Il "pane spezzato" dei profeti

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Il "pane spezzato" dei profeti
Il «Pane spezzato» dei profeti
Luigi Nason
Pastorale Biblica Diocesi di Milano
1Parole
di Geremia, figlio di Chelkia, uno dei sacerdoti che risiedevano ad Anatòt, nel territorio di Beniamino. 2A lui fu rivolta la parola del Signore al tempo di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, l’anno tredicesimo del suo regno, 3e successivamente anche al tempo di
Ioiakìm, figlio di Giosia, re di Giuda, fino alla fine dell’anno undicesimo di Sedecìa, figlio di Giosia, re di Giuda, cioè fino alla deportazione di Gerusalemme, avvenuta nel quinto mese di quell’anno.
4Mi
fu rivolta questa parola del Signore:
di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni».
6Risposi: «Ahimè, Signore Dio!
Ecco, io non so parlare, perché sono giovane».
7Ma il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”.
Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò.
8Non aver paura di fronte a loro,
perché io sono con te per proteggerti».
Oracolo del Signore.
9Il Signore stese la mano
e mi toccò la bocca,
e il Signore mi disse:
«Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca.
10Vedi, oggi ti do autorità
sopra le nazioni e sopra i regni
per sradicare e demolire,
per distruggere e abbattere,
per edificare e piantare» (Ger 1,1-10).
5«Prima
59
Il profeta nella letteratura biblica è definito dal rapporto con la
“parola”: egli si riferisce a Dio come unico responsabile di quello
che dice e, nello stesso tempo, si è così identificato con la parola che
proclama da non avere altre parole se non quelle di Dio. È questo
il senso dei racconti che solitamente chiamiamo di “vocazione”.
Questi racconti non sono cronaca di un evento avvenuto secondo le
modalità narrate dall’autore e quindi da prendere alla lettera. Essi
sono in realtà un espediente letterario per affermare che la parola
profetica è totalmente fondata nel parlare originario di Dio. Essi ci
rivelano che l’essenza più profonda dell’esperienza profetica si
caratterizza nella sua totalità come una radicale obbedienza alla
parola di Dio che, con la sua chiamata, la suscita.
Il Dio della rivelazione è un Dio che parla, un Dio che con la sua
parola svela il senso della storia, la sua verità. Perciò tutta la
Scrittura tende a diventare profezia.
“In essa, visione e parola sono alla ricerca di una scoperta. Ma ciò
che esse svelano non è l’avvenire, è l’assoluto. La profezia risponde alla nostalgia di una conoscenza; non della conoscenza del
domani ma di quella di Dio. La profezia è studiata in questo libro
come una categoria della rivelazione. […] Occorre precisare che
questo dialogo non è necessariamente sonoro? La voce di Dio è talvolta il silenzio … L’apparizione di Dio è talvolta la sua oscurità.
Che importa, purché questo silenzio e questa tenebra siano rivelatori di Dio, anche se la rivelazione non sonda che un mistero.
Ciò che piuttosto bisogna precisare, è che la profezia non si contenta di una rivelazione che, chiara o misteriosa, resti intima e nascosta. […] Sorpassando l’ambito di una comunione personale, l’esperienza profetica attraversa l’uomo per darsi ad altri. […]
La profezia non è soltanto il luogo di una rivelazione. È il cantiere
di ogni esperienza rivelata. È mediante l’attività della profezia che
l’assoluto si rivela in termini relativi. Attraverso il prisma della profezia il tempo di Dio si riflette nei tempi molteplici della storia”1.
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Si può riconoscere al racconto della vocazione di Geremia, nonostante i molti tratti che ha in comune con altri racconti di vocazione, un carattere originale che permette di cogliere con uno sguardo
sintetico gli elementi costitutivi del profeta biblico.
Ci troviamo di fronte ad un testo che trascende chiaramente il valore
biografico collocandosi su un piano teologico. La narrazione del capitolo 26 di Geremia potrebbe offrirci un indizio per scoprire in quale
contesto vitale del profeta si viene a formare il racconto di vocazione. Il processo intentato contro il profeta è un episodio per certi aspetti unico del Primo Testamento: chiamato a rendere conto delle sue
affermazioni, egli non risponde alle accuse che gli sono mosse, ma
evoca l’evento che è all’origine del suo stesso parlare, introdotto
spesso, come del resto negli altri testi profetici, con l’espressione:
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“così dice il Signore”.
O accompagnato e spesso concluso con quest’altra espressione:
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“oracolo del Signore”.
Entrambe queste espressioni rendono esplicito il ricordo della sua
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vocazione. Secondo molti i racconti di vocazione, collocati all’inizio
o all’interno delle raccolte profetiche, avrebbero lo scopo di accreditare il profeta presso il popolo e i suoi capi di fronte alle contestazioni di cui egli è fatto oggetto. Ma se ciò che viene contestato a un profeta è proprio la sua pretesa di parlare a nome di Dio, quale prova
potrebbe costituire il ripetere che è proprio Dio che lo ha chiamato?
Anche Amos, posto di fronte al decreto del re d’Israele Geroboamo,
sollecitato dal sacerdote Amasia, responsabile del santuario di
Betel, fa appello alla sua vocazione:
«Non ero profeta né figlio di profeta;
ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.
Il Signore mi prese,
mi chiamò mentre seguivo il gregge.
Il Signore mi disse:
Va’, profetizza al mio popolo Israele (Am 7,14-15).
L’unico fatto che può far riflettere chi contesta Geremia è l’atteggiamento del profeta che riafferma la sua pretesa di parlare a nome di
Dio e per essa si dichiara disposto a morire:
8Ora,
quando Geremia finì di riferire quanto il Signore gli aveva
comandato di dire a tutto il popolo, i sacerdoti, i profeti e tutto il
popolo lo arrestarono dicendo: «Devi morire! 9Perché hai predetto
nel nome del Signore: “Questo tempio diventerà come Silo e questa
città sarà devastata, disabitata”?» […].
11Allora i sacerdoti e i profeti dissero ai capi e a tutto il popolo: «Una
condanna a morte merita quest’uomo, perché ha profetizzato contro
questa città, come avete udito con i vostri orecchi!». 12Ma Geremia
rispose a tutti i capi e a tutto il popolo: «Il Signore mi ha mandato a
profetizzare contro questo tempio e contro questa città le cose che
avete ascoltato. […]
14Quanto a me, eccomi in mano vostra, fate di me come vi sembra
bene e giusto; 15ma sappiate bene che, se voi mi ucciderete, sarete
responsabili del sangue innocente, voi e tutti gli abitanti di questa
città, perché il Signore mi ha veramente inviato a voi per dire ai
vostri orecchi tutte queste parole» (Ger 26,8-9.11-12.14-15).
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Ecco, io non so parlare, perché sono giovane (v.6)
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Come Samuele, Geremia è un “giovane”. Il termine na‘ar ha un
duplice significato. Indica anzitutto il tempo della giovinezza, ma
denota anche la dipendenza da un altro, quindi la mancanza di autorità propria. Geremia dichiara insomma la sua incapacità o incompetenza – “non so” -, motivata dall’immaturità – “perché sono giovane”. Di solito è l’anziano ad avere un compito di autorità in
Israele: per esempio, nella tradizione biblica l’essere governati da
un na‘ar viene ritenuto una situazione politica disastrosa (cf Is 3,45; Qo 10,16). Geremia perciò con ragione si lamenta di non contare niente proprio per la sua giovane età.
Non si deve però limitare questa incapacità solo al momento iniziale e quindi transitorio della vita di Geremia. Ciò significherebbe
fraintendere l’essenza del parlare profetico che non può essere considerato come un sapere che si acquisisce mediante lo studio o l’esperienza. Geremia confessa che il parlare con autorità in nome di
Dio non gli appartiene.
“L’esperienza profetica, al contrario, è un parlare che non sa, nel
senso che non è una conoscenza anticipata nella memoria, ma è un
dire che viene donato nel momento stesso del suo realizzarsi. […] In
questo senso il profeta – come Geremia – dichiara sempre di essere
un na‘ar, un «servo» sottomesso alla voce del suo Signore…Come
avviene che l’insipienza dell’uomo diventi luogo della vera parola?2
In Geremia, la constatazione della sua totale impotenza (Ger 1,6) è
come inquadrata dall’insistenza sull’azione divina: il Signore lo ha
scelto e fatto profeta (1,5), il Signore gli impone le parole da dire
(1,7). L’uomo diventa profeta perché Dio lo vuole, e l’obbedienza a
questa volontà lo fa profeta”3.
…
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Ti ho conosciuto, ti ho consacrato, ti ho costituito (v.5)
Tre verbi presentano la missione profetica di Geremia:
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ti ho conosciuto
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ti ho consacrato,
ti ho messo da parte per una missione
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ti ho costituito profeta per le nazioni
Geremia dice: “non so
parlare” (v.6), mentre il Signore
afferma “Ti conosco
In ebraico è lo stesso verbo
[“conoscere”]. Geremia dice. “Non ho la conoscenza della parola”. Il
Signore dichiara “Io ho la conoscenza di te”. Con questo verbo viene
indicato un rapporto tra JHWH e Geremia che non è immediatamente
comprensibile nei suoi aspetti precisi. Il verbo
ha una ricchezza straordinaria nel linguaggio biblico, ha una polivalenza di significati che non possono essere tradotti nelle lingue moderne con uno
stesso termine. Solo il contesto ci può indicare il significato preciso
che il verbo assume4.
L’espressione “ti ho conosciuto” è strettamente collegata con il
motivo del concepimento e della nascita del bambino:
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«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che
tu uscissi alla luce, ti ho consacrato (v.5).
La ripetuta menzione del grembo materno orienta verso l’origine
della vita. Il tema della chiamata fin dal grembo materno, che peraltro è presente anche altrove nella tradizione biblica (cf Is 49,1.5; Lc
1,15.41; At 22,14; Gal 1,15), utilizza uno schema temporale per sottolineare nel modo più radicale che la storia è totalmente guidata
dalla volontà buona di Dio.
L’essere profeta non è una professione, che resta una qualità accessoria dell’esistenza dell’uomo, ma è la dimensione essenziale della sua
vita. Si è plasmati da Dio nel corpo perché eletti per essere profeti:
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prima che io ti formassi nel grembo
Si potrebbe affermare che tutta la vita del profeta è l’appropriarsi di
questa vocazione che emerge alla coscienza in un certo punto della
propria storia, identificato di solito con la vocazione stessa. In realtà, il momento in cui essa si manifesta alla coscienza non è il
momento della chiamata, ma la rivelazione di ciò che, da sempre,
costituiva il senso della propria vita. Per Geremia avviene nel tredicesimo anno [627] del regno di Giosia [640-609] (Ger 1,2); per
Paolo dopo un periodo di opposizione alla “via” (Gal 1,15-16).
Ma questo riferimento al grembo stabilisce un rapporto tra la chiamata di Dio e il corpo del profeta. “Si dice che il carisma profetico
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si esprime massimamente nella parola: forse non si sottolinea a sufficienza che è invece la totalità dell’uomo a essere coinvolta nella
profezia. Il formarsi del corpo nel ventre della madre, secondo Ger
1,5, è posteriore all’atto dell’elezione; il corpo è quindi funzionale,
strumentale a ciò che viene prima; non solo, il corpo stesso viene a
essere caricato di una valenza profetica. Tutti sono d’accordo nel
ritenere che il profeta ha un duplice livello di presenza: quella che si
esplica nella parola, e quella che si manifesta nei gesti, nelle opere
(cf Lc 24,19). I «segni» profetici (sia i fatti prodigiosi, sia le azioni
simboliche) sono stati oggetto perciò di specifica considerazione da
parte degli studiosi di teologia biblica: ci pare tuttavia che non si
parli frequentemente della storia del corpo (profetico) come di una
delle più importanti manifestazioni della profezia”6.
Ci sono almeno due aspetti che è importante sottolineare per scoprire che è nella parabola di un’esistenza, dal suo nascere al suo morire, che la Parola prende carne per poter essere ascoltata dall’uomo.
Anzitutto, la donna incinta ha un’importanza particolare nell’immaginario di Israele perché costituisce il simbolo privilegiato della
fedeltà di Dio alla sua promessa: infatti, se nel figlio nato Dio realizza la sua promessa di vita, nel figlio ancora nel grembo materno
Egli offre il segno della sua promessa. Quando Geremia per parlare
della sua vocazione ritorna al tempo del suo essere plasmato nel
grembo materno, evoca l’immagine meravigliosa di Dio che si
manifesta nella storia degli uomini come promessa di vita. Così il
segno di Dio offerto al re Achaz è la nascita di un figlio, il dono di
una discendenza che possa offrire la speranza della continuità del
regno (cf Is 7,14-16). Il motivo letterario e teologico dell’essere
chiamati fin dal grembo materno per una missione universale ti ho costituito profeta per le nazioni - è
sviluppato soprattutto nella tradizione isaiana del “servo di JHWH“
(cf Is 42,1.6; 49,5-6: “Ora, dice JHWH che mi ha formato dal grembo materno come suo servo.... Ma io ti renderò luce delle nazioni
perché porti la mia salvezza fino alle estremità della terra”).
La dimensione universale della missione profetica di Geremia si
attuerà in tre modi. Anzitutto egli, come molti altri profeti, pronuncerà oracoli destinati alle nazioni (Ger 46-51).
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Inoltre la sua missione si svolgerà in un momento in cui la storia del
suo popolo si trova ad essere fortemente intrecciata con quella delle
potenti nazioni vicine (Assiri, Babilonesi, Egiziani) e quindi in un
contesto politico internazionale.
Infine, i suoi oracoli profetici sono stati raccolti con cura e conservati dai discepoli con una paziente attività redazionale che ha prodotto diverse edizioni del libro già durante la vita del profeta e poi
nell’epoca postesilica durante la quale il libro recepisce gli annunci
profetici di Ezechiele, l’influsso del Deuteronomio (opera immediatamente postesilica) e dello storiografo deuteronomista: queste edizioni sono frutto delle riletture operate dai discepoli (per esempio
l’oracolo di Ger 23 viene riletto a distanza di tempo producendo il
testo di Ger 33). La gestazione del libro è rimasta però aperta nei
secoli seguenti tanto che, se si confronta il testo greco dei LXX con
il testo massoretico, si notano sensibili differenze. Potremmo parlare di una tradizione alessandrina, documentata dai LXX, e di una
tradizione gerosolimitana7. Ma il libro di Geremia, come del resto
ogni testo biblico, ha avuto una storia che è continuata nei secoli,
anche dopo la fissazione del canone della Bibbia ebraica, crescendo
e approfondendosi mediante l’ascolto, la lettura e la riflessione di
tante generazioni di lettori fino a parlare a ciascuno di noi nel nostro
oggi8.
Ma vi è un secondo aspetto che è fondamentale mettere in risalto.
La memoria della propria chiamata è suscitata in Geremia al
momento del processo sotto accusa di diserzione e di tradimento
(Ger 26 e 36) e quindi dalla prossimità della morte. In questo
momento drammatico è la memoria del proprio corpo come plasmato da Dio (non solo dalla madre) a diventare sorgente di fiducia: se
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infatti Dio lo “ha conosciuto” prima del formarsi del corpo, può
confidare e affidarsi totalmente al piano divino. “Quando fuori infuria la persecuzione, sorgono dentro i timori che schiavizzano e paralizzano, come quinta colonna del nemico. Il profeta deve superarli,
confidando nella promessa di Dio, che gli promette un’alleanza
infrangibile, e non una pace comoda. Se il profeta manca di questa
fiducia, sarà invaso da paure che si moltiplicano, come fosse Dio
stesso ad attizzarle. Un’alleanza di persone influenti si leverà contro il profeta indifeso: ciò sia ben chiaro, fin dal momento della
vocazione”9
Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti (v.8)
L’ostilità contro Geremia proviene da coloro che, nella comunità di
Israele, sono riconosciuti come autorità: il re, anzitutto, interprete
della sapienza tradizionale, e accanto a lui i sacerdoti, custodi dell’insegnamento e dell’interpretazione della
e della prassi cultuale. È comprensibile che in questa situazione il profeta esperimenti la paura di morire10. Ma è proprio in questa condizione debole e
indifesa che si rivela la verità della profezia.
Il profeta è chiamato a non lasciarsi vincere dalla paura. Il comando
di Dio individua nella paura di non essere ascoltato, di soffrire inutilmente affanno e angoscia, di mettere a rischio la propria vita, il
motivo che inibisce la parola, facendo cadere nel mutismo. Nella sua
promessa, Dio fa superare la paura radicale di chi è chiamato per la
reazione di coloro a cui si rivolge. La promessa è chiara e precisa:
essa annuncia la presenza e la vicinanza personale di Dio con l’espressione che troviamo con frequenza nella Bibbia: “Io sono con
te”. Queste parole per la loro stessa frequenza rischiano di essere
ascoltate con superficialità. Esse dovrebbero essere pronunciate ogni
volta in un clima di silenzio perché possano risuonare con la loro
forza inaudita e sconvolgente. Colui che ha per nome il semplice “Io
sono” si presenta come lo “Io sono con te”:
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7Ma
il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”.
Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò
e dirai tutto quello che io ti ordinerò.
8Non aver paura di fronte a loro,
perché io sono con te per proteggerti».
Oracolo del Signore.
9Il Signore stese la mano
e mi toccò la bocca,
e il Signore mi disse:
«Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca (Ger 1,7-9).
17Tu,
dunque, stringi la veste ai fianchi,
àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò;
non spaventarti di fronte a loro,
altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro.
18Ed ecco, oggi io faccio di te
come una città fortificata,
una colonna di ferro
e un muro di bronzo
contro tutto il paese,
contro i re di Giuda e i suoi capi,
contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
19Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno,
perché io sono con te per salvarti».
Oracolo del Signore (Ger 1,17-19).
La parte narrativa del libro di Geremia ha proprio lo scopo di illustrare il compimento della parola di Dio, della sua promessa collegata al momento della chiamata.
All’inizio del regno di Ioiakim [609-598] (Ger 26,1) Geremia è
arrestato e posto sotto processo con un’accusa assai grave e per di
più senza possibilità di difesa:
8Ora,
quando Geremia finì di riferire quanto il Signore gli aveva
comandato di dire a tutto il popolo, i sacerdoti, i profeti e tutto il
popolo lo arrestarono dicendo: «Devi morire! 9Perché hai predetto
nel nome del Signore: “Questo tempio diventerà come Silo e questa
città sarà devastata, disabitata”?» [...].
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11Allora
i sacerdoti e i profeti dissero ai capi e a tutto il popolo: «Una
condanna a morte merita quest’uomo, perché ha profetizzato contro
questa città, come avete udito con i vostri orecchi!» (Ger 26,8-9.11).
24Ma la mano di Achikàm, figlio di Safan, fu a favore di Geremia, per-
ché non lo consegnassero al popolo per metterlo a morte (Ger 26,24).
L’accusa rivolta contro Geremia si fonda sulle sue parole pronunciate
contro il tempio di Gerusalemme (anno 609, primo del regno di
Ioachim). Le parole con cui il profeta critica la fiducia “idolatrica”
degli abitanti della città in questo luogo sacro, che hanno trasformato
in un “covo di ladri”, sono conservate in due versioni. La prima (Ger
7) dà più importanza al contenuto, la seconda (Ger 26) alle circostanze. Il discorso sul tempio è uno dei momenti decisivi della missione
profetica di Geremia:
1All’inizio
del regno di Ioiakìm, figlio di Giosia, re di Giuda, fu rivolta a Geremia questa parola da parte del Signore: 2«Così dice il Signore:
Va’ nell’atrio del tempio del Signore e riferisci a tutte le città di Giuda
che vengono per adorare nel tempio del Signore tutte le parole che ti
ho comandato di annunciare loro; non tralasciare neppure una parola.
3Forse ti ascolteranno e ciascuno abbandonerà la propria condotta perversa; in tal caso mi pentirò di tutto il male che pensavo di fare loro per
la malvagità delle loro azioni. 4Tu dunque dirai loro: Dice il Signore:
Se non mi ascolterete, se non camminerete secondo la legge che ho
posto davanti a voi 5e se non ascolterete le parole dei profeti, miei
servi, che ho inviato a voi con assidua premura, ma che voi non avete
ascoltato, 6io ridurrò questo tempio come quello di Silo e farò di questa città una maledizione per tutti i popoli della terra» (Ger 26,1-6).
Qualche anno dopo Geremia spezza, per comando del Signore, una
“brocca di terracotta” pronunciando un oracolo profetico contro la
città e contro il tempio, un oracolo che provoca come reazione la
sua fustigazione e la sua cattura:
1Così
disse il Signore a Geremia: «Va’ a comprarti una brocca di terracotta; prendi con te alcuni anziani del popolo e alcuni sacerdoti,
2ed esci nella valle di Ben-Innòm… Là proclamerai le parole che io
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ti dirò. 3Riferirai: Ascoltate la parola del Signore, o re di Giuda e
abitanti di Gerusalemme. Così dice il Signore degli eserciti, Dio
d’Israele: Ecco, io manderò su questo luogo una sventura tale che
risuonerà negli orecchi di chiunque l’udrà, 4poiché hanno abbandonato me e hanno reso straniero questo luogo per sacrificarvi ad altri
dèi, che né essi né i loro padri né i re di Giuda conoscevano. Essi
hanno riempito questo luogo di sangue innocente; 5hanno costruito
le alture di Baal per bruciare nel fuoco i loro figli come olocausti a
Baal…
10Tu, poi, spezzerai la brocca sotto gli occhi degli uomini che saranno venuti con te 11e riferirai loro: Così dice il Signore degli eserciti: Spezzerò questo popolo e questa città, così come si spezza un
vaso di terracotta, che non si può più aggiustare… 12Così farò – oracolo del Signore – riguardo a questo luogo e ai suoi abitanti, rendendo questa città come Tofet….
14Quando Geremia tornò dal Tofet dove il Signore lo aveva mandato a profetizzare, si fermò nell’atrio del tempio del Signore e disse
a tutto il popolo: 15«Dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele:
Ecco, io manderò su questa città e su tutte le sue borgate tutto il
male che le ho preannunciato, perché essi si sono intestarditi, rifiutandosi di ascoltare le mie parole».
1Pascur, figlio di Immer, sacerdote e sovrintendente-capo del tempio del Signore, udì Geremia profetizzare queste cose. 2Pascur ordinò di fustigare il profeta Geremia e quindi lo fece mettere ai ceppi
nella prigione che si trovava presso la porta superiore di Beniamino,
nel tempio del Signore. 3Il giorno dopo, quando Pascur lo fece liberare dai ceppi, Geremia gli disse: «Il Signore non ti chiama più
Pascur, ma Terrore all’intorno (Ger 19,1-5.10-12.14-15; 20,1-3).
Nel quarto anno di Ioiakim [605] (Ger 36,1) Geremia non può
recarsi al tempio a proclamare il suo messaggio, forse perché ricercato dalla polizia del re o perché costretto a un domicilio coatto.
Egli allora detta a Baruc i suoi oracoli e costui li proclama a tutti gli
abitanti di Giuda. Il re, saputa la cosa, ordina di arrestare Baruc e
Geremia:
4Geremia
chiamò Baruc, figlio di Neria, e Baruc scrisse su un rotolo,
sotto dettatura di Geremia, tutte le cose che il Signore aveva detto a
71
quest’ultimo. 5Quindi Geremia ordinò a Baruc: «Io sono impedito e
non posso andare nel tempio del Signore. 6Andrai dunque tu nel tempio del Signore in un giorno di digiuno a leggere nel rotolo, che hai
scritto sotto la mia dettatura, le parole del Signore; le leggerai al popolo e a tutti quelli di Giuda che sono venuti dalle loro città (Ger 36,4-6).
21Allora il re mandò Iudì a prendere il rotolo. Iudì lo prese dalla
stanza di Elisamà, lo scriba, e lo lesse davanti al re e a tutti i capi
che stavano presso il re. 22Il re sedeva nel palazzo d’inverno – si era
al nono mese –, con un braciere acceso davanti. 23Ora, quando Iudì
aveva letto tre o quattro colonne, il re le lacerava con il temperino
da scriba e le gettava nel fuoco sul braciere, finché l’intero rotolo
non fu distrutto nel fuoco del braciere. 24Il re e tutti i suoi ministri
non tremarono né si strapparono le vesti all’udire tutte quelle parole. 25Eppure Elnatàn, Delaià e Ghemaria avevano supplicato il re di
non bruciare il rotolo, ma egli non diede loro ascolto. 26Anzi, ordinò a Ieracmeèl, un figlio del re, a Seraià, figlio di Azrièl, e a
Selemia, figlio di Abdeèl, di arrestare lo scriba Baruc e il profeta
Geremia, ma il Signore li aveva nascosti (Ger 36,21-26).
Al tempo di Sedecia [597-586] (Ger 37,1), in un momento di tregua
dell’assedio, Geremia esce da Gerusalemme “per andare nella terra
di Beniamino a prendervi una parte di eredità tra i suoi parenti”
(37,16). Fermato da una guardia, viene consegnato alle autorità
sotto accusa di diserzione e tradimento:
11Mentre
l’esercito dei Caldei era lontano da Gerusalemme per l’avanzata dell’esercito del faraone, 12Geremia uscì da Gerusalemme
per andare nella terra di Beniamino a prendervi una parte di eredità
tra i suoi parenti. 13Ma alla porta di Beniamino si imbatté in un incaricato del servizio di guardia chiamato Ieria, figlio di Selemia, figlio
di Anania; costui arrestò il profeta Geremia dicendo: «Tu passi ai
Caldei!». 14Geremia rispose: «È falso! Io non passo ai Caldei». Ma
quegli non gli diede retta. E così Ieria arrestò Geremia e lo condusse dai capi. 15I capi erano sdegnati contro Geremia, lo percossero e
lo gettarono in prigione nella casa di Giònata, lo scriba, che avevano trasformato in un carcere. 16Geremia entrò in una cisterna sotterranea a volta e rimase là molti giorni (Ger 37,11-16).
72
Il profeta sarebbe morto se il re stesso (Sedecia) non fosse intervenuto commutando la pena in una custodia nell’atrio del carcere e
stabilendo che gli venisse data ogni giorno una focaccia di pane:
21Il
re Sedecìa comandò di custodire Geremia nell’atrio della prigione e gli fu data ogni giorno una focaccia di pane, proveniente dalla
via dei fornai, finché non fu esaurito tutto il pane in città. Così
Geremia rimase nell’atrio della prigione (Ger 37,21).
Nel momento più critico dell’assedio di Gerusalemme, i capi capiscono che la parola di Geremia scoraggia i guerrieri, perché egli
ribadisce di continuo la necessità di arrendersi al re di Babilonia per
aver salva la vita. Essi ottengono dal re Sedecia che il profeta venga
messo a morte, ma ancora una volta un insperato intervento trae
Geremia dalla fossa della morte:
1Sefatia,
figlio di Mattàn, Godolia, figlio di Pascur, Iucal, figlio di
Selemia, e Pascur, figlio di Malchia, udirono le parole che Geremia
rivolgeva a tutto il popolo: 2«Così dice il Signore: Chi rimane in
questa città morirà di spada, di fame e di peste; chi si consegnerà ai
Caldei vivrà e gli sarà lasciata la vita come bottino e vivrà. 3Così
dice il Signore: Certo questa città sarà data in mano all’esercito del
re di Babilonia, che la prenderà».
4I capi allora dissero al re: «Si metta a morte quest’uomo, appunto
perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e
scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». 5Il re
Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha
poteri contro di voi». 6Essi allora presero Geremia e lo gettarono
nella cisterna di Malchia, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremia con corde. Nella cisterna non
c’era acqua ma fango, e così Geremia affondò nel fango.
7Ebed-Mèlec, l’Etiope, un eunuco che era nella reggia, sentì che
Geremia era stato messo nella cisterna. Ora, mentre il re stava alla
porta di Beniamino, 8Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: 9«O
re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto
hanno fatto al profeta Geremia, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». 10Allora il
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re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre
uomini di qui e tira su il profeta Geremia dalla cisterna prima che
muoia». 11Ebed-Mèlec prese con sé gli uomini, andò nella reggia,
nel guardaroba del magazzino e, presi di là pezzi di vestiti logori, li
gettò a Geremia nella cisterna con delle corde. 12Ebed-Mèlec,
l’Etiope, disse a Geremia: «Su, mettiti questi pezzi di vestiti logori
sotto le ascelle e poi, sotto, metti le corde». Geremia fece così.
13Allora lo tirarono su con le corde, facendolo uscire dalla cisterna,
e Geremia rimase nell’atrio della prigione (Ger 38,1-13).
Questi esempi ci mostrano l’efficacia della salvezza che Dio offre al
suo profeta. In particolare, l’immagine di un uomo che risale dalla
fossa della morte è il segno per eccellenza della presenza e dell’azione di Dio nella storia e dell’autenticità della profezia di Geremia.
“Questo «scampare», non per mezzo della fuga, né per mezzo di
accorgimenti dettati dalla prudenza, è infatti, in primo luogo, il
sigillo di Dio sulla parola e sull’opera del profeta: mentre i falsi predicatori muoiono a causa di un’ingannevole speranza (Ger 28,1617; 29,21-23), il vero inviato di Dio non è abbandonato a un destino luttuoso (Sal 16,10: «Non lascerai che il tuo santo veda la corruzione»). In secondo luogo - e ciò è ancor più significativo - l’intera
vicenda di questo corpo vivente è profezia vera, annuncio cioè e
realizzazione figurata della sorte dell’intero popolo di Israele, e di
più, del destino di ogni carne e dell’intera umanità”11.
È tutta la storia di Israele ad attestare che colui che pone la sua speranza in JHWH passa attraverso il mare, è liberato dalla bocca del
leone, è tratto fuori dalla fossa della morte.
Nel racconto della vocazione, il corpo fragile di Geremia, inerme di
fronte alla fame e nel fango della cisterna, è trasformato da Dio in una
città circondata da mura che la rendono inespugnabile, in una colonna
di ferro e in un muro di bronzo contro cui nessuno potrà prevalere (Ger
1,18):
18Ed
ecco, oggi io faccio di te
come una città fortificata,
una colonna di ferro
e un muro di bronzo
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contro tutto il paese,
contro i re di Giuda e i suoi capi,
contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
Il corpo di Geremia diventa così una “figura”: è il simbolo di una
debolezza attraverso cui passa l’unica vera potenza di Dio, una potenza che contesta tutti i sogni deliranti di onnipotenza partoriti dalla
mente dell’uomo, di una resistenza, di un tener duro che non trova nessuna spiegazione e nessuna speranza nei propri progetti, anzi che spesso pone il profeta in conflitto con se stesso o addirittura in conflitto con
Dio (cf le cosiddette “confessioni” di Geremia), di una libertà coraggiosa  che solo il radicale affidamento della fede rende
possibile. È questa stessa resistenza che, nonostante la tragedia di
Gerusalemme e la fine oscura di Geremia in Egitto, spiega il sopravvivere dei testi profetici conservati dalla memoria dei discepoli.
A conclusione del suo libro stimolante Henry Mottu dedica un
paragrafo a “Bonhoeffer e Geremia 45”12. Nelle Lettere dal carcere Geremia 45 è “il testo biblico più frequentemente citato” (cinque volte)13. “Geremia 45 diventa il passo chiave per definire non
solo quel che è la fede, ebraica e cristiana, ma quel che è l’esistenza umana nella sua più viva esistenzialità”14.
1Questa
è la parola che il profeta Geremia comunicò a Baruc, figlio di
Neria, quando egli scriveva queste parole in un libro sotto la dettatura
di Geremia nel quarto anno di Ioiakìm, figlio di Giosia, re di Giuda:
2«Dice il Signore, Dio d’Israele, su di te, Baruc: 3Tu hai detto: “Guai a
me, poiché il Signore aggiunge tristezza al mio dolore. Io sono stanco
dei miei gemiti e non trovo pace”. 4Dice il Signore: Ecco io abbatto ciò
che ho edificato e sradico ciò che ho piantato; così per tutta la terra. 5E
tu vai cercando grandi cose per te? Non cercarle, poiché io manderò la
sventura su ogni uomo. Oracolo del Signore. A te farò dono della tua
vita come bottino [], in tutti i luoghi dove tu andrai» (Ger 45).
75
“Bisogna vivere senza
(finalità), senza ricompense di tipo religioso, sopravvivere senza essere sicuri del risultato, affrontare la
morte. Più ancora, Geremia 45 (che Bonhoeffer sembra considerare
come una parola rivolta non a Baruc, ma al profeta - quindi la sua ultima «confessione») lo mette rapidamente sulla via di una nuova comprensione dell’azione di Dio nel mondo, in cui Dio diventa essenzialmente páthos, sofferenza e combattimento, agonia e lotta per un
mondo che non sarà più preda del gioco terrificante delle «potenze»“15.
“Il senso religioso dell’uomo lo indirizza, nel bisogno, alla potenza di
Dio nel mondo, Dio è il Deus ex machina. La Bibbia indirizza gli
uomini all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio che soffre
può venire in aiuto”16.
“Bonhoeffer non ha mai assunto l’atteggiamento della vittima. Al contrario, come il profeta di Anatòt, ha portato il peso del peccato del suo
popolo, e lo ha portato fino alla fine. Ma, conformemente a questa
linea ebraica del pensiero teologico, ha atteso il tempo di Dio, tempo
in cui la vita ritornerà ad essere possibile, giusta e sopportabile. [...]
Medita precisamente sull’acquisto del campo e ne trae un atteggiamento fondamentale che non è fatto né di sogni nostalgici, né di rassegnazione, ma che raggiunge «la strada stretta e talvolta quasi introvabile di colui che riceve ognuno dei suoi giorni come l’ultimo e che,
per la sua fede e per la sua responsabilità, nonostante tutto, vive come
se avesse un lungo avvenire»17. E Bonhoeffer cita Ger 32,15: «Nel
paese si compreranno ancora case, campi e vigne...». Per il suo popolo e per se stesso non ha sperato la morte, ma la sopravvivenza dopo
la tragedia. Ora, né per l’impiccato di Flossenbürg, né per il lapidato
di Dafne c’è stato un Dio-miracolo che abbia ritirato in extremis il suo
credente dalla fossa comune18. Al contrario, accanto ai congiurati
Bonhoeffer non è sfuggito al supplizio. Ma ha vissuto fino alla fine la
16
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risurrezione nella morte, la speranza nel seno stesso della disperazione, l’avvenire in un presente chiuso”19.
Non deve stupirci il fatto che l’esistenza di Geremia, ma il discorso
vale per tutta la tradizione profetica e per i Salmi 20, sia stata per la
prima comunità cristiana un riferimento fondamentale per interpretare l’evento di Gesù, come profeta, osteggiato dai capi religiosi del
suo tempo, accusato, portato in giudizio, condannato alla morte in
croce e risorto. Il tema dei profeti respinti e assassinati è presente
nella Bibbia ebraica e in alcuni apocrifi giudaici, per esempio le Vite
dei Profeti e l’Ascensione di Isaia 21. È una tradizione di cui si trovano tracce anche nei testi del Nuovo Testamento, per esempio in
Mt 23,29-38 (cf Lc 13,34-35):
29Guai
a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti
e adornate i sepolcri dei giusti, 30 e dite: “Se fossimo vissuti al tempo
dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue
dei profeti”. 31Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi
uccise i profeti. 32Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri.
33Serpenti, razza di vipere, come potrete sfuggire alla condanna della
Geènna?
34Perciò ecco, io mando a voi profeti, sapienti e scribi: di questi, alcuni li ucciderete e crocifiggerete, altri li flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35perché ricada su di voi tutto
il sangue innocente versato sulla terra, dal sangue di Abele il giusto
fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete ucciso tra il
santuario e l’altare. 36In verità io vi dico: tutte queste cose ricadranno
su questa generazione.
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37Gerusalemme,
Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i
tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e
voi non avete voluto! 38Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta!
È “la profezia di Israele nel suo insieme che annuncia il mistero del
Cristo; e non tanto predicendo alcuni particolari della sua esistenza
storica, quanto piuttosto annunciando figurativamente l’intero senso
della sua vita. Ci auguriamo che il lettore abbia potuto intravedere,
nel nostro discorso, come l’essere generato (da Dio) e l’essere salvato (dalla morte) trovi pieno compimento nel Signore Gesù”22.
Il profeta è l’incarnazione di Dio nel mondo, è il luogo privilegiato
del suo rivelarsi: in questa fedeltà del profeta fino alla morte, Dio si
dona alla storia come pane spezzato per essere condiviso, chiedendo di essere riconosciuto come il Dio della vita, come colui che
salva non dalla morte, ma nella morte.
Non osiamo noi del resto chiamarci discepoli di Gesù, il crocifisso
che Dio ha fatto risorgere dai morti?
8Ricòrdati
di Gesù Cristo,
risorto dai morti,
discendente di Davide,
come io annuncio nel mio Vangelo,
9per il quale soffro
fino a portare le catene come un malfattore (2Tm 2,8-9).
La fede di Gesù si è nutrita in modo particolare delle esperienze profetiche attestate nelle Scritture. Come Elia ha conosciuto la tentazione
di un messianismo fatto di gesti sensazionali di potenza (cf in particolare l’esperienza del Carmelo:1Re 18), ma a differenza di Elia, che ha
camminato su questa strada fino all’esperienza dell’Horeb, l’ha rifiutata fino dall’inizio della sua missione (Lc 4,1-11). Come Elia ha
conosciuto l’ostilità e la persecuzione (Lc 4,28-30; 13,31-35), come ad
Elia, nel momento della lotta per accettare il disegno del Padre, Dio gli
ha inviato un angelo dal cielo per confortarlo (Lc 22, 41-44)23:
78
23Ma
egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a
Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In
verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.
25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo
di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una
grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato
Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu
purificato, se non Naamàn, il Siro».
28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.
29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul
ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù.
30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino (Lc 4,23-30).
31In
quel momento si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: «Parti e
vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere». 32Egli rispose
loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e
compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è
compiuta. 33Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta
muoia fuori di Gerusalemme”.
34Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i
tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non
avete voluto! 35Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico
infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte:
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» (Lc 13,31-35).
39Uscì
e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. 40Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non
entrare in tentazione». 41Poi si allontanò da loro circa un tiro di
sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: 42«Padre, se vuoi,
allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la
tua volontà». 43Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. 44Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore
diventò come gocce di sangue che cadono a terra. 45Poi, rialzatosi
dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la
79
tristezza. 46E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per
non entrare in tentazione» (Lc 22,39-46).
Il pane della Parola spezzato dai profeti non può essere che una
parola che contesta il presente. Potremmo dire che il profeta irrompe con coraggio e con libertà in una tradizione vivente. Nelle grandi feste liturgiche Israele manifesta la sua vocazione di popolo che
vive consegnandosi alla memoria di ciò che Dio ha fatto per lui. Ciò
avviene anche nelle case dove il padre racconta ai figli, tramandandolo di generazione in generazione, il memoriale di ciò che il Dio
dell’alleanza ha compiuto nella storia del suo popolo (Dt 6,20-25).
Anche le prime comunità cristiane raccontano le parole e i gesti di
Gesù, soprattutto raccontano che Dio ha fatto risorgere Gesù dai
morti celebrando l’evento della sua Pasqua nel memoriale eucaristico.
La parola del profeta entra con forza in questa tradizione vivente
non per offrire una parola che reca nuovi contenuti alla fede tradizionale, ma per annunciare che cosa questa parola significhi per il
presente, quali scelte di radicale autocritica esiga, a quale speranza
chiami. Ciò non può avvenire che facendo emergere i compromessi, le contraddizioni, i tradimenti in cui sono coinvolti i capi e il
popolo e proclamando con coraggio che essi richiedono una urgente e coraggiosa presa di posizione, una conversione decisa che faccia uscire da questa situazione.
La sua azione non può non scuotere le tradizioni consolidate di forme
religiose idolatriche che riducono ad un idolo il Dio vivente dell’alleanza e trasformano la comunità, che dovrebbe essere caratterizzata
dalla fraternità, in una giungla selvaggia in cui i responsabili religiosi e civili difendono i loro privilegi creando una situazione di ingiustizia sociale di cui sono vittime i più poveri e i più deboli.
Questo comportamento del profeta non può non causargli ostilità,
minacce e persecuzioni da parte dei potenti responsabili che sono la
causa principale di questa situazione. Così capita ad Amos nella lussuosa capitale del regno israelitico del nord. E così capita a Geremia
che contesta la parola rassicurante dei falsi profeti che continuano a
ripetere che tutto va bene perché il popolo frequenta il tempio ed è
fedele ai riti, non accorgendosi che in realtà hanno pietrificato la
Parola di Dio e i riti in cui essa è annunciata, riducendo l’una e gli
80
altri a formule immutabilmente ripetute e a gesti che non hanno più
un significato per la vita di ogni giorno24.
La denuncia e la contestazione profetica è rivolta a Israele ma anche
alle nazioni (cfr. la presenza nei libri profeti di oracoli rivolti alle
nazioni).
In Israele l’esperienza profetica era impersonata soprattutto in alcune figure che emergevano di fronte al popolo a cui era destinata la
loro parola, anche se non è assente una dimensione comunitaria della
profezia (la figura del servo del Signore non è anzitutto, almeno nei
primi tre canti, una figura profetica che rappresenta tutto Israele?).
Il Risorto effonde invece il suo Spirito su tutti i suoi discepoli. La
profezia nel tempo della chiesa diventa una manifestazione comunitaria anche se non mancano le personalità profetiche (Giovanni,
autore dell’Apocalisse, non si definisce forse “profeta”?):
14Allora
Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a
loro così: «Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi
sia noto questo e fate attenzione alle mie parole. 15Questi uomini non
sono ubriachi, come voi supponete: sono infatti le nove del mattino;
16accade invece quello che fu detto per mezzo del profeta Gioele:
17Avverrà:
negli ultimi giorni – dice Dio –
su tutti effonderò il mio Spirito;
i vostri figli e le vostre figlie profeteranno,
i vostri giovani avranno visioni
e i vostri anziani faranno sogni.
18E anche sui miei servi e sulle mie serve
in quei giorni effonderò il mio Spirito
ed essi profeteranno.
19Farò prodigi lassù nel cielo
e segni quaggiù sulla terra,
sangue, fuoco e nuvole di fumo.
20Il sole si muterà in tenebra
e la luna in sangue,
81
prima che giunga il giorno del Signore,
giorno grande e glorioso.
21E avverrà:
chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.
22Uomini
d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo
accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e
segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete
bene –, 23consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete
ucciso. 24Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della
morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere.
32Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni.
33Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre
lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire (At 2,14-24.32-33).
Paolo insiste nel sottolineare che lo Spirito distribuisce la diversità
dei suoi doni ad ogni discepolo:
4Vi
sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi
ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno
solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune…(1Cor 12,4-7).
La profezia della Chiesa e nella Chiesa trova in Paolo il suo statuto
fondamentale:
3Perciò
io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito
di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire: «Gesù è
Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. (1Cor 12,3).
La confessione di fede “Gesù è il Signore” proclama che egli è il
solo Signore della chiesa che è così liberata da tutti i signori mondani. Nessuno in essa può erigersi sull’altro con pretese padronali.
L’inno cristologico della lettera ai Filippesi (2,5-11) presenta i criteri di contestazione e di critica della Chiesa nei confronti del mondo:
82
9Per
questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
10perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
11e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre (Fil 2,9-11).
Ma questa prospettiva cristologica esclude anche che la Chiesa
possa vantare pretese di signoria, sia pure di carattere religioso, nei
confronti del mondo.
In questo senso la profezia nella Chiesa e della Chiesa ha una funzione liberante da ogni tentazione idolatrica e da ogni potere faraonico che si autodivinizzi.
“La Chiesa si definisce come corpo di Cristo; essa dice di essere
innestata in lui, configurata al suo mistero; la sua vocazione non può
essere allora che quella del Figlio che muore e risorge. Una morte da
vivere nella fede e nell’amore, una morte che è fiducia e speranza:
questa ci pare la «comune» vocazione profetica con la quale Dio
continua a parlare e agire nel mondo per salvare tutti”25.
«Sopravvivere»
Signore,
abbiamo udito i gemiti della creazione:
amarezza e collera.
impotenza e disperazione,
frustrazione e dolore.
Ondate di sofferenza ci hanno sommerso.
Dio è assente dal mondo?
Ha abbandonato i semplici e gli umili?
Siamo lasciati a noi stessi
per lottare contro le potenze dell’avidità e della spada,
a mani nude e con le nostre parole impotenti?
83
Ma come possiamo essere salvati senza speranza?
Signore,
aiutaci a vedere nei gemiti della creazione
non l’angoscia della morte, ma i dolori del parto;
aiutaci a vedere che la sofferenza è l’inizio dell’avvenire,
poiché è il grido lanciato contro l’inumanità di oggi;
aiutaci ad ascoltarla come una sinfonia di gemiti diretta dallo
Spirito Santo;
aiutaci a presentire nella protesta l’inizio della giustizia,
nella croce la via verso la risurrezione,
e nella sofferenza il seme della gioia.
Signore,
in questa visione abbiamo trovato la salvezza;
è in speranza che siamo salvati:
salvati dalla disperazione,
salvati dalla paralisi,
salvati per l’obbedienza,
salvati per la pazienza,
salvati per la gioia, anche nella prigionia.
Alleluia,
lodato sii tu
per la libertà che dai nell’amore,
per la tua potenza nell’impotenza.
La tua salvezza ci stupisce,
l’abbiamo scoperta in luoghi inattesi e in forme impreviste.
Salvaci dall’orgoglio di avere il monopolio del tuo potere
e dalla vana pretesa d’imprigionare la tua libertà.
Salvaci perché possiamo essere sorpresi
e dacci la gioiosa libertà di seguirti come tu lo desideri26.
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