LA SANTITA` NELLA CHIESA Vivere una vita santa significa
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LA SANTITA` NELLA CHIESA Vivere una vita santa significa
LA SANTITA’ NELLA CHIESA Vivere una vita santa significa accogliere il dono della redenzione di Cristo partecipata a noi dallo Spirito, significa entrare nella vita stessa di Dio. Egli, il tre volte santo (Cfr. Is 6,3) ci invita ad essere santi: «Siate santi perché io sono santo» (Lv 19,2). Questa santità è una chiamata che si traduce in pienezza di vita (Cfr. Gv 10,10) che è imitazione per Grazia, della perfezione del Padre nostro che è nei cieli (Cfr. Mt 5,48). I due termini, santità e pienezza, pur rifacendosi alla nostra relazione con il Signore, al modo con cui ci si pone davanti a Dio ed ai fratelli, sono da chiarire per meglio comprendere il discorso che stiamo facendo. La santità tocca di più la sfera ontologica del cristiano, il dono a noi fatto nel battessimo e, con esso, l’ingresso e lo sviluppo della vita di Grazia in noi; la santità è il dono fondamentale che costituisce l’essere cristiano, il mistero della Grazia che fa di una semplice creatura umana un figlio di Dio. La pienezza di vita è la risposta al dono ricevuto nel Battesimo mediante una vita virtuosa e di carità 1. Nell’Antico Testamento la santità è Dio stesso in quanto supera ontologicamente ogni creatura e in quanto in Lui esiste solo luce, non c’è ombra di tenebra né peccato. L’etimologia del termine “santo”, in ebraico come in greco, suggerisce l’idea di qualcosa di riservato: dicendo che Egli è santo si vuol dire infatti che Egli è altra cosa da tutto quello che possiamo conoscere. Questo essere messo a parte non deve però essere inteso nel senso di troppo esclusivo. La santità deriva da Dio, non solo come una designazione ma come una qualità divina partecipata. Il timore reverenziale dei profeti, il loro sbigottimento nell’avvicinarsi a Dio non sono effetto di un terrore superstizioso ma la reazione di un’anima normale che prende coscienza del suo nulla di fronte all’onnipotente presenza di Dio. Isaia nella sua visione contempla i serafini che scambievolmente dicono: «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria» (Is 6,3). Questo uso triplicato del termine “santo”, secondo la grammatica ebraica, è da considerare come un superlativo straordinario, di un’intensità incomparabile. E’ questa molto probabilmente la testimonianza veterotestamentaria più impressionante della santità di Dio. In sintesi potremmo dire che l’antico testamento ci permette di cogliere tre forme di santità che si applicano alla creatura ma che sono radicate nella santità di Dio: una concezione sacerdotale che sottolinea la separazione e la purezza per il culto; una concezione profetica che evidenzia il rapporto tra culto, giustizia sociale e conversione del cuore; una santità sapienziale che pone l’accento sul bisogno di integrità che si sviluppa sotto lo sguardo di Dio2. Nel Nuovo Testamento i cristiani, in quanto figli di Dio, sono designati in più parti con il nome di “santi”: «Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi» ( Fil 1, 1). La santità qui si interseca e si fonde con la perfezione: i due termini, infatti, vengono usati in modo univoco. «Siate 1 I due termini sono oggetto di discussione in ambito teologico. Il Vaticano II, nella costituzione dogmatica Lumen Gentium li usa indifferentemente Cfr. LG c.5. 2 Cfr. L. S. CUNNINGHAM, Santità, in M. DOWNEY (ed.), Nuovo dizionario di Spiritualità, Edizione italiana (a cura di) L. BORRIELLO, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003, 624-632. perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48). Il mediatore di santità nel Nuovo Testamento è Gesù Cristo che è il “santo” di Dio (At 3, 14). In virtù e nel nome di Cristo operante nel battesimo e per l’effusione dello Spirito santificatore, il cristiano è santificato: «Siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (1 Cor 6, 4). Tutta la scrittura è unanime nel riferire il fatto che con Dio ogni uomo ha vissuto un rapporto personale, vivo, concreto. Non si tratta di un’amicizia con Dio astratta o avulsa dal coinvolgimento totale di sé. Dio nel manifestarsi a noi chiede un assenso totale ed incondizionato; mai si accoglie Dio senza tutto il nostro essere. Considerando il modo proprio di avvicinare i discepoli a sé da parte di Gesù notiamo meglio cosa vuol dire amare Dio con tutto se stessi e diventare così icona del suo amore con una vita santa. Egli, nel chiamare a sé i suoi, parla indistintamente per indicare la condizione dello stare con Lui ma non vale allo stesso modo per la risposta personale da dare a Lui. Gesù chiamava i suoi con il loro proprio nome e questo non è un particolare da poco conto: Dio scrive la Sua storia di amore attraverso la bellezza della vita di ciascuno, mai senza di essa. La fede non è oblio ma è vita. Pur superando l’orizzonte umano, Dio investe comunque sugli uomini3. Nelle fede ebraica questo modo di intendere la relazione con Dio è fondamentale. JHWH non è l’essere perfettissimo, modo occidentale di intendere Dio, ma il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Questo modo di dirsi proprio di Dio continua con la storia della Chiesa e quindi con la vicenda dei santi. Dunque volendo parlare del nostro Dio potremmo benissimo farlo narrando la vicenda dei santi, contemplando nella loro vita l’icona del Dio amore. Queste vite diventano così luoghi teologici per cui, nella comunicazione della fede, non ci si può esimere dalla considerazione del vissuto dei santi 4. L’esperienza di fede di questi fratelli maggiori nella fede diventa la prova concreta della possibilità di vivere il Vangelo. Sono loro l’autentica apologetica della fede, la storicizzazione del volto amoroso di Dio. «I santi ci offrono indicazioni preziose che consentono di accogliere più facilmente l’intuizione della fede, e ciò in forza delle particolari luci che alcuni di essi hanno ricevuto dallo Spirito Santo, o persino attraverso l’esperienza che essi stessi hanno fatto di quegli stati terribili di prova che la tradizione mistica descrive come “notte oscura”»5. Dio, il solo santo che ci può santificare, nel Suo incontenibile amore si fa compagno di viaggio dell’uomo così da incrociare la storia dell’umanità. Questo itinerario ha per protagonista Dio che viene nella nostra attuale condizione, nella nostra quotidianità, con un carico di memoria, di eventi, di vissuti, come quelli dei santi. La nostra vita diventa così la vera vita. Questo camminare di Dio incontro a noi è un fatto che si compie con ciascun uomo della terra e ci porta a diventare come Colui che chiama, bussa, attira e seduce. 3 «La grazia trasformante non annulla le personalità, ma le completa in una circolarità d’amore che eleva l’amicizia all’amore dello Sposo per la sua Sposa. In questo rapporto l’alleanza è vissuta come sacro commercio, impegno stabile a vivere la fedeltà reciproca nel vicendevole aiuto. La trasformazione di conoscenza e d’amore implica il godere di una realtà che si attuerà solo nella vita eterna». F. A STI, Teologia della vita mistica, op. cit., 247. 4 Cfr. F. ASTI, Dalla spiritualità alla mistica. Percorsi storici e nessi interdisciplinari, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005. 5 NMI 33. Chi si lascia incontrare rientra in se stesso trovando la ragione e il senso del suo vivere in Colui che gli fa appello. L’uomo così, abbandona il proprio modo di intendersi, l’immagine che si è costruito di sé, scopre il vero cammino da compiere, essere santo come il suo Dio, diventando sua immagine, sua icona 6. Il santo che si lascia interpellare da Dio vive orientato a Lui e fa della “comunicazione” di Dio il suo orizzonte di riferimento. La parola che medita diventa la sola luce del cammino. Le persone che incontra sono manifestazione, per Lui, dell’unica relazione d’amore che esiste nella Trinità santissima. L’incrocio tra la storia dell’uomo e quella di Dio, e viceversa, non si pone come un incontro tra due realtà contrastanti ma come il ritrovare il figlio amato e perduto. Tra Dio che parla e l’uomo che risponde si instaura così un dialogo profondo, si realizza così un evento salvifico-comunionale in cui l’uomo, da soggetto che cerca Dio, diventa soggetto verso cui Dio elargisce tutto il Suo amore. Ciò fa pensare che la creatura che voleva autodeterminarsi si trova ad essere il discepolo che si lascia condurre, che fa spazio al progetto d’amore che Dio da sempre ha pensato per Lui7. Il soggetto che fa esperienza di Dio, nel caso specifico il santo, entra in piena comunione con tutte le creature. È come se l’incontro pieno ma mai definitivo con il Creatore lo avesse posto in una comunione profonda con tutti gli esseri; trovando Dio, o lasciandosi trovare da Lui, tutto viene ristabilito nel suo fondamento ultimo che è appunto Dio stesso 8. Si è così simbolo dell’amore di Dio, oggetto privilegiato del suo amore. Il teologo Bernard, memore dell’insegnamento ignaziano, pone il sentire affettivo e dunque l’esperienza dell’amore, su un gradino superiore a quello della conoscenza intellettuale. Il rapporto con Dio è un commercium amoris, un dimorare nell’essenza divina che è l’amore: «C’è sempre un parallelismo tra il movimento dell’amore e la profondità dell’incontro interpersonale: non è forse l’amore che porta verso la persona altrui, aprendo lo spazio dell’accoglienza? Viene così resa ragione del mirabile circolo che s’instaura tra le virtù teologali: più si crede, più si tende al possesso, più ci si compiace nell’unione; e più ci si unisce nell’amore, più intenso diventa il desiderio, più ferma l’adesione» 9. Dio, somma carità, non dice qualcosa sull’amore, non dà semplicemente un comandamento: Egli dice e dona. Questo significa che nel dare amore Dio non ci lascia come ci trova. Siamo portati oltre la natura per essere proiettati nella sfera d’amore di Dio. La santità è il dono fondamentale che costituisce l’essere cristiano, il mistero della Grazia che fa di una semplice creatura umana un figlio di Dio. «La santità è il dono fondamentale che costituisce l’essere cristiano, il mistero della Grazia che fa di una semplice creatura umana un figlio di Dio. Discende da Dio per operare nei nostri cuori un ritorno a Dio. Ora, la dottrina cristiana afferma che la nostra vera personalità consiste nell’essere ad immagine di Dio e nel raggiungere la 6 Cfr. L. BORRIELLO, op. cit., 201. 7 Ibidem, 203. 8 Ibidem, 217. 9 CH. BERNARD, Teologia affettiva, op. cit., 405. somiglianza più perfetta che egli ha determinato per noi mediante la sua chiamata. La personalità vera dell’uomo perciò è sempre in avanti, là dove lo pone la condizione divina» 10. Quanto detto è la riprova del fatto che l’atteggiamento del cuore e dunque il coinvolgimento affettivo nella relazione con Dio è la prima attitudine da sviluppare. Dio parla a noi mediante i sentimenti per meglio dire le mozioni, ragion per cui si può conoscere la volontà di Dio solo attraverso di esse, facendo discernimento, essendo mossi da dentro, dal cuore. L’atteggiamento del cuore spinge a proiettarsi sempre oltre l’evidenza, a differenza della ratio che calcola. I santi sono prova di questo: più che calcolo, per loro la vita è stata estasi nell’amore che li ha resi non solo testimoni ma anche immagine autentica. Questi uomini e donne di Dio che sono i santi «pur e nonostante percorsi e scelte personali profetiche non sempre accolte e comprese dalla Chiesa del loro tempo, ci assicurano che il Dio di Gesù è presenza viva in questa storia e continua in loro a confermare e confortare quanto i cristiani conoscono dall’ascolto dell’unica Parola salvifica annunciata dalla Chiesa» 11. L’umano in tale prospettiva è icona del Dio amore, immagine viva del suo creatore, come testimoniato nel noto testo della Genesi ripreso nei primi capitoli. Vivendo tale relazione è possibile parlare di immagine non per semplice capacità umana di auto trascendenza, appunto, ma in virtù di un legame intrinseco tra Dio e l’uomo. Tutto l’umano entra in relazione con Dio per unificarsi. Si tratta di un cammino di integrazione tra spirito anima e corpo, di una totalità che si incontra con il suo Creatore su un percorso mai terminato e che va sempre più in profondità mostrando, con il proprio corpo, il volto del Padre. Questa verità di fede porta con sé delle implicazioni antropologiche notevoli e rivoluzionarie che, con l’incarnazione del Figlio di Dio, assumono un valore ancora maggiore. «La sua incarnazione dà inizio ad una nuova visione dell’uomo, aperto ad una più coerente realizzazione della sua identità. Dio visita la sua carne, anzi si fa carne di salvezza per riportarlo alla presenza di Dio creatore. Infatti dalla carne della creazione alla carne della redenzione vi è tutta la storia di fedeltà ed infedeltà dell’uomo» 12. Prova di questa nuova condizione di vita è proprio il santo. Egli accoglie, assimilandoli, i frutti della redenzione di Cristo. «Il corpo glorificato nel monachesimo orientale è carne elevata e deificata dall’azione dello Spirito d’amore […]. La bellezza del corpo si evidenzia in una preghiera senza interruzione che manifesta il dialogo amoroso fra Dio e la sua creatura. In questo incontro il corpo stesso diventa icona di bellezza in quanto ha sperimentato l’ardore dell’amore divino» 13. È una prospettiva questa molto ottimista della vita umana. Si tratta dell’instaurazione di un umanesimo soprannaturale realizzato in Cristo e offerto a noi per i Suoi meriti. Il Santo fa della sua vita un canto di lode a Dio, un inno di ringraziamento al Padre. Cristo, volto incarnato del Padre, fa dei suoi discepoli una rivelazione dell’amore misericordioso di Dio, attirando tutti a sé, facendo 10 Ibidem, 429. 11 F. MORRONE, op. cit., 195-196. 12 F. ASTI, Teologia della vita mistica, op. cit., 175. 13 Ibidem, 176. così compiere le opere del Padre. Tutti sono chiamati a vivere in questa prospettiva. I Santi sono imitabili, non sono solo sostegno per il cammino ma anche invito ad accogliere la volontà di Dio come hanno fatto loro. Essi sono stati messi nella nostra stessa condizione, si sono cibati della stessa Parola, hanno partecipato agli stessi sacramenti, hanno vissuto a contatto con i fratelli come noi. Tutto questo cammino sarebbe vano, risulterebbe solo un vago sentimento oppure una forma di estetismo religioso se dal piano dell’essere non si passasse alla pratica effettiva della santità che in concreto significa vivere la carità alla maniera di Cristo. DOMANDE 1) Cosa si intende con il concetto di santità nella Scrittura? 2) Chi è il santo e quale coscienza ha di sé in rapporto a Dio, a se stesso e ai fratelli?