Il tocco dell`amore

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Il tocco dell`amore
Il tocco dell'amore
Scritto da Raffaele Volpe
Matteo 8:22-26
Provate a distendere un velo sottile sul vostro volto. Il mondo esterno si appanna. Ora
distendete
un secondo velo e poi un terzo. Ecco che le persone, le cose intorno a voi pian piano
cominciano
a sparire. Aggiungete ancora altri veli e il buio s'infittisce, finché non vedrete più nulla
assolutamente. Siete diventati ciechi.
Ogni volta che nella vita facciamo un'esperienza dolorosa, un velo sottile viene steso sui nostri
occhi. Ad ogni dolore, un velo; ad ogni velo, più buio. Finché un giorno arrivo a dire: «Non vedo
nulla». Sì, sì, i nostri occhi naturali continuano a vedere. Sono i nostri occhi interiori che non
vedono più. Abbiamo perduto il senso dell'orientamento: gli occhi dell'anima non sanno più
dove
andiamo. Qual è il senso della mia vita? Quali sono la mia origine e il mio fine? Una persona
deve
amare ed essere amata per trovare il senso della propria esistenza. Ma non sempre si è amati
e
non sempre si è capaci di amare. Si diventa ciechi nella vita per mancanza d'amore. Per non
essere stati amati per quello che siamo.
Un giorno una giovane donna venne a trovarmi. Era sconvolta, piangeva. Non faceva altro che
ripetermi: «Non so più qual è il senso della mia vita, ho davanti agli occhi una parete buia». Ci
sedemmo e parlammo per molte ore. Mi raccontò che quando era piccola i suoi genitori erano
sempre impegnati e non avevano mai il tempo per stare con lei. «Quelle poche volte che si
stava
insieme, mi disse, il papà e la mamma erano troppo stanchi. Dovevo implorare una carezza. E
certe volte ero così assillante, che invece della carezza beccavo un ceffone. Ero certa che i miei
genitori non mi amavano, anche se non capivo perché». Quella giovane donna non era mai
stata
amata e non aveva imparato ad amare. La rabbia e la tristezza le avevano spento pian piano la
luce dagli occhi. Era diventata cieca; e ora, disperata, non sapeva più qual era il senso della
sua
vita.
Si diventa ciechi nella vita per mancanza d'amore. I veli che mettiamo sui nostri occhi ci aiutano
a nascondere la realtà, a mascherarla. Preferiamo non vedere, che vedere e soffrire.
Cerchiamo
di evitare il dolore che dovremmo sopportare se aprissimo gli occhi sulle nostre delusioni e le
nostre disperazioni. Chiudiamo gli occhi semplicemente perché ne abbiamo abbastanza di tutto
e
di tutti. Chiudiamo gli occhi e non sappiamo più riaprirli. Ogni giorno chiudiamo un po' dei nostri
occhi. Perché siamo delusi che qualcuno non ci ha amati. Perché siamo tristi che non abbiamo
saputo amare.
Si diventa ciechi, senza nemmeno accorgersene. Si diventa ciechi senza saperlo. Si diventa
ciechi, senza sapere di essere ciechi. Quando Gesù giunse a Betsaida, gli fu condotto un cieco.
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La
nostra condizione è simile a questo cieco, abbiamo bisogno di qualcuno che ci conduca. Non
possiamo e non sappiamo più vivere se non alle dipendenze di qualcuno che ormai vede al
posto
nostro. Quanto spesso affidiamo la nostra esistenza a qualcuno che non ci può ridare la vista.
Quante persone conosco che, spenta la luce della loro anima, vivono ormai come schiave di
qualcuno; chiunque esso sia: dall'impostore che promette guarigioni (tutta la speculazione su
Padre Pio dovrebbe aprirci gli occhi!) al buon marito che accudisce amorevolmente la loro
eterna
cecità.
Si diventa ciechi nella vita per mancanza d'amore e solo un atto radicale d'amore può guarirci.
Un atto radicale d'amore che mi incoraggi a rinunciare alla menzogna della mia vita, a rendermi
consapevole del mio bisogno di aiuto. Un atto d'amore che sappia accogliere la mia cecità e
guarirla radicalmente.
Fu condotto a Gesù un cieco. E Gesù prese il cieco per la mano e lo condusse fuori dal
villaggio. Il
cieco deve uscire fuori da Betsaida, abbandonare ciò che per lui significa un po' di protezione,
ciò
che gli garantisce comunque una sicurezza, una serenità. Il processo di guarigione non può
iniziare nel villaggio, sotto la tutela di coloro che ci conducono. Il passaggio dal buio alla luce è
un passaggio doloroso, bisogna abbandonare le pareti familiari che ci difendono, le situazioni
nelle quali ci sentiamo al sicuro. Questo processo ha bisogno dell'esperienza purificante della
solitudine; bisogna lasciare il villaggio e andare verso il deserto, lì dove siamo finalmente soli
con
noi stessi. Prima della terra promessa c'è sempre un deserto da attraversare. Ma ecco che in
questo esilio, in questo pellegrinaggio c'è qualcuno che mi prende per mano: Gesù prese il
cieco
per mano. Poi gli mise della saliva sugli occhi e gli impose le mani. Lo toccò, perché la vita è
contatto. Ecco, quel tocco di Gesù, quel semplice contatto, quell'umidità rinfrescante della
saliva,
il calore delle dita che si posano sugli occhi, il tocco fatto di calore ebbero il potere di accendere
la luce negli occhi del cieco. Un semplice contatto che ricrea la vita: Michelangelo nella
Cappella
Sistina ha raffigurato con l'arte il potere del contatto che crea la vita, quel dito di Dio che dà vita
ad Adamo.
Che potere che ha il contatto, quante energie ci sono nelle nostre mani e quanto spesso non
abbiamo il coraggio di posare le nostre mani su chi è vicino a noi. Cos'è la cecità se non
l'assenza
di calore, se non la freddezza del rifiuto, la mancanza d'amore? E cos'è l'amore se non un
semplice gesto della nostra mano che puo? restituire la vita. Quando studiavo teologia, feci il
tirocinio in un ospedale. Il primo impatto fu con una persona gravemente ammalata. Non
sapevo
cosa dire. Quando raccontai questa esperienza al mio professore lui mi guardò in faccia e mi
disse: «In questi casi non preoccuparti per cosa devi dire, siediti accanto al malato e prendigli la
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mano». Capii che potere enorme c'è nelle nostre mani e quanto è importante imparare ad
offrirle.
Gesù bagnò gli occhi aridi e impietriti del cieco, li toccò e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Il cieco
cominciò a vedere le persone attorno a sè come attraverso un velo, senza contorni, come
ombre.
Figure sbiadite. Quanti veli aveva sugli occhi quel cieco? Quanto aveva disimparato ad amare,
al
punto di non vedere più attorno a sè uomini e donne, ma solo figure sbiadite?
Gesù gli mise di nuovo le mani sugli occhi. Uno alla volta, tolse tutti i veli, finché il cieco aprì gli
occhi e tornò a vedere con ogni chiarezza. Gesù con il tocco delle sue mani ci toglie i tanti veli
che abbiamo messo sui nostri occhi per ripararci dal dolore di non sentirci amati. Gesù, con il
suo
amore radicale, ci restituisce il potere di amare, ci ridona il senso vero della vita. Gesù ci
guarisce
prendendoci per mano, portandoci fuori dalle nostre situazioni che ci accecano, ci tocca con le
sue mani e con la sua saliva sanatrice, restituisce la luce agli occhi dell'anima. Gesù è colui che
ci
apre gli occhi. Gesù guarisce la nostra mancanza d'amore con il suo radicale atto d'amore.
Tanto
radicale che giunge fino alla croce. Dalla croce Gesù ci chiama. Dalla croce tocca i nostri occhi
ei
nostri cuori. Dalla croce ci chiede: «Vuoi essere guarito?».
C'è un gioco che facevo spesso da bambino: moscacieca. Con gli occhi bendati qualcuno mi
faceva fare un paio di giri intorno a me stesso e poi mi lasciava. Assolutamente cieco, perdevo
qualsiasi senso di orientamento. Mi sentivo mancare il terreno sotto ai piedi e certe volte mi
strappavo la benda dagli occhi. Fratelli e sorelle, nel gioco più serio della vita soltanto Gesù
Cristo può strappare i veli che ci siamo messi sugli occhi. Lasciamoci guidare dalla sua mano e
affidiamoci al suo tocco.
Amen
Raffaele Volpe
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