CHE IL CAOS SIA CON NOI Premesse di discontinuità

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CHE IL CAOS SIA CON NOI Premesse di discontinuità
Lavorare o Collaborare?
CHE IL CAOS SIA CON NOI < -- > Premesse di discontinuità organizzativa.
Se sono stati scardinati i principi tradizionali su cui si ergevano le organizzazioni (controllo, gerarchia, burocrazia, stile
autoritario) verso cosa si andrà?
Il caos? E se è così cosa significa, ne verremo irrimediabilmente travolti o lo potremo governare? Nicola Palmarini,
propone un nuovo paradigma “Da oggi in poi non parleremo più di lavoro o collaborazione come due diverse facce
della stessa medaglia. Da oggi inizia l’era della COLLAVORAZIONE”.
TITLE / CLASS <--> Lavorare o collaborare? Networking sociale e modelli organizzativi del futuro (Egea ed.) / Saggio
Il punto focale di questa nuova dimensione del lavorare è
rimettere l’uomo e le sue relazioni al centro, in una specie di
nuovo umanesimo in chiave 2.0 e far sì che il processo
collaborativo possa diventare un fattore strategico e sistematico
delle imprese.
L’impresa oggi deve snellire la propria struttura. Vero. Per alcuni
questo si traduce banalmente nel taglio di costi, persone, servizi.
Occorre invece trovare persone di valore e dar loro fiducia,
avere il coraggio di investire su di loro e lasciare che ci guidino
verso nuovi equilibri. Questo non significa eliminare il vertice,
ma solo il dirigismo. Il CEO resta una figura fondamentale
nell’organizzazione perchè c’è bisogno di una visione, ma una
soltanto: “c’è bisogno, ora più che mai, di comandanti saggi e
illuminati e direzioni e carisma”.
“Siamo stati cresciuti a pane e egoismo, su modelli sociali non
autoctoni, alla ricerca di una competitività sterile, a cercare di
fregare il prossimo come opzione di default. E se ci fosse un’altra
strada? E se invece di questa cieca propensione alla
competizione fratricida si potesse costruire il futuro basato su
un nuovo scenario collaborativo?”
L’AUTORE <--> Nicola Palmarini
Nicola Palmarini è fondatore e direttore europeo dell’IBM Human Centric Solutions
Center, la divisione IBM che si occupa di disegnare visioni e inventare soluzioni
marketing-wise basate sulle nuove tecnologie con particolare attenzione alle tematiche
sociali e degli anziani, culturali e della disabilità. In passato si è occupato del brand
Tin.it, dell’intero panorama della comunicazione della Microsoft e ha creato il
manifesto “Internet del Pensiero”.
WEB TRIBE <--> Uomini d’impresa, uomini nelle imprese
Per tutti coloro che non temono il cambiamento, anche quando questo fa tremare la terra sotto i piedi e per tutti
quelli che, invece, preferirebbero vivere all’ombra rassicurante dell’ “abbiamo sempre fatto così”.
10 STEPS BEHIND <--> Dieci consigli per iniziare a trasformare il vostro business in sociale
1) Rallentiamo la macchina del caffè
Come dice Riccardo Donandon, Amministratore Delegato di H-Farm,
il social network più potente resta la macchina del caffè: è qui che si condivide,
si discute, si inventa, ci si conosce e molto spesso è qui che si iniziano a
risolvere i problemi. Se stavamo pensando di ottimizzare la velocità delle nostre
vending machine per risparmiare tempo e rispedire i nostri collaboratori il più
velocemente possibile alle loro scrivanie, proviamo a ripensarci.
Anche perché non c’è nessun sistema di collaboration altrettanto efficace
quanto una bella chiacchierata faccia a faccia.
2) Meno outsourcing, più crowdsourcing
Non appena ci troviamo ad affrontare un problema che non sappiamo come risolvere tendiamo a esternalizzare la
questione. Il più grande errore però è quello non tanto di esternalizzare il problema in sé, ma la nostra capacità di
risolverlo. La prossima volta proviamo a cercare di esternalizzare, sì, ma magari verso altre divisoni dentro alla nostra
stessa azienda. Qualcuno vede il posto di lavoro come grande piattaforma crowdsource, perché non essere uno di
quelli?
3) Proviamo a metterci (davvero) in quei benedetti panni
Quante volte abbiamo detto la magica frase: "Se solo potessi metterti nei miei
panni, capiresti". Be’, facciamolo. Istituzionalizziamo il “Mettiti nei miei panni
Day” e lasciamo che i nostri collaboratori si scambino i ruoli. E' un modo
estremamente efficace per comprendere la complessità della vita altrui, per
imparare come funzionano le cose e anche per creare una relazione tra le
persone che devono lavorare insieme. Facciamolo magari dopo aver prodotto
una buona SNA (Social Network Analysis) in modo da scoprire i nodi reali della
nostra organizzazione. Possiamo iniziare dalle persone all'interno della stessa
rete, ma nulla vieta di allargare i cerchi e ampliare gli effetti.
4) Gli esseri umani sono esseri umani
C’è qualcosa che non cambia a seconda che lo status di una chat sia rosso o verde: le persone sono sempre persone.
In altre parole non è l’essere “online” che cambia una persona. Intelligenza, esperienza, conoscenza o “l'umanità”
sono le stesse a casa come in ufficio. Allora perché non iniziare a considerare l'esperienza delle persone all'interno
della nostra organizzazione come una risorsa indipendentemente dal loro ruolo? Perché se c’è un argomento su cui
ognuno di noi è davvero un esperto è la propria vita.
5) Il segreto è nell’instabilità
Siamo stati addestrati per agire come una bravo eroe del West: una parola, una
visione, una missione. Forse possiamo anche rilassarci per un secondo: mantenendo
parola e missione e allargando un tantino la visione e rendendola un po’ più flessibile.
Come?
Se avete provato un paio di scarpe MBT, quelle con la suola a banana, vi sarete accorti
che il nostro corpo continua a micro-regolare l'equilibrio facendoci continuamente
cambiare l’assetto, anche semplicemente stando fermi in piedi. In altre parole, siamo
pronti a controbilanciare i continui micro-effetti generati da questi tempi così volubili.
Con tutti questi segnali, a volte divergenti, che bussano alla porta è necessario
dimostrarsi “adattivi” esattamente come il nostro corpo quando indossiamo un paio di MBT. Lasciamo che i nostri
collaboratori reagiscano in fretta, anche con piccole azioni, anche se magari sembrano oltre la nostra visione. Il fatto
che siano oltre non significa che siano invisibili: magari un nostro concorrente se ne è già accorto.
6) Mettiamo qualche bel bastone tra le ruote (delle abitudini)
Essere collaborativi e partecipativi non significa che non ci sia bisogno, qualche volta, di essere anche un po’ coercitivi.
Prendiamo ad esempio gli allegati nelle e-mail: quei 50 Gb che iniziano a transitare sui server (non è che siccome
magari abbiamo gratis una jumbo mail questo fattore ci esenti dalla faccenda) e che crescono CC dopo CC. Cosa
abbiamo messo lì a fare una team room se poi ci continuiamo a mandare queste pesantissime incudini via mail?
Diamo un segnale forte a tutta la squadra, ai colleghi, magari anche ai clienti: "Da oggi non leggerò più le mail con un
attach. Si prega di notare: le mail con questa caratteristica verranno automaticamente eliminate”. Dopo gli “ohhhhe”
gli “ahhhh” dei primi giorni scopriremo che gli spazi per condividere i file che avevamo immaginato serviranno a quello
per cui erano stati progettati: un luogo per la condivisione della conoscenza comune.
7) Sexy little numbers
I dati sono fondamentali, ma i dati sono anche pericolosamente sexy e ci si può innamorare di loro o, meglio, dell’idea
che potrebbero rappresentare. Diciamocelo: è proprio bello quando si può sostenere il nostro parere di fronte ad un
pubblico citando l'ultima ricerca sull'argomento. Chi può dirci il contrario se "l'ultima ricerca ha detto che..."? Forse
qualcuno con l’ultima ricerca di senso opposto? Un po’ quello che accade nei dibattiti politici televisivi dove alla fine,
dato-contro-dato, non si capisce mai chi abbia davvero ragione a dispetto dell’affermazione che la matematica (e la
statistica) non sia una opinione. Davvero? Verrebbe da dire il contrario. Qualche volta, infatti, i dati sono un modo
meraviglioso per nascondere la verità. Nel cosiddetto mondo “social” è meglio fare affidamento sull'analisi dei modelli
di dati più semplici e grezzi, molto più efficaci per cercare di prevedere il futuro, invece di complessi modelli statistici
più indicati per comprendere e analizzare il passato. Il parere di un utente pubblicato su un social network è in grado
di distruggere in un giorno mesi di scenari statistici relativi alla domanda di un prodotto da parte del target di
riferimento. Quindi, innamoriamoci di tutti i dati e di tutti i tool di analisi che vogliamo, ma facciamolo con cautela.
8) Prepariamoci un bel piano “B” (e anche un “C” e un “D” e magari un “E” ...)
Nonostante tutti i nostri piani e i buoni propositi le cose possono prendere un’altra piega. Quindi, proprio come
facciamo nella vostra vita di tutti i giorni, pensiamo a diversi possibili scenari e, invece di cercare di capire che cosa
accadrà esattamente, pensiamo ai diversi modi in cui le cose potrebbero andare e...sfruttiamo quello che già sta
succedendo. Un esempio? Invece di costruire per intero un nuovo canale di relazione appoggiamoci a chi tra i nostri
collaboratori ha già un suo seguito spontaneo. Magari potrebbero essere proprio loro la miglior voce del nostro brand.
Teniamo gli occhi e le orecchie aperte a ciò che accade intorno, magari il piano “B” è già qui, a portata di mano.
9) KPI (keep positive instincts)
Diventare “social” è una storia un po’ diversa rispetto ad altre iniziative che abbiamo preso all'interno della nostra
organizzazione, piccola o grande che sia. Perché si scende (o si sale...) a un livello più profondo che coinvolge l'anima
della nostra impresa, in altre parole, le persone. Spesso ci si dimentica che le performance, i risultati sono il frutto
(sempre più diretto se si pensa alla cortocircuitazione social) di cosa pensiamo, facciamo, diciamo in quanto persona.
Ci sono un sacco di cosiddetti KPI (key performance indicator) sui quali si può fare affidamento per misurare il
successo del nostro comportamento sociale, ma non bisogna avere fretta.
È necessario provare senza pensare di ottenere immediatamente dei risultati. Rispetto ad altre azioni di management
qui “il risultato” è, se possibile, ancor più connesso e correlato a quello che si è immesso per ottenere quel risultato. In
altre parole proviamo a concentrarci sulla qualità degli “input” anziché guardare subito gli output.
10) "Essere" anziché "essere parte di"
Per dare il "potere" alle persone all'interno della nostra organizzazione è necessario un altro potere: quello di farlo
accadere. C’è bisogno che noi si creda in loro e loro di credere in noi. Se si crea questo atto di reciproca fiducia che
permette ai collaboratori di essere l'azienda anziché essere una parte di quell’azienda si possono ottenere risultati
difficili da immaginare, sia in termini di qualità, sia di effettive “prestazioni”. Proviamo ad immaginare cosa significhi
essere l’azienda quando idealmente chiunque nella nostra organizzazione potrebbe arrivare a trattare con un cliente
finale. Ci avevamo mai pensato?
THE REASON WHY <--> Un professionista del Web dovrebbe leggere Lavorare o collaborare?
Perchè non è importante solo sapere che c’è un cambiamento in atto favorito dal web 2.0, occorre anche sapere
quanto in profondità andrà o potrà andare.
LE NUOVE PROFESSIONI DEL WEB & LAVORARE O COLLABORARE
Community Manager:
fondamentale per questa professione è la capacità di aggregare, coinvolgere e motivare anche le persone
interne all’azienda. Questo libro aiuta a trovare la giusta chiave di lettura, basata sulla fiducia reciproca, per ottenere
da loro risultati altrimenti impensabili.
e-Reputation Manager:
l’analisi della reputazione online è una misurazione complessa che non può essere ricondotta alla crudità di
numeri e flussi. In questo libro si teorizza proprio l’importanza di ciò che si dice di un’azienda sui social, dei contenuti e
della qualità delle discussioni, piuttosto che di quanto rumore c’è in Rete.
BASTA PAROLE. SI PASSA AI FATTI. <--> Link utili a entrare nel network di Lavorare o collaborare?
- Il primo è un mappa ragionata di (quasi) tutti gli strumenti disponibili (molti gratuitamente) per poter collaborare on
line in senso lato. Suddivisa per categorie funzionali è un risorsa che voi stessi potete arricchire e aggiornare:
http://www.mindmeister.com/12213323/best-online-collaboration-tools-2012-robin-good-s-collaborative-map
- Il secondo è una selezione commentata di alcuni di questi strumenti così da darvi un quadro di riferimento:
http://thenextweb.com/apps/2012/07/14/10-top-tools-for-business-brainstorming-and-collaboration
- Il terzo è un contributo importante per collocarli in una logica di business, di processo e di presente/futura
contestualizzazione:
http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2012/08/i-dieci-processi-da-sviluppare-in-chiave-socialsecondomckinsey
- Infine, alcuni spazi di coworking reali e virtuali:
http://nomadwork.ning.com
http://www.pianoterralab.org
http://www.talentgarden.it
http://www.the-hub.net
https://goodcoworking.com
http://www.pianoc.it
http://coworkingproject.com
di Raffaella Giuri,
giornalista ed esperta di giovani e mercato del lavoro
@raffaellagiuri