Sembra proprio che non si riesca a porre

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Sembra proprio che non si riesca a porre
Sembra proprio che non si riesca a porre definitivamente un fermo agli equivoci che, forse volutamente,
continuano periodicamente ad essere sollevati in merito all'esatta interpretazione da darsi all'art. 3, punto
5, lettera e) della legge 148/2011 ove si legge, tra le altre cose:
•
“a tutela del cliente, il professionista é tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti
dall'esercizio dell'attività̀' professionale.
•
Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi
della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale.
Per prima cosa dunque si deve fare chiarezza su cosa si intenda con il termine “professionista”. Il Codice
Civile ( artt. 2229 e seguenti) non aiuta a dirimere la matassa e secondo il vocabolario Sabatini Colletti si
può indifferentemente definire professionista:
•
Chi esercita una professione intellettuale, liberale, o comunque un'attività per cui occorre un titolo
di studio qualificato;
•
Chi trasforma un'attività disinteressata, criminosa o altro in un mestiere e in una fonte di reddito;
•
Chi lavora con particolare competenza e bravura.
E' possibile escludere che la legge voglia far stipulare un'assicurazione ad ogni criminale o ad ogni politico o
sportivo (attività disinteressate che diventano fonte di reddito).
Si può anche convenire sul fatto che se dovessero assicurarsi solo quelli che lavorano con competenza e
bravura sarebbe una bella fregatura per i clienti di quei professionisti impreparati o inetti.
Ad individuare un professionista rimane dunque la prima definizione: chi esercita una professione
intellettuale, liberale, o comunque un'attività per cui occorre un titolo di studio qualificato.
Perfezionando l'analisi si può aggiungere che è un professionista chi, a differenza di un altro lavoratore
autonomo (artigiano, commerciante), ha l'obbligo di iscrizione ad un albo/ordine professionale, effettua una
prestazione di alto contenuto tecnico-scientifico o intellettuale, e/o instaura con il cliente un particolare
legame fiduciario.
L'esercizio di una professione richiede:
•
la discrezionalità nell'esecuzione del lavoro;
•
il carattere intellettuale del lavoro;
•
il semplice compimento della prestazione indipendentemente dal risultato.
E il libero professionista è un professionista, come sopra individuato, che esercita la sua attività senza avere
datori di lavoro.
E proprio la comparazione tra “libero professionista” e “professionista” permette di chiarire, in modo si
spera inequivocabile, perché gli infermieri, ma anche i medici, i fisioterapisti, le ostetriche, gli psicologi, i
biologi, ecc., con rapporto di lavoro dipendente o assimilabile (collaborazioni, borse o altro) non hanno
nessun obbligo di stipulare assicurazioni a copertura dei rischi derivanti dall'esercizio della professione.
L'art. 2049 (Responsabilità dei padroni e dei committenti) del Codice Civile recita:
I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e
commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
Un linguaggio indubbiamente datato ma altrettanto indubbiamente inequivocabile, e inequivocabilmente
interpretato dalla giurisprudenza.
Con i termini padroni e committenti sono ricompresi tutti i casi nei quali vi è un rapporto di preposizione,
rapporto che si realizza quando un soggetto utilizza e dispone del lavoro altrui ( e, estensivamente, non
solo il lavoro di domestici e commessi...).
Dunque il Codice Civile riconosce la “responsabilità oggettiva” del datore di lavoro per i danni commessi per
colpa o dolo da un suo subordinato. E' lo stesso principio che causa la condanna a multe o penalizzazioni di
una squadra di calcio se un suo calciatore commette un illecito sportivo o se i suoi tifosi si dimostrano
eccessivamente intemperanti.
Come si diceva prima, la comparazione tra “libero professionista” e “professionista” ci permette di sciogliere
l'enigma.
La legge 148/2011 oltre ad usare il temine “professionisti” ne utilizza altri estremamente significativi:
“cliente” e “assunzione dell'incarico”.
Chi sono i clienti? Coloro che si rivolgono ad un soggetto erogatore di servizi per vedere soddisfatto un loro
bisogno.
Ebbene il cliente che si rivolge al “libero professionista” fa una scelta e instaura, nel momento in cui il
professionista accetta di “assumere l'incarico”, un rapporto contrattuale direttamente con questi.
Il cliente che si rivolge al Servizio Sanitario Nazionale, ovvero ad una Casa di cura privata, fa certamente una
scelta ma instaura il rapporto contrattuale con l'Azienda, pubblica o privata, che sia, la quale eroga le
prestazioni attraverso i propri dipendenti senza che lo stesso possa sceglierseli.
Ecco dunque la prima grave incongruenza di chi insiste a sostenere l'obbligo di assicurazione.
Se il cliente è dell'Azienda sarà la stessa a dover rispondere degli, eventuali, danni causatigli dai propri
dipendenti che non possono scegliere se assumere o non assumere l'incarico dovendo svolgere il proprio
lavoro per compito d'ufficio.
La seconda incongruenza, estremamente risibile, è che il dettato della norma prevede che il cliente sia
informato dal professionista degli estremi della polizza stipulata e dei relativi massimali.
Qualcuno riesce ad immaginarsi , non un Pronto Soccorso situazione estrema e troppo facile da utilizzare,
ma anche solo un Poliambulatorio nel quale ogni infermiere, ogni medico o altro operatore sanitario, prima
di iniziare un trattamento ad un cittadino debba spiegargli quale sia la sua assicurazione con relativi
massimali?
Per altro esistono attività, si pensi quelle di laboratorio o di anatomia patologica,
per le quali è
materialmente impossibile che gli esecutori degli esami si incontrino con i soggetti per i quali gli esami
vengono eseguiti. E in quel caso come sarebbe possibile informare il cliente?
E' dunque evidente che la norma è stata pensata e scritta, se si vuole confusamente ma solo per chi ha
interesse a fare confusione, per i “liberi professionisti”.
Qualcuno potrà, con qualche ragione questa volta, sollevare il problema dell'obbligo di assicurazione per chi
aderisce alle prestazioni rese nell'ambito della cosiddetta libera professione intramoenia.
Ma anche in questo caso non sussiste nessun obbligo da parte dei dipendenti di stipulare un'assicurazione.
In particolare il personale infermieristico, orribilmente definito di supporto, non ha clienti propri ma opera
su cittadini che scelgono le prestazioni di un medico attraverso, per altro, il sistema di prenotazioni
dell'Azienda.
Azienda che incamera parte dell'importo pagato per la prestazione e organizza tempi e modi dell'attività in
intramoenia.
Alla fine i lavoratori dipendenti possono dormire sonni tranquilli e non sentirsi obbligati ad assicurarsi?
Per quanto riguarda la cosiddetta colpa lieve non vi sono dubbi.
Infatti solo nei casi in cui il datore di lavoro ritenga di aver dovuto risarcire un “cliente” per una colpa grave o
addirittura per dolo di un proprio dipendente, e riuscirà a dimostrarlo, avrà la facoltà di rivalersi sullo stesso.
Detto che le assicurazioni, per ovvi motivi, non assicurano i danni causati da una condotta dolosa, ovvero
causati volutamente, la scelta sul fatto di assicurarsi per colpa grave è del tutto individuale e strettamente
connessa alla valutazione delle condizioni di lavoro in cui si opera oltre alla sicurezza nella propria
professionalità.