FERRARO_Lo spazio dell`aldilà
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FERRARO_Lo spazio dell`aldilà
VITTORIO FERRARO LO SPAZIO DELL’ ALDILÀ L’aldilà properziano vive di accenni isolati e del tutto convenzionali, benché in parte [poi] ravvivati da due penose testimonianze dirette, una onirica e una immaginaria, di altrettante persone defunte. L’argomento non risulta dei più stimolanti se è vero che di specifico negli ultimi quarant’anni sono arrivati appena un paio di brevi contributi, uno di Pierre Grimal 1 e uno di Albert Foulon 2, per giunta rivolti tutti e due a ridimensionare, in pratica, la tesi materialistica di Jean-Paul Boucher 3, il quale aveva ravvisato in alcune singolarità della figurazione properziana 4 segni di profondo scetticismo, molto vicino alla negazione di qualsiasi aldilà 5. Grimal escluse che il poeta avesse mai dubitato della sopravvivenza dell’anima (p. 128 = 469 rist.); anzi, considerata la sua preoccupazione che, morto lui, Cinzia si fosse potuta legare ad un altro uomo e avesse smesso di tornare sulla sua tomba (1. 19. 20sqq.; 2. 13b. 42), questi arrivò a ipotizzare, con argomenti però non sempre persuasivi, peraltro senza esito, che nella visione di Properzio le anime non fossero destinate a vivere in comunità in un altro mondo ma separatamente 1 Properce et l’au-delà, in “Hommages a Robert Schilling”, edités par H. Zehnackter et G. Hentz, Paris 1983, 127-135; rist. in P. Grimal, La littérature et l’histoire, I, Rome 1986, 467-478. 2 La mort et l’au-delà chez Properce, “Revue des études latines” 74, 1996, 155-167. 3 Etudes sur Properce. Problèmes d’inspiration et d’art, Paris 1965, 81-84. 4 P. 81sgg.; insieme alla mancanza di scene d’insieme e di vita comune delle anime, quale conosciamo, p. es., da Omero e da Virgilio, in effetti sorprende la barca di Caronte, sempre figurata in viaggio o pronta per partire, però senza che la si veda mai giungere/ giunta a destinazione; così pure la densa cortina di nebbia che s’alza dal luogo d’imbarco delle anime, come per sottrarre il post mortem perfino agli occhi dell’immaginazione. 5 Con rinvio a 2. 15. 24 nox tibi longa venit nec reditura dies, dove però v. ora il commento di P. Fedeli, Properzio. Elegie, libro II; introduzione, testo e commento, Cambridge 2005, p. 454sgg. 198 VITTORIO FERRARO ciascuna sul luogo stesso di sepoltura, vicino alle ossa del defunto 6. Foulon non escluse la possibilità che l’anima properziana sopravvivesse, rinviando per questo alla celebre esclamazione di inizio Elegia 4, 7 Sunt aliquid Manes: letum non omnia finit...(p. 166), ma soprattutto provò a stemperare le ragioni di contrasto tra differenti interpretazioni mettendo in luce “les contradictions, au moins apparentes, et la relative incohérence propertienne concernant l’au-delà” e motivando il tutto con una certa leggerezza del poeta nel giustapporre visuali escatologiche diverse, tre in particolare: il materialismo epicureo, contrario alla sopravvivenza dell’anima (3. 5. 39-44); quella vaga immortalità astrale di apparente ascendenza pitagorica che sta riservata a gente eletta (3. 18; 4. 1); la tradizione poetica della concezione greco-romana sull’aldilà (4. 7. 55-64). Con Properzio, dunque, si profila un aldilà nuovo e in parte ancora problematico, tanto da non consentire valutazioni definitive nemmeno su ciò che il poeta si aspetta dal post mortem. Si complica, in conseguenza, anche la lettura dei pochi spazi di questo aldilà, più o meno tutti figurati alla stessa maniera, come tratti d’acqua scura e paludosa, desolatamente spogli e serrati ciascuno in una morsa di tenebre: “paysages inoubliables” di un mondo che per il poeta, come scrisse il Boucher (p. 83), “c’est l’inconnu”. Si tratta di spazi indicati senza distinzione come lacus, stagna, vada, paludes, oppure genericamente come aqua/ae, unda/ae, liquor, per lo più con esplicito riferimento allo Stige (Stygius lacus, 4. 3. 15; Stygiae aquae, 2. 9. 26; S. undae, 34. 53; v. litora surda, 4. 11. 6) o al Lete (Lethaeus liquor, 4. 7. 10; Lethaea stagna, v. 91). Distinguerei tuttavia tra indicazioni convenzionali, di tradizione poetica, date da Properzio in prima persona, e indicazioni ricevute da persone defunte, portatrici di testimonianza autoptica. Nel primo caso si tratta di accenni generici, p. es., ai non meglio precisati inferni lacus di 2. 28. 40, dove termina il viaggio delle anime (con variazione inferna aqua, 2. 34. 92), o esplicitamente rivolti allo Stige, senza aggiunta di altri particolari. Si parla oltretutto di luoghi bui (caeca loca, 1. 19. 8) dove ragionevolmente ogni particolare in più avrebbe a sua volta potuto creare problemi di verisimigliamza e di attendibilità. Nel secondo caso, invece, entrano in gioco esperienze personali compiute in circostanze diverse da due testimoni d’eccezione, sen- 6 P. 129 = 469rist.; dietro, una credenza di origine etrusca, meno diffusa a Roma (J.M.C. Toynbee, Morte e sepoltura nel mondo romano, Roma 1993 - trad. it., p. 21sgg.), comunque da non escludere dalla visione di Properzio; risposte più aderenti ora però dal commento di Fedeli, p. 400sg. LO SPAZIO DELL ’ ALDILÀ 199 za macchia e dunque assolutamente attendibili; sono Cinzia da un lato e Cornelia dall’altro. La prima compare in sogno al poeta esibendo l’inedito particolare delle labbra scolorite dal ripetuto bere acqua del Lete (4. 7. 10) e a riprova di essergli sempre stata fedele, lo informa di trovarsi già nell’Elisio, dove approdò con tutte donne di provata fedeltà in amore, su un battello inghirlandato (coronato...phaselo v. 59) e per una rotta diversa da quella per il Tartaro, riservata alle adultere. La notizia di questa doppia rotta delle anime, di tradizione platonica 7, è presente già in Virgilio, dove Enea l’apprende durante la discesa agli inferi addirittura da una figura superiore come la Sibilla, Aen. 6. 540sqq. Facendo però aggiungere a Cinzia il particolare del coronatus phaselus, Properzio oltrepassa il modello virgiliano e senza nulla rischiare, proprio in virtù della indiscutibile affidabilità della testimone. Esce dal convenzionale anche Cornelia nel suo celebre monologo, facendo sapere al marito vivente di stare inchiodata, benché senza colpe (non noxia), in luoghi paludosi (vada lenta, paludes), dove l’unda è così gravida di melma che le impiglia entrambi i piedi, implicat ... pedes (4. 11. 16). Questo aldilà non dispone di altri testimoni e il poeta stesso con il proprio angolo di osservazione, quello di persona vivente, mai oltrepassa il confine del mondo terreno; al massimo giunge a profilare per una volta, in metafora, quello spazio di frontiera nel quale sosta per l’imbarco delle anime il traghetto di Caronte, sotto il canneto scuro che pende dalla riva dello Stige, 2. 27. 13 Stygia ... sub harundine. La scena è quella dell’amante che ha scelto il suicidio e attende sul traghetto il momento della partenza per la traversata delle Stygiae aquae, pronto però a recedere e a tornare indietro di corsa all’eventuale, minima percezione che da lontano gli giunga da lei una voce di rimpianto 8. Puntualmente anche le Stygiae aquae fungono qui da metafora, da metafora della morte, come nel caso in cui le stesse aquae si stavano per portar via Cinzia malata (2. 9a. 26) e come avverrà nel caso della variante Stygiae undae (34. 53; 3. 18. 9), la prima volta davanti alla domanda se qualcosa di noi sopravviva al loro attraversamento (si post Stygias aliquid restabimus undas), la seconda a proposito della morte di Marcello, giunta proprio nel momento in cui, per me- 7 Plat. Gorg. 524 a; rep. 10. 614 d; per maggiori chiarimenti, F. Cumont, Lux perpetua, Paris 1949, 278sgg. 8 È superfluo ricordare il rammarico di Cinzia espresso in sogno al poeta per non essersi sentita chiamare, in punto di morte, da nessuno, nemmeno da lui, sicura invece che la sua voce le avrebbe ritardato il giorno fatale; 4. 7. 24 unum impetrassem te revocante diem. 200 VITTORIO FERRARO tafora, il giovane immerse il volto nell’onda dello Stige, Stygias vultum demisit in undas 9. Sembra evidente perciò che gli spazi di questo aldilà condividano in sostanza la stessa funzionalità metaforica che in genere viene esercitata da figure tradizionali come Caronte (mai chiamato per nome, bensì con appellativi come torvus senex, 3. 18. 24; nauta, 4. 7. 92; portitor, 4. 11. 7) Minosse (2. 32. 57; 3. 19. 27), Eaco (4. 11. 19), o da mostri come Cerbero (3. 5. 44 passim) e le Arpie (3. 5. 41), scadendo così al ruolo di semplice ornatus poetico, senza particolari effetti emozionali. Non sarà certo per caso che Properzio, al di là dello spazio d’acqua in cui sosta il traghetto di Caronte, di suo non riesca a concepire altro che generici inferni lacus (2. 28. 40; inferna aqua, v. 92) dov’egli sogna di approdare su navicella biposto insieme a Cinzia, come tutti gli innamorati. Indicazioni generiche, dunque, e per giunta dettate da occasionale tenerezza, perciò inutili come segnali di reale interesse per un mondo che fatalmente i viventi non possono conoscere e sulla cui esistenza il poeta stesso giunge a nutrire fortissimi dubbi. È quel che dicono a chiare lettere alcuni passaggi di Elegia 3. 5, dove alla vita combattiva e rischiosa di coloro che inseguono gloria e ricchezze il poeta contrappone la propria scelta di vivere una giovinezza tranquilla, dedicata alla composizione di poesia erotica e al godimento di gioie amorose e conviviali (v. 19sqq.; cf. 2. 34. 55sqq.), contando di andare avanti in questo modo fino a che non gli saranno spuntati i capelli grigi e non gli saranno passati gli ardori amorosi; da quel giorno, ma non prima, egli si metterà a studiare le leggi della fisica ( t u m mihi naturae libeat perdiscere mores, v. 25) e i meccanismi dei principali fenomeni celesti, dalle eclissi lunari (v. 27sq.) al ciclo delle quattro stagioni (v. 38), da dove poi scendere a investigare il mondo dei morti e cercare di capire se esso esista realmente e davvero un Cerbero trifauce stia di guardia al suo ingresso o se invece queste non siano solo menzogne raccontate in giro per mettere paura alla povera gente (an ficta in miseras descendit fabula gentis, v. 45), quella che per ignoranza ci crede sul serio. Properzio qui arriva a fare sul proprio conto una doppia ammissione, di assoluta incompetenza da un lato e di radicale scetticismo dall’altro, due limiti che forse troppo hanno inciso sulla povera, monotona e incolore figurazione dei suoi spazi infernali. 9 Luogo appropriatamente discusso e chiarito da Fedeli, Properzio. Il Libro Terzo delle Elegie; introd. testo e commento, Bari 1985, p. 551sg. LO SPAZIO DELL ’ ALDILÀ 201 Qualcuno non mancò di leggere in questo scetticismo del poeta un richiamo alla filosofia epicurea, contraria alla sopravvivenza dell’anima e dunque all’esistenza di un aldilà 10. Prevalse però l’obiezione, non proprio felice a mio parere, che a Roma dell’aldilà non importava nulla a nessuno e che, testimone Cic. Tusc. 1. 48, ciò che si raccontava degli orrori di quel mondo non faceva tremare neppure le vecchiette più credulone. Conclusione: nessuna ragione “to suppose that Propertius writes as an Epicurean” 11. Mi chiedo però per quale altra via Properzio avrebbe mai potuto progettare uno studio così ambizioso se non per quella indicata proprio da Epicuro come unica via per liberare la gente dal turbamento (tavñá÷ïò) e dalla paura (öüâïò). Si dà il caso, infatti, che il progetto properziano segua pedissequamente la strategia indicata da Epicuro: partire cioè dalla ricerca delle cause dei fenomeni celesti (taV metevùñá) e da quelli scendere a ricercare le cause di tutti gli altri (taV ëïipav), che arrecano secondo l’autore molta paura alla gente 12. Si fa esplicito riferimento a quei fenomeni che investono prevalentemente il mondo infernale, lo stesso che Properzio, appunto, si propone di studiare di seguito a quello celeste. Epicuro stesso avrebbe ribadito questa necessità di procedere in discesa dal cielo al mondo sotterraneo, e non altrimenti, sentenziando, Sent. 13, che “a nulla giovò che l’uomo si preoccupasse della propria sicurezza finché rimanevano in piedi dei sospetti sulle cose celesti (taV a[nw+en) e su quelle infernali (taV uJpoV gh`ò), in pratica su tutto quello che accade nell’universo (tav ejn tw`~ ajpeivrw~)” 13. 10 H. E. Butler - E. A. Barber, The Elegies of Propertius, with an Introduction and Commentary, Oxford 1933 (rist. Hildesheim - New York 1969), p. 273, al v. 45 ficta...fabula: “So taught the Epicureans”, con rinvio a Lucr. 1. 102-16 e 3. 977sqq.; nulla di epicureo ravvisò invece Boucher 81, mentre per Foulon sarebbe evidente “un certain scepticisme que nous qualifierons volontiers de lucrétien qui s’empare du poète” (p. 166); meno possibilista il commento di Fedeli, p. 201. 11 D. R. Shackleton Bailey, Propertiana, Cambridge 1956 (rist. Amsterdam 1967), p. 146. 12 Epic. epist. ad Herodotum 2. 82 …uJpevr te metewvrwn aijtiologou`nteò kaiV tw`n loipw`n tw`n ajeiV parempiptovntwn, o}sa fobei` touVò loipouVò ejscavtwò. 13 A Roma Lucrezio stesso aveva esortato a studiare prima i problemi celesti e poi quelli infernali, spiegando (con riferimento a Omero apparso in sogno a Ennio) che “noi ... dobbiamo indagare a fondo non solo la ratio delle cose celesti e quale norma governi i percorsi del sole ecc., ma scrutare attentamente pure di che sostanza sia fatta l’anima... e di che consistano le immagini che ci appaiono durante una malattia o in sogno, mettendoci paura, così che ci sembra di vedere e ascoltare, come fosse presente, gente già morta e sepolta (1. 127-35)”. 202 VITTORIO FERRARO È evidente che ciò non presuppone di necessità interesse per la filosofia epicurea o attenzione per i suoi presunti e conclamati vantaggi pratici 14. A parlare contro sarebbe sufficiente l’ostentazione con la quale Properzio rinvia lo studio della fisica ad un’età immune ormai dagli ardori amorosi, quando invece per Epicuro studiare filosofia, e dunque la fisica, non sarebbe stato mai né presto né tardi 15; senza contare il caldissimo amore per Cinzia, quello che detta al poeta le due più nette prese di posizione contro la cancellazione epicurea dell’aldilà 16. Come già osservato qui con Foulon, la riflessione di Properzio non è nuova alla giustapposizione di posizioni filosofiche differenti e talora contrastanti, a volte adottate in via del tutto occasionale, se non proprio strumentale; dove perciò non desterà sorpresa neppure un rinvio alla lezione di Epicuro. Si direbbe che gli spazi del desolato oltretomba properziano, identificabili quasi tutti coi lugubri pantani che affiorano a stento dall’oscurità, simili tutti l’uno all’altro, costituiscano forse il terreno più idoneo sul quale cercare suggestioni e riflessi di nozioni di scuola epicurea, ad es. il precedente lucreziano dell’interrogativo sull’anima, se essa muoia con il corpo, oppure venga davvero spedita tra gli stagni e le tenebre dell’aldilà, 1. 115 an tenebras Orci visat vastasque lacunas. Si direbbe infatti che queste lacunae, stagni desolati e quasi interamente nascosti dall’oscurità, come i tratti acquatici properziani, ricalchino pro- 14 Giova ricordare che solo quindici anni prima che Properzio iniziasse a pubblicare, Cicerone (Tusc. 1. 48) aveva preso in giro gli epicurei per l’esultanza (exsultantes) con la quale essi professavano gratitudine verso il loro maestro, arrivando a venerarlo come un dio (ut deum) per averli istruiti nelle leggi della fisica e averli messi in condizione così di liberarsi, a sentir loro, da tutte le paure, a cominciare proprio da quella dell’Orco. 15 Inizio così la Lettera a Menèceo: “Né il giovane indugi a filosofare né il vecchio di filosofare sia stanco. Non si è né troppo giovani né troppo vecchi per la salute dell’anima. Chi dice che non è ancora giunta l’età di filosofare, o che l’età è già passata, è simile a chi dice che per la felicità non è ancora giunta o è già passata l’età. Cosicché filosofare deve e il giovane e il vecchio: questi perché invecchiando sia giovane di beni per il grato ricordo del passato, quegli perché sia a un tempo giovane e maturo per l’impavidità nei confronti dell’avvenire” (trad. Arrighetti). 16 La prima, in un momento di sublime tenerezza e di paura, al tempo stesso, di morire senza il conforto del suo amor, 1. 19, 11sq.: “Laggiù, ombra quale ch’io sia, mi saprai sempre a te fedele; il grande amore vola pure oltre il confine fissato dai fati” (Illic quidquid ero, semper tua dicar imago / traicit et fati litora magnus amor); la seconda, dopo la morte di lei, per la gioia di averla riveduta in sogno, 4. 7. 1sq.: “I Mani esistono; con la morte non tutto finisce: un’ombra livida rompe il cerchio di fuoco e vola via” (sunt aliquid Manes: letum non omnia finit / luridaque evictos effugit umbra rogos). LO SPAZIO DELL ’ ALDILÀ 203 prio i bacini sotterranei ipotizzati e messi in relazione coi terremoti dagli epicurei 17. Sull’autorità di Virgilio si reggono invece le due testimonianze oculari di Cinzia e di Cornelia. Così, quando Cinzia racconta del permesso che le viene dato di uscire durante la notte con le altre anime per vagare liberamente fuori dalle paludi letee (nocte vagae ferimur, 4. 7. 89) e rientrarvi all’alba (Lethaea ad stagna reverti, v. 91), sarà difficile non pensare ad Enea che nel VI dell’Eneide osserva stupito innumerevoli ombre di popoli e di genti che si muovono leggere sulle rive del Lete 18; dove però il fiume porta acqua di serenità (securos latices, v. 715), bevuta dalle anime per dimenticare il passato, e lambisce un bosco situato più in disparte, allietato dal sussurro di virgulti selvatici e da quell’aria di benessere che spira solo nei Campi Elisi. Il Lete raccontato da Cinzia, invece, altro non è se non la solita striscia di paludi, dalle quali volentieri le anime vanno fuori per l’intera notte. Non si dimostra meno virgiliano il profilo di Plutone, il dio che abita la dimora fosca (fuscae deus aulae), da Cornelia (4. 11. 5sq.) dichiarato incapace di commuoversi (nempe tuas lacrimas litora surda bibent, v. 6), come appunto raffigurato già da Virgilio; è il dio dal cuore di pietra che Orfeo implorò invano in occasione della sua disgraziata discesa agli Inferi (georg. 469sq. Manisque adiit regemque tremendum / nesciaque humanis precibus mansuescere corda), allorché ammaliate dal sublime cantore anche le ombre vennero su dalle più profonde sedi dell’Erebo (cantu commotae Erebi de sedibus imis / umbrae ibant tenues, v. 471sq.), a forza tirandosi fuori dall’acqua paludosa del Cocito che ostacolava i loro movimenti (deformis harundo / Cocyti t a r d a que p a l u s inamabilis u n d a / a l l i g a t ... v. 479sq.). Un Properzio così aperto alle suggestioni di Virgilio sembra richiedere la restituzione di uno spazio tipologicamente nuovo, al momento, per il suo aldilà, nascosto in un verso ancora distante dal traguardo di una lettura univoca. Ad inizio Elegia 4, 11, Cornelia esorta il marito 17 In proposito, Lucr. 6. 536-9 terram fac ut... rearis /.../ m u l t o s (...) l a c u s m u l t a s q u e l a c u n a s / in gremio gerere, e 552 in m a g n a s aquae v a s t a s q u e l a c u n a s / (gleba ... provolvitur); ma già Cic. Arat. 428 c a e c a s lustravit luce l a c u n a s ; Serv. ge. 1. 117 lacunae ... sunt fossae, in quibus aqua stare consuevit DServ. id est quasi lacus minores. 18 Aen. 6. 703sqq. videt Aeneas in valle reducta / seclusum nemus et virgulta sonantia silvae / Lethaeumque domos placidas qui praenatat amnem. / hunc circum innumerae gentes populique volabant... . 204 VITTORIO FERRARO vivente a smettere di rimpiangerla e a non implorare più il dio degli inferi, spiegandogli che i morti, una volta entrati nella legislazione infernale (infernae leges) si trovano preclusa per sempre la via del ritorno, in quanto non ci sarà prece che possa aprire la scura porta (panditur ad nullas ianua nigra preces, v. 2). Infatti, contrariamente agli dèi di sopra che si lasciano commuovere, il dio di sotto è irremovibile e quando il nocchiero ha preso il compenso del viaggio puntualmente la pallida porta si chiude per tutti; v. 7sq. vota movent superos: ubi portitor aera recepit, obserat herbosos lurida porta rogos. In realtà, la porta qui chiude, non si sa come, “roghi erbosi”, (in genere si pensa alle pire sulle quali venivano bruciati i cadaveri), oppure “sepolcri erbosi”, con il senso metonimico che altri preferiscono dare al pl. rogos 19, malgrado l’evidenza che “the phrase is strange” e che “herbosus ... is an abnormal epithet for a Roman tomb” 20. Secondo altri ancora, “the text is uncertain and obscure”, però “the underlying conception seems to be that the pyre is a passage from this world to the underworld, in which, at a certain point, a door closes irrevocably on the departing spirit of the dead” 21. Anche contro la scarsa attendibilità di varie proposte emendative, come locos, choros e domos, tutte senza esito, e contro gli emendamenti sollecitati dalla scarsa compatibilità dell’attributo herbosos – principalmente abrosos, obrosos, eversos, evorsos, umbrosos (quest’ultimo come attributo di locos) 22 –, noto che Virgilio qui suggerisce di leggere foros, acc. plur. del non comune forus, tecnicismo nautico con cui egli aveva indicato gli spazi di coperta, la tolda del traghetto dove proprio Caronte faceva accomodare le anime in partenza. La volta in cui però era insorta, inaspettata, la necessità d’imbarcare subito Enea e la Sibilla, l’orribile nocchiero aveva ordinato alle anime di scendere e sgomberare immediatamente quei fori, Aen. 6. 412sqq. 19 H. E. Butler - E. A. Barber, op. cit. p. 380, ad l.: “Bars the grassy tomb”; E. Pasoli, Sesto Properzio. Il libro quarto delle Elegie, saggio introduttivo, testo e trad., Bologna 19672: “...una porta livida chiude le tombe coperte d’erba”. 20 Butler - Barber ibid.; qui pure contro l’alternativa di intendere, per metonimia, rogos = cineres, e quindi “i resti del defunto”. 21 W. A. Camps, Propertius Elegies, Book IV, Cambridge 1965, p. 154, ad l. 22 Per un quadro esaustivo degli interventi, G. R. Smyth, Thesaurus criticus ad Sexti propertii textum, Lugduni Batavorum 1970, p. 158. LO SPAZIO DELL ’ ALDILÀ 205 inde alias animas, quae per iuga longa sedebant, deturbat laxatque f o r o s 23; simul accipit alveo ingentem Aeneam. Il plur. fori 24 resta una rarità, addirittura un’eccezione con questo significato specifico, esclusivo della sfera nautica, il quale, a prescindere da Virgilio (pure Aen. 4, 605) e fino a tutto il I sec., non riesce a mettere insieme più di quattro testimoni: Cic. Cato 17; Lucan. 3. 630; Sil. 14. 424 e Tac. hist. 2. 35. L’abituale ricorrenza in veste di hapax e sistematicamente in acc. (foros) fa di questo plurale addirittura una sorta di fossile letterario, di parola quindi maggiormente esposta a fraintendimenti e ad errori di lettura; esattamente l’opposto di quel che si può dire di rogos, voce tutt’altro che nuova all’orecchio di lettori e copisti di Properzio (almeno altre 10 occorrenze certe!) per non farsi trovare pronta a scalzare alla prima occasione, accidentale o meno, una presenza peregrina come foros (conseguentemente ad un prima lettura focos?). Ecco allora che Virgilio spiana pure la via per risolvere il problema herbosos, intervenendo proprio dai versi che precedono la notizia dello sgombero dei fori del traghetto di Caronte, cioè dai versi con i quali la Sibilla faceva sapere al truce nocchiero di essere in compagnia del troiano Enea, venuto a cercare in fondo all’Erebo il genitore, vv. 403sq. Troius Aeneas, pietate insignis et armis, ad genitorem imas E r e b i descendit ad umbras. Erebus, dio infernale 25, qui per metafora, come di norma in Virgilio (anche georg. 4. 471; Aen. 4. 26; 6. 247; 671; 7. 140), è l’inferno stesso, anzi quella parte di esso nella quale dimorano, al fine di purgarsi prima di essere accolte nell’Elisio, le anime di coloro che, al pari di Cornelia, vissero da persone dabbene 26. Dal gr. !Ereboò, dopo Virgilio questa voce però tornerà solo come isolato fiocco di dottrina presso qualcuno degli epigoni 27, quindi al- 23 Servio, ad l. tabulata vacuat, ... multitudine enim remota quasi laxantur spatia. Al sing. soltanto l’abl. foro, eccezionalmente in Enn. ann. 492 V.2. 25 Cic. nat deor. 3. 44, quindi Verg. Aen. 4. 510. 26 Serv. Aen. 6. 404 Erebus proprie est pars inferorum, in qua hi qui bene vixerunt, morantur. nam ad Elysium non nisi purgati perveniunt. 27 Lucan. 6. 513; Val. Fl. 2. 120; Stat. Theb. 12. 560; eccezionalmente pure Ov. met. 5. 543. 24 206 VITTORIO FERRARO l’esterno del vocabolario abitualmente frequentato dai lettori e dai copisti di Properzio, rimanendo perciò esposta quanto il tecnico forus al pericolo di incomprensioni e stravolgimenti. In definitiva, il problematico herbosos sarebbe l’esito di un processo corruttivo aperto da un erebo (per Erebo, dat.) mal compreso ed erroneamente modificato in erebos / erbos per via del pl. in -os di fine verso; quindi herbosos, utile anche a rimediare ad un palese vuoto metrico. Completerei la restituzione del pentametro integrando in seconda posizione l’avv. hic (poi scivolato da forma abbreviata 28 ad iniziale della parola successiva: h erebo > h erbo > herbos > herbosos) e leggendo òbserat < hìc > Erebò lùrida pòrta foròs. L’intero distico verrà così a spiegare che mentre le preghiere muovono a compassione i superni (vota movent superos) qui di sotto (hic) 29, quando (ubi) il nocchiero ha ritirato il compenso, la squallida porta chiude agli abitanti dell’Erebo la tolda del traghetto sulla quale essi sono arrivati; fuor di metafora, nega loro la possibilità di uscire per compiere il viaggio contrario 30. Cornelia torna così a ribadire il concetto che dall’inferno indietro non si torna, concludendo il discorso avviato all’inizio, prima con l’accenno alla scura porta (ianua nigra) che non si apre davanti a nessuna preghiera (ad nullas ... preces, v. 2), data l’irremovibilità del dio infernale (v. 5sq.), poi con la spiegazione che dal momento in cui i morti entrano nella giurisdizione del nuovo regno, la via del ritorno per loro è chiusa per sempre, sbarrata con metallo durissimo, inesorabile, non exorato ... adamante (v. 3sq.). I versi 7-8 giungeranno quindi a marcare con assoluta precisione, come appunto s’addice solo a un testimone oculare (!), il momento esatto del trapasso e dell’entrata delle anime nel regime delle infernae leges menzionate al v. 3. Acquista così lucentezza pure obsecro, verbo piuttosto raro e riservato esclusivamente per casi eccezionali, di chiusure di massima sicurezza, fin da Terent. Eun. 763, suo testimone 28 Non estranea ai codd. di Properzio; ad es., h’ nel Barb. Lat. 23 f. 1 (saec. XV), ma si pensi anche a possibile analogia con la comunissima formula monumentale funeraria H(ic) S(itus) E(st) “qui giace”. 29 Hic ripetuto da Cornelia stessa più avanti, v. 18: det Pater h i c umbrae mollia iura meae, e di fronte Ov. fast. 2. 492 forte tuis i l l i c , Romule, iura dabas. 30 Erebo funzionerà perciò come dativo di svantaggio e in veste metonimica, come caelum per superi (Serv. Aen. 6. 719; 8. 64; 11. 125; 12. 145); Africa per Afri (p. es. Cic. Scaur. 45; Liv. 28. 42. 12); Latium per Latini (Serv. Aen. 10. 365). LO SPAZIO DELL ’ ALDILÀ 207 iniziale 31; in qualità di hapax, di unicum, esso anzi ribadisce qui l’unicità del meccanismo di chiusura delle porte infernali. Per concludere, la ricerca sullo spazio dell’aldilà properziano non raccoglie né quantità né qualità di materiale tali da consentire la ricostruzione di un profilo completo, lineare e soprattutto riconoscibile come frutto di attenzione e di competenze adeguate. Si tratta per lo più di riferimenti generici e occasionali (Stygiae aquae, S. undae, Lethaea stagna, inferni lacus, caeca loca etc.), spesi in maniera convenzionale, tipica del luogo comune, perciò utili più che altro come segnali di scarso interesse per un mondo che da vivo nessuno mai vide e sul quale nessuno potrà mai testimoniare, del quale il poeta stesso non manca di mettere in dubbio perfino l’esistenza. Esistono però anche scorci ambientali e quadri di vita infernale portati in prima persona dalle anime di due donne esemplari, di provata onestà e perciò assolutamente credibili, Cinzia e Cornelia, la prima già entrata nella felice dimora dell’Elisio, la seconda in attesa di entrarci dai paludosi stagni dell’Erebo. In tutti e due i casi Properzio sale a dare prestigio alla testimonianza diretta, autoptica e moralmente affidabile selezionando per la voce di ciascuna di queste anime parole e argomenti d’autore, in pratica già selezionati da Virgilio per alcuni dei più autorevoli testimoni del suo inferno. Proprio la scorta di Virgilio alla fine consente anche la possibilità di restituire forma e senso coerenti in Elegia 4. 11. 8; un’operazione, questa, oltretutto funzionale qui al recupero di un nuovo spazio, inedito per l’aldilà properziano e rappresentato dalla tolda del traghetto di Caronte, prefigurata già in esclusiva da Virgilio. 31 “Serra contro la porta dall’interno” (obsera ostium intus), ordina Cremete alla meretrice, terrorizzato dall’arrivo del soldato; cf. Nep. Dion 9. 4 foribus obseratis (ad opera degli assassini di Dione, per impedire interventi in suo aiuto) e l’oraziano obseratis auribus (ep. 17. 53); per il resto, v. ThlL IX 2 (1971), c. 190sq. 208 VITTORIO FERRARO