Testo - DidaSfera

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Testo - DidaSfera
IN VIAGGIO VERSO CASA
Eric-Emmanuel Schmitt
Cultura sufi
Testo
In viaggio verso casa
… è arrivata l’estate e il viaggio è cominciato.
Migliaia di chilometri. Traversavamo tutta l’Europa verso sud. Finestrini aperti, andavamo in Medio Oriente. Era
fantastico scoprire come tutto diventava interessante viaggiando con monsieur Ibrahim. Siccome io ero
incollato al volante1 e mi concentravo sulla strada, lui mi descriveva i paesaggi, il cielo, le nuvole, i villaggi, gli
abitanti. Le chiacchiere di monsieur Ibrahim, la sua voce fragile come carta velina, quell’accento speziato,
quelle immagini, quelle esclamazioni, quelle ingenuità seguite dalle battute più diaboliche: questa è per me la
strada che conduce da Parigi a Istanbul. L’Europa non l’ho vista, io, l’ho sentita.
“O-oh, Momo, siamo tra i ricchi: guarda ci sono dei cassonetti”.
“E allora?”.
“Quando vuoi sapere se il posto dove ti trovi è ricco o povero, guarda la spazzatura. Se non vedi immondizia né
pattumiere, vuol dire che è molto ricco. Se vedi pattumiere, ma non immondizia, è ricco. Se l’immondizia è
accanto alle pattumiere, non è né ricco né povero: è turistico. Se vedi l’immondizia e non le pattumiere, è
povero. E se c’è la gente che abita in mezzo ai rifiuti, vuol dire che è molto, molto povero. Qui sono ricchi.”
“Beh! Siamo in Svizzera!”.
“No, non l’autostrada, Momo, non prendiamo l’autostrada. Le autostrade, ci passi e basta, non c’è niente da
vedere. Sono buone per gli imbecilli che vogliono andare il più velocemente possibile da un punto all’altro. Noi
non facciamo della geometria, noi viaggiamo. Trovami dei bei percorsi che ci facciano vedere bene tutto quello
che c’è da vedere.”.
“Si vede che non è lei a guidare, monsieur Ibrahim!”.
“Ascolta, Momo. Se ti va di non vedere niente, prendi l’aereo come tutti.”
“Qui è povero, monsieur Ibrahim?”.
“Sì, siamo in Albania”.
“E qui?”.
“Ferma la macchina. Lo senti? C’è odore di felicità, è la Grecia. Le persone se ne stanno immobili, si concedono
il tempo di guardarci passare, respirano. Vedi, Momo, nella mia vita avrò anche lavorato molto, ma ho lavorato
lentamente, prendendomi il mio tempo, senza dannarmi l’anima per incassare di più o accaparrarmi i clienti,
no. Il segreto della felicità è la lentezza, proprio così. Tu che vuoi fare da grande?”.
“Non lo so, monsieur Ibrahim. Anzi sì, mi occuperò di import-export2.”
“Import-export?”.
Stavolta avevo fatto centro, avevo trovato la parola magica. Import-export. Monsieur Ibrahim se ne riempiva la
bocca, era una parola seria e al tempo stessa avventurosa, una parola che faceva pensare ai viaggi, alle navi, ai
carichi, ad affari a parecchi seri, una parola che pesava quanto le sillabe che faceva rotolare: import export!
“le presento mio figlio Momo. Un giorno si occuperà d’import-export”.
Facevamo un sacco di giochi. Mi conduceva nei luoghi di culto con una benda sugli occhi perché indovinasse la
religione dall’odore.
“Qua c’è odore di ceri, è cattolico.”
“Sì, è Sant’Antonio.”
“Qui c’è odore di incenso, è ortodosso3.”
“È vero, è Santa Sofia.”
“E qua c’è puzza di piedi, dev’essere musulmano4. Bleah, c’è un fetore …”.
“Cosa?! Ma è la Moschea Blu! Non ti piace un posto che odora di corpi umani? A te non puzzano mai i piedi? Ti
disgusta un luogo di preghiera che odora di uomo, che è fatto per gli uomini, con gli uomini dentro? Hai proprio
delle idee parigine, tu! A me, questo profumo di pantofole mi rassicura. Mi fa pensare che non valgo più dei
miei simili. Mi sento col naso, sento noi col naso, e quindi mi sento già meglio!”.
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incollato al volante: Momo è troppo giovane per guidare, ma monsieur Ibrahim è anziano e gli ha ceduto la guida.
import-export: commerciare con i paesi stranieri, vendendo o acquistando merce dall’estero.
3
odore di incenso, è ortodosso: l’incenso è una resina che diffonde un intenso profumo mentre brucia; è molto usata dalle
chiese ortodosse, vale a dire le chiese cristiane orientali.
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C’è puzza di piedi, dev’essere musulmano: l’autore fa riferimento all’usanza di togliersi le scarpe prima di entrare in una
moschea, luogo di culto dei musulmani.
2
Da Istanbul in poi, monsieur Ibrahim ha parlato meno. Era commosso.
“Presto arriveremo al mare da dove vengo io.”
Ogni giorno voleva che procedessimo un po’ più piano. Voleva assaporare il viaggio. E aveva anche paura.
“Dov’è questo mare da dove viene lei, monsieur Ibrahim? Me lo faccia vedere sulla carta.”
“Uffa, non mi scocciare con le tue carte, Momo. Non siamo a scuola, qui!”.
In un villaggio di montagna ci siamo fermati.
Sono felice, Momo. Ci sei tu e so cosa c’è nel mio Corano5. Ora ti voglio portare a ballare.”
“Ballare, monsieur Ibrahim?”.
“Dobbiamo. Assolutamente. Il cuore dell’uomo è come un uccello rinchiuso nella gabbia del corpo. Quando
danzi, il cuore canta come un uccello che aspira a fondersi con Dio. Vieni, andiamo al tekké”.
“Al che?”.
*
“Curiosa, questa discoteca!” ho detto varcando la soglia.
“IL tekké non è una discoteca, è un monastero. Togliti le scarpe.”
Lì, per la prima volta, ho visto gli uomini che giravano. I dervisci6 indossavano ampi vestiti chiari, pesanti e
morbidi. Un tamburo cominciava a suonare. Allora i monaci si trasformavano in trottole7.
“Vedi Momo, girano su sé stessi, girano intorno al loro cuore, che è il luogo della presenza di Dio. È come una
preghiera.”
“La chiama una preghiera, questa?”.
“Altroché, Momo! Perdono tutti i punti di riferimento terrestri, perdono quella pesantezza che noi chiamiamo
equilibrio, diventano fiaccole che si consumano in un grande fuoco. Prova, Momo, prova. Seguimi.”
Così, io e monsieur Ibrahim, ci siamo messi a girare.
Durante i primi giri mi dicevo: Sono felice con monsieur Ibrahim. Poi mi dicevo: Non ce l’ho più con mio padre
perché è andato via. Alla fine, addirittura pensavo: Dopo tutto, mia madre proprio non aveva scelta quando …8.
“Allora, Momo, hai sentito belle cose?”.
“Sì, era fantastico. L’odio colava via un po’ per volta. Se i tamburi non avessero smesso, forse avrei affrontato la
questione di mia madre. Era proprio piacevole pregare, monsieur Ibrahim, anche se avrei preferito tenermi
addosso le scarpe da ginnastica. Più il corpo diventa pesante, più lo spirito diventa leggero. “
Dopo quella volta ci fermavamo spesso a danzare nei tekké che conosceva monsieur Ibrahim. Certe volte lui
non girava, si accontentava di prender un tè socchiudendo gli occhi. In compenso io giravo come un invasato.
Cioè, in realtà giravo per diventare meno invasato.
La sera, nelle pizza dei villaggi, cercavo di attaccare discorso con le ragazze. Mi davo parecchio da fare ma non
andava tanto bene, mentre monsieur Ibrahim, che non faceva altro che bere la sua anisette9 sorridendo con
aria dolce e serena, ecco, lui nel giro di un’ora si ritrovava sempre circondato da un sacco di gente.
“Ti agiti troppo, Momo. Se vuoi farti degli amici non ti devi agitare.”
“Monsieur Ibrahim, lei trova che io sia bello?”.
“sei molto bello, Momo.”
“No, non volevo dire questo. Crede che diventerò abbastanza bello da piacere alle ragazze … senza pagare?”.
“Tra qualche anno saranno loro a pagare per te!”.
“Sarà … ma per il momento … il mercato è fermo …”
“Certo che è fermo, Momo, con l’atteggiamento che hai … Ti metti a fissarle come se volessi dire: <Visto come
sono bello? >. Per forza loro ridono. Devi guardarle con l’aria di dire: <Non ho mai visto nessuna più bella di
Corano: testo sacro dell’Islam.
dervisci: discepoli del Sufismo, movimento dell’Islam; i Sufi rifiutano i piaceri del mondo e vivono in povertà per
raggiungere una elevata spiritualità.
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trottole: i Sufi pregano mentre girano velocemente su sé stessi da destra a sinistra, in un’ampia e frenetica danza.
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Non ce l’ho più …. non aveva scelta quando:Momo è stato abbandonato dalla mamma, da piccolo, e poi dal padre.
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anisette: l’anisetta, nel testo in francese anisette, è un liquore a base di anice verde, una pianta i cui semi hanno il sapore
del finocchio con un retrogusto di menta.
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te.> Per un uomo normale, intendo dire un uomo come me e te, non Alain Delon o Marlon Brando, la tua
bellezza è la bellezza che vedi nella donna.”
Guardavamo il sole scivolare fra le montagne e il cielo che diventava viola. Papà fissava la stella della sera.
“Di fronte a noi è stata messa una scala per evadere, Momo. L’uomo è stato prima minerale, poi vegetale, poi
animale, - lo stato animale, in particolare non riesce a dimenticarlo, spesso ha la tendenza a tornarci -, poi è
diventato uomo dotato di conoscenza, di ragione e di fede. Riesci a immaginare il cammino che hai percorso
dalla polvere a oggi? E dopo, quando vari oltrepassato la tua condizione di uomo, diventerai un angelo. Non
avrai più a che fare con la terra. Quando danzi ne hai un presentimento. “
“Mmm … sì. Io, comunque, non mi ricordo di niente. Lei ricorda di essere stato una pianta, monsieur Ibrahim?”.
“E cosa credi che faccia, io, quando resto immobile per ore sul mio panchetto, in drogheria?”.
Poi è arrivato il famoso giorno in cui monsieur Ibrahim mi ha annunciato che stavamo per arrivare al mare
dov’era nato e incontrare il suo amico Abdullah. Era tutto agitato, sembrava un ragazzino. Decise di andarci
prima da solo, in ricognizione, e mi chiese di aspettarlo sotto un ulivo.
Era l’ora della siesta10. Io mi sono appoggiato all’albero e subito addormentato.
Quando mi sono svegliato, si era già fatta sera. Ho aspettato monsieur Ibrahim fino a mezzanotte.
Poi ho camminato fino al primo villaggio.
Quando sono arrivato alla piazza, tutti si sono precipitati verso di me. Non capivo quello che mi dicevano, ma
parlavano concitati e avevano l’aria di conoscermi bene. Mi portarono in una grande casa. Prima mi fecero
attraversare una lunga sala dove parecchie donne gemevano accovacciate. Poi fu portato davanti a monsieur
Ibrahim.
Era disteso, coperto di ferite, di lividi, di sangue. La macchina si era schiantata contro un muro.
Sembrava molto debole.
Mi sono buttato su di lui. Lui ha riaperto gli occhi e ha sorriso.
“Il viaggio finisce qua, Momo.”
“Ma no, non ci siamo ancora arrivati al mare dove è nato.”
“Sì, io ci arrivo. Tutti i rami del fiume si gettano nello stesso mare. L’unico mare.”
A quel punto non sono riuscito a trattenermi, sono scoppiato a piangere.
“Così non va bene, Momo.”
“Ho paura per lei, monsieur Ibrahim.”
“Ma io non ho paura,, Momo. So quello che c’è nel mio Corano.”
Questa è una frase che avrebbe fatto meglio a non dire, mi richiamava troppi bei ricordi, e mi sono messo a
singhiozzare ancora di più.
“Momo, tu stai piangendo per te stesso, non per me. Io ho vissuto bene. Ho vissuto tanto. Ho avuto una
moglie, che è morta molto tempo fa ma che amo ancora allo stesso modo. Ho avuto il mio amico Abdullah, che
saluterai per me. La mia piccola drogheria andava bene. Rue Bleue è una bella via, anche se non è blu11. E poi ci
sei stato tu.”
Per fargli piacere ho inghiottito tutte le mie lacrime, ho fatto uno sforzo, e zac! un sorriso. Lui era contento. Era
come se soffrisse di meno.
E zac! un sorriso.
Lui chiuse lentamente gli occhi.
“Monsieur Ibrahim!”.
“Sssh … non essere triste. Non sto morendo, Momo, sto andando a raggiungere l’immenso.”
Ecco.
Dopo, sono rimasto lì un po’ di tempo. Abbiamo parlato molto di papà, con il suo amico Abdullah. Abbiamo
anche girato parecchio.
E così, ancora oggi, quando le cose non vanno per il verso giusto, io giro.
Punto una mano verso il cielo, e giro. Punto una mano verso il suolo, e giro. Il cielo ruota sopra di me. La terra
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siesta: è una parola spagnola, che indica un breve sonnellino fatto nel primo pomeriggio, spesso dopo pranzo.
Rue Bleue è una bella via, anche se non è blu: è un gioco di parole, perché Rue Bleue, in francese, significa Via blu.
ruota sotto di me. Non sono più io, ma uno di quegli atomi che girano intorno al vuoto che è tutto.
Come diceva monsieur Ibrahim:
“La tua intelligenza è nella tua caviglia, e la tua caviglia ha una maniera di pensare molto profonda.”