La funzione del giudice nel crescente processo di osmosi fra
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La funzione del giudice nel crescente processo di osmosi fra
La funzione del giudice nel crescente processo di osmosi fra ordinamenti (Eleonora Ceccherini, Università degli studi di Genova) Sommario: 1. La circolazione delle esperienze costituzionali: fra modelli consolidati ed elementi di novità. 2. Rapporti fra potere giudiziario e legislativo nel costituzionalismo attuale. 3. Il giudice fra ordinamento interno e fonti extra ordinem. 3.1 L’influenza dell’ordinamento internazionale sulla domestic jurisdiction. 3.2 L’utilizzo dei precedenti stranieri da parte degli organi giurisdizionali.4. L’introduzione negli ordinamenti nazionali di regole non giuridiche. 5. Riflessioni conclusive. 1. La circolazione delle esperienze costituzionali: fra modelli consolidati ed elementi di novità Gli ordinamenti giuridici non si sono mai configurati come delle monadi ma sono nati e sviluppati grazie a influenze reciproche. Nel passato tali commistioni si erano realizzate attraverso processi di circolazione di conoscenze maturate in ambiti culturali e ideologici ben precisi, che poi avevano trovato espresso accoglimento in documenti solenni. Agli albori del costituzionalismo emergono palesemente le connessioni fra le dichiarazioni dei diritti francesi e statunitensi. La formulazione dell’art. 1 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino: “les hommes naissent et demeurent libres et egaux en droits…”, è tributaria degli enunciati delle Dichiarazioni della Virginia (29 giugno 1776) e della Pennsylvania (28 settembre 1776), che proclamavano che tutti gli uomini sono nati egualmente liberi ed eguali1. I rivoluzionari francesi, infatti, conoscevano i testi delle Dichiarazioni americane, tant’è che un deputato, il 18 agosto 1789, esortò i suoi colleghi a non dimostrare un atteggiamento passivo rispetto gli esiti realizzatisi oltre atlantico e sottolineò che “ne doit pas suivre servilmente et se bornerà l’exemple des États-Unis“. Analogamente, i Padri fondatori statunitensi conoscevano le esperienze costituzionali straniere: nel Federalist, i riferimenti all’ordinamento spagnolo sono ben otto e a quello olandese sei. In seguito, un esempio rilevante di circolazione è costituito dalla diffusione del codice civile francese, approdato in molti paesi europei a seguito delle campagne napoleoniche. A testimonianza dell’importanza dei conflitti bellici anche nel più recente passato, si può annoverare l’influenza delle potenze alleate, dopo la seconda guerra mondiale, sulle scelte costituzionali di paesi come Giappone e Germania; come, più recentemente, altrettanto di rilievo sono stati gli influssi di Stati occidentali sulla determinazione di assetti ordinamentali di paesi come la Bosnia-Herzegovina, la Namibia, Cambogia o Timor Est2. 1 Mentre la Dichiarazione dei diritti del Massachuttes (2 marzo 1780) risentiva profondamente della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese, recitando che tutti gli uomini sono nati liberi ed eguali. 2 Si fa espresso riferimento al cosiddetto fenomeno delle Costituzioni eterodirette in cui l’esercizio del potere costituente non si configura come un processo endogeno a carattere nazionale ma in gran parte plasmato dall’intervento di paesi stranieri oppure di organizzazioni internazionali: G. De Gli ordinamenti costituzionali interni vengono a essere plasmati non solo da quelli nazionali sotto molteplici forme ma anche da quello internazionale che fa venire meno l’assioma per il quale il diritto costituzionale è il prodotto di una propria specifica comunità politica, quindi un fenomeno essenzialmente nazionale e perciò non esportabile. Le fonti internazionali, infatti, possono costituire un importante strumento di influenza sui costituenti (o i legislatori) nazionali soprattutto se i contenuti normativi risultano condivisi a livello generale. Il caso canadese costituisce un’esemplificazione di quanto affermato, in quanto l’ordinamento internazionale ha promosso significativamente il processo di codificazione dei diritti perfezionato con l‘approvazione della Carta dei diritti e delle libertà nel 1982. Il paese d’oltreatlantico fino a quella data non disponeva di un bill of rights di rango costituzionale ma dopo la Seconda Guerra Mondiale aveva aderito a molte organizzazioni internazionali, che avevano adottato una pluralità di convenzioni e trattati internazionali sul rispetto dei diritti umani, fra cui la Carta delle Nazioni Unite del 1945, la Dichiarazione universale dei diritti umani, il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali. La rilevanza di queste fonti è palpabile nella lettura delle audizioni davanti al comitato parlamentare congiunto fra il 1980 e il 1982, che precedettero la predisposizione del testo della carta dei dritti e delle libertà3. Ai costituenti canadesi, inoltre, era molto presente il testo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, - ratificata dal Regno Unito nel 1951 – relativamente alla formulazione della clausola limitativa dei diritti4. Anche nel continente europeo, si assiste a una mutuazione delle fonti dell’ordinamento internazionale, per quanto concerne le codificazioni costituzionali. Un esempio in tal senso può essere la Carta dell’ambiente francese del 2004 che è stata approvata con legge costituzionale n. 2005-205 del 1° marzo 2005. L’art. 7 della Carta, che prevede il diritto di ciascuno ad accedere alle informazioni relative all’ambiente custodite dall’amministrazioni pubbliche, è largamente ispirato al principio 10 della Dichiarazione di Rio del 1992, ripreso dalla Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ratificata dalla Francia nel 2002, sull’accesso all’informazione, la partecipazione pubblica al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia di ambiente. Vergottini, Le transizioni costituzionali, Bologna, Il Mulino, 1998, 164 ss. ; G. G. Floridia, Il costituzionalismo “a sovranità limitata” tra paradosso e necessità, in R. Orrù, L. G. Sciannella (curr.), Limitazioni di sovranità e processi di democratizzazione, Torino, Giappichelli, 2004, 1 ss.; N. Maziau, Le costituzioni internazionalizzate. Aspetti teorici e tentativi di classificazione, in DPCE, 4, 2002, 1397 ss.; G. Gerbasi, La costituzione internazionale della Bosnia-Erzegovina e il difficile equilibrio fra sovranità etnica e diritti fondamentali della persona, in S. Gambino (cur.), Europa e Balcani. Stati Culture Nazioni, Padova, Cedam, 2001, 285 ss.; J. Woelk, La transizione costituzionale della Bosnia ed Erzegovina. Dall’ordinamento imposto alla Stato multinazionale sostenibile?, Padova, Cedam, 2008, in particolare, 79 ss.; sia consentito rinviare anche a E. Ceccherini, La codificazione dei diritti fondamentali nelle recenti costituzioni, Milano, Giuffrè, 2002, 63 ss. 3 Sul processo di adozione della carta dei diritti e delle libertà: P. Russel, Constitutional Odyssey. Can Canadians Become a Sovereign People?, Toronto, University of Toronto Press, 2004 e sia consentito rinviare a E. Ceccherini, Il processo di adozione della Carta dei diritti e delle libertà: un processo costituente a tappe, in G. Rolla (cur.), L’apporto della Corte suprema alla determinazione dei caratteri dell’ordinamento costituzionale canadese, Milano, Giuffrè, 2008 3 ss.. 4 Il riferimento è alla sec. 1 della Carta in cui si dispone che sono legittimi i limiti ai diritti consentiti in una società libera e democratica. In base a queste sommarie ricostruzioni, è evidente che i sistemi giuridici sono stati - e continuano a essere - porosi e i confini territoriali non hanno costituito barriere in grado di arginare la circolazione delle idee. La frase: “L’innovazione creativa è un fatto relativamente eccezionale”5 sembra essere particolarmente rappresentativa di questa lettura. Tuttavia, i recenti sviluppi del costituzionalismo mostrano come questo processo abbia assunto delle connotazioni diverse rispetto al passato. 2. Rapporti fra potere giudiziario e legislativo nel costituzionalismo attuale Nel passato, l’osmosi fra ordinamenti sembrava recare con sé conseguenze sul diritto positivo, lasciando poi la sua interpretazione e applicazione agli organi giurisdizionali domestici. Pertanto, il processo sembrava essere univoco e in senso centripeto, cioè dall’esterno verso interno; ne risultava un diritto, che era il frutto di una metabolizzazione, in cui erano rintracciabili le vestigia esogene ma che poi si declinava a seconda dell’ordinamento nazionale in cui veniva a dispiegare i propri effetti. Le coordinate di riferimento sembrano attualmente modificarsi nel momento in cui emerge una pluralità di centri di poteri normativi in cui quello legislativo perde il suo ruolo esclusivo di produttore di norme e di strumento di garanzia dei diritti. Lo Stato liberale nasceva per limitare il potere assoluto e arbitrario e tale obiettivo veniva raggiunto attraverso lo strumento della legge, come atto fondamentale caratterizzato dalla generalità e l’astrattezza e in questo senso, il potere legislativo costituiva la sede privilegiata per la tutela dei diritti. Attualmente anche a seguito di un’evoluzione storica che ha visto un’affermazione più significativa della separazione dei poteri e della configurazione più netta del potere giudiziario, sembra che la fonte legale non sia più la sola in grado di garantire i diritti. La legge, che costituisce il compromesso fra le forze politiche e sociali prevalenti ma sostanzialmente omogenee, stenta a essere riconosciuta come norma valevole erga omnes e soprattutto in grado di offrire una soluzione adeguata per qualsiasi fattispecie concreta. Tale esito si spiega con il fatto che le società non sono più sostanzialmente coese come nel passato ma costituiscano un variegato puzzle di soggetti che si richiamano a ideali e valori anche molto diversi (se non antitetici rispetto alla maggioranza della comunità dove vivono). La generalità e l’astrattezza, che sono i profili caratterizzanti le norme mal si attagliano al coacervo di fattispecie concrete, le cui regolazioni non possono essere raggiunte con un compromesso legislativo, data l’eterogeneità delle componenti sociali e politiche difficilmente riconducibili a una matrice unitaria, necessaria per l’approvazione di una norma. Il processo di accomodation sembra più arduo e complesso a livello legislativo ed è per questo che il parlamento e la sua fonte non sono più in grado di rispondere adeguatamente alle difficoltà del presente e alle molteplici sfide che si presentano loro. In questo quadro, la funzione giurisdizionale si dimostra più idonea a lenire le lacerazioni che si producono all’interno della comunità, proprio perché solo strutturalmente atte a risolvere un caso concreto, 5 R. Sacco, voce Circolazione e mutazione dei modelli giuridici, in Dig. civ., vol. 2, Torino, Utet, 1988, 368. specifico in cui il conseguimento del compromesso è più agevole. In sostanza, una sentenza presenterebbe caratteristiche più adeguate rispetto alla legge, poiché non avrebbe la pretesa di fornire una soluzione valevole per ciascuno e per qualsivoglia fattispecie astratta ma si limiterebbe a offrire un esito a una controversia, le cui conseguenze non avrebbero una portata universale ma particolare. Anche laddove il legislatore intervenga, il giudice può talvolta operare in modo da neutralizzare alcuni effetti della norma, pur non rinnegandola: si assiste a un fenomeno in cui “il formante giurisprudenziale (…) arriva talvolta a sostituirsi a quello legislativo, il quale rimane esistente, legittimo ed efficace, ma a ragione della sua eccessiva rigidità, viene “messo da parte” in quanto considerato non adatto a fornire una soluzione considerata, dai giudici, dalle giurie, talvolta perfino dalla pubblica accusa, equa rispetto alle specificità del caso prospettato. Pare emergere, insomma, un fenomeno secondo cui una regola che rimane formalmente vigente è sostanzialmente disapplicata, producendo una non comune distanza fra the law in the books e the law in action”6. In questa ottica, l’inerzia del legislatore di fronte alle sfide contemporanee relative ai grandi temi particolarmente controversi in questo periodo, come ad esempio, la bioetica o il multiculturalismo7 sembra più comprensibile e meno colpevole, in quanto rende testimonianza dell’inadeguatezza della sua funzione, poiché incapace di generare quel tessuto connettivo, che nel passato era reso possibile dalla condivisione di valori comuni. Ed è per questo che sembra convincente la riflessione di chi inquadra il potere giudiziario “quale organo di una società civile aperta, tanto cosmopolita, quanto globale, organo per eccellenza ‘comunicatore’”8. In questo quadro, la volontà generale non è più in grado di adottare leggi generali ed astratte, per cui i conflitti che emergono nelle società pluraliste debbono essere risolti dagli organi giurisdizionali, per i quali sembra più facile trovare un compromesso. Pertanto, la rinnovata funzione del giudice costituisce il profilo di maggior interesse in questa fase del costituzionalismo, in cui il potere giudiziario non si configura più come un potere nullo, secondo la visione proposta da Montesquieu ma un’istanza unificatrice, di supplenza rispetto al potere legislativo, facendo venire meno le eventuali lacune dell’ordinamento9. 6 C. Casonato, Il consenso informato, cit. Soprattutto sul tema della bioetica le difficoltà degli organi rappresentativi a raggiungere un compromesso condiviso è testimoniato efficacemente in C. Casonato, Il consenso informato, cit., in cui si afferma: “Inghilterra e Galles si muovono verso una tendenziale impunità di alcune condotte di abetting suicide; impunità che però non è prevista in termini generali e astratti, ma deve sempre essere verificata ex post e alla luce delle specificità dei casi concreti“;C. Baron, La bioetica e la legge negli Stati Uniti: prospettive per i processi giudiziari, in T. Groppi, E. Ceccherini (cur.), Bioetica e diritti, Napoli, ESI , 2010 (in corso di pubblicazione). 8 L. Volpe, La giurisprudenza come itinerario comunicativo tra sistemi di diritto, in questo stesso volume. 9 Talvolta i rapporti fra potere legislativo e giudiziario sono in collisione, soprattutto in ambiti molto delicati come la bioetica; basti pensare in Italia al complesso caso Englaro, in cui le due Camere (deliberazione della Camera dei deputati del 31.07.08; deliberazione del Senato della Repubblica del 01.08.08) hanno deliberato di proporre un conflitto di attribuzione nei confronti della sentenza della corte di Cassazione del 16.10.07 e del decreto della Corte d’appello del 25.06.08 che riconosceva il diritto a ciascuno di rifiutare un trattamento di mantenimento in vita. Sul tema, per tutti, si veda: T. Groppi, Il caso Englaro: un viaggio alle origini dello Stato di diritto e ritorno, in T. Groppi, E. Ceccherini (cur.), op. cit. 7 Milita a favore di questa ricostruzione l’intuizione di chi ha sottolineato come le fonti politiche sia affiancate da fonti culturali (in particolare quelle giurisprudenziali), che si “realizzano quando le norme giuridiche vengono desunte dall’esperienze del passato (consuetudine, precedente) oppure dall’analisi razionale dei fenomeni giuridici (dottrina, giurisprudenza) sul presupposto che il diritto non costituisca soltanto l’attuazione della volontà del sovrano – sia questo popolo, un’assemblea o un tiranno – ma risponda altresì ad un bisogno di giustizia razionalmente determinata”10. 3. Il giudice fra ordinamento interno e fonti extra ordinem La sovraesposizione del giudice non costituisce però un fenomeno di semplice riponderazione fra i poteri supremi dello Stato, in cui quello giudiziario sembra prevalere rispetto a quello legislativo. Tale passaggio si traduce anche in un mutamento delle fonti di riferimento dell’attività giurisdizionale, la quale nel passato era orientata solo ed esclusivamente dalle fonti del diritto positivo interne: “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” recita l’art. 111 della costituzione italiana. Attualmente, il giudice deve, invece, ricostruire la norma applicabile non solo guardando all’ordinamento interno ma rivolgendo lo sguardo altrove verso gli ordinamenti sovranazionale, internazionale, stranieri o addirittura extragiuridici11. In sostanza, gli Stati sembrano aver perso il monopolio esclusivo di produzione delle fonti; pertanto, le fonti del diritto positivo si trovano a essere affiancate da quelle che sono state definite fonti culturali, come consuetudine, precedente, dottrina e giurisprudenza12. 3.1 L’influenza dell’ordinamento internazionale sulla domestic jurisdiction L’influenza dell’ordinamento internazionale sugli organi giurisdizionali interni sta progressivamente aumentando e si sta configurando sotto il profilo di logiche di “cooperazione e di integrazione piuttosto che di coesistenza e potenza”13 come era stato prevalentemente in passato. In questa ottica, le relazioni internazionali - e le eventuali controversie - sono declinate anche attraverso l’azione di organi giurisdizionali o arbitrali, tant’è che in base alle indicazioni del Project on International Courts and Tribunals, sussisterebbero nel mondo almeno 125 istituzioni internazionali le cui decisioni possano far scaturire degli effetti sulle giurisdizioni 10 A. Pizzorusso, Sistemi giuridici comparati, Milano, Giuffrè, 1998, 263. In generale sul tema: A. Eide, Sovereignity and International Efforts to Realize Human Rights, in A. Eide, B. Hagtvet (eds.), Human Rights in Perspective, Oxford, Blackwell, 1992, 3 ss. 12 Sul tema oltre A. Pizzorusso, op. cit., 263, si veda G. Martinico, L’integrazione silente. La funzione interpretativa della Corte di giustizia e il diritto costituzionale europeo, Napoli, Jovene, 2009, 6. 13 M. Mistò, Diritti umani e organizzazioni internazionali economiche: il caso dell’Inspection Panel della Banca Mondiale, in DPCE, 1, 2002, 143; E. U. Petersmann, From the Hobessian International Law of Coexistence to Modern Integration Law: the WTO Dispute Settlement System, in Journal of Int’l Econ. L., 1998, 1, 175 s. 11 domestiche14. Pertanto, i poteri statali nazionali si troverebbero a essere condizionati in maniera più o meno rilevante da ordinamenti esogeni. L’esempio della normativa comunitaria e della giurisdizione della Corte di giustizia delle Comunità Europee costituiscono un paradigma orami noto (e perciò non approfondito dall’unità di ricerca senese), ma anche in altri ambiti territoriali di riferimento emergono a livello comparato delle convergenze. Nell’area nordamericana, a seguito dell’entrata in vigore del North American Free Trade Agreement (Nafta) è possibile attivare la general dispute settlement procedure (art. 20 del trattato), qualora vi siano delle controversie riguardanti l’interpretazione e l’applicazione del Trattato15. In primo luogo, è possibile realizzare una consultazione sotto i buoni offici della Free Trade Commission e qualora questo tentativo di mediazione non abbia successo, vi è la facoltà di istituire un collegio arbitrale16, i cui awards sono vincolanti. Il Trattato prevede, inoltre, al chapter 11 la facoltà per un investitore straniero di utilizzare uno dei meccanismi arbitrali17 previsti qualora ritenga che uno stato contraente violi le disposizioni del Trattato. Nonostante i lodi non siano cogenti per le autorità giurisdizionali degli Stati, le loro conclusioni possono avere come conseguenza l’erogazione di sanzioni pecuniarie nei confronti delle autorità statuali firmatarie dell’accordo e possono fungere da moral suasion18. Ai fini della ricostruzione della questione che vede l’esercizio di una forte influenza degli ordinamenti internazionale e sovranazionale sui pubblici poteri nazionali, pare rilevante l’esperienza del sistema olandese, in cui, in base alla lettura congiunta degli artt. 91-95 Cost., le norme internazionali pattizie avrebbero maggior forza giuridica sia sulle disposizioni legali che sulla stessa Costituzione, qualora siano self-executing, in questo modo sarebbero “binding on all persons by virtue of their contents”. La Corte suprema olandese ha precisato che i disposti internazionali debbano dispiegare effetto diretto di fronte al potere giudiziario e ha ritenuto che la convenzione europea dei diritti dell’uomo così come interpretata dalla corte di Strasburgo presentasse tale requisito, consentendo ai giudici di disapplicare la 14 Su questo tema si veda recente: S. Cassese, Il diritto globale, Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Torino, Einaudi, 2009, 11. 15 Procedure arbitrali ad hoc sono previste dal chapter 14 se le questioni riguardano i servizi finanziari e dal chapter 19 se la questione è inerente ai doveri di anti-dumping and countervailing. 16 Il collegio è composto da 5 esperti indipendenti: due ciascuno sono indicati dalle parti mentre vi deve essere un accordo congiunto per il presidente. 17 Il chapter 11 individua a tal uopo: il Word Bank’s International Center for the Settlement of Investment Diputes (ICSID); il ICSID’s Additional Facility Rules e le Rules of the United Nations Commission for Internationall Trade Law (UNCITRAL rules). Resta ferma la possibilità per l’investitore di rivolgersi agli organi giurisdizionali domestici. 18 In Loewen Group Inc. v. United States (ICSID (W. Bank) (Case no. ARB(AF)/98/3), gli arbitri hanno riconosciuto che vi fosse stato una violazione del minimo standards di giustizia nei procedimenti giurisdizionali svoltisi nel Missipi che avevano condannato l’impresa in primo grado al pagamento di 500 milioni di dollari e dalla corte suprema dello Stato a 625 milioni. Il ricorso proposto da un ente locale contro un’impresa canadese riguardava il rispetto di clausole contrattuali e la normativa anti-trust. L’organismo internazionale ha ritenuto che il processo statunitense: fosse “so flave that it constituted a miscarriage of justice amounting to a manifest injustice as that expression is understood in international law”. Inoltre, il collegio arbitrale ha stabilito che i $ 400 milioni di punitive damages inflitti erano una cifra palesemente sproporzionata al danno effettivamente sofferto. normativa interna incompatibile con la Convenzione19. L’art. 55 della costituzione francese, introducendo il controllo di convenzionalità, autorizza i giudici ad applicare la norma internazionale (purché regolarmente ratificata o approvata) rispetto alla disposizione legale interna confliggente, riconoscendole quindi un’efficacia superiore alle leggi, che pure rimangono formalmente vigenti nell’ordinamento20. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la permanenza di norme contrastanti con obblighi internazionali possa produrre la responsabilità dello Stato per danni21 e che correrebbe l’obbligo al Parlamento di rimuovere la suddetta norma e al Governo di non dare applicazione alla stessa in via regolamentare22. In Austria, dove come è noto la CEDU riveste rango costituzionale, la giurisprudenza non si limita all’applicazione diretta dell’atto normativo ma integra il parametro con la giurisprudenza di Strasburgo23. Rimanendo sempre nell’ambito europeo, la rilevanza del sistema Cedu sull’attività dei giudici è stata particolarmente evidente nel Regno Unito. L’incorporazione del trattato internazionale attraverso lo Human Rights Act del 199824 sottolinea efficacemente come sussista una compenetrazione fra ordinamento domestico e quello internazionale e soprattutto come il sistema internazionale di protezione dei diritti abbia messo in crisi il principio della sovranità del Parlamento che è sempre assolutamente consolidato e strenuamente difeso dalle autorità britanniche25. L’incorporation della Convenzione con lo Human Rights Act impone di conciliare gli atti normativi interni di rango primario con le disposizioni ivi contenute. I giudici, infatti, in base all’art. 3 dell’Act sono obbligati a interpretare la legge statale 19 G. Gerbasi, D. Loprieno, L’apertura del diritto costituzionale al diritto internazionale dei diritti umani negli ordinamenti dell’Europa continentale, in DPCE, 2002, 1096 s.; T. Koopmans, La convention européenne des droits de l’homme et le juge néerlandais, in Rev. intern. dr. comp., 1999, 23. 20 Sul tema, per tutti si veda: P. Costanzo, La “nuova” Costituzione della Francia, Torino, Giappichelli, 2009, 436 s. 21 Dec. n. 279522 dell’8 febbraio 2007, M. X, P. Costanzo, op. cit., 438. 22 Dec. n. 195354 del 24 febbraio 1999, Association de patients de la médecine d’orientation anthroposophique, P. Costanzo, op. cit., 438. 23 G. Gerbassi, D. Loprieno, op. cit., 1098. 24 Sul tema in generale dell’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: L. Montanari, I diritti dell’uomo nell’area europea fra fonti internazionali e fonti interne, Torino, Giappichelli, 2002. Più specificamente sull’esperienza inglese: G.F. Ferrari, La Convenzione europea e la sua “incorporation” nel Regno Unito, in DPCE, 1, 1999, 125 ss. ; P. Leyland, Human Rights Act 1998: riportare i diritti a casa?, in Quad. cost., 2000, 83 ss.; F. Rosa, Lo Human Rights Act e il processo di internazionalizzazione dei diritti fondamentali, in Pol. dir., 2000, 679 ss.; R. Ford, Human Rights in the U.K: Some lessons from the Canada, in Statute L. Rev., 20, 1999, 239 ss.; A. R. García, I. Torres Muro, La ley britanica de derechos humanos (Human Rights Act 1998): una evolución a conciencia, in Rev. esp. der. adm., 105, 2000, 5 s.; J. L. Black-Branch, The Derogation of Rights Under the UK Human Rights Act: Diminishing International Standards, in Statute L. Rev., 22, 1, 2001, 71 ss.; A. Kavanagh, Constitutional Review Under the UK Human Rights Act, Cambridge, Cambridge University Press, 2009; M. Patrono, La forza dei diritti. Il Regno Unito dalla Rule of Law allo Human Rights Act del 1998: sulle tracce di un lungo inseguimento, in Nomos, 1, 2004, 15 ss. 25 A. W. Bradley, La sovranità del parlamento in eterno, in Giur. cost., 1996; N. Bamforth, Parliamentary Sovereignty and the Human rights Act 1998, in Publ. L., 1998, 572 ss. con le norme della convenzione e tale operazione ermeneutica deve svolgersi tenendo conto del “judgement, decision, declaration or advisory opinion of the European Court of Human Rights” (art. 2 HRA). Pertanto, tutta la legislazione precedente e successiva all’adozione dello Human Rights Act deve essere letta attraverso la lente di Strasburgo, anche a costo di forzare il dato letterale (purposive approach)26. Qualora ciò non sia possibile, in base all’art. 4 dello Human Rights Act, i giudici possono adottare una dichiarazione di incompatibilità fra la disposizione interna e la convenzione. La prima continuerà ad essere valida ed efficace, tuttavia il Ministro competente in presenza di compelling reason può con order rimuovere il contrasto modificando la legislazione incompatibile. Se le norme sono state adottate in forma di order in council, la procedura si svolge mediante il rito del King in council. Tuttavia, un elemento che corrobora l’ipotesi iniziale dalla quale siamo partiti e cioè della pregnante influenza dell’ordinamento internazionale su quelli interni è costituito dalle modalità attraverso le quali il Regno Unito consente la riapertura del giudicato penale interno a seguito di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Infatti, in base alla lettura coordinata e sistematica dello Human Rights Act del 1998, del Criminal Appeal Act del 1968 e del Criminal Appeal Act del 1995, che ha istituito la Criminal Cases Review Commission è ammissibile “pur in assenza di una specifica, apposita previsione” 27seppure a determinate condizioni e con particolari limiti dalle Corti di appello, riaprire i processi che hanno avuto origine da casi rinviati dalla commissione sopra citata. Particolarmente significativo dell’influenza della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sugli organi giudiziari interni è l’esempio della Spagna, il cui art. 10.2 della Costituzione impone che le norme relative ai diritti fondamentali e alle libertà riconosciute nel testo costituzionale devono essere interpretate in conformità con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e i trattati e gli accordi internazionali sulle stesse materie ratificate dalla Spagna. In base a questo disposto emerge un obbligo di interpretazione conforme che il Tribunale costituzionale ha adottato (anche se ha ribadito che le fonti internazionali non possono essere utilizzate per ampliare il catalogo dei diritti fondamentali che resta quello sancito nel testo costituzionale)28. E anche nell’ordinamento iberico - come nel Regno Unito - la questione dell’esecutività delle sentenze della corte di Strasburgo ha trovato una soluzione nel diritto vivente. Il Tribunale costituzionale spagnolo, infatti nella sentenza a seguito di recurso de amparo n. 245 del 16 dicembre 1991 ha ritenuto di annullare la sentenza di condanna, con successivo svolgimento di un altro processo a seguito di una pronuncia di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, poiché l’esecuzione 26 P. Leyland, Reflections on “Routes of communication in contemporary Constitutionalism”, in questo stesso volume. 27 V. Sciarabba, La “riapertura” del giudicato in seguito a sentenze della Corte di Strasburgo: profili di comparazione, in DPCE, 2, 2009, 924. 28 A. E. Perez Luño, Derehos humanos, estado de derechos y constitución, Madrid, Tecnos, 2005, 309; A. Saiz Arnaiz, La apertura constitucional al derecho internacional y europeo de los derechos humanos. El articulo 10.2 de la Constitución española., Madrid, Consejo General del Poder Judicial, 1999; I. Gómez Fernández, Conflicto y cooperación entre la constitución española y el derecho internacional, Valencia, Tirant Lo Blanch, 2005; A. Rodriguez, The European Convention on Human Rights in the Domestic Legal Order of Italy and Spain: A Comparison, in Jahrbuch des öffentlichen Rechts der Gegenwart, 49, 2001, 387 ss. della sentenza interna era configurabile come contraria all’ordine costituzionale spagnolo, per la cui interpretazione i giudici devono conformarsi, oltre che alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, ai trattati e agli accordi internazionali in materia di diritti e libertà fondamentali rettificati dalla Spagna (art. 10, c. 2 della Costituzione spagnola). Occorre però osservare che lo stesso Tribunale ha escluso espressamente la possibilità di riaprire procedimenti giudiziari interni in ambito civile, poiché si è ritenuto che in tale ambito le pronunce dei giudici di Strasburgo hanno 29 esclusivamente valore dichiarativo . Ad analoghe conclusioni convergenti verso la precettività della giurisprudenza di Strasburgo, è giunta anche la Corte di Cassazione italiana che ha più volte indicato come si imponga al giudice un’interpretazione della normativa italiana adeguata al decisum europeo, oltre che ai principi costituzionali30. Inoltre, lo stesso organo giurisdizionale ha ritenuto che il rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo comportasse l’obbligo della riapertura del giudicato. Nella sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I penale del 12 luglio 2006, n. 32678 (Sent. Somogy), si legge che “il Collegio ritiene di dover ribadire il principio per cui il giudice italiano è tenuto a conformarsi alle sentenze pronunciate dalla stessa Corte (europea) e, per conseguenza deve riconoscere il diritto al nuovo processo anche se ciò comporta la necessità di mettere in discussione, attraverso il riesame o la riapertura del procedimento penale, l'intangibilità del giudicato”. Nel più noto caso Dorigo, sempre la Suprema corte31 ha stabilito che “il giudice dell’esecuzione deve dichiarare, a norma dell’art. 670 c.p.p., l’ineseguibilità del giudicato quando la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali abbia accertato che la condanna è stata pronunciata per effetto della violazione delle regole sul processo equo sancite dall’art. 6 della Convenzione europea e abbia riconosciuto il diritto del condannato alla rinnovazione del giudizio, anche se il legislatore abbia omesso di introdurre nell’ordinamento il mezzo idoneo ad instaurare il nuovo processo”. La sentenza determina la soluzione a una vicenda nella quale un condannato era rimasto detenuto in Italia in espiazione di una condanna, nonostante la Corte europea avesse stabilito sin dal 1998 il carattere non equo del processo da lui subito per violazione del diritto dell’imputato di “interrogare o fare interrogare i testimoni a carico”. Le più alte istanze del Consiglio d’Europa avevano più volte richiamato lo Stato italiano ad una puntuale esecuzione alla sentenza della Corte europea, ovvero riconoscendo al condannato, attraverso la riapertura del processo, il diritto ad un “procès équitable”. Particolarmente significativo è il passaggio che sottolinea come l’inerzia del legislatore non possa costituire una giustificazione per disattendere le pronunce della Corte di Strasburgo, nonostante la difesa italiana si fosse da sempre basata sull’inesistenza di un rimedio legale per la riapertura del giudicato. La Suprema corte ha ritenuto tale posizione “assolutamente inaccettabile”, poiché finiva per disconoscere la precettività delle norme della Convenzione e la forza vincolante delle decisioni della Corte europea. I giudici hanno infatti ricordato che l’obbligo “positivo”, derivante da una sentenza della Corte europea, di ripristinare una 29 30 31 STC del 23-4-1997, V. Sciarabba, op. cit., 925. Ex multis Cass. Pen., sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807. Sent. n. 2800, Ud. 1° dicembre 2006 procedura rispondente alla legalità sancita dalla Convenzione allo specifico fine di eliminare le conseguenze pregiudizievoli verificatesi in dipendenza della violazione accertata, incombe su tutti gli organi dello Stato, compresi quelli investiti del potere giurisdizionale. In tale prospettiva, la Suprema Corte, chiamata a decidere sull’eseguibilità del giudicato ex art. 670 c.p.p., ha stabilito che la «essenziale correlazione» esistente tra il carattere equo del processo, garantito dall’art. 6 Cedu, e la regolarità della condanna che può legittimare, a norma dell’art. 5 Cedu, la restrizione della libertà personale, impedisce di considerare «legittima e regolare» una detenzione fondata su una sentenza di condanna pronunciata in un giudizio nel quale siano state poste in essere violazioni delle regole del giusto processo accertate dalla Corte europea, sì da rendere non “équitable” non soltanto la procedura seguita, ma anche la pronuncia di condanna. Anche in altre aree del globo, gli ordinamenti si palesano sensibili al richiamo delle fonti internazionali. In Costa Rica i trattati internazionali, relativamente alla tutela dei diritti fondamentali, sono incorporati negli ordinamenti, con la conseguenza che il giudice deve applicare la normativa interna o internazionale più favorevole al ricorrente (criterio pro homine). In Guatemala, i trattati internazionali concernenti i diritti fondamentali hanno forza giuridica superiore alla Costituzione. Mostra profili di interesse anche l’esperienza del Perù, in cui la Costituzione del 1993 ha stabilito all’art. 205, che previo esaurimento dei ricorsi interni, si può ricorrere a tribunali o organismi internazionali, costituiti in base ai trattati o alle convenzioni di cui il Perù è parte. Inoltre, l’art. 55 dispone che i trattati internazionali approvati e ratificati dal Perù sono parte del diritto nazionale, mentre la quarta disposizione finale e transitoria precisa che le norme relative ai diritti e alle libertà che la Costituzione riconosce si interpretano in conformità alla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e ai trattati e accordi internazionali ratificati. L’eventuale contrasto fra normativa interna e internazionale dovrebbe essere risolto a favore della normativa internazionale se più garantista di quella interna, inoltre, il Tribunale costituzionale peruviano sarebbe vincolato non solo al dato normativo ma anche giurisprudenziale E anche in Argentina, il legislatore da una parte e il giudice costituzionale dall’altro (sentenza Esposito) hanno disposto per l’applicabilità delle sentenze degli organi internazionali e sovranazionali. Questo orientamento è stato recepito anche nel continente africano, infatti, il Sudafrica all’art. 39 dispone che: (1) “When interpreting the Bill of Rights, a court, tribunal, or forum a) must promote the values that underlie an open and democratic society based on human dignity, equality and freedom; b) must consider international law; and c)…” Nella stessa area, la Costituzione delle Seychelles dispone che per l’interpretazione delle norme sui diritti e libertà deve essere coerente con la normativa internazionale ratificata dallo Stato e per questo gli organi giurisdizionali devono tenere presente: a) le fonti internazionali concernenti i diritti fondamentali; b) i rapporti e le posizioni espresse dagli organi preposti al controllo del rispetto dei trattati; c) i rapporti, le decisioni e gli orientamenti espressi dalle istituzioni internazionali e regionali deputati al controllo e alla promozione delle convenzioni sui diritti umani; d)…”. La tendenza evidenziata non è comunque univoca, infatti, Nicaragua e Venezuela ad esempio si oppongono alla vincolatività delle sentenze degli organi giurisdizionali sovranazionali, il primo perché ciò sarebbe contrario al principio della res iudicata e l’altro perché in contrasto con la sovranità popolare. 3.2 L’utilizzo dei precedenti stranieri da parte degli organi giurisdizionali Si tratta di un fenomeno che assume delle connotazioni significative nel periodo più recente e forse più di tutti testimonia come il processo di globalizzazione si sia spostato dall’ambito economico a quello giuridico32. Una prova dell’incorporazione del diritto straniero negli ordinamenti interni è attestato dai suoi riflessi nelle Costituzioni, infatti alcune fra quelle approvate più recentemente espressamente indicano come gli organi giurisdizionali dispongano della facoltà di trarre ispirazione da ordinamenti diversi dal proprio. Tale tendenza è esemplificata ancora una volta dall’ art. 39 della Costituzione Sudafricana che stabilisce: (1) “When interpreting the Bill of Rights,a court, tribunal, or forum a) must promote the values that underlie an open and democratic society based on human dignity, equality and freedom; b) …; and c) may consider foreign law. E come nel caso precedente, la Costituzione delle Seychelles dispone che gli organi giurisdizionali devono tenere presente: a) …; b) …; c) …; d) le costituzioni degli altri paesi democratici. Il risultato dell’enunciato costituzionale sudafricano ha prodotto sentenze in cui i riferimenti comparatistici sono plurimi e mutuati, da ordinamenti che geneticamente hanno influenzato la carta costituzionale sudafricana, come la Germania33. Tuttavia, anche se la fonte posta al vertice del sistema delle fonti espressamente non offre questa opzione, i giudici hanno comunque adottato questa tecnica di shopping law, in base al quale le Corti ispirano il loro legal reasoning ad argomentazioni utilizzate da proprie omologhe34, al fine di ampliare il loro effetto persuasivo. Pur non avendolo espressamente previsto a livello costituzionale, anche altri organi giurisdizionali ricorrono all’uso dei precedenti stranieri in varie parti del globo; spiccano in particolar modo gli esempi di Canada e della Germania. Per quanto concerne il primo, illuminanti sono le parole della Justice L’Hereux-Dubé, che ha osservato: che “if we continue to learn from each other, we as judges, lawyers, and scholars will contribute in the best possible way not only to the advancement of human rights but to the pursuit of justice itself, wherever we are”35. Riguardo l’ordinamento teutonico, molte ricerche hanno evidenziato la dovizia con la quale i giudici avrebbero utilizzato la giurisprudenza straniera soprattutto (ma 32 B. Markesinis, J. Fedtke, Judicial Recourse to Foreign Law, UCL Press, London, 2006. A. Lollini, La circolazione degli argomenti: metodo comparato e parametri interpretativi extrasistemici nella giurisprudenza costituzionale sudafricana, in DPCE, 2007, 479 ss. 34 In generale su questo tema: L. Volpe, op. cit. 35 C. L’Hereux-Dubé, The Importance of Dialogue: Globalization and the International Impact of the Rehnquist Court, in Tulsa L. Journ., 34, 1998, 15. 33 non solo) nei primi decenni di attività del Tribunale costituzionale tedesco36. Infine, è noto come all’interno dell’area Commonwealth, il Privy Council abbia profondamente influenzato la giurisprudenza di paesi come Nuova Zelanda, Australia, India, Sudafrica, Hong Kong e Canada37. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi ma al fine di scongiurare il pericolo di attardarsi in un asettico e pedante elenco di casi giurisprudenziali, è opportuno che la riflessione si attesti sulle ragioni e conseguenze del fenomeno che abbiamo descritto. In primo luogo, traspare come il diritto comparato possa costituire sia un’ulteriore base legittimante la produzione di norme giurisprudenziali, sia un ampliamento concettuale per le motivazioni dei giudici38. Questi ultimi, infatti, potendo attingere a una pluralità di precedenti sono costantemente sollecitati da un diritto che non è più un magma solidificato dal principio dello stare decisis ma un mare che - per definizione - si genera e rigenera più agevolmente, alimentato da molti affluenti, una sorta di serbatoio ermeneutico. In secondo luogo, non emerge da queste parole solo la ricerca di un’ulteriore e proficua tecnica di decisione ma anche una certa “umiltà” nel riconoscere che anche altri “al di fuori di sé” possano giungere a conclusioni che possono essere utili al perfezionamento dei propri atti. Viene attenuata quella protervia nazionalistica basata sulla presunta superiorità della propria sovranità domestica e della unicità e completezza del proprio sistema normativo che nella storia si è manifestata in aperti e cruenti conflitti e che nella prospettiva da noi adottata si palesa nel rifiuto di essere tributarie di rationes iuris altrui. Infine, credo che si possa condividere l’ipotesi di chi sottolinea come nei momenti fondanti - e soprattutto direi – di cesura rispetto ad assetti costituzionali preesistenti consolidati, i giudici sentano la necessità di sostenere le proprie decisioni anche grazie all’apporto allogeno, in carenza di una propria giurisprudenza pregressa, in modo da conferire un effetto persuasivo ulteriore alle proprie decisioni, rendendo e questo sembra particolarmente inverato da quanto detto per la Germania e il Sudafrica39. Non mancano prospettive di segno totalmente opposto come quella fatta propria dall’ordinamento statunitense che, come è noto, non si è dimostrato permeabile all’osmosi, percependo tale contaminazione come fosse una limitazione della propria sovranità. A questo proposito non mancano né interventi dal parte del legislatore, né prese di posizione da parte di alcuni giudici della Corte suprema40. Il primo ha tentato di limitare l’utilizzo da parte dei giudici dei precedenti 36 L. Volpe, op. cit. Sul tema, si veda il saggio di T. Groppi, A User-friendly Court: The Influence of Supreme Court of Canada Decisions Since 1982 on court Decisions in Other Liberal Democracies, in Supreme Court L. Rev., 36, 2007, 338. 38 H. Hohman, The Nature of Common Law and the Comparative Study of Legal Reasoning, in Am. Journ. Comp. L., 1990, 143 ss.; A. Sperti, Le difficoltà connesse al ricorso alla comparazione a fini interpretativi nella giurisprudenza costituzionale nel contesto dell’attuale dibattito sull’interpretazione, in DPCE, 2, 2008, 1033. 39 L. Volpe, op. cit., il quale cita anche il Regno Unito che sta affrontando dei cambiamenti significativi a livello costituzionale. Un’ulteriore testimonianza di questo aspetto è dato dall’esperienza della Namibia, si veda a tal proposito I. Spigno, Modelli di circolazione giurisprudenziale: la libertà di espressione e l’hate speech nella giurisprudenza della Namibia, in questo stesso volume. 40 L. Volpe, op. cit., 37 stranieri e delle fonti dell’ordinamento internazionale con la Reaffirmation of American Indipendence Resolution41. I secondi hanno a più riprese ribadito la loro scelta di ignorare la giurisprudenza straniera. In Printz v. United States42 si legge: “Justice Breyer’s dissent would have us consider the benefits that other countries, and the European Union, believe they have derived form federal systems that are different form ours. We think such comparative analysis inappropriate to the task of interpreting a constitution …. In Stanford v. Kentucky43 i giudici sottolineano come “We emphasize that it is American conceptions of decency that are dispositive, rejecting the contention of petitioners and their various amici.. that the sentencing practises of other countries are relevant. In Thompson v. Oklahoma44 nell’opinione dissenziente del Justice Scalia, ….. “The plurality’s reliance upon Amnesty International’s account of what it pronounces to be civilized standards of decency in other countries …is totally inappropriate as a means of establishing the fundamental beliefs of this Nation”. E ancora nell’opinione concorrente del Justice Thomas in Foster v. Florida45, si legge che “this court …should not impose foreign moods, fads, or fashions on Americans”. Come noto il portavoce più accreditato dell’insularismo statunitese è il giudice Scalia che liquida il tema sull’influenza delle culture giuridiche straniere nelle decisioni della Corte suprema come “meaningless dicta”46, poiché la stella polare dell’interpretazione giuridica deve essere il più rigoroso originalism, cioè la volontà dei padri costituenti e perciò in questa ottica il metodo comparato viene assolutamente bandito47. Tuttavia, non mancano segnali di sgretolamento di questa posizione sia a opera della dottrina che dalla giurisprudenza48. Basti pensare che le parole perentorie del giudice Scalia costituivano una replica ai colleghi estensori dell’opinione di maggioranza che citavano una sentenza della Corte europea di Strasburgo ma in particolar modo, l’apertura al diritto comparato avviene in relazione all’VIII emendamento (divieto di comminare pene crudeli e inusitate), la cui formula è tributaria dall’English Bill of Rights. Infatti, si afferma nella sentenza della Corte suprema, Loving v. United States49 che “The historical necessities and events of the English constitutional experience …were familiar to (the framers) and inform our 41 H. R. Res. 568, 108th Cong. 2004. 521 U.S. 898 (1997) 43 492 U.S. 361 (1989) 44 U.S. 815, 868 n. 4, 1988, 487 45 537 U.S. 990 (2002). 46 Lawrence v. Texas 539 U.S. (2003). Alle sentenze citate si possono aggiungere anche Knight v. Florida, 528 U.S. 990 (1999); Atkins v. Virginia, 536 U.S. 304 (2002); Roper v. Simmons, 543 U.S. 551 (2005). 47 R. Kundis Craig, The Stevens/Scalia Principle and Why It Matters; Statutory Conversations and a Cultural Critical Critique of the Strict Plain Meaning Approach, in Tulane L. Rev., 79, 4, 2005, 955 ss.; B. P. Frohnen, Law’s Culture: Conservatism and the American Constitutional Order, in Harvard Journ. L. Publ. Pol., 27, 2, 2004, 459 ss.; T. Sandefur, Liberal Originalism: A Past for the Future, ibidem, 489 ss. 48 Di cui fa cenno L. Volpe, op. cit. ma si veda anche: P. M. Wald, The Use of International Law in the American Adjudicative Process, in Harvard Journ. L. Pub. Pol., 27, 2, 2004, 431 ss. 49 517 U.S. 748 (1996) 42 under standing of the purpose and meaning of constitutional provisions”. Il canale preferenziale aperto nei confronti dell’ordinamento britannico si amplia ai precedenti provenienti dai paesi di common law, limitatamente a quelli con forma di stato democratica. Questo approccio mette in luce come i giudici prediligano il fattore genealogico nella loro opera di selezione dei precedenti, che consiste nella condivisione di radici storiche50. Pertanto, si evidenzia come “l’adozione di un modello straniero da parte di un ordinamento sarà inevitabilmente determinata dall’esistenza, all’interno di questo, di orientamenti omogenei”51. 4. L’introduzione negli ordinamenti nazionali di regole non giuridiche Un altro aspetto emergente che incide sul ruolo del giudice riguarda il fatto che i singoli ordinamenti si aprono anche a regole adottate da ordinamenti non giuridici. Il riferimento corre d’obbligo a taluni sistemi in cui i giudici al fine di individuare correttamente la norma da applicare, non esistano a fornire interpretazioni che tengano conto di regole tradizionali tipiche di comunità etniche o religiose insediate nei diversi Stati. E’ innegabile, infatti, come, ad esempio, gruppi (familiari o etnici) condizionano e incidono sui comportamenti dei loro aderenti e producono un sistema di regole analogo a uno di tipo ordinamentale, in cui vi possono essere soggetti od organi chiamati a garantire il rispetto delle stesse52. Inoltre, l’incremento dei flussi migratori negli ordinamenti occidentali più costituire un ulteriore elemento che favorisce la circolazione di modelli relativamente alla regolazione dello status personale e familiare degli immigrati53. Relativamente al fenomeno religioso, i termini della questione non appaiono in forme innovative, infatti, il Regno Unito nelle sue colonie applicava sia le norme Hindu, musulmane e cristiane54. Attualmente non mancano in quel paese disposizioni legislative speciali finalizzate a riconoscere la diversità culturale di alcuni gruppi storicamente presenti nel paese. In questa ottica si spiega la presenza della sec. 16.2 del Road Traffic del 1988 che consente agli indiani sikh di portare il turbante, anziché il casco, quando viaggiano in moto; mentre la sec.11 dell’Employment Act del 1989 esenta gli adepti di quella religione dall’indossare l’elmetto protettivo (e quindi di utilizzare il turbante) nell’ambito delle attività lavorative nei cantieri edili. Come conseguenza del suo passato coloniale, l’art. 75 della Costituzione francese consente ai cittadini che non possiedono lo statuto civilistico di diritto comune di conservare quello tradizionale. Tale norma ha riflessi sui cittadini residenti nelle collettività di oltremare che possono essere soggetti a regole religiose come è il 50 S. Choudry, Globalization in Search of Justification: Toward a Theory of Comparative Constitutional Interpretation, in Ind. L. Journ., 74, 1999, 838. 51 F. Caggia, Tradizione e laicità nella circolazione dei modelli giuridici: il caso delle mutilazioni genitali femminili, in www.forumquadernicostituzionali.it (7 novembre 2009).. 52 F. Gaggia, op. cit. e più in generale, P. Rescigno, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, 2000, 11 s. 53 F. Gaggia, op. cit. 54 Aa. Vv. L’Europa e gli ‘Altri’. Il diritto coloniale fra Otto e Novecento, in Quad. fiorentini, 33-34, 2004-2005. caso di Mayotte oppure consuetudinarie come è il caso di Wallis-et-Futuna e della Nuova Caledonia55. Tali esempi mostrano come gli ordinamenti giuridici possono riconoscere in ambito legislativo precetti religiosi o consuetudinari ma particolare interesse ancora una volta riveste l’attitudine dei giudici a utilizzare regole delle tradizioni religiose ed etniche per applicare le norme giuridiche, cioè interpretare dei fatti al fine di “congetturare una spiegazione causale di un evento, o congetturare gli scopi o intenzione di un soggetto agente, o sussumere il fatto in questione sotto una classe di fatti, o ancora, ascrivere un valore al fatto considerato; sussumere un fatto sotto una norma che lo disciplina” al fine di proporre una soluzione a una controversia56. In particolare, questa contaminazione fra fatto e norma si realizza in quegli ambiti in cui la sfera pubblica e privata tendono a sovrapporsi con esiti non sempre del tutto lineari. Uno degli esempi più significativi è costituito dall’interpretazione dell’esercizio della libertà religiosa fornita dalla Corte suprema degli Stati Uniti relativamente a una questione sorta con la setta degli Amish. I giudici, nel caso Wisconsin v. Yoder57 hanno riconosciuto ai membri della comunità religiosa la possibilità di escludere i propri figli dall’istruzione obbligatoria oltre l’ottava classe (quattordici anni) in quanto è stato affermato che il protrarre la permanenza dei ragazzi in scuole non connotate religiosamente potrebbe incidere negativamente sulla loro formazione, causando un loro allontanamento dalla comunità e, quindi, indebolendo, di fatto la sua consistenza e i suoi presupposti teologici, che si basano su uno stile di vita del tutto peculiare, alieno dallo sviluppo tecnologico58. Per quanto concerne le comunità etniche, pare di particolare interesse l’ambito della disciplina processual-penalista, in quanto costituisce uno dei settori in cui maggiormente possono emergere delle frizioni fra la storia, la tradizione e l’orientamento della comunità politica maggioritaria e gruppi di individui connotati culturalmente in un modo differente. L’attrito fra diritto penale comune e tradizioni culturali si estrinseca nella formula linguistica: cultural defense (difesa culturale) o reato culturale (o culturalmente orientato, o culturalmente motivato). A giudizio della dottrina penalistica per reato culturale si intende: “un comportamento realizzato da un membro appartenente ad una cultura di minoranza, che è considerato reato dall’ordinamento giuridico della cultura dominante. Questo stesso comportamento, tuttavia, all’interno del gruppo culturale dell’agente è condonato, o accettato come comportamento normale, o approvato, o addirittura è sostenuto e incoraggiato in determinate situazioni”59 In sostanza, la questione sembra prospettarsi come un contrasto fra un’azione di un individuo che ha agito in ottemperanza a una norma culturale che però costituisce un illecito nell’ordinamento 55 P. Costanzo, op. cit., 380. R. Guastini, L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, Giuffrè, 2004, 12. 57 406 U.S. 205 1972 58 Sul punto C. Piciocchi, La libertà terapeutica come diritto culturale, Padova, Cedam, 2006, 37 ss. Sul tema delle deroghe, sia consentito rinviare a E. Ceccherini, voce Multiculturalismo (dir. comp.), in Nov. Dig. Disc. Pubbl., Torino, Utet, 2008, 489 ss. 59 F. Basile, Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati (comprese le mutilazioni genitali femminili), in Stato, chiese e pluralismo confessionale, rivista telematica, www.statochiese.it . 56 giuridico in cui ha operato. Questo orientamento si traduce nella necessità per gli organi giurisdizionali di valutare il retaggio culturale dell’imputato e valutare quindi se questo il suo comportamento può essere penalmente rilevante o, in caso affermativo, se la doverosità di alcuni comportamenti rispetto al gruppo di appartenenza può costituire un’attenuante rispetto all’atto criminoso. Sembra di poter registrare negli ultimi tempi una certa tendenza da parte degli avvocati e dei giudici a utilizzare l’istituto della difesa culturale, nonostante non sia espressamente previsto in alcun codice penale. Allo stato attuale, non esiste una giurisprudenza consolidata in alcun ordinamento, ma ci si limita talvolta a considerare l’appartenenza culturale dell’imputato come un’attenuante, talaltra a ignorarla o addirittura a contrastarla dogmaticamente. Fra i casi in cui il giudice ha ritenuto opportuno tener presente nel suo legal reasoning, il background culturale dell’imputato spiccano alcuni cases statunitensi. Fra questi, People v. Kimura60 che riguardava un’immigrata giapponese, residente a Santa Monica in California, la quale era stata tradita e abbandonata dal marito. In ottemperanza a un’antica tradizione (oyako-shinu) decise di uccidersi insieme ai suoi figli, che perirono, mentre lei fu tratta in salva. In Giappone, l’omicidio-suicido costituisce reato ma nell’ambito della comunità tradizionale, può configurarsi come una prospettiva percorribile, in quanto si ritiene più crudele lasciare i figli senza che nessuno si occupi di loro piuttosto che portarli nell’altra vita. L’adesione della comunità nippo-americana all’ottemperanza a queste regole, fu testimoniata dalla presentazione di una petizione con 25.000 firme alla Los Angeles County District Attorney perché non procedesse con alcuna imputazione. Nel rapporto steso dagli esperti psichiatrici, si legge che: “her severe mental and emotional illness prevented her from thinking or acting rationally…Because of her mental condition and her cultural background, Defendant did not perceive her parent-child suicide as an illegal act”. Sei psichiatri dichiararono che la sig.ra Kimura soffriva di temporanea infermità mentale e per questo fu condannata per voluntary manslaughter a un anno di reclusione, cinque anni di libertà vigilata (probation) e obbligo di trattamento psichiatrico. I commentatori spiegano la mitezza della condanna con il riconoscimento dell’infermità mentale (cognitive insanity defense) ma anche con elementi di ordine culturale espressamente richiamati nella sentenza. Il caso Kimura non è stato il primo caso in cui l’infermità mentale è stata posta a fianco della difesa culturale, infatti, già nel 1974 in People v. Metallides61, il tribunale evocò la volitional insanity defense, basandosi sulle radici culturali dell’imputato. Quest’ultimo, Kostas Metallides, era un immigrato greco che viveva a Miami in Florida, ed era stato processato perché aveva ucciso il suo migliore amico dopo che aveva scoperto che aveva violentato suo figlio. Sebbene non si faccia espresso riferimento a un reato culturale, la temporanea infermità mentale sarebbe stata causata in parte dalla percezione della lesione del suo onore, così come percepito nella comunità di appartenenza. Riveste particolare interesse il caso Kong Moua62 che riguardava un giovane 60 61 People v. Kimura Defence sentencing Act Report 13-14. Riferito da A.D. Renteln, Cultural Defense, Oxford-New York, Oxford University Press, 2004. 62 People v. Kong Moua No 315972-0 Fresno Sup. Court 1985. immigrato laotiano della tribù Hmong, che aveva sequestrato e violentato la propria fidanzata, appartenente alla stessa comunità, in ottemperanza a un rito tradizionale di celebrazione delle nozze che prevede il matrimonio per cattura (zij poj niam)63. In base a questo rito, dopo che i promessi sposi si sono scambiati dei doni, una notte il fidanzato porta via dalla casa dei genitori la futura sposa. Al fine di provare la sua virtù, questa ritualmente deve dimostrarsi ritrosa e rifiutare di seguire il pretendente, dicendo che non è pronta al matrimonio, anche se in realtà vuole il contrario. L’uomo, per provare la sua virilità, deve portarla via con la forza; devono recarsi nella nuova casa, dove devono trascorrere tre giorni e consumare il matrimonio. In seguito, i rispettivi clan familiari negoziano i contenuti patrimoniali delle nozze. Nel caso in questione, il ventunenne Kong Moua aveva tentato di sottrarre la diciottenne Xieng Xiong dalla sua casa ma il primo tentativo era fallito per l’intervento dei genitori di lei. In un secondo momento, il ragazzo, aiutato da due suoi amici, la rapì quando si trovava al Fresno City College, circostanza che indusse i compagni della ragazza a sporgere denuncia. Qualche giorno più tardi, la polizia andò alla casa di Kong, dove si trovava anche la ragazza alla quale fu richiesto se fosse trattenuta contro la sua volontà. Xien Kiong, spinta dal timore verso le forze di polizia, rispose che il ragazzo era suo marito e che desiderava rimanere con lui. Tuttavia, qualche giorno più tardi questa lo denunciò per rapimento e stupro. La questione si presentava complessa: in primo luogo, per l’ambiguità del comportamento della ragazza di fronte alla polizia e per le incongruenze della sua testimonianza, in base ai quali lo stesso pubblico ministero non era molto incline a portare il caso in giudizio; in secondo luogo, il ragazzo si ostinava a dichiararsi non colpevole. Il giudice decise di derubricare i reati da rapimento e stupro e Moua si dichiarò colpevole di false imprisoment, un reato meno grave del rapimento e fu condannato a prestare 90 giorni di servizio (credit for time served) e multato per 1000 dollari. In realtà quello che era emerso che il ragazzo era caduto in un errore di fatto (il soggetto ha agito perseguendo un fine che non era quello di compiere un reato), determinato dall’osservanza dei rituali Hmong, infatti, il rifiuto della ragazza era stato proiettato in questa dimensione e non in quella ordinaria di diniego espresso alla proposta di matrimonio. L’errore di fatto come circostanza attenuante è comprensibile solo se filtrato attraverso la luce dell’appartenenza culturale dell’imputato 64. I legami esistenti con la comunità di appartenenza possono essere elementi utili a configurare la violenza impropria finalizzata a coartare la volontà di un soggetto (duress), il quale si sente obbligato a porre in essere una precisa condotta. Nel caso australiano Chimney Evans, due giovani uomini aborigeni si erano resi colpevoli di strangolamento di un uomo che aveva rubato delle importanti pietre terapeutiche e le aveva vendute a un uomo bianco. La Corte ritenne che un loro rifiuto a ottemperare a quanto richiesto dagli anziani della tribù avrebbe avuto delle gravi conseguenze su di loro, pertanto, vennero condannati a un anno di reclusione, mentre i due complici (mandanti) anziani a due anni. Il giudice disse: “The main contention is that they acted in accordance with tribal laws and that particularly the younger ones may have been in a serious position if they had refused to agree to a decision of the 63 Casi analoghi sono avvenuti nelle comunità Hmong, oltre che in California, in Colorado, Minnesota e Wisconsin 64 A. D. Renteln, op. cit., 128. elders of the tribe. This may be true enough, but there is a limit to which this court can accept it as an excuse for what is after all a very serious crime”65. Nell’ordinamento statunitense anche la legittima difesa è stata interpretata attraverso i condizionamenti che un singolo individuo può aver subito in base alla sua appartenenza culturale. In People v. Croy (1990), Patrick “Hooty” Croy, un indiano di ascendenze in parte rte kart e in parte Shasta viveva a Yreka nel nord della California, luogo in cui storicamente vi era stata una forte contrapposizione fra la comunità bianca e quella indiana. Croy e dei suoi parenti erano inseguiti da 27 poliziotti a seguito di una lite sull’ammontare di una spesa fatta in un negozio di liquori. Durante l’inseguimento, Cory uccise un poliziotto e nel 1979 fu accusato di omicidio e condannato a morte. Tuttavia, nel 1985, la Corte suprema della California mutò il verdetto, utilizzando la cultural defense per sostenere la legittima difesa, infatti, i giudici riconobbero che Croy aveva subito delle pesanti discriminazioni che lo avevano fortemente condizionato a non nutrire fiducia nelle autorità bianche, che avevano massacrato i suoi antenati e quindi aveva agito pensando che la sua vita fosse in pericolo. Il suo avvocato chiamò a deporre un esperto sul razzismo, genocidio e discriminazione contro gli Indiani Americani e sostenne che “the jury must be informed and educated about the factors that affect defendant’s perception of danger and his ability to defend himself, including any physical, psychological, historical or cultural characteristic that may have possessed” e ritenne che la legittima difesa è “something of an ‘individualized’ objective standard of reasonableness which includes the individual’s perception of both apprhension and imminent danger from the individual’s own persecutive, but involves an objective view by the jurors of those circumstances”66. Anche in Canada, nel caso R. v. Mingma Tenzing Sherpa67 uno sherpa, incriminato per contrabbando di droga, fu condannato a una pena lieve in quanto aveva introdotto sì delle sostanze stupefacenti ma per conto di un amico (non sherpa) il quale non gli aveva rivelato l’esatto contenuto del plico. Un antropologo testimoniò che i rapporti in Nepal si basano sul dovere verso gli amici, che si estrinseca nell’obbligo di assistenza agli altri e sulla fiducia reciproca, che presuppone che nessuno chieda ad altri di compiere atti che possano avere degli effetti perniciosi per sé o per gli altri. Poiché il contrabbando costituisce un’attività consueta in Nepal per evitare gli asfissianti controlli burocratici alle frontiere, il giudice ritenne che lo sherpa poteva godere delle attenuanti generiche, tenendo presente le condizioni culturali in cui era cresciuto e che non aveva consapevolezza di compiere un reato68. In Germania, l’adesione a un sistema di valori culturali ben precisi è venuta in rilievo almeno in due casi. Il primo, Amtsgericht Grevenbroich69 riguardava un immigrato turco che aveva sposato in Germania una connazionale, la quale però si era rifiutata di andare a vivere con il proprio sposo. Dopo sette mesi, il marito – aiutato da 65 A. D. Renteln, op. cit., 230, nota 32. A. D. Rentlen, op. cit., 37. 67 July 11, 1986, BC Co Ct, Boyle Co Ct J citata da A. D. Renteln, op. 66 cit, 85. 68 Analoghe conclusioni negli Stati Uniti in U.S. v. Sherpa 99 F3d 1148 (1996), in cui si è tenuto conto dell’arretratezza culturale. 69 24 settembre 1982 dal fratello e da un altro connazionale – rapì sua moglie, che venne poi liberata grazie all’intervento della polizia. Il giudice, pur ritenendo integrato il reato di sequestro di persona di cui al§ 239 StGb, assolse gli imputati, ritenendo che fossero ancora legati alle tradizioni e alle concezioni normative turche e versassero in una situazione di errore sul divieto ai sensi del § 17 StGB, “giacché ritenevano la loro condotta lecita, perché in patria essa sarebbe stata approvata dal locale ordinamento giuridico”70. Secondo il giudice, infatti, tenendo presente il diritto civile turco e la giurisprudenza turca in tal senso, il marito avrebbe avuto la facoltà di imporre il proprio domicilio alla moglie e di riportarla anche con la forza qualora essa se ne fosse allontanata senza il consenso del marito. La Corte aggiunse che l’errore degli imputati sul divieto non fosse evitabile neppure con una corretta informazione, dal momento che erano originari di una zona rurale, poco istruiti e per quanto riguardava il marito il suo arrivo in Germania risaliva a poco più di un anno. Analogamente, il giudice si dimostrò particolarmente clemente nei confronti di un imputato accusato di sequestro di persona e violenza sessuale in base alla sua appartenenza culturale. Il caso71 prendeva spunto dalla vicenda di due giovani curdi, appartenenti alla comunità religiosa degli Yazidi (una corrente scismatica dell’Islam diffusa fra i curdi), immigrati in Germania e conviventi con le rispettive famiglie. Queste ultime premevano per un fidanzamento fra i due, che venne celebrato con una grande festa. La ragazza però aveva già un fidanzato segreto e in un momento successivo ruppe il fidanzamento con il suo connazionale. Questo per salvare la promessa di matrimonio, aiutato da un fratello e da un cugino, decise di rapire la ragazza, di portarla in un’abitazione lontana e di convincerla a sposarla. Questo stratagemma – anche a seguito di minacce – fu coronato dal successo e la ragazza acconsentì a sposarlo, tuttavia, il suo connazionale le chiese di provare la sua volontà, consistente nella consumazione di un rapporto sessuale, in modo che la rottura dell’imene testimoniasse l’irreversibilità dell’unione fra i due, così come è previsto dalle tradizioni della loro comunità religiosa. La ragazza subì il rapporto e quando arrivarono i suoi genitori per salvarla, si rallegrarono del fatto e dell’imminente matrimonio. Tuttavia, la ragazza denunciò i fatti e sposò invece il fidanzato segreto. La condanna dell’imputato fu solo di due anni di reclusione con la sospensione condizionale, in quanto si valutò che l’imputato aveva agito per “soddisfare l’aspettativa di un imminente matrimonio, sorta nella sua famiglia per effetto delle promesse che i due giovani si erano scambiate solennemente durante la cerimonia ufficiale di fidanzamento, sicché il vero autore morale del reato sarebbe la famiglia che premeva in tale direzione, tant’è che egli non avrebbe nemmeno ricercato il proprio piacere nel rapporto sessuale incriminato”72. Pertanto, il giudice “poteva valutare, ai fini di una mitigazione della pena, il fatto che l’imputato – come la vittima – provenisse da un altro ambito culturale, sicché si trovava sotto pressione per le aspettative della sua famiglia e pertanto aveva dovuto superare una soglia inibitoria minore per la commissione del reato”73. 70 F. Basile, op. cit. 71 (Bundesgerichtshof 1° febbraio 2007 Causa 4 StR 514/06 in www.bundesgerichtshof.de) 72 73 F. Basile, op. cit. F. Basile, op. cit. 5. Riflessioni conclusive La ricostruzione effettuata fino adesso mostra come i singoli ordinamenti si trovino a essere plasmati da altri sistemi giuridici e non. La conseguenza di tale ibridazione, soprattutto se facciamo riferimento ai fenomeni di integrazione sovranazionale, si risolve in un certo grado di uniformità, sintetizzata dalla giurisprudenza della corte di Giustizia delle comunità europee nella nota formula: tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Tale commistione conduce inevitabilmente a un’uniformità applicativa e a una certa osmosi che rende un prodotto giuridico omogeneo nei suoi elementi essenziali. Siffatto processo è in parte influenzato dai processi di integrazione economica e di globalizzazione, in quanto i flussi economici mettono in comunicazione i sistemi giuridici e politici a base territoriale e fungono da tessuto connettivo per tutti gli attori che agiscono sullo scenario economicocommerciale, che sembrano mostrare insofferenza verso la difformità e l’eterogeneità. Se la progressiva tutela delle libertà nel mondo si doveva nel passato all’affermazione del pensiero illuminista connesso all’universalismo dei diritti, attualmente, il catalizzatore del processo di tutela dei diritti sembra avere una matrice liberista, che favorirebbe la nascita di un diritto transnazionale. In questo ambito, il diritto comparato può essere uno strumento di promozione, in quanto può suggerire ai giudici le potenzialità del proprio ordinamento giuridico, costituendo una finestra dalla quale muovere uno sguardo su altri sistemi legali. L’armonizzazione sfuma e appiattisce le diversità ma ciò può essere percepito come un’affermazione dell’egemonia della maggioranza, a scapito della tutela delle minoranze. Siffatto profilo però pare essere attenuato da altri contestuali fenomeni emergenti, che attenuano logiche totalizzanti, tant’è che si assiste a una sorta di ossimoro nella sfera di produzione del diritto: da una parte la globalizzazione spinge alla ricerca di norme e standards il più possibili comuni e dall’altra si assiste anche all’applicazione di regole prodotte dal particolarismo dei territori74 e da gruppi connotati etnicamente o culturalmente che sono rilevanti solo in specifici contesti. Tuttavia, non si tratta solo di eterogenee fonti di produzione ma anche di un fenomeno in cui sfuma la distinzione fra norma e fatto, per la quale la descrittività prevale sulla precettività e quindi si palesa il pericolo di una certa anomia, così come testimoniato dall’applicazione della difesa culturale nei processi. I flussi comunicativi possono essere sì utili per ampliare gli orizzonti giuridici degli organi giurisdizionali e favorire l’implementazione del multiculturalismo, in quanto i sistemi che si aprono al pluralismo culturale - e conseguentemente legale – preservano le diversità e possono favorire la tolleranza nelle società e la coesistenza pacifica delle minoranze significativamente presenti nei vari ordinamenti; tuttavia, la penetrazione di regole non giuridiche finisce per trasformare il ruolo del giudice, il 74 L. Volpe, op. cit. quale non solo deve fare riferimento a un sistema policefalo di norme, non più ordinato dal principio gerarchico, ma anche ai mores del luogo o della comunità di riferimento, generando uno strabismo giurisdizionale, talvolta non riconducibile a un’unicità di vedute. L’ampia gamma di scelta delle norme da applicarsi finisce per incrinare anche la funzione nomofilattica delle supreme corti nazionali, le quali dimostrano di essere in difficoltà nella difficile opera di ricomposizione del sistema, il quale non può più essere animato dalle aspirazioni delle codificazioni nazionali ottocentesche, che ambivano a sfidare il tempo e che erano basate sul legal centralism e sulla statualità del diritto75. Lo sforzo nel ricomporre un quadro unitario legale scosso dall’eterogeneità delle fonti è testimoniato da una recente riforma dell’ordinamento belga, che con la loi spéciale modifiant l’article 26 de la loi spéciale del 6 gennaio 1989 sulla Cour d’Arbitrage, approvata il 31 luglio 2009 ed entrata in vigore il 10 agosto successivo, ha stabilito che i giudici sono obbligati a sollevare una questione pregiudiziale di legittimità costituzionale di fronte alla Corte costituzionale nei casi in cui vi sia una controversia relativa alla violazione di un diritto da parte di una legge, decreto od ordinanza sancito dalla Costituzione e dai Trattati internazionali. Il disposto legislativo è stato approvato per porre termine a indirizzi discordanti giurisprudenziali in tema di diritti; infatti, in Belgio tutti i giudici potevano operare un controllo diffuso sugli atti interni rispetto alla normativa internazionale, mentre la Corte costituzionale limitava il suo controllo solo al rispetto della fonte costituzionale, tuttavia questa dicotomia aveva condotto a interpretazioni discordanti e configgenti proprio in tema di diritti76. Infine, non possono essere taciuti però i rischi di fenomeni di transplantation giuridico o di adeguamento a normative internazionali o sovranazionali. Infatti, gli ordinamenti non sempre sono in grado di recepire fonti eteronome con estrema fluidità, in quanto l’utilizzo di soluzioni giuridicamente interessanti viene inevitabilmente filtrato dalla cultura autoctona, non essendo le acquisizioni giuridiche realizzate in altri paesi assimilabili alle scoperte scientifiche in senso stretto, le quali, invece, una volta raggiunte divengono patrimonio comune e costituiscono la base di partenza per evoluzioni future. In questo senso, paiono particolarmente efficaci le parole della Corte suprema canadese, a proposito della duplicità di orientamenti fra Stati Uniti e Canada: Mc Queen v. Keegstra77 in cui si sottolinea: “While it is natural and even desirable for Canadian court to refer to American constitutional jurisprudence in seeking to elucidate the meaning of Charter guarantees that have counterparts in the United states Constitution, they should be wary of drawing too ready a parallel between 75 Molto efficaci restano le parole di MacCormick, che sottolineano come sia indefettibile la necessità “to escape from the idea that all law must originate in a single power source, like a sovereign, is thus to discover the possibility of taking a borader, more diffuse, view of law”, N. MacCormick, Beyond the Sovereign State in MLR 56, 1993, 8 s. 76 Sulla questione si veda G. Angiulli, BELGIO – Riconosciuto il primato della Corte costituzionale nel giudizio di conformità delle leggi, dei decreti e delle ordinanze alle norme costituzionali e convenzionali di tutela dei diritti fondamentali, in Palomar, n. 39 http://www.unisi.it/dipec/palomar/palomar.html#belgio 77 (1990, 3 S.C.R. 697, 740) ma anche Rahey v. The Queen (1987, 1 S.C.R. 588 639), constitutions born to different countries in different ages and in very different circumstances…”