store di musica in alta risoluzione L’audio Hi-Res ha bisogno di questo nuovo orribile logo? Il logo in realtà dice poco delle caratteristiche dei file, per questo dovrebbero essere specificati anche risoluzione e formato di Paolo CENTOFANTI uello nell’immagine è il logo ufficiale disegnato e approvato dalla RIAA (Recording Industry Association of America) su richiesta delle case discogra- Q fiche Sony Music Entertainment, Universal Music Group e Warner Music Group, per identificare l’offerta di audio ad alta risoluzione. La stessa associazione ha annunciato che alcuni dei principali servizi che offrono audio Hi-Res in download hanno deciso di appoggiare l’iniziativa e di utilizzare il logo nel descrivere i propri prodotti. Ma quali requisiti bisognerà rispettare per poter utilizzare questo logo? Secondo la RIAA si può parlare di Hi-Res Music in presenza di formati “lossless capaci di riprodurre l’intero spettro sonoro delle registrazioni che sono state masterizzate in qualità superiore a quella CD (48 KHz e 20 bit o superiore)”. La definizione è così articolata per comprendere anche i formati DSD per i quali non valgono i classici parametri di campionamento e il logo potrà essere utilizzato anche dai servizi di streaming, a patto che rispettino i suddetti requisiti. Ma il logo da solo nulla dice sulle caratteristiche audio dei file che andrà a contrassegnare, tant’è che la stessa RIAA specifica che, per una maggiore completezza di informazione, il logo dovrebbe venire accompagnato dal nome del formato utilizzato e dalla risoluzione del file digitale. A differenza poi dei loghi tradizionali, che usualmente contraddistinguono standard o formati ben precisi, il logo HiRes Music non indica nessuna delle due cose, ma genericamente un file audio di qualità superiore a quella del CD Audio. In più si passa dal parlare di Hi-Res Audio, come dettato fino a oggi dalla CEA, alla Hi-Res Music. E quindi alla fine a chi serve questo logo? Ai pochi interessati all’audio ad altra risoluzione importa sapere solo formato e risoluzione, mentre per il consumatore medio ci sarà solo un nuovo brand da decifrare. TEST AKG N90Q segue Da pagina 37 ma certo i parametri da controllare sono molti di più in quel caso. Comunque il sistema funziona, per quanto si possa valutare nel breve tempo che trascorre prima di andare subito a verificare il funzionamento della calibrazione, si tratta comunque di sfumature tutte da cercare. Il sistema DSP integrato nella cuffia è un’altra cosa molto interessante, seppure non esclusiva e ci sono tre diverse posizioni dal funzionamento: neutro, studio e surround. Anche in questo caso il risultato all’ascolto delle due elaborazioni è positivo seppure molto variabile da disco a disco oltre che riguardo i propri gusti personali di ascolto. I migliori risultati a nostro parere si ottengono con l’effetto surround con brani dal vivo, ma a volte anche l’effetto studio non è male. Se non bastasse su entrambi i padiglioni troviamo altri controlli: su quello destro c’è una ghiera per variare il volume, sul sinistro invece c’è un controllo di tono che agisce contemporaneamente su bassi e acuti, in aumento o diminuzione. Quest’ultimo controllo non ci pare dei più efficaci nella regolazione, sarebbe stata molto più utile un’applicazione dedicata da caricare sullo smartphone con un vero equalizzatore. Un ascolto che non lascia indifferenti Non si può dire che indossare la N90 lasci indifferenti, non tanto - o per meglio dire, non solo - per la qualità sonora che certamente è eccellente, ma soprattutto perché il peso e l’ingombro si fanno subito sentire. Difficile resistere per più di un’ora nonostante la superba riproduzione sonora, senza contare che la temperatura ambiente durante il test era di circa 21° e quindi per nulla calda. La pressione sulla testa è notevole, attorno alle orecchie e anche da parte dell’archetto non troppo morbido, specie per chi non ha un buon strato di capelli. Per l’ascolto abbiamo utilizzato praticamente tutte le sorgenti disponibili: dal più misero degli MP3 fino a qualche brano in DSD a 5,6 MHz, passando per molti torna al sommario CD e SACD. Per la funzione di convertitore D/A basta collegare il cavetto USB in dotazione al computer, il software – con Windows 10 - si carica automaticamente in pochi secondi, senza le noiose procedure necessarie con altri dispositivi che si interfacciano direttamente con i PC. Già con i primi MP3 si scoprono livelli di ascolto impensabili per questa sorgente, ma poi arrivano i FLAC: facile dire che la N90Q suona bene, ci mancherebbe altro visto il prezzo di listino, qui però si chiedono prestazioni di livello assoluto, di quelle che ti fanno rimanere a bocca aperta, che ti trasportano nella musica senza più pensare ad altro. Magari la bocca la teniamo chiusa, però la musica prende subito il controllo e si viene trasportati dentro la registrazione, senza possibilità di uscirne fino al termine della medesima. L’impostazione sonora è molto da studio di registrazione, non per nulla la cuffia è firmata Quincy Jones. In pratica vengono esaltati i minimi dettagli di ogni registrazione, con tutti gli strumenti ben individuabili e le voci correttamente in primo piano. A differenza di altre prestigiose cuffie con questa impostazione però, qui è tutto gradevole e invita a percepire ogni strumento, a seguire magari la chitarra senza lasciare in secondo piano il pianoforte e nulla prevale sul resto. La tridimensionalità è molto legata all’impostazione DSP scelta e quindi viene in gran parte slegata dalla registrazione. Sull’impostazione tonale prevale la neutralità: non ascolterete mai bassi rimbombanti o voci sibilanti e troppi acuti taglienti. A dire il vero a volte si preferirebbe una gamma bassa più dinamica, effetto in parte ottenibile con il controllo di tono, ma è anche la distorsione praticamente nulla a generare spesso una falsa sensazione di scarso impatto sonoro. l comportamento migliore si ottiene collegando direttamente la cuffia al computer con la funzione di convertitore, mentre per l’ascolto da un lettore CD c’è la mediazione dell’amplificatore che probabilmente non consente alla cuffia di dare il meglio di sé. Va detto che il partner ideale della N90Q sarebbe un amplificatore dedicato e di livello adeguato, magari a valvole per meglio arrotondare la gamma acuta della cuffia. Television Philips Android TV™ Gli unici al mondo con Ambilight Android, Google Play e gli altri loghi sono marchi di fabbrica di Google Inc. Il robot Android è riprodotto o modificato dal lavoro creato e condiviso da Google ed è usato in base ai termini descritti in Creative Commons 3.0 Attribution License. Scopri tutti i vantaggi di Philips Android Tv™ Ultra Hd, gli unici Tv al mondo che abbinano alla magia di Ambilight il potere ed i molteplici contenuti di Google Play™. Immagini 4 volte più definite ed interazione smart al massimo: la televisione va al di là dell’ordinario. Experience at www.philips.it/tv - /PhilipsTVItalia n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST La Panasonic G7 è una micro quattro terzi compatta che sulla carta può attirare chi vede nella GH4 qualcosa di troppo Lumix G7, la fotocamera media che “punta in alto” Ha sensore da 16 Megapixel, sistema di autofocus a contrasto su base DFD e riprende video 4K, oltre che in formato Full HD A di Michele LEPORI maggio 2015 Panasonic ha rilasciato sul mercato G7, collocandola nominalmente nel segmento delle mid-range, in una zona del proprio catalogo compresa tra la G6 (che va a sostituire) e la GH4: dalla prima eredita il form-factor compatto, leggero e dalle forme vagamente DSLR, mentre dalla flagship guadagna software e qualche soluzione hardware, benché rivista e corretta. Pare esserci tutto quello che serve, dal sensore da 16 megapixel all’autofocus DFD che tanto abbiamo osannato durante la prova della GH4, per finire con la ripresa video a 4K che ormai è quasi diventato “il” selling point di tutte le neonate di casa Panasonic. La macchina della prova è equipaggiata con il 14-42mm f/3,5-5,6, un obiettivo versatile che non brilla per aperture focali particolarmente spinte, ma che saprà dare ottimi risultati anche in condizioni di scarsa illuminazione. Design, controlli ed un po’ di numeri Le prime sensazioni dopo l’unboxing Compattezza e leggerezza devono essere stati i probabili mantra di Panasonic in fase di progettazione: il corpo macchina in magnesio è compatto, le forme sono quelle di una DSLR in formato ridotto ma non per questo mancante di qualità o comfort, tant’è che ci sentiamo di segnalare subito l’ottimo e generoso grip che ospita perfettamente le dita e regala prese sicure e comode come difficilmente si trovano su mirrorless di questa gamma. Per dare qualche buon numero, la G7 ferma l’ago della bilancia a 410 grammi batteria inclusa su una struttura di 126x86x77 mm: meglio di lei probabilmente solo la A6000 di Sony con un vero peso piuma di 344 grammi. Ora che abbiamo soppesato e valutato gli ingombri della G7, è tempo di parlare di ergonomia: le dimensioni compatte lascerebbero pensare a meno spazio per ghiere di comando e tasti ma, paradossalmente, ci sentiamo di dire che Panasonic poteva osare di più. Lo spazio fra i comandi è tanto, forse addirittura troppo e qualche bottone è veramente troppo piccolo; le funzionalità non ne verranno pregiudicate ma rimane la sensazione che si poteva osare di più. Tradizionale invece la disposizione delle ghiere, che non spiazzerà nessun utente: a sinistra del mirino OLED troviamo la ghiera di controllo per cambiare video lab Panasonic Lumix DMC-G7 COMPLETA, VERSATILE E AFFIDABILE. COSA CHIEDERE DI PIÙ? 799,00 € La G7 ha soddisfatto le più che buone impressioni della vigilia, regalandoci divertimento e qualità anche con un prodotto che punta alto ma consapevole di non poter arrivare al podio. I marchi di fabbrica di Panasonic ci sono tutti, dall’autofocus che non sbaglia un colpo al mirino OLED touchscreen che quando non è più sottomano se ne sente pesantemente la mancanza. In condizione di luce ottimale ci sentivamo quasi in grado di “scattare ad occhi chiusi”, certi che l’elettronica avrebbe dato il meglio e così è stato; molto buone anche le performance in notturna con gli scatti di test a ISO 3200 per mettere alla prova la G7 in condizioni di acqua alla gola: a fuoco singolo tutto sotto controllo, a fuoco continuo c’è da lavorare ma in RAW la resa è gradevolissima. C’è ancora da lavorare sulla personalizzazione delle interfacce, dove le infinite possibilità di setting potrebbero paradossalmente spiazzare l’utente invece di semplificare la messa a punto della macchina: un difetto che c’è anche su GH4 e su cui Panasonic ha buoni margini di intervento e miglioramento. 8.4 Qualità 9 Longevità 8 Design 7 Autofocus DFD, istantaneo e perfetto COSA CI PIACE Ergonomia e qualità di costruzione Qualità di scatto anche in condizioni-limite facilmente da scatto singolo, continuo, 4K bracketing, timer e time lapse. A destra, complici gli spazi più generosi, la corposa ghiera delle modalità di scatto e due rondelle più piccole ad altezza indice e pollice: la gestione dei rispettivi comandi è perfetta, la risposta è precisa anche impugnando la G7 ad una sola mano, ma vogliamo sottolineare ancora una volta le dimensioni davvero ridotte dei tasti all’interno della ghiera. Tutto nella norma anche dietro l’obiettivo, con i comandi di gestione ISO, bilanciamento del bianco e menu esattamente dove ce li aspetteremmo. Molto Semplicità 7 D-Factor 8 Prezzo 7 Il menu è troppo dispersivo COSA NON CI PIACE Tasti un po’ troppo piccoli Sempre e solo un unico slot SD positiva la personalizzazione offerta dalla configurazione della Lumix G7, che vede 11 funzioni programmabili su altrettanti pulsanti: perfetto per chi vuole uscire dagli schemi o per condizioni di lavoro particolari, ma - così come detto a suo tempo per la GH4 - le 14 pagine di menu per arrivare al risultato spaventano il neofita ed anche l’utente più smaliziato potrebbe storcere il naso di fronte a un menù strutturato così a blocco unico come questo. Per chiudere, una carrellata sulle porte con cui è equipaggiata la G7: audio input da 3,5mm, uscita USB ed AV assieme ad una micro HDMI. Da ultimo, la presa per il telecomando opzionale. Per i videoamatori è importante segnalare che la micro HDMI supporta il passaggio di segnale 4K ma - a differenza dell’ammiraglia GH4 - non ha l’opzione per i 10 bit, limitandosi ai canonici 8 bit. Mirino OLED e touchscreen al top L’avevamo già evidenziato più volte durante la prova della GH4 e non possiamo non ritornare sull’argomento, perché anche sulla G7 la coppia mirino OLED e schermo posteriore con comandi touch sono sem- segue a pagina 41 torna al sommario n.123 / 15 30 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Panasonic Lumix DMC-G7 segue Da pagina 40 plicemente mesmerizzanti: largo, luminoso, dettagliato (1025x768 a 2360K punti) e con ingrandimenti a 0,7x sono i punti di forza di uno dei veri highlight della G7. Sono gli stessi numeri apprezzati sull’ammiraglia GH4 e che qui tornano orgogliosamente a mostrare i muscoli alle rivali Sony e Olympus che non possono semplicemente competere né per tecnologia di illuminazione né per i semplici numeri. Anche qui la personalizzazione regna sovrana, lasciandoci liberi di decidere per una visione minimale oppure incorporare a schermo istogramma, riferimenti di allineamento, zebra pattern o addirittura preview di filtri che potremmo applicare. Lo schermo touch da 3”, regolabile in angolo e posizione, ha una risoluzione di 1040K e un aspect ratio di 3:2, una scelta abbastanza comune per il segmento micro quattro terzi, che cerca di essere il miglior compromesso possibile anche in ottica di riproduzione video: scattando all’aspect ratio 4:3 nativo del sensore ci troveremo le bande nere verticali ai lati ma i video riprodotti a 16:9 non si vedranno in quello che altrimenti sarebbe un francobollo. Venendo all’operatività del touchscreen, anche sulla G7 il software lavora benissimo e la risposta agli input dell’utente è pressoché immediata: tocchi, trascinamenti, e controlli millimetrici funzionano nella maniera più intuitiva possibile, rendendo l’esperienza d’uso assolutamente godibile. La regolazione del focus è però l’elemento che più colpisce dello schermo touch: quando non l’abbiamo a disposizione, se ne sente la mancanza. Lumix G7 alla prova di scatto Iniziamo a giocare con la G7, le lodi che abbiamo appena finito di tessere riguardo l’estrema compattezza la rendono un’ottima opzione per la street photography, ambito all’interno del quale ci sentiamo di muovere i primi passi, pardon scatti. In questo test ci siamo concentrati sulla parte fotografica, avendo già affrontato il discorso 4K nella nostra anteprima “estiva” e che vi invitiamo a leggere. Basta poco per riprendere confidenza con l’autofocus DFD (Depth From Defocus), ormai marchio di fabbrica della famiglia Lumix e che anche la G7 sfoggia con orgoglio. La ghiera di selezione ci offre le opzioni di autofocus S (singolo), C (continuo) e M (manuale), ma come sempre con le Lumix le soddisfazioni arrivano dalla prima opzione, che trae beneficio dalla tecnologia DFD anche se l’area di autofocus do- torna al sommario vesse venire posizionata ai bordi dell’inquadratura o - a sorpresa - anche in caso di scarsa illuminazione. La G7 lavora fino a -4EV, regalandoci scatti notevoli anche quando il sole saluta sotto l’orizzonte: skyline notturne e tramonti immortalati con l’AF-S non temono rivali. In modalità manuale non si è comunque abbandonati al proprio destino, visto che gli aiuti visivi non mancano: si può ingrandire una porzione dell’immagine fino a 6 volte e selezionarne la visione full-screen o racchiusa in finestra (posizionabile a piacere tramite il touch screen) per non perdere di vista l’intera inquadratura. Con focus peaking attivo, avremo segnalate le alte luci sui bordi degli oggetti come ulteriore riferimento di esposizione: in coppia con la possibilità dell’ingrandimento, è un ottimo modo di sfruttare la G7 senza troppi aiuti elettronici. Dove invece il DFD concede il fianco è in modalità continua, area dove c’è ancora margine di miglioramento: i soggetti in movimento mandano fuorigiri l’autofocus, che tira un po’ troppo ad indovinare le nostre intenzioni ed il rumore inizia a fare capolino. I giorni di test ci hanno regalato ambientazioni fra le più disparate, permettendoci di mettere alla prova la nostra candidata anche in condizioni più diverse. Dovremmo dirlo alla fine, ma la G7 si è comportata meravigliosamente in tutte le situazioni, abbassando la guardia solo sugli scatti notturni in virtù di una modalità bulbi che arriva al massimo a 2 minuti: un limite che gli amanti degli star trail devono tenere più che in considerazione. Partiamo con un classico, ovvero uno scatto al nostro husky Nanuk che ormai è ospite fisso delle prove fotografiche: la situazione di luce è particolare poiché la giornata è soleggiata ma la stanza della foto è “a tutto verde lime”, dalle tende al tappeto ed il risultato è un filtro innaturale che può alterare lo scatto. Nanuk guarda incuriosito l’obiettivo, di muoversi non se ne parla nemmeno e quindi settiamo il focus in AF-S puntando ad immortalare l’espressività: ad ISO 800 e con tempo 1/20, la maschera di contrasto sul muso esalta i dettagli del pelo, ed anche zoomando la definizione non perde colpi. Anche i “fili” del tappeto in primo piano sono a fuoco nonostante avessimo il puntatore sul muso. Cambiamo soggetti, modellini statici ma completamente in metallo e che al minimo riverbero di luce possono dare problemi ad un’ottica kit. Anche qui, ottimi risultati: il modellino baciato dal sole, ad ISO 800 rende meravigliosamente bene in tutti i suoi dettagli neri e viola nonostante avessimo puntato il fuoco sul volto. Al calar della sera, non contenti degli sforzi diurni imbracciamo la G7 per cercare di metterla in difficoltà con luci ed ombre: non dobbiamo neanche fare troppa strada, è il vialetto sotto casa che ci offre un buono spunto. La luce del lampione in primo piano inizialmente abbaglia l’occhio in cerca di una buona inquadratura, ma come già visto sulla GH4 basta dare al sensore pochi istanti per capire che succede ed adattarsi alla situazione. In modalità iA+ ci viene suggerito di sottoesporre a -0,5 EV ma anche lo scatto manuale a 0 EV ed ISO 3200 regala un’ottima gestione delle luci, con un ampia area di fuoco estesa a tutti rampicanti illuminati ed un rumore che è presente solo sulle aree negli ultimi piani. Il limite dei 3200 ISO è il valore che ci sentiamo di non voler superare per mantenere una buona qualità in funzione del rumore. Come già visto su altri modelli di Lumix di quest’anno (ma anche del passato), rimane forse l’eccessiva aggressività della riduzione del rumore sui JPEG prodotti direttamente dalla macchina, che porta a preferire di gran lunga la resa dei file RAW, superiori per livello di dettaglio e con una grana fino a 3200 ISO persino piacevole.