Solo architetti cattolici per le chiese? «No, anche un ateo interpreta
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Solo architetti cattolici per le chiese? «No, anche un ateo interpreta
Corriere della Sera - NAZIONALE sezione: Cronache - data: 2007-11-10 num: - pag: 23 autore: M. Antonietta Calabrò categoria: REDAZIONALE Solo architetti cattolici per le chiese? «No, anche un ateo interpreta il sacro» Avvenire apre il dibattito. Rispondono Fuksas e l'italiano che progetta una moschea ROMA — Per progettare chiese bisogna essere cattolici? Un editoriale di Giorgio Agnisola che apriva ieri la sezione culturale (Agorà) di Avvenire ha sollevato il caso. «Il fatto è che non sempre gli architetti e i progettisti e quanti a vario titolo sono chiamati a collaborare all'edificazione dei luoghi di culto — scrive il critico d'arte — vivono un'autentica esperienza di fede, sono consapevoli della loro responsabilità ecclesiale». E allora si è chiesto Agnisola, per fare «chiese più belle la tecnica c'è», ma «il senso del sacro» dove va a finire? Lo scrittore (che è docente di spiritualità ed arte contemporanea presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, e di Arte sacra presso l'Istituto Teologico Salernitano) ha ripreso quanto scritto sempre su Avvenire da Leonardo Servadio pochi giorni fa, circa l'iconicità o meno (e cioè la loro maggiore o minore capacità di rappresentare il sacro) dei luoghi di culto. Insomma, ormai è partito un dibattito sulla qualità delle chiese nel nostro Paese, sotto la particolarissima prospettiva della fede professata dal progettista. Tanto che Agnisola giunge a porsi la domanda: «Ma si può chiedere a un artista non credente di realizzare una chiesa?». Eppure la Sagrada Familia di Barcellona ideata dal genio cattolico di Gaudì (di cui alcuni vogliono la beatificazione) è l'eccezione a quella che sembra la regola. Anche in tempi recentissimi. Una delle grandi opere inaugurate nella Capitale durante il grande Giubileo del 2000, fortemente voluta da Giovanni Paolo II per essere memoriale dell'Anno Santo del Millennio, la Chiesa di Tor Tre Teste a Roma, è stata costruita dal grande architetto americano Richard Meier, ebreo. Chiunque è entrato dentro la sua luminosità diffusa, sotto le sue coperture di cristallo, ne ha ricavato l'impatto con «una sorgente di luce e di verità », la stessa impressione ricavata dal lettore dell'enciclica «Dives in Misericordia » a cui la chiesa è intitolata. L'architetto italiano, Massimiliano Fuksas, sta quasi ultimando (sarà pronta a Natale) la sua prima chiesa, la chiesa di San Giacomo a Foligno («ma se verrà proclamato santo potrebbe essere la prima chiesa dedicata a papa Wojtyla»). Committente la stessa Conferenza episcopale italiana. Un doppio cubo di cemento armato, dove «la luce diventa motore della massa». «È il mio più bel progetto degli ultimi cinque anni», dichiara orgoglioso Fuksas che non è cattolico e neppure credente «anche se questo per me non vuol dire che non esista la spiritualità, il senso religioso, non concepisco l'ateismo crudo». Fuksas, che contesta completamente la tesi di Agnisola, porta a riprova «i commenti che ho avuto alla mia opera, dallo stesso monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, davvero entusiastici ». Capita anche che un architetto italiano, che invece si autodefinisce cattolico, Paolo Caputo, abbia appena visto approvato il suo progetto per uno spazio di culto islamico, una moschea, commissionato dalla municipalità di Amman in Giordania. «Credo di aver saputo bene interpretare — dice Caputo — il senso del sacro di una religione che conosco ma che non mi appartiene ». Anche per Caputo quindi la tesi riportate su Avvenire «è veramente troppo scolastica, l'adesione a una religione non è una discriminante di tipo assoluto, l'importante è saper cogliere l'intima sacralità di uno spazio ». «Farò un luogo di culto ad Amman senza essere musulmano» 1 di 2 Corriere della Sera - NAZIONALE sezione: Cronache - data: 2007-11-10 num: - pag: 23 autore: M.A.C. categoria: REDAZIONALE FEDE E PROGETTI Il vescovo-artista di Livorno boccia l'idea: guardi Caravaggio ROMA — Di chiese, monsignor Simone Giusti, che è un architetto e che oggi pomeriggio viene consacrato nuovo vescovo di Livorno, ne ha progettate in tutt'Italia. Eppure non è d'accordo con l'editoriale di Agnisola su Avvenire. Che ne pensa? «Che io andrei cauto con certe affermazioni, quando c'è di mezzo l'arte. La Chiesa per costruire chiese, cattedrali, basiliche ha sempre attinto da artisti non necessariamente cristiani. Vuole un nome? Certamente Caravaggio non può essere indicato ad esempio come un buon cattolico, eppure non c'è un artista che abbia saputo esprimere il genio cattolico più di lui». Allora, per fare delle chiese ben fatte di cosa c'è bisogno? «L'artista deve avere l'umiltà di capire cosa sta facendo e per chi lo fa, deve cercare di "immergersi" come dicono i tedeschi, nello spirito dell'opera. Una chiesa è la casa della comunità cristiana, dove si celebra l'Eucarestia, ecco l'artista deve cercare di capire per chi costruisce e per quale uso». Basta che sia un artista, tout court, non che sia necessariamente un credente? «L'artista per definizione ha una grande vita interiore. La sua grandezza è proprio in quella sua capacità di tuffarsi ad ascoltare le esigenze di chi deve fruire del luogo che lui progetta, parlare con la gente, cercare di immedesimarmi nelle necessità di chi lo deve utilizzare». Scusi la curiosità ma come è capitato che lei è un prete, anzi adesso un vescovo, architetto? «L'arcivescovo di Pisa di allora, Benvenuto Matteucci, volle prima di ordinarmi prete, che io finissi gli studi di architettura: voleva che costruissi chiese ».