TITOLO Quando sei nato non puoi più nasconderti REGIA Marco
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TITOLO Quando sei nato non puoi più nasconderti REGIA Marco
Quando sei nato non puoi più nasconderti Marco Tullio Giordana Alessio Boni, Michela Cescon, Rodolfo Corsato, Matteo Gadola, Andrea Tidona, Adriana Asti Drammatico GENERE 115 min. - Colore DURATA Italia – GB – Francia 2005 – Festival di Cannes 2005 per PRODUZIONE migliore produttore – Nastro d’Argento 2006 per miglior produttore Sandro ha dodici anni e una vita spensierata in una piccola cittadina di provincia. Un giorno, durante un viaggio in barca nel Mediterraneo con il padre, cade in acqua e non riescono a raggiungerlo prima che sparisca tra le onde. Viene ripescato da uno scafo su cui sono imbarcati dei clandestini che fanno rotta verso l'Italia, sperando in una vita migliore e nel miraggio di un lavoro per poter mantenere le loro famiglie. Tra gli emigranti ci sono due fratelli rumeni, Radu e Alina. Hanno la stessa età di Sandro e tra i tre ragazzi si stringe un rapporto che somiglia sempre più ad un'amicizia, nonostante le diversità e la lingua diversa. Sandro si sente vicino a loro, e soprattutto ad Alina, così bella ai suoi occhi di adolescente. E' l'età adulta che irrompe nella sua vita, mostrandogli lo squallore e la crudezza della realtà e costringendolo a guardare il mondo con occhi diversi TITOLO REGIA INTERPRETI Al centro della vicenda è Sandro, un dodicenne figlio unico d’una famiglia bresciana benestante padre imprenditore, madre che lavora nell’amministrazione della ditta. Nel corso d’una crociera in barca a vela nel Mediterraneo, il ragazzo di notte cade in mare. Quando scatta l’allarme, i tentativi di ritrovarlo risultano vani e Sandro viene dato per morto: egli, invece, si è salvato, soccorso da immigrati che viaggiano su un barcone di clandestini diretto verso le nostre coste. Durante il tragitto, Sandro scopre un universo del tutto differente dal proprio. Quando l’imbarcazione raggiunge l’Italia, egli chiede ai genitori di farsi carico dei destini di Radu, il giovane serbo che lo ha tirato fuori dalle acque e della sua sorella minore, Alina. Le cose avranno una conclusione imprevista, ma Sandro, pur sgomento, non si fermerà alla superficie, cercherà di capire. Liberamente tratto dal romanzo omonimo di Maria Pace Ottieri, “Quando sei nato non puoi più nasconderti” segna il ritorno di Marco Tullio Giordana, dopo tre film collocati nel passato, “Pasolini, un delitto italiano” (1995), “I cento passi ” (2000), “La meglio gioventù” (2003), al presente, all’oggi con l’urgenza di chi ha qualcosa da dire. Non dissimile nella struttura, il confronto tra il benessere indigeno e la pena dei disperati del mare, da “Lamerica” (1994) di Gianni Amelio, non ha di quello la forza nè la compattezza: ciò che lo differenzia, l’innocenza dello sguardo infantile, mai riesce a diventare un autentico atout. Più che del problema dell’ immigrazione, il film parla con efficacia di una certa borghesia del Nord: di questi individui sospesi fra la memoria non remota dell’indigenza e l’odierno danaro improvviso ed ansiogeno, tra la benevolenza interessata ed il fastidio criptorazzista nei confronti degli extracomunitari, esso fornisce un ritratto attendibile e non manicheo. Privo di una drammaturgia forte, preoccupato di evitare le trappole della retorica, “Quando sei nato non puoi più nasconderti” resta esito incerto, buona azione in luogo di bel film come da scontato copione. Critica: Sul bordo di un’aiuola spartitraffico, Sandro (Matteo Gadola) e Alina (Ester Hazan) siedono uno di fianco all’altra. Lui l’ha appena ritrovata nella miseria di uno dei molti luoghi dove si addensano le vite dei migranti. I due si sono guardati in silenzio, lei vergognandosi della sua condizione, lui vergognandosi della sua vergogna. E ora sono qui, nel buio della sera, in mezzo al traffico indifferente della periferia milanese: Alina con la giacca di Sandro sulle spalle, e Sandro ormai sicuro che, appunto, Quando sei nato non puoi più nasconderti (Italia, Francia e Gran Bretagna, 2005, 115’). Il film di Marco Tullio Giordana si chiude su questa immagine di smarrimento e attesa. Fino a poche sequenze prima, gli sceneggiatori Sandro Petraglia e Stefano Rulli hanno raccontato una storia prevedibile. Inusuali son stati la caduta in mare, l’arrivo della barca carica di migranti, l’incontro con Alina e con Radu (Vlad Alexandru Torna). Ma poi, tra ignobili mercanti di esseri umani e campi cosiddetti d’accoglienza, ben poco abbiamo visto che già non conoscessimo. D’altra parte, Quando sei nato non puoi più nasconderti si è aperto su un’immagine e su una condizione così poco prevedibili, da essere spaesanti. Nel centro di Brescia, Sandro è incuriosito da un africano che urla frasi incomprensibili. Gli si avvicina, un po’ per curiosità e un po’ per una solidarietà spontanea. Quello, disperato, tenta di dirgli qualcosa, ma per lui le sue parole non sono che suoni misteriosi. Poi, Giordana racconta una follia diversa, sistematica: quella dei corpi ammassati nel centrò di raccolta, divisi tra maschi e femmine come accadeva, un tempo non lontano, stanno a decine i migranti non è che una delle molte che arrivano sulle nostre coste, se prima non si sono inabissate nel Mediterraneo. La macchina da presa ce ne mostra la precarietà e l’angoscia, versione aggiornata dell’antica “nave dei folli”. Ma chi tra noi può dire di stupirsene davvero? Insomma, fin qui non ci pare che Quando sei nato non puoi più nasconderti vada oltre una ricognizione dei troppi motivi di pubblica vergogna che gravano su di noi, da anni. Né ci sembra che aggiunga molto la vicenda dei genitori di Sandro. Il mondo di Lucia (Michela Cescon) e di Bruno (Alessio Boni) non ci sorprende. Non ci sorprende la loro ricchezza tranquilla, probabilmente egoista. Nemmeno ci sorprende il capovolgimento repentino del loro atteggiamento nei confronti di Radu e d Alina, se non proprio di tutti I “folli” che, come loro, hanno attraversato il mare. Come in una favola bella, i due rumeni hanno salvato il loro Sandro. Come potrebbero non essere riconoscenti? E come potrebbero denunciarli, per quanto quelli li derubino? E tuttavia la regia e la sceneggiatura non mirano ad alcun trionfo della nostra buona coscienza. Anzi, sospettiamo che, uno dopo l’altro, vogliano illustrarcene i luoghi comuni, per arrivare a confutarne la prevedibilità. Sospettiamo inoltre che Quando sei nato non puoi più nasconderti non intende raccontare una favola bella ma voglia seguire Sandro nella sua crescita morale, fino alla riscoperta di quella dimensione spaesante da cui la storia ha preso inizio. E infatti, esaurite tutte le “possibilità” della favola, confutata l’attendibilità d’un lieto fine, al centro del film resta proprio solo Sandro, di fronte al “destino” di Alina. Per arrivare fino alla ragazzina, ha dovuto fare un lungo viaggio non solo attraverso il Mediterraneo, non solo attraverso la sua ovvia, tranquilla dipendenza dai genitori, ma soprattutto attraverso la propria coscienza. Insomma, è dovuto crescere,. ha: dovuto imparare una “lingua” del tutto nuova, lontana da quella familiare, e probabilmente egoista, del mondo in cui è nato. Ora è qui, con Alina, seduto sul bordo di uno spartitraffico. Non c’è più luogo comune che lo attenda, non ci sono più favole che lo consolino. C’è però in lui la scoperta del diritto e del dovere di non nascondersi, una volta che si sia nati. Ossia: di decidere, d’essere responsabile di fronte alla “folla”. Seduto nel buio, perso in una periferia insensata, non più un adolescente, ma un uomo. Roberto Escobar, ‘Il Sole-24 Ore’, 22 Maggio 2005 L’estate di Sandro comincia su una barca da sogno e finisce su una carretta dei mari carica di lingue, di etnìe, di miseria. Comincia fra i riti rassicuranti del consumismo, nel silenzio protetto di una famiglia benestante, e prosegue in un crescendo di scoperte e di incontri destabilizzanti, di quelli senza alternative. Capire o morire, crescere o soccombere. E Sandro sarà costretto a crescere. Non sa nemmeno lui quanto. Chiariamolo subito, il nuovo film di Giordana parla di noi, gli italiani, non di loro, i migranti. Sembra realistico e invece è una fiaba, un racconto iniziatico, un’avventura notturna e crudele irta di simboli rubati alla cronaca. Quando Sandro cade dalla barca del padre, in piena notte, il mare non lo porta in un altro mondo ma semplicemente più in fondo. In fondo a se stesso, se vogliamo. Gli apre gli occhi e li apre anche a noi, spalancando di colpo un’altra prospettiva. Ora Sandro non è più il figlio unico, coccolato e viziato. E’ uno come tanti, in lotta per la vita. Non può nemmeno parlare italiano, i due negrieri un po’ grotteschi che guidano la carretta carica di clandestini potrebbero rapirlo. Deve soffrire la fame, la sete, la paura, emozioni antiche finora confinate nell’immaginario. E soprattutto affrontare una serie di misteri che hanno cominciato a manifestarsi già a casa sua, a Brescia. Cosa c’è dietro quelle facce così diverse, quelle lingue impenetrabili? Che cosa ripeteva l’africano impazzito per strada, pochi giorni prima? E perché la piccola rumena Alina, la coetanea Alina, la dolce Alina, lascia che quel negriero ripugnante le si strusci addosso con la scusa di affidarle il timone? Sandro ha 13 anni, non è stupido né ingenuo. Gli immigrati li conosce, a Brescia ce ne sono tanti, nella fabbrichetta di papà qualcuno è anche suo amico. Ma ora tutto è diverso e quando tornerà a casa le cose cambieranno ancora. Ora anche i genitori (gli efficacissimi Alessio Boni e Michela Cescon, tutti energia e ingenuità) sanno. Hanno visto il centro di accoglienza, giù in Puglia, gestito con mano ferma da Padre Celso (Andrea Tidona). Intuiscono che il figlio non è più lo stesso, che bisogna fare qualcosa anche per gli altri, magari adottare Alina e suo fratello Radu, così generosi con Sandro, in fondo salvare due vite è già un gesto immenso e invece no, non è vero niente, le cose sono sempre più complicate o più ambigue. Non basta un bel gesto a scaricarsi la coscienza, la pietà è un’arma a doppio taglio, i regali non possono colmare una distanza così immensa. E l’unico momento di felicità di questo film discontinuo e spiazzante, disteso nella forma ma duro nel fondo, è forse il sorriso dell’africano che svela il titolo, un sorriso che non chiede nulla in cambio, davvero venuto da un altro mondo. Peccato solo che Giordana non abbia calcato ancor più la dimensione “in soggettiva” del racconto, lasciando che lo sguardo del piccolo Sandro (sobrio, toccante Matteo Gadola) coincidesse interamente col nostro. Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 6 maggio 2005 Dopo l'immersione negli anni dai quali veniamo, Marco Tullio Giordana si è fatto nuovamente aiutare da Petraglia e Rulli per raccontare l'oggi della pressione che esercita sulla nostra vita, avendone modificato il panorama, un numero di immigrati che ha raggiunto il 5 per cento della popolazione. Lo hanno fatto affidandosi allo sguardo di un bambino, privo di pregiudizi, ma lo stesso regista è riuscito a spogliarsi di ogni pregiudizio prendendo a riferimento il Bresciano: espressione di una mentalità che egli conosce e sente sua per essere originario di quei luoghi (come l'attore che ha scelto in mezzo al coro de "La meglio gioventù" per il padre industriale: Alessio Boni), e provincia laboratorio che più di ogni altra ha inserito il flusso migratorio nella vita produttiva e sociale. Né razzismo né ipocrisia caritatevole ma uno sguardo vergine (il bambino) e pragmatico (un tessuto economico interessato alla mano d'opera). Deideologizzato. Che resta, senza la pretesa di essere diversamente, il nostro sguardo su "gli altri" e non viceversa. Fedele al principio secondo cui la regia migliore è quella che non si vede, Giordana ha dato mano libera agli attori e al piccolo Matteo Gadola. Il suo Sandro parte in crociera con papà e amico del papà, nuovi ricchi un po' sbruffoni. Di notte li imita nel fare pipì fuori bordo e cade dalla barca. Straziante è la sua voce che chiede aiuto nel buio del mare. Lo salva un ragazzo rumeno tuffandosi dalla carretta che lo sta portando con altri disgraziati in Italia. Inizia per Sandro un percorso di formazione: fa esperienza della legge del più forte, ma anche dell'amicizia. Radu e la sorella Alina entrano nella sua vita. Quando i genitori (Michela Cescon è la mamma) lo andranno a riprendere nel centro di accoglienza, Sandro vuole che adottino i due giovani clandestini. Vincono la riluttanza, sono pronti a ricambiare chi ha restituito la vita a loro figlio. Ma è difficile tradurre la fiducia dalle parole ai fatti, ancor più da parte di chi non ha ragione di dare la propria con naturalezza. Dopo la delusione (i rumeni rubano e scappano) comincia per Sandro un'altra vita: sarà una scena di grande intensità, condivisa con Alina schiava sessuale, il punto di partenza dal quale forse e faticosamente nascerà qualcosa di duraturo e paritario. Giordana si è lasciato guidare da molte suggestioni, la prima è il libro di Maria Pace Ottieri al quale ha preso il titolo (e la zona del centro di accoglienza) ma sullo sfondo sta anche una lettura classica. "Capitani coraggiosi" di Kipling da cui vengono la caduta in mare e il salvataggio del bambino ricco da parte di un'umanità ruvida, che gli disvela nuovi orizzonti. Un film forse discontinuo, ma regala momenti pregiati. Paolo D’Agostini, ‘La Repubblica’, 13 maggio 2005 Gli ultimi film - «Pasolini», «I cento passi», una parte della «Meglio gioventù» - li aveva ambientati negli anni Settanta: «Perché li considero il laboratorio dell’Italia di oggi», dice Marco Tullio Giordana. Poi il regista si è posto altre domande, ha sentito l’urgenza di affrontare altri temi, altre realtà che ci riguardano più da vicino. E «In quando sei nato non puoi più nasconderti», tratto dal libro di Maria Pace Ottieri, prodotto da Rai Cinema e Cattleya, che il 15 maggio rappresenterà il cinema italiano a Cannes e arriverà nelle sale in almeno duecento copie, affronta uno dei fenomeni che ha cambiato con maggiore forza «la fisionomia delle nostre città e il tessuto delle nostre relazioni»: l’immigrazione clandestina. Scegliendo un punto di vista innocente, lo sguardo di un bambino ancora senza pregiudizi (il bravissimo Matteo Gadola), figlio del ricco Nord che durante una vacanza in barca a vela con il padre (Alessio Boni, la madre è Michela Cescon) cade in mare e viene ripescato da un barcone di extracomunitari. Da qui la scoperta di un mondo sconosciuto: il piccolo protagonista diventa amico del ragazzo rumeno che lo ha salvato e di sua sorella minore, vorrebbe a sua volta sottrarli a un miserando destino di piccola criminalità e di prostituzione, impara invece a misurarsi con la disillusione. «Ho sposato il punto di vista del bambino, netto, non compromissorio, poi tutto è stato facile. Il resto, spetta a noi adulti farlo, come suggerisce il finale aperto. In un primo momento il film doveva chiudersi in modo più drammatico, con la morte del giovane rumeno, ucciso dalla sorella che aveva fatto prostituire, ma la scena mi sembrava troppo impeccabile, aveva qualcosa di dimostrativo e teologico. Ho preferito un secondo finale, tutto interno ai personaggi, in cui la consapevolezza di un destino di sfruttamento si mescola alla speranza di un cambiamento. La speranza che il mondo possa essere salvato dai ragazzini». Come si è trasformata l’Italia che mostra nel film? «Non ho la pretesa di fotografare una paese complesso come il nostro nella sua totalità. Racconto piuttosto un fenomeno importante come l’immigrazione in una parte dell’Italia che conosco bene, il Nord dei padroncini e della ricchezza recente, dove la necessità di manodopera in fabbrica ha favorito forzatamente l’integrazione. Non a caso la storia è ambientata a Brescia, la città più multietnica, che ha fatto i conti per prima con il problema dei migranti. Ecco, il film parla di questo, del rapporto di amore e odio tra italiani ed extracomunitari, delle classi sociali in apparenza sparite nell’illusione di una grande mobilità, in realtà più che mai solide. Perché in Occidente tutto si configura in termini di consumi e di marginalità». E si ripropone il conflitto tra Nord e Sud. «Sì, la vecchia ostilità razzistica del Nord verso il Mezzogiorno si trasferisce sugli immigrati, forza lavoro necessaria e troppo spesso mal sopportata. Ma bisogna anche dire che il rifiuto riguarda soprattutto le istituzioni, e che la popolazione è più tollerante delle leggi. Forse nel ricordo dei nostri emigranti, sessanta milioni nel secolo scorso, un numero impressionante. E allora può accadere, come nel film, che lo sguardo di un bambino sia capace di demolire tutto, anche le certezze del luogo comune». Sullo schermo si vedono immigrati che rubano, ragazze che si prostituiscono: non teme la negatività di queste immagini? «So che tra gli extracomunitari ci sono dei criminali, e non trovo inammissibile aver paura degli stranieri. Ma non si può cancellare l’idea di accogliere questa gente senza pregiudizi. Dobbiamo dare e ricevere». Lei mostra anche la dura realtà dei centri di accoglienza. «Alcuni funzionano meglio di altri, ma in genere sono istituzioni terribili, come tutte le prigioni. Siamo abituati a vedere in tv sbarchi pittoreschi, che fanno notizia, ma non sappiamo che cosa accade dopo». È l’unico italiano in gara a Cannes, dove trionfò con «La meglio gioventù»: sente la responsabilità? «Il festival è una grande opportunità, essere in concorso è già un bel risultato. Ma non mi aspetto niente, così non avrò delusioni». Prima di questo film aveva annunciato «Romanzo criminale» sulla banda della Magliana, che poi ha ripreso Placido. Perché ha rinunciato al progetto? «Perché era un’altra storia sugli anni Settanta. Perché devo amare i miei personaggi e non trovavo niente di seducente in un gruppo di malviventi. L’idea di ”Quando sei nato” mi sembrava più necessaria. Il cinema è uno strumento d’indagine e conoscenza, e può regalare esperienze che ti cambiano». Lei è cambiato? «Ho conosciuto gente arrivata sulle carrette del mare con un carico opprimente di illusioni e sofferenze. Sono diventato amico di chi prima mi avrebbe fatto paura. Li consideravo presenze, ho scoperto persone». Titta Fiore, ‘Il Mattino’, 6 maggio 2005 “Quando sei nato non puoi più nasconderti” di Marco Tullio Giordana ispirato al libro di Maria Pace Ottieri, unica opera italiana in concorso, fa un passo avanti nei rapporti con gli immigrati: è il primo film che va oltre una incuriosita compassione o una fattiva assistenza verso le persone che vengono in Italia, clandestine oppure no, a cercare lavoro, futuro, speranza, soldi. E che rivendichi una integrazione meno superficiale e utilitaria della prestazione d'opera di solito mal pagata, una forma di autentica comprensione e fraternità. Il che mette su un piano analogo gli immigrati di colore e i poveri bianchi (chi s'interessa ai casi personali o ai sentimenti del personale di servizio o dei lavoratori di fabbrica?), in un discorso di classe molto interessante e nuovo per questi anni. Gli occhi del tredicenne attraverso i quali il regista vuol vedere gli immigrati, hanno uno sguardo più amico, più penetrante e avveniristico di quello degli adulti resi ciechi dal presente. Durante una vacanza in barca a vela, un tredicenne figlio di un imprenditore bresciano (ci sono africani nella sua scuola, nell'azienda del padre) di notte cade in mare. Morirebbe se a salvarlo non fosse un'imbarcazione di migranti, con i quali continua il viaggio sino in Italia e al centro d'accoglienza. Vorrebbe ospitare in casa un ragazzo rumeno e sua sorella che lo hanno aiutato, ma i due rubano tutto quel che trovano e scappano. Nelle sue ricerche per ritrovarli il ragazzino attraversa la straziante Corea di Milano; il termine della storia, in un finale aperto, lo lascia seduto per strada con la ragazzina rumena, nel buio della notte. Il film intenso e semplice, assolutamente privo di ogni luogo comune e di ogni ruffianeria sentimentale, può anche aiutare a pensare in modo nuovo al fenomeno epocale delle migrazioni. Lietta Tornabuoni, ‘La Stampa’, 16 maggio 2005 Il piccolo Sandro Lombardi potrebbe essere un nipotino dei Carati. In lui ci sono le caratteristiche morali comuni ai personaggi della Meglio gioventù: la voglia di fare, il non rassegnarsi agli stereotipi e ai pregiudizi facendo lavorare anche il cuore oltre la ragione». Marco Tullio Giordana racconta così il ragazzino dodicenne protagonista di Quando sei nato non puoi più nasconderti, unico film italiano in concorso al Festival di Cannes (11-22 maggio). Se la saga della Meglio Gioventù raccontava l’Italia del passato solo sfiorando il presente, questo film, ispirato al romanzo omonimo di Maria Pace Ottieri, è uno sguardo sulla nostra epoca e sul fenomeno che più la segna: la migrazione di migliaia di persone verso le nostre coste in cerca della terra promessa. «Volevo raccontare con gli occhi ancora innocenti e perfino riconoscenti di un bambino che è stato salvato da loro chi sono questi migranti. Sandro scopre che sono molto simili a lui, che sono governati dagli stessi sentimenti, che può nascere l’amicizia, l’amore, il bisogno l’uno dell’altro, in modo assolutamente sincero». Lo scopre su un barcone di quelli che attraversano il Mediterraneo. Ci capita per caso dopo essere caduto dalla barca a vela del padre durante una vacanza in Grecia. Lui e la sua famiglia vengono dal profondo Nord, da quella Brescia operosa che è stata una delle prime città italiane a capire che la forza lavoro degli immigrati era una risorsa indispensabile. A interpretare Sandro è Matteo Gadola, alla sua prima esperienza cinematografica. La madre è Michela Cescon (Primo amore). Per il padre, invece, è stato scelto Alessio Boni, che in quei posti c’è nato e li conosce bene. «Alessio è di Sarnico, al confine fra Bergamo e Brescia. Il personaggio di Bruno, questo tipico uomo del Nord che si è fatto da solo, pieno di buonsenso ed energia, somiglia al padre di Boni, che è un bellissimo uomo. Tanto che spesso sul set minacciavo Alessio di sostituirlo col papà». La gente del Nord, è l’altro tema forte di questo film (dal 13 maggio nei cinema) che sorprende per la capacità di non dare mai un giudizio su quello che racconta. «Sono nato a Crema e conosco benissimo pregi e difetti della mia gente: l’attaccamento al denaro, al lavoro, al benessere da una parte. E dall’altra la grande capacità progettuale, l’energia, la spinta verso il Bene. Il mio è un film sulla schizofrenia del Nord: sulla sua volitività e intelligenza zavorrata dalle paure e da troppo “buon senso”». Un Settentrione lontano dagli stereotipi raccontati dai giornali o ai quali cl ha abituati Bossi. «Brescia è una città che conosce da tempo il fenomeno dell’immigrazione e lo ha risolto: per interesse, per necessità. Il tasso di disoccupazione è del due per cento. I giovani non vanno più a lavorare nelle fabbriche. Per sopravvivere i bresciani hanno capito che gli immigrati erano l’unica speranza. E li hanno adottati. Come fa Bruno, il papà di Sandro, che è paternalistico con i suoi operai ‘neri ma non razzista. E quando incontra Radu, il rumeno che ha salvato suo figlio, non sa dire nulla ma gli bacia la mano». Fra Radu, sua sorella Mina e Sandro nasce un’amicizia che sopravviverà ai pregiudizi e anche ai comportamenti devianti dei due rumeni. «Questo film entra nel pregiudizio, lo scardina, lo riconferma e lo riscardina di nuovo, come se cercasse cosa c’è dietro queste persone che vivono accanto a noi ma di cui non sappiamo nulla». Ed è proprio dalla necessità di capire cosa c’è dietro gli occhi stanchi, tristi e rassegnati di questa gente è nata nel regista l’urgenza di realizzare Quando sei nato non puoi più nasconderti: «Vivo a Roma e non uso mai l’automobile: prendo i mezzi i pubblici. L’ho sempre fatto. Da molti anni sopra ci sono soprattutto stranieri e guardandoli mi rendo conto che loro per me esistono solo perché siamo sullo stesso autobus. Non so niente di loro, delle loro storie, delle loro vite, dove abitano, da dove vengono. Siamo mondi completamente separati. Volevo capire cosa c’era dietro quelle facce. E quando ho letto il libro di Maria Pace Ottieri ho chiamato Stefano Rulli e Sandro Petraglia, con cui lavoro dai tempi di Pasolini, un delitto italiano, e ho cominciato a scrivere la sceneggiatura». Il libro della Ottieri è stata una mappa che li ha guidati nei centri di accoglienza, nelle fabbriche abbandonate occupate dai clandestini. «Le scene del centro di accoglienza le abbiamo girate in Puglia. Siamo stati al centro di San Foca ma poi lo abbiamo ricostruito in una vecchia masseria a pochi chilometri da Lecce». Invece per il campo di clandestini alla periferia di Milano, dove Sandro va a cercare la sua piccola amica rumena, hanno usato la struttura di un ex consorzio agrario dei primi del Novecento a Brescia. «Ma le scene più difficili sono state quelle sulla barca di clandestini nell’Adriatico. Mi avevano offerto di girarle in una piscina cinematografica. Ma ho voluto, invece, che tutto fosse molto “vero“ e ho preferito il mare aperto». Tutti gli attori stranieri sono immigrati alla loro prima esperienza sul set che hanno arricchito la sceneggiatura con i loro racconti. «Ad esempio, la scena in cui l’uomo morto sulla barca viene buttato in mare così senza pensarci, come se fosse del tutto naturale sbarazzarsi di lui dopo avergli ripulito le tasche, mi è stata raccontata da coloro che hanno davvero vissuto momenti come questi nell’assoluta indifferenza. Non si può immaginare che cosa deve subire chi fa questi viaggi. Non si può immaginare quante barche sono affondate e si sono trascinate in fondo al mare tutto quel carico di dolore e di speranza». Francesco Lamberti Zanardi, ‘Il Venerdì di Repubblica’, 6 maggio 2005 Niente si sa, E niente si deve sapere fino a data da destinarsi. Mistero e silenzio (solo le riprese siciliane del Padrino furono così inavvicinabili) hanno avvolto uno dei set più blindati dei cinema italiano: quello del nuovo film di Marco Tullio Giordana, Quando sei nato non puoi più nasconderti, terminato di girare il 21 dicembre, fra Gallipoli, l’isola greca di Igoumenitsa e Brescia. Tanta segretezza è figlia del successo di La meglio gioventù, nato nei 2003 per la televisione, finito nei cinema fra polemiche e accuse di censura politica, e diventato un caso europeo. Ma è anche effetto del tema trattato dal nuovo film, l’immigrazione. Giordana si ispira all’omonimo libroinchiesta della scrittrice e giornalista Maria Pace Ottieri, intrecciandolo a Capitani coraggiosi di Rudyard Kipling, storia ottocentesca di un quindicenne che finisce in mare rischiando di annegare. Film letterario? Nella mani dei regista milanese, da sempre attratto dal sociale e dalle grandi questioni ideologiche (Pasolini, I cento passi), i due romanzi si colorano di attualità politica. Giordana racconta la difficile vita dei clandestini in Italia, Protagonista è il tredicenne Sandro (Matteo Gadola), figlio unico di un ricco imprenditore bresciano, Nella ditta dei padre il ragazzino entra in contatto con gli operai extracomunitari, passa con loro parte della giornata, impara qualche parola nelle loro strane lingue. E vive come un giovane normale in una normale e opulenta cittadina di provincia, Finché, durante una gita in barca, cade in piena notte in acqua. All’ultimo respiro, mentre le forze lo stanno lasciando, una nera mano nel buio lo afferra e lo porta in salvo trascinandolo in un nuovo, sconosciuto mondo. Perché Sandro è stato ripescato da una zattera di clandestini in rotta verso il miraggio di una vita migliore in Italia, Nella barca dei disperati, ci sono anche due fratelli iracheni: i tre adolescenti fanno amicizia, riescono persino a vivere momenti sereni, Che finiscono quando si arriva a terra: il dramma dei centri di accoglienza, dei rimpatrii forzati, della violenza e dello squallore. Proprio in uno di questi centri, ripreso dalle telecamere dei telegiornali, Sandro sarà riconosciuto e rintracciato dai genitori. Un altro film scomodo, impegnato, che non a caso porta la firma, come sceneggiatori, di Stefano Rulli e Sandro Petraglia (La Piovra, Il muro di gomma) già in squadra per La meglio gioventù). Giordana ha chiamato anche Alessio Boni, che interpretò l’inquieto Matteo nell’ultimo suo film, Al fianco dell’attore bergamasco, Michela Cescon, volto di Primo amore di Matteo Garrone, Quando sei nato non puoi più nasconderti rischia di diventare un altro film caso che, scavando nelle viscere di un Paese con i suoi bubboni infetti, apre polemiche e dibattiti. Si parla di una probabile candidatura in concorso al prossimo Festival di Cannes. E dopo essere stato sulla Croisette, il film uscirà nelle sale italiane. Censura permettendo. Anna Boiardi, ‘Panorama’, 13 gennaio 2004