Quadro 2 - Comune di Albese con Cassano

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Quadro 2 - Comune di Albese con Cassano
Quadro 2.1 Leggere il paesaggio
Siamo ancora nella parte montuosa del comune di Albese con Cassano, caratterizzata da notevoli
pendenze. Qui il paesaggio è dominato dalle due elevazioni del Dosso della Merma e del Dosso
Fragorato, tra i quali, in una stretta valle scorre il Torrente Valloni. Poco a valle della propaggine
meridionale del Dosso della Merma (dove sorge la cappelletta detta della “Madonna del Ballabio”),
il Valloni riceve un piccolo tributario di sinistra, che scorre nella Valle di Rondina (Valderondina).
Questa zona montana, come anche la successiva, è occupata per lo più da formazioni boschive, che
costituiscono un mosaico verde a seconda delle situazioni ambientali locali. Ad altitudini superiori
agli 800 metri, predominano ombrose faggete dominate dal faggio (Fagus sylvatica), con scarso
sottobosco. A quote inferiori, molto frequenti sono le formazioni a castagno (Castanea sativa) o a
pino silvestre (Pinus sylvester), due piante in passato assai favorite dall’uomo in tempi diversi e per
scopi diversi. Sia il castagno che il pino silvestre tendono ad acidificare rapidamente il suolo su cui
crescono permettendo la crescita di specie acidofile come il mirtillo (Vaccinium myrtillus); talvolta
sono accompagnate da acero di monte (Acer pseudoplatanus) e Rovere (Quercus petraea). Tipici
dei profondi solchi vallivi che caratterizzano le nostre montagne sono invece i boschi freschi e
ombrosi ad Acero di monte (Acer pseudoplatanus), Tiglio (Tilia platyphyllos) e Frassino maggiore
(Fraxinus excelsior), con qualche sporadico castagno (Castanea sativa) e la fascia arbustiva
dominata dal nocciolo (Corylus avellana), dal biancospino (Crataegus monogyna), dal
maggiociondolo (Laburnum anagyroides), dall’agrifoglio (Ilex aquifolium). Il sottobosco è
caratterizzato da specie quali il bucaneve (Galanthus nivalis), l’erba trinità (Hepatica nobilis),
l’anemone bianca (Anemone nemorosa), il dente di came (Erythronium dens canis), l’elleboro
bianco (Helleborus niger), l’aquilegia (Aquilegia vulgaris), la campanella selvatica (Campanula
trachelium). In stazioni ben esposte a sud si possono trovare invece boschi termofili a Roverella
(Quercus pubescens), Carpino nero (Ostrya carpinifolia) ed Orniello (Fraxinus ornus), aperti e
luminosi, accompagnati dal Corniolo (Cornus mas) e dalla Cornetta (Coronilla emerus). Queste
formazioni vegetali di latifoglie miste, al di sotto dei 600-650 m circa, sono state invase in modo
più o meno rilevante dalla robinia, introdotta in Europa nel ‘600.
Dal secondo dopoguerra in poi, la ridotta importanza del bosco e del pascolo per l’economia locale
ha favorito una progressiva espansione delle varie tipologie di bosco spontaneo a svantaggio delle
selve castanili e dei pascoli semplici o combinati alle selve, che costituivano fino all’inizio del
Novecento una importante risorsa di foraggio, cibo, legname d’opera e combustibile e pertanto
erano oggetto di manutenzione costante da parte dell’uomo. Conseguenza di ciò, è stato anche un
generalizzato abbandono della montagna “vissuta” quotidianamente. Testimonianze di questo
passato sono le ceppate delle secolari piante di castagno (Castanea sativa) e i ruderi dei casotti usati
per il ricovero di attrezzi e persone che si possono ancora trovare lungo il sentiero per la sorgente
d’Isa, oltre alle numerose tracce dei percorsi montani, oggi ridotti a sentieri impiegati
prevalentemente per scopi turistici e venatori.
Quadro 2.2 Il passato scomparso
Fino al 1928 i Comuni di Albese e Cassano costituivano due realtà amministrative distinte.
Osservando l’andamento dei confini antichi riportati nelle carte del Catasto Teresiano, si può notare
come essi si adeguino all’andamento dei crinali e al percorso dei torrenti. Nella ripartizione del
territorio risultano, a parte le dimensioni, caratteristiche abbastanza simili: sia Albese che Cassano
comprendevano una porzione di territorio montano, una collinare sistemata a terrazzi, un compatto
nucleo abitato e, nella parte pianeggiante, terreni coltivati intervallati da una significativa presenza
di brughiera boscata. La distribuzione dei terreni riproduceva l’equilibrio fra pianura e montagna,
fra aree più o meno fertili, equilibrio sui cui si fondava l’economia agricola fino almeno alla fine del
Settecento.
Quadro 2.3 I nomi dei luoghi
Dosso Fagorato risulta abbastanza sorprendente l’ipotesi suggerita da Dante Olivieri, il quale,
citando appositamente questa altura, ne suggeriva la spiegazione come luogo delle fragole
(Fragaria vesca). Egli infatti trascurava per una particolarità del genere la consuetudine del dialetto
locale nel quale la fragola è detta magiustra, e ancor di più i documenti storici che suggeriscono
come il toponimo che si è affermato nel corso del Novecento possa considerarsi la storpiatura nel
passaggio dal dialetto all’italiano di toponimi come Monte Fagorà o Focolare (che risultano quasi
sinonimi, se consideriamo la traduzione che nel 1849 Pietro Monti dava del termine fagorà
“...passare più persone in crocchio al focolare le serate d'inverno”).
Piodée deriva dal termine pioda (lastra di pietra) e si trova impiegato per indicare un affioramento
roccioso, come suggerisce Dante Olivieri.
Quadro 2.4 Luoghi memorabili
2.4.1 Le selve castanili
La maggior parte dei terreni di proprietà comune consisteva in appezzamenti destinati a selva
castanile o a pascolo di montagna e, nonostante la loro scarsa produttività, erano indispensabili per
la sopravvivenza dei contadini più poveri che potevano accedervi per raccogliere legna, foraggio e
frutti commestibili in modo gratuito ma assolutamente disciplinato.
Negli archivi restano tracce di contese antiche che ebbero come oggetto queste aree; contese che
testimoniano nel corso dei secoli i mutamenti culturali ed economici che interessarono queste
comunità.
Nel corso del XVII secolo i boschi comuni stavano per essere venduti in cambio della libertà dai
feudatari che su queste comunità vantavano diritti quali l’amministrazione della giustizia e la
riscossione dei tributi. L’appuntamento con la libertà dovette essere rinviato perché la contropartita
richiesta dai feudatari per cedere i loro diritti erano appunto quei boschi comuni che sfamavano la
grandissima maggioranza della popolazione composta da contadini poveri.
Nel Settecento invece un nuovo ceto di proprietari terrieri si dimostrò interessato ad investire
acquistando le terre comuni con fini speculativi. I principali possidenti premettero sul Consiglio
Comunale di Albese affinché determinasse la messa in vendita dei beni comuni, ma non ottennero il
loro scopo di fronte alla dura reazione dei contadini, in particolare di un gruppo di donne agguerrite,
che nel 1745 interruppero con le falci in pugno «il convocato comunale» (vedi Quadro 7.), così
pure nel 1782 la votazione fu sospesa dall’intervento di tre nobili proprietari, accontentando così i
contadini nuovamente in tumulto e riuscendo ad impedire una cessione che per loro sarebbe stata
fatale. In questa fase, a difesa dei contadini, si erano dunque schierati anche i nobili locali, che ben
comprendevano come le terre comuni attenuassero la miseria dei contadini e garantissero un
equilibrio sociale che assicurava anche i loro privilegi. Anche a Cassano i contadini avevano fatto
sentire la loro voce.
Nel corso dell’Ottocento queste risorse collettive cominciarono ad essere usate dagli amministratori
pubblici come “merce di scambio”. Furono frequenti, ad esempio, l’affitto temporaneo, la vendita
dei boschi e le vendite di legname, che andarono a finanziare opere pubbliche come la sistemazione
delle strade, la costruzione di acquedotti e pozzi, oltre alla realizzazione della nuova chiesa
Parrocchiale di S. Margherita e del relativo campanile. Già per la nuova chiesa parrocchiale di S.
Margherita «nella grandiosa spesa che poi ebbero i nostri a sostenere nella fabbricazione
dell’odierna Chiesa, gran parte del legname castanile di cui abbondava la nostra montagna
comunale venne atterrata per far fronte ai bisogni della fabbrica […] La legna aveva quel tempo
pochissimo valore, e non si poteva trarne profitto che col ridurla in carbone», come ricorda Luigi
Riva (1792-1865) nel suo manoscritto “Memorie storiche di Albese e (Cassano Albese)”. Ma fu
soprattutto per la realizzazione del campanile con le campane, nel 1838 che il Consiglio Comunale
di Albese, anche se per due soli voti, stabilì «il totale atterramento del legname castanile esistente
nei detti boschi, ed in seguito il livello […] I tempi sono cambiati, mi fu risposto sottovoce». E così
pure avvenne a Cassano. I tempi erano veramente cambiati: i mutamenti economici e sociali
avvenuti nel corso del XIX secolo, con la diminuzione dell’importanza economica dell’agricoltura
in favore del lavoro nell’industria manufatturiera, trasformarono lentamente i contadini in operai,
facilitando le operazioni fallite nel secolo precedente.
2.4.2 La cappelletta detta della “Madonna del Ballabio”
La cappelletta detta della “Madonna del Ballabio” fu eretta nel 1885 dalla famiglia Ballabio, di cui
è tuttora proprietà. Il dipinto della Madonna di Lourdes è stato restaurato, come la cappella, nel
1969 dal pittore albesino Raffaele Beretta.