Prefazione-di-A.

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Prefazione-di-A.
Un testo atteso e che riserva parecchie sorprese
COLLOQUIO CHE NON SI INTERROMPE MAI
Abile nel nascondersi, ma non nel nascondere
Aveva delle cose importanti e profonde da dire. E lo faceva con la sua inconfondibile vocina
flebile, quasi impercettibile, una specie di soffio, di sussurro. I toni alti e il “tutto volume” non appartenevano al suo repertorio, a meno che non stesse all’organo, ma questo è tutt’altro discorso.
Sempre all’insegna della discrezione. Niente declamazioni, né tantomeno affermazioni altisonanti.
Scriveva cose stupefacenti, perle autentiche, estratte da chissà quale zona segreta del suo animo sensibilissimo. Ma poi andava a nascondere quelle pagine, ospitate in modesti quadernetti,
dove sapeva lui (o, almeno, così si illudeva), in modo risultassero introvabili, e quindi sottratte alla
curiosità. Riteneva, probabilmente, che non valessero nulla, non interessassero nessuno, oppure le
considerava un tesoro prezioso, da custodire gelosamente, da non esibire. Comunque, quelli erano i
conti con se stesso, e con Dio. Nessun altro doveva interferire nella faccenda privata.
Le parole mormorate venivano intercettate con difficoltà.
Quelle scritte ostinatamente occultate. Ma, in questo secondo caso, il trucco non ha funzionato. Per nostra fortuna.
Don Angelo Lolli era uno specialista nel nascondersi, nello sfuggire alla curiosità del pubblico che lo ammirava, nello scansare la popolarità che lo circondava. Ma non era altrettanto abile
nel nascondere le sue carte. E dire che di furbizia era abbondantemente dotato…
Così, a parte alcuni quadernetti finiti irrimediabilmente nella stufa, e quindi passati per il
camino, altri sono stati scovati dopo minuziose e ostinate ricerche, grazie al fiuto da sperimentato
detective di una sua collaboratrice che ne spiava le mosse, senza darlo troppo a vedere.
Probabilmente lui stesso, nel suo accanimento iconoclasta, non riusciva più a ricordare dove
avesse riposto quelle carte che dovevano rimanere segrete.
Una suora detective
E così noi, oggi, grazie a un prezioso lavoro di ricerca e di sistemazione, ci ritroviamo tra le
mani e sotto gli occhi attoniti, centinaia di pagine sorprendenti, che ci rivelano, senza possibilità di
dubbio, come don Angelo non fosse soltanto uno straordinario, fantasioso e instancabile apostolo
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della carità (e pur sarebbe bastato), ma anche un maestro spirituale di notevole levatura. Diciamo
pure un mistico. Sì, possedeva, oltre al resto, anche la stoffa, il respiro, le intuizioni, le folgorazioni
del mistico.
I suoi orizzonti non erano circoscritti al campionario allucinante delle miserie umane, che
venivano sciorinate davanti ai suoi occhi compassionevoli, e sulle quali si chinava amorevolmente,
ma si aprivano su un affascinante “al di là” precluso ai più.
Arduo stabilire se il mistico abbia influenzato l’apostolo (sarebbe meglio dire il faticatore, il
facchino) della carità, o viceversa. Se il contatto con la realtà umana più sconvolgente l’abbia spinto
a ricercare (o a ricevere in dono) un contatto più elevato, sempre più elevato, negli spazi - e negli
abissi - vertiginosi dell’infinito, ad altezze da dare il capogiro e vortici da stordire.
Oppure se la frequentazione abituale, e quasi familiare, del Monte della Trasfigurazione
l’abbia spintonato verso il basso, la pianura, senza schizzinosità, né tantomeno disgusto, ma con gli
occhi e il cuore spalancati. Attenzione a Dio e attenzione - e rispetto - ai povericristi che lo circondavano.
Sguardo accecato dalla luce divina, ma anche occhi che si lasciavano bruciare dalle realtà
più scomode (che qualcuno riteneva anche ripugnanti), di fronte alle quali molti preferivano abbassare le palpebre e magari rifugiarsi nelle comode e rassicuranti pratiche devozionali.
Insomma la sua è una spiritualità non certo astratta, vaporosa e di evasione, ma una spiritualità robusta che si traduce regolarmente in impegno concreto, quotidiano, nell’ordinarietà… più
straordinaria.
Contemplazione di un Volto trasfigurato e di innumerevoli volti sfigurati. Proiettato nell’alto
dei cieli, senza tuttavia perdere di vista la terra. Elevazioni e abbassamenti. In ginocchio durante un
tempo prolungato davanti al mistero, e piegato sulle sofferenze dei fratelli. Preghiera estatica e umile servizio.
Una sintesi armoniosa di cui pochi sono capaci. Ma don Lolli era un artista anche in questo
senso.
Una spiritualità senza evasioni
A cominciare dal 1906,. fino alla maturità e alla vecchiaia sono pagine che appaiono diseguali (se ci si riferisce alla quantità, quelle della giovinezza sono le più corpose). Agli inizi si può
riscontrare una certa ingenuità e un tormento interiore accentuato, talvolta esagerato, oltre che una
tendenza esasperata alla colpevolizzazione.
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Comunque domina sempre una passione incontenibile, un fuoco che non si è mai attenuato,
una lotta incessante con se stesso (e anche con Dio), un desiderio struggente di infinito, avvicinato,
sfiorato e mai raggiunto definitivamente. Ed anche un rifiuto reciso a ripiegarsi su mezze misure.
Più tardi domina un clima di pace, di serenità, mai comunque di appagamento. Dire che
l’insoddisfazione sta alla base del suo lungo itinerario ascetico-spirituale-mistico.
Basteranno poche citazioni, colte a caso qua e à, semplici assaggi, tali da dare il gusto della
scoperta personale.
Don Lolli non manca di esprimere riconoscenza nei confronti di Dio, che era il Tutto della
sua vita, ma anche nei confronti di tante creature di luce e di bontà incontrate. Tipica questa confessione: «Voltandoci da una parte, troviamo tutto nero, tutto amaro, tutto aspro; voltandoci dall’altra,
invece, tutto bianco, tutto dolce, tutto soave.
«Quante volte, in certi momenti di tristezza e di avvilimento, il nostro cuore si è sentito come sollevato solo nel riposarsi col pensiero sopra la bontà di certi esseri! Oh, grazie anime buone,
della vostra esistenza! Se voi non ci foste, il mondo sarebbe una più brutta galera.
Soprattutto grazie a Voi (don Lolli dava abitualmente del Voi al Signore, nonostante la familiarità, anzi forse proprio per questo: aveva anche il senso della distanza) che avete creato queste
creature e che avete seminato in esse una minima particella della vostra infinita bontà. Come sarete
mai buono Vi, o Signore, se solo un debolissimo raggio di questa vostra bontà è tanto caro!
«O Signore, come è naturale che in Voi ci sia un oceano di felicità anche per il vostro attributo della Bontà, mentre proviamo che in questa vita un’anima buona è come un sole, un rifugio,
una consolazione che cicatrizza le piaghe del cuore e versa nell’anima nostra un balsamo di dolcezza che ci rende quasi felici».
Per concludere in chiave di impegno personale: «Grazie, o Signore, e fate che io sia per gli
altri uno di questi esseri buoni, che io sia la vostra voce, la vostra ombra, che io possa parlare di Voi
e mostrare Voi apparendo con la vostra divisa della bontà» (14 maggio 1906). Qui c’è già tutto il
don Lolli della piena maturità.
Sempre nel 1906 (16 maggio) scriveva: «Io verrò sempre in cerca di Voi ansiosamente, Vi
chiamerò, Vi sospirerò come un assetato, un affannato, un prigioniero…»
La barca è malridotta, tuttavia…
Veramente toccanti queste espressioni uscite dalla sua penna negli anni dell’infermità: «Datemi la forza che mi è necessaria per condurre avanti questa povera mia barca, che oramai non ne
può più. Mio Dio, sono nelle vostre mani!
«Ora più che mai posso dire che faccio soltanto quello che mi fate fare Voi.
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«Io sono un povero essere inerte, incapace di muoversi, di riflettere, di decidere, di volere.
«Abbiate compassione come aveste compassione di quei poveri paralitici, che non si potevano muovere se non al comando della vostra voce.
«Fate che io senta la gioia di confidare in Voi, di abbandonarmi a Voi, di perdermi totalmente in Voi. Che cosa farò oggi? Farò quello che piace a Voi: non formerò un pensiero che non piaccia a Voi; non dirò una parola che Vi faccia dispiacere; non farò cosa alcuna che sia contraria ai vostri disegni. Voglio anche rassegnarmi. Perché tanta tristezza quando penso ai miei disturbi? Voi li
conoscete ad uno ad uno e, se me li permettete, è segno che avete uno scopo di bene mio. Questo
bene io non lo vedo, anzi mi pare che non vi sia. Per questo mi rattristo come se fossi abbandonato
da Voi, che siete l’unica sorgente della salute e della gioia. O mia salute, mia gioia, state con me!»
(2 luglio 1951).
Comunque, niente espressioni vacue, niente smancerie. Ma sempre estrema concretezza:
«Sono io pure come gli Ebrei nel deserto, fuggiti dalla schiavitù di Babilonia (probabilmente voleva
dire Egitto, n.d.r.), per andare alla terra promessa: a quella terra che Dio ha preparato a loro ripiena
di ogni sorta di cose belle, di ogni abbondanza di ricchezze e piaceri.
«E’ proprio la mia vita un viaggio nel deserto: viaggio pieno di incomodi, di sofferenze, di
trepidazioni, di paure. Quanti momenti tristi, pieni di desolazione!
«Ma perché avvilirsi! Il viaggio passa e la meta si avvicina…» (2 luglio 1951).
Un’ultima citazione, quale sigla finale: «Sarà Lui un giorno a riempirmi di tanta gioia quanto questo mio povero cuore, dalle aspirazioni infinite, ne è capace: Conoscere questo, desiderarlo,
volerlo, conquistarlo: ecco lo scopo, il lavoro di tutta la mia vita
«Oggi voglio che sia una giornata tutta offerta all’Amore… lavorare per Lui; soffrire per lui;
gioire per Lui.
«E’ questa la preparazione al Paradiso» (2 luglio 1951).
Almeno un pizzico di nostalgia
Già. Colloqui con Dio. L’intera vita di don Lolli si è srotolata come un ininterrotto, intenso,
vibrante, perfino concitato, ma soprattutto, amoroso colloquio con Dio.
Don Lolli, soprattutto un innamorato.
Dio era il suo tormento ma anche la sua pace.
All’esterno di questi colloqui soltanto alcune parole smozzicate, rattenute. Più che sufficienti, comunque, per farci trasalire di stupore e anche a suscitare, chissà, nel profondo del nostro animo, qualcosa che somiglia alla nostalgia.
Alessandro Pronzato
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