Prime Now: ecco come Amazon consegna in un`ora a Milano

Transcript

Prime Now: ecco come Amazon consegna in un`ora a Milano
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
Tutti a scuola di
tariffe elettriche
C’è una cosa che accomuna tutti, ma proprio tutti,
gli oggetti di cui parla abitualmente DDAY.it: vanno
a corrente. Tutti vanno collegati alla presa elettrica
e assorbono energia. La bolletta, nella sua assoluta
incomprensibilità, è un fatto sempre doloroso:
primo perché si paga, spesso anche tanto; e poi
perché è difficile capire perché si paga così tanto.
Abbiamo di fronte tre tappe importanti che riguardano la bolletta elettrica: la prima è l’inserimento in
bolletta del canone RAI, che aggiungerà confusione
alla confusione. La seconda tappa, praticamente
contemporanea, è l’arrivo della cosiddetta bolletta
“trasparente”: vedremo nella pratica quanto questo
nome sia adeguato. Infine, guardando avanti alla
fine del 2017, ogni utente dovrà scegliere un’offerta
dei gestori in cosiddetto “libero mercato”, dato che
la “maggior tutela”, ovverosia le tariffe stabilite a
livello ministeriale, sarà un regime che verrà abolito.
Partiamo proprio da qui: se alla prima liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica venne
istituito il concetto delle tariffe di “maggior tutela”,
era perché il legislatore qualche dubbietto sul fatto
che il mercato libero sapesse autoregolarsi verso il
basso ce l’aveva. Basta sapere l’italiano per capire
che la formula “maggior tutela” si contrappone
semanticamente alla maggior possibilità di
andare incontro a “fregature”; le stesse che molti
utenti hanno già sperimentato dopo aver aderito
a qualche offertissima convenientissima proposta
dal call center di turno. Alle orecchie di un povero
utente oggi, quindi, appare quanto mai bizzarro
sentire da più parti che la fine del regime di maggior
tutela porterà finalmente i meravigliosi effetti della
concorrenza nel mercato dell’energia. La liberalizzazione dei prezzi della benzina e del gasolio – che
pur è materia molto più facile da capire - non hanno
ridotto i prezzi, che vanno alle stelle se il barile di
petrolio cresce un po’, ma che sono restie a riadeguarsi verso il basso quando il petrolio crolla.
Il Governo ci assicura che le condizioni offerte dai
gestori saranno tutte facilmente comparabili, anche
con un apposito sito che aiuterà il consumatore
nella scelta. Ovviamente non ha senso: se le tariffe
fossero semplici e facilmente comparabili, tutti aderirebbero all’offerta più conveniente. Il chilovattora
è il bene più standard che ci sia e il rivenditore ha
solo una funzione nella testa del cliente: offrire il
prezzo più basso. L’unico modo per venir meno a
questo ruolo è mescolare e confondere le carte,
con tariffe non chiaramente confrontabili, operazione che resta vitale per la marginalità dei gestori.
Forse in aiuto, è qui torniamo al punto precedente,
arriverà la bolletta semplificata. Ma anche qui
toccherà fare attenzione: il rischio di confondere
semplificazione con banalizzazione è dietro l’angolo. L’attuale bolletta – sia chiaro – è una giungla
di termini incomprensibili; ma continuare a fare i
calcoli nella vecchia maniera (con gli scaglioni in cui
chi consuma di più, invece di godere di economie di
scala, paga di più) e rappresentare tutto in maniera
aggregata in nome della semplificazione non farà
che nascondere il problema, invece che rendercene
maggiormente edotti. E, indirettamente, le tariffe,
proprio perché le bollette sono troppo semplici,
potrebbero essere ancora meno confrontabili.
Non vogliamo precorrere i tempi, per ora ci teniamo
il nostro sospetto e sospendiamo il giudizio. Ma
resta il fatto che nessuno, neppure le nonnine
ultraottantenni, potranno esimersi dal capirci qualcosa di più relativamente alle tariffe energetiche.
DDAY.it seguirà tutte le vicende da vicino, informerà
e allestirà le consuete guide indipendenti al supporto del consumatore. Malgrado ciò, il passaggio al
completo libero mercato sarà una piccola violenza
per ogni cittadino in cerca di un po’ di serenità in un
mondo sempre più pieno d’insidie. Buona fortuna.

Gianfranco GIARDINA
torna al sommario
MAGAZINE
Sky rivoluziona
Una tecnologia
la TV con la nuova
può rivoluzionare
piattaforma Sky Q 05 l’OLED
09
EICMA 2015, tutte
le moto elettriche
e smart in mostra 21
Prime Now: ecco come Amazon
consegna in un’ora a Milano
Abbiamo visitato il polo logistico di Milano. Scopriamo
cosa c’è nel magazzino, come funziona e soprattutto
come è possibile essere così veloci in una grande città
03
Apple iPad Pro, grande
potente e adatto a tutti
26
La costruzione è al top e la penna va bene
Si chiama “Pro”, ma è adatto a chiunque
desidera uno schermo più grande
Microsoft Surface Pro 4
Tablet e notebook tutt’uno
29
33
Ottimo come tablet e valido in versione
notebook: Surface Pro 4 convince
sempre, grazie anche a Windows 10
36
37
OnePlus X, piccolo HTC Vive, realtà
AKG N90Q
bello e costa poco virtuale “da paura” Cuffie da sogno
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Al Digital Day di Torino, Renzi ha parlato di tecnologia, sicurezza e del futuro dell’Italia
Renzi: “Taggare i sospetti non vìola la privacy”
Intensificare i controlli, usare banche dati, telecamere e tag per aumentare la sicurezza
A
di Emanuele VILLA
l Digital Day di Venaria Reale (Torino) è intervenuto Matteo Renzi,
che ha sottolineato ancora una
volta il ruolo centrale della tecnologia
ai fini dell’evoluzione e del progresso del nostro Paese. Il presidente del
Consiglio, nel sottolineare i passi fatti
finora e il loro ruolo di semplice apripista
rispetto ai molti che verranno, ha dato
appuntamento alle istituzioni e ai Digital
Champion a tra due anni, stessa data e
stesso posto, per verificare l’andamento
dei lavori e affrontare quelli che - si spera - a quel punto saranno gli ultimi passi
della digitalizzazione del nostro paese
e della cosa pubblica. In particolare, si
punta molto su Italia Login, il luogo unico
dove gestire la propria identità digitale e
mantenere ogni genere di rapporto con
la Pubblica Amministrazione. Si parte subito, ma il completamento dell’iter richiederà, appunto, circa 2 anni.
Il premier è intervenuto anche sui temi
della sicurezza e del terrorismo, sottolineando il ruolo determinante della
tecnologia e della digitalizzazione anche in questi ambiti di stretta (e triste)
attualità: entrando nel delicato rapporto
tra privacy e sicurezza, Renzi ritiene che
si debbano fare più controlli, mettere in
comune le banche dati, far sì che tutte
le telecamere siano a disposizione delle forze dell’ordine, taggare potenziali
soggetti e usare le tracce che vengono
lasciate, poiché “seguire” queste tracce
e persone non rappresenta un agguato
al concetto di privacy. Come dire, ok alla
privacy come principio ma non intendiamo cedere di fronte alla sicurezza.
Soprattutto in questo periodo. Secondo
Renzi la tecnologia renderà l’Italia un
Paese più semplice, trasparente e giusto: la digitalizzazione e le banche dati
condivise potrebbero addirittura azzerare l’evasione fiscale. Si è poi parlato ovviamente di banda ultralarga come una
sfida da vincere, ma buona parte del discorso del premier è stato incentrato sul
ruolo della tecnologia ai fini della semplificazione della nostra vita e del rapporto
con le istituzioni, oltre che sulla riduzione
della povertà educativa proprio tramite
digitalizzazione della scuola.
MERCATO Secondo Strategy Analytics, Windows chiuderà il 2015 con il 10% del mercato
Vendite tablet Windows: 18% del mercato nel 2019
Le vendite di tablet Windows nei primi 9 mesi 2015 sono cresciute del 58% rispetto al 2014
D
di Paolo CENTOFANTI

a un paio d’anni a questa parte le
vendite di tablet sono in ribasso,
le quote di mercato di Apple sono
ferme, mentre è aumentata la popolarità dei tablet Android di primo prezzo. In
tutto questo la piattaforma Windows era
rimasta a fare da fanalino di coda, ma le
cose stanno cominciando rapidamente
a cambiare. Secondo il rapporto Tablet
Operating System Forecast - Shipments,
Installed Base & by Price Tier di Strategy
Analytics, nei primi 9 mesi del 2015 le
vendite di tablet basati su Windows ha visto una crescita del 58% rispetto al 2014
e la categoria si appresta a chiudere il
2015 con 22 milioni di pezzi venduti e
una quota di mercato dei sistemi operativi del 10%. Il rapporto fornisce una previsione dell’andamento del mercato da qui
fino al 2019, data in cui, secondo le stime
di Strategy Analytics, Windows potrebbe
arrivare ad avere una quota del 18% e a
torna al sommario
muovere 48 milioni di pezzi. Nello stesso periodo non è prevista un’ulteriore
crescita per iOS, se non di un minimo 1%,
secondo la ricerca, grazie più che altro
all’ingresso con l’iPad Pro nel segmento
business. E proprio il settore aziendale
sarà il nuovo terreno di conquista per
il mercato dei tablet: qui Microsoft con
Windows 10 potrebbe avere un grosso
vantaggio, visto la diffusione di Windows
su desktop. La crescita di Windows avverrà comunque soprattutto ai danni di
Android, con prodotti più costosi ma più
versatili rispetto a i tablet di primo prezzo
che fino a qui hanno dominato le vendite:
“Windows 10 getta delle solide fondamenta su cui far crescere l’ecosistema”
ha dichiarato Eric Smith, Senior Analyst
Tablet & Touchscreen Strategies. “Stiamo entrando in un’era in cui i tablet Windows possono rubare significative quote
di mercato ad Android nella fascia bassa
e competere testa a testa con iPad nel
segmento premium”.
Apple si compra
il motion capture
di Star Wars
Stavolta nel mirino
di Cupertino è finita
Faceshift, un’azienda
che ha collaborato
alla realizzazione
dei film di Star Wars
Apple però non vuole
far sapere cosa farà
con la tecnologia
motion capture
di Roberto PEZZALI
Non è certo una novità che ogni
qual volta Apple noti una azienda medio-piccola che potrebbe
farle comodo se la compra senza troppi complimenti. E questa volta è il turno di Faceshift,
azienda esperta nel riconoscimento facciale e motion capture
in tempo reale, tanto che la sua
tecnologia è stata usata persino
per la realizzazione delle pellicole di Star Wars. I ragazzi del
sito TechCrunch hanno provato
a chiedere spiegazioni a Cupertino, che come al solito ha risposto con un garbato no comment.
Al momento l’unica informazione
trapelata è che un certo numero
di dipendenti di Faceshift stiano
ora lavorando per Apple in Europa, dato che la base aziendale
era Zurigo. Di seguito un breve
video che mette in mostra le capacità di Faceshift.
Faceshift, il video
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Nel polo logistico di Amazon Prime Now, il servizio che consegna beni di prima necessità a Milano in meno di un’ora
Ecco come Amazon consegna in un’ora a Milano
Scopriamo cosa c’è nel magazzino, come funziona e come è possibile essere così veloci in una città grande e trafficata
di Roberto PEZZALI
Milano è arrivato Prime Now di Amazon: consegne in un’ora in città, due ore in periferia e i vantaggi del prezzo e dell’efficienza Amazon. Un
servizio che è piaciuto ai milanesi e, per capire meglio
come fa Amazon a consegnare in una città spesso criticata per traffico assicurando, precisione e puntualità
siamo andati a curiosare nel magazzino. Il centro logistico di Amazon Prime Now ricalca, in piccolo, quello
di Amazon a Castel San Giovanni, il super polo che
abbiamo avuto modo di visitare lo scorso anno (qui il
reportage completo): situato nella periferia di Milano
si serve di piccole auto e motorini, entrambi dotati di
vano refrigerato per non interrompere la catena del
freddo, in grado di raggiungere in poco tempo tutte
le zone della città.
I responsabili del servizio si dicono soddisfatti dei
primi giorni, soprattutto delle performance raggiunte
sulle consegne: va precisato comunque che Amazon
non ha dovuto ancora affrontare giornate di pioggia o
situazioni particolari, dato che il tempo fino al momento della nostra visita è stato più che clemente. Una variabile comunque di cui tener conto, anche perché un
servizio come Prime Now diventa assolutamente utile
quando, per pioggia o per neve, non si vuole e non si
può uscire di casa. Distribuite su 1400 mq si trovano
tutte le corsie che contengono i prodotti, una sorta di
supermercato con scaffali, frigoriferi e congelatori.
Amazon Prime Now al momento ha circa 20.000 prodotti, 5.000 in più di quelli presenti a magazzino nella
settimana della partenza. Il “catalogo” è dinamico, ci
fa sapere uno dei responsabili: “Nonostante il reparto
cibo resti quello preponderante, sotto Natale stiamo
aggiungendo molti più giocattoli per poter soddisfare
esigenze dell’ultima ora”. Prima di raccontarvi come
funziona Prime Now, è bene ricordare le modalità di
utilizzo del servizio: l’ordine minimo è 19 euro, e chi
sceglie la spedizione in un’ora dovrà pagare altri 6.9
euro. Selezionando invece una finestra di consegna
tra quelle disponibili a sistema la spedizione è gratuita, ed al momento quasi tutti prediligono ovviamente
questa possibilità.
A

Nella foto che vi mostriamo, la “campana” che con
il suo suono avvisa tutti dell’arrivo di un ordine da
consegnare in un’ora, una urgenza che richiede un
tempo di gestione inferiore ai 10 minuti, giusto il tem-
torna al sommario
po necessario per raccogliere i prodotti e preparare il
sacchetto. Durante la nostra visita, durata quasi un’ora,
la campana non ha mai suonato. Tra i prodotti più ordinati al momento su Prime Now ci sono sostanzialmente tre cose: acqua, birra e prosciutto. L’acqua non sorprende: Prime Now infatti effettua consegna al piano e
per chi vive in città è una bella comodità. Il prosciutto
invece è quello confezionato, in vaschette: Amazon
non è ancora pronta a effettuare consegne di freschi,
intesi come frutta, verdura, salumeria e pescheria, ma
ha comunque un assortimento completo di prodotti
confezionati e surgelati. Paragone con il supermercato? Chi ci ha accompagnato nella visita assicura che,
tolta appunto la sezione dedicata ai freschi e tolti i prodotti con il brand del supermercato, l’assortimento è
paragonabile, mentre per i prezzi va ovviamente fatto
un confronto tra prodotto e prodotto perché il mercato
degli alimentari ha prezzi variabili di giorno in giorno.Il
vantaggio, in ogni caso, è la comodità della consegna
rapida a domicilio. I prodotti ovviamente sono registrati a sistema, e quelli in scadenza come accade anche
nei supermercati vengono dati al banco alimentare.
ne” per depositare a scaffale la merce: per ridurre al
minimo il tempo di pickup i prodotti vengono disposti
in modo totalmente casuale, per non avere due prodotti simili uno accanto all’altro, situazione questa che
potrebbe portare ad un errore umano.
Il magazzino di Amazon Prime Now viene rifornito da
più fornitori, ma la maggior parte della merce viene
trasferita ogni giorno dal polo logistico centrale in
provincia di Piacenza. In queste scatole arrivano i prodotti da registrare e inserire sugli scaffali.
Come già abbiamo avuto modo di vedere a Castel
San Giovanni, Amazon utilizza la logica del “disordi-
Le corsie con i frigoriferi: Amazon Prime Now vende
anche i surgelati, gli yogurt, il latte e ogni tipo di prodotto che deve rimanere in frigorifero o surgelato.
I prodotti raccolti vengono portarti vicino alla zona
di spedizione: passando il codice a barre un addetto
All’arrivo dell’ordine parte il “carrellino”: quattro sacchetti per volta vengono caricati su un carrello che
percorre le corsie alla ricerca dei prodotti ordinati. Il
tempo di preparazione dell’ordine è di 10 minuti circa.
segue a pagina 04 
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO I passeggeri in attesa potranno navigare in rete apparentemente senza limitazioni
Fastweb: Wi-Fi gratis in 14 stazioni dei treni
Il servizio è già attivo a Roma Termini e Tiburtina, Milano Cle, Napoli Cle e Torino Porta Nuova
G
di Roberto PEZZALI
randi Stazioni, la società del Gruppo FS che gestisce i più grandi
poli italiani ferroviari, ha annunciato un piano per portare il Wi-Fi gratuito in quattordici stazioni italiane, una
rete wireless ad alta velocità a disposizione dei viaggiatori. Il servizio, che funzionerà grazie all’infrastruttura in fibra
di Fastweb, è già disponibile a Roma
Termini, Roma Tiburtina, Milano Centrale, Napoli Centrale e Torino Porta Nuova
ma si estenderà nei prossimi mesi anche alle altre stazioni del network. Un
progetto ambizioso, che non si ferma
alla sola navigazione: secondo il comunicato rilasciato da Fastweb infatti
“gli oltre 750 milioni di passeggeri e
visitatori che ogni anno transitano in
una delle 14 stazioni di GS, oltre alla
normale navigazione Internet, potranno
inoltre accedere al portafoglio di servizi
digitali e di proximity offerto da Grandi
Stazioni.” Sfruttando quindi la geolocalizzazione, i beacon Bluetooth disposti
nei punti nevralgici delle stazioni e l’applicazione Around Station compatibile
con Android e iOS, il viaggiatore potrà
anche ricevere informazioni relative ai
servizi oltre ad una sorta di navigazione
“indoor” per muoversi liberamente al-
l’interno delle stazioni più grandi, come
ad esempio quella di Milano Centrale
e Roma Termini, diventate ormai veri
e propri hub. “Siamo molto soddisfatti
di poter arricchire in questo modo la
gamma dei servizi offerti ai nostri frequentatori. L’accordo con Fastweb ci
consente, già oggi, di poter offrire il
servizio a oltre il 60% dei visitatori e
passeggeri che transitano nelle nostre
stazioni. A breve allargheremo il servizio anche al resto del nostro network,
consentendo a tutti i nostri clienti di
poter accedere a un servizio che oggi
è fondamentale per il lavoro, la vita familiare e il tempo libero. Con il valore
aggiunto dei nostri applicativi, inoltre,
il viaggio e il passaggio in stazione
sarà ancora più veloci e piacevoli”, ha
dichiarato Paolo Gallo, Amministratore
Delegato di Grandi Stazioni. L’accesso
alla rete Internet è completamente gratuito e chiunque potrà navigare tramite
smartphone, tablet o pc portatile: non
sappiamo se sarà necessaria una registrazione di qualche tipo, più probabile
la scelta di un wi-fi immediato e veloce
come quello presente nell’aeroporto
di Malpensa, attivabile previa accettazione del regolamento. Fastweb non
accenna a eventuali limitazioni temporali o di banda, limiti che probabilmente
sono stati inseriti per evitare abusi da
parte dei viaggiatori.
MERCATO
In Inghilterra
Internet
va a 5 Gbit/s
Dalla Gran Bretagna arriva una
notizia che ribadisce in quale
direzione sta andando il mondo e
perché sarebbe ora di escludere il
rame da tutti i ragionamenti sulle
infrastrutture del futuro. Gigaclear,
provider britannico specializzato in
servizi di connettività in “fiber to
the premise” - formula equivalente
alle più comuni sigle “fiber to the
building” o “to the home” - ha
annunciato che da inizio 2016 darà
la possibilità ai propri abbonati
residenziali e business di scegliere
un piano Internet da 5 Gbit/s. Chiaramente, tanta banda ha un costo: si
parla di 399 sterline al mese per le
utenze residenziali, pari a circa 570
euro. Attenzione, non è che in Gran
Bretagna sia possibile avere ovunque una linea a 5 Gbit/s. Gigaclear
è un provider specializzato nel
portare la sua rete in fibra nelle zone
rurali, con un modello di business
che coinvolge le comunità locali
nell’assicurare l’interesse di almeno
il 30% degli abitanti nel servizio. Il
punto è che se già oggi c’è chi arriva
a offrire servizi consumer a 5 Gbit/s,
sentire parlare, come si fa in Italia,
di 100 Mbit/s come di obiettivo per
la rete a banda ultralarga per il
2020, fa un sorridere.
MERCATO
Amazon Prime Now
segue Da pagina 03 

applica su ogni pacco il cartellino con la destinazione
e la fascia oraria di consegna.
Nel caso in cui un ordine abbia all’interno prodotti surgelati, vicino alla zona di carico troviamo una serie di
celle frigorifere che mantengono la catena del freddo
fino al momento in cui l’ordine parte effettivamente
per la consegna. Come già scritto anche su auto e
motorini è presente la cella frigorifera.
torna al sommario
Il percorso di consegna viene elaborato dal computer
in base ad una serie di variabili e inviato ai computer
di bordo degli scooter e delle auto: chi si occupa della
consegna, seguendo il percorso, dovrebbe comunque riuscire a consegnare in tempo. Abbiamo chiesto ad Amazon come intendono affrontare eventuali
urgenze, con tanti ordini nella stessa fascia oraria e
pochi corriere a disposizione: è il computer a gestire
il tutto, oscurando in fase di ordine le fasce orarie per
le quali la consegna non sarebbe assicurata. Amazon
Prime Now è sicuramente un ottimo servizio per chi
abita a Milano e in provincia: risolve veramente tanti
problemi, barattando la comodità con un prezzo che
sicuramente è conveniente ma potrebbe non essere
conveniente quanto quello di un supermercato in periodo di offerte o volantino. L’assortimento è buono,
anche se non è completo a nostro avviso come quello
di un supermercato: non esiste ad esempio una bottiglia di Amarone, il reparto “birre artigianali” è davvero
scarno e molte altre categorie sono meno assortite
di un ipermercato. Ma lo spazio c’è e Amazon sicuramente colmerà queste mancanze nei prossimi mesi.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Sky ha lanciato in Inghilterra Sky Q, una piattaforma completamente rinnovata
Sky
con
la
piattaforma
Sky
Q
rivoluziona
la
TV
Un prodotto incredibilmente moderno, basato su nuovi decoder, che fonde e web e satellite
di Emanuele VILLA
S

ky ha tolto i veli dalla nuova piattaforma Sky Q, una vera rivoluzione per la pay TV satellitare, che
miscela in modo incredibile satellite e
web. Sky Q è un prodotto tutto nuovo,
che utilizza le più moderne tecnologie
come Powerline, 4K, streaming, Airplay
e tanto altro. La nuova piattaforma arriverà nel 2016 in Inghilterra, ma come
è già successo per altre tecnologie e
innovazioni Sky, potremmo vederla
anche in Italia. Sky Italia ci ha comunicato che prima o poi arriverà, ma
ovviamente nulla è ancora definito.
Con il nuovo sistema, Sky ha cercato
di ridisegnare il modo in cui si guarda
e si fruisce della TV, sia a casa sia in
mobilità, prendendo spunti dai migliori
dai servizi esistenti come Tivo, Netflix
e la stessa Sky. Sky Q è un ecosistema sviluppato su un concetto: poter
vedere tutto quando e dove si vuole,
una cosa che molti hanno cercato di
fare ma nessuno ci è mai riuscito per la
mancanza di qualche tassello. Sky può
farlo benissimo in Inghilterra dove è
provider internet e operatore di pay TV
satellitare. Prima di vedere quali sono i
componenti del sistema Sky Q, quattro
nuovi set top box ognuno con funzioni
specifiche, vediamo cosa promette Sky
con il nuovo “Q”:
• Possibilità di vedere i canali e i contenuti onDemand da tutte le TV di
casa o da un tablet, sempre in casa. il
Multivision diventa “di serie”
• Possibilità di mettere in pausa ogni
canale Live, riprendendolo dai tablet o
da un’altra stanza
• Possibilità di salvare i contenuti, anche quelli registrati da satellite, su un
tablet per la visione in mobilità
• Possibilità di vedere cinque contenuti
Sky diversi su cinque diverse TV mentre
il decoder registra altri quattro canali
• Tutti i decoder e i set top box diventano hotspot Wi-Fi e portano internet in
tutta la casa
• Telecomando con touchpad
• Interfaccia con funzione di ricerca
avanzate e una completa guida TV
• Compatibilità con il 4K
• Accesso ad alcune applicazioni di
streaming video, come Vevo e Youtube,
e alle proprie foto caricare sul cloud
• Compatibilità con lo streaming audio
tramite bluetooth oppure con AirPlay
torna al sommario
La presenza della compatibilità con il
4K lascia presupporre che Sky inizierà
a trasmettere in Ultra HD, sia da satellite che da rete. Il pezzo forte del
sistema oltre alla nuova interfaccia
(qui il video di presentazione), sono i
decoder: Sky ha preparato due set top
box che uniscono le potenzialità della
rete a quelle della parabola e destinati
ai locali principali della casa, un piccolo set top box wireless per le stanze
secondarie e un hub per mettere in
contatto tutti i dispositivi.
Sky Q Silver (scheda tecnica) e Sky Q
(scheda tecnica) sono i due nuovi decoder: il primo, il top di gamma, è il decoder compatibile 4K dotato di un hard
disk da 2 Terabyte per registrare oltre
350 ore di contenuto HD, mentre il secondo ha un disco da 1 Terabyte e non
è Ultra HD. Entrambi hanno 12 tuner interni, un numero impressionante.
ne e sfrutta i tuner contenuti all’interno
del decoder principale.
Sky Q Mini, il decoder pensato per
le stanze secondarie
Sky Q Hub (scheda tecnica) è invece il
centro di controllo: è il potente router
che funziona come modem internet e
distribuisce la connettività agli altri dispositivi tramite wireless o powerline.
Sky ha anche lanciato una nuova applicazione destinata a tablet e smartphone per poter fruire dei nuovi servizi: si
chiamerà ovviamente Sky Q App.
Sky Q Silver, Ultra HD e 2 TB di disco
Il nuovo modem router Sky Q Hub
Sky Q, la versione HD
Sky Q Mini (scheda tecnica) è il piccolo
decoder pensato per le stanze secondarie: funziona esclusivamente tramite
connessione wireless oppure powerli-
Una vera rivoluzione nel campo della
TV, e i primi che hanno potuto vedere
in funzione il sistema assicurano che è
qualcosa di davvero rivoluzionario.
Al momento Sky non ha parlato di
prezzi, e non è dato sapere se Sky Q
sarà un prodotto alternativo a Sky tradizionale, anche se ipotizziamo che in
un primo momento sarà così.
Campo Dall’Orto
“La Rai non
entrerà nel
mercato Pay”
Il direttore generale
della Rai, davanti
alla commissione di
vigilanza, smentisce
l’intenzione di voler
offrire un servizio
a pagamento
Le risorse del canone
verranno utilizzate
per allargare l’offerta
multipiattaforma
di Roberto PEZZALI
Davanti alla commissione di vigilanza parlamentare sulla Rai, il direttore generale Campo Dall’Orto
ha dato alcune anticipazioni sul
prossimo piano industriale della
televisione pubblica, ma soprattutto ha smentito le indiscrezioni
che erano circolate
“Non abbiamo intenzione di entrare nel mercato a pagamento:
acquisire il calcio non è il nostro
mestiere. Abbiamo invece la volontà di una incisiva strategia
multipiattaforma.”
Il piano in realtà non c’è ancora,
ed è in via di definizione. Quello
che è certo è che a quanto pare
non c’è alcuna intenzione di investire in contenuti “americani” né
tanto meno diritti per le partite di
calcio della Serie A. Piuttosto, ha
detto sempre Campo Dall’Orto,
l’idea è quella di sfruttare la stabilità del gettito del canone, che
sarebbe assicurata dal nuovo
modello di riscossione, per rilanciare la presenza sul web con l’intera digitalizzazione della libreria
del patrimonio della Rai, processo che a dire il vero è in atto da
tempo. Per il momento dunque
niente di concreto all’orizzonte.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT ll 16 dicembre esce nelle sale il nuovo episodio di Star Wars, il primo della trilogia sequel dei film originali
Siete davvero pronti per Il Risveglio della Forza?
Ecco qualche consiglio su dove recuperare tutti i film della saga e come organizzare al meglio la propria maratona Star Wars
T
di Paolo CENTOFANTI
ra poco ci sarà l’evento cinematografico di questo
2015. Il 16 dicembre uscirà nella sale italiane il nuovo attesissimo film di Star Wars, Il Risveglio della
Forza e per chi non ha mai visto nessun film della saga
o per chi semplicemente vuole prepararsi a dovere prima di tornare al cinema per un nuovo episodio, il tempo
comincia a stringere. Tutti i film, sia della trilogia classica che i prequel, hanno una durata superiore alle due
ore, per un minutaggio complessivo di quasi 800 minuti
senza contare le serie a cartoni animati Clone Wars del
2003 (tre stagioni in 2D) e The Clone Wars del 2008
(sei stagioni con animazione 3D), e l’ultima Rebels, per
le quali ormai non c’è più il tempo per recuperarle come
si deve. Da qui all’uscita nelle sale ci separapoco tempo, ma volendo il calendario ci viene in aiuto anche con
un provvidenziale ponte dell’8 dicembre. Premesso che
ovviamente nulla vieta di guardarseli quando e come si
vuole, per gustarsi i film con la giusta tranquillità, atmosfera e magari in compagnia con la famiglia o gli amici,
allora un po’ di pianificazione è necessaria, per sfruttare
al meglio il tempo a disposizione per riunirsi tutti insieme. Vediamo alcune strategie per arrivare al cinema
perfettamente preparati.
Primo passo: dove trovare i film
Con il passaggio a Disney di Lucasfilm, non è solo
aumentata la quantità di titoli in produzione (oltre alla
nuova trilogia ci saranno anche altri film a sé stanti e
si parla persino di una nuova serie TV in live action),
ma si è allargata anche la disponibilità dei film originali
in termini di piattaforme di home entertainment in cui
compaiono a catalogo. Oltre ai classici DVD e Blu-ray
Disc, i film di Guerre Stellari sono ora disponibili anche
in VOD su diversi servizi. Vediamo allora una panoramica delle opzioni a disposizione per procurarsi tutti i sei
episodi di Star Wars, che, ricordiamo sono: La minaccia
fantasma (1999), L’attacco dei cloni (2002), La vendetta dei Sith (2005), Una nuova speranza (1977), L’impero
colpisce ancora (1980), Il ritorno dello Jedi (1983).
In DVD e Blu-ray Disc

Dopo il cofanetto pubblicato da 20th Century Fox a
9 dischi del 2011, è uscita una riedizione che propone
gli stessi contenuti con confezioni diverse in tre soluzioni: tutta la saga, completa di tre dischi di contenuti
extra, oppure trilogia originale e trilogia dei pre-quel,
ciascuna con solo i dischi dei film. Ci sono anche i film
disponibili singolarmente,
ma, salvo promozioni, la
scelta a livello economico
non è delle più convenienti.
Come spesa siamo intorno
alle 80 euro per il cofanetto
completo, e circa 30 euro
per ciascun box delle due
trilogie separate (ad esempio su amazon.it).
torna al sommario
Servizi VOD
Quest’anno la saga di Star Wars è finalmente stata resa
disponibile anche sui servizi di video on demand, in
streaming o download. Rispetto ai classici supporti, abbiamo la praticità dei formati digitali che, a seconda del
servizio scelto, permettono con un acquisto di vedere i
film su dispositivi diversi.
pleto da 69,99 euro, ma è possibile acquistare i film anche singolarmente a 13,99 euro. Fa
eccezione il primo Guerre Stellari che ha mantenuto distribuzione Fox e ha un prezzo di 16,99 euro.
I film sono disponibili in HD e con audio 5.1, ma non
è compresa la lingua originale e non ci sono extra.
https://play.google.com/
iTunes Store
Sul negozio di Apple sono disponibili tutti i film in vendita
singolarmente a 13,99 euro o tutti insieme a 69,99 euro.
I film includono alcuni degli extra della versione Blu-ray
Disc nella sezione iTunes Extra, sono disponibili in alta
definizione a 1080p e con audio 5.1 italiano e inglese.
https://itunes.apple.com/it/
Rispetto ai supporti si risparmia poco e spesso non
sono disponibili extra, lingue audio multiple o audio
multicanale. In più, nella maggior parte dei casi, occorre
comunque una connessione Internet attiva. Insomma,
si baratta la completezza dei contenuti per la comodità
di acquistare i film direttamente dal nostro divano. Vediamo le principali opzioni disponibili in Italia.
Chili TV
Il servizio italiano propone la saga completa a
69,99 euro o i singoli film a 13,99 euro per l’HD.
In questo caso sono inclusi anche dei contenuti
extra, presenti in coda ai singoli film, per un totale di 10 ore. I film sono disponibili in alta definizione, ma con audio italiano e originale solo stereo.
https://it.chili.tv/cinema/
Google Play Store
La saga è sbarcata anche sul negozio di contenuti di Google, con un’offerta a “cofanetto” com-
Playstation Store
Un’altra soluzione per acquistare la saga di Star Wars
è sullo store di Sony Playstation. L’offerta è simile a
quella della concorrenza: tutti i film per 69,99 euro
oppure ciascun film a 13,99 in HD e 11,99 in SD (tranne per Guerre Stellari che è solo in HD). Sul fronte
audio, Sony offre solo la lingua italiana in 5.1 o stereo.
Anche in questo caso, con i film non ci sono extra.
https://store.playstation.com/
Windows Store
Anche sullo store di Microsoft è possibile acquistare tutta la saga di Star Wars in bundle o film per film.
Qui il cofanetto cofanetto digitale costa 74,99 euro
ma comprende oltre ai film in alta definizione anche
un buon numero di contenuti extra. In alternativa
è possibile acquistare i singoli film per 14,99 euro
(due euro in meno per la definizione standard),
sempre con i contenuti speciali relativi al titolo
scelto. L’audio è disponibile solo in italiano stereo.
https://www.microsoft.com/it-it/
segue a pagina 07 
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Grazie a un’ottimizzazione della compressione promette una riduzione del consumo di banda fino al 50%
Con Opera Max ascolti musica in streaming col 50% di dati
L’ottimizzazione avviene sia sotto Wi-Fi che su rete mobile. Supporta anche i servizi di streaming ma non ancora Spotify
di Andrea ZUFFI
D
opo anni di esperienza nel mondo
dei browser Opera ha iniziato a
sviluppare logiche votate al risparmio del traffico dati in mobilità. Le prime
versioni di Opera Max, questo il nome
dell’app salva-dati, erano concentrate
soprattutto sul prevenire l’erosione del
monte dati legato alla visualizzazione
delle immagini più pesanti su Instagram
e Facebook. A inizio 2015 Opera ha implementato la modalità per il risparmio
dati durante la visualizzazione da servizi di video-streaming come YouTube
o Netflix e negli ultimi giorni è arrivata
la modalità “risparmiosa” anche per lo
streaming di musica.
La più recente versione di Opera Max,
disponibile al momento solo per dispositivi Android, promette un consumo di
banda del 50% inferiore al normale mentre si ascolto musica in streaming. Una
tale ottimizzazione, resa possibile dalla
conversione dei flussi di dati MP3 e MP4
in codec AAC+ a più alta effcienza, deriva dalle tecnologie di Rocket Optimizer
acquisite da Opera nel 2013, contestualmente all’acquisto di Skyfire. In pratica,
l’utente effettua la richiesta al server
Maratona Star Wars
segue Da pagina 06 
Wuaki.tv
Star Wars è disponibile anche sul servizio spagnolo
ma in modo incompleto, visto che a catalogo manca
il primo mitico Guerre Stellari. È anche la destinazione più cara, visto che ogni film in alta definizione costa ben 16,99 euro e con audio solo italiano stereo.
https://it.wuaki.tv/
Il ripasso rapido
Recuperiamo solo i classici
ll Risveglio della Forza sarà l’episodio numero 7 secondo la cronologia narrativa della saga di Star Wars
e sarà ambientato all’incirca 30 anni dopo gli eventi de
Il Ritorno dello Jedi. Sappiamo che ci sarà il ritorno di
alcuni dei principali personaggi dell’originale trilogia di
Guerre Stellari, e che, tematicamente e visivamente, il
film di J.J. Abrams cercherà di restare in parte fedele
all’atmosfera dei tre episodi precedenti.
Non è pertanto sbagliato pensare di arrivare al cinema
dopo aver (ri)visto solo Guerre Stellari, L’Impero colpisce ancora e Il Ritorno dello Jedi. Anzi. È probabile
che molti dei fan più ortodossi della saga, nel caso non
abbiate mai visto un film di Guerre Stellari, vi suggeriscano di lasciar perdere del tutto la trilogia di prequel
La trilogia
originale è
indubbiamente la
più amata dagli
appassionati e
non solo. Episodio VII - Il Risveglio della Forza
è il primo di tre
sequel previsti

Tube Music sono le prime cinque app ad
aver passato i nostri test di qualità, ma
a breve saremo in grado di supportare
altre app di streaming musicale”.
di George Lucas, tanto che alcuni di loro pagherebbero
una fortuna per trovare il modo di dimenticarsela. Detto
questo, i film da vedere sono solo tre in questo, ciascuno della durata di circa due ore.
ENTERTAINEMENT
torna al sommario
di Opera che - dal
canto suo - ha già
effettuato la ricompressione, ottenendo come risultato
un minor consumo
di dati mobili. Anche
se ad oggi sono supportati solo alcuni
servizi di streaming
audio, e tra questi
mancano big del calibro di Spotify, le parole di Sergey Lossev, product manager
di Opera lasciano ben sperare: “Pandora, Slacker Radio, Gaana, Saavn, e You-
La trilogia dei
“prequel” diretta
da George Lucas è
stata criticata per
lo stravolgimento
dell’atmosfera originale. È
comunque importante perché ha
fatto da apripista
per la rivoluzione
digitale.
Strategia 1: tutto in un weekend
Un film ogni serata, ad esempio, a partire dal venerdì:
in un weekend si porta a termine il compito. Si parte
da Guerre Stellari (in seguito ribattezzato Star Wars:
una nuova Speranza) per poi proseguire sabato sera
con L’Impero colpisce ancora e finire domenica con
il Ritorno dello Jedi. In questo modo, il fine settimana
successivo siamo pronti per andare in sala a gustarci
il Risveglio della Forza.
Tre film per 6 ore totali, si può anche pensare di dedicarci un pomeriggio intero: iniziando alle 14.30 con
Guerre Stellari, possiamo arrivare con le pause tecniche del caso, a concludere la nostra visione in tempo
per cena intorno alle nove di sera.
dedicare alla nostra saga. Ne bastano in realtà tre per
una confortevole maratona di due episodi al giorno. Ci
si tiene libero il sabato per tutte le commissioni e i preparativi e quindi dedicare domenica, lunedì e martedì
per la visione, che alla fine richiede poco più di 4 ore al
giorno: due film ogni pomeriggio, uno di giorno e una la
sera, due la sera, come preferite!
L’esperienza completa
Strategia 4: la vera maratona
Escludendo la soluzione di recuperare solo la trilogia dei prequel (lo abbiamo già detto, tecnicamente
Il Risveglio della Forza è il sequel de Il Ritorno dello
Jedi), Abbiamo sei film da vedere prima dell’uscita del
nuovo episodio, per un totale di 800 minuti di Star Wars
da recuperare o guardare per la prima volta. Si può scegliere di seguire la cronologia cinematografica, quindi
partendo con la trilogia originale e poi quella dei prequel, come hanno fatto milioni di spettatori, o viceversa,
soprattutto se si è totalmente a digiuno, quella narrativa,
che quindi parte con Episodio I, La minaccia fantasma.
A nostro avviso, i prequel si apprezzano maggiormente
dopo aver visto la trilogia originale, ma qualcuno potrebbe anche obiettare che così facendo forse si finisce
più per disprezzarli che altro. A voi la scelta.
C’è poi volendo la soluzione estrema: la vera maratona, più di 13 ore di film da vedersi in un solo giorno.
Aggiungiamoci magari una sosta di mezz’ora tra un
film e l’altro e ci rimane giusto il tempo per andare a
farci una bella dormita, quindi qui la pianificazione è
decisiva. La soluzione migliore? Si inizia la mattina alle
10 con Episodio 1. Senza esagerare e per prepararsi
all’intenso pomeriggio ci si fa una bella pausa pranzo di
45 minuti e si riprende alle 13 con Episodio 2. Qualche
minuto di pausa e alle 15.30 si concludono i prequel
con Episodio 3. Alle 18 si passa alla trilogia classica con
il mitico Guerre Stellari, leggero e avvincente. Si finisce
intorno alle 20 tonde, ora in cui ci si alza dal divano per
un’oretta (non di più!) per una bella cenetta. A questo
punto alle 21 parte il rush finale: gli ultimi due film, tra
l’altro, ben si prestano per essere visti di fila. E non si
finisce neppure troppo tardi: intorno all’una e mezza
di mattina, a seconda dei tempi tecnici per passare da
un film all’altro.
Strategia 2: tutto in un giorno o una serata
Strategia 3: il lungo ponte
Quest’anno il calendario regala un bel ponte dell’immacolata, con cinque serate piene o quattro giornate da
NESSUN CONFRONTO È POSSIBILE
NERO PERFETTO,
COLORI PERFETTI
LG lancia la nuova tecnologia OLED superando ogni limite qualitativo.
OLED TV è l’unico tv in cui i pixel hanno la capacità di illuminarsi e spegnersi uno ad uno
regalandoti il contrasto infinito e colori veri come in natura ,
per immagini che non temono nessun confronto.
www.lg.com/it
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TV E VIDEO La tecnologia PCOLED promette di risolvere il problema di produzione dei display OLED
Una tecnologia potrebbe rivoluzionare l’OLED
Un effetto quantistico permette di aumentare la durata dello strato emissivo della luce blu
U
di Paolo CENTOFANTI
no dei i problemi che complica
la produzione di display OLED è
l’emissione del colore blu. Per realizzare una cella OLED capace di produrre
luce bianca, infatti, il metodo più utilizzato
è quello di realizzare tre strati emissivi
uno per ognuno dei tre colori primari. Il
problema è che finora la durata di una
siffatta cella è legata a quella dello strato
emissivo del blu, che si deteriora più velocemente. Il centro di ricerche di Taiwan
Industrial Technology Research Institute
(ITRI) ha però annunciato una scoperta
che potrebbe risolvere il problema, con
una nuova struttura denominata PCOLED
(Plasmon-Coupled OLED), che per emettere il blu utilizza un materiale verde, molto più facile da utilizzare e più efficiente.
Il meccanismo è complicato da descri-
vere, coinvolge dei fenomeni di fisica
quantistica e in particolare i plasmoni di
superficie, “quasiparticelle” che esistono
all’interfaccia tra un materiale metallico e
il vuoto come oscillazioni collettive degli
elettroni. I plasmoni possono essere manipolati con un processo di “accoppiamento” (da cui il nome di Plasmon-Coupled) per cambiare il colore del materiale,
spostando la probabilità di emissione dal
verde al blu. Ciò avviene con una particolare struttura a panino dove lo strato
emissivo è delimitato da due superfici
metalliche, aumentando la produzione
di plasmoni e consentendo di evidenziare solo la componente blu del materiale
verde. Secondo i ricercatori, con questo
metodo la vita del blu raggiunge lo stesso livello del verde, portando la durata di
un display o una lampadina OLED di questo tipo a 300.000 ore di funzionamento.
Il team ha realizzato con successo una
produzione pilota di piccoli display OLED
a matrice passiva da 10x10 cm e sostiene
che grazie al fatto che si utilizzano meno
materiali sfruttando solo il verde, potenzialmente ci potrebbe essere anche una
sensibile riduzione dei costi.
La tecnologia è compatibile con le attuali
linee di produzione e in un paio d’anni la
tecnologia PCOLED potrebbe essere disponibile commercialmente.
Google
Play Movies
arriva sui TV
LG con WebOSV
Stretta di mano tra LG
e Google per portare
Play Movies all’interno
delle piattaforme
Smart TV LG
I primi TV a beneficiarne
saranno quelli
con WebOS, seguiti
da quelli con NetCast
di Massimiliano ZOCCHI
TV E VIDEO Lo scontro riguarda i pannelli LCD 4K con pixel RGBW utilizzata da LG e altri produttori
Guerra tra Samsung e LG per il pixel bianco
Samsung afferma che riduce la risoluzione e chiede la modifica degli standard di misurazione
di Paolo CENTOFANTI
S

amsung ha ufficialmente proposto
alla Society for Information Display
(o SID) una nuova metodologia per la
misura della risoluzione di un display, con
l’esplicito scopo di smascherare quelli che
definisce i “falsi pannelli 4K”. Nel mirino di
Samsung c’è una particolare tecnologia
denominata RGBW e utilizzata dalla concorrente LG oltre che da molti produttori
cinesi di LCD. Da non confondere con la
tecnologia OLED di LG, Si tratta di qualcosa molto vicino alla configurazione pentile
dei subpixel, che una volta veniva utilizzata proprio da Samsung sui suoi OLED per
i dispositivi portatili. In questo caso è un
metodo per produrre pannelli 4K a minor
costo, riducendo il numero di subpixel
con un particolare arrangiamento che ne
riduce il numero complessivo di un terzo.
Il sistema funziona introducendo su ogni
riga del display un subpixel bianco dopo
ogni tripletta RGB. Il “trucco” a questo
punto è quello di ragruppare tutti questi
punti in pixel condividendo però i subpixel
adiacenti: in pratica 2 pixel si spartiscono
gli stessi 5 subpixel, sfruttando il fatto che
la nostra vista è molto meno sensibile alla
torna al sommario
risoluzione cromatica. Ciò introduce una
maggiore complessità nell’elaborazione
del segnale, che deve essere rimappato
sulla matrice RGBW, ma il pannello LCD
risulta semplificato e meno costoso grazie al minor numero di subpixel che lo
compongono.
Samsung ha iniziato negli ultimi mesi una
battaglia volta a ribadire che mentre i suoi
pannelli LCD sono realmente 4K grazie
all’utilizzo della classica configurazione RGB, quelli della concorrenza non lo
sono, visto il ridotto numero di subpixel
per ogni riga. E qui entra in gioco il modo
in cui viene determinata la risoluzione di
un display. Negli attuali standard, questa
viene usualmente definita contando una
linea di risoluzione ogni volta che il passaggio da una riga nera a una bianca produce una variazione di circa tre volte nella
luminosità misurata. Questa metodologia
consente di considerare gli LCD RGBW
equivalenti a un pannello 4K dal punto di
vista della risoluzione. Samsung invece
propone un nuovo metodo che tenga anche conto del colore nella misura e quindi
non solo della luminosità. L’americana
CEA (Consumer Electronics Association),
ad esempio, per la sua certificazione 4K
La matrice RGBW messa sotto accusa da
Samsung Lo stesso produttore aveva utilizzato
un metodo simile sui suoi primissimi modelli
Ultra HD entry level
Ultra HD, richiede esplicitamente che
ogni pixel sia in grado di riprodurre l’intera gamma di colori, motivo per cui alcuni
produttori non possono utilizzare quel
logo negli Stati Uniti nella promozione dei
propri TV Ultra HD.
La proposta di Samsung sarà discussa
al prossimo convegno dell’International
Committee for Display Metrology del SID
che si terrà in febbraio, ma occorrerà una
maggioranza del 75% dei voti per approvare la nuova metodologia. Intanto LG è
passata al contrattacco, stando quanto
riportato da Etnews, contattando uno a
uno i delegati del comitato per illustrare
la bontà della sua soluzione.
Importante annuncio da parte
di LG che ha siglato un accordo
con Google per inserire nei suoi
Smart TV lo streaming video on
demand di Play Movies & TV. In
questo modo i TV LG con sistema
operativo WebOS (il primo che
supporterà la nuova app) saranno
i primi del mercato Smart TV ad
abbracciare i servizi di Mountain
View, ad esclusione (ovviamente) delle aziende che utilizzano
Android TV. L’upgrade interessa
anche i TV più vecchi con ancora
la piattaforma NetCast 4.0 e 4.5.
Come spesso accade, noi dovremo avere pazienza dato che il
rollout partirà da Stati Uniti e Regno Unito, seguiti da Australia e
Canada per poi espandersi in 104
paesi diversi, ma senza una tabella di marcia precisa. In questo
modo LG sarà la prima a proporre
praticamente tutti i più popolari servizi di streaming video (ad
eccezione di iTunes ovviamente), avendo già app dedicate per
Netflix, Hulu, Amazon Video, YouTube, e Vudu, oltre ad altre realtà
locali come le italiane Chili TV
e TIM Vision. Sembra che dopo
un periodo difficile, il concetto
di Smart TV stia riguadagnando
popolarità.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Colpo di Mediaset nella lotta alla pirateria: Fastweb deve oscurare Rojadirecta
È deciso: Fastweb deve bloccare Rojadirecta
Il tribunale di Milano impone il blocco del sito in tutte le sue forme, anche quelle future
M
di Roberto PEZZALI
ediaset chiede e ottiene l’oscuramento di Rojadirecta: Fastweb
sarà obbligata a rendere inaccessibile a tutti i suoi clienti il famoso sito
specializzato nella trasmissione di partite
di calcio pirata. La sentenza del giudice
del tribunale di Milano questa volta ha un
sapore diverso dal classico oscuramento
già imposto in altre situazioni. Prima di
tutto bisogna spiegare perché Fastweb:
da quanto siamo riusciti a ricostruire
infatti Fastweb fu l’unico provider che,
diversi mesi fa, scelse di non inibire l’accesso al sito spagnolo dichiarato illegale
dal tribunale di Roma, decisione rispettata invece dagli altri operatori. Mediaset,
di fronte a tale comportamento, ha deciso di denunciare il provider. In seconda
battuta invece è interessante capire
anche cosa ha di rivoluzionario questa
sentenza del giudice: non solo Fastweb
sarà costretta a impedire l’accesso a
it.rojadirecta.eu, ma dovrà anche impedire in futuro l’accesso a tutti i siti
con il nome rojadirecta all’interno del
dominio. Siti come questo, infatti, sono
soliti spostarsi saltando da un dominio
ad un altro, ma in questo caso il giudice
ha stabilito che non va colpito il dominio ma il sito stesso: che sia .eu, .food
o .rock poco importa, siamo sempre di
fronte allo stesso sito e non dev’essere
assolutamente raggiungibile.
Fastweb deve mettersi in regola, altrimenti sarà costretta a pagare una multa
di 30.000 euro per ogni giorno di ritardo o ogni giorno in cui il sito tornerà
visibile. Solitamente gli operatori utilizzano il blocco dei DNS, misura questa
facilmente aggirabile utilizzando DNS
pubblici come quelli di Google. Il giudice che ha emesso il verdetto non era
ovviamente un tecnico e non è entrato
nei dettagli (DNS, proxy, IP), ma sembra
che comunque sia ben evidenziata nella sentenza l’indicazione che Fastweb
deve “adottare la migliore soluzione
tecnologica possibile per impedire l’accesso al servizio”. L’operatore potrebbe
quindi scegliere, per essere più sicu-
ro, un filtro decisamente più efficace,
un blocco sull’IP o sulla parola stessa
“rojadirecta”. Sta infatti a lui controllare
se il sito si sposta di dominio o se apre
dei siti paralleli: nel caso in cui solo uno
di questi risulti nuovamente accessibile
ai clienti, scatta la sanzione giornaliera.
Una soluzione, quella del filtro sul nome
o sull’IP, che se venisse adottata anche
da tutti gli altri provider italiani potrebbe
davvero porre fine alla piaga del calcio
gratis via internet.
Haier lancia
i TV entry level
con Android
Haier annuncia l’arrivo in Italia
della nuova serie di TV LCD a LED
U5000A, composta da modelli da
32, 40, 43 e 49 pollici. Per questa
serie, Haier ha deciso di montare
pannelli full HD, ma puntando sulla
retroilluminazione direct LED - che
presumiamo stia a indicare una
configurazione di tipo “full” LED,
in contrapposizione ai classici LED
edge - e soprattutto sulla piattaforma di Smart TV basata su Android.
In questo caso non si può parlare
propriamente di Android TV, visto
che Haier utilizza Android 4.4 come
base per la sua piattaforma, ma c’è
comunque il Google Play Store, con
la possibilità di scaricare non solo
applicazioni, ma anche film e musica. I nuovi TV sono naturalmente
dotati di Wi-Fi integrato, tuner digitale terrestre anche DVB-T2 e funzione
di PVR e Time Shift collegando dischi
alle porte USB. Contenuti i prezzi,
compresi tra i 349 euro del 32 pollici
e i 649 euro del 49 pollici.
TV E VIDEO I modelli di TV Ultra HD consumano di più e la bolletta della luce diventa “più pesante”
Passare ai TV Ultra HD costa 1 miliardo di dollari
Un’indagine americana rivela che i TV UHD consumano il 30% in più rispetto ai TV Full HD
MAGAZINE
di Michele LEPORI
Estratto dal quotidiano online
C

irca 1 miliardo di dollari in più:
è questa la stima che la NRDC
(National Resources Defense
Council), organo di controllo americano
che vigila sulla difesa delle risorse energetiche, rilascia ai consumatori e che avvisa circa i consumi extra che un TV UHD
andrebbe a portare in bolletta rispetto ai
più diffusi TV Full HD. Niente che non
si potesse prevedere vista la dotazione
tecnica, ma pur sempre un aspetto che
si considera raramente e sul quale l’NRDC vuole invece porre l’accento.
I conti che l’NRDC fa in tasca ai 300
milioni di americani in possesso di un
TV è facile: le stime di acquisto parlano
chiaro, e la quasi totalità di coloro che
cambieranno un TV con diagonale maggiore di 36” andranno su un modello ad
altissima definizione. Calcolatrice alla
mano, il documento rilasciato stima che
ci sarà una crescita di kWh di +8 miliardi
torna al sommario
www.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago,
Alessandra Lojacono, Simona Zucca
(3 volte il consumo annuale di una città
come San Francisco), +1 miliardo di costi
di gestione elettrica per il consumatore
e 5 milioni di metri cubi di extra di diossido di carbonio emesso dall’incremento
di consumo elettrico. Un impatto ambientale notevole, amplificato dai grossi
volumi del mercato americano ma che si
andrà a sommare con quello europeo e
- soprattutto - dei giganti asiatici. Fuori
dalla stima ci sono le TV dotate di HDR:
per questi modelli il contatore elettrico
dovrà fare degli ulteriori straordinari.
Gli organi di controllo americani, Energy Star in prima fila, sono al lavoro per
delle certificazioni e delle restrizioni da
imporre ai produttori, ma la strada delle
nuove tecnologie UHD sembra difficilmente percorribile al fianco di consumi
completamente ecosostenibili.
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
P.I. 11967100154
Per informazioni
[email protected]
Per la pubblicità
[email protected]
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Chassis tutto in alluminio, dual Sim, 3 e 4 GB di RAM per ultimo nato in casa Huawei
Display
da
6’’
e
look
di
classe
per
il
Mate
8
Prezzi in Cina a partire da 2.999 yuan (442 euro), al momento non si sà se lo vedremo in Italia
di Pierfrancesco PETRUZZELLI
X
Huawei ha presentato in Cina il
successore di Ascend Mate 7, ovvero il Huawei Mate 8 Dual Sim. La
prima cosa che salta all’occhio in questo nuovo modello è lo spessore infinitesimale delle cornici laterali, cosa che
ovviamente mette in risalto lo schermo
LCD IPS da 6 pollici con risoluzione Full
HD. Si tratta dunque di un modello dedicato a chi cerca un phablet dal look
di alta gamma e specifiche tecniche
importanti: non per niente il case è completamente in alluminio e con almeno 4
varianti di colore disponibili al momento
del lancio.
La fotocamera posteriore è equipaggiata
con un sensore Sony IMX298 da 16 megapixel e doppio flash, sotto alla quale è
stato posizionato un lettore d’impronte
digitali. Per quanto riguarda il processore sono state confermate le indiscrezioni, si tratta del nuovo HiSilicon Kirin 950
octa-core a 64bit con una frequenza di
2.2 GHz, mentre per la RAM esisteranno
due varianti, da 3 e 4 GB. i primi benchmark confermano prestazioni superiori
Xiaomi ha annunciato
uno smartphone
Android con design
metallico, sensore
di impronte, schermo
Full HD e una batteria
da 4000 mAh
di Paolo CENTOFANTI
anche al nuovo Samsung S6. Il Mate 8
è equipaggiato con Android 6.0 Marshmallow in versione personalizzata dal
produttore cinese.
Per il momento le informazioni circa il
lancio sul mercato sono scarse, il dispositivo sarà disponibile in Cina a partire
dal primo trimestre del 2016 con dei
prezzi che partono dai 2.999 yuan (442
Euro) e variano a seconda del quantitativo di RAM e memoria interna fino ad
arrivare ai 4.399 yuan (649 Euro) per la
versione con 4 GB di RAM e 128 GB di
storage. Ulteriori notizie saranno rilasciate durante il prossimo CES di Las
Vegas (6 – 9 gennaio).
MOBILE Una ricerca del MIT ha evidenziato il consumo anomalo di dati da parte di app Android
Troppe app Android consumano dati di nascosto
In molti casi, la metà dei dati scambiati durante l’utilizzo non è utile al funzionamento
di Massimiliano ZOCCHI
L

a sicurezza dell’ecosistema Android è stata molte volte nell’occhio del ciclone, e anche una recente ricerca del MIT è destinata a far
discutere. I ricercatori, basandosi su un
campione di 500 app tra le più popolari, hanno scoperto che circa il 50% dei
dati scambiati durante l’utilizzo è inutile
torna al sommario
Il nuovo Xiaomi
Redmi Note 3
ha una mega
batteria e costa
pochissimo
al funzionamento stesso dell’applicazione. Molti dati in entrata e in uscita
spesso sono utilizzati da sistemi di diagnostica o di precaricamento in caso
la connessione cada improvvisamente.
Fin qui tutto normale, se non fosse che
lo studio ha messo in risalto come a volte questi pacchetti di dati vadano a finire su server esterni. Un caso eclatante
posto come esempio è l’app dei grandi
magazzini Walmart. L’applicazione consente di effettuare uno scan dei codici
a barre dei prodotti in vendita per ottenere informazioni. Analizzando però il
flusso dei dati, all’MIT hanno scoperto
che ogni volta che questa funzione viene utilizzata l’app effettua un collegamento con dei server in qualche modo
legati ad ebay. Da qui a sospettare una
raccolta dati sulle abitudini e interessi
dei clienti il passo è stato breve.
Il problema più grosso è che in fase di
installazione non c’è nessun avviso per
l’utente di questi collegamenti esterni,
ed è quindi impossibile evitarli, come
anche probabile che qualche sviluppatore poco onesto possa approfittarsene.
Curiosamente i ragazzi dell MIT hanno
anche scoperto che nella maggior parte
dei casi, tagliando queste comunicazioni non volute, la funzionalità delle app
non ne risente affatto.
Xiaomi alza l’asticella della qualità dei suoi prodotti con Redmi
Note 3, un nuovo smartphone
che introduce diverse “prime”
per il produttore cinese. Redmi
Note 3 presenta innanzitutto una
svolta sul fronte del design con
il metallo che sostituisce per la
prima volta la plastica del guscio
posteriore. Ma è anche il primo
smartphone di Xiaomi a essere
dotato di sensore di impronte
digitali. Dal punto di vista del “formato”, il Redmi Note monta un display da 5.5 pollici con risoluzione full HD, sotto il quale Xiaomi
è riuscita a infilarci una batteria
da ben 4000 mAh, mantenendo
un peso di 164 grammi. Per il processore è stato scelto il MediaTek
Helio X10 e lo smartphone sarà
disponibile in due varianti, una
con 2 GB di RAM e 16 GB di memoria integrata, e una seconda
con 3 GB di memoria e 32 GB di
storage. Completano il quadro la
fotocamera posteriore da 13 Megapixel con autofocus a rilevamento di fase e quella frontale da
5 Megapixel. Come sempre popolari per gli standard occidentali
i prezzi, rispettivamente di poco
più di 130 euro per la versione
base e 160 euro per quella top,
ma il Redmi Note 3 sarà venduto
esclusivamente in Cina.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Per chi ha vecchia SIM su Vodafone, la velocità maggiore disponibile resterà il 3G
PosteMobile passa al 4G, ma non per tutti
Il servizio mobile di Poste Italiane passa al 4G LTE, ma solo per chi ha SIM su rete Wind
È
Presentato al CES 2013,
il super tablet Panasonic
da 20’’ è sempre stato
un prodotto business
Ma ora l’aggiornamento
hardware e l’aggiunta
di una HDMI 2.0 lo
trasformano in un ottimo
monitor per applicazioni
video
di Dario RONZONI
tempo di banda ultralarga per PosteMobile, l’operatore telefonico
del gruppo Poste Italiane che ha
aperto ufficialmente al 4G LTE. Primo
operatore virtuale italiano a compiere il
passaggio, PosteMobile non garantirà
tuttavia la banda ultralarga a tutti i suoi
clienti: la connettività ultraveloce sarà
appannaggio dei clienti attualmente in
possesso delle nuove SIM NFC su rete
Wind. Per tutti i possessori delle vecchie SIM basate su rete Vodafone, invece, la velocità maggiore disponibile
resterà il 3G. Nulla di particolarmente
sorprendente, vista la migrazione già
in atto da qualche tempo sulla rete
Wind, che nei piani andrà a gestire nei
prossimi mesi tutto il traffico degli oltre
3 milioni di clienti PosteMobile. Una
migrazione che, soprattutto alla luce
del nuovo servizio 4G LTE, potenzialmente stimolante per la nuova clientela, solleva qualche interrogativo: saprà
la rete Wind offrire una copertura sufficientemente capillare per non far rimpiangere quella di Vodafone? Intanto
sul sito di PosteMobile sono già comparse le prime promozioni dedicate,
di Pierfrancesco PETRUZZELLI
con l’indicazione 4G a caratterizzare i
piani dati inclusi.
MOBILE Microsoft ha presentato un nuovo feature phone a marchio Nokia, il modello 230
Microsoft
lancia
Nokia
230,
anche
Dual
Sim
Ha tastiera fisica, corpo in alluminio e fotocamera da 2 MPixel con flash: prezzo 65 euro
di Pierfrancesco PETRUZZELLI
N

okia ha presentato una coppia
di telefoni cellulari con un form
factor vecchio stile, si tratta del
modelli Nokia 230 e 230 Dual Sim
(l’unica differenza tra i due dispositivi
è appunto la presenza del doppio modulo SIM).
Oltre ad un corpo compatto in alluminio che conferisce un look “premium”,
troviamo una tastiera fisica sormontata da un display da 2,8 pollici con
risoluzione QVGA (240x320), doppia
fotocamera da 2 megapixel con flash
a led e un tasto dedicato per i selfie.
È presente inoltre un modulo FM integrato, Bluetooth 3.0 e una batteria che
dovrebbe permettere fino a 23 ore di
conversazione. Il sistema operativo è
Series 30+ quindi potremmo scaricare
applicazioni come Facebook, Twitter,
Opera Mini etc. da Opera Store, inoltre Gameloft regalerà ai possessori un
gioco ogni mese.
La nota dolente è il prezzo che per
l’Italia dovrebbe essere di 64,90 Euro.
torna al sommario
Il super tablet
Panasonic per
professionisti
del video
Troppo alto se consideriamo che ci sono
smartphone Android o
Lumia che si posizionano poco sopr.
Tuttavia se state cercando un telefono di
facile utilizzo e che sia
solo un telefono, potrebbe essere l’acquisto ideale.
Clicca qui per il video.
Durante il CES del 2013 Panasonic presentò un tablet 4K con uno
schermo da 20 pollici, venduto
ad un prezzo di circa $6,000 e
destinato ad un utenza strettamente business, progettisti CAD
o grafici in primis.
Ed evidentemente il prodotto
ha riscosso un certo successo
perché qualche giorno fa è stata
annunciata una versione aggiornata del Toughpad rivolta soprattutto ai professionisti del mondo
cinematografico. Infatti grazie
a un hardware completamente
rivisto e all’ingresso HDMI 2.0
con HDCP 2.2 il dispositivo può
funzionare da monitor per videocamere e fotocamere Digital Camera 4K con supporto video fino
a 4090×2160 pixel e 60 fps.
Il cuore del Toughpad è il processore Intel Core 7-5600U vPro 2.6
Ghz 4MB cache (fino a 3.2GHz
con Turbo Boost) Broadwell di
quinta generazione e una GPU
AMD FirePro M5100. Per il resto
c’è un SSD da 256 GB e 8GB di
memoria RAM. La scocca rimane
in lega di magnesio quindi adatto all’utilizzo in ambienti umidi o
polverosi, anche se è consigliata
la massima cura verso questo dispositivo dato che il prezzo per la
versione con Windows 10 Pro è di
4.229 dollari.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Gli sviluppatori di applicazioni professionali chiedono di rivedere alcune politiche di gestione dello store applicazioni
L’iPad Pro rischia di diventare un iPad Air Plus
Vendere e creare app professionali è costoso e portarle su iPad Pro non conviene a tutti. Occore cambiare qualcosa
di Roberto PEZZALI
pple, è inutile negarlo, deve parte della sua recente fortuna agli sviluppatori: con iOS prima,
e OSX poi, è riuscita a creare un ecosistema in
grado non solo di arricchirsi, trattenendo il 30% dei guadagni, ma anche di far arricchire tutti coloro che hanno
creduto e hanno sviluppato applicazioni per i suoi prodotti. Ogni nuovo prodotto Apple, dal Watch all’iPad
fino ad arrivare alla nuova Apple TV, hanno attirato gli
sviluppatori desiderosi di rilasciare applicazioni dedicate ai nuovi iDevice, un po’ ovviamente per guadagnare
visibilità, un po’ per aumentare i guadagni sfruttando il
periodo migliore, quello di lancio. Una situazione che
non ha avuto seguito con l’iPad Pro: sfogliando le applicazioni disponibili e ottimizzate per il nuovo iPad di
Apple ci si rende conto subito che le app non sono
poi tantissime. Stiamo parlando ovviamente di app
pensate per il nuovo tablet, perché è bene ricordare
che l’iPad Pro è comunque pur sempre un iPad e funzionano tutte le app destinate ai tablet Apple. Ci sono
un po’ di app Adobe, ci sono ovviamente le applicazioni Apple e non mancano altre applicazioni realizzate
da alcuni partner forti su richiesta e input della stessa
Apple, ma all’appello mancano molte applicazioni di
successo per il Mac. I motivi sono molteplici, e anche
il magazine americano The Verge ha provato nei giorni scorsi a interrogare alcuni sviluppatori per sapere
se l’iPad Pro per loro rappresentasse una opportunità
oppure un qualcosa di cui si può semplicemente fare
a meno, trattando semplicemente l’iPad Pro come un
iPad più grande.
Il problema dell’iPad Pro sembra essere proprio la parola “Pro”: Apple ha messo sul mercato un prodotto
con prestazioni incredibili e uno schermo superlativo,
dedicato ad una utenza evoluta, un tablet che può sostituire all’occorrenza il notebook per diversi utilizzi in
mobilità, dal disegno alla progettazione al fotoritocco.
“Pro” sta per professionale e produttività, due concetti
che non possono vivere però solo di ottimo hardware: il software e le applicazioni, in questi casi, fanno la
differenza. Apple è stata bravissima negli ultimi anni
a convincere i consumatori che si possono spendere
A
uno o due euro per acquistare ottime app, ma nel caso
dell’iPad Pro le cifre in gioco sono decisamente più
alte, con programmi che richiedono anche una spesa
ingente. Le licenze dei software dedicati ad applicazioni “pro” costano, motivo per il quale oggi si sceglie
spesso di puntare su modelli di business dove, a fronte
di un canone mensile, si possono sfruttare tutte le funzionalità di un programma e si ha accesso, in tempo
reale ad ogni aggiornamento rilasciato. Una politica
questa che Adobe e Microsoft hanno sfruttato molto
bene con la Creative Cloud e Office, ma non sempre
l’abbonamento mensile è la soluzione.
Alcune discussioni pubblicate sui blog di alcune software house, oltre ad alcune diatribe all’interno del forum dedicato proprio allo sviluppo di Apple, mettono in
evidenza una serie di problematiche che ad oggi non
sembrano così facili da superare senza un aiuto da parte di Apple. Le policy per il caricamento di applicazioni
iOS all’interno dello store, che sono uguali per tutti i tipi
di dispositivo, vietano infatti alcune pratiche che sarebbero decisamente interessanti in ambito “pro”. Creare
una applicazione per iPad Pro, soprattutto per piccole
aziende, non è oggi affatto facile per diversi motivi, e
questo rappresenta senza dubbio un ostacolo alla crescita dell’ecosistema “pro” dell’iPad.
Serve una versione demo
Per far provare le app costose
Partiamo dal prezzo: alle persone piace ottenere tutto
e gratis, pagare le applicazioni non piace a nessuno.
Ci sono prodotti, in ogni caso, che vengono pagati e
hanno anche avuto performance di vendite incredibili,
anche se il prezzo pagato resta sempre di pochi euro.
Una applicazione di disegno seria non può costare
qualche euro: Sketch Up, una delle applicazione più
note per chi disegna wireframe e prototipi di applicazioni, viene venduta per OSX a 99$, e la versione per
iPad Pro, con le stesse funzionalità, non può costare
certo di meno.
Gli sviluppatori vorrebbero in molti casi poter offrire
delle trial a tempo complete, ma la policy di Apple non
permette la creazione né di trial né di versione demo
a scadenza. La soluzione è giocare con gli app-in-purchase, ma offrire un prodotto a metà è diverso dall’offrire un prodotto completo in tutte le sue funzioni per
una valutazione seria. Questo non ci sembra un grossissimo problema: Apple ha semplificato le procedure
di rimborso per un acquisto errato o per mancata soddisfazione e si può sempre realizzare una applicazione
completa con il blocco sulle possibilità di salvataggio e
condivisione del lavoro fatto.
Non si possono creare app di sviluppo

Un’applicazione può costare anche 50 euro
e valere tranquillamente tutti i soldi spesi
torna al sommario
Le app Adobe per iPad Pro permettono di provare
alcune funzionalità. Poi serve l’abbonamento
Più credibile, invece, la lamentela sulla impossibilità di
eseguire codice dinamico all’interno di una applicazione: Apple ha preso alcune precauzioni per migliorare
la sicurezza di iOS, ma alcune regole impediscono di
sviluppare software per iPad Pro destinati agli sviluppatori. Apple non può quindi rilasciare una versione
per iPad di XCode, e allo stesso modo non si possono
segue a pagina 14 
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Dopo i Bitcoin ecco arrivare un’altra valuta virtuale, basta camminare per “fare soldi” MOBILE
Con BitWalking più cammini più guadagni
Servono solo un paio di gambe allenate: ogni 10.000 passi si guadagna un Dollaro Bitwalking
di Dario RONZONI
I
n tempo di crisi galoppante, ha ancor
più senso ideare metodi alternativi di
guadagno. In pochi però avranno pensato a uno dei più semplici gesti della
nostra quotidianità: camminare. L’israeliano Nissan Bahar e l’italiano Francesco
“Franky” Imbesi hanno raccolto oltre
10 milioni di dollari da investitori in massima parte giapponesi per dar vita al
progetto BitWalking, una nuova valuta
virtuale che si crea… camminando.
Con gli ormai collaudati BitCoin servivano computer, possibilmente potenti,
per completare le azioni di mining che
portavano alla “creazione” di valuta. Con
i dollari BitWalking basterà una specifica app installata sullo smartphone, che
trasformerà i passi dell’utente in valuta.
Al momento il tasso di cambio è fissa-
to indicativamente a
10.000 passi (circa 8
km) per 1 BW$. I dollari
BitWalking guadagnati
potranno essere spesi in acquisti online o
convertiti in denaro
corrente secondo modalità ancora da definire. Il colosso giapponese dell’elettronica
Murata è impegnato nella progettazione
di un braccialetto che, in alternativa alla
combinazione smartphone-app, determinerà il numero di passi completati dall’utente convertendoli in BW$.
I fondatori del progetto, già autori di Keepod, la chiavetta USB Android da 10 euro
in grado di “parassitare” l’hardware di un
PC per funzionare, intendono cavalcare
con BitWalking il trend del fitness, tematica particolarmente sentita in questi anni
specialmente nei Paesi occidentali dove
il problema dell’obesità è ormai una piaga sociale. La partnership con marchi di
sportswear è lo sbocco commerciale più
naturale, ma potrebbero partire anche
interessanti campagne di sensibilizzazione nei Paesi in via di sviluppo, dove
un paio di gambe sono spesso l’unico
mezzo di locomozione disponibile. E
perché non trasformare le lunghe camminate verso scuole e luoghi di lavoro in
opportunità di guadagno?
Watch Urbane 2
ritirato a causa
del display?
LG ha annunciato l’interruzione delle
vendite della seconda edizione di
Watch Urbane, lo smartwatch dotato
di connettività LTE. Chi l’ha acquistato negli Stati Uniti lo può tenere
o eventualmente manifestare ad LG
la propria intenzione di restituirlo. Il
motivo del ritiro non riguarda problemi
di sicurezza: parlando al Telegraph, LG
ha rilasciato qualche indizio sull’accaduto accenando a un componente
inadatto a soddisfare gli stringenti test
qualitativi di LG, capace di portare a un
degrado nella qualità d’immagine nel
corso del tempo. Interpretando questa
affermazione si potrebbe pensare a un
problema di burn-in del display, anche
perchè la riproduzione di immagini
statiche per lunghi periodi fa parte di
questa tipologia di prodotto.
MOBILE
iPad Pro rischia di diventare un iPad Air
segue Da pagina 13 
realizzare IDE per altri ambienti operativi. Se il Mac è
oggi il computer preferito per chi sviluppa, l’iPad Pro
non può sostituirlo in alcun modo, neppure per mostrare progetti di siti che girano il locale sull’iPad stesso.
Update solo gratis
Non si premiano i clienti fedeli

Il problema più grosso in ogni caso è quello relativo
agli update: Apple oggi non permette gli update a
pagamento delle app, e se questo è un bene per le
applicazioni destinate ad iPhone o iPad non è necessariamente un beneficio su iPad Pro. Mantenere e aggiornare app professionali costa, e se il semplice bugfix
dovrebbe essere garantito a tutti in modo gratuito, una
major release andrebbe pagata il giusto. Ad oggi chi
vuole rilasciare un aggiornamento della propria applicazione può farlo gratuitamente oppure può rilasciare
una nuova app, chiedendo di pagare il prezzo intero
per la nuova versione. Una politica questa che non
permette di proteggere coloro che hanno magari acquistato tutte le versioni precedenti: il prezzo è uguale
per tutti. Anche qui, sfruttando gli acquisti in app, si può
in qualche modo ovviare alla problematica ma è chiaro
che non è affatto la stessa cosa: gli AIP sono nati per
aggiungere funzionalità ad un gioco o ad un software
pagando solo quello che serve. Nel caso dell’iPad ci
sono stati casi dove una software house, rilasciando
una nuova versione dell’app, ha impostato un prezzo
più basso per i primi giorni facilitando l’upgrade, ma
così facendo dello sconto ne hanno beneficiato anche
torna al sommario
Le app sono legate al disegno: non è possibile creare editor per lo sviluppo o tool che eseguono codice
coloro che non avevano mai comprato alcuna versione
precedente. Uno sviluppatore che vende una applicazione da 100 euro non può rilasciare una nuova versione facendola pagare ancora 100 euro, ma non può
neppure permettersi di mettere in vendita la versione
nuova a 29 euro per una settimana.
Il 30% di percentuale non è troppo?
Apple ha sempre ascoltato gli sviluppatori, e non è
escluso che con il prossimo iOS 10 possa prendere
qualche decisione per dare vantaggi a chi sviluppa
app per iPad Pro. Resta un’ultima questione spinosa,
ed è forse questa quella che gli sviluppatori, senza
dirlo apertamente, vorrebbero in qualche modo cambiare: Apple si tiene il 30% di ogni acquisto fatto tramite app-store. Una percentuale secondo alcuni giusta,
secondo altri troppo elevata: nonostante la presenza
del Mac App Store, molte aziende su OS X continuano
a vendere i software direttamente dal loro sito per guadagnare il 100% su ogni software venduto. Opzione,
questa, che non può esistere su iOS per ovvi motivi.
Apple ha un problema da risolvere se non vuole che il
suo iPad Pro diventi un iPad Air Plus ma con un qualcosa in più che va oltre il grande schermo e le prestazioni
elevate. Questo non può ovviamente farlo da sola, ma
deve trovare il modo di far guadagnare adeguatamente gli sviluppatori che non si limitano a produrre un giochino da pochi euro, ma che perdono anche anni per
realizzare applicazioni di un certo livello che valgono
effettivamente quello che viene chiesto. Esistono applicazioni che su Mac App Store, nonostante il prezzo
richiesto, sono vendutissime e insostituibili: molte di
queste, se non ci sarà una apertura di Apple, rischiano
di non sbarcare mai su iPad Pro.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
GADGET Lo smartwach di Fossil è disponibile in Europa a 299 €, si attendono notizie per l’Italia
Fossil Q Founder, look classico e Android Wear
Buon bilanciamento tra un orologio tradizionale e uno smartwatch, è dotato di certificato IP67
di Emanuele VILLA
ossil, noto marchio americano di
abbigliamento, orologi e accessori, ha annunciato qualche mese fa
il lancio del suo primo smartwatch, un
modello che vuole coniugare il look
tradizionale - cui quasi nessuno riesce
a rinunciare - con tutte le funzionalità
smart di questo periodo. A differenza
di molti competitor dell’industria orologiera, però, non si è limitato a realizzare un modello classico con Bluetooth, contapassi e poco altro ma ha
basato Q Founder su Android Wear. Q
Founder, che è disponibile negli store Fossil di Francia, UK e Germania,
costa 299 euro ed è completamente
realizzato in acciaio inossidabile, con
tanto di certifica IP67 per le immersioni in acqua fino a un metro. Il quadrante è da 46 mm, mentre il cuore tecnologico è formato da un processore
New Balance annuncia
la prima scarpa da
corsa stampata in 3D
e promette durata,
flessibilità e soprattutto
peso ridotto
F
FOTOGRAFIA
Nikon
annuncia
lo sviluppo
della reflex D5

Nikon ha “annunciato” quella
che sarà la nuova ammiraglia
dedicata ai fotografi professionisti,
l’evoluzione della D4. Le virgolette
sono d’obbligo in questo caso,
perché il comunicato di Nikon è di
quanto più vago ci possa essere: la
notizia è che la nuova fotocamera,
chiamata guarda un po’ D5, è in
programma ed è in fase di sviluppo.
Non c’è nemmeno un indizio su
cosa aspettarci, ma le indiscrezioni
comunque ci sono e parlano di
sensore full frame con risoluzione
che passa da 16 a 20 Megapixel,
sensibilità ISO fino a 102.400 e
scatto continuo a raffica a 15 fps a
piena risoluzione contro gli 11 della
D4. Anche il supporto per il video
4K sembrerebbe essere scontato,
considerando che si tratta di una
macchina che vedrà la luce nel
2016 o forse ancora più avanti, in
un’era in cui anche i modelli consumer offrono questa possibilità.
torna al sommario
New Balance
stampa in 3D
la scarpa
da corsa perfetta
di Franco AQUINI
Atom con 4 GB di memoria di storage
e Bluetooth 4.1 per la connettività allo
smartphone. Non mancano una batteria in grado di gestire il carico di una
giornata di utilizzo e i classici sensori
come l’accelerometro, il giroscopio e
il sensore di temperatura che lo ren-
dono utilizzabile anche come Fitness
Tracker. A livello software, Q Founder
è basato su Android Wear e ne supporta pienamente le funzionalità, dal
controllo vocale alla gestione delle
notifiche, della musica e delle app
compatibili.
GADGET Un prodotto da utilizzare in campo ospedaliero
Google pensa a un tracker medicale
F
di Pierfrancesco PETRUZZELLI
orse non tutti sanno che Google (o meglio Alphabet) ha al suo interno un laboratorio “segreto” denominato X Lab dove vengono sviluppate importanti
tecnologie non strettamente legate al mondo dei servizi web. Il progetto più
famoso attualmente in sviluppo è quello dell’automobile a pilota automatico, la
famosa Google Car, tuttavia oggi sono trapelati ulteriori dettagli circa un tracker
medico, il cui nome in codice è Capicola. Nello specifico si tratterebbe di un
dispositivo da utilizzare in campo ospedaliero, simile a uno smartwatch ma che
all’occorrenza può essere rimosso dal cinturino, che oltre a misurare il battito
cardiaco consente di rilevare temperatura corporea, il livello di luce e quello dei
rumori ambientali. Certamente il fine di Alphabet non è quello di realizzare un
oggetto bello da vedere, visto che dalle foto (che sono al vaglio della FCC americana) sembra uno smartwatch di primissima generazione, ma qualcosa di utile
e pratico, che potrebbe trovare applicazioni in ambito ospedaliero nel prossimo
futuro. Per il momento non si hanno altre informazioni, se non che Google sta
cercando un partner per partire con la produzione già dalla prossima estate.
Può sembrare esagerato ma
spesso, dietro una scarpa da corsa, c’è più ricerca e tecnologia
che in uno smartphone di ultima
generazione. È sicuramente il
caso degli ultimi due annunci di
due giganti del settore, prima
Adidas con le sue Futurecraft 3D
e poi New Balance, che annuncia la collaborazione col team di
3Dsystems, azienda specializzata
in questo tipo di stampa. Quando
parliamo di stampa ovviamente
ci riferiamo all’intersuola, che
viene prodotta tramite una nuova
polvere chiamata DuraForm Flex
TPU. La polvere, in grado di subire grosse deformazioni elastiche,
viene utilizzata per realizzare
la fitta struttura ad alveare che
compone l’intersuola. In questo
modo, secondo l’azienda di Boston, dovrebbe garantire ai runner il bilanciamento perfetto tra
flessibilità, longevità, resistenza e
leggerezza. In poche parole, l’oggetto del desiderio per ogni podista che si rispetti. New Balance
conta di presentarne un’edizione
limitata al prossimo CES 2016,
iniziando la commercializzazione non prima di aprile a Boston
e successivamente nella propria
catena di negozi ufficiali in tutto il
mondo. Nulla è stato detto ancora a proposito del prezzo. Certo
di tecnologia ce n’è tanta, ma la
speranza è che non venga sconfessato il binomio tra stampa 3D
e basso costo.
P5 Wireless.
Abbiamo eliminato
il cavo ma il suono
è rimasto lo stesso.
P5 Bluethooth, musica in mobilità
senza compromessi con 17 ore di
autonomia e ricarica veloce per
performance allo stato dell'arte. La
solita qualità e cura nei materiali di
Bowers & Wilkins adesso senza fili
grazie alla nuova P5 S2 Bluetooth.
www.audiogamma.it
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
PC Acer ha presentato in Italia il PC che si compone come il Lego. Prezzo a partire da 229 euro
Acer presenta il PC modulare Revo Build
Arriva a gennaio in 2 configurazioni, ma i “mattoncini” extra arriveranno qualche mese
D
di Emanuele VILLA
opo la presentazione a Berlino, arriva finalmente in Italia Revo Build,
il PC modulare con cui Acer punta
sull’innovazione. Per chi non lo conoscesse (consigliamo comunque la lettura dell’approfondimento dell’IFA), Revo
Build è un mini PC basato su Windows
10 i cui moduli possono essere personalizzati con una certa libertà dall’utente
e si agganciano magneticamente uno
sull’altro. Il concept è analogo a quello
di Project Ara di Google - che peraltro
non si è ancora visto sul mercato -, nel
senso che l’utente sceglie una base tra i
2 o 3 modelli disponibili e poi vi aggiunge i moduli che ritiene importanti per la
propria esperienza di utilizzo. Questo si
sapeva: la novità è che Revo Build arriverà in Italia a gennaio (niente Natale,
ahimè) nelle due configurazioni base,
una con processore Celeron N3050U da
1.6GHz, 2 GB di RAM e 32 GB di storage
a stato solido, e l’altra identica ma con
Pentium dual core. Il prezzo di base è
estremamente contenuto, in virtù delle
specifiche, e parte da 229 euro per la
versione Celeron. Più avanti nel 2016,
Allestire un server
con 1 TB di RAM
è possibile grazie
alla nuova tecnologia
di Samsung che riesce
a infilare ben 128 GB
in un modulo DIMM
di Paolo CENTOFANTI
indicativamente un paio di mesi dopo,
arriverà la versione più potente con Core
i3 Skylake e saremo però nell’ordine dei
450 euro, nonostante per questo non sia
ancora fissato lo street price definitivo.
Insieme a questa versione “Premium”
arriveranno anche i moduli aggiuntivi,
quelli che incastrano magneticamente
ed espandono le potenzialità del PC. Al
momento ne sono previsti di 3 tipi: l’hard
disk da 1 TB, con possibilità di aggiungerne più di uno fino ad arrivare a 4 TB,
la scheda video AMD (non meglio precisata, al momento) e il modulo audio, con
DAC e altoparlanti integrati. L’idea resta
sicuramente interessante: con Revo Build Acer vuole realizzare un mini PC di
costo contenuto e versatilità interessante, con in più specifiche tecniche adatte
all’utilizzo di tutti i giorni. Niente di professionale o potentissimo, ma l’aggiunta
di molto storage lo rende impiegabile
anche come piccolo server domestico,
così come la scheda video dedicata lo
trasforma in una piccola postazione da
gaming. Ma attenzione a non chiedergli
troppo: per chi prende il gioco come una
sfida, Acer ha i Predator, non il Revo.
PC Apple starebbe lavorando a una nuova versione del modello entry level della gamma MacBook
Il MacBook Air si rinnova: design ancora più sottile?
Il nuovo Mac sarà più sottile e potrebbe essere disponibile anche con display 15 da pollici
di Paolo CENTOFANTI
Nonostante Apple abbia presentato un nuovo notebook ultra
leggero con il nuovo MacBook
con display retina, a quanto pare c’è
ancora spazio nella gamma MacBook
per un nuovo modello di Air. Secondo
indiscrezioni che arrivano dall’ambiente dei grandi assemblatori cinesi, infatti, Apple avrebbe intenzione di lanciare
verso giugno un nuovo MacBook Air
completamente ridisegnato, ancora più
sottile e con tagli di schermo da 13 e 15
pollici. Pur avendo uno schermo da 12
pollici e un processore di modesta potenza, l’ultimo MacBook presentato da
Apple è comunque un prodotto di fascia
alta, che si posiziona un gradino sopra
sia al MacBook Air che al MacBook Pro
base da 13 pollici. I nuovi MacBook Air
andrebbero quindi sempre a posizio-

G
torna al sommario
È di Samsung
il primo modulo
RAM DDR4
da 128 GBE
narsi come modelli entry level, magari
mutuando qualche aspetto costruttivo
dal modello retina, che continuerebbe
invece a rimanere un prodotto votato
all’ultra portabilità. È lecito aspettarsi a
questo punto anche un rinnovo della
gamma Pro, magari per tornare a essere un prodotto di fascia più alta rispetto
al piccolo MacBook da 12 pollici. Ovviamente, trattandosi di indiscrezioni,
siamo ancora nell’ambito della pura
speculazione.
Anche se ne parliamo spesso per i
suoi TV e smartphone, Samsung è
in realtà uno dei più grandi produttori di memorie al mondo, nonché
una delle aziende che porta più
innovazione in questo settore. Un
esempio? Samsung annuncia oggi
l’inizio della produzione di massa del primo modulo di memoria
DIMM DDR4 con una capacità di
128 GB. Avete letto bene, 128 GB
su un singolo modulo. Ciò è stato
reso possibile da una tecnologia
denominata “through silicon via”
(TSV) che permette di impilare uno
sull’altro diversi chip di memoria
RAM e di connetterli verticalmente tramite dei micro connettori. Il
modulo è composto da 144 chip di
memoria DDR4 a 20 nm, raggruppati in 36 blocchi da 4 GB, ognuno
con il proprio buffer per migliorare
le prestazioni dell’intero modulo
DIMM. La RAM ha una velocità di
trasferimento dati di 2400 Mbit/s
e permette un risparmio del 50%
sui consumi rispetto ai precedenti moduli da 64 GB di Samsung.
Chiaramente al momento non si
tratta di un prodotto pensato per
i computer desktop, ma per i server dei grandi data center, dove la
possibilità di accorpare la memoria
in un unico modulo, non solo permette di moltiplicare la capacità,
ma soprattutto di ridurre notevolmente i consumi di energia.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
PC Asus debutta nel segmento degli stick PC con a bordo ChromeOS, specifiche di livello base
Asus Chromebit trasforma il TV in un PC
Al momento è disponibile per il solo mercato USA. Buono il prezzo: costa solo 85 dollari
di Franco AQUINI
nche Asus tenta la strada degli
Stick PC, ovvero un vero e proprio
computer contenuto in un box dalla
forma di una memory stick. Lo fa però in
maniera diversa da Intel, ovvero mettendo a bordo ChromeOS. Il sistema operativo di Google è basato su Chrome e permette l’uso delle Google App e di tutta la
costellazione di applicazioni presenti sul
Chome Web Store. Pur integrando un file
manager per caricare su Google Drive (il
servizio di storage e modifica documenti
della suite), ad esempio, dei documenti
presenti su una chiavetta USB, non è
paragonabile a un sistema operativo
desktop vero e proprio. Tuttavia può essere un dispositivo molto utile per rendere Smart un TV che non nasce tale.
Per capire se può fare al caso nostro o
meno, basta fare una semplice considerazione: se si sta cercando qualcosa che
permetta di utilizzare un servizio web
sulla TV, allora può servire. Mostrare
foto e video agli amici, ad esempio, un
evergreen che spesso crea più di un
grattacapo se la serata è improvvisata.
In questo caso, se sono state assicurate
le vostre foto ad un servizio cloud come
Nella gamma di CPU
in arrivo nel corso
del prossimo anno
spicca il Core i7-6950X
dotato di ben 10 core
con frequenza di 3 GHz
A
di Francesco FIORILLO
Google Foto (ma ce n’è a disposizione
un’infinità), per 85 dollari potrete navigare il vostro catalogo di foto con tastiera e
mouse (da comprare a parte e collegare
al Chromebit via USB). Oppure potreste
giocare a qualche videogame, guardare i
contenuti di YouTube, per non citare l’ormai onnipresente Netflix. Ma attenzione,
il processore a bordo è un Rockchip, che
appartiene a una famiglia di processori
relativamente giovane e non troppo potente. Il tutto è accompagnato da 2 GB di
RAM e 16GB di spazio di archiviazione, il
che significa che non potrete esagerare
con troppe tab aperte o video in alta risoluzione. Se state pensando a questa
Chromebit come al dispositivo perfetto
per guardare film in 4K, probabilmente
non farà al caso vostro.
Piuttosto, se l’unica cosa che interessa è
la possibilità di fare lo stream di contenuti da uno smartphone o un tablet verso la
TV, meglio tenere in considerazione una
Chromecast che permette, senza velleità da computer, di ottenere un risultato
molto simile per 39 euro. Asus Chromebit è disponibile per ora negli Stati Uniti
al costo di 85 dollari.
PC AOC rivela il nuovo monitor 24 pollici con risoluzione Ultra HD, il prezzo è interessante
Ecco il monitor AOC con 4K e HDMI 2.0 a 399 euro
Grazie alla connessione HDMI 2.0 sarà possibile utilizzare il monitor anche con altre sorgenti
di Franco AQUINI
G

razie a questo monitor di AOC,
il 4K diventa realmente alla portata di tutti. Con 399 euro ci si
porta a casa un pannello da 24’’ PLS
Ultra HD, ovvero un IPS capace di un
angolo visuale ulteriormente esteso e
dalla luminosità di picco superiore, nonostante i costi produttivi leggermente
inferiori. Confermata la presenza di Display Port 1.2 e HDMI 2.0 con supporto
HDCP, per quanto non sia chiaro se si
tratti della versione 2.2, l’unica in grado di supportare gli UltraHD Blu-ray di
prossima uscita. In effetti non si tratta
di un dettaglio trascurabile, visto che si
tratta dell’unico supporto fisico (esterno) in grado di sfruttare la risoluzione
dello schermo.
torna al sommario
Svelate le prime
specifiche della
famiglia CPU
Intel Broadwell-E
Anche se sono
ancora
poche
le periferiche in
grado di sfruttare il 4K, l’unico
vero ambito in
cui può avere un
senso desiderare
un monitor con
questa risoluzione è quello del
PC. Sistemi operativi come Windows 10 o OS X (nelle
sue ultime versioni), sono in grado di
sfruttare la risoluzione di 3840x2160
pixel ingrandendo di due o tre volte la
dimensione dei font e delle icone, in
modo da rimanere comunque leggibili.
Il 4K può essere addirittura quasi indispensabile, se si decide di lavorare con
la fotografia, o anche col video, visto il
diffondersi di periferiche, smartphone
e Action Cam, che sfruttano questa risoluzione. Il monitor AOC U2477PWQ
è già disponibile in Europa, ci auguriamo che il produttore possa far chiarezza sulla compatibilità con i Blu-ray di
prossima generazione.
Sono emersi maggiori dettagli sulle caratteristiche dei processori
Intel Broadwell-E in arrivo il prossimo anno. I nuovi chipset, con tecnologia a 14 nanometri, sono destinati alla fascia di mercato High-End
Desktop Platform. Il Core i7-6950X
sarà dotato di 10 core e 20 thread
e avrà una frequenza base di 3
GHz, in grado di accelerare fino a
3,5 GHz. Confermata la presenza
di 25 MB di cache L3 e la compatibilità con le schede madre LGA
2011-3 con chipset X99 attualmente in commercio. Il Core i7-6900K,
potrà contare invece “solo” su
8 core e 16 thread, oltre a 20 MB di
cache L3. Le frequenze operative
saranno qui più alte, con 3,2 GHz
di base e 3,7 GHz in modalità Turbo Boost. Infine, le soluzioni Core
i7-6850K e Core i7-6800K avranno
entrambe 6 core e 12 thread, affiancati da 15 MB di cache L3. Il modello 6850K avrà inoltre una frequenza di base di 3,6 GHz, in grado di
accelerare fino a 3,8 GHz, mentre
il 6800K opererà per i 3,4 GHz;
3,6 GHz in modalità Turbo Boost.
Tutti i processori avranno un TDP
di 140 watt e moltiplicatore sbloccato, così come il supporto alle
memorie DDR4 fino a 2400 MHz
attraverso quattro canali. Una delle caratteristiche più attese della
nuova gamma Broadwell, il Turbo
Boost 2, viene dunque confermato. Per quanto riguarda i prezzi il
Core i7-6950X chiederà un esborso economico pari a 1000 dollari, il
prezzo del Core i7-6900K oscillerà
tra i 550 e i 600$, mentre il 6850K
e il Core i7-6800K necessiteranno
rispettivamente di 450$ e di 400$
per esser acquistati. La gamma
Broadwell-E debutterà nel corso
del secondo trimestre del 2016.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
SMARTHOME Il kit di lampade BeON sfrutta il Bluetooth per comunicare con lo smartphone
Ora la casa te la controlla una lampadina
Le lampadine i BeON Home ospitano un modulo smart che tiene sotto controllo l’ambiente
di Michele LEPORI
L
a domotica per tutti ha già fatto capolino da qualche anno nelle nostre
case, con impianti in grado di comunicare con i nostri smartphone ed offrire
i servizi più disparati. Kickstarter, la nota
piattaforma di crowdfunding, ha senza
dubbio sostenuto molti dei progetti che
oggi sono realtà e uno dei più finanziati
dai backer di tutto il mondo è stato BeON
Home, il sistema di lampadine connesse
che non si limitano ad illuminare la casa
a nostro piacimento ma la tengono sotto
controllo e ci avvisano in caso di effrazioni. Le “lampade magiche” da 60W di
BeON Home ospitano un modulo smart
dove normalmente alloggerebbe (in una
lampadina tradizionale) il filo di tungsteno,
e quel sistema è il cuore pulsante delle
attività di sorveglianza e comunicazione:
grazie alla tecnologia CSR Mesh di Qualcomm, il sistema di lampadine allestito in
casa comunicherà via Bluetooth con la
nostra app per iOS ed Android e si terrà
aggiornato in tempo reale sulla situazione nelle varie stanze: movimenti, luce, ma
anche perdite di gas e potenziali incendi.
Display più ampio,
diversi quadranti
e nuove funzionalità
automatiche
contraddistinguono
la nuova versione
di Nest, che dopo
il debutto americano
sta arrivando in Europa
Niente router né hub, quindi: le lampadine hanno una batteria ricaricabile all’interno. Riguardo all’illuminazione vera e
propria, BeON sarà regolabile da remoto,
potrà entrare autonomamente in funzione in caso di blackout e sarà in grado di
replicare un pattern-tipo di accensione e
spegnimento basato su quanto appreso
dalla nostra quotidiana presenza: anche
quando saremo via, quindi, la casa darà
sempre l’impressione di essere abitata.
Dopo la cavalcata su Kickstarter, BeON
arriva in vendita per tutti: in diretta con-
di Emanuele VILLA
correnza con il sistema Hue di Philips, lo
starter kit arriva nei negozi con 3 lampade a 199 dollari, ed ogni lampada extra
sarà acquistabile per ulteriori 75 dollari.
SMARTHOME L’Istituto Space10, in collaborazione con IKEA, studia la tecnologia Heat Harvest
Il calore di una tazza di caffè ricarica lo smartphone
Un sistema può ricaricare qualsiasi dispositivo grazie al calore generato da una tazza di caffè
di Gaetano MERO
P

reparare una calda tisana per
coccolarsi e riscaldarsi un po’ è
uno dei piaceri che spesso ci concediamo durante le stagioni più fredde.
Da oggi la nostra bevanda avrà anche
un’altra proprietà: ricaricare in wireless
i nostri dispositivi portatili.
Non è fantascienza. Questo prodigio
sta diventando realtà grazie a dodici studenti dell’Istituto Space10 di
Copenaghen, merito di una tecnologia
denominata Heat Harvest – letteralmente raccolta del calore. Il principio
di base, come avrete capito, è quello
di raccogliere l’energia termica di tutto
ciò che viene posato su una superficie
dotata di questo sistema, ad esempio
un tavolino da colazione, e trasformarla
in comune energia elettrica da utilizzare a proprio piacimento. Immaginiamo
torna al sommario
Il nuovo Nest
arriva in Europa
a 249 euro
Non ancora
in Italia
dunque di posare
una tazza di latte
bollente sulla scrivania e che il suo
calore ci permetta
di caricare il nostro smartphone.
Il progetto è attualmente in fase
sperimentale
e
tra i partner figura IKEA, il più grande produttore di
mobili e suppellettili del mondo. Sergey Komardenkov, ingegnere dello
Space10, dichiara: “una delle più grandi sfide del nostro tempo è riuscire a
risparmiare energia e, contemporaneamente, acqua in un’ottica di vita
ecosostenibile”. Vihanga Gore, altra
studiosa del team di Copenaghen, aggiunge: “una grande quantità di calore
generata ogni giorno dagli oggetti che
ci circondano viene dispersa. La soluzione può essere quella di recuperare
questa energia e riutilizzarla”
Il problema ha in realtà origini molto
remote, come affermano allo Space10,
ma sono tutti fiduciosi. Le recenti scoperte in nanotecnologia danno grosse
speranze affinché l’Heat Harvest possa
entrare fra qualche anno nelle nostre
case. Sarebbe ottimo per le nostre tasche e per il mondo.
Il nuovo termostato Nest è stato
presentato negli Stati Uniti a settembre ed è finalmente pronto per
il mercato europeo. Purtroppo non
è ancora prevista la commercializzazione italiana, che dovrebbe
arrivare in un secondo momento,
ma resta il fatto che in Olanda, Belgio, Francia e Irlanda il termostato
smart di terza generazione è acquistabile a 249 euro. Nest 3° Gen
offre interessanti novità rispetto al
predecessore: a parte un display
più ampio e definito, ciò che colpisce è soprattutto un nuovo livello
di funzionalità automatiche; stiamo parlando di Furnace Heads
Up, che serve per verificare eventuali problemi di funzionamento
della caldaia e segnalarli in modo
rapido e tempestivo all’utente,
riportando la causa e l’orario del
malfunzionamento, ma troviamo
anche OpenTherm per la gestione intelligente dei consumi di gas
e Farsight, che accende il display
del dispositivo non appena percepisce la presenza di una persona,
mostrando tutte le informazioni
sulla gestione termica della stanza, impostazioni gestite dall’utente
in precedenza. Come anticipato, il
prezzo di listino è di 249 euro: lo
attendiamo anche da noi.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
AUTOMOTIVE Il sistema cancellazione del rumore ideato da Ford debutterà sulla Mondeo Vignale
Nella Ford Mondeo Vignale c’è silenzio totale
L’Active Noise Control è mutuato dalla cuffie audio, riuscirà ad elevare il comfort a bordo?
di Franco ACQUINI
ord dichiara di essere la prima ad
esserci arrivata, i concorrenti potrebbero ribattere che sulle loro vetture non esiste l’esigenza ma tutti sappiamo quanto possa essere invadente il
rumore del motore o della trasmissione
in un viaggio, soprattutto in autostrada.
Perciò ben venga l’ennesimo stratagemma volto ad elevare il comfort acustico
all’interno dell’abitacolo.
Quello che debutterà sulla Mondeo
Vignale, una versione piuttosto esclusiva della berlina tedesca, è un sistema
mutuato dalle cuffie auricolari e dagli
smartphone, che sfruttano uno o più microfoni per cancellare alcune frequenze. In questo caso, ovviamente, quelle
responsabili del rumore. Questo sistema prevederà la presenza di 3 microfoni
all’interno dell’abitacolo, che avranno il
compito di captare i rumori del motore,
della trasmissione e del vento. Il sistema elaborerà poi queste frequenze ed
emetterà delle frequenze opposte in
modo da annullarle. Il tutto non dovreb-
Il gruppo FCA
ha realizzato
una versione speciale
della Fiat 500 elettrica
È completamente
personalizzata
ispirandosi alla divisa
dei soldati della saga
di George Lucas
F
be impattare assolutamente sui suoni
che invece vogliamo sentire, come le
nostre voci o la radio, la musica o le
telefonate che riceviamo sul vivavoce
(ma scommettiamo che c’è chi farebbe
carte false per poter annullare anche la
voce di qualche passeggero).
La mette invece sulla sicurezza alla guida John Cartwright, CMO (Chief Medical Officer) di Ford UK. Secondo lui “Il
rumore è un elemento intrusivo che riduce la capacità di concentrazione del
guidatore e altera le funzioni di analisi
del cervello, incrementando i livelli di distrazione e di stress”. Quindi il sistema
in questione non aiuterebbe soltanto ad
aumentare la silenziosità dell’abitacolo,
ma anche a ridurre lo stress di guida. Ma
siamo certi che alla guida, soprattutto
sulle strade di alcune città, il rumore del
motore sia veramente l’ultima delle fonti
di stress. L’Active Noise Control vedrà la
luce inizialmente a bordo della Mondeo
Vignale, ma in futuro verrà offerto (e saremmo curiosi di sapere a quale prezzo)
su altri veicoli della gamma Ford.
AUTOMOTIVE Un difetto alle cinture di sicurezza obbliga a una massiccia campagna di richiamo
Tesla richiama ben 90.000 Model S. Tonfo in borsa
Il costruttore rassicura i proprietari dell’auto, ma il rischio in caso di incidente è concreto
T
di Dario RONZONI

empi duri per Tesla, il marchio di
Palo Alto impegnato dal 2003 nella produzione di auto elettriche ad
alte prestazioni. Un difetto riscontrato
nelle cinture di sicurezza anteriori di
un singolo modello immatricolato in
Europa ha convinto il costruttore ad
attivare una campagna di richiamo
per le 90.000 Model S vendute nel
Vecchio Continente. “Non ci sono stati né incidenti né feriti”, rassicura la
lettera inviata da Tesla ai suoi clienti,
ma il rischio di problemi in caso di impatto è concreto. Tesla non è nuova a
richiami in massa: già lo scorso anno
29.000 Model S erano state richiamate
per un problema all’adattatore del caricabatterie, soggetto a forte surriscaldamento. L’inconveniente era emerso
in seguito a un incendio avvenuto nel
novembre del 2013 in California.
torna al sommario
Fiat: la 500e
Stormtrooper
è l’auto elettrica
di Star Wars
Inevitabili le ripercussioni in borsa:
venerdì scorso sull’indice NASDAQ il
titolo Tesla ha subito un calo di oltre
4%, prima di risalire parzialmente in
chiusura di seduta. Il problema per il
costruttore statunitense è tuttavia la
prospettiva di lungo periodo: a oggi
le azioni Tesla hanno perso un valore
complessivo di oltre 294 milioni di dollari, un deficit che pesa fortemente sul
futuro di un marchio che ha fatto del
“tutto elettrico” un credo imprescindibile. Come se non bastasse, i contrattempi tecnici minano ulteriormente una situazione già di per sé assai
complicata.
di Emanuele VILLA
Il nuovo episodio della saga di
Guerre Stellari viene celebrato anche al salone dell’auto di
Los Angeles con la presentazione di un esemplare speciale
della Fiat 500 elettrica, modello disponibile solo sul mercato
USA. Per l’occasione il compito
di creare la versione in stile Star
Wars è stato affidato a Lapo
Elkann e al suo Garage Italia
Customs. Il risultato è una vettura tutta bianca e nera piena di
dettagli riferibili ai personaggi di
Guerre Stellari.
Gli interni sono in pelle bianca
con dettagli neri, i vetri sono
coperti con pellicole oscuranti,
i cerchi ruota sono neri mentre
i pneumatici sono realizzati appositamente da Pirelli con una
fascia bianca. la vettura probabilmente resterà un esemplare unico, senza seguiti commerciali.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
AUTOMOTIVE L’entusiasmo per i motori elettrici cresce anche nel mondo delle due ruote, sempre più le aziende ci credono
EICMA 2015, tutte le moto elettriche e smart
Prodotti così spiccatamente tecnologici e avanzati trovano negli smartphone e nel mondo delle app dei compagni ideali
di Massimiliano ZOCCHI
oche settimane fa vi abbiamo parlato del Salone di Francoforte e della crescente attenzione
di tutte le case automobilistiche al mondo elettrico e alla green e smart mobility. Così non ci siamo
lasciati scappare l’occasione di curiosare tra gli stand
di EICMA 2015 per capire se anche le moto stanno attraversando questa rivoluzione. Vi anticipiamo subito
che la risposta è positiva, forse anche sopra le aspettative, e le realtà in campo sono le più disparate e per
ogni categoria di prodotto. Vediamole insieme.
P
La regina è 100% italiana
Alcuni la considerano addirittura una delle novità
più importanti di tutta EICMA. Stiamo parlando di
Energica, azienda 100% italiana che nasce nella Modena Motor Valley. Nata come costola del Gruppo
CRP, attivo da anni nel settore della componentistica
per corse automobilistiche, Energica aveva già stupito
con la sua prima creatura, la Ego. Quest’anno al loro
stand hanno messo in mostra la prima streetfighter
100% elettrica e 100% italiana: Energica Eva. Entrambi
i modelli della casa modenese si caratterizzano per
materiali di alto livello e cura nella progettazione fin
nei minimi dettagli. Sono moto top di gamma a tutti
gli effetti, e lo è anche il prezzo di 25.000 euro più
IVA. Ego è già in commercio da alcuni mesi, anche
se non ufficialmente in Italia, mentre Eva è ormai in
versione definitiva, e le vendite partiranno nella primavera 2016 con un target price dello stesso livello.
Prezzo sicuramente non popolare, ma Energica conta
di abbassarlo con la produzione di massa. Da quello
che ci hanno detto allo stand, i clienti sono già molti
in tutto il mondo con il mercato di riferimento che è la
California, tanto da essersi guadagnata il soprannome
di “Tesla wannabe”. Anche alcuni appassionati italiani
non hanno saputo attendere le vendite ufficiali e si
sono accaparrati una Ego fresca di fabbrica. Dal punto
di vista tecnico, Ego raggiunge la velocità massima di
240 km/h con una coppia di 195 nm disponibile da
zero giri come prerogativa del motore elettrico. L’autonomia può arrivare fino a 150 km a seconda dell’andatura e della mappatura a scelta tra Standard,
Eco, Rain e Sport. Regolabile anche la rigenerazione
elettrica in frenata, tre diversi livelli oppure spenta.
La batteria ha una capacità di 11.7 kWh e raggiunge
la carica completa in circa a 3 ore e mezza, oppure
30 minuti se si può sfruttare la ricarica veloce di tipo
Combo CCS, la stessa delle automobili elettriche delle case tedesche e standard europeo in generale. La
nuova Eva è molto simile, con velocità limitata a 200
km/h, stesse mappature e stessa batteria, che però
in virtù della minore potenza può offrire fino a 200
km in ciclo urbano. Entrambe le moto sono dotate di
connessione Bluetooth, e proprio durante la fiera è
stata presentata l’app dedicata, che tramite anche il
nuovo modulo LTE, offrirà tutti i dati in tempo reale,
permettendo anche di controllare lo stato di ricarica
da remoto.
Anche in Irlanda fanno sul serio
Di sicuro l’Irlanda non è famosa per la produzione delle due ruote, ma oggi arriva una proposta seria e dal
nome inconfondibile: Volt Motorcycles. A differenza di
Energica, il fondatore Colin Darby non ha focalizzato
la sua attenzione solo a moto da strada ma a un catalogo più ampio, dallo scooter urbano fino al maxi
scooter, e infine la Volt 220, una sportiva da strada.
Con un prezzo ancora non comunicato, la Volt 220 ha
sempre un aspetto da super sportiva, anche se è subito evidente che le finiture e i materiali sono inferiori
rispetto alla concorrenza italiana. Ed anche le specifiche tecniche rispecchiano un modello che forse vuole
essere più a buon mercato, anche se il prezzo è ancora sconosciuto. La velocità è limitata a 120 km/h e
l’autonomia a 120 km. La ricarica totale si raggiunge
dopo circa 6 ore, e non ci sono notizie di un eventuale
caricatore fast. Sicuramente non si tratta di una moto
con le caratteristiche che molti appassionati si aspetterebbero ma ci riserviamo di dare un giudizio non appena avremo modo di provarla, perché nonostante la
velocità limitata chi l’ha guidata parla di un’accelerazione bruciante e diverte non poco nelle vie cittadine.
Come detto però la proposta di Volt è molto ampia,
e anche i prezzi comunicati per tutta la gamma sono
decisamente interessanti per la categoria.
Il resto del catalogo di Volt Motorcycles si articola in
quattro modelli di scooter elettrici, dalle crescenti dimensioni e prestazioni.
Si parte dal classico piccolo scooter cittadino, City 60,
con un design spiccatamente retrò ma con linee e colori che convincono. Come normale per la categoria,
la velocità è limitata a 45 km/h e la batteria che si ricarica in 5 ore assicura un range di 90 km. Più che sufficiente per utilizzo cittadino. In linea anche il peso non

segue a pagina 22 
torna al sommario
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
AUTOMOTIVE
EICMA 2015: rassegna moto elettriche
segue Da pagina 21 
eccessivo di 70 kg. Prezzi a partire da 2.569 euro.
Il secondo della famiglia è Volt 70, che per 2.846 euro
offre sempre una dimensione urbana ma con linee più
moderne. Identiche al fratello minore la velocità e la
percorrenza, ma il tempo di ricarica sale a 6 ore, segno che per contrastare il peso maggiore la batteria è
leggermente più grande.
Il modello più interessante è Volt 80. Offre le stesse
caratteristiche di 45 km/h e 90 km di autonomia, ma
ha un design inusuale, un incrocio tra sport e mezzo
da lavoro. Curiose le frecce integrate nel manubrio
che svolgono anche il compito di paramani. Per portarselo a casa occorrono 3.725 euro.
Si arriva infine a Volt 90, il maxiscooter della proposta
irlandese. I km percorribili sono sempre 90, ma la velocità in questo caso sale a 90 km/h. Ovviamente anche il peso sale fino a 115 kg. Il prezzo, tutto sommato
discreto per il suo settore è di 5.660 euro.
Tutti i prezzi indicati sono tasse escluse, e al momento
non c’è un rivenditore ufficiale italiano. Tuttavia sono
molto interessati all’Italia e ci hanno fatto sapere di
poter già organizzare delle prove anche nel belpaese,
nel caso di clienti interessati.
Gogoro, lo scooter del futuro
è già un successo
Vi avevamo già accennato qualcosa in una nostra
news, e quindi non potevamo evitare di fare due
chiacchiere con i ragazzi di Gogoro, presenti in forza
a EICMA 2015. Innanzitutto lasciatecelo dire, l’entusiasmo e il dinamismo di questa azienda è contagiante,
ed è evidente che ci credono tantissimo e sono molto
convinti della bontà del loro prodotto.
Sembra forse più complesso, ma in realtà è semplicissimo e immediato. Le stazioni Gogoro, che sono già
90 a Taiwan, dove il progetto è di casa, non sembrano
affatto complesse mini officine ma piuttosto degli infopoint con tanto di monitor touch screen. Quando ci si
avvicina col proprio scooter, il riconoscimento avviene via wireless senza nessun tipo di autenticazione e
l’operazione è totalmente self service. Basta alzare la
sella, estrarre le due batterie con maniglia e inserirle
negli slot liberi della stazione. A questo punto dopo 6
sencodi esatti (sì, abbiamo assistito e abbiamo contato) vengono proposte altre due batterie già cariche,
si inseriscono al volo, si chiude la sella e si è pronti
a ripartire.
Inoltre ogni volta che si effettua un cambio, il sistema
effettua anche un controllo diagnostico e rileva eventuali anomalie. Il prezzo di Gogoro è di poco più di
4.000 dollari, e si paga poi un canone mensile per
le batterie e le ricariche. Per 50 dollari sono inclusi
cambi di batteria illimitati, e presto verrà introdotta
anche una tariffa più economica per chi invece usa
poco lo scooter e necessita di un numero limitato di
swap batteria.
Un mezzo così non poteva che essere smart infatti ha
una sua companion app che elenca qualsiasi dato disponibile: km percorsi, velocità media, autonomia stimata, e persino una mappa con le stazioni Gogoro più
vicine. Proprio durante l’EICMA Gogoro ha annunciato di aver individuato in Amsterdam il giusto approdo
in europa, per la sua notevole attenzione alla mobilità
sostenibile, ma si sono detti fiduciosi di potersi espandere velocemente in altre città. Per far questo sono
fondamentali le stazioni di sosta, che però hanno il
vantaggio di essere facilmente installabili, sono belle
e non necessitano di personale a presidiarle.
ore aggiungendo i caricatori opzionali. Da notare che
le batterie sono garantite 5 anni oppure 160.000 km.
Dicevamo anche prezzi abbordabili, e infatti sia la
Zero S che la DS partono da 12.800 euro. Per questa cifra offrono rispettivamente 195 km e 177 km di
autonomia. Interessante notare come la S, con tutti
i sovrapprezzi del caso, possa arrivare anche a 317
km. Velocità sempre di poco sopra i 150 km/h. Nelle
versioni base la carica si riduce a quasi 7 ore oppure
fino a 2 ore per via della taglia più piccola.
Completano la famiglia le supermoto Zero FX e FXS,
adatte ad ogni terreno e al divertimento ai massimi
livelli, con un prezzo ancora più interessante: 10.390
euro. La velocità è più bassa, circa 130 km/h e la massima autonomia in ciclo urbano si ferma a 70 km, che
scendono parecchio se ci si diverte un po’. La batteria
è ovviamente più piccola e si carica in 4.7 ore o alla
massima velocità opzionale in un’ora e mezza.
E le grandi? Grandi assenti
Assenti non nel senso di non essere presenti. Tutti i grandi brand delle due ruote erano presenti a
EICMA 2015. I soliti noti, Honda, Yamaha, Ducati,
Suzuki e Kawasaki avevano tutti stand enormi con
modelli in bella vista. Tuttavia nessuna casa, comprese anche MV Agusta, Benelli o Moto Guzzi ha messo in mostra anche un semplice prototipo di mobilità
alternativa al petrolio. Se per paura o per eccessiva
segretezza o per altro non è dato saperlo. Solo due
le realtà che hanno già svelato dei piani futuri: BMW
e Harley Davidson.
Le americane belle e accessibili
Uno degli stand più grandi del settore green è stato
quello di Zero Motorcycles. Partendo da un piccolo
garage a Santa Cruz in California, Zero è in poco tempo diventata una casa di fama internazionale, con una
gamma completa ma soprattutto con prezzi accessibili da subito.

Cosa rende davvero unico Gogoro? I fattori sono tanti
ma il più importante è di sicuro l’idea di non abbandonare il cliente in balia di colonnine di ricarica, ma
di offrirgli un supporto sul campo. Gogoro non si può
ricaricare, ma una volta finita la carica le batterie devono essere sostituite presso una apposita stazione.
torna al sommario
Le moto Zero sono già da tempo disponibili sul mercato italiano e sono disponibili anche dei test drive
per i motociclisti più scettici. La top di gamma è la
Zero DSR, con una accelerazione da 0 a 100 in 3.9
secondi e 144 nm di coppia. Si parte da 18.290 euro
più eventuali optional che sono il caricatore fast oppure una batteria più capiente. Il modello base può
percorrere fino a 237 km in ciclo urbano ed avere una
velocità di punta di 158 km/h. La ricarica standard avviene in quasi 9 ore e può essere abbassata fino a 2.6
BMW aveva nel suo stand un’area dedicata alla mobilità sostenibile, con in bella vista il suo maxi scooter CEvolution elettrico. Niente di particolarmente nuovo,
modello già visto in mille occasioni, ma è interessante
notare che il gruppo tedesco non tenga nascoste le
sue proposte alternative (nel campo automotive ci
sono la i3 e la i8) ma anzi gli dedichi delle aree apposite nei suoi spazi espositivi. chissà che non ci siano
in cantiere anche delle vere e proprie moto per il marchio dell’elica.
L’altra casa che ha messo in mostra una sua creatura elettrificata, in netta controtendenza con il target
aziendale, è Harley Davidson. La LiveWire godeva di
un’area dedicata con tanto di simulatore per far provare agli appassionati la forza del motore elettrico. Un
segue a pagina 23 
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
AUTOMOTIVE
EICMA 2015: rassegna moto elettriche
segue Da pagina 22 
tecnico era disponibile a spiegare tutti i dettagli della
moto, e il mezzo, un esemplare reale, era collegato a
un rullo meccanico con una turbina a buttare aria in
faccia al pilota per simulare la velocità. Inutile negarlo, molti Harley fan decisamente scettici sono rimasti
piacevolmente colpiti nello scoprire che la LiveWire
è tutt’altro che silenziosa, ma ha un rumore diverso.
La casa americana non ha ancora specificato quanto
questo progetto abbia possibilità di uscire dalla fase
prototipo e diventare una moto commerciale, ma lo
sforzo mediatico e sul campo (con prove, recensioni e
test drive) fanno ben sperare. Non resta che attendere la prossima edizione per capire se le grandi case
classiche stiano solo prendendo tempo per uscire allo
scoperto in tempi migliori, oppure se non vogliano
boicottare un’idea di mobilità nella quale non riescono a rispecchiarsi.
Cina potenza emergente
La forza industriale e creativa dei cinesi è diventata
quasi incontenibile, e anche nel mondo motociclistico l’invasione è già in atto. Le aziende asiatiche che
propongono diversi modelli nel nostro mercato sono
attive già da tempo, e ora una nuova ondata sta arrivando per seguire la marea delle moto elettriche.
Erano tantissime le proposte di scooter e moto di
chiara derivazione cinese, tanto che per molti stand
era persino difficile capire chi fosse produttore e chi
fosse un semplice importatore e rimarchiatore. Oltre alle grosse realtà come appunto Gogoro, ci sono
una moltitudine di nomi sconosciuti e talvolta dalla
pronuncia impossibile che cercano di ritagliarsi una
fetta di questo mercato in espansione. Ne citiamo
una in particolare perché ha stupito per la dimensione dello stand, al pari di molti nomi molto più blasonati: Yadea.
Questa azienda cinese, che ha anche un partner
italiano, ha un catalogo sterminato che va dalle bici
più semplici, passando per diversi modelli di scooter
fino alle moto. La loro presenza aveva sicuramente
un sapore molto istituzionale, per mettere in mostra
la potenza produttiva dell’azienda e anche quella
tecnica, dato che alcuni modelli in mostra hanno
caratteristiche interessanti anche dal punto di vista
stilistico.
L’intento di molte di queste aziende non è vendere
direttamente nel nostro mercato, data la difficoltà di
creare una rete di vendita e di assistenza. Spesso
sono in cerca di collaborazioni, con aziende già esistenti o con investitori, per offrire la loro produzione
e esportare in diversi paesi e con nomi diversi.
Spazio alla creatività
Un vantaggio della mobilità di nuova concezione,
green e smart, è che il pubblico accetta di buon occhio anche idee particolari, design avveniristici, e
tentativi fuori dal comune. E esempi di questo tipo
non sono mancati nemmeno a EICMA.

Citiamo ad esempio la francese Doohan, anche loro
in collaborazione con un gruppo asiatico, con in mostra un modello a tre ruote pronto per la vendita nel
2016. Progetto interessante, e design che sembra
uscito direttamente da Tron.
Italianissima anche la Armotia, una moto da cross, la
prima a due ruote motrici. Sicuramente un progetto
torna al sommario
da tenere d’occhio, che si avvale anche della stampa 3D per personalizzare la moto sulle richieste dei
clienti.
La svizzera Quadro, tra i molti modelli del suo compact SUV a quattro ruote, ha messo in mostra anche
un prototipo a tre ruote elettrico.
Oltre ai progetti particolari ed esteticamente insoliti,
il gruppo forse più nutrito era quello degli scooter.
Anche qui è veramente difficile distinguere tra produttori e importatori, e la sensazione è che molti si
limitino a buttarsi in un mercato senza troppe conoscenze specifiche e basandosi molto sull’estetica
del prodotto. Questa fetta di mercato avrà sicuramente nuova linfa vitale, ma il rischio è di trovarsi
sul mercato troppi prodotti dalla dubbia affidabilità, e
senza le competenze per risolvere problemi tecnici
e meccanici.
Siamo usciti da EICMA con la consapevolezza che di
anno in anno l’attenzione alle nuove soluzioni tecniche e motoristiche aumenta sempre più. La crescita
vertiginosa del mondo smart e in generale “dell’internet delle cose” sta contagiando ogni settore, e
le due ruote non sono certo immuni, con gli smartphone sempre più compagni di viaggio. Il prossimo
anno potremo giudicare se in 12 mesi ci sarà stata
davvero un’evoluzione, non solo tecnica ma anche
di mentalità.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
SCIENZA E FUTURO Una probabile soluzione per risolvere il problema del consumo della batteria
Il display che non consuma diventa realtà
Bodle Technologies sta testando uno schermo per device mobili che necessita di poca energia
di Dario RONZONI
a durata della batteria è ormai
da tempo il cruccio maggiore dei
possessori di smartphone e smartwatch. Se consideriamo che il 90% del
consumo di energia dei device mobili è
imputabile all’illuminazione dei display,
possiamo valutare bene la portata della
scoperta di Peiman Hosseini, fondatore di Bodle Technologies e ricercatore
della Oxford University. Partendo dagli
stessi materiali utilizzati per produrre
DVD riscrivibili, Hosseini sta mettendo a punto un display a cambiamento
di fase che necessiterà di pochissima
energia, in sostanza solo impulsi elettrici, per funzionare e risultare perfettamente leggibile anche in pieno giorno. I
dettagli tecnici sono al momento ridotti
all’osso, aspetto che inevitabilmente
lascia campo aperto a dubbi e perplessità. Rimane però la curiosità per una
L
Storico traguardo
per New Shepard,
primo razzo in grado
di atterrare dopo
il lancio
Si apre la stagione
del riutilizzo anche
per le missioni spaziali
serie di applicazioni potenzialmente
assai ampia, che non si limiterebbe
al mondo mobile: Hosseini sta, infatti,
pensando a finestre “intelligenti”, in
grado di bloccare il calore e mantenere
le case fresche anche in estate, senza
la necessità di aria condizionata, con
un risparmio di energia del 20%. Fan-
tascienza? Ai posteri l’ardua sentenza.
I tempi di attesa per poter toccare con
mano i risultati saranno presumibilmente lunghi, ma pare che Bodle Technologies abbia già siglato un accordo con
un colosso dell’elettronica, il cui nome
rimane riservato per ragioni legali. Staremo a vedere.
SCIENZA E FUTURO Il progetto è realizzato da un team di ingegneri della Rice University
Ecco FlatCam, è la fotocamera più sottile al mondo
Utilizza una matrice di sensori e un algoritmo per fare foto senza la necessità della lente
di Gaetano MERO
L

a fotocamera più sottile al mondo
è arrivata. A parlarcene è il team
di ingegneri della Rice University
di Houston: la FlatCam, questo il nome
dato al progetto, può scattare foto senza utilizzare alcun tipo di lente. Più sottile di un decimo di dollaro e flessibile,
potrà certamente trovare innumerevoli
modi di impiego e trasformare in modo
decisivo il design dei device così come
li conosciamo oggi. Lo spessore degli
smartphone, ad esempio, potrebbe assottigliarsi ulteriormente ed eliminare la
necessità di ottica sporgente (ormai un
classico nei terminali di alto livello). FlatCam cerca di sopperire all’assenza di
lenti attraverso una maschera posta direttamente su una matrice di sensori. A
differenza delle fotocamere tradizionali,
dotate di obiettivo, FlatCam sfrutta una
griglia di sensori con diverse aperture
che le permettono di catturare la luce.
Ogni pixel registra una combinazione lineare di luce da più elementi della scena inquadrata. Le informazioni vengono
torna al sommario
Il razzo
“riciclabile”
di Bezos
completa il primo
atterraggio
successivamente inviate a un computer
ed elaborate attraverso un algoritmo
che, eseguendo diversi milioni di calcoli,
mette a fuoco e ricostruisce l’immagine.
La risoluzione generata non è tuttavia il
massimo, 512 x 512, e neanche la messa
a fuoco risulta essere tra le più riuscite.
Il team di sviluppatori è comunque fiducioso e sta già lavorando a un secondo prototipo. Le possibili applicazioni
della FlatCam sono quasi inimmaginabili: vanno dal campo medico a quello
ludico, e considerando il risparmio nella
produzione, grazie all’inutilizzo di lenti,
potrà costituire un’alternativa meno dispendiosa rispetto agli standard attuali.
Richard Baraniuk, professore di ingegneria della Rice University, afferma:
“Stiamo cercando di sfidare la progettazione tradizionale delle macchine fotografiche che prevede la presenza di
una lente cubica tridimensionale. Con
FlatCam potremo realizzare fotocamere curve e installarle direttamente sulla
nostra carta di credito o su qualsiasi altra superficie in modo pratico”.
di Dario RONZONI
Riciclare è un imperativo categorico in tutti i campi, anche
nell’industria aerospaziale. Non
è infatti il carburante, quanto i
componenti usa e getta dei razzi
vettori a incidere maggiormente
sui costi delle missioni. Blue Origin, società di proprietà del fondatore e CEO di Amazon Jeff Bezos, ha appena completato con
successo l’atterraggio di New
Shepard, un razzo in grado di ritornare tutto intero al suolo e di
essere riutilizzato per più lanci.
Il razzo, dopo un’ascensione di
100 km, è ritornato dolcemente
a terra nella base di Blue Origin
nei pressi di Van Horn, Texas.
“Il totale riutilizzo è un fattore
rivoluzionario [nell’industria aerospaziale, ndr], e non vediamo
l’ora di fare rifornimento e ripartire”, sono le parole di un Bezos
evidentemente entusiasta per la
buona riuscita del test. Col successo di New Shepard, Bezos si
toglie anche una piccola soddisfazione nei confronti del fondatore di Tesla Motors, Elon Musk,
a sua volta impegnato in un progetto di razzo riutilizzabile sotto
le insegne SpaceX. Fino ad ora
SpaceX non è riuscita a completare la procedura di atterraggio,
anche se il compito del team di
Musk è decisamente più impegnativo: il Falcon 9, il razzo di
SpaceX, è infatti progettato per
volare in orbita, con conseguente necessità di una maggiore
spinta, mentre il New Shepard
si limita a un utilizzo suborbitale.
Clicca qui per il video.
I T S TA R T S W I T H
NUOVO TV 4K ULED
65XT910
ASSOLUTA PROFONDITÀ E MASSIMA BRILLANTEZZA
PER UNA SORPRENDENTE QUALITÀ DELL’IMMAGINE.
Tecnologia ULED con controllo dinamico della retroilluminazione. Neri profondi,
ampliata gamma di colori e massima fluidità delle immagini in movimento.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Si chiama Pro ma in realtà è per tutti coloro che hanno bisogno di un grande schermo per fare editing, guardare video, ecc
Apple iPad Pro: grande e potente, ma adatto a tutti
Abbiamo provato l’iPad Pro: costruzione impeccabile, una penna che funziona bene e un mondo di app garantite da iOS
di Roberto PEZZALI
a famiglia iPad si è allargata: il modello classico e il
mini sono stati affiancati da un nuovo modello Pro.
Un’evoluzione quasi naturale: Apple è da sempre
la scelta preferita di molti utenti che utilizzano il Mac
per applicazioni di produttività, disegno, sviluppo ed
editing, e come esistono il Mac Pro e il MacBook Pro ha
senso che esista anche una versione più spinta e più
votata alla produttività del famoso tablet. Nonostante
le indiscrezioni parlassero di un prodotto con a bordo
una versione custom di OSX, Apple ha mantenuto una
certa coerenza proponendo un tablet con iOS, che ricalca le logiche degli altri iPad e che può sfruttare le
nuove funzionalità che iOS 9 ha introdotto, molte delle
quali probabilmente sono state aggiunte proprio per il
nuovo iPad, l’unico che può sfruttare a pieno, ad esempio, la modalità split screen. I punti di forza del nuovo
iPad sono sostanzialmente quattro: lo schermo, di qualità eccellente e di dimensioni generose, iOS che è un
sistema operativo semplice che garantisce un numero
enorme di applicazioni già pronte, Apple Pencil, una
penna creata appositamente per l’iPad Pro in grado di
ampliare le possibilità in ambito artistico del prodotto e
la tastiera cover, un accessorio che Apple ha sempre
lasciato produrre ad abili partner come Logitech e che
invece, per l’iPad Pro, ha voluto disegnare lei stessa
per offrire un prodotto di assoluta qualità e affidabilità.
Nella nostra prova non abbiamo inserito la tastiera Apple ufficiale per un semplice motivo: esiste solo la versione con layout americano, una scelta decisamente
particolare legata probabilmente a logiche di produzione. Apple, nel corso della presentazione del prodotto,
ci ha detto di aver agito in questo modo per lasciare ai
partner la libertà di creare tastiere per i vari paesi, ed
effettivamente Logitech ha colto la palla al balzo offrendo un ottimo prodotto destinato al mercato italiano.
L
Non è solo un iPad più grande
L’iPad Pro a prima vista sembra essere solo un iPad
più grande: prendete un iPad Air 2, fate una fotocopia
video
Apple iPad Pro
PIÙ CHE “PRO” È “BUSINESS CASUAL”: VA BENE PER TUTTI
da 919,00 a
€b
l
iPad Pro non deve spaventare: la parola “Pro” è meglio leggerla come “productivity” piuttosto che “professional”. Il nuovo tablet, merito
anche dello schermo grande, è perfetto per fare editing, fotoritocco, guardare video, sfogliare riviste e fruire delle centinaia di migliaia di
applicazioni che gli sviluppatori hanno preparato per l’iPad. La potenza e il display, oltre ovviamente alla penna, lo rendono un prodotto che
può soddisfare anche esigenze business, ma al momento le applicazioni in questo senso non sono moltissime. Non è un caso che la penna
sia un optional, così come la tastiera: la versione liscia di fatto è un grosso e soddisfacente iPad Air che volendo può diventare qualcosa di
più completo. Crescono le dimensioni e anche il costo: iPad Pro non costa poco, 1.099 euro per la versione da 128 GB che diventano 1.249
euro nella versione Wi-Fi + cellular, ai quali vanno aggiunti 109 euro per l’eventuale penna e 179 euro per la tastiera. A conti fatti, chi vuole un
prodotto completo, si ritrova a spendere la stessa cifra che serve per un MacBook o per un MacBook Air. Forse ha più senso, al momento, la
versione liscia a 919 euro, un perfetto tuttofare con uno schermo incredibile e tanta potenza. E non è e non può fare il PC, almeno non ancora.
8.5
Qualità
9
Longevità
9
Design
9
Qualità dello schermo e prestazioni
COSA CI PIACE Penna capace di un realismo
incredibile al tratto
Qualità audio
ingrandita ed ecco che esce un prodotto sostanzialmente identico ma con schermo da 12.9”. Apple, con
la solita precisione che la contraddistingue, sembra
aver tenuto in scala anche la larghezza delle cornici e
lo spessore: l’iPad Pro, infatti, è spesso 6,9 mm contro
i 6,1 mm dell’iPad Air 2, con un peso complessivo di
720 grammi per la versione Wi-Fi - LTE che abbiamo
in prova. Parlare di spessore in ogni caso è relativo:
un prodotto del genere non viaggia mai senza una
cover di protezione adeguata, e con il doppio guscio
in silicone che Apple ha realizzato per proteggere
fronte e retro, si arriva a un centimetro di spessore. Rispetto all’iPad Air 2 e, ovviamente all’iPad mini, il Pro
risoluta essere meno portatile: rimane pur sempre un
tablet, ma l’unico vero vantaggio rispetto ad esempio
a un MacBook è il fatto che può tranquillamente essere usato senza la necessità di un piano di appoggio.
Se vogliamo utilizzarlo però in piedi su un autobus,
per leggere una rivista in treno e per andarci a passeggio non è troppo confortevole, più che altro perché richiede una presa con due mani e dopo qualche
minuto inizia a pesare. Ciò non toglie che in modalità
portrait, per leggere una rivista, è probabilmente il
miglior tablet che si può avere tra le mani, con il van-
Semplicità
9
D-Factor
8
Prezzo
7
Prezzo decisamente elevato
COSA NON CI PIACE iOS 9 da perfezionare per gestire
al meglio alcune funzionalità
È grosso, e non è un PC
taggio che grazie al grande schermo le riviste si possono leggere senza neppure ingrandire le porzioni di
pagina per leggere i caratteri più piccoli. La necessità
di tenerlo con due mani per non stancarsi preclude
alcune possibilità in ambito gaming, dove non si può
certo afferrare con una mano il tablet e usare l’altra
per indicare diversi elementi sullo schermo. L’iPad
Pro è comunque comodo da trasportare nella borsa e
nello zaino, è perfetto per uso educational, sul lavoro
e in casa, dove il suo schermo grande soddisfa a pieno le esigenze di molte persone che ormai, stanche
per la dura giornata, preferiscono mettersi a letto per

segue a pagina 27 
torna al sommario
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
Apple iPad Pro
segue Da pagina 26 
guardare qualcosa in streaming piuttosto che restare
davanti al televisore. Rispetto agli altri modelli di iPad
le differenze a livello di dotazione sono minime: c’è
il jack audio, ci sono i tasti di accensione e volume e
c’è un nuovo connettore magnetico per agganciare
la tastiera, in grado di veicolare nei tre poli i dati e
l’alimentazione. Apple ha anche rivisto il controller
del connettore Lightning: il teardown di iFixit ha evidenziato come sia stato utilizzato un controller host
USB 3.0, segno che la porta di connessione potrebbe
anche gestire una connessione USB High Speed in
futuro, perché al momento il cavo inserito è un normale cavo USB 2.0. Ruotando l’iPad Pro tra le mani
ci si accorge subito dei quattro speaker che Apple
ha inserito agli angoli: può sembrare una banalità,
ma qui si capisce che in realtà Apple non ha voluto
del tutto creare un prodotto dedicato al professionista quanto un prodotto più “business casual” che
soddisfa a pieno anche coloro che un tablet lo usano
per guardare i film. Sempre iFixit, che ha smontato da
cima a fondo l’iPad Pro (noi siamo costretti purtroppo
a restituirlo integro a Apple, ndr), ha messo in luce
come Apple abbia sacrificato il 50% di capacità della
batteria in più per poter alloggiare dentro il case di
iPad Pro quattro diffusori dotati ognuno di una piccola
camera di amplificazione per i bassi. Una scelta che
contiene anche il peso (la batteria aggiuntiva sarebbe
pesata di più dell’aria), ma che in ogni caso porta sull’iPad una resa audio davvero più che buona, non solo
come pressione sonora ma anche come qualità. L’uso
di quattro diffusori agli angoli presenta anche diversi
vantaggi: è impossibile bloccarli tutti e quattro con
le mani e inoltre Apple, utilizzando il giroscopio, può
sfruttare un equalizzatore attivo per gestire l’uscita di
ogni diffusore a seconda dell’orientamento del device. I due speaker nella parte alta così sono “tagliati”
dal crossover per far uscire le frequenze medio/alte, i
due nella parte bassa invece forniscono le basse frequenze. Passando allo schermo ci troviamo davanti
al solito bellissimo schermo che Apple utilizza per i
suoi tablet, calibrato di fabbrica e con una copertura
quasi totale dello spazio colore sRGB. Non è ovviamente lo schermo dell’iMac 4K o 5K, ma Apple ha
prelevato dai modelli desktop il custom controller che
gestisce il pannello LCD “photo aligned” per adattare
in modo automatico il refresh rate. Se nulla si muove
sullo schermo, quindi se stiamo leggendo una mail, il
refresh viene portato a 30 Hz per risparmiare anche
energia, se invece ci sono elementi in movimento subito viene alzato a 60 Hz per rendere come sempre
fluida e piacevole l’interfaccia.
Lo schermo ha caratteristiche del tutto simili a quelle
di iPad mini 4 e iPad Air 2, dall’efficientissimo trattamento superficiale anti riflesso all’ottima resa di neri
e colori. La luminosità è forse un po’ più bassa: siamo
davanti a uno schermo con illuminazione laterale e le
dimensioni più ampie si fanno sentire, ma è una cosa
davvero impercettibile se si considera che la massima
luminosità viene usata solo all’aperto per compensare
la luce ambientale.
Il tasto home è dotato ovviamente di Touch ID, ma il
modulo usato ci è apparso leggermente più lento di
quello del nuovo iPhone 6S: una cosa da poco comunque, visto che la rapidità è fondamentale su uno
smartphone ma sul tablet quella frazione di secondo
in più non crea più di tanto problemi.
Un nuovo processore e tanta memoria
per gestire due app insieme
Apple non ha badato a spese per costruire il nuovo
iPad Pro: lo schermo, come abbiamo detto, è un componente di altissima qualità, con la più alta definizione
mai usata da Apple per un dispositivo con a bordo
iOS, 264 pixel per pollice. Tradotto sui 12.8” di diagonale vuol dire 2732 x 2048, veramente tanti pixel. Uno
schermo così risoluto potrebbe onestamente non servire su un tablet, ma nel caso dell’iPad Pro sono due
gli elementi che lo rendono indispensabile: in modalità split screen sembra quasi di avere a disposizione
due iPad fianco a fianco per dimensioni di schermo e
risoluzione, e ovviamente più definizione ha lo schermo più realismo guadagnano tratti e disegni fatti con
la penna. Per spingere tale display, Apple ha dovuto
preparare un processore dedicato con una GPU più
spinta, un SoC derivato direttamente dall’A9 usato
sull’iPhone 6S e denominato A9X. Siamo di fronte a
un dual core con all’interno due processori Twister
a 2.26 GHz, ma non è dato sapere se si tratta di un
SoC prodotto da Samsung con tecnologia FinFet a 14
nanometri oppure da TMSC a 16 nanometri: in ogni
caso è un processore velocissimo, con 51.2 GB/sec
di larghezza di banda e una GPU PowerVR Series7 di
Imagination Technology che rappresenta il vero pezzo
forte. Trattandosi di processori custom riteniamo totalmente inutile il confronto diretto con processori x86
e altri Soc, ma nel confronto con l’iPhone 6S e quindi
con l’Apple A9 l’A9X ha un processore grafico dotato
di potenza doppia, mentre è relativamente inferiore
l’aumento di velocità della CPU, comunque nell’or-
dine del 30% circa. Raddoppia anche la RAM: l’iPad
Pro ha a bordo 4 GB di LPDDR4 utili soprattutto per
gestire le applicazioni in side by side. Le altre caratteristiche sono quelle classiche, coppia di fotocamere
8/2 Megapixel, Wi-Fi 801.11ac con doppia antenna e
nella nostra versione anche la connessione LTE. Da
segnalare che l’iPad viene venduto nel taglio minimo
di 32 GB, che non sono tantissimi per un tablet del
genere ma almeno non sono i 16 GB dell’iPhone 6S
con i quali è davvero difficile convivere.
La penna è incredibile
Sembra una vera matita
Apple Pencil è un costoso optional, indispensabile
per chi vuole sfruttare l’iPad per disegnare. Apple
qui ha fatto un lavoro incredibile, e i 109 euro richiesti sono assolutamente proporzionati alle potenzialità dell’oggetto e allineati al prezzo di altre penne
Bluetooth per scrivere su iPad. Apple Pencil sfrutta
appunto la connessione Bluetooth per trasferire all’iPad Pro le informazioni legate al livello di pressione
e all’inclinazione del pennino rispetto allo schermo,
indicazioni che vengono raccolte dal piccolo sensore nascosto sotto la punta che si può anche svitare. Apple Pencil è un prodotto davvero ben fatto e
bilanciato, elegante, facile da impugnare e con una
resa davvero sorprendente. Non siamo ovviamente
artisti (a breve la faremo provare a un artista) ma grazie al campionamento del tratto rapidissimo, al refresh dello schermo e all’ottimizzazione delle api che
Apple ha inserito per gestire Pencil sembra quasi di
scrivere su carta, con un ritardo tra scrittura e tratto
praticamente inesistente. Efficacissimo il sistema di
Palm Rejection: si può appoggiare l’intera mano allo

segue a pagina 28 
torna al sommario
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
Apple iPad Pro
segue Da pagina 27 
schermo, e il tocco occasionale non viene rilevato.
Abbiamo provato a disegnare un po’ utilizzando le
app in dotazione ottimizzate, e dobbiamo dire che
Pencil ci ha stupito sia per la precisione nel gestire
la pressione sia nella gestione dell’inclinazione della penna. La matita, ad esempio, può essere usata
per sfumare un tratto esattamente come si fa con
una matita vera appoggiata di piatto sul foglio, una
cosa che solo quando hai pieno controllo di hardwa-
Una delle app Adobe già pronte per gestire la
penna. Adobe è una delle poche aziende ad aver
creato un’interessante suite grafica per iPad Pro
re e software puoi gestire al meglio. La penna può
essere usata ovviamente in ogni applicazione, ma
solo quelle già ottimizzate potranno gestire i livelli di
pressione: lo schermo ovviamente è di tipo tradizionale, come abbiamo specificato prima il merito è dei
sensori nella penna. Penna che, e visto il costo c’è
da preoccuparsi, è abbastanza facile da smarrire in
quanto non solo è molto simile a una penna vera ma
rotola pure, essendo completamente liscia.
iOS 9 non è il vestito perfetto
Ma migliorerà

Come sempre un ottimo hardware vale davvero poco
se il software e il sistema operativo che lo accompagnano non riescono a tenere il passo, e la scelta di
Apple di utilizzare iOS 9, opportunamente adeguato,
per certi versi è anche la più corretta.
iOS 9 è stato pensato probabilmente con l’iPad Pro
in mente, ma siamo sicuri che la vera rivoluzione arriverà con iOS 10. Sul fronte delle applicazioni abbia-
torna al sommario
mo già scritto tanto
in questo articolo: le
app per iPad funzionano tutte benissimo, ma al momento
di applicazioni che
possano
liberare
l’anima
professionale di iPad Pro non
ce ne sono molte.
Vogliamo,
invece,
spendere qualche
parola in più, e qui
ci tocca entrare un
po’ nel tecnico, per
illustrare alcune potenzialità che al momento sono presenti
solo nell’iPad Pro.
iOS 9 ha introdotto,
oltre al picture in picture video, anche la
modalità split screen,
ovvero una modalità che permette di affiancare due
applicazioni sullo schermo contemporaneamente. Le
applicazioni per iOS, per come sono programmate,
utilizzano un sistema chiamato “size classes” per gestire il layout di visualizzazione a seconda del dispositivo che le visualizza. Questo sistema è stato creato
da Apple per poter gestire diversi layout a seconda
della dimensione dello schermo e dell’orientamento.
Le applicazioni ben scritte che usano le “size classes”
presentano diverse modalità di visualizzazione a seconda della classe che il programmatore sceglie, e in
questo caso la scelta può essere o “regular” o “compact”. Prendiamo l’applicazione orologio/timer visualizzata nell’immagine qui in basso: a destra la larghezza è “compact”, a sinistra invece è “regular”. Diciamo
questo perché mentre lo split screen su iPad mini e
iPad Air 2 permette di visualizzare affiancati il layout
regular di un’applicazione e un layout compact, l’iPad
Pro permette di avere due layout regular uno a fianco
all’altro, quindi due applicazioni per tablet vere. Questo vuol dire anche un’altra cosa però, ovvero che
non tutte le app possono essere visualizzate in uno
split screen perfetto 50 / 50: iMovie, ad esempio, non
supporta questo tipo di visualizzazione perché è privo di vista “compact”, e lo stesso vale anche per altre
applicazioni. Solitamente le app create solo per iPad,
prive quindi della visualizzazione per smartphone,
non hanno all’interno una visualizzazione “compact”
e quindi non possono funzionare in split screen. Nella
colonna di destra, quella nella quale si “pesca” l’applicazione da affiancare a quella
principale, Apple
visualizza solo le
app compatibili.
Qui Apple può, e
deve, migliorare
un po’ il sistema
e pensiamo che
lo faccia con iOS
10: quando si
seleziona un’applicazione per lo
split screen viene visualizzata
solo una colonna
con le app in un
ordine non sempre uguale, e cercare un’applicazione
senza una barra di ricerca può risultare anche difficile. Inoltre, non è possibile affiancare due applicazioni
dello stesso tipo: per come è fatto iOS si può eseguire solo una sessione di un’app per volta, e quindi
se vogliamo guardare side by side due pagine di un
sito bisogna installare anche un altro browser, nel nostro caso Chrome. Manca, inoltre, il “Force Touch”: lo
schermo non è Force Touch, ma utilizzando la penna
che rileva la pressione Apple avrebbe potuto benissimo implementare peek & pop anche su iPad Pro.
Siamo davanti a piccolezze software, ma è chiaro che
iOS 10 darà una marcia in più a un prodotto che, tranne per alcune piccole cose, si lascia usare già benissimo adesso. Notevole la durata: quasi 9 ore con uso
intensivo e guardando anche film in streaming, e se
non si esagera si possono passare anche le 10 ore.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Microsoft ha lanciato la nuova versione del suo tablet / notebook: lo abbiamo provato e siamo rimasti davvero sorpresi
Surface Pro 4 : non è ancora un vero notebook
Ma sicuramente adesso è un tablet migliore
Netto miglioramento in modalità tablet grazie a Windows 10 e uno schermo di grande qualità. Ma anche il prezzo è super
S
di Roberto PEZZALI
urface, il tablet che Microsoft promuove come
perfetto laptop replacement, è giunto alla sua
quarta generazione dopo aver scoperto una
nuova giovinezza con l’indovinato modello dello
scorso anno, il Surface Pro 3. La logica dice che
“prodotto che vince non si cambia” e Microsoft quest’anno ha sapientemente rivisto un prodotto vincente senza snaturare la sua anima ma aggiungendo
quello che il consumatore chiedeva: dallo schermo
più risoluto al pennino più sensibile per arrivare ad
una maggior potenza generale, con prestazioni che
battono senza alcun problema i migliori notebook di
quelli che un tempo erano partner Microsoft e ora
hanno indossato il cappellino da competitor. Abbiamo usato il nuovo tablet / notebook come computer
di lavoro, provando a sostituire l’immancabile laptop
che teniamo sempre nella borsa, quel MacBook Air
che la stessa Microsoft ha più volte preso come termine di paragone e avversario da battere. Può davvero un tablet fare il notebook? Microsoft ha scommesso su questa idea, ma se lo scorso anno non
poteva dire altrimenti per inquadrare Surface in un
settore comunque difficile, quest’anno c’è un certo
Surface Book che, con un vestito da vero notebook,
vuole occupare la stessa scena.
Da Surface Pro 3 a Surface Pro 4
Tanti miglioramenti senza stravolgimenti

Microsoft ha gestito il nuovo modello di Surface con
una intelligenza rara tra i produttori di hardware:
la scelta, ad esempio, di mantenere invariate le dimensioni per poter rendere retrocompatibili alcuni
accessori della versione precedente, come le cover,
è sicuramente da elogiare considerando che molti,
invece, sfruttano i cambi generazionali per succhiare
altri soldi con gli accessori a chi già sta investendo
su un prodotto nuovo e comunque di un certo livello.
Nonostante le dimensioni, però, l’upgrade c’è, ed è
consistente a tal punto che non si può parlare di “piccole” modifiche: lo schermo da 12” passa ad 12.3”
torna al sommario
video
lab
Surface Pro 4
PIÙ TABLET O PIÙ NOTEBOOK? LA BILANCIA SI FERMA A METÀ
1.029,00 €
Posizionare Surface Pro 4 è davvero difficile: lo scorso anno Microsoft con Surface Pro 3 e Windows 8.1 era costretta a definire il suo tablet
una vera alternativa ai notebook. Costretta perché il precedente sistema operativo non permetteva certo un utilizzo piacevole in modalità
tablet: le finestre piccole, le icone minuscole e una interfaccia che non era nata per essere utilizzata con le dita penalizzavano troppo l’uso
in mobilità. Con Windows 10 è tutta un’altra musica: la modalità tablet e le Universal App permettono di utilizzare Surface con le dita come
se fosse un vero tablet, con un menu facile da usare, applicazioni a pieno schermo o in split screen e una sezione notifiche ben organizzata
e di facile accesso. L’utente, ed è questo il bello di Windows, può comunque tornare alla modalità classica, quindi con finestre libere, menu
standard e tutte le altre belle novità che Windows 10 ha portato, in questo modo si può utilizzare Surface come un vero notebook con ottime
prestazioni. Surface Pro 4 è sicuramente un prodotto migliore rispetto al modello precedente, ma il vero salto dal punto di vista dell’usabilità
lo ha fatto fare Windows 10. In quest’ottica, chi non vuole spendere troppo può cercare anche una buona offerta sul Surface Pro 3, aggiornabile a Windows 10, ma è chiaro che il nuovo modello con penna integrata a 1024 livelli di pressione, processori Skylake e camera biometrica per
Windows Hello rappresenta un notevole passo avanti anche sotto il profilo hardware.
8.2
Qualità
9
Longevità
8
Design
8
- Display di ottima qualità
- Costruzione e prestazioni eccellenti
COSA CI PIACE - Con Windows 10 si usa anche come
tablet
con una risoluzione ancora maggiore, 2736×1824
pixel rispetto ai 2160×1440 della generazione precedente, il processore è più veloce, la tastiera migliore
e il trackpad più ampio. Microsoft è riuscita, nonostante lo schermo più grande, a ridurre sia il peso
sia lo spessore: il nuovo Surface è spesso infatti solo
8,3 mm e pesa 786 grammi, e se i pochi grammi in
meno sono difficili da percepire nell’uso quotidiano
lo spessore ridotto si fa sentire. Il telaio in magnesio,
realizzato con tecnologia VaporMG, presenta come
sul modello precedente le piccole feritorie per la fuoriuscita dell’aria nel sistema di dissipazione, piccoli
forellini lungo tutto il bordo superiore dove Microsoft ha inserito anche i tasti di accensione e volume.
Semplicità
8
COSA NON CI PIACE
D-Factor
8
Prezzo
7
- Tastiera non inclusa
- Molte applicazioni non pronte
per essere usate con le dita
- Il prezzo è davvero elevato
Sul retro, come per gli altri modelli, trovano spazio il
kickstand privo di posizioni fisse e la fotocamera da
8 Megapixel. Il meccanismo di chiusura e apertura
del kickstand, che permette di regolare l’angolo di
appoggio, ci è parso come per il modello precedente decisamente solido e affidabile. Le connessioni
presenti sono le stesse di Surface Pro 3: c’è una mini
Display Port, un jack audio, una porta USB 3.0 a dimensioni standard, uno slot MicroSD nascosto sotto
il kickstand e una porta proprietaria per la docking
esterna e per la ricarica. Una scelta, quest’ultima,
che potrebbe apparire troppo conservatrice da parte di Microsoft: un connettore USB Type C sarebbe
segue a pagina 30 
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
Microsoft Surface Pro 4
segue Da pagina 29 
stato perfetto per poter gestire non solo la ricarica
ma anche la docking esterna. Microsoft ha voluto
probabilmente tutelare i possessori della vecchia
docking, anche perché ha usato il connettore Type C
sugli smartphone della serie Lumia 950: difficile dire
se questa è una scelta corretta, sicuramente oggi
non ci sono controindicazioni, ma probabilmente in
ottica futura l’adozione del nuovo connettore avrebbe garantito maggiori possibilità di espansione. Rispetto a Surface Pro 3 sul nuovo modello sparisce
il tasto Windows dalla cornice: una scelta “strana”,
giustificabile però dalla presenza di Windows 10, che
in modalità tablet offre il tasto “Start” sempre a portata di dito. Sempre sulla cornice frontale Microsoft
ha inserito il sensore di luminosità, un microfono, un
modulo camera da 5 Megapixel e un sensore IR per
il riconoscimento del viso sfruttando il sistema di autenticazione Windows Hello, che su Surface funziona a meraviglia, anche con poca illuminazione: non
si può sorpassare usando una fotografia, riconosce
anche gli occhiali e in una frazione di secondo autentica correttamente l’utilizzatore nel suo profilo.
Schermo incredibile
Rivestimento troppo sottile

Lo schermo da 12.3” di Surface Pro 4 è stato interamente rivisto, e non solo nella risoluzione. Microsoft
ha infatti dichiarato di aver utilizzato una tecnologia
chiamata PixelSense, nome storico per una tecnologia di schermo che Microsoft utilizzò sul primo Surface. E non ci stiamo riferendo al tablet: Microsoft infatti
utilizzò il termine PixelSense per descrivere la tecnologia del tavolo interattivo che diede poi il nome
alla linea di tablet, una tecnologia che permetteva di
sfruttare i pixel dello schermo per rilevare la posizione e il tipo di oggetti appoggiati sullo schermo. Non
siamo davanti alla stessa tecnologia, ma Microsoft
in questo modo vuole comunicare che lo schermo
non è più solo un display, ma anche un elemento
con un ruolo fondamentale nell’interazione uomo
– Surface. Rispetto allo schermo su Surface Pro 3
Microsoft ha migliorato un po’ tutto, e se dobbiamo
scegliere l’aspetto che tra tutti più ci ha colpito oltre
alla risoluzione è l’ottimo trattamento antiriflesso utilizzato sul vetro Gorilla Glass di quarta generazione.
Il vetro è forse l’unico aspetto che porge il fianco ad
una critica: come sul modello precedente Microsoft
ha usato un sottilissimo strato di vetro ad elevata resistenza pari a soli 0.4 mm, una “sfoglia” che sotto la
torna al sommario
pressione della penna fa intravedere qualche piccolo
temporaneo segno. Anche
questa è una scelta: se da
una parte una frazione di
millimetro in più avrebbe
aumentato la resistenza
senza aumentare troppo
lo spessore, dall’altra uno
spessore minimo permette di ridurre la distanza tra
penna e schermo, migliorando il feeling in fase di
scrittura. Sul rapporto tra
penna e schermo Microsoft
ha lavorato moltissimo, affogando i sensori touch nel
pannello stesso e utilizzando la tecnologia acquisita
dall’israeliana N-Trig per permettere il riconoscimento di 1024 livelli di pressione con la penna in
dotazione. Riguardo al pannello Microsoft ha parlato
di “metal oxide LCD”, riteniamo di trovarci di fronte
ad un pannello Sharp con tecnologia IGZO con una
risoluzione di 2736×1824, quindi 267 ppi. Lo schermo viene calibrato in fabbrica e copre il 100% dello
spazio colore sRGB, con un ottimo contrasto e una
buonissima luminosità. Qui a lato, come sempre, le
misure dello schermo di Surface Pro 4.
La penna è magnetica
Perderla è difficile (ma non impossibile)
Difficile immaginare un Surface senza penna, anche
se ad essere onesti l’abbiamo utilizzata abbastanza
poco nel corso della nostra prova: Windows 10 permette di utilizzare con soddisfazione il tablet anche
con le dita, e la penna diventa quindi uno strumento
utile per task specifici, come il disegno, gli appunti, le note o il ritocco. Microsoft ha rivoluzionato
interamente l’apparato di input, utilizzando un nuovo controller N-Trig capace di sfruttare la GPU per
elaborare le informazioni: migliora la sensibilità, migliora l’algoritmo che rileva il palmo appoggiato allo
schermo e si riduce la latenza tra il tocco e la traccia
disegnata sullo schermo.
Non siamo artisti, ma scrivere sullo schermo di Surface sembra quasi naturale, analogico. La nuova penna, oltre al digitalizzatore integrato nello schermo in
grado di rilevare 1024 livelli di pressione, sfrutta una
connessione bluetooth per gestire il bottone nella
parte alta: una pressione veloce e si lancia OneNote, una pressione prolungata e si chiama Cortana,
doppio click e si cattura una schermata che finisce
su One Note. Il cappuccio, come le vecchie matite,
si può usare per cancellare una traccia. Microsoft ha
anche pensato ad una soluzione per non smarrire la
penna: si può agganciare magneticamente al bordo.
La soluzione migliore, in ogni caso, è fissarla alla cover tramite la clip metallica.
Ottime prestazioni
Ma Windows può migliorare ancora
E’ arrivato il momento di parlare di prestazioni, e
quindi parallelamente anche di prezzo: Surface viene venduto come un computer, quindi con differenti
configurazioni di processore, memoria e disco, e il
prezzo di listino è ovviamente legato alle scelte fatte. Siamo davanti ad un prodotto che non costa affatto poco, anzi: la versione da noi provata è l’unica
che al momento sullo store di Microsoft non si può
preordinare (esaurita?), processore Core i5 con processore Intel HD Graphics 520, 8 GB di RAM e 256
GB di disco SSD a 1499 euro, prezzo che include la
penna ma non l’ottima tastiera, altri 160 euro da mettere in conto. Paradossalmente tra i due accessori la
tastiera è quella più utile nell’insieme, perché senza
la penna di perdono alcune possibilità in determinati
campi, ma senza la tastiera e il trackpad ci troviamo
davanti ad un prodotto davvero depotenziato. Da
segnalare infine l’assenza di una versione dotata di
modulo LTE integrato, scelta che stride con la disponibilità della versione LTE di Surface 3, modello più
consumer.
Dal punto di vista hardware siamo davanti ad un
prodotto potente, con un processore di sesta gesegue a pagina 31 
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
Microsoft Surface Pro 4
segue Da pagina 30 

nerazione Skylake Core i5 i6300U, una CPU dual
core che integra come chip grafico una scheda HD
Graphic 520. Nonostante si tratti di un chip grafico
integrato, abbiamo ripreso alcuni benchmark fatti
con Surface Pro 3 notando come il nuovo modello sia
più veloce del 65% circa, con picchi che a seconda
dei test raggiungono anche una velocità maggiore
dell’80%. Siamo comunque davanti ad un prodotto
che può fare senza problemi editing 4K, fotoritocco
avanzato e volendo anche composing, ma quando il carico si fa elevato deve intervenire la piccola
ventola che Microsoft ha inserito all’interno. La versione Core M, quella di base, è totalmente fanless,
ma l’esemplare in prova ha una ventolina che sotto
sforzo inizia a sibilare in modo impercettibile. Il processore è leggermente più veloce di quello usato su
Surface Pro 3, ma come per tutti i notebook il vero
boost prestazionale viene dato dal disco SSD integrato, una unità Samsung che sfoggia ottime performance in lettura e scrittura. Trattandosi di un portatile
anche l’autonomia è importante, soprattutto per un
prodotto che necessita del suo caricatore dedicato e
non si può certo ricaricare “on the fly” con un power
bank USB e una connessione USB: utilizzandolo molto, quindi applicazioni Adobe, rendering, tastiera e
molte finestre aperte abbiamo raggiunto le 4/5 ore di
autonomia, ma con un uso più tranquillo e la luminosità del display non troppo spinta abbiamo passato le
8 ore. Giusto per dare un’idea, il giorno in cui Satya
Nadella è venuto a Roma abbiamo utilizzato Surface
Pro 4 sul Frecciarossa Roma - Milano sia all’andata
che al ritorno, a Roma per scrivere il pezzo durante la
conferenza e alla sera Surface dava ancora 35 minuti
di carica residua. Al giorno d’oggi è innegabile tuttavia che l’hardware passa un po’ in secondo piano
se il sistema operativo non è adeguato, e nel caso di
torna al sommario
Windows 10 Microsoft ha fatto un notevole passo in
avanti. Il tempo di boot è abbastanza rapido, circa 15
secondi, mentre il resume dalla sospensione è quasi
istantaneo. Non aspettatevi tuttavia prestazioni da tablet Android o iPad: prima di essere operativi qualche
secondo passa.
Tornando a Windows 10, il suo arrivo ha introdotto,
oltre alla modalità d’uso classica, anche una modalità tablet: attivando questa modalità le gestione delle
applicazioni si semplifica, eliminando la logica delle
finestre e mettendo le app a pieno schermo. In “tablet
mode” sembra di trovarsi di fronte ad una interfaccia
simil Windows Phone, facilissima da usare e con potenzialità notevoli se pensiamo che si può sfruttare
lo split screen e si possono comunque lanciare tutte
le app, non solo quelle ottimizzate. Qui Microsoft ha
fatto passi in avanti, ma potrebbe fare ancora di più.
Windows 10 gestisce infatti quelle che vengono definite Universal App, ovvero applicazioni “responsive”
in grado di cambiare il layout grafico per adattarsi ai
vari dispositivi. Questo particolare tipo di applicazione, se usata in modalità classica, mostra l’interfaccia
standard pensata per un utilizzo con tastiera e puntatore, mentre in modalità “tablet” viene ridisegnata
automaticamente per essere usata con facilità utilizzando semplicemente le dita. Molte app di Windows
sono già “universali”, molte invece non sono state affatto ottimizzate e anche in modalità tablet risultano
piccole e poco gestibili: basta osservare la schermata
qui sotto per rendersi conto di come “Esplora Risorse” non sia assolutamente ottimizzata mentre One
Note lo è. Allo stesso modo alcune applicazioni, se
usate side by side, non riescono ad adattarsi ad una
visualizzazione su colonna stretta: Microsoft dovrebbe impedire il side by side per queste app. Windows
10 è un sistema in continua evoluzione, e siamo certi
che molte di queste cose verranno sistemate: è un
bene che Microsoft abbia introdotto una modalità Tablet, tuttavia questa modalità è ancora contaminata
da troppi elementi pensati per un utilizzo classico.
Intelligente infine la gestione dei DPI dello schermo:
come nel caso di OSX Windows 10 ora permette di
gestire l’ingrandimento degli elementi per sfruttare al
massimo lo schermo a risoluzione elevata.
Una tastiera più ampia
Per scrivere più velocemente
La tastiera TypeCover è senza dubbio l’elemento
che giustifica il posizionamento di Surface come
laptop replacement. Microsoft in questi anni ha migliorato tantissimo questa tastiera, passando da modelli a nostro avviso difficilissimi da usare, come la
Surface Touch Cover, alla buona tastiera disponibile
come accessorio per Surface Pro 3. Con il nuovo
modello, che ricordiamo è retrocompatibile con la
generazione precedente, Microsoft riesce a superarsi: è leggera, ben fatta e soprattutto decisamente
più stabile del modello precedente, facile da usare
anche appoggiata sulle gambe e più tenace nella
presa magnetica lungo la cornice. Nonostante le tastiere ultrapiatte non ci piacciano troppo, digitare un
testo sulla tastiera in dotazione con Surface è quasi
naturale. Ovviamente si fanno più errori rispetto alla
digitazione normale, ma molto dipende da quanto
è abile una persona a scrivere su una tastiera: chi
scrive utilizzando tutte le dita si troverà benissimo
dopo poche ore di ambientamento, chi invece usa
solo due o tre dita saltando da un tasto all’altro come
un cavalletta sicuramente farà più errori. Migliorato
tanto anche il touchpad: è ampio, scorrevole, ha un
buon feedback al click e permette l’utilizzo di più
dita per le gesture.
Il “problema” è il prezzo: 154,90 euro per la tastiera non sono affatto pochi, soprattutto se calcoliamo
anche il costo dell’intero tablet e il fatto che è un
accessorio praticamente indispensabile. Verrebbe
quasi da chiedersi: se Surface Pro 4 è il tablet che
può rimpiazzare il notebook, perché un elemento
fondamentale come la tastiera è solo un accessorio?
Microsoft ha realizzato una tastiera dotata anche di
fingerprint reader: questa versione tuttavia non arriverà in Europa.
Serie S78 / Ultra HD
50” / 58”
Immergetevi
in una nuova
esperienza !
Avvicinatevi al vostro grande schermo UHD e tuffatevi in un’immagine di una ricchezza incredibile di dettagli. Un’immagine che non è mai stata cosi profonda grazie alla precisione dei contorni, anche nei dettagli
più lontani. Un’immagine che non è mai stata cosi realistica grazie alla nitidezza dei colori. Ammirate la
perfetta fluidita del movimento, resa possibile dalla tecnologia Clear Motion Index 800 Hz.
ww.tcl.eu/it
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TESTOnePlus X costa 269 euro e stavolta ottenere un invito per l’acquisto non sembra così impossibile. Esperimento riuscito?
OnePlus X in prova, piccolo, bello e costa poco
OnePlus X è uno smartphone non estremo nelle specifiche ma incredibilmente bilanciato e dalla costruzione impeccabile
di Vittorio Romano BARASSI
nePlus ha recentemente annunciato il suo terzo
smartphone e dopo qualche giorno di attesa
eccoci alle prese con il OnePlus X, dispositivo
che inaugura la serie “sperimentale” del marchio (X sta
per “eXperiment”) e che ha tutte le caratteristiche per
attaccare con decisione la fascia media del mercato. Si
parte da un prezzo di 269 euro per la versione Onyx
da 16 GB di memoria fisica e si arriva 379 euro per la
versione limitata in ceramica, anch’essa con 16 GB di
ROM ma prodotta in una limitatissima serie di 10mila
esemplari. Per portarsi a casa il nuovo modello della
gamma OnePlus, come al solito, bisogna sottostare al
sistema degli inviti messo in piedi dall’azienda stessa.
A differenza di OnePlus One e OnePlus 2, ottenere un
invito per X (nella variante Onyx) non sembra essere
così impossibile: basta andare sul sito ufficiale, inserire
la propria e-mail e nell’arco di una settimana o poco più
arriverà il tanto agognato invito direttamente nella casella di posta elettronica indicata. Discorso diverso per
la versione in ceramica: a causa della tiratura limitata
sarà molto più difficile avere l’opportunità di comprarla e, quando inizieranno ad essere distribuiti gli inviti
(Onyx è disponibile dal 5 novembre, sulla versione in
ceramica si sa ancora poco), saranno privilegiati i
“guru” della comunità OnePlus.
O
Non è “originale”, ma è uno dei più belli
in questa fascia di prezzo
La versione Onyx inviataci da OnePlus è ovviamente
l’oggetto di questa recensione. Già dalla visione della
confezione di vendita non si fa fatica a ritrovare immediatamente l’assoluta ricerca del dettaglio già sottolineata nel test completo di OnePlus 2: la scatola è
bella, contraddistinta dall’ottimo contrasto tra bianco
e rosso, ben organizzata e abbastanza completa. Ci
sono caricabatterie USB, cavo USB-microUSB (niente
USB-C come sul fratello maggiore), una graffetta per
l’apertura dello slot per le schede, un paio di piccoli
“manuali” e un’ottima custodia in silicone (con il retro
“trattato” per essere meno scivoloso) che si adatta
perfettamente alle forme del terminale. Se non siete
avvezzi all’utilizzo di questo genere di accessori, vi
consigliamo assolutamente il suo utilizzo: nonostante non sia bellissima, aiuta tantissimo a tenere il device immacolato. È firmata sui due lati (“Designed by
video
lab
OnePlus X
ESPERIMENTO RIUSCITO. MA IL CONCORRENTE PRINCIPALE È ONEPLUS 2
269,00 €
OnePlus X è uno smartphone a cui si sentiamo di affibbiare un appellativo piuttosto insolito: strategico. OnePlus probabilmente aveva
qualche Snapdragon 801 ancora in magazzino e l’ottima conoscenza maturata su questo chip ha fatto sì che il nuovo smartphone - una sorta
di OnePlus One di “seconda generazione” - risultasse perfetto per un prodotto che è “nuovo” solo nell’aspetto. Ecco, l’aspetto; OnePlus X
è probabilmente uno degli smartphone meglio riusciti degli ultimi tempi, un vero e proprio capolavoro di design e di costruzione che si fa
fatica a trovare anche su analoghi prodotti che costano tre volte di più. È strategico proprio per questo: nonostante la piattaforma datata (ma
validissima) e qualche svista evidente, vedasi la fotocamera decisamente sotto tono, OnePlus X è un prodotto talmente equilibrato e bello che
saprà far innamorare moltissimi utenti alla ricerca di uno smartphone sotto i 300 euro e che farà vacillare anche coloro che possono/vogliono
spendere di più. A 269 euro non c’è un altro dispositivo con queste qualità; il problema è che a 329 euro c’è OnePlus 2 in versione “base”,
tutto di ultima generazione, più grande, potente e con una fotocamera migliore. Ma OnePlus X è più bello, molto più bello. A voi la scelta.
8.5
Qualità
9
Longevità
7
Design
10
Semplicità
7
D-Factor
8
Prezzo
9
Design favoloso
Fotocamera non all’altezza
Costruzione superlativa
COSA CI PIACE Schermo AMOLED di qualità
COSA NON CI PIACE Tasti a sfioramento “invisibili”
Pellicola frontale applicata male
Buone prestazioni, sistema molto snello
OnePlus”) e offre un ottimo grip. Mancano le cuffie,
davvero un peccato considerando che il dispositivo
propone di default l’app Radio OnePlus. OnePlus X è
uno smartphone che non passa inosservato. Estratto
dalla confezione si apprezzano subito la sua leggerezza e l’estrema sottigliezza: parliamo di 138 grammi
egregiamente distribuiti su una scocca spessa solo 6,9
millimetri. Grazie al suo formato relativamente compatto (ha un display da “soli” 5 pollici) non si fa fatica a
metterlo nelle tasche dei pantaloni, si tiene benissimo
e si utilizza alla grande anche con una sola mano. Il
retro del telefono è realizzato in vetro e, a riguardo, è
d’obbligo fare qualche considerazione: il vetro è bellissimo da vedere, ma può essere scivoloso, si sporca,
si graffia e si può rompere. Ritorniamo dunque al discorso fatto in precedenza sulla custodia: OnePlus la
offre in dotazione sapendo della relativa “fragilità” del
retro di questo device e, sinceramente, non abbiamo
trovato controindicazioni nel suo utilizzo che, ancora
una volta, consigliamo vivamente.
OnePlus è caratterizzato da una bellissima cornice interamente realizzata in metallo egregiamente lavorato:
i bordi sono “spazzolati” mentre la porzione centrale

segue a pagina 34 
torna al sommario
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
OnePlus X
segue Da pagina 33 
del materiale è caratterizzata da diversi micro intagli,
ben 17, che corrono parallelamente per tutto il frame.
Ad intervallare la costruzione vi sono, sul lato destro,
il bilanciere del volume, il tasto di sblocco (zigrinato)
e lo slot combinato per nanoSIM (fino a due, questo
è uno smartphone dual SIM) e microSD mentre il lato
sinistro è contraddistinto unicamente dal comodissimo
switch per la selezione delle modalità di utilizzo (tre:
Tutte le notifiche, Solo interruzioni con priorità e Nessuna interruzione) già visto su OnePlus 2. La porzione
superiore vede la presenza di un jack da 3.5mm e di
un microfono ambientale mentre quella inferiore è caratterizzata dall’ingresso microUSB ai cui lati sono posizionate, simmetricamente, due griglie: una nasconde
l’altoparlante e l’altra il microfono principale. Presenti
tre “bande” grigie per l’antenna: due inferiormente e
una in alto a destra. Il retro in vetro è minimal: c’è il
logo OnePlus ben in evidenza in posizione centrale e
fotocamera con relativo flash LED in alto a sinistra.
Impossibile, dunque, non giudicare positivamente il
design di questo dispositivo: seppur vi siano chiarissimi richiami ad elementi di stile già visti su altri terminali
(in primis iPhone 4/4s ma anche 5/5s), il risultato finale
è assolutamente eccezionale. Sotto l’aspetto prettamente stilistico è forse uno dei terminali meglio riusciti
degli ultimi due-tre anni.
Ottimo display, meglio di OnePlus 2

Dopo la non felicissima scelta del display LCD di OnePlus 2 (buono, ma non da flagship), gli ingegneri cinesi
hanno provato a farsi perdonare dotando OnePlus X
di un pannello decisamente più interessante. Il terminale, come già anticipato, monta un display da 5 pollici
di diagonale e dalla risoluzione di 1920x1080 pixel,
valore che su questa dimensione e con la densità
pari a 441ppi è pressoché perfetto. Il vero merito di
OnePlus è stato però quello di scegliere un buonissimo pannello con tecnologia AMOLED; a differenza
del “poco vivace” schermo di OnePlus 2, qui troviamo
un display che offre tonalità forti e molto accese, forse
anche troppo, che però fanno subito emergere la qualità del componente. Il nero è “vero” e anche il bianco
è riprodotto in maniera assolutamente corretta, altro
elemento che avvalora ulteriormente la sensazione di
bontà che questo terminale è in grado di offrire. Ot-
torna al sommario
timo il contrasto, la luminosità massima è buona (ma
non eccezionale) e gli angoli di visuale sono molto
ampi, ma qui siamo assolutamente nella media della
tecnologia OLED. Lo schermo è protetto da un prezioso Corning Gorilla Glass 3 con una finitura 2.5D: i
lati sono dunque morbidi e arrotondati, non una novità
assoluta nel settore ma che fa davvero piacere trovare su un dispositivo che costa tre volte meno rispetto
ad un top di gamma. Sopra il display c’è spazio per la
capsula auricolare con ai due lati, da sinistra a destra,
fotocamera da 8 megapixel e sensori di prossimità e
luminosità (non fulmineo, ma abbiamo visto di peggio).
All’estrema destra c’è un piccolo e bellissimo LED di
notifica multicolore. Al disotto dello schermo c’è spazio per tre pulsanti a sfioramento, completamente personalizzabili nelle funzioni ma praticamente invisibili
già di giorno, figuriamoci al buio! Una scelta davvero
senza senso in questo caso; va bene risparmiare sulla
retroilluminazione ma almeno si sarebbe potuto cercare di rendere più evidenti i tasti. Forse non si è voluto
rovinare il design o forse c’è stata una piccola svista;
alla fine dei conti si è ottenuto un frontale tutto nero,
bellissimo, ma con tasti che per essere premuti correttamente necessitano anche di due-tre “tentativi”. Alla
lunga ci si fa l’abitudine...
Impossibile poi non rivolgere un’altra critica a questo
OnePlus X. Come abbiamo sottolineato anche nella
recensione di OnePlus 2, l’azienda ha deciso di installare una pellicola frontale a protezione dello schermo;
ma se su OnePlus 2 questa è risultata perfetta, sia nelle dimensioni che nell’applicazione, (fatta direttamente
in fabbrica), su OnePlus X non si può dire altrimenti. La
pellicola ci è sembrata piccola, soprattutto sul lato “corto” (rimane 1 mm “scoperto”) e di sicuro “storta”;
non è una cosa che dà
poi tanto fastidio durante
l’utilizzo, ma guardando
da vicino il dispositivo lo
si può notare abbastanza facilmente e spesso è
un qualcosa che emerge
anche di sera, soprattutto
in visione laterale. Forse
il trattamento 2.5D dei
bordi non ha aiutato, ma
è un vero peccato perdersi così in un bicchier
d’acqua.
Una vecchia gloria ra le CPU
Più in forma che mai
Ogni smartphone che si rispetti deve poter contare su
una piattaforma potente e affidabile e OnePlus X non
è da meno. La scelta del SoC è stata per molti versi
sorprendente poiché gli ingegneri cinesi hanno deciso di affidarsi ad un non-recentissimo Snapdragon
801 di Qualcomm, un ex top-di-gamma che ha equipaggiato gli smartphone flagship usciti tra fine 2013
e prima parte del 2014, il quale è stato tirato fuori dal
cilindro per vivere una seconda giovinezza. Per chi
non si ricordasse, parliamo dello stesso chip che ha
vissuto momenti di gloria sui vari HTC One M8, LG G3,
Samsung Galaxy S5 e Sony Xperia Z2 e Z3; è anche
il SoC montato sul primo OnePlus One, elemento che
forse più di tutti ha spinto i tecnici OnePlus nella scelta
di questo componente. Snapdragon 801 è un SoC integrante una CPU Krait 400 quad-core che spinge fino a
2,3 GHz abbinata ad una GPU Adreno 330 che non ha
nulla da invidiare anche a soluzioni più recenti. Eccellente la decisione di equipaggiare OnePlus X con ben
3 GB di RAM: il quantitativo è più che adeguato per il
dispositivo in questione e in ambito Android garantisce
una buona longevità. Il risultato finale è un dispositivo
che si muove agevolmente in tutti gli ambiti di utilizzo
e che ben si difende pure nel multitasking più spinto e
nel gaming, anche se qui qualche piccola incertezza in
termini di framerate l’abbiamo riscontrata. Buoni, per
quanto possano valere, i punteggi ottenuti nei principali benchmark: circa 2500 punti con Geekbench 3
(Multi-core score) e 41000 punti con AnTuTu. Peccato
per i soli 16 GB di memoria eMMC v5.0 integrati; nonostante ci sia spazio per microSD fino a 128 GB, uno
spazio interno di 32 GB sarebbe certamente stato più
apprezzato.
Ossigeno per l’interfaccia
Una delle migliori
OnePlus X è uno smartphone che arriva all’utente con
Android 5.1.1 Lollipop preinstallato a bordo. L’interfaccia
di sistema è l’ottima OxygenOS di cui abbiamo già tessuto le lodi nella prova di OnePlus 2, la quale riconferma le proprie doti anche sul più piccolo dei dispositivi
dell’azienda. All’accensione abbiamo trovato la versione 2.1.0 della UI ma immediatamente è apparsa la notifica per l’aggiornamento dell’interfaccia alla release
2.1.2, la quale ha introdotto qualche piccolo migliorasegue a pagina 35 
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
OnePlus X
segue Da pagina 34 
mento sul fronte della stabilità generale.
Inutile dilungarsi più di tanto: Oxygen OS è forse una
della migliori UI (essenzialmente è solo un launcher)
presenti sul panorama Android. È praticamente l’interfaccia “stock” di Lollipop alla quale sono state aggiunte quelle piccole rifiniture necessarie a renderla “quasi” perfetta. Anche qui troviamo Shelf, utile dashboard
personalizzabile e accessibile effettuando uno swipe
da sinistra verso destra quando si è sul desktop home;
presente la possibilità di scegliere tra un’interfaccia
light e una dark, con quest’ultima sicuramente più affine alle caratteristiche del display AMOLED di questo
OnePlus X. A differenza di OnePlus 2 non vi è la tastiera SwiftKey preinstallata e anche in questo caso dobbiamo segnalare l’assenza di una vera e propria applicazione “Galleria”; ci sono Google Foto e un buon File
Manager, ma è quasi d’obbligo una visita sul Play Store
per l’installazione di un’app di terze parti.
Presente l’opzione (disattivata di default) di accensione del display con un doppio tap sullo schermo mentre anche in questo caso si può premere velocemente due volte sull’invisibile tasto Home per bloccare il
device. Molto interessante è poi la funzionalità che
permette di “accendere” il display semplicemente
passando una mano in corrispondenza della porzione
superiore dello schermo, dove è installato il sensore di
prossimità. Il sistema è abbastanza comodo, ma c’è da
dire che non ha nulla a che vedere con quello già visto
sui Motorola (che però ha più sensori distribuiti sulla
superficie frontale); bisogna passare la mano molto
vicino allo schermo e spesso lo smartphone “ignora”
totalmente il gesto. È un qualcosa in più, ma nulla di
trascendentale. Non c’è il sensore per le impronte digitali ma come su OnePlus 2 si può disegnare una “V”
sul display per attivare la fotocamera oppure una “O”
per accendere la torcia; in attesa dell’aggiornamento
ad Android 6.0 (dovrebbe arrivare entro Natale), non
manca infine il controllo completo sui permessi delle
app. Confermiamo dunque il giudizio estremamente
positivo sull’interfaccia e sull’esperienza d’uso generale. OnePlus X è un device sempre molto reattivo. Nel
browsing web (c’è Chrome) se la cava alla grande e,
grazie alle qualità di Snapdragon 801, può riprodurre
senza problemi anche file video 4K.
La fotocamera è la nota stonata

Sapevamo già di non poter trovare una fotocamera
fenomenale su questo OnePlus X, ma un po’ ci ab-
torna al sommario
biamo sperato. Il modulo principale da 13 megapixel è
caratterizzato da un sensore ISOCELL, da un obiettivo
con apertura massima f/2.2 e da un autofocus ibrido:
mancano però la stabilizzazione ottica e il sistema di
messa a fuoco laser presenti sul fratello maggiore.
Con queste specifiche non è lecito aspettarsi più di
tanto dal dispositivo in questione ed il risultato è stato
assolutamente nel range delle nostre attese. Le fotografie scattate con OnePlus X (di default, in 4:3) sono
di qualità più che sufficiente se si considera la fascia di
mercato in cui è posizionato lo smartphone, ma da qui
ad affermare che il telefono fa ottime foto ci passa parecchia di strada. Con un po’ di fortuna e con qualche
tentativo è davvero possibile togliersi più di una soddisfazione ma, mediamente, è difficile ottenere scatti
degni di nota. In linea generale, di giorno, ci si può ritenere abbastanza gratificati: le foto sono abbastanza
dettagliate e offrono colori piuttosto naturali se guardate sullo schermo del computer. Si nota una certa
compressione, ma niente di troppo esasperato. Buona
la selezione automatica dell’esposizione, ma con una
certa tendenza a sovraesporre i soggetti inquadrati.
Solo sufficiente il bilanciamento dei bianchi: spesso il
sistema “toppa” virando su tonalità troppo calde.
Quando le condizioni iniziano ad essere meno ottimali, però, si assiste ad un crollo della qualità; il dettaglio
diminuisce in maniera importante e da quello che è
possibile intuire pare che tutto sia imputabile ad un sistema di eliminazione del rumore decisamente troppo
aggressivo. Di sera non si nota troppa “grana” nelle
foto, ma i dettagli sono pressoché invisibili; ciò che
ne risulta è sempre una foto povera e piuttosto “morbida”, con una resa complessiva tutt’altro che soddisfacente. Per Facebook e Instagram le foto vanno più
che bene, ma se si cerca un buon dispositivo “punta
e scatta” bisogna necessariamente guardare altrove.
Presenti le modalità “Immagini chiare” e HDR già viste su OnePlus 2: funzionano bene ma non aiutano a
rivoluzionare il risultato finale. Ritardano inoltre un po’
lo scatto a causa della loro logica di funzionamento, il
che non è il massimo su una fotocamera non proprio
eccezionale come quella di OnePlus X. Una nota di
merito però gliela concediamo: non c’è nessun altro
lag tra la pressione del tasto di scatto e l’effettivo salvataggio dell’istantanea. Nessuna nota di merito invece per la fotocamera frontale da 8 megapixel; fa selfie
decenti e, anche in questo caso, tanto “morbidi” da
sembrare un po’ artificiosi.
OnePlus X registra filmati a 1080/30p di qualità assolutamente nella media; la mancanza della stabilizzazio-
ne ottica spesso si fa sentire ma, in linea generale, il
risultato finale è sempre in linea con quelli fatti registrare dalla concorrenza: video di sufficiente qualità,
tutt’altro che ricchi di dettagli. È possibile salvare filmati a 720/120p ma non è stata inserita la modalità
di registrazione in 4K, probabilmente più una scelta di
marketing che una decisione presa in relazione alle
caratteristiche dell’hardware a disposizione.
OK l’autonomia. Manca l’NFC
La batteria da 2.525mAh integrata, non rimovibile, di
OnePlus X permette di arrivare a sera anche se sfruttata in modo abbastanza intenso. Lo smartphone giunto
in redazione, essendo nuovissimo (raramente i modelli
“stampa” sono “di prima mano” e arrivano direttamente dal produttore), ha manifestato la tipica tendenza
riscontrabile con i dispositivi alle prese con i primi cicli
di carica. Nei primi due giorni di utilizzo abbiamo fatto
molta fatica ad arrivare a sera, anche con un utilizzo
non troppo “esagerato”, mentre dal terzo-quarto giorno in poi e dopo altrettanti cicli di carica l’autonomia
è cresciuta significativamente. Dopo una settimana di
utilizzo e con cariche effettuate sistematicamente ogni
notte, il risultato si è stabilizzato su buoni livelli, non eccezionali ma assolutamente in linea con le aspettative.
Lo Snapdragon 801 sembra essere fatto su misura per
questo smartphone e questa sensazione diviene assolutamente evidente se si considera l’irrisorio draining
di batteria anche dopo molte ore in stand-by; il chipset
ha ormai più di due anni (quindi non può vantare sulle
ultimissime specifiche in quanto a battery-saving) ma
l’esperienza accumulata nel tempo ha contribuito non
poco all’ottimizzazione dei consumi. Promossa.
Come su OnePlus 2 è importante la mancanza dell’NFC e, se proprio dobbiamo andare a ricercare il pelo
nell’uovo, mancano pure Wi-Fi “ac” e un paio di bande
LTE (principalmente la 12 e la 17 utilizzate soprattutto
in USA, ma nessun problema in Italia). Il Bluetooth è
in versione 4.0 e ci sono A-GPS e GLONASS. È un dispositivo dual-SIM con un’ottima gestione contemporanea delle due schede, molto buona la ricezione del
telefono (ancora meglio senza cover) come altrettanto
buona è la qualità delle chiamate: c’è un sistema di eliminazione dei rumori di fondo - a due microfoni - che
funziona abbastanza bene (anche se non “cancella”
come altri) e la capsula auricolare offre un suono chiaro, anche se non proprio fortissimo. Infine un dettaglio:
attenzione alla vibrazione. La custodia in silicone attenua moltissimo la potenza del motorino e, in modalità
silenziosa, potreste perdervi qualche notifica.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Abbiamo provato Vive di HTC realizzato in collaborazione con Valve: è uno dei prodotti più avanzati per la realtà virtuale
HTC Vive: il virtuale non è mai stato così reale
La sensazione di estraniazione dalla realtà è quasi totale: i mondi virtuali prendono quasi vita, con noi protagonisti
di Roberto PEZZALI
n’esperienza sconvolgente, nel bene e nel male.
E’ questa la prima cosa che ci viene in mente
dopo la prova della versione HTC della realtà
virtuale, quel famoso visore Vive presentato al Mobile World Congress e sviluppato in collaborazione con
Valve. Sconvolgente perché quello che si prova indossando questo visore è qualcosa di mai visto prima, una
esperienza sicuramente più profonda di quella che si
ha con un visore stile OculusVR o Samsung GearVR,
ma anche sconvolgente perché un visore di questo
tipo probabilmente contribuirà all’isolamento sociale
delle persone, una sorta di “Second Life” virtuale che
questa volta avrebbe davvero senso di esistere.
HTC, con la nuova divisione creata appositamente per
lo sviluppo di questo nuovo prodotto, ha saputo interpretare al meglio i desideri di Valve ed è riuscita a creare un visore tecnologicamente avanzato, con diversi
punti di forza rispetto a quella che sarà la concorrenza.
Dal punto di vista costruttivo c’è poco da inventare:
il casco è comodo, con la forma che ricalca quella di
una grande maschera da sci confortevole da indossare
soprattutto se non si indossano occhiali. Dietro le due
lenti, perfettamente integrati, ci sono due schermi da
1080 x 1200, pannelli in grado di raggiungere un refresh rate fisso di 90 Hz se abbinati ad un computer
adeguato. Vive non ha un sistema audio integrato: HTC
ha preferito lasciare all’utente la scelta della cuffia da
usare ed è consigliabile un modello di tipo chiuso, che
aumenta il senso di isolamento rispetto al mondo reale.
La ricetta segreta di HTC è formata da due elementi: un
accuratissimo sistema di posizionamento che unisce ai
classici accelerometro e giroscopio anche una serie
di sensori laser, e i due controller da tenere in mano
che aggiungono un senso di percezione. I sensori laser sono incredibilmente accurati: riescono a rilevare
la posizione della testa all’interno della stanza con una
precisione di un decimo di grado, condizione questa
indispensabile per sentirsi davvero parte di un’altra
realtà. Entrare nel magico mondo di HTC Vive non è
comunque semplice: prima di tutto serve una stanza
adeguata, nel nostro caso siamo entrati in un ambien-
U

te quadrato di circa quattro metri per quattro, in secondo luogo bisogna calcolare la presenza di un bel
cordone di cavi che non è certo semplice da gestire
e che potrebbe intralciare i movimenti, infine serve
un computer potente, anche se per ora HTC non ha
rilasciato le specifiche. Graham Breen, responsabile di
HTC per il prodotto, ci ha confermato che servirà un
computer da gioco di fascia alta se non altissima, perché gestire l’elaborazione necessaria per i due visori
da 1920 x 1200, oltre a tutti i calcoli per il posizionamento senza ritardi non è affatto semplice. Niente da
fare invece per i cavi: l’esperienza perfetta di HTC Vive
è dovuta in parte all’assenza di ritardo rispetto ai movimenti reali, una situazione questa che non può essere
affrontata con una connettività wireless. Pure il terzo
ostacolo non è cosa da poco: Vive si potrà utilizzare
anche da seduti se il gioco o l’applicazione lo permetteranno, ma non sarà la stessa cosa.
Spiegare perché questo visore ci ha impressionato
non sarà affatto facile, ma ci proviamo ugualmente.
L’obiettivo della realtà virtuale è quello di separare il
mondo reale dal mondo creato da un computer, per
ingannare il nostro cervello facendogli credere di trovarci da un’altra parte dobbiamo
ingannare il maggior numero
possibile di sensi. Se OculusVR
riesce abilmente a ingannare vista
e udito, HTC Vive aggiunge anche
il “tatto” e un senso di movimento
nello spazio che Oculus non garantisce: se con quest’ultimo infatti siamo spettatori di una scena,
con Vive “viviamo la scena”. Nella
mezz’ora abbondante di demo
abbiamo avuto modo di provare
diverse demo e in tutti i casi alla
semplice componente visuale Valve e HTC hanno saputo aggiungeRiparare un robot, forse la miglior demo per provare HTC Vive
re quel giusto livello di interazione
torna al sommario
video
lab
che ci fha fatto sentire parte della scena.
Dall’impressionante laboratorio per la riparazione dei
robot alla possibilità di usare i due controller come
strumenti di disegno, abbiamo davvero viaggiato in un
crescendo di stupore e incredulità per quello che HTC
è riuscita a fare. Il ritardo rispetto alla realtà è inesistente, la risoluzione decisamente buona e la ricostruzione
tridimensionale delle scene incredibile, per realismo e
profondità: il minimo movimento della testa corrisponde anche ad un micro spostamento della visuale.
Valve e HTC hanno fatto un lavoro super anche nella creazione dei due controller: grazie a due touch a
portata di pollice e ai due trigger, i controller possono
davvero trasformarsi in quello che si vuole, diventando a seconda del mondo in cui ci troviamo utensili
meccanici, attrezzi da cucina, strumenti da disegno o
altro ancora. Geniale infine la gestione dello spazio: la
realtà virtuale di HTC è uno spazio all’interno del quale
ci si può muovere liberamente, e in questa condizione
diventa fondamentale segnalare la presenza di una
parete reale che costituisce ovviamente un pericolo.
Vive, dopo aver misurato la stanza, mostra nel mondo
virtuale una sorta di griglia da non oltrepassare non appena ci avviciniamo troppo ad un ostacolo, avvisandoci
quindi prima di un probabile impatto.
Vive HTC ha sicuramente detronizzato OculusVR: è un
prodotto più completo e affascinante, almeno da quanto abbiamo potuto vedere sui modelli provati fino ad
oggi. L’hardware è di altissimo livello, ma parte del merito va anche alle ottime demo che Valve ha preparato
per questo visore, e spesso è proprio la demo a far la
differenza. Sarà interessante vedere, oltre ai software
compatibili, anche il prezzo: HTC promette il lancio del
prodotto nel primo trimestre del 2016, anche se ancora
non è stata definita la strategia di distribuzione e neppure si è deciso quali saranno i primi Paesi interessati
al lancio. Vista la collaborazione con Valve, è molto
probabile che vengano privilegiati i paesi con la maggiore diffusione di Steam.
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Ci sono persone disposte a investire 1.499 euro per una cuffia? Evidentemente sì e forse non sono poi nemmeno poche
In prova la super cuffia AKG N90Q: sogno o follia?
La AKG N90Q è stata creata con la consulenza di Quincy Jones, scopriamo se va messa nella lista dei desideri “impossibili”
di Roberto FAGGIANO
icuramente AKG non ha nulla da invidiare ai più
grandi nomi del settore e quindi è giusto che
anche il marchio austriaco abbia la sua proposta
nell’impero del settore. Ecco allora questa prestigiosa N90Q, che concentrato tutte le migliori tecnologie
AKG, unite all’esperienza da musicista e produttore di
Quincy Jones. Certo che la cifra richiesta la posiziona
oltre il livello di cuffie quasi leggendarie come le Grado 1000, le Sennheiser 800 o le elettrostatiche Stax
507. Oltre al prezzo però la nuova punta di diamante
di AKG ha molto altro fuori dal comune, prima di tutto
il sistema Trunote per la calibrazione della risposta in
frequenza fatta su misura per il padiglione auricolare
dell’ascoltatore. Altro gadget è la possibilità di regolare
i toni alti e bassi direttamente sulla cuffia, oltre a un circuito DSP con due diverse simulazioni ambientali per
adattarsi ai gusti personali. Poi c’è il sistema attivo di
cancellazione del rumore nonché la possibilità di collegarsi direttamente a PC e smartphone (per ora solo
Android) con funzione di convertitore digitale/analogico fino ai 96 kHz.
S
Eccessiva in tutto
La confezione della N90 è un primo segno di opulenza:
dentro un primo imballo di cartone troviamo una seconda scatola in materiale plastico con coperchio dorato, opportunamente imbottita, che contiene la cuffia,
la batteria/alimentatore, una custodia morbida in pelle
per la cuffia e un’altra custodia in pelle per l’alimentatore da sistemare nell’apposito vano con cerniera della
prima custodia. Infine ci sono tutti i cavi nascosti in un
piccolo vano chiuso da un coperchio. Un ulteriore cavo
per la ricarica è fissato all’interno della scatola, in modo
poter ricaricare la batteria senza dovere nemmeno
aprirla, comodo durante un viaggio. Una bella soddisfazione visiva considerata la cifra richiesta. L’estetica
dell’esemplare in prova è piuttosto vistosa con i suoi
particolari dorati, per chi desidera un modello più sobrio c’è anche la versione tutta nera. Va anche detto
che AKG aveva in listino un paio di decenni fa delle
cuffie professionali come le K340 proprio con finitura
oro. Quindi non sono loro che hanno imitato altri, ma
viceversa.
Tornado alla dotazione troviamo molti diversi cavi di
collegamento: uno è destinato all’utilizzo con smartphone Android con microfono e tasti funzione, uno
con le stesse funzioni è invece per gli iPhone e gli altri
dispositivi mobili di Apple, poi c’è un classico cavo lungo minijack con adattatore jack per il collegamento a
un sistema stereo e infine un cavo USB - MiniUSB che
ha il doppio scopo di collegamento con un computer
per la riproduzione diretta con funzione convertitore
oppure per la ricarica della batteria. Volendo essere pignoli mancherebbe il cavo con terminali MiniUSB per la
riproduzione diretta da smartphone Android di ultima
generazione, ma pensiamo che il negoziante che vende una N90Q possa anche omaggiarlo al cliente.
video
lab
AKG N90Q
FORSE LA MIGLIORE CUFFIA, MA È DAVVERO TROPPO CARA
1.499,00 €
Senza dubbio la AKG N90Q è una delle migliori cuffie che abbiamo mai ascoltato, le sue prestazioni raggiungono un livello davvero elevato,
svelando ogni più minimo dettaglio sonoro che spesso rimane nascosto tra le pieghe della musica. Notevole anche la possibilità di adattamento ai gusti personali e assoluta la cancellazione dei rumori esterni. Però il prezzo di listino impone una riflessione su quel migliaio di euro in
più che separa la N90Q da altre eccellenti cuffie: se potete permettervela e avete sorgenti adeguate forse ne vale la pena, altrimenti meglio
ripiegare su modelli che non raggiungono le stesse prestazioni ma hanno un migliore rapporto qualità/prezzo.
8.8
Qualità
10
Longevità
9
Design
8
Semplicità
8
Prestazioni audio eccellenti
COSA CI PIACE Sistema di calibrazione automatico COSA NON CI PIACE
DSP integrato
D-Factor
9
Prezzo
7
Prezzo molto elevato
Controlli di tono migliorabili
Peso notevole
Il massimo in ogni dettaglio
La costruzione della N90Q è curata nei minimi dettagli: per esempio, l’imbottitura dei padiglioni è a doppia
densità con un primo strato più rigido e un secondo
più morbido per avere il miglior compromesso tra
comfort e tenuta in posizione. Le articolazioni dei padiglioni sono in alluminio per avere robustezza e peso
contenuto e poi ci sono i particolari in vera pelle. Il trasduttore è stato realizzato appositamente per questo
modello e misura 52 mm con movimento a pistone. Infine il convertitore digitale/analogico per formati in alta
risoluzione fino a 96 kHz, e magari ci si poteva anche
spingere oltre data la classe della cuffia. Inevitabilmente notevole il peso di ben 460 grammi.
Un mare di controlli per ascoltare meglio
Il sistema di cancellazione del rumore attivo non è certo un’esclusiva AKG, ma qui funziona in modo quasi
totale; per fare un esempio pratico, durante una seduta d’ascolto non abbiamo sentito lo squillare di un
telefono che era posto a circa 50 cm da noi. Bisogna
tenerne conto quando non si vuole completamente
perdere il contatto con la realtà che ci circonda. E non
dimentichiamo che la cuffia non funziona se la batteria è scarica, quindi meglio avere sempre a portata di
mano l’alimentatore per la ricarica.
Uno dei gadget più curiosi della N90 è il sistema di
calibrazione automatica Truenote: basta premere il tasto multifunzione per cinque secondi e la procedura si
avvia. E’ una fase quasi deludente perché il tutto dura
il tempo di un secondo con due toni di rumore, tutto
qui. Forse siamo troppo abituati ai complessi sistemi di
calibrazione home theater che durano parecchi minuti,

segue a pagina 38 
torna al sommario
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA La RIAA annuncia l’adozione del logo univoco da parte dei principali store di musica in alta risoluzione
L’audio Hi-Res ha bisogno di questo nuovo orribile logo?
Il logo in realtà dice poco delle caratteristiche dei file, per questo dovrebbero essere specificati anche risoluzione e formato
di Paolo CENTOFANTI
uello nell’immagine è il logo ufficiale disegnato e approvato dalla RIAA
(Recording Industry Association of
America) su richiesta delle case discogra-
Q
fiche Sony Music Entertainment, Universal
Music Group e Warner Music Group, per
identificare l’offerta di audio ad alta risoluzione. La stessa associazione ha annunciato che alcuni dei principali servizi che
offrono audio Hi-Res in download hanno
deciso di appoggiare l’iniziativa e di utilizzare il logo nel descrivere i propri prodotti. Ma quali requisiti bisognerà rispettare
per poter utilizzare questo logo? Secondo
la RIAA si può parlare di Hi-Res Music in
presenza di formati “lossless capaci di
riprodurre l’intero spettro sonoro delle
registrazioni che sono state masterizzate
in qualità superiore a quella CD (48 KHz
e 20 bit o superiore)”. La definizione è
così articolata per comprendere anche i
formati DSD per i quali non valgono i classici parametri di campionamento e il logo
potrà essere utilizzato anche dai servizi di
streaming, a patto che rispettino i suddetti
requisiti. Ma il logo da solo nulla dice sulle
caratteristiche audio dei file che andrà a
contrassegnare, tant’è che la stessa RIAA
specifica che, per una maggiore completezza di informazione, il logo dovrebbe
venire accompagnato dal nome del formato utilizzato e dalla risoluzione del file
digitale. A differenza poi dei loghi tradizionali, che usualmente contraddistinguono
standard o formati ben precisi, il logo HiRes Music non indica nessuna delle due
cose, ma genericamente un file audio di
qualità superiore a quella del CD Audio.
In più si passa dal parlare di Hi-Res Audio,
come dettato fino a oggi dalla CEA, alla
Hi-Res Music. E quindi alla fine a chi serve
questo logo? Ai pochi interessati all’audio
ad altra risoluzione importa sapere solo
formato e risoluzione, mentre per il consumatore medio ci sarà solo un nuovo
brand da decifrare.
TEST
AKG N90Q
segue Da pagina 37 
ma certo i parametri da controllare sono molti di più in
quel caso. Comunque il sistema funziona, per quanto
si possa valutare nel breve tempo che trascorre prima
di andare subito a verificare il funzionamento della calibrazione, si tratta comunque di sfumature tutte da cercare. Il sistema DSP integrato nella cuffia è un’altra cosa
molto interessante, seppure non esclusiva e ci sono tre
diverse posizioni dal funzionamento: neutro, studio e
surround. Anche in questo caso il risultato all’ascolto
delle due elaborazioni è positivo seppure molto variabile da disco a disco oltre che riguardo i propri gusti
personali di ascolto. I migliori risultati a nostro parere
si ottengono con l’effetto surround con brani dal vivo,
ma a volte anche l’effetto studio non è male. Se non
bastasse su entrambi i padiglioni troviamo altri controlli: su quello destro c’è una ghiera per variare il volume,
sul sinistro invece c’è un controllo di tono che agisce
contemporaneamente su bassi e acuti, in aumento o
diminuzione. Quest’ultimo controllo non ci pare dei più
efficaci nella regolazione, sarebbe stata molto più utile
un’applicazione dedicata da caricare sullo smartphone
con un vero equalizzatore.
Un ascolto che non lascia indifferenti

Non si può dire che indossare la N90 lasci indifferenti,
non tanto - o per meglio dire, non solo - per la qualità
sonora che certamente è eccellente, ma soprattutto
perché il peso e l’ingombro si fanno subito sentire. Difficile resistere per più di un’ora nonostante la superba
riproduzione sonora, senza contare che la temperatura ambiente durante il test era di circa 21° e quindi per
nulla calda. La pressione sulla testa è notevole, attorno
alle orecchie e anche da parte dell’archetto non troppo
morbido, specie per chi non ha un buon strato di capelli. Per l’ascolto abbiamo utilizzato praticamente tutte
le sorgenti disponibili: dal più misero degli MP3 fino a
qualche brano in DSD a 5,6 MHz, passando per molti
torna al sommario
CD e SACD. Per la funzione di convertitore D/A basta
collegare il cavetto USB in dotazione al computer, il software – con Windows 10 - si carica automaticamente in
pochi secondi, senza le noiose procedure necessarie
con altri dispositivi che si interfacciano direttamente con
i PC. Già con i primi MP3 si scoprono livelli di ascolto impensabili per questa sorgente, ma poi arrivano i FLAC:
facile dire che la N90Q suona bene, ci mancherebbe
altro visto il prezzo di listino, qui però si chiedono prestazioni di livello assoluto, di quelle che ti fanno rimanere a bocca aperta, che ti trasportano nella musica senza
più pensare ad altro. Magari la bocca la teniamo chiusa, però la musica prende subito il controllo e si viene
trasportati dentro la registrazione, senza possibilità di
uscirne fino al termine della medesima. L’impostazione
sonora è molto da studio di registrazione, non per nulla la cuffia è firmata Quincy Jones. In pratica vengono
esaltati i minimi dettagli di ogni registrazione, con tutti
gli strumenti ben individuabili e le voci correttamente in
primo piano. A differenza di altre prestigiose cuffie con
questa impostazione però, qui è tutto gradevole e invita
a percepire ogni strumento, a seguire magari la chitarra senza lasciare in secondo piano il pianoforte e nulla
prevale sul resto. La tridimensionalità è molto legata
all’impostazione DSP scelta e quindi viene in gran parte slegata dalla registrazione. Sull’impostazione tonale
prevale la neutralità: non ascolterete mai bassi rimbombanti o voci sibilanti e troppi acuti taglienti. A dire il vero
a volte si preferirebbe una gamma bassa più dinamica,
effetto in parte ottenibile con il controllo di tono, ma
è anche la distorsione praticamente nulla a generare
spesso una falsa sensazione di scarso impatto sonoro.
l comportamento migliore si ottiene collegando direttamente la cuffia al computer con la funzione di convertitore, mentre per l’ascolto da un lettore CD c’è la
mediazione dell’amplificatore che probabilmente non
consente alla cuffia di dare il meglio di sé. Va detto che
il partner ideale della N90Q sarebbe un amplificatore
dedicato e di livello adeguato, magari a valvole per meglio arrotondare la gamma acuta della cuffia.
Television
Philips Android TV™
Gli unici al mondo con Ambilight
Android, Google Play e gli altri loghi sono marchi di fabbrica di Google Inc.
Il robot Android è riprodotto o modificato dal lavoro creato e condiviso da Google
ed è usato in base ai termini descritti in Creative Commons 3.0 Attribution License.
Scopri tutti i vantaggi di Philips Android Tv™ Ultra Hd,
gli unici Tv al mondo che abbinano alla magia
di Ambilight il potere ed i molteplici contenuti
di Google Play™.
Immagini 4 volte più definite ed interazione smart
al massimo: la televisione va al di là dell’ordinario.
Experience at www.philips.it/tv -
/PhilipsTVItalia
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST La Panasonic G7 è una micro quattro terzi compatta che sulla carta può attirare chi vede nella GH4 qualcosa di troppo
Lumix G7, la fotocamera media che “punta in alto”
Ha sensore da 16 Megapixel, sistema di autofocus a contrasto su base DFD e riprende video 4K, oltre che in formato Full HD
A
di Michele LEPORI
maggio 2015 Panasonic ha rilasciato sul mercato G7, collocandola nominalmente nel segmento
delle mid-range, in una zona del proprio catalogo compresa tra la G6 (che va a sostituire) e la GH4:
dalla prima eredita il form-factor compatto, leggero e
dalle forme vagamente DSLR, mentre dalla flagship
guadagna software e qualche soluzione hardware,
benché rivista e corretta. Pare esserci tutto quello che
serve, dal sensore da 16 megapixel all’autofocus DFD
che tanto abbiamo osannato durante la prova della
GH4, per finire con la ripresa video a 4K che ormai
è quasi diventato “il” selling point di tutte le neonate
di casa Panasonic. La macchina della prova è equipaggiata con il 14-42mm f/3,5-5,6, un obiettivo versatile che non brilla per aperture focali particolarmente
spinte, ma che saprà dare ottimi risultati anche in condizioni di scarsa illuminazione.
Design, controlli ed un po’ di numeri
Le prime sensazioni dopo l’unboxing
Compattezza e leggerezza devono essere stati i probabili mantra di Panasonic in fase di progettazione:
il corpo macchina in magnesio è compatto, le forme
sono quelle di una DSLR in formato ridotto ma non per
questo mancante di qualità o comfort, tant’è che ci
sentiamo di segnalare subito l’ottimo e generoso grip
che ospita perfettamente le dita e regala prese sicure
e comode come difficilmente si trovano su mirrorless
di questa gamma. Per dare qualche buon numero, la
G7 ferma l’ago della bilancia a 410 grammi batteria
inclusa su una struttura di 126x86x77 mm: meglio di
lei probabilmente solo la A6000 di Sony con un vero
peso piuma di 344 grammi.
Ora che abbiamo soppesato e valutato gli ingombri
della G7, è tempo di parlare di ergonomia: le dimensioni compatte lascerebbero pensare a meno spazio
per ghiere di comando e tasti ma, paradossalmente,
ci sentiamo di dire che Panasonic poteva osare di più.
Lo spazio fra i comandi è tanto, forse addirittura troppo e qualche bottone è veramente troppo piccolo; le
funzionalità non ne verranno pregiudicate ma rimane
la sensazione che si poteva osare di più.
Tradizionale invece la disposizione delle ghiere, che
non spiazzerà nessun utente: a sinistra del mirino
OLED troviamo la ghiera di controllo per cambiare
video
lab
Panasonic Lumix DMC-G7
COMPLETA, VERSATILE E AFFIDABILE. COSA CHIEDERE DI PIÙ?
799,00 €
La G7 ha soddisfatto le più che buone impressioni della vigilia, regalandoci divertimento e qualità anche con un prodotto che punta alto ma
consapevole di non poter arrivare al podio. I marchi di fabbrica di Panasonic ci sono tutti, dall’autofocus che non sbaglia un colpo al mirino
OLED touchscreen che quando non è più sottomano se ne sente pesantemente la mancanza. In condizione di luce ottimale ci sentivamo
quasi in grado di “scattare ad occhi chiusi”, certi che l’elettronica avrebbe dato il meglio e così è stato; molto buone anche le performance
in notturna con gli scatti di test a ISO 3200 per mettere alla prova la G7 in condizioni di acqua alla gola: a fuoco singolo tutto sotto controllo,
a fuoco continuo c’è da lavorare ma in RAW la resa è gradevolissima. C’è ancora da lavorare sulla personalizzazione delle interfacce, dove le
infinite possibilità di setting potrebbero paradossalmente spiazzare l’utente invece di semplificare la messa a punto della macchina: un difetto
che c’è anche su GH4 e su cui Panasonic ha buoni margini di intervento e miglioramento.
8.4
Qualità
9
Longevità
8
Design
7
Autofocus DFD, istantaneo e perfetto
COSA CI PIACE Ergonomia e qualità di costruzione
Qualità di scatto anche in condizioni-limite
facilmente da scatto singolo, continuo, 4K bracketing,
timer e time lapse. A destra, complici gli spazi più generosi, la corposa ghiera delle modalità di scatto e
due rondelle più piccole ad altezza indice e pollice: la
gestione dei rispettivi comandi è perfetta, la risposta
è precisa anche impugnando la G7 ad una sola mano,
ma vogliamo sottolineare ancora una volta le dimensioni davvero ridotte dei tasti all’interno della ghiera.
Tutto nella norma anche dietro l’obiettivo, con i comandi di gestione ISO, bilanciamento del bianco e
menu esattamente dove ce li aspetteremmo. Molto
Semplicità
7
D-Factor
8
Prezzo
7
Il menu è troppo dispersivo
COSA NON CI PIACE Tasti un po’ troppo piccoli
Sempre e solo un unico slot SD
positiva la personalizzazione offerta dalla configurazione della Lumix G7, che vede 11 funzioni programmabili su altrettanti pulsanti: perfetto per chi vuole
uscire dagli schemi o per condizioni di lavoro particolari, ma - così come detto a suo tempo per la GH4 - le
14 pagine di menu per arrivare al risultato spaventano
il neofita ed anche l’utente più smaliziato potrebbe
storcere il naso di fronte a un menù strutturato così
a blocco unico come questo. Per chiudere, una carrellata sulle porte con cui è equipaggiata la G7: audio
input da 3,5mm, uscita USB ed AV assieme ad una
micro HDMI. Da ultimo, la presa per il telecomando
opzionale. Per i videoamatori è importante segnalare
che la micro HDMI supporta il passaggio di segnale
4K ma - a differenza dell’ammiraglia GH4 - non ha
l’opzione per i 10 bit, limitandosi ai canonici 8 bit.
Mirino OLED e touchscreen al top
L’avevamo già evidenziato più volte durante la prova
della GH4 e non possiamo non ritornare sull’argomento, perché anche sulla G7 la coppia mirino OLED
e schermo posteriore con comandi touch sono sem-

segue a pagina 41 
torna al sommario
n.123 / 15
30 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
Panasonic Lumix DMC-G7
segue Da pagina 40 
plicemente mesmerizzanti: largo, luminoso, dettagliato (1025x768 a 2360K punti) e con ingrandimenti a
0,7x sono i punti di forza di uno dei veri highlight della
G7. Sono gli stessi numeri apprezzati sull’ammiraglia
GH4 e che qui tornano orgogliosamente a mostrare
i muscoli alle rivali Sony e Olympus che non possono semplicemente competere né per tecnologia di
illuminazione né per i semplici numeri. Anche qui la
personalizzazione regna sovrana, lasciandoci liberi
di decidere per una visione minimale oppure incorporare a schermo istogramma, riferimenti di allineamento, zebra pattern o addirittura preview di filtri che
potremmo applicare.
Lo schermo touch da 3”, regolabile in angolo e posizione, ha una risoluzione di 1040K e un aspect ratio
di 3:2, una scelta abbastanza comune per il segmento micro quattro terzi, che cerca di essere il miglior
compromesso possibile anche in ottica di riproduzione video: scattando all’aspect ratio 4:3 nativo del
sensore ci troveremo le bande nere verticali ai lati ma
i video riprodotti a 16:9 non si vedranno in quello che
altrimenti sarebbe un francobollo. Venendo all’operatività del touchscreen, anche sulla G7 il software
lavora benissimo e la risposta agli input dell’utente
è pressoché immediata: tocchi, trascinamenti, e controlli millimetrici funzionano nella maniera più intuitiva
possibile, rendendo l’esperienza d’uso assolutamente godibile. La regolazione del focus è però l’elemento che più colpisce dello schermo touch: quando non
l’abbiamo a disposizione, se ne sente la mancanza.
Lumix G7 alla prova di scatto

Iniziamo a giocare con la G7, le lodi che abbiamo
appena finito di tessere riguardo l’estrema compattezza la rendono un’ottima opzione per la street
photography, ambito all’interno del quale ci sentiamo
di muovere i primi passi, pardon scatti. In questo test
ci siamo concentrati sulla parte fotografica, avendo
già affrontato il discorso 4K nella nostra anteprima
“estiva” e che vi invitiamo a leggere.
Basta poco per riprendere confidenza con l’autofocus DFD (Depth From Defocus), ormai marchio di fabbrica della famiglia Lumix e che anche la G7 sfoggia
con orgoglio. La ghiera di selezione ci offre le opzioni di autofocus S (singolo), C (continuo) e M (manuale), ma come sempre con le Lumix le soddisfazioni
arrivano dalla prima opzione, che trae beneficio dalla tecnologia DFD anche se l’area di autofocus do-
torna al sommario
vesse venire posizionata ai bordi dell’inquadratura o
- a sorpresa - anche in caso di scarsa illuminazione.
La G7 lavora fino a -4EV, regalandoci scatti notevoli
anche quando il sole saluta sotto l’orizzonte: skyline
notturne e tramonti immortalati con l’AF-S non temono rivali. In modalità manuale non si è comunque
abbandonati al proprio destino, visto che gli aiuti
visivi non mancano: si può ingrandire una porzione
dell’immagine fino a 6 volte e selezionarne la visione full-screen o racchiusa in finestra (posizionabile a
piacere tramite il touch screen) per non perdere di
vista l’intera inquadratura. Con focus peaking attivo,
avremo segnalate le alte luci sui bordi degli oggetti
come ulteriore riferimento di esposizione: in coppia
con la possibilità dell’ingrandimento, è un ottimo
modo di sfruttare la G7 senza troppi aiuti elettronici.
Dove invece il DFD concede il fianco è in modalità
continua, area dove c’è ancora margine di miglioramento: i soggetti in movimento mandano fuorigiri
l’autofocus, che tira un po’ troppo ad indovinare le
nostre intenzioni ed il rumore inizia a fare capolino.
I giorni di test ci hanno regalato ambientazioni fra le
più disparate, permettendoci di mettere alla prova
la nostra candidata anche in condizioni più diverse.
Dovremmo dirlo alla fine, ma la G7 si è comportata
meravigliosamente in tutte le situazioni, abbassando
la guardia solo sugli scatti notturni in virtù di una modalità bulbi che arriva al massimo a 2 minuti: un limite
che gli amanti degli star trail devono tenere più che
in considerazione.
Partiamo con un classico, ovvero uno scatto al nostro
husky Nanuk che ormai è ospite fisso delle prove
fotografiche: la situazione di luce è particolare poiché la giornata è soleggiata ma la stanza della foto è
“a tutto verde lime”, dalle tende al tappeto ed il risultato è un filtro innaturale che può alterare lo scatto.
Nanuk guarda incuriosito l’obiettivo, di muoversi non
se ne parla nemmeno e quindi settiamo il focus in
AF-S puntando ad immortalare l’espressività: ad ISO
800 e con tempo 1/20, la maschera di contrasto sul
muso esalta i dettagli del pelo, ed anche zoomando
la definizione non perde colpi. Anche i “fili” del tappeto in primo piano sono a fuoco nonostante avessimo
il puntatore sul muso. Cambiamo soggetti, modellini
statici ma completamente in metallo e che al minimo
riverbero di luce possono dare problemi ad un’ottica
kit. Anche qui, ottimi risultati: il modellino baciato dal
sole, ad ISO 800 rende meravigliosamente bene in
tutti i suoi dettagli neri e viola nonostante avessimo
puntato il fuoco sul volto.
Al calar della sera, non contenti degli sforzi diurni
imbracciamo la G7 per cercare di metterla in difficoltà con luci ed ombre: non dobbiamo neanche fare
troppa strada, è il vialetto sotto casa che ci offre un
buono spunto.
La luce del lampione in primo piano inizialmente abbaglia l’occhio in cerca di una buona inquadratura,
ma come già visto sulla GH4 basta dare al sensore
pochi istanti per capire che succede ed adattarsi alla
situazione. In modalità iA+ ci viene suggerito di sottoesporre a -0,5 EV ma anche lo scatto manuale a
0 EV ed ISO 3200 regala un’ottima gestione delle
luci, con un ampia area di fuoco estesa a tutti rampicanti illuminati ed un rumore che è presente solo
sulle aree negli ultimi piani. Il limite dei 3200 ISO
è il valore che ci sentiamo di non voler superare
per mantenere una buona qualità in funzione del
rumore. Come già visto su altri modelli di Lumix di
quest’anno (ma anche del passato), rimane forse
l’eccessiva aggressività della riduzione del rumore
sui JPEG prodotti direttamente dalla macchina, che
porta a preferire di gran lunga la resa dei file RAW,
superiori per livello di dettaglio e con una grana fino
a 3200 ISO persino piacevole.