La funzione del giudice nel crescente processo di osmosi fra

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La funzione del giudice nel crescente processo di osmosi fra
La funzione del giudice nel crescente processo di osmosi fra ordinamenti
(Eleonora Ceccherini, Università degli studi di Genova)
Sommario: 1. La circolazione delle esperienze costituzionali: fra modelli consolidati ed
elementi di novità. 2. Rapporti fra potere giudiziario e legislativo nel costituzionalismo attuale.
3. Il giudice fra ordinamento interno e fonti extra ordinem. 3.1 L’influenza dell’ordinamento
internazionale sulla domestic jurisdiction. 3.2 L’utilizzo dei precedenti stranieri da parte degli
organi giurisdizionali.4. L’introduzione negli ordinamenti nazionali di regole non giuridiche. 5.
Riflessioni conclusive.
1. La circolazione delle esperienze costituzionali: fra modelli consolidati ed elementi
di novità
Gli ordinamenti giuridici non si sono mai configurati come delle monadi ma sono nati
e sviluppati grazie a influenze reciproche.
Nel passato tali commistioni si erano realizzate attraverso processi di circolazione di
conoscenze maturate in ambiti culturali e ideologici ben precisi, che poi avevano
trovato espresso accoglimento in documenti solenni.
Agli albori del
costituzionalismo emergono palesemente le connessioni fra le dichiarazioni dei diritti
francesi e statunitensi. La formulazione dell’art. 1 della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino: “les hommes naissent et demeurent libres et egaux en
droits…”, è tributaria degli enunciati delle Dichiarazioni della Virginia (29 giugno
1776) e della Pennsylvania (28 settembre 1776), che proclamavano che tutti gli
uomini sono nati egualmente liberi ed eguali1. I rivoluzionari francesi, infatti,
conoscevano i testi delle Dichiarazioni americane, tant’è che un deputato, il 18
agosto 1789, esortò i suoi colleghi a non dimostrare un atteggiamento passivo rispetto
gli esiti realizzatisi oltre atlantico e sottolineò che “ne doit pas suivre servilmente et
se bornerà l’exemple des États-Unis“.
Analogamente, i Padri fondatori statunitensi conoscevano le esperienze costituzionali
straniere: nel Federalist, i riferimenti all’ordinamento spagnolo sono ben otto e a
quello olandese sei.
In seguito, un esempio rilevante di circolazione è costituito dalla diffusione del
codice civile francese, approdato in molti paesi europei a seguito delle campagne
napoleoniche. A testimonianza dell’importanza dei conflitti bellici anche nel più
recente passato, si può annoverare l’influenza delle potenze alleate, dopo la seconda
guerra mondiale, sulle scelte costituzionali di paesi come Giappone e Germania;
come, più recentemente, altrettanto di rilievo sono stati gli influssi di Stati occidentali
sulla determinazione di assetti ordinamentali di paesi come la Bosnia-Herzegovina, la
Namibia, Cambogia o Timor Est2.
1
Mentre la Dichiarazione dei diritti del Massachuttes (2 marzo 1780) risentiva profondamente della
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese, recitando che tutti gli uomini sono nati
liberi ed eguali.
2
Si fa espresso riferimento al cosiddetto fenomeno delle Costituzioni eterodirette in cui l’esercizio
del potere costituente non si configura come un processo endogeno a carattere nazionale ma in gran
parte plasmato dall’intervento di paesi stranieri oppure di organizzazioni internazionali: G. De
Gli ordinamenti costituzionali interni vengono a essere plasmati non solo da
quelli nazionali sotto molteplici forme ma anche da quello internazionale che fa
venire meno l’assioma per il quale il diritto costituzionale è il prodotto di una propria
specifica comunità politica, quindi un fenomeno essenzialmente nazionale e perciò
non esportabile. Le fonti internazionali, infatti, possono costituire un importante
strumento di influenza sui costituenti (o i legislatori) nazionali soprattutto se i
contenuti normativi risultano condivisi a livello generale.
Il caso canadese costituisce un’esemplificazione di quanto affermato, in quanto
l’ordinamento internazionale ha promosso significativamente il processo di
codificazione dei diritti perfezionato con l‘approvazione della Carta dei diritti e delle
libertà nel 1982. Il paese d’oltreatlantico fino a quella data non disponeva di un bill of
rights di rango costituzionale ma dopo la Seconda Guerra Mondiale aveva aderito a
molte organizzazioni internazionali, che avevano adottato una pluralità di convenzioni
e trattati internazionali sul rispetto dei diritti umani, fra cui la Carta delle Nazioni
Unite del 1945, la Dichiarazione universale dei diritti umani, il Patto sui diritti civili e
politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali. La rilevanza di queste fonti
è palpabile nella lettura delle audizioni davanti al comitato parlamentare congiunto fra
il 1980 e il 1982, che precedettero la predisposizione del testo della carta dei dritti e
delle libertà3. Ai costituenti canadesi, inoltre, era molto presente il testo della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, - ratificata dal Regno Unito nel
1951 – relativamente alla formulazione della clausola limitativa dei diritti4.
Anche nel continente europeo, si assiste a una mutuazione delle fonti
dell’ordinamento internazionale, per quanto concerne le codificazioni costituzionali.
Un esempio in tal senso può essere la Carta dell’ambiente francese del 2004 che è
stata approvata con legge costituzionale n. 2005-205 del 1° marzo 2005. L’art. 7
della Carta, che prevede il diritto di ciascuno ad accedere alle informazioni relative
all’ambiente custodite dall’amministrazioni pubbliche, è largamente ispirato al
principio 10 della Dichiarazione di Rio del 1992, ripreso dalla Convenzione di Aarhus
del 25 giugno 1998, ratificata dalla Francia nel 2002, sull’accesso all’informazione,
la partecipazione pubblica al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia
di ambiente.
Vergottini, Le transizioni costituzionali, Bologna, Il Mulino, 1998, 164 ss. ; G. G. Floridia, Il
costituzionalismo “a sovranità limitata” tra paradosso e necessità, in R. Orrù, L. G. Sciannella (curr.),
Limitazioni di sovranità e processi di democratizzazione, Torino, Giappichelli, 2004, 1 ss.; N. Maziau,
Le costituzioni internazionalizzate. Aspetti teorici e tentativi di classificazione, in DPCE, 4, 2002, 1397
ss.; G. Gerbasi, La costituzione internazionale della Bosnia-Erzegovina e il difficile equilibrio fra
sovranità etnica e diritti fondamentali della persona, in S. Gambino (cur.), Europa e Balcani. Stati
Culture Nazioni, Padova, Cedam, 2001, 285 ss.; J. Woelk, La transizione costituzionale della Bosnia
ed Erzegovina. Dall’ordinamento imposto alla Stato multinazionale sostenibile?, Padova, Cedam,
2008, in particolare, 79 ss.; sia consentito rinviare anche a E. Ceccherini, La codificazione dei diritti
fondamentali nelle recenti costituzioni, Milano, Giuffrè, 2002, 63 ss.
3
Sul processo di adozione della carta dei diritti e delle libertà: P. Russel, Constitutional Odyssey.
Can Canadians Become a Sovereign People?, Toronto, University of Toronto Press, 2004 e sia
consentito rinviare a E. Ceccherini, Il processo di adozione della Carta dei diritti e delle libertà: un
processo costituente a tappe, in G. Rolla (cur.), L’apporto della Corte suprema alla determinazione dei
caratteri dell’ordinamento costituzionale canadese, Milano, Giuffrè, 2008 3 ss..
4
Il riferimento è alla sec. 1 della Carta in cui si dispone che sono legittimi i limiti ai diritti consentiti
in una società libera e democratica.
In base a queste sommarie ricostruzioni, è evidente che i sistemi giuridici sono
stati - e continuano a essere - porosi e i confini territoriali non hanno costituito
barriere in grado di arginare la circolazione delle idee. La frase: “L’innovazione
creativa è un fatto relativamente eccezionale”5 sembra essere particolarmente
rappresentativa di questa lettura.
Tuttavia, i recenti sviluppi del costituzionalismo mostrano come questo
processo abbia assunto delle connotazioni diverse rispetto al passato.
2. Rapporti fra potere giudiziario e legislativo nel costituzionalismo attuale
Nel passato, l’osmosi fra ordinamenti sembrava recare con sé conseguenze
sul diritto positivo, lasciando poi la sua interpretazione e applicazione agli organi
giurisdizionali domestici. Pertanto, il processo sembrava essere univoco e in senso
centripeto, cioè dall’esterno verso interno; ne risultava un diritto, che era il frutto di
una metabolizzazione, in cui erano rintracciabili le vestigia esogene ma che poi si
declinava a seconda dell’ordinamento nazionale in cui veniva a dispiegare i propri
effetti.
Le coordinate di riferimento sembrano attualmente modificarsi nel momento
in cui emerge una pluralità di centri di poteri normativi in cui quello legislativo perde
il suo ruolo esclusivo di produttore di norme e di strumento di garanzia dei diritti.
Lo Stato liberale nasceva per limitare il potere assoluto e arbitrario e tale
obiettivo veniva raggiunto attraverso lo strumento della legge, come atto
fondamentale caratterizzato dalla generalità e l’astrattezza e in questo senso, il potere
legislativo costituiva la sede privilegiata per la tutela dei diritti.
Attualmente anche a seguito di un’evoluzione storica che ha visto
un’affermazione più significativa della separazione dei poteri e della configurazione
più netta del potere giudiziario, sembra che la fonte legale non sia più la sola in grado
di garantire i diritti. La legge, che costituisce il compromesso fra le forze politiche e
sociali prevalenti ma sostanzialmente omogenee, stenta a essere riconosciuta come
norma valevole erga omnes e soprattutto in grado di offrire una soluzione adeguata
per qualsiasi fattispecie concreta. Tale esito si spiega con il fatto che le società non
sono più sostanzialmente coese come nel passato ma costituiscano un variegato puzzle
di soggetti che si richiamano a ideali e valori anche molto diversi (se non antitetici
rispetto alla maggioranza della comunità dove vivono).
La generalità e l’astrattezza, che sono i profili caratterizzanti le norme mal si
attagliano al coacervo di fattispecie concrete, le cui regolazioni non possono essere
raggiunte con un compromesso legislativo, data l’eterogeneità delle componenti
sociali e politiche difficilmente riconducibili a una matrice unitaria, necessaria per
l’approvazione di una norma. Il processo di accomodation sembra più arduo e
complesso a livello legislativo ed è per questo che il parlamento e la sua fonte non
sono più in grado di rispondere adeguatamente alle difficoltà del presente e alle
molteplici sfide che si presentano loro. In questo quadro, la funzione giurisdizionale
si dimostra più idonea a lenire le lacerazioni che si producono all’interno della
comunità, proprio perché solo strutturalmente atte a risolvere un caso concreto,
5
R. Sacco, voce Circolazione e mutazione dei modelli giuridici, in Dig. civ., vol. 2, Torino, Utet,
1988, 368.
specifico in cui il conseguimento del compromesso è più agevole. In sostanza, una
sentenza presenterebbe caratteristiche più adeguate rispetto alla legge, poiché non
avrebbe la pretesa di fornire una soluzione valevole per ciascuno e per qualsivoglia
fattispecie astratta ma si limiterebbe a offrire un esito a una controversia, le cui
conseguenze non avrebbero una portata universale ma particolare.
Anche laddove il legislatore intervenga, il giudice può talvolta operare in modo da
neutralizzare alcuni effetti della norma, pur non rinnegandola: si assiste a un
fenomeno in cui “il formante giurisprudenziale (…) arriva talvolta a sostituirsi a
quello legislativo, il quale rimane esistente, legittimo ed efficace, ma a ragione della
sua eccessiva rigidità, viene “messo da parte” in quanto considerato non adatto a
fornire una soluzione considerata, dai giudici, dalle giurie, talvolta perfino dalla
pubblica accusa, equa rispetto alle specificità del caso prospettato. Pare emergere,
insomma, un fenomeno secondo cui una regola che rimane formalmente vigente è
sostanzialmente disapplicata, producendo una non comune distanza fra the law in the
books e the law in action”6.
In questa ottica, l’inerzia del legislatore di fronte alle sfide contemporanee
relative ai grandi temi particolarmente controversi in questo periodo, come ad
esempio, la bioetica o il multiculturalismo7 sembra più comprensibile e meno
colpevole, in quanto rende testimonianza dell’inadeguatezza della sua funzione,
poiché incapace di generare quel tessuto connettivo, che nel passato era reso possibile
dalla condivisione di valori comuni. Ed è per questo che sembra convincente la
riflessione di chi inquadra il potere giudiziario “quale organo di una società civile
aperta, tanto cosmopolita, quanto globale, organo per eccellenza ‘comunicatore’”8.
In questo quadro, la volontà generale non è più in grado di adottare leggi
generali ed astratte, per cui i conflitti che emergono nelle società pluraliste debbono
essere risolti dagli organi giurisdizionali, per i quali sembra più facile trovare un
compromesso. Pertanto, la rinnovata funzione del giudice costituisce il profilo di
maggior interesse in questa fase del costituzionalismo, in cui il potere giudiziario non
si configura più come un potere nullo, secondo la visione proposta da Montesquieu
ma un’istanza unificatrice, di supplenza rispetto al potere legislativo, facendo venire
meno le eventuali lacune dell’ordinamento9.
6
C. Casonato, Il consenso informato, cit.
Soprattutto sul tema della bioetica le difficoltà degli organi rappresentativi a raggiungere un
compromesso condiviso è testimoniato efficacemente in C. Casonato, Il consenso informato, cit., in cui
si afferma: “Inghilterra e Galles si muovono verso una tendenziale impunità di alcune condotte di
abetting suicide; impunità che però non è prevista in termini generali e astratti, ma deve sempre essere
verificata ex post e alla luce delle specificità dei casi concreti“;C. Baron, La bioetica e la legge negli
Stati Uniti: prospettive per i processi giudiziari, in T. Groppi, E. Ceccherini (cur.), Bioetica e diritti,
Napoli, ESI , 2010 (in corso di pubblicazione).
8
L. Volpe, La giurisprudenza come itinerario comunicativo tra sistemi di diritto, in questo stesso
volume.
9
Talvolta i rapporti fra potere legislativo e giudiziario sono in collisione, soprattutto in ambiti molto
delicati come la bioetica; basti pensare in Italia al complesso caso Englaro, in cui le due Camere
(deliberazione della Camera dei deputati del 31.07.08; deliberazione del Senato della Repubblica del
01.08.08) hanno deliberato di proporre un conflitto di attribuzione nei confronti della sentenza della
corte di Cassazione del 16.10.07 e del decreto della Corte d’appello del 25.06.08 che riconosceva il
diritto a ciascuno di rifiutare un trattamento di mantenimento in vita. Sul tema, per tutti, si veda: T.
Groppi, Il caso Englaro: un viaggio alle origini dello Stato di diritto e ritorno, in T. Groppi, E.
Ceccherini (cur.), op. cit.
7
Milita a favore di questa ricostruzione l’intuizione di chi ha sottolineato come
le fonti politiche sia affiancate da fonti culturali (in particolare quelle
giurisprudenziali), che si “realizzano quando le norme giuridiche vengono desunte
dall’esperienze del passato (consuetudine, precedente) oppure dall’analisi razionale
dei fenomeni giuridici (dottrina, giurisprudenza) sul presupposto che il diritto non
costituisca soltanto l’attuazione della volontà del sovrano – sia questo popolo,
un’assemblea o un tiranno – ma risponda altresì ad un bisogno di giustizia
razionalmente determinata”10.
3. Il giudice fra ordinamento interno e fonti extra ordinem
La sovraesposizione del giudice non costituisce però un fenomeno di semplice
riponderazione fra i poteri supremi dello Stato, in cui quello giudiziario sembra
prevalere rispetto a quello legislativo. Tale passaggio si traduce anche in un
mutamento delle fonti di riferimento dell’attività giurisdizionale, la quale nel passato
era orientata solo ed esclusivamente dalle fonti del diritto positivo interne: “i giudici
sono soggetti soltanto alla legge” recita l’art. 111 della costituzione italiana.
Attualmente, il giudice deve, invece, ricostruire la norma applicabile non solo
guardando all’ordinamento interno ma rivolgendo lo sguardo altrove verso gli
ordinamenti sovranazionale, internazionale, stranieri o addirittura extragiuridici11. In
sostanza, gli Stati sembrano aver perso il monopolio esclusivo di produzione delle
fonti; pertanto, le fonti del diritto positivo si trovano a essere affiancate da quelle che
sono state definite fonti culturali, come consuetudine, precedente, dottrina e
giurisprudenza12.
3.1
L’influenza dell’ordinamento internazionale sulla domestic jurisdiction
L’influenza dell’ordinamento internazionale sugli organi giurisdizionali interni
sta progressivamente aumentando e si sta configurando sotto il profilo di logiche di
“cooperazione e di integrazione piuttosto che di coesistenza e potenza”13 come era
stato prevalentemente in passato. In questa ottica, le relazioni internazionali - e le
eventuali controversie - sono declinate anche attraverso l’azione di organi
giurisdizionali o arbitrali, tant’è che in base alle indicazioni del Project on
International Courts and Tribunals, sussisterebbero nel mondo almeno 125 istituzioni
internazionali le cui decisioni possano far scaturire degli effetti sulle giurisdizioni
10
A. Pizzorusso, Sistemi giuridici comparati, Milano, Giuffrè, 1998, 263.
In generale sul tema: A. Eide, Sovereignity and International Efforts to Realize Human Rights, in
A. Eide, B. Hagtvet (eds.), Human Rights in Perspective, Oxford, Blackwell, 1992, 3 ss.
12
Sul tema oltre A. Pizzorusso, op. cit., 263, si veda G. Martinico, L’integrazione silente. La funzione
interpretativa della Corte di giustizia e il diritto costituzionale europeo, Napoli, Jovene, 2009, 6.
13
M. Mistò, Diritti umani e organizzazioni internazionali economiche: il caso dell’Inspection Panel
della Banca Mondiale, in DPCE, 1, 2002, 143; E. U. Petersmann, From the Hobessian International
Law of Coexistence to Modern Integration Law: the WTO Dispute Settlement System, in Journal of
Int’l Econ. L., 1998, 1, 175 s.
11
domestiche14. Pertanto, i poteri statali nazionali si troverebbero a essere condizionati
in maniera più o meno rilevante da ordinamenti esogeni.
L’esempio della normativa comunitaria e della giurisdizione della Corte di
giustizia delle Comunità Europee costituiscono un paradigma orami noto (e perciò
non approfondito dall’unità di ricerca senese), ma anche in altri ambiti territoriali di
riferimento emergono a livello comparato delle convergenze.
Nell’area nordamericana, a seguito dell’entrata in vigore del North American
Free Trade Agreement (Nafta) è possibile attivare la general dispute settlement
procedure (art. 20 del trattato), qualora vi siano delle controversie riguardanti
l’interpretazione e l’applicazione del Trattato15. In primo luogo, è possibile realizzare
una consultazione sotto i buoni offici della Free Trade Commission e qualora questo
tentativo di mediazione non abbia successo, vi è la facoltà di istituire un collegio
arbitrale16, i cui awards sono vincolanti. Il Trattato prevede, inoltre, al chapter 11 la
facoltà per un investitore straniero di utilizzare uno dei meccanismi arbitrali17 previsti
qualora ritenga che uno stato contraente violi le disposizioni del Trattato.
Nonostante i lodi non siano cogenti per le autorità giurisdizionali degli Stati, le
loro conclusioni possono avere come conseguenza l’erogazione di sanzioni pecuniarie
nei confronti delle autorità statuali firmatarie dell’accordo e possono fungere da
moral suasion18.
Ai fini della ricostruzione della questione che vede l’esercizio di una forte
influenza degli ordinamenti internazionale e sovranazionale sui pubblici poteri
nazionali, pare rilevante l’esperienza del sistema olandese, in cui, in base alla lettura
congiunta degli artt. 91-95 Cost., le norme internazionali pattizie avrebbero maggior
forza giuridica sia sulle disposizioni legali che sulla stessa Costituzione, qualora siano
self-executing, in questo modo sarebbero “binding on all persons by virtue of their
contents”. La Corte suprema olandese ha precisato che i disposti internazionali
debbano dispiegare effetto diretto di fronte al potere giudiziario e ha ritenuto che la
convenzione europea dei diritti dell’uomo così come interpretata dalla corte di
Strasburgo presentasse tale requisito, consentendo ai giudici di disapplicare la
14
Su questo tema si veda recente: S. Cassese, Il diritto globale, Giustizia e democrazia oltre lo Stato,
Torino, Einaudi, 2009, 11.
15
Procedure arbitrali ad hoc sono previste dal chapter 14 se le questioni riguardano i servizi
finanziari e dal chapter 19 se la questione è inerente ai doveri di anti-dumping and countervailing.
16
Il collegio è composto da 5 esperti indipendenti: due ciascuno sono indicati dalle parti mentre vi
deve essere un accordo congiunto per il presidente.
17
Il chapter 11 individua a tal uopo: il Word Bank’s International Center for the Settlement of
Investment Diputes (ICSID); il ICSID’s Additional Facility Rules e le Rules of the United Nations
Commission for Internationall Trade Law (UNCITRAL rules). Resta ferma la possibilità per
l’investitore di rivolgersi agli organi giurisdizionali domestici.
18
In Loewen Group Inc. v. United States (ICSID (W. Bank) (Case no. ARB(AF)/98/3), gli arbitri
hanno riconosciuto che vi fosse stato una violazione del minimo standards di giustizia nei
procedimenti giurisdizionali svoltisi nel Missipi che avevano condannato l’impresa in primo grado al
pagamento di 500 milioni di dollari e dalla corte suprema dello Stato a 625 milioni. Il ricorso proposto
da un ente locale contro un’impresa canadese riguardava il rispetto di clausole contrattuali e la
normativa anti-trust. L’organismo internazionale ha ritenuto che il processo statunitense: fosse “so
flave that it constituted a miscarriage of justice amounting to a manifest injustice as that expression is
understood in international law”. Inoltre, il collegio arbitrale ha stabilito che i $ 400 milioni di
punitive damages inflitti erano una cifra palesemente sproporzionata al danno effettivamente sofferto.
normativa interna incompatibile con la Convenzione19.
L’art. 55 della costituzione francese, introducendo il controllo di convenzionalità,
autorizza i giudici ad applicare la norma internazionale (purché regolarmente
ratificata o approvata) rispetto alla disposizione legale interna confliggente,
riconoscendole quindi un’efficacia superiore alle leggi, che pure rimangono
formalmente vigenti nell’ordinamento20. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto che
la permanenza di norme contrastanti con obblighi internazionali possa produrre la
responsabilità dello Stato per danni21 e che correrebbe l’obbligo al Parlamento di
rimuovere la suddetta norma e al Governo di non dare applicazione alla stessa in via
regolamentare22.
In Austria, dove come è noto la CEDU riveste rango costituzionale, la
giurisprudenza non si limita all’applicazione diretta dell’atto normativo ma integra il
parametro con la giurisprudenza di Strasburgo23.
Rimanendo sempre nell’ambito europeo, la rilevanza del sistema Cedu
sull’attività dei giudici è stata
particolarmente evidente nel Regno Unito.
L’incorporazione del trattato internazionale attraverso lo Human Rights Act del 199824
sottolinea efficacemente come sussista una compenetrazione fra ordinamento
domestico e quello internazionale e soprattutto come il sistema internazionale di
protezione dei diritti abbia messo in crisi il principio della sovranità del Parlamento
che è sempre assolutamente consolidato e strenuamente difeso dalle autorità
britanniche25.
L’incorporation della Convenzione con lo Human Rights Act impone di
conciliare gli atti normativi interni di rango primario con le disposizioni ivi contenute.
I giudici, infatti, in base all’art. 3 dell’Act sono obbligati a interpretare la legge statale
19
G. Gerbasi, D. Loprieno, L’apertura del diritto costituzionale al diritto internazionale dei diritti
umani negli ordinamenti dell’Europa continentale, in DPCE, 2002, 1096 s.; T. Koopmans, La
convention européenne des droits de l’homme et le juge néerlandais, in Rev. intern. dr. comp., 1999,
23.
20
Sul tema, per tutti si veda: P. Costanzo, La “nuova” Costituzione della Francia, Torino,
Giappichelli, 2009, 436 s.
21
Dec. n. 279522 dell’8 febbraio 2007, M. X, P. Costanzo, op. cit., 438.
22
Dec. n. 195354 del 24 febbraio 1999, Association de patients de la médecine d’orientation
anthroposophique, P. Costanzo, op. cit., 438.
23
G. Gerbassi, D. Loprieno, op. cit., 1098.
24
Sul tema in generale dell’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: L.
Montanari, I diritti dell’uomo nell’area europea fra fonti internazionali e fonti interne, Torino,
Giappichelli, 2002. Più specificamente sull’esperienza inglese: G.F. Ferrari, La Convenzione europea
e la sua “incorporation” nel Regno Unito, in DPCE, 1, 1999, 125 ss. ; P. Leyland, Human Rights Act
1998: riportare i diritti a casa?, in Quad. cost., 2000, 83 ss.; F. Rosa, Lo Human Rights Act e il
processo di internazionalizzazione dei diritti fondamentali, in Pol. dir., 2000, 679 ss.; R. Ford, Human
Rights in the U.K: Some lessons from the Canada, in Statute L. Rev., 20, 1999, 239 ss.; A. R. García, I.
Torres Muro, La ley britanica de derechos humanos (Human Rights Act 1998): una evolución a
conciencia, in Rev. esp. der. adm., 105, 2000, 5 s.; J. L. Black-Branch, The Derogation of Rights Under
the UK Human Rights Act: Diminishing International Standards, in Statute L. Rev., 22, 1, 2001, 71 ss.;
A. Kavanagh, Constitutional Review Under the UK Human Rights Act, Cambridge, Cambridge
University Press, 2009; M. Patrono, La forza dei diritti. Il Regno Unito dalla Rule of Law allo Human
Rights Act del 1998: sulle tracce di un lungo inseguimento, in Nomos, 1, 2004, 15 ss.
25
A. W. Bradley, La sovranità del parlamento in eterno, in Giur. cost., 1996; N. Bamforth,
Parliamentary Sovereignty and the Human rights Act 1998, in Publ. L., 1998, 572 ss.
con le norme della convenzione e tale operazione ermeneutica deve svolgersi tenendo
conto del “judgement, decision, declaration or advisory opinion of the European
Court of Human Rights” (art. 2 HRA). Pertanto, tutta la legislazione precedente e
successiva all’adozione dello Human Rights Act deve essere letta attraverso la lente di
Strasburgo, anche a costo di forzare il dato letterale (purposive approach)26. Qualora
ciò non sia possibile, in base all’art. 4 dello Human Rights Act, i giudici possono
adottare una dichiarazione di incompatibilità fra la disposizione interna e la
convenzione. La prima continuerà ad essere valida ed efficace, tuttavia il Ministro
competente in presenza di compelling reason può con order rimuovere il contrasto
modificando la legislazione incompatibile. Se le norme sono state adottate in forma di
order in council, la procedura si svolge mediante il rito del King in council.
Tuttavia, un elemento che corrobora l’ipotesi iniziale dalla quale siamo partiti
e cioè della pregnante influenza dell’ordinamento internazionale su quelli interni è
costituito dalle modalità attraverso le quali il Regno Unito consente la riapertura del
giudicato penale interno a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti
dell’uomo. Infatti, in base alla lettura coordinata e sistematica dello Human Rights Act
del 1998, del Criminal Appeal Act del 1968 e del Criminal Appeal Act del 1995, che
ha istituito la Criminal Cases Review Commission è ammissibile “pur in assenza di
una specifica, apposita previsione” 27seppure a determinate condizioni e con
particolari limiti dalle Corti di appello, riaprire i processi che hanno avuto origine da
casi rinviati dalla commissione sopra citata.
Particolarmente significativo dell’influenza della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo sugli organi giudiziari interni è l’esempio della Spagna, il cui art. 10.2
della Costituzione impone che le norme relative ai diritti fondamentali e alle libertà
riconosciute nel testo costituzionale devono essere interpretate in conformità con la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e i trattati e gli accordi internazionali
sulle stesse materie ratificate dalla Spagna. In base a questo disposto emerge un
obbligo di interpretazione conforme che il Tribunale costituzionale ha adottato (anche
se ha ribadito che le fonti internazionali non possono essere utilizzate per ampliare il
catalogo dei diritti fondamentali che resta quello sancito nel testo costituzionale)28.
E anche nell’ordinamento iberico - come nel Regno Unito - la questione
dell’esecutività delle sentenze della corte di Strasburgo ha trovato una soluzione nel
diritto vivente. Il Tribunale costituzionale spagnolo, infatti nella sentenza a seguito di
recurso de amparo n. 245 del 16 dicembre 1991 ha ritenuto di annullare la sentenza di
condanna, con successivo svolgimento di un altro processo a seguito di una pronuncia
di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, poiché l’esecuzione
26
P. Leyland, Reflections on “Routes of communication in contemporary Constitutionalism”, in questo
stesso volume.
27
V. Sciarabba, La “riapertura” del giudicato in seguito a sentenze della Corte di Strasburgo: profili
di comparazione, in DPCE, 2, 2009, 924.
28
A. E. Perez Luño, Derehos humanos, estado de derechos y constitución, Madrid, Tecnos, 2005,
309; A. Saiz Arnaiz, La apertura constitucional al derecho internacional y europeo de los derechos
humanos. El articulo 10.2 de la Constitución española., Madrid, Consejo General del Poder Judicial,
1999; I. Gómez Fernández, Conflicto y cooperación entre la constitución española y el derecho
internacional, Valencia, Tirant Lo Blanch, 2005; A. Rodriguez, The European Convention on Human
Rights in the Domestic Legal Order of Italy and Spain: A Comparison, in Jahrbuch des öffentlichen
Rechts der Gegenwart, 49, 2001, 387 ss.
della sentenza interna era configurabile come contraria all’ordine costituzionale
spagnolo, per la cui interpretazione i giudici devono conformarsi, oltre che alla
Dichiarazione dei diritti dell’uomo, ai trattati e agli accordi internazionali in materia
di diritti e libertà fondamentali rettificati dalla Spagna (art. 10, c. 2 della Costituzione
spagnola). Occorre però osservare che lo stesso Tribunale ha escluso espressamente la
possibilità di riaprire procedimenti giudiziari interni in ambito civile, poiché si è
ritenuto che in tale ambito le pronunce dei giudici di
Strasburgo hanno
29
esclusivamente valore dichiarativo .
Ad analoghe conclusioni convergenti verso la precettività della giurisprudenza di
Strasburgo, è giunta anche la Corte di Cassazione italiana che ha più volte indicato
come si imponga al giudice un’interpretazione della normativa italiana adeguata al
decisum europeo, oltre che ai principi costituzionali30. Inoltre, lo stesso organo
giurisdizionale ha ritenuto che il rispetto della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo comportasse l’obbligo della riapertura del giudicato. Nella sentenza della
Corte di Cassazione, Sez. I penale del 12 luglio 2006, n. 32678 (Sent. Somogy), si
legge che “il Collegio ritiene di dover ribadire il principio per cui il giudice italiano è
tenuto a conformarsi alle sentenze pronunciate dalla stessa Corte (europea) e, per
conseguenza deve riconoscere il diritto al nuovo processo anche se ciò comporta la
necessità di mettere in discussione, attraverso il riesame o la riapertura del
procedimento penale, l'intangibilità del giudicato”.
Nel più noto caso Dorigo, sempre la Suprema corte31 ha stabilito che “il giudice
dell’esecuzione deve dichiarare, a norma dell’art. 670 c.p.p., l’ineseguibilità del
giudicato quando la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali abbia accertato che la condanna è stata pronunciata per effetto
della violazione delle regole sul processo equo sancite dall’art. 6 della Convenzione
europea e abbia riconosciuto il diritto del condannato alla rinnovazione del giudizio,
anche se il legislatore abbia omesso di introdurre nell’ordinamento il mezzo idoneo ad
instaurare il nuovo processo”.
La sentenza determina la soluzione a una vicenda nella quale un condannato era
rimasto detenuto in Italia in espiazione di una condanna, nonostante la Corte europea
avesse stabilito sin dal 1998 il carattere non equo del processo da lui subito per
violazione del diritto dell’imputato di “interrogare o fare interrogare i testimoni a
carico”. Le più alte istanze del Consiglio d’Europa avevano più volte richiamato lo
Stato italiano ad una puntuale esecuzione alla sentenza della Corte europea, ovvero
riconoscendo al condannato, attraverso la riapertura del processo, il diritto ad un
“procès équitable”. Particolarmente significativo è il passaggio che sottolinea come
l’inerzia del legislatore non possa costituire una giustificazione per disattendere le
pronunce della Corte di Strasburgo, nonostante la difesa italiana si fosse da sempre
basata sull’inesistenza di un rimedio legale per la riapertura del giudicato. La
Suprema corte ha ritenuto tale posizione “assolutamente inaccettabile”, poiché finiva
per disconoscere la precettività delle norme della Convenzione e la forza vincolante
delle decisioni della Corte europea. I giudici hanno infatti ricordato che l’obbligo
“positivo”, derivante da una sentenza della Corte europea, di ripristinare una
29
30
31
STC del 23-4-1997, V. Sciarabba, op. cit., 925.
Ex multis Cass. Pen., sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807.
Sent. n. 2800, Ud. 1° dicembre 2006
procedura rispondente alla legalità sancita dalla Convenzione allo specifico fine di
eliminare le conseguenze pregiudizievoli verificatesi in dipendenza della violazione
accertata, incombe su tutti gli organi dello Stato, compresi quelli investiti del potere
giurisdizionale. In tale prospettiva, la Suprema Corte, chiamata a decidere
sull’eseguibilità del giudicato ex art. 670 c.p.p., ha stabilito che la «essenziale
correlazione» esistente tra il carattere equo del processo, garantito dall’art. 6 Cedu, e
la regolarità della condanna che può legittimare, a norma dell’art. 5 Cedu, la
restrizione della libertà personale, impedisce di considerare «legittima e regolare» una
detenzione fondata su una sentenza di condanna pronunciata in un giudizio nel quale
siano state poste in essere violazioni delle regole del giusto processo accertate dalla
Corte europea, sì da rendere non “équitable” non soltanto la procedura seguita, ma
anche la pronuncia di condanna.
Anche in altre aree del globo, gli ordinamenti si palesano sensibili al richiamo
delle fonti internazionali. In Costa Rica i trattati internazionali, relativamente alla
tutela dei diritti fondamentali, sono incorporati negli ordinamenti, con la conseguenza
che il giudice deve applicare la normativa interna o internazionale più favorevole al
ricorrente (criterio pro homine).
In Guatemala, i trattati internazionali concernenti i diritti fondamentali hanno
forza giuridica superiore alla Costituzione.
Mostra profili di interesse anche l’esperienza del Perù, in cui la Costituzione
del 1993 ha stabilito all’art. 205, che previo esaurimento dei ricorsi interni, si può
ricorrere a tribunali o organismi internazionali, costituiti in base ai trattati o alle
convenzioni di cui il Perù è parte. Inoltre, l’art. 55 dispone che i trattati internazionali
approvati e ratificati dal Perù sono parte del diritto nazionale, mentre la quarta
disposizione finale e transitoria precisa che le norme relative ai diritti e alle libertà che
la Costituzione riconosce si interpretano in conformità alla dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo e ai trattati e accordi internazionali ratificati. L’eventuale
contrasto fra normativa interna e internazionale dovrebbe essere risolto a favore della
normativa internazionale se più garantista di quella interna, inoltre, il Tribunale
costituzionale peruviano sarebbe vincolato non solo al dato normativo ma anche
giurisprudenziale
E anche in Argentina, il legislatore da una parte e il giudice costituzionale
dall’altro (sentenza Esposito) hanno disposto per l’applicabilità delle sentenze degli
organi internazionali e sovranazionali.
Questo orientamento è stato recepito anche nel continente africano, infatti, il
Sudafrica all’art. 39 dispone che: (1) “When interpreting the Bill of Rights, a court,
tribunal, or forum a) must promote the values that underlie an open and democratic
society based on human dignity, equality and freedom; b) must consider international
law; and c)…”
Nella stessa area, la Costituzione delle Seychelles dispone che per
l’interpretazione delle norme sui diritti e libertà deve essere coerente con la normativa
internazionale ratificata dallo Stato e per questo gli organi giurisdizionali devono
tenere presente: a) le fonti internazionali concernenti i diritti fondamentali; b) i
rapporti e le posizioni espresse dagli organi preposti al controllo del rispetto dei
trattati; c) i rapporti, le decisioni e gli orientamenti espressi dalle istituzioni
internazionali e regionali deputati al controllo e alla promozione delle convenzioni sui
diritti umani; d)…”.
La tendenza evidenziata non è comunque univoca, infatti, Nicaragua e
Venezuela ad esempio si oppongono alla vincolatività delle sentenze degli organi
giurisdizionali sovranazionali, il primo perché ciò sarebbe contrario al principio della
res iudicata e l’altro perché in contrasto con la sovranità popolare.
3.2
L’utilizzo dei precedenti stranieri da parte degli organi
giurisdizionali
Si tratta di un fenomeno che assume delle connotazioni significative nel
periodo più recente e forse più di tutti testimonia come il processo di globalizzazione
si sia spostato dall’ambito economico a quello giuridico32.
Una prova dell’incorporazione del diritto straniero negli ordinamenti interni è
attestato dai suoi riflessi nelle Costituzioni, infatti alcune fra quelle approvate più
recentemente espressamente indicano come gli organi giurisdizionali dispongano
della facoltà di trarre ispirazione da ordinamenti diversi dal proprio. Tale tendenza è
esemplificata ancora una volta dall’ art. 39 della Costituzione Sudafricana che
stabilisce: (1) “When interpreting the Bill of Rights,a court, tribunal, or forum a)
must promote the values that underlie an open and democratic society based on
human dignity, equality and freedom; b) …; and c) may consider foreign law.
E come nel caso precedente, la Costituzione delle Seychelles dispone che gli
organi giurisdizionali devono tenere presente: a) …; b) …; c) …; d) le costituzioni
degli altri paesi democratici.
Il risultato dell’enunciato costituzionale sudafricano ha prodotto sentenze in
cui i riferimenti comparatistici sono plurimi e mutuati, da ordinamenti che
geneticamente hanno influenzato la carta costituzionale sudafricana, come la
Germania33.
Tuttavia, anche se la fonte posta al vertice del sistema delle fonti
espressamente non offre questa opzione, i giudici hanno comunque adottato questa
tecnica di shopping law, in base al quale le Corti ispirano il loro legal reasoning ad
argomentazioni utilizzate da proprie omologhe34, al fine di ampliare il loro effetto
persuasivo.
Pur non avendolo espressamente previsto a livello costituzionale, anche altri
organi giurisdizionali ricorrono all’uso dei precedenti stranieri in varie parti del
globo; spiccano in particolar modo gli esempi di Canada e della Germania. Per quanto
concerne il primo, illuminanti sono le parole della Justice L’Hereux-Dubé, che ha
osservato: che “if we continue to learn from each other, we as judges, lawyers, and
scholars will contribute in the best possible way not only to the advancement of
human rights but to the pursuit of justice itself, wherever we are”35.
Riguardo l’ordinamento teutonico, molte ricerche hanno evidenziato la dovizia
con la quale i giudici avrebbero utilizzato la giurisprudenza straniera soprattutto (ma
32
B. Markesinis, J. Fedtke, Judicial Recourse to Foreign Law, UCL Press, London, 2006.
A. Lollini, La circolazione degli argomenti: metodo comparato e parametri interpretativi extrasistemici nella giurisprudenza costituzionale sudafricana, in DPCE, 2007, 479 ss.
34
In generale su questo tema: L. Volpe, op. cit.
35
C. L’Hereux-Dubé, The Importance of Dialogue: Globalization and the International Impact of the
Rehnquist Court, in Tulsa L. Journ., 34, 1998, 15.
33
non solo) nei primi decenni di attività del Tribunale costituzionale tedesco36.
Infine, è noto come all’interno dell’area Commonwealth, il Privy Council abbia
profondamente influenzato la giurisprudenza di paesi come Nuova Zelanda, Australia,
India, Sudafrica, Hong Kong e Canada37.
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi ma al fine di scongiurare il pericolo di
attardarsi in un asettico e pedante elenco di casi giurisprudenziali, è opportuno che la
riflessione si attesti sulle ragioni e conseguenze del fenomeno che abbiamo descritto.
In primo luogo, traspare come il diritto comparato possa costituire sia
un’ulteriore base legittimante la produzione di norme giurisprudenziali, sia un
ampliamento concettuale per le motivazioni dei giudici38. Questi ultimi, infatti,
potendo attingere a una pluralità di precedenti sono costantemente sollecitati da un
diritto che non è più un magma solidificato dal principio dello stare decisis ma un
mare che - per definizione - si genera e rigenera più agevolmente, alimentato da molti
affluenti, una sorta di serbatoio ermeneutico.
In secondo luogo, non emerge da queste parole solo la ricerca di un’ulteriore e
proficua tecnica di decisione ma anche una certa “umiltà” nel riconoscere che anche
altri “al di fuori di sé” possano giungere a conclusioni che possono essere utili al
perfezionamento dei propri atti. Viene attenuata quella protervia nazionalistica basata
sulla presunta superiorità della propria sovranità domestica e della unicità e
completezza del proprio sistema normativo che nella storia si è manifestata in aperti e
cruenti conflitti e che nella prospettiva da noi adottata si palesa nel rifiuto di essere
tributarie di rationes iuris altrui.
Infine, credo che si possa condividere l’ipotesi di chi sottolinea come nei
momenti fondanti - e soprattutto direi – di cesura rispetto ad assetti costituzionali
preesistenti consolidati, i giudici sentano la necessità di sostenere le proprie decisioni
anche grazie all’apporto allogeno, in carenza di una propria giurisprudenza pregressa,
in modo da conferire un effetto persuasivo ulteriore alle proprie decisioni, rendendo e
questo sembra particolarmente inverato da quanto detto per la Germania e il
Sudafrica39.
Non mancano prospettive di segno totalmente opposto come quella fatta
propria dall’ordinamento statunitense che, come è noto, non si è dimostrato
permeabile all’osmosi, percependo tale contaminazione come fosse una limitazione
della propria sovranità. A questo proposito non mancano né interventi dal parte del
legislatore, né prese di posizione da parte di alcuni giudici della Corte suprema40.
Il primo ha tentato di limitare l’utilizzo da parte dei giudici dei precedenti
36
L. Volpe, op. cit.
Sul tema, si veda il saggio di T. Groppi, A User-friendly Court: The Influence of Supreme Court of
Canada Decisions Since 1982 on court Decisions in Other Liberal Democracies, in Supreme Court L.
Rev., 36, 2007, 338.
38
H. Hohman, The Nature of Common Law and the Comparative Study of Legal Reasoning, in Am.
Journ. Comp. L., 1990, 143 ss.; A. Sperti, Le difficoltà connesse al ricorso alla comparazione a fini
interpretativi nella giurisprudenza costituzionale nel contesto dell’attuale dibattito
sull’interpretazione, in DPCE, 2, 2008, 1033.
39
L. Volpe, op. cit., il quale cita anche il Regno Unito che sta affrontando dei cambiamenti
significativi a livello costituzionale. Un’ulteriore testimonianza di questo aspetto è dato dall’esperienza
della Namibia, si veda a tal proposito I. Spigno, Modelli di circolazione giurisprudenziale: la libertà di
espressione e l’hate speech nella giurisprudenza della Namibia, in questo stesso volume.
40
L. Volpe, op. cit.,
37
stranieri e delle fonti dell’ordinamento internazionale con la Reaffirmation of
American Indipendence Resolution41.
I secondi hanno a più riprese ribadito la loro scelta di ignorare la
giurisprudenza straniera. In Printz v. United States42 si legge: “Justice Breyer’s dissent
would have us consider the benefits that other countries, and the European Union,
believe they have derived form federal systems that are different form ours. We think
such comparative analysis inappropriate to the task of interpreting a constitution ….
In Stanford v. Kentucky43 i giudici sottolineano come “We emphasize that it is
American conceptions of decency that are dispositive, rejecting the contention of
petitioners and their various amici.. that the sentencing practises of other countries are
relevant.
In Thompson v. Oklahoma44 nell’opinione dissenziente del Justice Scalia, ….. “The plurality’s reliance upon Amnesty International’s account of what it
pronounces to be civilized standards of decency in other countries …is totally
inappropriate as a means of establishing the fundamental beliefs of this Nation”.
E ancora nell’opinione concorrente del Justice Thomas in Foster v. Florida45, si legge
che “this court …should not impose foreign moods, fads, or fashions on Americans”.
Come noto il portavoce più accreditato dell’insularismo statunitese è il giudice Scalia
che liquida il tema sull’influenza delle culture giuridiche straniere nelle decisioni
della Corte suprema come “meaningless dicta”46, poiché la stella polare
dell’interpretazione giuridica deve essere il più rigoroso originalism, cioè la volontà
dei padri costituenti e perciò in questa ottica il metodo comparato viene assolutamente
bandito47.
Tuttavia, non mancano segnali di sgretolamento di questa posizione sia a
opera della dottrina che dalla giurisprudenza48. Basti pensare che le parole perentorie
del giudice Scalia costituivano una replica ai colleghi estensori dell’opinione di
maggioranza che citavano una sentenza della Corte europea di Strasburgo ma in
particolar modo, l’apertura al diritto comparato avviene in relazione all’VIII
emendamento (divieto di comminare pene crudeli e inusitate), la cui formula è
tributaria dall’English Bill of Rights. Infatti, si afferma nella sentenza della Corte
suprema, Loving v. United States49 che “The historical necessities and events of the
English constitutional experience …were familiar to (the framers) and inform our
41
H. R. Res. 568, 108th Cong. 2004.
521 U.S. 898 (1997)
43
492 U.S. 361 (1989)
44
U.S. 815, 868 n. 4, 1988, 487
45
537 U.S. 990 (2002).
46
Lawrence v. Texas 539 U.S. (2003). Alle sentenze citate si possono aggiungere anche Knight v.
Florida, 528 U.S. 990 (1999); Atkins v. Virginia, 536 U.S. 304 (2002); Roper v. Simmons, 543 U.S.
551 (2005).
47
R. Kundis Craig, The Stevens/Scalia Principle and Why It Matters; Statutory Conversations and a
Cultural Critical Critique of the Strict Plain Meaning Approach, in Tulane L. Rev., 79, 4, 2005, 955
ss.; B. P. Frohnen, Law’s Culture: Conservatism and the American Constitutional Order, in Harvard
Journ. L. Publ. Pol., 27, 2, 2004, 459 ss.; T. Sandefur, Liberal Originalism: A Past for the Future,
ibidem, 489 ss.
48
Di cui fa cenno L. Volpe, op. cit. ma si veda anche: P. M. Wald, The Use of International Law in the
American Adjudicative Process, in Harvard Journ. L. Pub. Pol., 27, 2, 2004, 431 ss.
49
517 U.S. 748 (1996)
42
under standing of the purpose and meaning of constitutional provisions”.
Il canale preferenziale aperto nei confronti dell’ordinamento britannico si
amplia ai precedenti provenienti dai paesi di common law, limitatamente a quelli con
forma di stato democratica. Questo approccio mette in luce come i giudici prediligano
il fattore genealogico nella loro opera di selezione dei precedenti, che consiste nella
condivisione di radici storiche50. Pertanto, si evidenzia come “l’adozione di un
modello straniero da parte di un ordinamento sarà inevitabilmente determinata
dall’esistenza, all’interno di questo, di orientamenti omogenei”51.
4. L’introduzione negli ordinamenti nazionali di regole non giuridiche
Un altro aspetto emergente che incide sul ruolo del giudice riguarda il fatto
che i singoli ordinamenti si aprono anche a regole adottate da ordinamenti non
giuridici. Il riferimento corre d’obbligo a taluni sistemi in cui i giudici al fine di
individuare correttamente la norma
da applicare, non esistano a fornire
interpretazioni che tengano conto di regole tradizionali tipiche di comunità etniche o
religiose insediate nei diversi Stati.
E’ innegabile, infatti, come, ad esempio, gruppi (familiari o etnici)
condizionano e incidono sui comportamenti dei loro aderenti e producono un sistema
di regole analogo a uno di tipo ordinamentale, in cui vi possono essere soggetti od
organi chiamati a garantire il rispetto delle stesse52. Inoltre, l’incremento dei flussi
migratori negli ordinamenti occidentali più costituire un ulteriore elemento che
favorisce la circolazione di modelli relativamente alla regolazione dello status
personale e familiare degli immigrati53.
Relativamente al fenomeno religioso, i termini della questione non appaiono
in forme innovative, infatti, il Regno Unito nelle sue colonie applicava sia le norme
Hindu, musulmane e cristiane54. Attualmente non mancano in quel paese disposizioni
legislative speciali finalizzate a riconoscere la diversità culturale di alcuni gruppi
storicamente presenti nel paese. In questa ottica si spiega la presenza della sec. 16.2
del Road Traffic del 1988 che consente agli indiani sikh di portare il turbante, anziché
il casco, quando viaggiano in moto; mentre la sec.11 dell’Employment Act del 1989
esenta gli adepti di quella religione dall’indossare l’elmetto protettivo (e quindi di
utilizzare il turbante) nell’ambito delle attività lavorative nei cantieri edili.
Come conseguenza del suo passato coloniale, l’art. 75 della Costituzione
francese consente ai cittadini che non possiedono lo statuto civilistico di diritto
comune di conservare quello tradizionale. Tale norma ha riflessi sui cittadini residenti
nelle collettività di oltremare che possono essere soggetti a regole religiose come è il
50
S. Choudry, Globalization in Search of Justification: Toward a Theory of Comparative
Constitutional Interpretation, in Ind. L. Journ., 74, 1999, 838.
51
F. Caggia, Tradizione e laicità nella circolazione dei modelli giuridici: il caso delle mutilazioni
genitali femminili, in www.forumquadernicostituzionali.it (7 novembre 2009)..
52
F. Gaggia, op. cit. e più in generale, P. Rescigno, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè,
2000, 11 s.
53
F. Gaggia, op. cit.
54
Aa. Vv. L’Europa e gli ‘Altri’. Il diritto coloniale fra Otto e Novecento, in Quad. fiorentini, 33-34,
2004-2005.
caso di Mayotte oppure consuetudinarie come è il caso di Wallis-et-Futuna e della
Nuova Caledonia55.
Tali esempi mostrano come gli ordinamenti giuridici possono riconoscere in
ambito legislativo precetti religiosi o consuetudinari ma particolare interesse ancora
una volta riveste l’attitudine dei giudici a utilizzare regole delle tradizioni religiose ed
etniche per applicare le norme giuridiche, cioè interpretare dei fatti al fine di
“congetturare una spiegazione causale di un evento, o congetturare gli scopi o
intenzione di un soggetto agente, o sussumere il fatto in questione sotto una classe di
fatti, o ancora, ascrivere un valore al fatto considerato; sussumere un fatto sotto una
norma che lo disciplina” al fine di proporre una soluzione a una controversia56.
In particolare, questa contaminazione fra fatto e norma si realizza in quegli
ambiti in cui la sfera pubblica e privata tendono a sovrapporsi con esiti non sempre
del tutto lineari. Uno degli esempi più significativi è costituito dall’interpretazione
dell’esercizio della libertà religiosa fornita dalla Corte suprema degli Stati Uniti
relativamente a una questione sorta con la setta degli Amish. I giudici, nel caso
Wisconsin v. Yoder57 hanno riconosciuto ai membri della comunità religiosa la
possibilità di escludere i propri figli dall’istruzione obbligatoria oltre l’ottava classe
(quattordici anni) in quanto è stato affermato che il protrarre la permanenza dei
ragazzi in scuole non connotate religiosamente potrebbe incidere negativamente sulla
loro formazione, causando un loro allontanamento dalla comunità e, quindi,
indebolendo, di fatto la sua consistenza e i suoi presupposti teologici, che si basano
su uno stile di vita del tutto peculiare, alieno dallo sviluppo tecnologico58.
Per quanto concerne le comunità etniche, pare di particolare interesse l’ambito
della disciplina processual-penalista, in quanto costituisce uno dei settori in cui
maggiormente possono emergere delle frizioni fra la storia, la tradizione e
l’orientamento della comunità politica maggioritaria e gruppi di individui connotati
culturalmente in un modo differente. L’attrito fra diritto penale comune e tradizioni
culturali si estrinseca nella formula linguistica: cultural defense (difesa culturale) o
reato culturale (o culturalmente orientato, o culturalmente motivato).
A giudizio della dottrina penalistica per reato culturale si intende: “un
comportamento realizzato da un membro appartenente ad una cultura di minoranza,
che è considerato reato dall’ordinamento giuridico della cultura dominante. Questo
stesso comportamento, tuttavia, all’interno del gruppo culturale dell’agente è
condonato, o accettato come comportamento normale, o approvato, o addirittura è
sostenuto e incoraggiato in determinate situazioni”59 In sostanza, la questione sembra
prospettarsi come un contrasto fra un’azione di un individuo che ha agito in
ottemperanza a una norma culturale che però costituisce un illecito nell’ordinamento
55
P. Costanzo, op. cit., 380.
R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, Giuffrè, 2004, 12.
57
406 U.S. 205 1972
58
Sul punto C. Piciocchi, La libertà terapeutica come diritto culturale, Padova, Cedam,
2006, 37 ss. Sul tema delle deroghe, sia consentito rinviare a E. Ceccherini, voce Multiculturalismo
(dir. comp.), in Nov. Dig. Disc. Pubbl., Torino, Utet, 2008, 489 ss.
59
F. Basile, Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le
mutilazioni genitali femminili), in Stato, chiese e pluralismo confessionale, rivista telematica,
www.statochiese.it .
56
giuridico in cui ha operato. Questo orientamento si traduce nella necessità per gli
organi giurisdizionali di valutare il retaggio culturale dell’imputato e valutare quindi
se questo il suo comportamento può essere penalmente rilevante o, in caso
affermativo, se la doverosità di alcuni comportamenti rispetto al gruppo di
appartenenza può costituire un’attenuante rispetto all’atto criminoso.
Sembra di poter registrare negli ultimi tempi una certa tendenza da parte degli
avvocati e dei giudici a utilizzare l’istituto della difesa culturale, nonostante non sia
espressamente previsto in alcun codice penale. Allo stato attuale, non esiste una
giurisprudenza consolidata in alcun ordinamento, ma ci si limita talvolta a considerare
l’appartenenza culturale dell’imputato come un’attenuante, talaltra a ignorarla o
addirittura a contrastarla dogmaticamente.
Fra i casi in cui il giudice ha ritenuto opportuno tener presente nel suo legal
reasoning, il background culturale dell’imputato spiccano alcuni cases statunitensi.
Fra questi, People v. Kimura60 che riguardava un’immigrata giapponese, residente a
Santa Monica in California, la quale era stata tradita e abbandonata dal marito. In
ottemperanza a un’antica tradizione (oyako-shinu) decise di uccidersi insieme ai suoi
figli, che perirono, mentre lei fu tratta in salva. In Giappone, l’omicidio-suicido
costituisce reato ma nell’ambito della comunità tradizionale, può configurarsi come
una prospettiva percorribile, in quanto si ritiene più crudele lasciare i figli senza che
nessuno si occupi di loro piuttosto che portarli nell’altra vita. L’adesione della
comunità nippo-americana all’ottemperanza a queste regole, fu testimoniata dalla
presentazione di una petizione con 25.000 firme alla Los Angeles County District
Attorney perché non procedesse con alcuna imputazione.
Nel rapporto steso dagli esperti psichiatrici, si legge che: “her severe mental
and emotional illness prevented her from thinking or acting rationally…Because of
her mental condition and her cultural background, Defendant did not perceive her
parent-child suicide as an illegal act”. Sei psichiatri dichiararono che la sig.ra Kimura
soffriva di temporanea infermità mentale e per questo fu condannata per voluntary
manslaughter a un anno di reclusione, cinque anni di libertà vigilata (probation) e
obbligo di trattamento psichiatrico. I commentatori spiegano la mitezza della
condanna con il riconoscimento dell’infermità mentale (cognitive insanity defense)
ma anche con elementi di ordine culturale espressamente richiamati nella sentenza.
Il caso Kimura non è stato il primo caso in cui l’infermità mentale è stata posta
a fianco della difesa culturale, infatti, già nel 1974 in People v. Metallides61, il
tribunale evocò la volitional insanity defense, basandosi sulle radici culturali
dell’imputato. Quest’ultimo, Kostas Metallides, era un immigrato greco che viveva a
Miami in Florida, ed era stato processato perché aveva ucciso il suo migliore amico
dopo che aveva scoperto che aveva violentato suo figlio. Sebbene non si faccia
espresso riferimento a un reato culturale, la temporanea infermità mentale sarebbe
stata causata in parte dalla percezione della lesione del suo onore, così come percepito
nella comunità di appartenenza.
Riveste particolare interesse il caso Kong Moua62 che riguardava un giovane
60
61
People v. Kimura Defence sentencing Act Report 13-14.
Riferito da A.D. Renteln, Cultural Defense, Oxford-New York, Oxford University Press,
2004.
62
People v. Kong Moua No 315972-0 Fresno Sup. Court 1985.
immigrato laotiano della tribù Hmong, che aveva sequestrato e violentato la propria
fidanzata, appartenente alla stessa comunità, in ottemperanza a un rito tradizionale di
celebrazione delle nozze che prevede il matrimonio per cattura (zij poj niam)63. In
base a questo rito, dopo che i promessi sposi si sono scambiati dei doni, una notte il
fidanzato porta via dalla casa dei genitori la futura sposa. Al fine di provare la sua
virtù, questa ritualmente deve dimostrarsi ritrosa e rifiutare di seguire il pretendente,
dicendo che non è pronta al matrimonio, anche se in realtà vuole il contrario. L’uomo,
per provare la sua virilità, deve portarla via con la forza; devono recarsi nella nuova
casa, dove devono trascorrere tre giorni e consumare il matrimonio. In seguito, i
rispettivi clan familiari negoziano i contenuti patrimoniali delle nozze. Nel caso in
questione, il ventunenne Kong Moua aveva tentato di sottrarre la diciottenne Xieng
Xiong dalla sua casa ma il primo tentativo era fallito per l’intervento dei genitori di
lei. In un secondo momento, il ragazzo, aiutato da due suoi amici, la rapì quando si
trovava al Fresno City College, circostanza che indusse i compagni della ragazza a
sporgere denuncia. Qualche giorno più tardi, la polizia andò alla casa di Kong, dove
si trovava anche la ragazza alla quale fu richiesto se fosse trattenuta contro la sua
volontà. Xien Kiong, spinta dal timore verso le forze di polizia, rispose che il
ragazzo era suo marito e che desiderava rimanere con lui. Tuttavia, qualche giorno
più tardi questa lo denunciò per rapimento e stupro. La questione si presentava
complessa: in primo luogo, per l’ambiguità del comportamento della ragazza di fronte
alla polizia e per le incongruenze della sua testimonianza, in base ai quali lo stesso
pubblico ministero non era molto incline a portare il caso in giudizio; in secondo
luogo, il ragazzo si ostinava a dichiararsi non colpevole. Il giudice decise di
derubricare i reati da rapimento e stupro e Moua si dichiarò colpevole di false
imprisoment, un reato meno grave del rapimento e fu condannato a prestare 90 giorni
di servizio (credit for time served) e multato per 1000 dollari.
In realtà quello che era emerso che il ragazzo era caduto in un errore di fatto
(il soggetto ha agito perseguendo un fine che non era quello di compiere un reato),
determinato dall’osservanza dei rituali Hmong, infatti, il rifiuto della ragazza era stato
proiettato in questa dimensione e non in quella ordinaria di diniego espresso alla
proposta di matrimonio. L’errore di fatto come circostanza attenuante è comprensibile
solo se filtrato attraverso la luce dell’appartenenza culturale dell’imputato 64.
I legami esistenti con la comunità di appartenenza possono essere elementi
utili a configurare la violenza impropria finalizzata a coartare la volontà di un
soggetto (duress), il quale si sente obbligato a porre in essere una precisa condotta.
Nel caso australiano Chimney Evans, due giovani uomini aborigeni si erano resi
colpevoli di strangolamento di un uomo che aveva rubato delle importanti pietre
terapeutiche e le aveva vendute a un uomo bianco. La Corte ritenne che un loro rifiuto
a ottemperare a quanto richiesto dagli anziani della tribù avrebbe avuto delle gravi
conseguenze su di loro, pertanto, vennero condannati a un anno di reclusione, mentre i
due complici (mandanti) anziani a due anni. Il giudice disse: “The main contention is
that they acted in accordance with tribal laws and that particularly the younger ones
may have been in a serious position if they had refused to agree to a decision of the
63
Casi analoghi sono avvenuti nelle comunità Hmong, oltre che in California,
in Colorado, Minnesota e Wisconsin
64
A. D. Renteln, op. cit., 128.
elders of the tribe. This may be true enough, but there is a limit to which this court can
accept it as an excuse for what is after all a very serious crime”65.
Nell’ordinamento statunitense anche la legittima difesa è stata interpretata
attraverso i condizionamenti che un singolo individuo può aver subito in base alla sua
appartenenza culturale. In People v. Croy (1990), Patrick “Hooty” Croy, un indiano
di ascendenze in parte rte kart e in parte Shasta viveva a Yreka nel nord della
California, luogo in cui storicamente vi era stata una forte contrapposizione fra la
comunità bianca e quella indiana. Croy e dei suoi parenti erano inseguiti da 27
poliziotti a seguito di una lite sull’ammontare di una spesa fatta in un negozio di
liquori. Durante l’inseguimento, Cory uccise un poliziotto e nel 1979 fu accusato di
omicidio e condannato a morte. Tuttavia, nel 1985, la Corte suprema della California
mutò il verdetto, utilizzando la cultural defense per sostenere la legittima difesa,
infatti, i giudici riconobbero che Croy aveva subito delle pesanti discriminazioni che
lo avevano fortemente condizionato a non nutrire fiducia nelle autorità bianche, che
avevano massacrato i suoi antenati e quindi aveva agito pensando che la sua vita fosse
in pericolo. Il suo avvocato chiamò a deporre un esperto sul razzismo, genocidio e
discriminazione contro gli Indiani Americani e sostenne che “the jury must be
informed and educated about the factors that affect defendant’s perception of danger
and his ability to defend himself, including any physical, psychological, historical or
cultural characteristic that may have possessed” e ritenne che la legittima difesa è
“something of an ‘individualized’ objective standard of reasonableness which
includes the individual’s perception of both apprhension and imminent danger from
the individual’s own persecutive, but involves an objective view by the jurors of those
circumstances”66.
Anche in Canada, nel caso R. v. Mingma Tenzing Sherpa67 uno sherpa,
incriminato per contrabbando di droga, fu condannato a una pena lieve in quanto
aveva introdotto sì delle sostanze stupefacenti ma per conto di un amico (non sherpa)
il quale non gli aveva rivelato l’esatto contenuto del plico. Un antropologo testimoniò
che i rapporti in Nepal si basano sul dovere verso gli amici, che si estrinseca
nell’obbligo di assistenza agli altri e sulla fiducia reciproca, che presuppone che
nessuno chieda ad altri di compiere atti che possano avere degli effetti perniciosi per
sé o per gli altri. Poiché il contrabbando costituisce un’attività consueta in Nepal per
evitare gli asfissianti controlli burocratici alle frontiere, il giudice ritenne che lo
sherpa poteva godere delle attenuanti generiche, tenendo presente le condizioni
culturali in cui era cresciuto e che non aveva consapevolezza di compiere un reato68.
In Germania, l’adesione a un sistema di valori culturali ben precisi è venuta in
rilievo almeno in due casi. Il primo, Amtsgericht Grevenbroich69 riguardava un
immigrato turco che aveva sposato in Germania una connazionale, la quale però si era
rifiutata di andare a vivere con il proprio sposo. Dopo sette mesi, il marito – aiutato da
65
A. D. Renteln, op. cit., 230, nota 32.
A. D. Rentlen, op. cit., 37.
67
July 11, 1986, BC Co Ct, Boyle Co Ct J citata da A. D. Renteln, op.
66
cit, 85.
68
Analoghe conclusioni negli Stati Uniti in U.S. v. Sherpa 99 F3d 1148
(1996), in cui si è tenuto conto dell’arretratezza culturale.
69
24 settembre 1982
dal fratello e da un altro connazionale – rapì sua moglie, che venne poi liberata grazie
all’intervento della polizia. Il giudice, pur ritenendo integrato il reato di sequestro di
persona di cui al§ 239 StGb, assolse gli imputati, ritenendo che fossero ancora legati
alle tradizioni e alle concezioni normative turche e versassero in una situazione di
errore sul divieto ai sensi del § 17 StGB, “giacché ritenevano la loro condotta lecita,
perché in patria essa sarebbe stata approvata dal locale ordinamento giuridico”70.
Secondo il giudice, infatti, tenendo presente il diritto civile turco e la
giurisprudenza turca in tal senso, il marito avrebbe avuto la facoltà di imporre il
proprio domicilio alla moglie e di riportarla anche con la forza qualora essa se ne
fosse allontanata senza il consenso del marito. La Corte aggiunse che l’errore degli
imputati sul divieto non fosse evitabile neppure con una corretta informazione, dal
momento che erano originari di una zona rurale, poco istruiti e per quanto riguardava
il marito il suo arrivo in Germania risaliva a poco più di un anno.
Analogamente, il giudice si dimostrò particolarmente clemente nei confronti di
un imputato accusato di sequestro di persona e violenza sessuale in base alla sua
appartenenza culturale. Il caso71 prendeva spunto dalla vicenda di due giovani curdi,
appartenenti alla comunità religiosa degli Yazidi (una corrente scismatica dell’Islam
diffusa fra i curdi), immigrati in Germania e conviventi con le rispettive famiglie.
Queste ultime premevano per un fidanzamento fra i due, che venne celebrato con una
grande festa. La ragazza però aveva già un fidanzato segreto e in un momento
successivo ruppe il fidanzamento con il suo connazionale. Questo per salvare la
promessa di matrimonio, aiutato da un fratello e da un cugino, decise di rapire la
ragazza, di portarla in un’abitazione lontana e di convincerla a sposarla. Questo
stratagemma – anche a seguito di minacce – fu coronato dal successo e la ragazza
acconsentì a sposarlo, tuttavia, il suo connazionale le chiese di provare la sua volontà,
consistente nella consumazione di un rapporto sessuale, in modo che la rottura
dell’imene testimoniasse l’irreversibilità dell’unione fra i due, così come è previsto
dalle tradizioni della loro comunità religiosa. La ragazza subì il rapporto e quando
arrivarono i suoi genitori per salvarla, si rallegrarono del fatto e dell’imminente
matrimonio. Tuttavia, la ragazza denunciò i fatti e sposò invece il fidanzato segreto.
La condanna dell’imputato fu solo di due anni di reclusione con la sospensione
condizionale, in quanto si valutò che l’imputato aveva agito per “soddisfare
l’aspettativa di un imminente matrimonio, sorta nella sua famiglia per effetto delle
promesse che i due giovani si erano scambiate solennemente durante la cerimonia
ufficiale di fidanzamento, sicché il vero autore morale del reato sarebbe la famiglia
che premeva in tale direzione, tant’è che egli non avrebbe nemmeno ricercato il
proprio piacere nel rapporto sessuale incriminato”72. Pertanto, il giudice “poteva
valutare, ai fini di una mitigazione della pena, il fatto che l’imputato – come la vittima
– provenisse da un altro ambito culturale, sicché si trovava sotto pressione per le
aspettative della sua famiglia e pertanto aveva dovuto superare una soglia inibitoria
minore per la commissione del reato”73.
70
F. Basile, op. cit.
71
(Bundesgerichtshof 1° febbraio 2007 Causa 4 StR 514/06 in
www.bundesgerichtshof.de)
72
73
F. Basile, op. cit.
F. Basile, op. cit.
5. Riflessioni conclusive
La ricostruzione effettuata fino adesso mostra come i singoli ordinamenti
si trovino a essere plasmati da altri sistemi giuridici e non. La conseguenza di
tale ibridazione, soprattutto se facciamo riferimento ai fenomeni di integrazione
sovranazionale, si risolve in un certo grado di uniformità, sintetizzata dalla
giurisprudenza della corte di Giustizia delle comunità europee nella nota formula:
tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.
Tale commistione conduce inevitabilmente a un’uniformità applicativa e a
una certa osmosi che rende un prodotto giuridico omogeneo nei suoi elementi
essenziali. Siffatto processo è in parte influenzato dai processi di integrazione
economica e di globalizzazione, in quanto i flussi economici mettono in
comunicazione i sistemi giuridici e politici a base territoriale e fungono da tessuto
connettivo per tutti gli attori che agiscono sullo scenario economicocommerciale, che sembrano mostrare insofferenza verso la difformità e
l’eterogeneità.
Se la progressiva tutela delle libertà nel mondo si doveva nel passato
all’affermazione del pensiero illuminista connesso all’universalismo dei diritti,
attualmente, il catalizzatore del processo di tutela dei diritti sembra avere una
matrice liberista, che favorirebbe la nascita di un diritto transnazionale. In questo
ambito, il diritto comparato può essere uno strumento di promozione, in quanto
può suggerire ai giudici le potenzialità del proprio ordinamento giuridico,
costituendo una finestra dalla quale muovere uno sguardo su altri sistemi legali.
L’armonizzazione sfuma e appiattisce le diversità ma ciò può essere
percepito come un’affermazione dell’egemonia della maggioranza, a scapito della
tutela delle minoranze. Siffatto profilo però pare essere attenuato da altri
contestuali fenomeni emergenti, che attenuano logiche totalizzanti, tant’è che si
assiste a una sorta di ossimoro nella sfera di produzione del diritto: da una parte
la globalizzazione spinge alla ricerca di norme e standards il più possibili comuni
e dall’altra si assiste anche all’applicazione di regole prodotte dal particolarismo
dei territori74 e da gruppi connotati etnicamente o culturalmente che sono
rilevanti solo in specifici contesti.
Tuttavia, non si tratta solo di eterogenee fonti di produzione ma anche di
un fenomeno in cui sfuma la distinzione fra norma e fatto, per la quale la
descrittività prevale sulla precettività e quindi si palesa il pericolo di una certa
anomia, così come testimoniato dall’applicazione della difesa culturale nei
processi.
I flussi comunicativi possono essere sì utili per ampliare gli orizzonti giuridici
degli organi giurisdizionali e favorire l’implementazione del multiculturalismo, in
quanto i sistemi che si aprono al pluralismo culturale - e conseguentemente legale –
preservano le diversità e possono favorire la tolleranza nelle società e la coesistenza
pacifica delle minoranze significativamente presenti nei vari ordinamenti; tuttavia, la
penetrazione di regole non giuridiche finisce per trasformare il ruolo del giudice, il
74
L. Volpe, op. cit.
quale non solo deve fare riferimento a un sistema policefalo di norme, non più
ordinato dal principio gerarchico, ma anche ai mores del luogo o della comunità di
riferimento, generando uno strabismo giurisdizionale, talvolta non riconducibile a
un’unicità di vedute.
L’ampia gamma di scelta delle norme da applicarsi finisce per incrinare anche
la funzione nomofilattica delle supreme corti nazionali, le quali dimostrano di essere
in difficoltà nella difficile opera di ricomposizione del sistema, il quale non può più
essere animato dalle aspirazioni delle codificazioni nazionali ottocentesche, che
ambivano a sfidare il tempo e che erano basate sul legal centralism e sulla statualità
del diritto75.
Lo sforzo nel ricomporre un quadro unitario legale scosso dall’eterogeneità
delle fonti è testimoniato da una recente riforma dell’ordinamento belga, che con la
loi spéciale modifiant l’article 26 de la loi spéciale del 6 gennaio 1989 sulla Cour
d’Arbitrage, approvata il 31 luglio 2009 ed entrata in vigore il 10 agosto successivo,
ha stabilito che i giudici sono obbligati a sollevare una questione pregiudiziale di
legittimità costituzionale di fronte alla Corte costituzionale nei casi in cui vi sia una
controversia relativa alla violazione di un diritto da parte di una legge, decreto od
ordinanza sancito dalla Costituzione e dai Trattati internazionali. Il disposto
legislativo è stato approvato per porre termine a indirizzi discordanti giurisprudenziali
in tema di diritti; infatti, in Belgio tutti i giudici potevano operare un controllo diffuso
sugli atti interni rispetto alla normativa internazionale, mentre la Corte costituzionale
limitava il suo controllo solo al rispetto della fonte costituzionale, tuttavia questa
dicotomia aveva condotto a interpretazioni discordanti e configgenti proprio in tema
di diritti76.
Infine, non possono essere taciuti però i rischi di fenomeni di transplantation
giuridico o di adeguamento a normative internazionali o sovranazionali. Infatti, gli
ordinamenti non sempre sono in grado di recepire fonti eteronome con estrema
fluidità, in quanto l’utilizzo di soluzioni giuridicamente interessanti viene
inevitabilmente filtrato dalla cultura autoctona, non essendo le acquisizioni giuridiche
realizzate in altri paesi assimilabili alle scoperte scientifiche in senso stretto, le quali,
invece, una volta raggiunte divengono patrimonio comune e costituiscono la base di
partenza per evoluzioni future.
In questo senso, paiono particolarmente efficaci le parole della Corte suprema
canadese, a proposito della duplicità di orientamenti fra Stati Uniti e Canada: Mc
Queen v. Keegstra77 in cui si sottolinea: “While it is natural and even desirable for
Canadian court to refer to American constitutional jurisprudence in seeking to
elucidate the meaning of Charter guarantees that have counterparts in the United
states Constitution, they should be wary of drawing too ready a parallel between
75
Molto efficaci restano le parole di MacCormick, che sottolineano come sia indefettibile la necessità
“to escape from the idea that all law must originate in a single power source, like a sovereign, is thus to
discover the possibility of taking a borader, more diffuse, view of law”, N. MacCormick, Beyond the
Sovereign State in MLR 56, 1993, 8 s.
76
Sulla questione si veda G. Angiulli, BELGIO – Riconosciuto il primato della Corte costituzionale
nel giudizio di conformità delle leggi, dei decreti e delle ordinanze alle norme costituzionali e
convenzionali
di
tutela
dei
diritti
fondamentali,
in
Palomar,
n.
39
http://www.unisi.it/dipec/palomar/palomar.html#belgio
77
(1990, 3 S.C.R. 697, 740) ma anche Rahey v. The Queen (1987, 1 S.C.R. 588 639),
constitutions born to different countries in different ages and in very different
circumstances…”