Ipermodernità e responsabilità collettiva

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Ipermodernità e responsabilità collettiva
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Ipermodernità e responsabilità collettiva:
dalla deontologia professionale alla «deontologia
del buon governo»
Susana Álvarez González
The overcoming of the assumptions of the postmodernity and the return,
with certain nuances, towards the illustrated values and towards the reflection about the connection between Ethics and Law, with the evolution
towards the already called hypermodernity have caused a resurgence of
the business ethics that seems to regain the lost prominence. The hypermodernity appeals to the ethics of the collective responsibility in which not
everything is permitted, with a return to the ethical authentication of Law
and Politics based on the public ethics that will involve, necessarily, the
respect for certain standards of behaviour. The nature of this kind of rules,
which refer us, constantly, to the ethics and to the peak of the so-called
business ethics of the good government constitute an object of study in
these new hypermodern times.
Keywords: hypermodernity, modernity, deontology, public ethics.
1. Un nuovo contesto per la deontologia: il superamento della condizione
postmoderna
Nell’ultimo periodo sembra di assistere ad un ritorno della cosiddetta deontologia. Forse questa inquietudine nei confronti della «scienza o trattato dei doveri» è dovuta in gran parte, a partire dalla seconda metà del XX
secolo, al superamento dei presupposti della Postmodernità presenti in ciascun àmbito sociale, culturale e politico. Il termine, diffuso grazie all’opera di Jean-François Lyotard La condizione postmoderna, pubblicata nel
1979, si può definire come «lo stato della cultura dopo le trasformazioni subite dalle regole dei giochi della scienza, della letteratura e delle arti a par-
«Dianoia», 18 (2013)
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tire dalla fine del XIX secolo»1. La sfera giuridica non ha fatto eccezione rispetto a questa tendenza, risultano infatti ampiamente note le dottrine che
per l’intero secolo hanno proclamato il superamento o la soppressione dei
valori propri della modernità, proponendo la postmodernità come irruzione di un insieme di segni che presuppongono una rottura rispetto a questi
valori. Come segnala Pérez Luño, in questo contesto non sono mancate le
tesi centrate sulla sua abolizione:
razionalità, universalità, cosmopolitismo, uguaglianza, erano considerati
come destinati a scomparire […]. Le norme giuridiche generali e astratte,
corollario di esigenze etiche universali, furono poste in questione in nome
di preferenze particolaristiche frammentarie; si giunse a ritenere la legittimazione etica vera e propria del diritto e della politica, fondata su principi
consensuali universali, come un ideale vuoto e sospettato di occultare tipologie di uniformità totalitaria2.
Tuttavia, come accade in molti altri settori, negli ultimi tempi questo
modello pare essere entrato in crisi o in una fase di rilevante trasformazione. Sembra possibile prevedere che la prima metà di questo secolo sarà un
momento di cambiamenti, nel quale non poche voci scommetteranno sul ritorno, chiaramente con sfumature diverse, ai valori illustrati o alla loro riconsiderazione soprattutto in àmbito tecno-scientifico. A questo proposito
è nota l’idea di Habermas, con la sua concezione della Modernità come
«progetto incompiuto»3. Rispetto a tale questione risulta incisivo il concetto di “ragione comunicativa” per eliminare i paradossi nei quali resta
intrappolata la critica radicale della ragione4.
In questo contesto, sono emerse nuove correnti dottrinali tese a mostrare
un’evoluzione nella direzione della cosiddetta “Ipermodernità”. Secondo
Lipovetsky, il postmodernismo è stato solo una tappa di transizione nella
1 J.F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere (1979), trad. it. di C.
Formenti, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 5.
2 Per uno studio di questo argomento si veda A.E. Pérez Luño, Trayectorias contemporáneas de la Filosofía y la Teoría del Derecho, Sevilla, Grupo Nacional de Editores, 2003,
pp. 15 e ss.
3 Cfr. J. Habermas, Die Moderne, ein unvollendetes Projekt, in Kleine Politische Schriften I-IV, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1981.
4
A questo proposito cfr. J. Habermas, El discurso filosófico de la modernidad (1985),
Madrid, Taurus, 1991, p. 402 (trad. it. di E. Agazzi, Il discorso filosofico della modernità,
Roma-Bari, Laterza, 1987 p. 340).
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quale la concezione postmoderna si è esaurita5. In questa prospettiva secondo l’autore l’Ipermodernità comporta un rafforzamento collettivo della matrice comune dei valori-umanistico-democratici6. Viene proposto un
ritorno ai diritti umani, ai valori e ad un’etica non vincolata, come accadeva nella Modernità, al sacrificio ma piuttosto adeguata all’autonomia individuale. Nell’Ipermodernità ci si richiama all’etica della responsabilità collettiva; non tutto è permesso e gli impegni etici vengono elevati a categoria delle norme di indirizzo che si troveranno in tutte le azioni collettive7.
Anche Alain Touraine si è espresso a favore dell’idea di una società ipermoderna, della necessità di reinterpretare la Modernità e di un principio
integratore che ristabilisca la connessione tra individuo e collettività, il quale permetta di trovare la via d’uscita dalla crisi della Modernità ed evitare
«tentazione postmoderna»8.
Questa nuova concezione del mondo si riflette sui diversi àmbiti della
conoscenza9. Non è una novità segnalare che per tutto il XX secolo il modello di formazione più tipico dovesse tenersi alla larga da considerazioni
etiche10. Questo orientamento, che ha influenzato in modo particolarmente evidente la scienza giuridica, si è tradotto «in una concezione del diritto come sistema chiuso, come corpo sistematico di regole dotato di pie-
5
Cfr. V.G. Lipovetsky, Les temps hypermodernes, Paris, Grasset, 2004.
Ivi.
7
Ivi.
8 A. Touraine, ¿Después del posmodernismo?....La modernidad, in R.M. Rodriguez
Magda, M.C. África Vidal (a cura di), Y después del postmodernismo ¿qué?, Barcelona,
Anthropos, 1998, pp. 15-26, in particolare p. 23.
9 In àmbito giuridico queste nuove tendenze hanno avuto effetto sia nel settore del diritto pubblico sia in quello del diritto privato. In rapporto a quest’ultimo, risulta particolarmente interessante per il suo approccio il lavoro di M.A. Michinel Álvarez, El Derecho internacional privado en los tiempos hipermodernos, Madrid, Dykinson, 2011. Nella prospettiva del diritto pubblico si veda, tra gli altri, J.R. Dromi, El Derecho público en la hipermodernidad, Madrid, Hispania, 2005.
10 Si è soliti citare la medicina come eccezione. A questo proposito cfr. A. Aparisi Miralles, Ética y deontología para juristas, Pamplona, Ediciones Universidad de Navarra,
2006, p. 70. Senza dubbio, anche se non si può negare che in questo àmbito sembra esistere un’interrelazione particolare tra diritto e morale, è anche vero che la maggior parte dei
contenuti etici, ad esempio, il giuramento di Ippocrate, si sono spostati al quadro giuridico,
facendo derivare sotto forma di responsabilità il suo mancato rispetto. Giunti a questo punto forse bisognerebbe prendere in esame se questa relazione speciale tra medicina ed etica
sia frutto di un particolare impegno etico o della funzione di controllo sociale propria del
diritto.
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nezza; e autonomo o autosufficiente rispetto al sistema sociale»11. Questa
tendenza ha corrisposto ad una mancanza di interesse e talvolta anche ad
un certo disprezzo per i filoni della conoscenza giuridica che si occupano
della giustizia o del diritto normativo, necessari poiché, come ha osservato Peces-Barba, in fondo dimenticare «la distinzione tra diritto e morale,
conseguenza corretta di una società sempre più secolarizzata, significa anche romperne i legami, e lasciare la legge come espressione nuda del potere»12. Con il superamento della condizione postmoderna sembra logico
tornare a riflettere su questa connessione.
È certo che questa prospettiva può essere tacciata di eccessivo ottimismo. Senza dubbio sembra esserci un ritorno in auge e una ripresa
della filosofia del diritto attenta all’àmbito sociale che chiede il ritorno
alla riflessione etica in determinate materie, tra le quali rientra senza
dubbio il diritto13. Quello che è certamente chiaro è che esiste un consenso sociale intorno alla necessità di rifuggire da un’etica professionale giuridicamente irresponsabile14. Come segnala del resto Fernández
García, l’idea di virtù si accompagna necessariamente non a qualsiasi
tipo di pratica ma alla buona pratica e «si applica perciò in generale all’essere umano, in particolare al cittadino e a chi esercita una determinata professione»15.
11
A.E. Pérez Luño, Trayectorias contemporáneas, cit., p. 76.
G. Peces-Barba Martínez, Introducción a la Filosofía del Derecho, Madrid, Editorial
Debate, 1989, p. 188.
13 Come segnala Peces-Barba Martínez, rinunciare a una riflessione etica sul diritto, «se
si considera valido il diritto indipendentemente dal suo contenuto di giustizia, significa
adattarsi ad una relazione tra diritto e potere nella quale il primo è semplicemente espressione del più forte». G. Peces-Barba Martínez, Introducción a la Filosofía del Derecho, cit.,
p. 190.
14 Come indica Pérez Luño, in àmbito giuridico l’ideologia dell’isolazionismo ha come
conseguenza l’immagine di un giurista «irresponsabile tanto sul piano etico che su quello
giuridico, incapace di opporsi all’arbitrarietà legale o di reagire di fronte a ciò che è stato
definito perversione autoritaria dell’ordine giuridico». A.E. Pérez Luño, Trayectorias contemporáneas, cit., p. 76.
15 E. Fernández García, Los jueces buenos y los buenos jueces, «Derechos y Libertades,
Revista de Filosofía del Derecho y Derechos Humanos», 19 (2008), p. 25. La definizione
del termine “professione” è stata oggetto di discussione in dottrina, dando luogo a numerosi concetti e a intenti definitori delle sue caratteristiche i quali differenziano il termine da
altri tipi di occupazioni. Su questo punto cfr. H.M. Garrido-Suárez Deontología del abogado: el profesional y su confiabilidad, Madrid, Edisofer, 2011, pp. 26 e ss.
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In questo nuovo contesto il concetto di deontologia sembra riguadagnare un protagonismo perduto che non pochi autori mettono in relazione
con un compito nobile quello di una sorta di «eminente scienza fondamentale». Tale eccellenza è legata all’esercizio di una professione qualificata che implica «il rispetto di determinati standard di condotta nei rapporti con i cittadini»16. Quali siano questi standard, che ci rimandano costantemente all’etica, e quale sia la loro natura costituiscono senza dubbio
oggetto di studio in questi nuovi tempi “ipermoderni”.
2. Concetto e natura delle norme deontologiche: dall’etica al diritto
La prima questione che si pone in rapporto all’analisi della deontologia è
la sua concettualizzazione. Si è soliti definire genericamente la deontologia come «scienza o trattato dei doveri» vincolati normalmente, ma non in
modo esclusivo, a una professione. Questa terminologia di origine greca17
è stata utilizzata per la prima volta da Jeremy Bentham e giunse ad avere
una particolare diffusione grazie alla sua opera Deontology. Qui Betham
definisce la deontologia come scienza: la conoscenza di ciò che è giusto e
di ciò che è opportuno. Perciò secondo questo autore, il termine si applicherebbe all’àmbito dell’etica e in particolare a quella parte delle azioni
del soggetto che non è sottoposta al comando della legislazione pubblica18.
Il suo fondamento si troverebbe nel «principio di utilità»19 e non in una
morale basata sulla sofferenza e il sacrificio.
L’applicazione del termine alla sfera professionale è successiva ed è strettamente legata allo studio dei doveri nella professione medica20. Oggi questo concetto sembra fare riferimento ai doveri derivanti dalla pratica pro-
16
Prólogo a Garrido-Suárez, Deontología del abogado, cit., p. 11.
δέον, οντος – il dovere – e logía – il sapere. Diccionario de la Lengua Española, Real Academia Española, 22ª edición, Madrid, Espasa-Calpe, 2003.
18
Cfr. J. Bentham, Deontology: or, the Science of Morality, J. Bowring (a cura di), Longman, Rees, Orme, Brown, Green & Longman, 2 voll., London, 1834, ora in A. Goldworth
(a cura di), The Collected Works of Jeremy Bethman, Oxford, Clarendon Press, 1983.
19 Ivi, p. 31.
20 La dottrina assegna all’opera di Maz Simon l’origine dell’identità e del rapporto
tra deontologia e sfera professionale: M. Simon, Déontologie Médicale ou des Devoirs
et des Droits des Médecins dans l’Etat Actuel de la Civilisation, París, J.B. Bailliere,
1845.
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fessionale, come nel caso di quei trattati il cui scopo è quello di fornire ai
professionisti regole precise sul proprio comportamento «tenendo conto
del contesto sociale in cui si esercita la professione»21. Quale sia la natura
di queste norme è poi una questione complessa, lontana dal ricevere una risposta dottrinale univoca. Il dibattito sulla natura delle norme deontologiche è stato una costante nel tempo sia nel campo del diritto, sia in quello
della filosofia, mentre la dottrina ha sottolineato la sua posizione intermedia tra legge ed etica.
A titolo di esempio è opportuno ricordare la distinzione consueta tra tre
tipi di norme: le norme morali, le regole di convivenza sociale e le norme
giuridiche. Come segnala Hierro, se consideriamo esaustiva questa tipizzazione22, non possiamo considerare le norme deontologiche come quarta tipologia perché «devono essere un segmento delle regole di convivenza sociale, o un segmento delle norme morali o un segmento delle norme
giuridiche o, forse, un segmento di una delle zone di confluenza tra le une
e le altre»23.
Gli sforzi dottrinali per introdurle in una di queste tre tipologie sono
stati numerosi. Così secondo Aparisi Miralles, pur riconoscendogli una certa dimensione giuridica e sociale24, le norme deontologiche esprimono
«quell’esigenza morale ancorata alla natura di una professione», in forma
tale che esse costituiscono fondamentalmente esigenze di un’etica professionale. A questo proposito bisogna ricordare che la morale fa riferimento
21
A. Aparisi Miralles, Ética y deontología, cit., p. 156.
Ciò nonostante alcuni autori sembrano convinti di una differenza tra norme deontologiche, giuridiche ed etiche nei seguenti termini: «Bisogna convenire che la coesistenza di diversi sistemi di norme – deontologiche, giuridiche, etiche – regolando i comportamenti contribuisce alla creazione di un quadro normativo il quale favorisce la coesione sociale e garantisce l’esistenza del controllo sociale che si realizza a diversi livelli». In questa chiave segnaliamo che nella gerarchia delle distinte classi di norme che disciplinano il nostro comportamento, le norme deontologiche «costituiscono – dal punto
di vista esterno – qualcosa di più vincolante e sanzionatorio rispetto alle norme morali
ma meno rispetto a quelle giuridiche». M. Casado González, Ética, Derecho y Deontología profesional, «Revista Derecho y Salud», 6 (1998), disponibile anche in versione telematica http://www.ajs.es/revista-derecho-y-salud/volumen-6-1998 (VOL06-04).
23
L.L. Hierro, Deontología de las profesiones jurídicas. Una discusión académica,
«Teoría y derecho: revista de pensamiento jurídico», 8 (2010), p. 83.
24 In questa prospettiva l’autrice segnala che è necessario precisare che non sempre il
concetto deontologico di norma si adatta bene a quello di norma morale, A. Aparisi Miralles, Ética y deontología, cit., p. 157.
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a un insieme di valori, principi, doveri e obblighi che fungono da guida
tanto per la condotta umana quanto per quella professionale e che «si esprimono solitamente per mezzo di norme di attuazione»25. In questo senso,
Eusebio Fernandez segnala, riferendosi alla deontologia giudiziaria, che
essa implica il possesso di determinati tratti del carattere chiamati «virtù»;
esse andrebbero al di là di quanto richiesto dalle norme giuridiche, ma sarebbero essenziali e necessarie per conseguire gli obiettivi di una professione in modo adeguato e soddisfacente26.
Senza dubbio, se è chiaro che la tendenza dottrinale maggioritaria ha
vincolato la deontologia a determinate esigenze etiche, in una materia come questa è necessario ricordare due questioni rilevanti: l’etica professionale non ha un carattere unitario, essendo propria di ciascuna professione27 e l’analisi di diverse professioni mostra come non sempre si possa dare fondamento, in senso stretto, a questo vincolo e neppure sostenerne il carattere morale in modo esclusivo. Per le ragioni esposte, alcuni autori affermano che, in alcuni casi, queste regole hanno le caratteristiche delle «regole della convivenza sociale»28, a condizione che non venga negata la sostantività che gli è propria.
Per il diritto riveste senza dubbio un interesse particolare la possibile natura “normativa” di questo tipo di norme, natura normativa che non pochi
hanno incentrato su un riconoscimento positivo attraverso i cosiddetti codici etici. Per questo motivo in una serie di proposte si distingue tra “etica
professionale”, “morale professionale” e “deontologia”. In questa chiave,
25 G. Péces-Barba, E. Fernández, R. De Asís Roig, Curso de teoría del Derecho, Madrid, Marcial Pons, 2000, p. 72.
26
E. Fernández García, Los jueces buenos y los buenos jueces, «Derechos y Libertades,
Revista de Filosofía del Derecho y Derechos Humanos», 19 (2008), p. 27.
27 Come ricorda García Manrique, in alcuni àmbiti come quello giuridico, a differenza
di altri settori, non è possibile sostenere il suo carattere unitario. In questo contesto non c’è
una sola etica professionale, ma ce ne sono diverse, come del resto sono diverse le professioni giuridiche. R. Garcìa Manrique, El discreto encanto de la seguridad jurídica. Apuntes para una reconstrucción unitaria de la ética de los juristas, «Derechos y Libertades, Revista de Filosofía del Derecho y Derechos Humanos», 19 (2008), pp. 25 e ss. A proposito
del modo in cui devono entrare in rapporto le distinte professioni giuridiche risulta ancora
di attualità l’opera di P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, Firenze, Le
Monnier, 1938. Si veda poi il più recente M. La Torre, Il giudice, l’avvocato e il concetto
di diritto, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002.
28 L. Recaséns Siches, Tratado General de Filosofía del Derecho, México, Porrúa, 1986,
p. 62.
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l’etica professionale dovrebbe essere costituita da un insieme di regole morali che disciplinano l’esercizio di una professione, mentre la deontologia
dovrebbe fare riferimento alle norme giuridiche che la disciplinano29. È
possibile considerare queste proposte come un riflesso della tradizionale distinzione tra i diversi sistemi normativi che fanno riferimento a saperi differenziati. Come spiega Perez Luño, la morale può essere intesa come insieme di regole di comportamento che definiscono l’azione corretta in una
società o i dettami che guidano la condotta individuale, i quali derivano
dalla coscienza individuale; mentre il diritto può essere visto come insieme di norme che vanno inesorabilmente rispettate e prescrivono un ordine
alla coesistenza30.
Tra le numerose concezioni del diritto c’è quella che lo concepisce come una tecnica di organizzazione delle condotte attraverso norme giuridiche che mirano ad alcuni obiettivi per mezzo di schemi prestabiliti e che si
inseriscono in un ordinamento. Se c’è un tratto che caratterizza la norma
giuridica è precisamente la sua appartenenza all’ordinamento giuridico. È
evidente che ciascun sistema giuridico strutturerà dei criteri che condizioneranno l’appartenenza o meno ad esso. Poiché il concetto di validità è relativo, deve essere analizzato in rapporto a ciascun sistema giuridico, il
quale specificherà i criteri, tanto formali quanto materiali, di appartenenza
ad esso. Il criterio di validità giuridica ci consente di identificare una norma giuridica rispetto ad altri tipi di disposizioni, proprio perché il diritto ha
una natura sistematica la quale consente un’auto-regolazione dei criteri di
appartenenza31.
Le definizioni che possono essere raccolte sotto forma di codice etico sono numerose, infatti, quasi tutti i codici includono generalmente le
proprie definizioni. In generale, si è soliti definirli come un insieme di
norme che contengono i principi o doveri che devono valere in una particolare professione32. Si tratta essenzialmente di codici che plasmano i
29
R. Garcìa Manrique, El discreto encanto de la seguridad jurídica cit., p. 40.
A.E. Pérez Luño, Teoría del Derecho. Una concepción de la experiencia jurídica,
Madrid, Tecnos, 2002, p. 105.
31 Ivi, p. 66.
32 A proposito del codice forense italiano su questo punto Danovi sostiene che la codificazione di queste regole viene solitamente accettata dai suoi destinatari come una necessità che, insieme ad altre che conferiscono e infondono certezza, migliorano la qualità professionale, risolvono casi complessi e realizzano il principio della legalità (R. Danovi, Manuale breve. Ordinamento forense e deontología, Milano, Giuffrè, 2011).
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doveri delle associazioni professionali in rapporto al «resto della società
e per i membri che svolgono una particolare professione»33. Talvolta ne
viene elogiato il ruolo come strumenti preziosi che promuovono «l’apertura, la certezza e l’efficacia delle norme etiche»34. Certamente sono stati anche oggetto di numerose critiche, tra le quali si trova abitualmente la
mancata fondazione della loro esistenza o una fondazione erronea, giustificata da alcuni settori in quanto àmbito legato alla morale religiosa
che cerca di influenzare la coscienza individuale35 e, nella presente materia, per la mancanza di validità, determinata soprattutto dall’incompetenza delle associazioni professionali in materia di creazione di norme
giuridiche36. Alla luce di queste affermazioni alcuni hanno sostenuto che,
se questi codici fossero imposti da altri centri di produzione normativa,
cesserebbero di avere un carattere etico37. Tuttavia, dal punto di vista qui
preso in esame, è difficile condividere quest’ultimo argomento a proposito della validità, poiché risultano approvate dai principali centri di produzione normativa numerose norme giuridiche di forte ispirazione etica
– tra lei quali occupano un posto rilevante alcune norme di tipo penale –
che, non per questo, perdono tale dimensione. A questo proposito, è importante non confondere il fondamento etico del contenuto della norma
con la sua natura. Forse questa obiezione è oggi semplicemente un riflesso della revisione o del dilagare del sistema delle fonti giuridiche,
quando, come osserva Perez Luño, si assiste, al fenomeno della infrastatualità normativa che si divide, tra gli altri, in criterio della «ratione per-
33
A. Aparisi Miralles, J. López Guzmán, Aproximación al concepto de deontología,
«Persona y Derecho: revista de fundamentación de las instituciones jurídicas y derechos
humanos», 30 (1994), p. 175.
34 Ibidem.
35 Nella deontologia professionale, a mero titolo di esempio, sono frequenti frasi come
quelle che seguono: «La civiltà occidentale si è sviluppata sulla base dei Dieci Comandamenti e, nonostante si sia preferito evitare i riferimenti ad essi, si viene guidati in modo implicito da essi, senza rendersene conto». Qui vengono citati esplicitamente il V, il VII e
l’VIII insieme alle virtù cardinali, prudenza e giustizia, come base etica delle attività professionali, R. Gil Escola, Deontología para ingenieros, Navarra, Ediciones Universidad de
Navarra, 1987.
36 Su queste questioni cfr. T. Iglesias, El discutible valor jurídico de las normas deontológicas, «Jueces para la democracia», 12 (1991), pp. 53-61.
37 A. Aparisi Miralles, J. López Guzmán, Aproximación al concepto de deontología,
cit., p. 180.
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sonae», «in virtù del quale stanno aumentando le auto-attribuzioni normative di determinati gruppi o collettivi sociali; fenomeno questo particolarmente importante in àmbito professionale»38.
In questo contesto si colloca la discussione sul potere delle associazioni professionali di adottare norme giuridiche. Alcuni autori attribuiscono questa legittimità a un presunto “patto sociale” con il quale la società ha riposto nelle associazioni il potere di concedere permessi che autorizzano l’esercizio di alcune professioni. A questo proposito, i membri
appartenenti a tali associazioni sarebbero tenuti a rispettare determinati
standard di comportamento «che garantiscono l’adempimento della funzione sociale attribuita ad una particolare professione e dei valori etici
che essa persegue»39. In questo senso, un codice deontologico acquisisce
legittimità formale «quando nasce da un collettivo al quale la società ha
riconosciuto la capacità di dettare disposizioni alle quali è necessario obbedire»40.
Oltre a questi tipi di argomenti relativi al patto sociale, parte della dottrina sostiene che in alcuni ordinamenti giuridici i codici hanno concesso agli ordini professionali il supporto normativo che fornisce la competenza necessaria alle loro elaborazioni41. Le norme deontologiche vengono create per il proprio collettivo allo scopo di regolare il comportamento dei professionisti che ne fanno parte. Si tratterebbe di una forma
di auto-regolazione, cioè un accordo istituzionale attraverso il quale
un’organizzazione disciplina le norme di comportamento a cui sono soggetti i suoi membri42.
38
Su tale problema cfr. A.E. Pérez Luño, Las fuentes del derecho y su problemática
actual, in M.C. Barranco Avilés et ali. (a cura di), Perspectivas actuales de las fuentes del
Derecho, Madrid, Colección Gregorio Peces-Barba, nr. 1, Dykinson, 2001.
39
A. Aparisi Miralles, J. López Guzmán, Aproximación al concepto de deontología,
cit. p. 179.
40
Ivi, p. 180.
41 A proposito della carta delle associazioni professionali nell’Ordinamento giuridico
spagnolo cfr. L. Martín-Retortillo Baquer, El papel de los colegios en la ordenación de las
profesiones y el control y vigilancia del ejercicio profesional, in Los colegios profesionales a la luz de la constitución, Madrid, Civitas, 1996. A proposito della potestà normativa
delle associazioni professionali A. Casares Marcos, Los titulares de la potestad sancionadores. Los entes institucionales y corporativos, «Documentación Administrativa», 280/281
(2008), pp. 261-322, in particolare pp. 289 ss.
42 La natura giuridica delle norme deontologiche è stata riconosciuta in altri ordinamenti, come per esempio quello italiano. Così Danovi: «la Cassazione, che ha riconosciu-
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Per negare alle norme deontologiche lo statuto di norme giuridiche si
è parlato anche del fatto che mancano del carattere vincolante e coattivo, che caratterizza invece l’ordinamento giuridico moderno il quale, tra
le altre cose, è segnato dall’esistenza di regole per identificare se un dato soggetto abbia violato una norma e dall’applicazione, se del caso, della sanzione. La differenza tra i diversi ordini normativi trova quindi una
delle sue basi anche nel criterio della sanzione istituzionalizzata. Mentre la violazione di una norma giuridica comporta una conseguenza giuridicamente definita, sia la violazione di norme morali sia la violazione
delle regole di convivenza sociale non danno luogo allo stesso effetto.
Come sottolinea Prieto Sanchis, i comportamenti disciplinati dal diritto
non sono diversi da quelli disciplinati dalla morale, ma la differenza sta
nel modo di farlo, cioè per mezzo della forza43. Inoltre la legge non disciplina tutti i comportamenti contemplati dalla morale, ma solo quelli
il cui ordinamento è ritenuto necessario per una convivenza sociale pacifica44.
Contro la posizione indicata che attribuisce ai codici deontologici una
funzione di promozione e stimolo di certi comportamenti, sosteniamo la
natura giuridica di tali norme. Alcune regole determinano o specificano
principi dell’ordinamento giuridico. Altre impongono direttamente comportamenti e linee di condotta e sono dotate di un meccanismo di repressione e sanzione – avente carattere disciplinare – con una determinata struttura formale, la quale prevede sanzioni in caso di violazioni. Come ogni sistema di sanzioni sarà ovviamente sottoposto al requisito della certezza del
diritto45, il quale prevede in modo chiaro ciò che viene punito, come si punisce, chi si punisce, in che forma e dove. L’ultima questione è stata, senza dubbio, il tallone d’Achille della regolazione contenuta nei codici deontologici.
to che le norme deontologiche hanno natura giuridica […] nell’àmbito della violazione di
Legge va compresa anche la violazione delle norme dei codici deontologici degli ordini
professionali», R. Danovi, Dall’avvocato della famiglia all’avvocato del minore: questioni deontologiche, in G.O. Casareo, La tutela dell’interesse dal minore: deontologie a confronto, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 32.
43 L. Prieto Sanchís, Derecho y Moral en la época del Constitucionalismo jurídico, «Revista Brasileira de Direito Constitucional», 10 (2007), p. 76.
44
Cfr. L. Diez Picazo, Experiencias jurídicas y Teoría del Derecho, Madrid, Editorial
Ariel, 1997.
45 A.E. Pérez Luño, Teoría del Derecho, cit., p. 163.
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Nonostante quanto detto, è evidente – come sostiene Peces-Barba –
che non sembra possibile mantenere la definizione del giuridico solo in
base a ciò che è proprio del diritto, «i criteri formali di un organo competente e la procedura stabilita per determinare l’appartenenza all’ordinamento, fino ad incorporare nella definizione di diritto la dimensione
della moralità»46, la quale prende per lui il nome di etica pubblica47. Con
la Modernità, l’etica pubblica è stata integrata nella legge stessa. La regolazione dell’attività professionale non è dunque svincolata da standard morali sostantivi: «la corretta pratica professionale ha preso come
referenti morali materiali che sono propri del sistema giuridico, ivi inclusi convinzioni, pregiudizi o emozioni specifici della professione»48.
Come notato, la regolamentazione etica non è e non può essere puramente formale.
Senza dubbio per evitare confusioni terminologiche sembra indispensabile distinguere tra etica professionale e deontologia, includendo in quest’ultima solamente le norme giuridiche che fanno parte dei suddetti codici deontologici, che regolano il comportamento delle persone nell’àmbito dell’esercizio della professione. Questa proposta non implica in nessun caso lo sforzo di stabilire maggiore rilevanza all’una piuttosto che all’altra, si tratta piuttosto semplicemente di un tentativo di concettualizzare, per quanto possibile, l’uso di tale termine. Se riduciamo la deontologia al suo aspetto etico o morale, il suo contributo in relazione ai doveri
non distrarrà da quelli imposti dalle abitudini o da esigenze etiche che
l’individuo deve assumere come proprie. Sembra inoltre che questa proposta possa fornire una soluzione ai problemi sociali derivanti da pratiche eticamente riprovevoli, e talvolta considerate giuridicamente irrilevanti, con l’argomento della mancanza di sanzione giuridica istituzionalizzata, indipendentemente dalla sanzione sociale o morale che comportano. Senza dubbio questa situazione è lungi dal risultare pacifica, specialmente tra coloro che rifiutano la stretta equiparazione tra norme deontologiche e deontologia codificata49.
46 G. Peces-Barba, Ética pública-ética privada, «Anuario de Filosofía del Derecho»,
14 (1997), p. 533.
47 Cfr. G. Peces-Barba Martínez; Ética pública y Derecho, Madrid, Real Academia de
Ciencias Morales y Políticas, 1993.
48
D. Blázquez Martín, Ética y Deontología de las profesiones jurídicas, «Derechos y
Libertades, Revista de Filosofía del Derecho y Derechos Humanos», 19 (2008), pp. 25 e ss.
49 Vedi, tra gli altri, A. Aparisi Miralles, Ética y deontología, cit., p. 165.
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Ovviamente il punto non è quello di giustificare il suo status in base
alla sua tempestività o alla sua idoneità, dato che questo non è lo scopo
della diritto, ma di rendere possibile o creare l’insieme minimo di condizioni nelle quali la vita sociale «possa svilupparsi in modo pacifico e
ordinato»50. Dal momento che tali norme impongono determinati comportamenti, la cui conformità non dipende dal parere o dalla scelta individuale, se vengono dotate di meccanismi che consentono l’imposizione coercitiva sul soggetto in relazione alla sua vita professionale, possiamo affermare di trovarci di fronte ad una vera e propria norma giuridica.
In questo senso l’etica professionale deve necessariamente essere
concepita come un’etica aspirazionale, la quale permette di formare un
buon professionista in termini ideali51. Così anche la natura normativa
delle norme deontologiche non include la componente etica del suo contenuto. Viceversa, affinché non perdano il loro carattere deontologico
sarà necessario che i doveri imposti siano a loro volta doveri di giustizia perché «riguardano diversi piani di incidenza o differenti tipologie di
valore della giustizia»52. Come sostiene Hart, non bisogna dimenticare
che «il diritto di ogni stato moderno mostra in moltissimi punti l’influenza sia della moralità sociale accettata sia ideali morali più ampi.
Queste influenze agiscono sul diritto sia bruscamente e apertamente attraverso la legislazione, sia silenziosamente o gradualmente attraverso il
procedimento giudiziario»53. Tuttavia, tali riferimenti non possono essere stabiliti attorno ad uno specifico contenuto morale, ma a valori,
principi e diritti che ispirano l’ordinamento giuridico. Ne risulta che il
fondamento delle norme deontologiche non possa fondarsi su considerazioni morali, ma solo su una connessione tra diritto e morale nei termini indicati.
50
A.E. Pérez Luño, Teoría del Derecho, cit., p. 155.
Cfr. E. Fernández García, Los jueces buenos y los buenos jueces, «Derechos y Libertades, Revista de Filosofía del Derecho y Derechos Humanos», 19 (2008), p. 41.
52
A.E. Pérez Luño, Lecciones de Filosofía del Derecho. Presupuestos para una Filosofía de la Experiencia jurídica, Sevilla, Mergablum, 1998, p. 124.
53
H.L.A. Hart, El concepto de Derecho (1961), Buenos Aires, Abeledo Perrot, 1963, p.
251 [trad. it. di M. Cattaneo, Il concetto di diritto, Torino, Einaudi, 1965, p. 237].
51
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3. Da una deontologia professionale a una “deontologia politica” o “del
buon governo”: il rischio della politicizzazione della morale attraverso il
diritto
In un’epoca di crisi o trasformazione come quella attuale sta riemergendo il dibattito sulla necessità di creare norme di condotta che diano forma
ai doveri politici nella gestione pubblica attraverso i quali si rafforzi l’idea
di servizio pubblico54; doveri questi che vengono abitualmente tradotti in
obblighi relativi allo svolgimento di incarichi da parte di dipendenti pubblici.
Nonostante la questione sembri una novità, non lo è affatto poiché il
rapporto tra etica, potere e diritto o il modo in cui gli si dà fondamento è
sempre stato uno dei temi centrali della filosofia del diritto55. In realtà, ciò
che è nuovo è la preoccupazione per una tematica simile in un momento
storico in cui certi dibattiti si credevano superati. In questo contesto, alcune voci si sono precipitate ad annunciare una nuova “era dell’etica” o di un
“boom etico” segnato in larga parte dalla lotta contro la corruzione56. Come segnala Peces-Barba, dal punto di vista giusfilosofico la corruzione ha
una dimensione politica perché non si limita al sistema politico o a una
ideologia, anche se le dimensioni o le caratteristiche variano a seconda del
regime politico e dello sviluppo del paese57 e anche del contesto in cui viviamo. Come ha sostenuto Touraine stiamo assistendo al declino e alla
54
Come ricorda De Asís Roig il concetto di poteri pubblici è generico e include tutti quegli enti e quegli organismi che esercitano un potere imperativo che deriva dalla sovranità nazionale o discende dal proprio popolo. Vi rientrano non solo i tre poteri classici e le istituzioni dello stato, delle autonomie e dei poteri locali, ma anche la forza necessaria al servizio di questi poteri da parte operatori giuridici, dei funzionari e dei cittadini, quali partecipanti alla loro formazione e al loro normale funzionamento, R. De Asís Roig, Notas sobre
Poder y Ordenamiento, «Revista Española de Derecho Constitucional», 12, 36 (1992), pp.
105 ss.
55 Per un’analisi storica di questa relazione cfr. A.E. Pérez Luño, Teoría del Derecho,
cit., pp. 105 e ss. Sulle questioni fondamentali della filosofia del diritto rispetto alla relazione
tra etica, potere e diritto v. G. Peces-Barba, Diez Lecciones sobre Ética, Poder y Derecho,
Dykinson, Madrid, 2010. Inoltre, sulla relazione tra potere e diritto cfr. E. Díaz, Razón de
Estado y razones del Estado, «Isegoría», 26 (2002) pp. 131 ss.
56 M. Martínez-Bergueño, La ética, un nuevo objetivo en la gestión pública, «Gestión
y análisis de políticas públicas», 10 (1997), p. 19.
57
Secondo Peces-Barba c’è corruzione quando sono coinvolte persone e organi di istituzioni pubbliche, G. Peces-Barba, La corrupción en las instituciones y en la sociedad civil, in «Cuadernos de Teología de Deusto», 9 (1996), pp. 19-28.
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scomparsa del cosiddetto universo sociale, con la relativa decomposizione
del sociale, l’emergere di forze ai livelli superiori della società e il richiamo all’individualismo come principio della morale58.
A questo proposito, non si può ignorare che né l’applicazione del diritto penale classico né quella del diritto amministrativo disciplinare sono state in grado di fermare questo fenomeno. Come indicano Dellis e Pappas,
se analizziamo l’utilità pratica dei sistemi esistenti nell’Unione europea, il
modello disciplinare dei pubblici ufficiali è tutt’altro che ideale e presenta
molti problemi, la cui soluzione comporta non solo un cambio di sistema,
ma anche di mentalità59. Forse è possibile individuare una spiegazione motivata di questo fatto, come già da tempo previsto, nella crisi generale dei
valori e della moralità che con la Modernità si è estesa alla sfera pubblica;
di quella moralità che costituisce il contenuto etico della politica e del diritto60. Come spiega lo stesso autore: «una crisi generale della Modernità
impedisce la costruzione di un sistema intellegibile di moralità pubblica
che funga da riferimento per i comportamenti che vagano senza meta nel
mondo, che risulta complesso, difficile da spiegare e frammentato»61.
È quindi una crisi dei principi universali istituzionalizzati62, che è giunta a mettere in discussione la legittimità etica stessa del diritto e della politica. In questa particolare situazione il ritorno ai valori etici e l’elaborazione di norme di comportamento in àmbito politico si presentano come un
rimedio destinato a prevenire o a far fronte alla corruzione nelle pubbliche
amministrazioni e nei governi63. Emergono iniziative legislative che si presuppone abbiano come fine ultimo quello di far parte della soluzione di
questa crisi perché – come osserva Lipovestky – in nuovi tempi ipermoderni si rivendica l’etica della responsabilità collettiva, in modo tale che
58
Cfr. A. Touraine, Un nouveau paradigme, París, Librairie Arthème Faryard, 2005.
G. Dellis, S.A. Pappas, Desde la mera disciplina hasta una verdadera deontología,
«Documentación Administrativa», 241 (1995), pp. 105, 108.
60 Cfr. G. Peces-Barba, La corrupción en las instituciones y en la sociedad civil, cit.
61
Ibidem.
62 A. Touraine,¿Después del posmodernismo?, cit.
63 L’incremento della corruzione nei governi, segnala Bautista, genera tra gli altri problemi, inefficienza nel funzionamento delle istituzioni, il mancato raggiungimento degli
obiettivi e dei programmi di governo, la mancata risoluzione di problemi e necessità dei
cittadini e la perdita di fiducia nelle istituzioni. Vedi O.D. Bautista, Una forma de prevenir
la corrupción en los gobiernos y en administraciones públicas, México, Desclée De
Drouwer, 2009.
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gli impegni etici risultino posti al centro dell’ideologia e delle norme64. In
questo contesto, nel perseguimento di questi impegni, le norme deontologiche sembrano assumere un nuovo ruolo, che riflette l’esigenza di comunicazione tra l’etica, le norme giuridiche e le istituzioni; tale protagonismo
si riflette in rivendicazioni relative al «passaggio da una disciplina semplice a una vera e propria deontologia che manca nella funzione pubblica in
Europa»65.
Questo impegno nella sfera pubblica, guidato in gran parte dalla lotta
contro la corruzione, ha avuto un grande impulso nell’area anglosassone,
soprattutto dopo lo scandalo Watergate che portò alla creazione di associazioni e norme destinate a regolare e a fare in modo che le azioni del governo restassero conformi ad una serie di valori e principi. Per la sua rilevanza, tra le altre azioni intraprese, bisogna ricordare il cosiddetto «Rapporto Nolan-Standards in Public Life» del Comitato per le regole di condotta nella vita pubblica, presentato al Parlamento inglese nel 199566. Questo rapporto aveva il seguente scopo:
To examine current concerns about standards of conduct of all holders of
public office, including arrangements relating to financial and commercial
activities, and make recommendations as to any changes in present arrangements which might be required to ensure the highest standards of propriety
in public life. For these purposes, public life should include: Ministers, civil servants and advisers; Members of Parliament and UK Members of the
European Parliament; members and senior officers of all non-departmental public bodies and of national health service bodies; non-ministerial office holders; members and other senior officers of other bodies discharging
publicly-funded functions; and elected members and senior officers of local authorities67.
La relazione si conclude con la necessità di sviluppare codici di condotta
per tutto il settore pubblico, che devono essere elaborati entro l’organismo
64
Cfr. G. Lipovetsky, Les temps hypermodernes, cit.
G. Dellis, S.A. Pappas, Desde la mera disciplina hasta, cit., p. 508.
66 Su questa relazione e sulle sue ripercussioni vedi, tra gli altri, E. Garcia de Enterria, Democracia, jueces y control de la Administración, Madrid, Civitas, 2009; J. Fuentetaja, J. Guillén, La regeneración de la Administración Pública en Gran Bretaña, Barcelona, Civitas, 1996.
67 HC Deb, 25 October 1994, vol. 248, cc. 757-758. The Committee on Standards in Public Life: Regulating the Conduct of Members of Parliament. Parliamentary Affairs (1995)
48 (4), pp. 590-601; http://pa.oxfordjournals.org/content/48/4/590.extract; http://dialnet.unirioja.es/servlet/articulo?codigo=3852013.
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in questione. Come base per questi codici il rapporto comprende sette principi: la necessità di essere messi in atto nell’interesse pubblico, l’integrità,
la responsabilità, la trasparenza, l’onestà e la leadership. Inoltre, a prescindere dall’elaborazione di questi codici, si raccomandava al governo di
condurre un riesame in vista della redazione di un quadro giuridico più
coerente per regolare la condotta appropriata e la responsabilità degli organismi pubblici.
Tali proposte sono state estese, con alterne fortune, ai paesi dell’Europa68 continentale che hanno elaborato in questi ultimi anni “codici etici”,
“codici per le buone pratiche” o “codici deontologici” con denominazioni
differenti e obiettivi generali, commissioni di monitoraggio, auspicando,
inoltre, una formazione in questa materia69. Le differenze di denominazione possono rispondere più a un riflesso dell’influenza delle tendenze nei
paesi anglosassoni che ad una reale motivazione a unificare o separare l’etica professionale e la deontologia. Tuttavia, come già messo in rilevo, nel
nostro àmbito non devono essere confuse, nonostante l’indubbia correlazione o l’importanza dell’etica in questa materia.
I risultati di tali esperienze nel nostro contesto, come sappiamo, sono
stati di diverso tipo. Per questo motivo erano e sono numerose le rivendicazioni relative alla necessità di elaborare un “codice deontologico per i
funzionari pubblici e politici” che regoli i modelli di comportamento nelle attività pubbliche, in special modo per evitare situazioni di corruzione
politica. Per affrontare questi problemi, nel 2005, è stato approvato in Spagna il cosiddetto «Código del Buen Gobierno de los miembros del Gobierno y de los Altos Cargos de la Administración del Estado», adottato
con delibera del Consiglio dei Ministri del 18 Febbraio 200570. Con la sua
68 Nell’àmbito dell’Unione Europea, con l’obiettivo di riformare il sistema di governo,
specialmente al fine di avvicinare le istituzioni ai cittadini, sono stati approvati diversi strumenti, malgrado i vincoli della volontà politica, per migliorare il sistema europeo di governo. Su questo argomento cfr. J Guillén Carray, La necesaria reformulación del ‘buen
gobierno’, «Revista Aranzadi Doctrinal», 8 (2011), pp. 83 ss.
69
Questa formazione deve trovare fondamento nell’articolo 27, paragrafo II, del testo costituzionale. In questa prospettiva la formazione nell’educazione alla cittadinanza può risultare di grande utilità per raggiungere l’obiettivo di un pieno sviluppo della personalità
umana nel rispetto dei principi democratici di convivenza e dei diritti e delle libertà fondamentali. Su tale questione particolare cfr. G. Peces-Barba, E. Fernández, R. De Asís, J. Ansuátegui, Educación para la ciudadanía y derechos humanos, Madrid, Espasa, 2008.
70 Questo tipo di codici sono stati accolti dalle Comunità Autonome. A questo proposito, a titolo esemplificativo, è possibile citare il «Código del Buen Gobierno» della Comu-
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approvazione le autorità pubbliche, in base alle linee guida dell’OCSE in
materia, cercano di impegnarsi di fronte ai cittadini circa il fatto che coloro che svolgono alti incarichi devono guidare le loro azioni attraverso principi di comportamento i quali si figurano come garanzie istituzionali che
consolidano il patto dei poteri pubblici con i cittadini. Da questo punto di
vista sembra che ci sia una rottura del preteso legame necessario tra professione determinata dal titolo, per lo più esercitata come professione liberale71, e deontologia. Rimane, tuttavia, un elemento essenziale che giustifica questa regolamentazione: l’esercizio di una professione o un’attività considerata di interesse pubblico.
Si segnala inoltre che, come è avvenuto nel caso di altre tematiche, in
particolare in settori legati al progresso scientifico e tecnologico, si è passati dall’autoregolazione attraverso codici di condotta a quelli che talvolta
vengono definiti “di buon governo”, alla regolamentazione legale72.
A prescindere dalle opportunità che presentano questo tipo di norme, dal
punto di vista qui analizzato, è discutibile l’uso del termine del “buon governo”, in quanto può indurre confusione, perché nessuna concezione del
bene può costituire il nucleo né della giustizia basica né della ragione pubblica. La politica nello stato di diritto non può mai essere guidata da quella che può essere considerata una verità globale73.
nidad Foral de Navarra (Ley Foral 2/2011, del 17 marzo), il «Código de Ética y Buen Gobierno, altos cargos, personal eventual y demás cargos directivos del sector público» della
Comunidad Autónoma de Euskadi (accordo adottato dal Consiglio di Governo con la risoluzione 23/2011, dell’11 maggio), oppure la «Ley de Buena Administración y Gobierno»
delle Isole Baleari (Ley 4/2011, del 31 marzo).
71 Questo vincolo è palese in alcuni studi noti in materia. A questo proposito risulta esemplificativa la definizione di Aparisi Miralles: «in questo senso possiamo affermare che oggi la
deontologia rimanda fondamentalmente allo studio dei doveri che emergono nell’esercizio di
professioni considerate di interesse pubblico e che prevedono una relazione con il cliente o il
paziente, e che si esercitano in regime di monopolio – perché richiedono di essere in possesso di un titolo – e in forma liberale», A. Aparisi Miralles, Ética y Deontología, cit., p. 156.
72 E evidente che in questo contesto non mancano voci secondo le quali la distinzione tra
pubblico e privato in àmbito morale costituisce la causa essenziale della situazione attuale
nella classe politica. A tale rigurado ci si chiede se sia possibile separare l’etica pubblica dall’etica privata, dal momento che l’individuo è costantemente pubblico o privato nelle sue relazioni giuridiche [S. Carretero Sánchez, La clase política y la pendiente renovación deontológica, «Actualidad Administrativa», 3 (2010), pp. 262-283]. Senza dubbio questa identificazione è impossibile da sostenere a meno che non si vincoli l’etica deontologica a una determinata etica privata, sovraordinata al diritto.
73 G. Peces-Barba, Ética pública-ética privada, cit., p. 535.
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Perciò a questo proposito non si può ignorare uno dei rischi per lo sviluppo di questo tipo di normativa: la possibile politicizzazione dell’etica attraverso il diritto. Evidentemente – come sottolinea Perez Luño – il tentativo di politicizzare la morale attraverso norme giuridiche non è un argomento nuovo; ce ne sono numerosi esempi sia in àmbito teorico sia in quello giurisprudenziale. Tuttavia, di fronte a questo rischio è possibile concludere che il «rinvio da parte del diritto a categorie morali deve essere fatto in modo appropriato»74.
Questi codici di condotta devono pertanto partire dall’etica pubblica ed
è necessario che diano risposta ai problemi basati su di essa75. Come afferma Ferrajoli in relazione al ruolo dei giudici in una società democratica, i rimedi istituzionali contro la corruzione richiedono, tra le altre cose,
una deontologia guidata dai valori democratici dei diritti dei cittadini, della loro garanzia e di una dialettica interna tra diversi agenti76. L’etica che
interessa il potere politico e il diritto è l’etica pubblica. I sistemi di etica
pubblica derivano dalla ragione che trova le sue basi nella Modernità e alla quale, secondo Peces-Barba, nuovi protagonisti si uniranno con i loro
contributi, formando il deposito di moralità che il potere politico e il diritto faranno propri77. Sarà appunto partendo dal contenuto dell’etica pubbli-
74
A.E. Pérez Luño, Teoría del Derecho, cit., p. 148.
Una delle critiche mosse ai codici deontologici è che si basano su una morale fatta di
imperativi «cioè su un orientamento valoriale rigido secondo parametri incondizionati e assoluti. In una morale di questo tipo non c’è spazio per le eccezioni, ma soprattutto non c’è
spazio per le questioni di grado», M.E. Salas, ¿Es el derecho una profesión inmoral?, «Doxa. Cuadernos de Filosofía del Derecho», 30 (2007), p. 598. Allo stesso modo è impossibile non dire che ci sono voci che considerano la differenza tra pubblico e privato nella morale come una delle ragioni della mancanza di un’etica del pubblico impiego, S. Carretero
Sánches, Corrupción, funcionarios públicos y papel de la deontología, «Revista telemática de Filosofía del Derecho», 13 (2010), pp. 1-26.
76 In relazione alla figura del giudice in una società democratica Ferrajoli segnala che
«solo la riflessione critica e autocritica promossa dagli agenti coinvolti e la sua apertura
al controllo democratico dell’opinione pubblica possono conferire senso, legittimità e valore al difficile compito del giudice». L. Ferrajoli, El juez en una sociedad democrática.
È possibile consultare il testo sul sito: http://www.poder-judicial.go.cr/dialogos/documentos/LUIGI%20FERRAJ OLI/LUIGI%20Ferrajoli.doc. Sulla relazione tra deontologia e diritti umani si veda inoltre J. Rodriguez Toubes, Deontología de las profesiones jurídicas y derechos humanos, «Cuadernos electrónicos de Filosofía del Derecho», 20
(2010), pp. 92-118.
77 G. Peces-Barba, Ética pública-ética privada, cit., p. 542.
75
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ca, attraverso i principi, i valori e dei diritti che si stabiliranno dei criteri per
l’azione degli operatori giuridici.
Su tale base, anche se in questo momento risultano necessarie una certa revisione, reinterpretazione e ridefinizione della Modernità secondo le
nuove tendenze, è anche essenziale che tale lavoro non perda di vista il suo
stesso progetto incompiuto, con l’obiettivo principale di ricercare, riflettere ed esaminare i valori che permettono la sua ricomposizione.
4. Alcune conclusioni
Sembra che il superamento dei presupposti che sono propri della Postmodernità abbiano provocato una rinascita dell’interesse per l’etica. Le nuove tendenze ipermoderne tentano una reinterpretazione ipermoderna o una
modernizzazione della modernità stessa, con un ritorno ai valori e ai diritti umani. Nell’Ipermodernità si fa appello all’etica della responsabilità collettiva che riconduce nuovamente all’eterna riflessione sul rapporto tra diritto e morale. In questo contesto, l’etica riacquista il protagonismo che
aveva perduto.
Se è fuor di dubbio che, al suo atto di nascita, Bentham vincola il significato di questo termine alla sfera dell’etica, la necessità di regolare il
comportamento nell’esercizio delle professioni allo scopo di proteggere la
collettività e l’interesse pubblico, per mezzo di norme giuridiche raccolte
in codici deontologici, ha provocato uno slittamento del significato del termine dall’àmbito etico a quello giuridico. Questo riconoscimento porta necessariamente all’esigenza di distinguere tra «etica professionale», formata da norme di natura morale, e «deontologia», formata da norme di natura giuridica. Questa proposta intende sottrarsi ad alcune confusioni e non
implica in ogni caso la pretesa di conferire una maggiore rilevanza a uno
dei due termini. Senza dubbio il riconoscimento della natura giuridica delle norme deontologiche, tanto dal punto di vista formale quanto da quello
materiale, non implica e non deve implicare uno svincolamento dai referenti etici. Tuttavia, tali riferimenti non possono essere connessi a qualsiasi tipo di moralità, ma devono fare affidamento su un’etica pubblica e devono essere quelli recepiti nell’ordinamento giuridico.
L’idea di un recupero della deontologia come strumento per l’indispensabile legame tra etica e diritto non si limita a un contesto estrinsecamente professionale. Di fatto il vincolo di questo termine con tale àmbito,
nonostante risulti già classico, non è esclusivo. La crisi dei principi istitu-
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zionali universali ha portato anche a una rifondazione di tale questione, sostenendo lo sviluppo dell’etica nella sfera pubblica, soprattutto per quanto
riguarda i doveri dei dipendenti pubblici. L’etica della responsabilità collettiva implica necessariamente un sistema di etica pubblica comprensibile e un ritorno, con sfumature, alla moralità proposta dalla Modernità.
Bisogna constatare l’impotenza dei differenti rami del diritto, ai quali si
vincolava tradizionalmente la potestà sanzionatoria, nel dare risposta ai casi di corruzione in àmbito pubblico. Per questa ragione sono diverse le proposte che in questo settore chiedono il passaggio a una «deontologia vera»,
che comporti anche un cambiamento di mentalità. Tuttavia bisogna tenere
presente che, anche se è evidente, il cambiamento non può cercare o implicare l’indottrinamento o il rinvio a certi tipi di morale privata. È proprio
per questo che si considera discutibile la denominazione “Codici di buon
governo”, in quanto nessuna concezione del bene può costituire il centro
della ragione pubblica. Questo rifiuto ha anche lo scopo di evitare la possibile politicizzazione dell’etica attraverso lo sviluppo di tali norme. Le
norme deontologiche devono necessariamente muovere dall’etica pubblica e fornire risposte ai problemi che da essa scaturiscono alla ricerca di un
legame adeguato tra etica, diritto e potere politico.
Traduzione di Silvia Rodeschini
[email protected]
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