Tesina di musica
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Tesina di musica
Tesina di musica La Musica La Musica Non esiste un momento preciso in cui è nata la musica è sempre esistita. Secondo me anche lo scoppio del Big Ben ha creato un’armonia, una musica naturale che solo le stelle e pochi altri abitanti del cielo hanno ascoltato. La musica è qualcosa sempre presente se chiudi gli occhi puoi sentirla: il battito del cuore, l’oggetto che cade, il libro che si sfoglia. Il primo anno che iniziai a fare musica la professoressa ci chiese: Che cos’è la musica per voi? Ognuno di noi espose la sua idea. Io dissi: Un viaggio che ci trasporta lontano dove bisogna portare solo il cuore. La mia risposta non era ne giusta ne sbagliata perché non esiste una sola definizione sentimentale della musica e ognuno ne possiede una diversa, però si può dare una definizione tecnica quella che ci dettò la professoressa: La musica è un linguaggio universale formato da suoni che si chiamano figure musicali e da silenzi che si chiamano pause. Infatti la musica è una lingua uguale per tutti che non ha bisogno di distinzioni di paese in paese e se si impara riesci a comunicare con tutti perché essa è in grado di esprimere le tue emozioni con suoni alti, bassi o semplicemente silenzi. La cosa di cui io volevo parlare riguardante la musica però è la sua Energia cioè il centro delle mie idee. Quando noi ascoltiamo la musica c’è qualcosa che ci nasce dentro, una potenza, un’energia, che ci fa sentire bene e ci rilassa che immediatamente ti dà la forza di fare qualunque cosa. Quest’energia però è soggettiva infatti non tutti si emozionano per lo stesso genere. Ogni melodia può suscitare emozioni differenti. La cosa sicura però e che non fa mai male. Molte persone che sono riuscite a campire l’importanza di questa forza chiamata musica addirittura hanno eseguito ricerche su di essa e sono riusciti a scoprire che la musica può essere anche una medicina. Infatti in molti centri esistono delle sale apposite dove si svolgono delle sedute di musicoterapia. La musicoterapia è una tecnica che utilizza la musica come uno strumento terapeutico con lo scopo di procurare un benessere per la mente e lo spirito. Bisogna ammettere però che non è stato l’uomo moderno il primo a capire l’importanza dell’energia della musica ma sono stati i Greci che ci hanno lasciato moltissime leggende su essa. Come: • Orfeo che trascinava i sassi, le piante e le belve con il suo canto; • Anfione che costruì le mura di Tebe a suon di musica; • Arione, che i delfini, evocati dal canto, salvarono dalla morte cui l’avevano condannato i pirati. • Le sirene che annegavano i marinai. • La musica che però ottiene risultati migliori nella musicoterapia è quella classica in particolare Beethoven. Orfeo ed Euridice Gli dei avevano inventato la musica, ma alcuni esseri umani sapevano suonare bene quasi quanto gli dei stessi. Tra gli esseri umani, Orfeo era indubbiamente il miglior musicista. Orfeo era più di un semplice mortale ,poiché sua madre era una musa, Calliope; era poeta e cantore, sapeva suonare la lira e la chitarra. I suoi canti erano così meravigliosi che non solo gli uomini ne rimanevano estasiati , ma persino gli animali e le piante cessavano di respirare quando li sentivano. Le belve feroci si accucciavano ai suoi piedi; quando camminava, gli alberi si inchinavano, le colline si spostavano e i fiumi cambiavano il loro corso. Orfeo sposò la ninfa Euridice; un giorno ,mentre ella passeggiava da sola in un prato ,incontrò il pastore Aristeo. Vedendo questa ragazza così bella, Aristeo se ne innamorò perdutamente. Cercò di avvicinarla ma lei scappò e lui la inseguì; piena dei paura ,Euridice non guardava dove posava i piedi e calpestò un serpente velenoso nascosto nell’ erba. Il serpente le morse il polpaccio; poco dopo, Euridice morì. Orfeo non riusciva a consolarsi; i suoi tristi pianti echeggiavano sulle montagne: niente poteva alleviare il suo profondo dolore e l’ immagine di Euridice lo ossessionava. Non poteva vivere senza di lei e decise di andare a cercarla negli Inferi. Dopo un lungo cammino, giunse alla porta degli Inferi; scese nelle profondità oscure e arrivò sulle sponde del fiume Stige. Il vecchio Caronte lo fece salire sulla sua barca per traghettarlo sull’altra riva; all’entrata del mondo sotterraneo, si trovava Cerbero, l’enorme cane a tre teste, che gli mostrò i suoi denti terribili. Ma Orfeo cominciò a cantare e l’animale si accucciò ai suoi piedi. Mentre penetrava negli Inferi i fantasmi dei morti, attirati dal suo canto, gli si avvicinarono e lo circondarono. Alla fine Orfeo arrivò al cospetto di Plutone e Proserpina e rivolse a loro il suo canto; - O dei che governate il mondo delle ombre e del silenzio, tutti gli esseri umani devono un giorno venire qui da voi; trascorriamo un solo istante sulla terra prima di appartenervi per sempre. Ma colei che cerco è arrivata qua troppo presto; mi sono sforzato invano di sopportare la sua perdita, ma l’amore che provo per lei è troppo forte. Vi chiedo soltanto di prestarmi Euridice e alla fine della sua vita ritornerà da voi-. Nessuno poteva resistere alla voce di Orfeo e Plutone gli disse: Euridice potrà rivedere il Sole ma a una condizione: dovrai camminare davanti a lei e non dovrai in nessun momento parlarle o voltarti prima di essere tornati alla luce-. Orfeo inizio il ritorno seguito da Euridice ma il tragitto era lungo e il pensiero che gli dei lo avessero ingannato era forte. Infine scorse la luce allora non potendo più resistere si voltò ma Euridice non aveva camminato velocemente come lui ed era ancora nell’ombra degli Inferi e per questo svanì lentamente mormorando addio. Orfeo la rincosse ma stavolta Caronte non lo fece passare. Per sette mesi rimase seduto su un dirupo con la compagnia degli animali e della natura che ascoltavano le sue tristi melodie. Da allora non guardò più una donna. Le baccanti adirate per la sua differenza lo uccisero e disseminarono e le sue parti di corpo per il mondo. La sua testa e la sua lira trasportate da un fiume arrivarono alle Muse. Le sue membra furono sepolte ai piedi del monte Olimpo. Anfione Antiope fu cacciata dal padre Nitteo, quando questi conobbe della gravidanza della figlia. Ella si rifugiò allora a Sicione, presso lo zio Lico, dove fu trattata da prigioniera. Qui la ragazza diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto, e quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che questi venissero abbandonati sul Monte Citerone. Un pastore trovò i gemelli, e li prese con sé. Antiope fu quindi riportata nella Cadmea, l'antica rocca di Tebe, dove Lico e sua moglie, Dirce, avevano occupato il trono lasciato vacante dalla morte di Nitteo. Anche qui Antiope fu trattata da schiava, ma riuscì a fuggire e a tornare dai suoi figli. Divenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico. Poi attaccarono Dirce ad un toro, che la trascinò via uccidendola. I fratelli divennero i nuovi re di Tebe, ma fondarono anche una nuova città: Zeto portava le pietre, Anfione le sistemava grazie al suono magico della sua lira. Anfione e Zeto governarono in accordo le due città. Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo, ma morì di crepacuore quando Apollo e Artemide uccisero i suoi numerosi figli per punire la moglie. Secondo la leggenda costruì con la musica le mura di Tebe, sia per la capacità di incantare gli animali selvaggi, sia per il potere ordinatore che costringeva i massi a prendere spontaneamente il loro posto nelle mura di una città. Arione Arione era il prediletto di Periandro, tiranno di Corinto. Egli convinse il re a lasciarlo andare di città in città per mostrare a tutti la sua arte. Erodoto narra che Arione arrivò fino in Sicilia, dove si arricchì grazie alla sua arte. Nel suo viaggio di ritorno da Taranto, i marinai avevano complottato di uccidere e derubare Arione delle ricchezze che portava con sé. Mentre si trovava in alto mare, ad Arione fu data la possibilità di scegliere fra un suicidio con una degna sepoltura a terra o di essere gettato in mare. Egli allora chiese di poter cantare per l'ultima volta, prima di suicidarsi (nella versione di Igino, Arione sognò la notte il dio Apollo che gli disse di cantare con la sua ghirlanda e le sue vesti di scena e di confidarsi a quelli che sarebbero venuti in suo aiuto). Suonando la sua cetra, Arione cantò quindi una lode ad Apollo e la sua canzone attirò vari delfini attorno alla nave. Appena finito di cantare, Arione si gettò in mare dove uno dei delfini lo caricò sul dorso e lo portò in salvo presso il santuario di Poseidone a Capo Tenaro. Giunto a terra, desideroso di ripartire subito, Arione dimenticò di spingere in mare il delfino, che morì in quel luogo. Egli si diresse verso Corinto dove narrò le sue vicende a Periandro e questi ordinò che il delfino fosse sepolto e gli fosse innalzato un monumento funebre. Poco tempo dopo giunse a Corinto la nave sulla quale Arione era stato trasportato. Periandro comandò che i marinai della nave fossero portati al suo cospetto e chiese loro informazioni riguardo ad Arione; essi dissero che era morto ed era stato da loro sepolto (nella versione di Erodoto i marinari affermano invece che Arione si trovava vivo e vegeto in Italia). A costoro il re rispose: «Domani giurerete davanti al monumento del delfino!» e ordinò che fossero tenuti in prigione. Poi chiese ad Arione di nascondersi il giorno seguente dentro il sepolcro del delfino, abbigliato nello stesso modo con cui si era gettato in mare. Quando il re li fece condurre lì e li fece giurare che Arione era morto, Arione uscì dal sepolcro, ed essi, non sapendo grazie a quale Dio si fosse salvato, ammutolirono. Il re decretò che fossero crocifissi presso la tomba del delfino. Apollo poi, a causa della bravura nella citarodia, trasportò fra le stelle sia Arione che il delfino, dove divennero due costellazioni: la costellazione della Lira, la quale d'altro canto viene ricondotta anche ad Orfeo, e la costellazione del Delfino. Le Sirene IL CANTO DELLE SIRENE Si racconta che le sirene, malgrado l'aspetto dolce e seducente, siano spiriti di morti reincarnati perché respinti dall'Aldilà; non si considerano non-morti, ma sono ugualmente maligne ed assetate di sangue. Esse attendono le loro prede appostate sugli scogli: quando una nave si avvicina, ne attirano a sé l'equipaggio con la magia del loro canto e ne fanno un orrido banchetto. Il canto delle Sirene è udibile sino a 200 metri; tutti gli uomini entro questo raggio ne restano incantati... abbandonano qualunque azione e si gettano a nuoto per raggiungerle. Se non annegano prima, si lasciano poi uccidere senza opporre resistenza. Le Sirene continuano a cantare finché la nave si trova a portata d'orecchie ma, appena smettono di cantare, tutti coloro che ne erano stati stregati tornano normali. Coloro che si tappano in tempo le orecchie con della cera, o che vengono protetti con qualche incantesimo, restano totalmente insensibili alla magia del canto. Le donne, naturalmente, sono immuni dall'incantamento. Il primo che le menzionò fu Omero nell’Odissea nel canto numero dodici: “ Ripartimmo dunque. Mentre la nave solcava il mare azzurro, io mi ricordai che Circe mi aveva detto che avremmo incontrato gli scogli abitati dalle sirene . – La voce delle sirene- mi aveva detto Circestrega chi l’ascolta e gli fa dimenticare ogni cosa, ogni affetto. Rammenta il loro canto è dolcissimo, ma se l’ascolterete morrete! Per questo, quando sarete vicino agli scogli riempi le orecchie di cera ai tuoi compagni, in modo che nulla sentano. Se tu invece vorrai udire il loro canto fatti legare all’albero della nave-. Così feci. Legato udii il bellissimo canto delle sirene che mi chiamavano e mi invitavano da loro e tanto era il desiderio di andarle incontro che urlavo – Slegatemi- ai miei compagni. Ma i compagni fedeli ai miei ordini serrarono più stretti i nodi; e così potei sfuggire al dolce ma terribile incanto delle sirene. Beethoven Il giovane Beethoven a Bonn Quando Ludwig van Beethoven nacque a Bonn, intorno al 15 dicembre 1770, il principe elettore era ancora Max Friedrich e il nonno era maestro di cappella. Il padre Johann, invece, era rimasta nel ruolo di cantante e non sarebbe mai riuscito a fare carriera. Johann vide nella precocità del figlio maggiore con la musica l’occasione di elevarsi di rango. Fece di tutto per fare del figlio un nuovo Mozart e gli diede una discreta educazione musicale. All’età di sette anni il padre lo presenta al pubblico per la prima volta, con l’intento – di procurare gran diletto a tutte le nobili Signorie- così diceva è un peccato però non poter sapere se sia riuscito a raggiungere lo scopo. Sappiamo invece che il giro concertistico verso Rotterdam si concluse in modo molto deludente. Maggiori promesse offrì invece, poco dopo, quando nel 1783 pubblicò una raccolta di tre Sonate per pianoforte dedicate all’elettore Friedrich. Nella lettera di dedica, dalla quale risulta che il giovane talento ha solo undici anni (in realtà ne ha quasi quattordici), il primo approccio alla composizione è descritto in termini molto fantasiosi ed è forse dovuto alla penna del maestro Neefe: “A partire dall’età di quattro anni la musica ha cominciato ad essere la più importante delle mie occupazioni giovanili. Acquistata così presto familiarità con la dolce Musa che disponeva la mia anima alle pure armonie, io imparai ad amarla, e anch’essa , cosi mi è spesso sembrato, prese ad amarmi. Ora ho raggiunto l’undicesimo anno; e da allora nelle ore sacre dell’ispirazione la mia Musa spesso mi ha sussurrato:- Fai la prova, scrivi su carta le armonie della tua anima-. Undici anni pensavo – e quale figura farei come compositore? E che cosa ne direbbero gli adulti esperti d’arte? Quasi mi intimidiva. Ma la mia Musa insisteva ho ubbidito e ho composto”. Nel 1784 sale al potere l’arcivescovo Franz, appassionato di musica, che finché aveva vissuto a Vienna aveva molto aiutato il suo coetaneo Mozart e ora voleva migliorare la Cappella Musicale di Bonn, che era già tra le migliori della Germania, dando particolare sviluppo al teatro musicale. Per questo poteva contare su ottimi collaboratori come il compositore Neefe. Neefe era un uomo di buon cultura critico e scrittore di musica vede nell’arte dei suoni un mezzo per nobilitare l’uomo. Crede che la musica non sia un servizio ma un linguaggio che può diventare uno strumento per risvegliare negli altri uomini l’amore per la verità, l’aspirazione all’uguaglianza e alla libertà. Trasmesse queste idee a Beethoven che era il suo allievo di pianoforte . In questo ambiente ben altolocato e guidato da Neefe Beethoven riuscì presto a far salire il suo ruolo a corte. Beethoven sostituì presto Neefe come organista e suonava anche in orchestra come clavicembalista. Dal 1784 ebbe l’incarico ufficiale e regolarmente retribuito di vice organista. Un incarico assai opportuno perché nello stesso anno il registro dei componenti della cappella afferma che il padre Johann ha quasi perduto la voce. In realtà Johann è divenuto alcolizzato e una parte del suo stipendio verrà versato a Beethoven per il mantenimento dei fratelli minori Karl e Johann. In seguito gli fu finanziato e retribuito dall’arcivescovo Franz un viaggio a Vienna per completare la sua istruzione. Beethoven però fu costretto a tornare dopo pochi mesi a causa della malattia della madre che in seguito morì. Una famiglia amica: i Breuning Le amicizie di Beethoven saranno sempre a senso unico, in cui lui chiederà sempre molto dando in cambio ben poco. Il primo amico di Beethoven è Franz Gerhard Wegeler di cinque anni più anziano, giovane e brillante destinato a diventare un ottimo medico. Fu proprio lui a introdurre Beethoven nella famiglia di Helene, vedova del consigliere Breuning, con l’incarico di dare lezioni di pianoforte all’unica figlia Eleonore e al minore dei figli maschi Lorenz. In questa famiglia colta e comprensiva Beethoven trovò la calma spirituale. Forse tra lui e Eleonore nacque un sentimento d’amore ma nel 1792 Beethoven si trasferì a Vienna tra i due nacque un litigio di cui non si sa il motivo e un anno dopo il musicista riuscì a scriverla una lettera d scuse e le dedicò delle musiche, in realtà di poca importanza. Più tardi però la ragazza sposò Wegeler ma l’amicizia tra lei e Beethoven continuò. Viaggio a Vienna Dopo il primo viaggio a Vienna Beethoven soggiornerà a Bonn per altri cinque anni prima di ripartire. Dirà che la fortuna non lo assiste lì. Mentre Beethoven si prepara a partire i suoi amici gli organizzano una festa di addio tra cui tutti quelli che lavoravano a corte, Eleonore e l’amico Waldstein. Dopo questo addio lascerà per sempre Bonn portando con se i suoi manoscritti. Appena arrivato a Vienna incomincia subito le lezioni con Haydn che però non è un buon insegnante. Haydn infatti non ha voglia a sessant’anni glorioso come nessun altro a Vienna di trasformarsi in pedante e paziente didatta. Per di più non prova nemmeno simpatia per quel giovane caparbio e scontroso che chiede alla musica e alla vita cose che lui nella sua lunga carriera di maestro di cappella non ha mai preteso. Non gli interessavano gli slanci romantici di Beethoven che sembrano distruggere il suo lavoro. Nel frattempo l’elettore Franz continuava a versare sussidi per gli studi di Beethoven e Haydn spedì una lettere a l’elettore per digli che era un ottimo studioso e c’era bisogno di un altro sussidio per continuare. Evidentemente Haydn voleva solo altro denaro per il lavoro che aveva svolto con Beethoven. Nella lettera c’è anche un messaggio da parte di Beethoven dove dice che per l’anno seguente si impegnerà al massimo per fornirgli delle opere ancora meglio di quelle che gli spediva il suo maestro da parte sua. L’elettore però si sentiva di essere preso in giro e gli rispose in quell’ anno di studio gli aveva inviato solamente cinque manoscritti e quattro erano stati scritti a Bonn e non a Vienna e che oltre i regolare stipendio gli aveva pagato un sostanzioso sussidio e visto che non aveva notato nessun miglioramento era meglio che sarebbe tornato a Bonn per riprendere il suo la voro in cappella. La seguente polemica però rimase senza seguito perché l’elettore era occupato con l’arrivo delle truppe francesi, Haydn partì per Londra e Beethoven decise di rimanere lo stesso a Vienna. Si trovò un nuovo maestro Albrechtsberger che adorava perché era precisissimo e molto esigente. Beethoven come si sarà notato esigeva moltissimo dai suoi insegnanti ma ancora di più da se stesso. Fin dai primi mesi del soggiorno viennese le esecuzioni pianistiche di Beethoven gli procuravano molti ammiratori. Era un pianista straordinario molto diverso dagli altri. Beethoven scrivendo una lettera a Eleonore parlò del suo stile pianistico dicendo: “il giorno dopo mettevano giù parecchie particolarità del mio stile e orgogliosamente le ostentavano come proprie”. Beethoven in un certo senso era anche riuscito a superare Mozart in quanto lo stile di Mozart era sottomesso alle regole severe del “bello stile” e dopo un po’ annoiò il pubblico viennese mentre Beethoven che aggredisce gli spettatori con contrasti violenti e le stranezze del suo stile riusciva a stupire. In breve divenne il nuovo idolo dei nobili e dell’elevata borghesia. Il dramma della sordità Beethoven nei suoi primi anni viennesi vive felicemente e ha molte soddisfazioni. In una lettera al fratello scrive:” sto bene, molto bene. La mia arte mi procura stima e amici. Che potrei desiderare di più? Questa volta farò 1molti soldi”. I primi guadagni danno un’euforica soddisfazione a Beethoven che inizia a fare sfoggio di eleganza e prende lezioni di ballo. Tutto ciò ebbe breve durata a causa di una grave malattia: la sordità che arriva nell’età dei ventotto anni. Beethoven scrive al suo amico Wegeler della sua malattia dicendo che è un demone invidioso e che le ha messo i bastoni tra le ruote, sembra che la causa prima di questo malanno però stia nelle condizioni del suo addome tormentato di problemi intestinali che lo hanno debilitato, dice anche che ha provato molte cure si per i suoi problemi addominale che per quelli uditivi molti sono stati inutili ma dopo molto tempo è riuscito a trovare sollievo con delle pillole per la pancia e un infusione per l’orecchio. Sul finire del 1801 le condizioni di Beethoven migliorano un po’ e dopo una lunga depressione riesce a trovare la felicità forse dovuta all’innamoramento della contessa Giulietta Guicciardi allieva di pianoforte di Beethoven, ma Giulietta sposerà un conte e Beethoven deluso si rinchiuderà nuovamente in se stesso. Arriverà al punto di tentare il suicidio e lascerà un testamento in cui parlerà di tutti i suoi problemi: “O voi uomini che mi reputate o definite astioso o scontroso, come mi fate torto! Voi no conoscete la causa segreta di ciò che mi fa apparire a voi così. Il mio cuore e il mio animo fin dall’infanzia erano inclini al delicato sentimento della benevolenza e sono stato sempre disposto a compiere azioni generose. Considerate,però, che da sei anni mi ha colpito un grave malanno peggiorato per colpa di medici incompetenti. Di anno in anno le mie speranze di guarire sono state gradualmente frustate, ed alla fine sono stato costretto ad accettare la prospettiva di una malattia cronica (la cui guarigione richiederà forse degli anni o sarà del tutto impossibile). Pur essendo dotato di un temperamento ardente, vivace, e anzi sensibile alle attrattive della società, sono stato presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in solitudine. E se talvolta ho deciso di non dare peso alla mia infermità, ahimè, con quanta crudeltà sono stato allora ricacciato indietro dalla triste, rinnovata esperienza della debolezza del mio udito. Tuttavia non mi riusciva di dire alla gente: Parlate più forte, gridate: perché sono sordo. Come potevo, ahimè, confessare la debolezza di un senso, che in me dovrebbe essere più raffinato che gli altri uomini e che in me un tempo raggiungeva un grado di perfezione massima, un grado tale di perfezione quale pochi nella mia professione sicuramente posseggono, o hanno mai posseduto. No non posso farlo; perdonatemi perciò se talora mi vedrete stare in disparte dalla vostra compagnia, che un tempo in vece mi era cara ricercare. La mia fortuna mi fa doppiamente soffrire perché mi porta ad essere frainteso. Per me non può esservi sollievo nella compagnia degli uomini, non possono esservi conversazioni elevate, né confidenze reciproche. Costretto a vivere completamente solo, posso entrare furtivamente in società solo quando lo richiedono le necessità più impellenti, devo vivere come un proscritto. Se sto in compagnia vengo soprafatto da un’ansietà cocente, dalla paura di correre il rischio che si noti il mio stato. E così è stato anche in questi sei mesi che ho trascorso n campagna. Quale umiliazione ho provato quando qualcuno, vicino a me, udiva il suono di un flauto in lontananza e io non udivo niente, o udiva il canto di un pastore e ancora io nulla udivo. Tali esperienze mi hanno portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fin alla mia vita. La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuta. Ah, mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo, prima di aver creato tutte quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre; e così ho trascinato avanti questa misera esistenza davvero misera, dal momento che il mio fisico tanto sensibile può, da un istante all’altro, precipitarmi dalle migliori condizioni di spirito nella più angosciosa disperazione. Pazienza mi dicono che questa è la virtù che adesso debbo scegliermi come guida; e adesso io la posseggo. Da tanto tempo ormai non conosco più l’intimo eco della vera gioia. Oh quando Dio onnipotente potrò sentire di nuovo questo eco nel tempio della Natura e nel contatto con ‘umanità. Mai? No,questo sarebbe troppo crudele”. Da questo testamento si può capire tutto lo stato d’animo di Beethoven e l’enorme peso che l’affligge. La morte di Beethoven Tutti i problemi di salute di Beethoven lo debiliteranno tantissimo. Il 2 dicembre del 1826 su un carro scoperto e in una notte di pioggia, Beethoven contrasse una polmonite doppia da cui non si risollevò più. gli ultimi quattro mesi della sua vita furono segnati da un segnati da un terribile logoramento fisico. Morì il 26 Marzo del 1827 otto giorni dopo che aveva ricevuto un anticipo per un concerto da tenere in suo beneficio che in fine venne usato per pagare il funerale. Ai suoi funerali parteciparono più di ventimila persone tra cui molti musicisti e il poeta Grillparzer venne incaricato di scrivere un discorso che letto da un attore dove si dice “ Rammentate quest’ora, e pensate eravamo presenti quando egli fu sepolto quando egli morì, abbiamo pianto”. La Nona Sinfonia: l’Inno alla Gioia La composizione più importante, secondo me, di Beethoven è l’Inno alla Gioia che è diventato anche l’inno di Europa. Beethoven, attraverso le parole di quest’inno scritte dal poeta Schiller, vuole lasciare un messaggio all’intera umanità: solo restando uniti gli uomini possono vincere le difficoltà della vita ed essere felici. La nona sinfonia è soprannominata la corale perché nel quarto tempo Beethoven ha inserito il coro, dando il via ad una grande innovazione. L’Inno alla Gioia fa parte del quarto movimento della nona sinfonia. Beethoven però aveva questa sinfonia nel suo inconscio fin da giovane. Infatti quando il giovane musicista lesse per la prima volta l’Inno alla Gioia ne rimase incantato e aveva avuto il forte desiderio di musicarlo. La Nona Sinfonia venne composta pezzi, cioè una parte alla volta e ci vorranno molti anni prima di essere riunita e finalmente terminata. Spesso dovrà rinunciare a comporla per gli impegni di studio o i concerti che doveva orchestrare o suonare. Beethoven rifletteva a un finale tutto e solo strumentale. Testo originale O Freunde, nicht diese Töne ! Sondern laßt uns angenehmere anstimmen und freudenvollere ! Freude, schöner Götterfunken, Tochter aus Elysium, Wir betreten feuertrunken, Himmlischer, Dein Heiligtum ! Deine Zauber binden wieder, Was die Mode streng geteilt ; Alle Menschen werden Brüder, Wo Dein sanfter Flügel weilt. Wem der große Wurf gelungen, Eines Freundes Freund zu sein, Wer ein holdes Weib errungen, Mische seinen Jubel ein ! Ja, wer auch nur eine Seele Sein nennt auf dem Erdenrund ! Und wer's nie gekonnt, der stehle Weinend sich aus diesem Bund. Freude trinken alle Wesen An den Brüsten der Natur ; Alle Guten, alle Bösen Folgen ihrer Rosenspur. Küsse gab sie uns und Reben, Einen Freund, geprüft im Tod ; Wollust ward dem Wurm gegeben, Und der Cherub steht vor Gott ! Froh, wie seine Sonnen fliegen Durch des Himmels prächt'gen Plan, Laufet, Brüder, eure Bahn, Freudig, wie ein Held zum Siegen. Seid umschlungen, Millionen. Diesen Kuß der ganzen Welt ! Brüder ! Über'm Sternenzelt Muß ein lieber Vater wohnen. Ihr stürzt nieder, Millionen ? Ahnest Du den Schöpfer, Welt ? Such'ihn über'm Sternenzelt ! Über Sternen muß er wohnen. Traduzione O amici, non questi suoni! ma intoniamone altri più piacevoli, e più gioiosi. Gioia, bella scintilla divina, figlia degli Elisei, noi entriamo ebbri e frementi, celeste, nel tuo tempio. La tua magia ricongiunge ciò che la moda ha rigidamente diviso, tutti gli uomini diventano fratelli, dove la tua ala soave freme. L'uomo a cui la sorte benevola, concesse di essere amico di un amico, chi ha ottenuto una donna leggiadra, unisca il suo giubilo al nostro! Sì, - chi anche una sola anima possa dir sua nel mondo! Chi invece non c'è riuscito, lasci piangente e furtivo questa compagnia! Gioia bevono tutti i viventi dai seni della natura; tutti i buoni, tutti i malvagi seguono la sua traccia di rose! Baci ci ha dato e uva, un amico, provato fino alla morte! La voluttà fu concessa al verme, e il cherubino sta davanti a Dio! Lieti, come i suoi astri volano attraverso la volta splendida del cielo percorrete, fratelli, la vostra strada, gioiosi, come un eroe verso la vittoria. Abbracciatevi, moltitudini! Questo bacio vada al mondo intero Fratelli, sopra il cielo stellato deve abitare un padre affettuoso. Vi inginocchiate, moltitudini? Intuisci il tuo creatore, mondo? Cercalo sopra il cielo stellato! Sopra le stelle deve abitare!