Tesina di musica

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Tesina di musica
Tesina di musica
La Musica
La Musica
Non esiste un momento preciso in cui è nata la musica è sempre
esistita.
Secondo me anche lo scoppio del Big Ben ha creato un’armonia, una
musica naturale che solo le stelle e pochi altri abitanti del cielo
hanno ascoltato. La musica è qualcosa sempre presente se chiudi gli
occhi puoi sentirla: il battito del cuore, l’oggetto che cade, il libro
che si sfoglia.
Il primo anno che iniziai a fare musica
la professoressa ci chiese:
Che cos’è la musica per voi?
Ognuno di noi espose la sua idea.
Io dissi: Un viaggio che ci trasporta lontano dove bisogna portare
solo il cuore.
La mia risposta non era ne giusta ne sbagliata perché non esiste una
sola definizione sentimentale della musica e ognuno ne possiede una
diversa, però si può dare una definizione tecnica quella che ci dettò
la professoressa:
La musica è un linguaggio universale formato da suoni che si
chiamano figure musicali e da silenzi che si chiamano pause.
Infatti la musica è una lingua uguale per tutti che non ha bisogno di
distinzioni di paese in paese e se si impara riesci a comunicare con
tutti perché essa è in grado di esprimere le tue emozioni con suoni
alti, bassi o semplicemente silenzi.
La cosa di cui io volevo parlare riguardante la musica però è la sua
Energia cioè il centro delle mie idee.
Quando noi ascoltiamo la musica c’è qualcosa che ci nasce dentro,
una potenza, un’energia, che ci fa sentire bene e ci rilassa che
immediatamente ti dà la forza di fare qualunque cosa.
Quest’energia però è soggettiva infatti non tutti si emozionano per
lo stesso genere.
Ogni melodia può suscitare emozioni differenti.
La cosa sicura però e che non fa mai male.
Molte persone che sono riuscite a campire l’importanza di questa
forza chiamata musica addirittura hanno eseguito ricerche su di
essa e sono riusciti a scoprire che la musica può essere anche una
medicina.
Infatti in molti centri esistono delle sale apposite dove si svolgono
delle sedute di musicoterapia.
La musicoterapia è una tecnica che utilizza la musica come uno
strumento terapeutico con lo scopo di procurare un benessere per la
mente e lo spirito.
Bisogna ammettere però che non è stato l’uomo moderno il primo a
capire l’importanza dell’energia della musica ma sono stati i Greci
che ci hanno lasciato moltissime leggende su essa.
Come:
• Orfeo che trascinava i sassi, le piante e le belve con il suo canto;
• Anfione che costruì le mura di Tebe a suon di musica;
• Arione, che i delfini, evocati dal canto, salvarono dalla morte cui
l’avevano condannato i pirati.
• Le sirene che annegavano i marinai.
• La musica che però ottiene risultati migliori nella musicoterapia è
quella classica in particolare Beethoven.
Orfeo ed Euridice
Gli dei avevano inventato la musica, ma alcuni esseri umani sapevano
suonare bene quasi quanto gli dei stessi. Tra gli esseri umani, Orfeo
era indubbiamente il miglior musicista.
Orfeo era più di un semplice mortale ,poiché sua madre era una
musa, Calliope; era poeta e cantore, sapeva suonare la lira e la
chitarra.
I suoi canti erano così meravigliosi che non solo gli uomini ne
rimanevano estasiati , ma persino gli animali e le piante cessavano di
respirare quando li sentivano. Le belve feroci si accucciavano ai suoi
piedi; quando camminava, gli alberi si inchinavano, le colline si
spostavano e i fiumi cambiavano il loro corso.
Orfeo sposò la ninfa Euridice; un giorno ,mentre ella passeggiava da
sola in un prato ,incontrò il pastore Aristeo. Vedendo questa
ragazza così bella, Aristeo se ne innamorò perdutamente. Cercò di
avvicinarla ma lei scappò e lui la inseguì; piena dei paura ,Euridice
non guardava dove posava i piedi e calpestò un serpente velenoso
nascosto
nell’
erba.
Il serpente le morse il polpaccio; poco dopo, Euridice morì. Orfeo
non riusciva a consolarsi; i suoi tristi pianti echeggiavano sulle
montagne: niente poteva alleviare il suo profondo dolore e l’
immagine di Euridice lo ossessionava. Non poteva vivere senza di lei
e
decise
di
andare
a
cercarla
negli
Inferi.
Dopo un lungo cammino, giunse alla porta degli Inferi; scese nelle
profondità oscure e arrivò sulle sponde del fiume Stige. Il vecchio
Caronte lo fece salire sulla sua barca per traghettarlo sull’altra
riva; all’entrata del mondo sotterraneo, si trovava Cerbero, l’enorme
cane a tre teste, che gli mostrò i suoi denti terribili. Ma Orfeo
cominciò a cantare e l’animale si accucciò ai suoi piedi.
Mentre penetrava negli Inferi i fantasmi dei morti, attirati dal suo
canto, gli si avvicinarono e lo circondarono. Alla fine Orfeo arrivò al
cospetto di Plutone e Proserpina e rivolse a loro il suo canto;
- O dei che governate il mondo delle ombre e del silenzio, tutti gli
esseri umani devono un giorno venire qui da voi; trascorriamo un solo
istante sulla terra prima di appartenervi per sempre. Ma colei che
cerco è arrivata qua troppo presto; mi sono sforzato invano di
sopportare la sua perdita, ma l’amore che provo per lei è troppo
forte. Vi chiedo soltanto di prestarmi Euridice e alla fine della sua
vita ritornerà da voi-.
Nessuno poteva resistere alla voce di Orfeo e Plutone gli disse: Euridice potrà rivedere il Sole ma a una condizione: dovrai
camminare davanti a lei e non dovrai in nessun momento parlarle o
voltarti prima di essere tornati alla luce-.
Orfeo inizio il ritorno seguito da Euridice ma il tragitto era lungo e
il pensiero che gli dei lo avessero ingannato era forte.
Infine scorse la luce allora non potendo più resistere si voltò ma
Euridice non aveva camminato velocemente come lui ed era ancora
nell’ombra degli Inferi e per questo svanì lentamente mormorando
addio.
Orfeo la rincosse ma stavolta Caronte non lo fece passare.
Per sette mesi rimase seduto su un dirupo con la compagnia degli
animali e della natura che ascoltavano le sue tristi melodie. Da allora
non guardò più una donna. Le baccanti adirate per la sua differenza
lo uccisero e disseminarono e le sue parti di corpo per il mondo.
La sua testa e la sua lira trasportate da un fiume arrivarono alle
Muse. Le sue membra furono sepolte ai piedi del monte Olimpo.
Anfione
Antiope fu cacciata dal padre Nitteo, quando questi conobbe della
gravidanza della figlia. Ella si rifugiò allora a Sicione, presso lo zio
Lico, dove fu trattata da prigioniera. Qui la ragazza diede alla luce
due gemelli, Anfione e Zeto, e quando Lico ne venne a conoscenza,
ordinò che questi venissero abbandonati sul Monte Citerone. Un
pastore trovò i gemelli, e li prese con sé.
Antiope fu quindi riportata nella Cadmea, l'antica rocca di Tebe,
dove Lico e sua moglie, Dirce, avevano occupato il trono lasciato
vacante dalla morte di Nitteo. Anche qui Antiope fu trattata da
schiava, ma riuscì a fuggire e a tornare dai suoi figli.
Divenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico.
Poi attaccarono Dirce ad un toro, che la trascinò via uccidendola. I
fratelli divennero i nuovi re di Tebe, ma fondarono anche una nuova
città: Zeto portava le pietre, Anfione le sistemava grazie al suono
magico della sua lira.
Anfione e Zeto governarono in accordo le due città.
Anfione sposò Niobe, figlia di Tantalo, ma morì di crepacuore
quando Apollo e Artemide uccisero i suoi numerosi figli per punire la
moglie.
Secondo la leggenda costruì con la musica le mura di
Tebe, sia per la capacità di incantare gli animali selvaggi, sia per il
potere ordinatore che costringeva i massi a prendere
spontaneamente il loro posto nelle mura di una città.
Arione
Arione era il prediletto di Periandro, tiranno di Corinto. Egli
convinse il re a lasciarlo andare di città in città per mostrare a tutti
la sua arte. Erodoto narra che Arione arrivò fino in Sicilia, dove si
arricchì grazie alla sua arte. Nel suo viaggio di ritorno da Taranto, i
marinai avevano complottato di uccidere e derubare Arione delle
ricchezze che portava con sé. Mentre si trovava in alto mare, ad
Arione fu data la possibilità di scegliere fra un suicidio con una
degna sepoltura a terra o di essere gettato in mare. Egli allora
chiese di poter cantare per l'ultima volta, prima di suicidarsi (nella
versione di Igino, Arione sognò la notte il dio Apollo che gli disse di
cantare con la sua ghirlanda e le sue vesti di scena e di confidarsi a
quelli che sarebbero venuti in suo aiuto).
Suonando la
sua cetra, Arione cantò quindi una lode ad Apollo e la sua canzone
attirò vari delfini attorno alla nave. Appena finito di cantare, Arione
si gettò in mare dove uno dei delfini lo caricò sul dorso e lo portò in
salvo presso il santuario di Poseidone a Capo Tenaro. Giunto a terra,
desideroso di ripartire subito, Arione dimenticò di spingere in mare
il delfino, che morì in quel luogo. Egli si diresse verso Corinto dove
narrò le sue vicende a Periandro e questi ordinò che il delfino fosse
sepolto e gli fosse innalzato un monumento funebre.
Poco tempo dopo giunse a Corinto la nave sulla quale Arione era
stato trasportato. Periandro comandò che i marinai della nave
fossero portati al suo cospetto e chiese loro informazioni riguardo
ad Arione; essi dissero che era morto ed era stato da loro sepolto
(nella versione di Erodoto i marinari affermano invece che Arione si
trovava vivo e vegeto in Italia). A costoro il re rispose: «Domani
giurerete davanti al monumento del delfino!» e ordinò che fossero
tenuti in prigione. Poi chiese ad Arione di nascondersi il giorno
seguente dentro il sepolcro del delfino, abbigliato nello stesso modo
con cui si era gettato in mare. Quando il re li fece condurre lì e li
fece giurare che Arione era morto, Arione uscì dal sepolcro, ed essi,
non sapendo grazie a quale Dio si fosse salvato, ammutolirono. Il re
decretò che fossero crocifissi presso la tomba del delfino.
Apollo poi, a causa della bravura nella citarodia, trasportò fra le
stelle sia Arione che il delfino, dove divennero due costellazioni: la
costellazione della Lira, la quale d'altro canto viene ricondotta
anche ad Orfeo, e la costellazione del Delfino.
Le Sirene
IL CANTO DELLE SIRENE
Si racconta che le sirene, malgrado l'aspetto dolce e seducente,
siano spiriti di morti reincarnati perché respinti dall'Aldilà; non si
considerano non-morti, ma sono ugualmente maligne ed assetate di
sangue.
Esse attendono le loro prede appostate sugli scogli: quando una nave
si avvicina, ne attirano a sé l'equipaggio con la magia del loro canto e
ne fanno un orrido banchetto.
Il canto delle Sirene è udibile sino a 200 metri; tutti gli uomini
entro questo raggio ne restano incantati... abbandonano qualunque
azione e si gettano a nuoto per raggiungerle. Se non annegano prima,
si lasciano poi uccidere senza opporre resistenza.
Le Sirene continuano a cantare finché la nave si trova a portata
d'orecchie ma, appena smettono di cantare, tutti coloro che ne
erano stati stregati tornano normali.
Coloro che si tappano in tempo le orecchie con della cera, o che
vengono protetti con qualche incantesimo, restano totalmente
insensibili alla magia del canto. Le donne, naturalmente, sono immuni
dall'incantamento. Il primo che le menzionò fu Omero nell’Odissea
nel canto numero dodici:
“ Ripartimmo dunque. Mentre la nave solcava il mare azzurro, io mi
ricordai che Circe mi aveva detto che avremmo incontrato gli scogli
abitati dalle sirene . – La voce delle sirene- mi aveva detto Circestrega chi l’ascolta e gli fa dimenticare ogni cosa, ogni affetto.
Rammenta il loro canto è dolcissimo, ma se l’ascolterete morrete!
Per questo, quando sarete vicino agli scogli riempi le orecchie di
cera ai tuoi compagni, in modo che nulla sentano. Se tu invece vorrai
udire il loro canto fatti legare all’albero della nave-. Così feci.
Legato udii il bellissimo canto delle sirene che mi chiamavano e mi
invitavano da loro e tanto era il desiderio di andarle incontro che
urlavo – Slegatemi- ai miei compagni. Ma i compagni fedeli ai miei
ordini serrarono più stretti i nodi; e così potei sfuggire al dolce ma
terribile incanto delle sirene.
Beethoven
Il giovane Beethoven a Bonn
Quando Ludwig van Beethoven nacque a Bonn, intorno al 15 dicembre
1770, il principe elettore era ancora Max Friedrich e il nonno era
maestro di cappella. Il padre Johann, invece, era rimasta nel ruolo
di cantante e non sarebbe mai riuscito a fare carriera. Johann vide
nella precocità del figlio maggiore con la musica l’occasione di
elevarsi di rango. Fece di tutto per fare del figlio un nuovo Mozart e
gli diede una discreta educazione musicale.
All’età di sette anni il padre lo presenta al pubblico per la prima
volta, con l’intento – di procurare gran diletto a tutte le nobili
Signorie- così diceva è un peccato però non poter sapere se sia
riuscito a raggiungere lo scopo.
Sappiamo invece che il giro concertistico verso Rotterdam si
concluse in modo molto deludente.
Maggiori promesse offrì invece, poco dopo, quando nel 1783 pubblicò
una raccolta di tre Sonate per pianoforte dedicate all’elettore
Friedrich. Nella lettera di dedica, dalla quale risulta che il giovane
talento ha solo undici anni (in realtà ne ha quasi quattordici), il primo
approccio alla composizione è descritto in termini molto fantasiosi
ed è forse dovuto alla penna del maestro Neefe: “A partire dall’età
di quattro anni la musica ha cominciato ad essere la più importante
delle mie occupazioni giovanili. Acquistata così presto familiarità con
la dolce Musa che disponeva la mia anima alle pure armonie, io
imparai ad amarla, e anch’essa , cosi mi è spesso sembrato, prese ad
amarmi. Ora ho raggiunto l’undicesimo anno; e da allora nelle ore
sacre dell’ispirazione la mia Musa spesso mi ha sussurrato:- Fai la
prova, scrivi su carta le armonie della tua anima-. Undici anni
pensavo – e quale figura farei come compositore? E che cosa ne
direbbero gli adulti esperti d’arte? Quasi mi intimidiva. Ma la mia
Musa insisteva ho ubbidito e ho composto”.
Nel 1784 sale al potere l’arcivescovo Franz, appassionato di musica,
che finché aveva vissuto a Vienna aveva molto aiutato il suo
coetaneo Mozart e ora voleva migliorare la Cappella Musicale di
Bonn, che era già tra le migliori della Germania, dando particolare
sviluppo al teatro musicale. Per questo poteva contare su ottimi
collaboratori come il compositore Neefe.
Neefe era un uomo di buon cultura critico e scrittore di musica vede
nell’arte dei suoni un mezzo per nobilitare l’uomo. Crede che la
musica non sia un servizio ma un linguaggio che può diventare uno
strumento per risvegliare negli altri uomini l’amore per la verità,
l’aspirazione all’uguaglianza e alla libertà. Trasmesse queste idee a
Beethoven che era il suo allievo di pianoforte . In questo ambiente
ben altolocato e guidato da Neefe Beethoven riuscì presto a far
salire il suo ruolo a corte.
Beethoven sostituì presto Neefe come organista e suonava anche in
orchestra come clavicembalista. Dal 1784 ebbe l’incarico ufficiale e
regolarmente retribuito di vice organista. Un incarico assai
opportuno perché nello stesso anno il registro dei componenti della
cappella afferma che il padre Johann ha quasi perduto la voce. In
realtà Johann è divenuto alcolizzato e una parte del suo stipendio
verrà versato a Beethoven per il mantenimento dei fratelli minori
Karl e Johann. In seguito gli fu finanziato e retribuito
dall’arcivescovo Franz un viaggio a Vienna per completare la sua
istruzione.
Beethoven però fu costretto a tornare dopo pochi mesi a causa della
malattia della madre che in seguito morì.
Una famiglia amica: i Breuning
Le amicizie di Beethoven saranno sempre a senso unico, in cui lui
chiederà
sempre
molto
dando
in
cambio
ben
poco.
Il primo amico di Beethoven è Franz Gerhard Wegeler di cinque anni
più anziano, giovane e brillante destinato a diventare un ottimo
medico.
Fu proprio lui a introdurre Beethoven nella famiglia di
Helene, vedova del consigliere Breuning, con l’incarico di dare lezioni
di pianoforte all’unica figlia Eleonore e al minore dei figli maschi
Lorenz. In questa famiglia colta e comprensiva Beethoven trovò la
calma spirituale. Forse tra lui e Eleonore nacque un sentimento
d’amore ma nel 1792 Beethoven si trasferì a Vienna tra i due nacque
un litigio di cui non si sa il motivo e un anno dopo il musicista riuscì a
scriverla una lettera d scuse e le dedicò delle musiche, in realtà di
poca importanza. Più tardi però la ragazza sposò Wegeler ma
l’amicizia tra lei e Beethoven continuò.
Viaggio a Vienna
Dopo il primo viaggio a Vienna Beethoven soggiornerà a Bonn per
altri cinque anni prima di ripartire. Dirà che la fortuna non lo assiste
lì. Mentre Beethoven si prepara a partire i suoi amici gli organizzano
una festa di addio tra cui tutti quelli che lavoravano a corte,
Eleonore e l’amico Waldstein. Dopo questo addio lascerà per sempre
Bonn portando con se i suoi manoscritti. Appena arrivato a Vienna
incomincia subito le lezioni con Haydn che però non è un buon
insegnante. Haydn infatti non ha voglia a sessant’anni glorioso come
nessun altro a Vienna di trasformarsi in pedante e paziente didatta.
Per di più non prova nemmeno simpatia per quel giovane caparbio e
scontroso che chiede alla musica e alla vita cose che lui nella sua
lunga carriera di maestro di cappella non ha mai preteso. Non gli
interessavano gli slanci romantici di Beethoven che sembrano
distruggere il suo lavoro.
Nel frattempo l’elettore Franz continuava a versare sussidi per gli
studi di Beethoven e Haydn spedì una lettere a l’elettore per digli
che era un ottimo studioso e c’era bisogno di un altro sussidio per
continuare. Evidentemente Haydn voleva solo altro denaro per il
lavoro che aveva svolto con Beethoven. Nella lettera c’è anche un
messaggio da parte di Beethoven dove dice che per l’anno seguente
si impegnerà al massimo per fornirgli delle opere ancora meglio di
quelle che gli spediva il suo maestro da parte sua.
L’elettore però si sentiva di essere preso in giro e gli rispose in
quell’ anno di studio gli aveva inviato solamente cinque manoscritti e
quattro erano stati scritti a Bonn e non a Vienna e che oltre i
regolare stipendio gli aveva pagato un sostanzioso sussidio e visto
che non aveva notato nessun miglioramento era meglio che sarebbe
tornato a Bonn per riprendere il suo la voro in cappella. La seguente
polemica però rimase senza seguito perché l’elettore era occupato
con l’arrivo delle truppe francesi, Haydn partì per Londra e
Beethoven decise di rimanere lo stesso a Vienna.
Si
trovò un nuovo maestro Albrechtsberger che adorava perché era
precisissimo e molto esigente. Beethoven come si sarà notato
esigeva moltissimo dai suoi insegnanti ma ancora di più da se stesso.
Fin dai primi mesi del soggiorno viennese le esecuzioni pianistiche di
Beethoven gli procuravano molti ammiratori. Era un pianista
straordinario molto diverso dagli altri. Beethoven scrivendo una
lettera a Eleonore parlò del suo stile pianistico dicendo: “il giorno
dopo mettevano giù parecchie particolarità del mio stile e
orgogliosamente le ostentavano come proprie”. Beethoven in un
certo senso era anche riuscito a superare Mozart in quanto lo stile
di Mozart era sottomesso alle regole severe del “bello stile” e dopo
un po’ annoiò il pubblico viennese mentre Beethoven che aggredisce
gli spettatori con contrasti violenti e le stranezze del suo stile
riusciva a stupire. In breve divenne il nuovo idolo dei nobili e
dell’elevata borghesia.
Il dramma della sordità
Beethoven nei suoi primi anni viennesi vive felicemente e ha molte
soddisfazioni. In una lettera al fratello scrive:” sto bene, molto
bene. La mia arte mi procura stima e amici. Che potrei desiderare di
più? Questa volta farò 1molti soldi”. I primi guadagni danno
un’euforica soddisfazione a Beethoven che inizia a fare sfoggio di
eleganza e prende lezioni di ballo. Tutto ciò ebbe breve durata a
causa di una grave malattia: la sordità che arriva nell’età dei
ventotto anni.
Beethoven scrive al suo amico Wegeler della sua malattia dicendo
che è un demone invidioso e che le ha messo i bastoni tra le ruote,
sembra che la causa prima di questo malanno però stia nelle
condizioni del suo addome tormentato di problemi intestinali che lo
hanno debilitato, dice anche che ha provato molte cure si per i suoi
problemi addominale che per quelli uditivi molti sono stati inutili ma
dopo molto tempo è riuscito a trovare sollievo con delle pillole per la
pancia e un infusione per l’orecchio.
Sul finire del 1801 le condizioni di Beethoven migliorano un po’ e
dopo una lunga depressione riesce a trovare la felicità forse dovuta
all’innamoramento della contessa Giulietta Guicciardi allieva di
pianoforte di Beethoven, ma Giulietta sposerà un conte e Beethoven
deluso si rinchiuderà nuovamente in se stesso. Arriverà al punto di
tentare il suicidio e lascerà un testamento in cui parlerà di tutti i
suoi problemi: “O voi uomini che mi reputate o definite astioso o
scontroso, come mi fate torto! Voi no conoscete la causa segreta di
ciò che mi fa apparire a voi così. Il mio cuore e il mio animo fin
dall’infanzia erano inclini al delicato sentimento della benevolenza e
sono stato sempre disposto a compiere azioni generose.
Considerate,però, che da sei anni mi ha colpito un grave malanno
peggiorato per colpa di medici incompetenti. Di anno in anno le mie
speranze di guarire sono state gradualmente frustate, ed alla fine
sono stato costretto ad accettare la prospettiva di una malattia
cronica (la cui guarigione richiederà forse degli anni o sarà del tutto
impossibile). Pur essendo dotato di un temperamento ardente,
vivace, e anzi sensibile alle attrattive della società, sono stato
presto obbligato ad appartarmi, a trascorrere la mia vita in
solitudine. E se talvolta ho deciso di non dare peso alla mia
infermità, ahimè, con quanta crudeltà sono stato allora ricacciato
indietro dalla triste, rinnovata esperienza della debolezza del mio
udito. Tuttavia non mi riusciva di dire alla gente: Parlate più forte,
gridate: perché sono sordo. Come potevo, ahimè, confessare la
debolezza di un senso, che in me dovrebbe essere più raffinato che
gli altri uomini e che in me un tempo raggiungeva un grado di
perfezione massima, un grado tale di perfezione quale pochi nella
mia professione sicuramente posseggono, o hanno mai posseduto. No
non posso farlo; perdonatemi perciò se talora mi vedrete stare in
disparte dalla vostra compagnia, che un tempo in vece mi era cara
ricercare. La mia fortuna mi fa doppiamente soffrire perché mi
porta ad essere frainteso. Per me non può esservi sollievo nella
compagnia degli uomini, non possono esservi conversazioni elevate,
né confidenze reciproche. Costretto a vivere completamente solo,
posso entrare furtivamente in società solo quando lo richiedono le
necessità più impellenti, devo vivere come un proscritto. Se sto in
compagnia vengo soprafatto da un’ansietà cocente, dalla paura di
correre il rischio che si noti il mio stato. E così è stato anche in
questi sei mesi che ho trascorso n campagna. Quale umiliazione ho
provato quando qualcuno, vicino a me, udiva il suono di un flauto in
lontananza e io non udivo niente, o udiva il canto di un pastore e
ancora io nulla udivo. Tali esperienze mi hanno portato sull’orlo della
disperazione e poco è mancato che non ponessi fin alla mia vita. La
mia arte, soltanto essa mi ha trattenuta. Ah, mi sembrava
impossibile abbandonare questo mondo, prima di aver creato tutte
quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre; e così ho
trascinato avanti questa misera esistenza davvero misera, dal
momento che il mio fisico tanto sensibile può, da un istante all’altro,
precipitarmi dalle migliori condizioni di spirito nella più angosciosa
disperazione. Pazienza mi dicono che questa è la virtù che adesso
debbo scegliermi come guida; e adesso io la posseggo. Da tanto
tempo ormai non conosco più l’intimo eco della vera gioia. Oh quando
Dio onnipotente potrò sentire di nuovo questo eco nel tempio della
Natura e nel contatto con ‘umanità. Mai? No,questo sarebbe troppo
crudele”. Da questo testamento si può capire tutto lo stato d’animo
di Beethoven e l’enorme peso che l’affligge.
La morte di Beethoven
Tutti i problemi di salute di Beethoven lo debiliteranno tantissimo.
Il 2 dicembre del 1826 su un carro scoperto e in una notte di
pioggia, Beethoven contrasse una polmonite doppia da cui non si
risollevò più. gli ultimi quattro mesi della sua vita furono segnati da
un segnati da un terribile logoramento fisico.
Morì il 26 Marzo del 1827 otto giorni dopo che aveva ricevuto un
anticipo per un concerto da tenere in suo beneficio che in fine venne
usato per pagare il funerale.
Ai suoi funerali parteciparono più di ventimila persone tra cui molti
musicisti e il poeta Grillparzer venne incaricato di scrivere un
discorso che letto da un attore dove si dice “ Rammentate
quest’ora, e pensate eravamo presenti quando egli fu sepolto quando
egli morì, abbiamo pianto”.
La Nona Sinfonia: l’Inno alla Gioia
La composizione più importante, secondo me, di Beethoven è l’Inno
alla Gioia che è diventato anche l’inno di Europa.
Beethoven, attraverso le parole di quest’inno scritte dal poeta
Schiller, vuole lasciare un messaggio all’intera umanità: solo
restando uniti gli uomini possono vincere le difficoltà della vita ed
essere felici.
La nona sinfonia è soprannominata la corale perché nel quarto tempo
Beethoven ha inserito il coro, dando il via ad una grande innovazione.
L’Inno alla Gioia fa parte del quarto movimento della nona sinfonia.
Beethoven però aveva questa sinfonia nel suo inconscio fin da
giovane. Infatti quando il giovane musicista lesse per la prima volta
l’Inno alla Gioia ne rimase incantato e aveva avuto il forte desiderio
di musicarlo.
La Nona Sinfonia venne composta pezzi, cioè una parte alla volta e
ci vorranno molti anni prima di essere riunita e finalmente
terminata. Spesso dovrà rinunciare a comporla per gli impegni di
studio o i concerti che doveva orchestrare o suonare. Beethoven
rifletteva a un finale tutto e solo strumentale.
Testo originale
O Freunde, nicht diese Töne !
Sondern laßt uns angenehmere anstimmen
und freudenvollere !
Freude, schöner Götterfunken,
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken,
Himmlischer, Dein Heiligtum !
Deine Zauber binden wieder,
Was die Mode streng geteilt ;
Alle Menschen werden Brüder,
Wo Dein sanfter Flügel weilt.
Wem der große Wurf gelungen,
Eines Freundes Freund zu sein,
Wer ein holdes Weib errungen,
Mische seinen Jubel ein !
Ja, wer auch nur eine Seele
Sein nennt auf dem Erdenrund !
Und wer's nie gekonnt, der stehle
Weinend sich aus diesem Bund.
Freude trinken alle Wesen
An den Brüsten der Natur ;
Alle Guten, alle Bösen
Folgen ihrer Rosenspur.
Küsse gab sie uns und Reben,
Einen Freund, geprüft im Tod ;
Wollust ward dem Wurm gegeben,
Und der Cherub steht vor Gott !
Froh, wie seine Sonnen fliegen
Durch des Himmels prächt'gen Plan,
Laufet, Brüder, eure Bahn,
Freudig, wie ein Held zum Siegen.
Seid umschlungen, Millionen.
Diesen Kuß der ganzen Welt !
Brüder ! Über'm Sternenzelt
Muß ein lieber Vater wohnen.
Ihr stürzt nieder, Millionen ?
Ahnest Du den Schöpfer, Welt ?
Such'ihn über'm Sternenzelt !
Über Sternen muß er wohnen.
Traduzione
O amici, non questi suoni!
ma intoniamone altri
più piacevoli, e più gioiosi.
Gioia, bella scintilla divina,
figlia degli Elisei,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
La tua magia ricongiunge
ciò che la moda ha rigidamente diviso,
tutti gli uomini diventano fratelli,
dove la tua ala soave freme.
L'uomo a cui la sorte benevola,
concesse di essere amico di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, - chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c'è riuscito,
lasci piangente e furtivo questa compagnia!
Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
tutti i buoni, tutti i malvagi
seguono la sua traccia di rose!
Baci ci ha dato e uva, un amico,
provato fino alla morte!
La voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!
Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio vada al mondo intero Fratelli,
sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.
Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!