trasformazioni paesaggistiche ed ambientali ad opera dell`uomo nel
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trasformazioni paesaggistiche ed ambientali ad opera dell`uomo nel
TRASFORMAZIONI PAESAGGISTICHE ED AMBIENTALI AD OPERA DELL’UOMO NEL TAVOLIERE DI PUGLIA Nelle desolate zone destinate a "colture estensive", sui terreni già soggetti a "vincoli doganali", oggi finalmente, viene spesso riproposto, in termini nuovi per il Tavoliere di Puglia, l'antico tema della masseria. Una volta la masseria era costituita da vasti fabbricati, per ospitare, solo saltuariamente, uomini e bestie destinati a lavori stagionali. Nelle nuove aziende, invece, viene realizzato un regime del tutto diverso. Le costruzioni, prima isolate in vaste estensioni brulle, vengono circondate oggi da verdi sistemazioni arborate e vanno inglobando, in un complesso unico, capannoni preesistenti e vecchi magazzini; prevalgono, però, i nuovi edifici che denunciano insediamenti umani talvolta permanenti, di grande interesse per la storia del paesaggio rurale della "Puglia piana". I locali per le industrie, i caseggiati per i salariati fissi e gli appartamenti per le famiglie dei proprietari, sono organizzati come in antiche ricostruite cittadelle, di nostalgico ricordo patriarcale, di sapore antico, anacronistico forse, ma che non per questo risultano irrazionali o poco efficienti. Com'è stato possibile passare dalla malaria di ieri, dallo scoramento e dalla desolazione mortale, allo splendore, spesso opulento, di così nuove sistemazioni? Come ha potuto un'agricoltura povera diventare altrettanto nuova, ricca e ferace, in una terra fino a ieri sfruttata principalmente a pascolo? Quali forze nuove hanno potuto vincere regimi di obbligatorio sfruttamento, di pigrizia e di ignoranza? Vel carpitur vel colitur Con questo motto ed all'insegna di una bella incisione dello scultore F. de Grado, Stefano di Stefano inizia il secondo volume di una sua complessa 62 opera sulla storia del Tavoliere di Puglia, «per tutto ciò che appartiene alla mena delle pecore, al tribunale della Dogana ed alle concessioni dei terreni dati in fitto per uso agricolo» (Della ragion pastorale, Napoli, Stamperia D. Rosselli, 1734). Carpire o coltivare? Menare nei grandi pascoli greggi ed armenti liberi di brucare le erbe spontanee dei campi, o raccogliere, con la fatica dell'uomo, i prodotti delle sementi affidate alla fecondità della terra? Nel Tavoliere di Puglia1 questo dilemma durò per secoli, portando sempre a soluzioni errate sia per gli allevatori che per l'attività agricola: da una parte le grandi morie di bestiame, soggetto a lunghe e faticose transumanze, e dall'altra l'appantanamento di terre mai completamente dissodate. I difficili bilanci di una economia povera e le coercizioni imposte da regimi di sfruttamento determinarono l'arretratezza che, per lunghi anni, doveva affliggere la parte più generosa del territorio pugliese. Transumanza e pastorizia contribuirono a dare un volto triste al grande Tavoliere, esasperando la inospitalità di un ambiente già degradato da violenti precedenti storici e dove alla fine solo la malaria imperava mortale. Il contadino veniva avversato dalla tracotanza pastorale, che considerava intrusione estranea ai propri interessi ogni tentativo di stabile insediamento umano; e, tuttavia, più che dal conflitto di contrastanti economie, egli veniva vinto dall'insidia della perniciosa. Solo pochi coraggiosi resistevano alle lotte e alla decimazione, ma non riuscirono mai a modificare, in modo veramente definitivo e rinnovatore, una situazione nata da errori antichi e codificata da leggi inique ed ottuse discipline. 1 - Per Tavoliere di Puglia s'intendeva l'insieme dei terreni soggetti alla Dogana della mena delle pecore. La Dogana ebbe sede prima a Lucera e poi a Foggia. I terreni destinati a pascolo oltre ad occupare gran parte della Capitanata proseguivano in terra di Bari, in terra d'Otranto e nei paesi pedemontani della limitrofa Lucania, fino alla valle del Bradano. Oggi deve distinguersi una certa differenza nell'uso del termine Tavoliere, a seconda che venga inteso nel senso attuale e geografico della pianura di Capitanata o che venga riferito all'oggetto storico della giurisdizione della Dogana. Si consideri a tal proposito che il nome di Tavoliere può essere derivato dalle tavole censuarie (tabularium) per l'applicazione dei censi pascolativi. Il tabularium in dialetto veniva chiamato "U tabelliere". 63 La incomprensione di amministratori avidi e lo sfruttamento disamorato di governi stranieri miravano all'unico interesse di spremere, a favore dell'erario, l'ultima goccia di sangue ancora valido per incrementare al massimo le entrate nelle casse dello Stato. Nell'abbandono di campagne incolte e malsane, il Tavoliere diventava un luogo sempre più brullo e selvaggio. Oggi questo abbandono è solo un ricordo storico, anche se molto recente. Nel secolo XVIII, invece, scrittori vari e viaggiatori stranieri in giro per il mezzogiorno d'Italia potevano facilmente attribuire al paesaggio interessato dai pascoli pugliesi, appellativi pittoreschi, ma drammaticamente veritieri, come «deserto del Regno di Napoli», «Sahara delle nostre contrade», «steppa forzata» «rifugio della barbarie» e «massimo campo della gloria e della legislazione dei Tartari» (da Antonio Lucarelli, La Puglia nel Risorgimento, Bari, 1931, Vol. I, pag. 28). L'antica ricchezza Questa grande pianura non fu sempre così abbandonata, né sfruttata fino all'impoverimento e alla degradazione. Rilievi aerofotogrammetici, studi ed esplorazioni, sondaggi e scavi vengono periodicamente coordinati dall'Istituto italiano di preistoria, allo scopo di definire, in una mappa precisa, l'antica topografia dell'attuale Tavoliere. Intanto, le località già sicuramente ubicabili permettono di individuare numerosi stanziamenti umani, che vanno dal periodo neolitico a tutto il medio evo. Evidentemente, fin dai tempi più lontani, la pianura pugliese poteva essere abitata senza danni e senza pericoli per l'uomo; e ciò malgrado la presenza di vaste zone umide che andavano continuamente mutando nel tempo il profilo delle proprie coste. Infatti, la geografia locale subiva varianti paesaggistiche ed ambientali per le continue modificazioni provocate da disgeli, alluvioni e bradisismi. L'uomo a tali mutamenti deve adattarsi spostandosi di volta in volta nei siti più elevati ed occupando aree nate da colmate recenti e che consentono la facile messa a coltura di terreni vergini, freschi e fecondi. Egli, a questo punto, ha già rinunciato al primitivo predaggio, alla vita nomade e alla caccia come sua unica risorsa di sostentamento. Diventa agricoltore e lascia sulla terra i segni del suo lavoro. Ha dimore fisse: non 64 più antri e caverne naturali, ma capanne riunite in semplici e sparuti villaggi. Quando i villaggi diventeranno più grandi e le comunità più consistenti, più popolose e più organizzate, lunghi fossati verranno scavati per difendere le case dagli assalti notturni di fameliche fiere; grandi opere idrauliche assicureranno in cisternoni comuni la provvista d'acqua durante la stagione secca e recinti permanenti verranno innalzati per il ricovero degli animali allevati in cattività. Pur dovendosi sempre adattare alle esigenze di una giovane terra ancora in formazione, questi primi laboriosi pugliesi già sono capaci di migliorare l'ambiente, per assicurarsi più ricche possibilità di vita. Dalle presunte palafitte di Passo di Corvo (agro di Foggia), ai villaggi sorti sulle colmate di Marandrea (agro di Manfredonia) e via via, fino ai campi delle stele antropomorfe daune (zona di Siponto), non meno di cento tracce di insediamenti antichi possono essere individuati. Per ognuno di essi, esami stratigrafici, reperti litoidi e ritrovamenti ceramici permettono di risalire all'epoca dell'insediamento e di interpretare il livello di civiltà raggiunto dalle popolazioni, oltre alla cultura che presiedeva alla loro economia. Il clan è quasi sempre pacifico e laborioso, tutto dedito all'agricoltura, alla pastorizia ed all'allevamento di piccoli animali domestici, pur senza rinunciare del tutto alla caccia e alla pesca. Attività, queste ultime, favorite dalla persistente presenza di vasti e limpidi specchi d'acqua. E' difficile, in mancanza di mappe ancora in corso di rilevamento, immaginare con sufficiente attendibilità le caratteristiche di un paesaggio avvolto dalle spesse nebbie di tempi troppo lontani. Più facile è, invece, immaginare questo stesso paesaggio in epoca dauna ed ellenistica e nel successivo periodo romano, fino alla caduta dell'impero. Le «affaticate querce», che resistevano con tenacia agli impetuosi venti adriatici, scendevano da monti del Gargano fino a valle, dove nella grande pianura, diradandosi, cedevano il posto ai lecci ed al lauro, al pino, al salice e al tamarice, o a cento altre essenze acquatiche e lacustri. Strabone descriveva dettagliatamente i laghi di Salapia e di Siponto, navigabili e collegati da canali navigabili, che assicuravano i traffici continui tra il mare aperto ed i porti lagunari1. 2 - Geografia, 6-3-9. 65 Si sa anche dei grandi bacini di Arpi, navigabili ed anche essi collegati da canali di immissione e di smaltimento, con i fiumi della zona. In questi antichi laghi le acque mobili non favorivano la malaria, perché venivano continuamente rinnovate dal ricambio di correnti, marine e fluviali, disciplinate da canali artificiali tenuti in continuo stato di efficienza dall'opera assidua dell'uomo. L'abbandono Il concetto di dissesto ecologico sembra derivato dalla conquista di una nuova coscienza civile, legata al tormento sociale di questi ultimi tempi ed alla paura di un negato futuro; ma, forse, di nuovo non c'è che l'uso di parole create di fresco e subito diventate di moda. Fu per evitare il dissesto ecologico della grande pianura che antichi nostri progenitori si affannarono per secoli intorno alla manutenzione d'imponenti opere di bonifica idraulica. Una bonifica intesa diversamente da quella odierna, perché non mirava al prosciugamento delle acque, ma alla loro conservazione in continuo stato di salubrità. Solo l'abbandono di tali opere poteva portare le terre alla malaria e solo la miseria poteva portare all'abbandono. L'uno e l'altra arrivarono, purtroppo, nel nome di Roma. Finite le guerre puniche, distrutta Cartagine, Roma impose pesanti umiliazioni alle città che si erano apertamente schierate con Annibale. Distruzioni parziali, onerosi tributi e controlli diretti ridussero a cosa irrisoria la ricca economia di Arpi. Per il conseguente decadimento economico di tutta la regione, ulteriori squilibri subirono Siponto e Salapia, specie per la inerzia delle attività portuali, che dal commercio e dalle industrie di Arpi traevano motivi di ricche attività marinare. Non fu che l'inizio, ma così gravi furono i danni che non si ebbe tempo di porvi riparo. Stentatamente le città sopravvissero fino alla caduta dell'impero: poi, a poco a poco, si arrivò all'esodo dalle campagne ed allo spopolamento dei centri abitati. Nessuno più curava lo sgombero degli abbondanti detriti fluviali ed i canali artificiali si intasavano, mentre gli sbocchi a mare venivano chiusi dalle dune sabbiose depositate dai rigurgiti ondosi su acque di basso 66 fondale. Tutto appantanava: acque immobili e fanghiglia verde presto imputridivano, appestando l'aria. Mutate condizioni climatiche avevano trasformato da continuo a torrentizio il regime dei fiumi. Durante la lunga estate nessuna nuova adduzione di acqua rinnovava la massa inerte di grandi specchi che, inesorabilmente, andavano morendo. E, nei sussulti della morte, completavano l'opera distruttrice le grandi alluvioni invernali, dovute a piene impetuose che non trovavano più sbocco al mare. L'antica ricchezza lacustre era scomparsa del tutto, degradando fino allo sfacelo, quando le incursioni barbariche vennero a gravare come nuove e più tragiche disgrazie su popolazioni ormai stremate. Così, tra il V ed il VI secolo, Arpi, Erdonea, Leocade, Salapia e Carmeia, vennero abbandonate una alla volta da gente veramente atterrita e che cercava la salvezza solo nella fuga, senza speranza di un possibile ritorno. Successivamente e fino a tutto il XIV secolo, nello stesso modo che per l'interno della pianura, anche la zona costiera del golfo adriatico venne interessata dall'abbandono di un certo numero di villaggi, ancora non tutti bene identificati. Si sa di preciso, tuttavia, che Cupola, Salapia e Siponto risultavano ancora abitate prima che Manfredi, scegliendo un sito più salubre, costruisse, nel XIII secolo, la nuova città di Manfredonia per ospitare i profughi della zona, cacciati dai propri focolari dalla malaria e dalle conseguenze disastrose del forte terremoto del 1223. Difficili tentativi di ripresa ed incremento della pastorizia Si è detto che Manfredi non è stato il primo a tentare, con la fondazione di Manfredonia, un ripopolamento delle terre abbandonate. Si vuole infatti che anche Federico II mirasse a questi obiettivi quando andava disponendo la costruzione di castelli disseminati per tutta la Puglia. Ma i castelli di campagna di Federico non divennero mai incentivi per i nuovi insediamenti umani, rimanendo solo posti di presidio strategico e di sosta per vagabondaggi regali, che oltretutto risultavano molto costosi per lo stato. D'altra parte, tutta la pianura degradata in palude (dal Gargano alle prime balze murgesi e dall'Adriatico al Sub - appennino), pur essendo 67 diventata una grande riserva di caccia per l'imperatore, non vide mai il sorgere di castelli isolati, ma solo di rare magioni costruite in paesi e centri urbani, già da lungo tempo costituiti, indipendentemente dalle opere federiciane. Può rappresentare un'eccezione il castello di Lucera dove la colonia dei Saraceni aveva dato vita ad un'agricoltura fiorente, irrigua ed intensiva, almeno per l'epoca. Questa laboriosa colonia ebbe però poca fortuna, perché sopravvisse appena fino all'agosto del 1300, quando Carlo II dispose la strage di 20.000 saraceni, la cui soppressione aggravò la depopulatio di tutta la zona. Ma già dal 1269 i saraceni avevano dovuto sottomettersi a Carlo I, abbandonare l'agricoltura e ritornare alle armi, come mercenari. Allontanati dalle attività agricole, commerciali e artigianali vennero inviati nell'Epiro, nell'Albania e in Macedonia, dove gli angioini, a danno dell'impero d'Oriente, cercavano nuovi limiti di espansione. I terreni, sottratti alla cura costante dei contadini, si ridussero ben presto in grave stato di sterile improduttività. Allora Carlo I tentò di restituire all'agro di Lucera la perduta fertilità, disponendo, nel 1274, un nuova colonizzazione a favore di contadini provenzali, che importava attraverso migrazioni organizzate. Intanto anche qui la malaria aveva avuto il sopravvento ed i provenzali, vinti e decimati, si rifugiarono sulle più salubri e vicine montagne, fondando Faeto e Celle S. Vito, dove ancora oggi si parla un dialetto di origine francese. In pianura l'isolamento delle campagne diventa quasi totale e durerà per lunghi anni ancora, danneggiando persino i pastori che cominceranno a disertare i pascoli pugliesi. E se ad un certo punto la pastorizia sugli stessi pascoli ritorna in massa, è solo per un fatto di coercizione. Nel 1447, Alfonso d'Aragona, nell'intento di incrementare l'erario, riordina la transumanza, rendendola obbligatoria ed organizzando la Dogana della mena delle pecore. I nuovi ordinamenti non miglioreranno, anzi aggraveranno le condizioni del Tavoliere, dove i terreni, quasi tutti demanializzati, non offrono che poco spazio all'agricoltura, costretta a cedere sempre di più di fronte all'invadenza pastorale. 68 La sdemanializzazione del Tavoliere e le bonifiche L'ordinamento della Dogana durò fino al 1806, ma il regime particolare del Tavoliere (che sottraeva agli agricoltori la libera disponibilità dei fondi), continuò ancora per oltre mezzo secolo. Solo nel 1865 fu consentita l'affrancazione dei canoni infissi sulle terre del demanio pastorale, venendosi così ad incrementare la proprietà privata. I nuovi proprietari, quasi tutti provenienti dalla precedente classe pastorale, non si orientarono subito verso trasformazioni, dissodamenti e bonifiche. Né i precedenti tentativi statali vennero ricordati come motivi di stimolo per nuovi incentivi. Sia pure per considerarne solo l'importanza storica, bisogna qui richiamare le bonifiche francesi (1806-1815), interrotte con la caduta di Gioacchino Murat, e quelle dei successivi interventi borbonici, iniziati ad opera di Afan de Rivera e durati fino a tutto il 1860. Anche se nati per esigenze di controllo del contrabbando del sale (disciplina dei bacini salanti di Barletta), i tentativi borbonici dettero virtualmente avvio al tipo di bonifica per colmata dei terreni salsi e bassi del golfo di Manfredonia. Si devono ancora ai Borboni i primi esperimenti di colonizzazione delle terre salde, con assegnazione di lotti a famiglie contadine chiamate a trasformare per dissodamento antichi pascoli in terreni agricoli. Venne a questo scopo fondata Poggio Imperiale (1761), mentre molto dopo (1774) nacquero i reali siti di Orta, Stornara, Stornarella, Ordona e Carapelle, seguiti, nel 1839, dalla fondazione della colonia di San Cassano divenuta, nel 1848, comune col nome di San Ferdinando di Puglia. Per quanto si trattò di ben poca cosa rispetto all'estensione da bonificare, queste località rappresentarono i primi centri vitali e consistenti di reinserimento umano nelle terre del Tavoliere. Ma, dopo il 1865, ad opera dei privati proprietari non si ebbero che grandi masserie pastorali; imponenti complessi edilizi, talvolta fortificati, ricchi di corti spaziose e di stalle, vincolate spesso alle consuetudini del pascolo transumante e tradizionale, rappresentavano rifugi di arrivo per una persistente industria pastorale, più che stazioni di partenza per attività nuove. Tuttavia, intorno a queste masserie, timidamente cominciarono ad essere impiantati oliveti e vigne. 69 La grande estensione rimane però a grano. Non si procede a scassi, né si prevedono bacini per la raccolta di acque piovane, rinnovabili di stagione in stagione, onde assicurare abbeveraggi più salubri di quelli stagnanti, dove solo la bufala può guazzare immune da ogni pericolo. L'estate torna sempre sitibonda nella grande pianura; pantani immondi e febbri terzane ancora hanno il sopravvento sull'uomo e sull'ambiente. Solo molto più tardi, nei primi decenni di questo secolo, l'assegnazione di terre melmose a contadini eroici, coraggiosi e tenaci stimola, lungo gli arenili di Zapponeta e di Margherita di Savoia, i primi lavori di bonifica a cura dì privati. La bonifica avverrà per colmata, con riporti sabbiosi. Il materiale, prelevato dalle dune marine, verrà trasportato con carri, carriole e a spalla, quindi verrà stabilizzato con lunghe concimazioni provenienti da paglia di lettiere e da stallatico. La bonifica del Tavoliere aveva bisogno però di interventi ben più consistenti, tecnicamente qualificati, razionali, moderni ed efficienti. I problemi da risolvere erano troppi ed il peso delle necessità più impellenti molto pressante. Urgeva smaltire l'acqua dai pantani, colmare le zone sottoposte al livello del mare, disciplinare le acque recuperabili in zone umide di preminente interesse economico e sociale e portare l'acqua potabile in tutte le zone sitibonde, comprese quelle sommerse, che non potevano certo utilizzare le infette acque superficiali. Solo all'inizio di questo secolo, col Testo Unico del 22 maggio 1900, si ebbe una prima regolamentazione del governo italiano, per affrontare con serio impegno la bonifica del Tavoliere. I lavori ebbero grande impulso ad opera del Corpo reale del genio civile di Foggia e si svolsero con grande organicità. Le vasche di colmata dei laghi costieri, i relativi canali colmatori e le idrovore per lo scarico a mare delle acque di supero, l'inalveazione e l'innalzamento di argini per la disciplina delle acque torrentizie, l'escavo di canali di smaltimento dalle zone depresse e, infine, la costruzione dei primi 100 km. di strade poderali, cominciavano a dare segni manifesti di una situazione che andava mutando. La guerra 1915-1918 arrestò tutti i lavori. Molte opere andarono perdute per gli intasamenti che la mancata manutenzione provocava nei vecchi alvei fluviali e nei canali dì nuova apertura. 70 Fino al 1927, epoca di costruzione dei primi Consorzi di bonifica, il dopoguerra venne impiegato per il completo ripristino delle opere danneggiate. Nel 1929 venne costituito il Consorzio generale di bonifica e di trasformazione fondiaria di Capitanata che, come ente di secondo grado, riuscì a coordinare verso obiettivi unitari e collimati i programmi dei diversi bacini costituiti nel 19273. Le iniziative del Consorzio generale (sorto ad opera dell'on.le Gaetano Postiglione) vennero incoraggiate dal sottosegretario alla bonifica integrale dell'epoca (Serpieri) e dal sottosegretario al ministero dell'agricoltura (Tassinari) con l'approvazione ed il finanziamento del piano generale di bonifica per il Tavoliere di Puglia, redatto dall'ing. Roberto Curato. Nel 1938 superata la breve battuta d'arresto imputabile alla guerra d'Africa, ultimate appena le bonifiche delle paludi pontine, il governo incrementò quelle del Tavoliere, col nuovo piano di trasformazione agraria (Carrante, Medici e Perdisa, approvato con D.M. 19 dicembre 1928, n. 12511) e con l'esproprio di 28 mila ha. destinati ad appoderamenti a cura dell'Opera nazionale combattenti (O.N.C., Direzione del Tavoliere). Tanto impegno vide la dedizione di uomini di ingegno e di intelletto, oltre che di funzionari provetti e laboriosi (primo fra tutti l'ing. Giuseppe Colacicco): ma i fatti cruenti della seconda guerra mondiale dovevano determinare una nuova e più lunga interruzione dei lavori. Agli inevitabili danni per mancata manutenzione si aggiunsero quelli provocati da bombardamenti a tappeto e dal passaggio dei pesanti mezzi di smisurati eserciti stranieri. I fiumi ripresero a straripare. Le città rimanevano spesso isolate per l'allagamento di strade e campagne. L'Ofanto soprattutto ripropose agli stupiti spettatori il terrificante spettacolo di acque impetuose, che quasi duemila anni prima Orazio aveva descritto con versi nostalgici nei canti dedicati alle forze possenti della sua lontana patria apula. 3 - Bacini del Fortore, di Lesina, di Varano, San Severo e Torre Maggiore, alto Tavoliere, Cervaro e Candelaro, Tavoliere centrale, Cerignola ed Ofanto, per una superficie complessiva di 460 mila ha. 71 Ma la ripresa economica non tardò a venire. Stimolata dall'irresistibile istinto di conservazione e da una tenace volontà di risorgere, la gente di Capitanata riprese il lavoro aggrappandosi con forza disperata a tutte le provvidenze che lo Stato poteva elargire (piano E R P, Cassa per il Mezzogiorno, Ente riforma). Oggi le opere idrauliche sono quasi tutte ultimate e la costante manutenzione di esse ha consentito la restituzione ai campi di terre sommerse, nella rinata salubrità dell'intera pianura. La malaria è vinta anche nelle zone umide recuperate a scopo ecologico 4 e le quattro stagioni si avvicendano sul Tavoliere nell'alternarsi dei vari colori che portano le vegetazioni dal verde novello ai frutti maturi. Il nuovo volto Tra l'oro delle messi pronte per la mietitura o tra il verde cinerino degli olivi, attraverso la trasparenza metallica di estesi vigneti od in fondo all'orizzonte giallo dei campi di girasole, nascoste appena dal mandorlo in fiore od esaltate dalla freschezza cinabra della barbabietola da zucchero, dappertutto, bianche case rurali oggi emergono dai campi. E con le case, nuove masserie e grandi complessi si impongono in un paesaggio nuovo. Solo raramente si tratta di insediamenti umani permanenti. La motorizzazione ha reso superflua la costante presenza del contadino in campagna; anzi le stesse borgate realizzate dal Consorzio di bonifica, dall'O.N.C. o dall'Ente di riforma fondiaria non hanno più avuto incremento, sopraffatte dal nuovo ed artificiale dinamismo moderno, che consente rapidi spostamenti con tempi minimi, anche attraverso grandi distanze. Talvolta fratture contrastanti turbano il senso di riposo dell'orizzonte piano ed infinito, con silos lucenti o col freddo razionale di grossi volumi in cemento armato. I grattacieli dei grandi mulini e i complessi industriali di importazione difficilmente riescono ad ambientarsi in un paesaggio che non sentono o che volutamente ignorano. 4 - Lago di Lesina, lago di Varano e riserve di caccia e pesca di Siponto. 72 Ma questo è forse un prezzo che la civiltà deve pagare, da quando, per l'ambizione della conquista, ha ceduto i diritti della ragione al predominio del potere tecnologico. Tuttavia, se pure qualche riserva può essere avanzata sul piano del perfetto ambientamento, quello che più conta è rilevare che oggi l'uomo è presente nella vasta piana, fino a ieri deserta, con mille testimonianze diverse della sua opera, della sua intelligenza, della sua laboriosità e del suo ritorno all'amore dei campi e al culto della terra. Ugo Jarussi 73 BIBLIOGRAFIA CIASCA RAFFAELE: Storia delle bonifiche del Regno di Napoli, Bari, Laterza, 1928. COLACICCO GIUSEPPE: La bonifica del Tavoliere, Foggia, Consorzio generale per la bonifica e la trasformazione fondiaria della Capitanata, 1955. DELANO SMITH CATHERINE: Tipi di insediamenti nella zona costiera di Foggia, in Atti del convegno internazionale di preistoria e protostoria della Daunia (Foggia, 24 - 29 aprile 1973), Firenze, Istituto italiano di preistoria e protostoria, 1973. 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