TITOLO Quando sei nato non puoi più nasconderti REGIA Marco

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TITOLO Quando sei nato non puoi più nasconderti REGIA Marco
Quando sei nato non puoi più nasconderti
Marco Tullio Giordana
Alessio Boni, Michela Cescon, Rodolfo Corsato, Matteo
Gadola, Andrea Tidona, Adriana Asti
Drammatico
GENERE
115 min. - Colore
DURATA
Italia – GB – Francia 2005 – Festival di Cannes 2005 per
PRODUZIONE
migliore produttore – Nastro d’Argento 2006 per miglior
produttore
Sandro ha dodici anni e una vita spensierata in una piccola cittadina di provincia.
Un giorno, durante un viaggio in barca nel Mediterraneo con il padre, cade in acqua
e non riescono a raggiungerlo prima che sparisca tra le onde. Viene ripescato da uno
scafo su cui sono imbarcati dei clandestini che fanno rotta verso l'Italia, sperando in
una vita migliore e nel miraggio di un lavoro per poter mantenere le loro famiglie.
Tra gli emigranti ci sono due fratelli rumeni, Radu e Alina. Hanno la stessa età di
Sandro e tra i tre ragazzi si stringe un rapporto che somiglia sempre più ad
un'amicizia, nonostante le diversità e la lingua diversa. Sandro si sente vicino a loro,
e soprattutto ad Alina, così bella ai suoi occhi di adolescente. E' l'età adulta che
irrompe nella sua vita, mostrandogli lo squallore e la crudezza della realtà e
costringendolo a guardare il mondo con occhi diversi
TITOLO
REGIA
INTERPRETI
Al centro della vicenda è Sandro, un
dodicenne figlio unico d’una famiglia
bresciana
benestante
padre
imprenditore, madre che lavora
nell’amministrazione della ditta. Nel
corso d’una crociera in barca a vela
nel Mediterraneo, il ragazzo di notte
cade in mare. Quando scatta
l’allarme, i tentativi di ritrovarlo
risultano vani e Sandro viene dato
per morto: egli, invece, si è salvato,
soccorso da immigrati che viaggiano su un barcone di clandestini diretto verso le
nostre coste. Durante il tragitto, Sandro scopre un universo del tutto differente dal
proprio. Quando l’imbarcazione raggiunge l’Italia, egli chiede ai genitori di farsi
carico dei destini di Radu, il giovane serbo che lo ha tirato fuori dalle acque e della
sua sorella minore, Alina. Le cose avranno una conclusione imprevista, ma Sandro,
pur sgomento, non si fermerà alla superficie, cercherà di capire.
Liberamente tratto dal romanzo omonimo
di Maria Pace Ottieri, “Quando sei nato
non puoi più nasconderti” segna il ritorno
di Marco Tullio Giordana, dopo tre film
collocati nel passato, “Pasolini, un delitto
italiano” (1995), “I cento passi ” (2000),
“La meglio gioventù” (2003), al presente,
all’oggi con l’urgenza di chi ha qualcosa
da dire. Non dissimile nella struttura, il
confronto tra il benessere indigeno e la
pena dei disperati del mare, da
“Lamerica” (1994) di Gianni Amelio, non ha di quello la forza nè la compattezza: ciò
che lo differenzia, l’innocenza dello sguardo infantile, mai riesce a diventare un
autentico atout.
Più che del problema dell’ immigrazione, il film parla con efficacia di una certa
borghesia del Nord: di questi individui sospesi fra la memoria non remota
dell’indigenza e l’odierno danaro improvviso ed ansiogeno, tra la benevolenza
interessata ed il fastidio criptorazzista nei confronti degli extracomunitari, esso
fornisce un ritratto attendibile e non manicheo. Privo di una drammaturgia forte,
preoccupato di evitare le trappole della retorica, “Quando sei nato non puoi più
nasconderti” resta esito incerto, buona azione in luogo di bel film come da scontato
copione.
Critica:
Sul bordo di un’aiuola spartitraffico, Sandro (Matteo Gadola) e Alina (Ester Hazan)
siedono uno di fianco all’altra. Lui
l’ha appena ritrovata nella miseria di
uno dei molti luoghi dove si
addensano le vite dei migranti. I due
si sono guardati in silenzio, lei
vergognandosi della sua condizione,
lui vergognandosi della sua vergogna.
E ora sono qui, nel buio della sera, in
mezzo al traffico indifferente della
periferia milanese: Alina con la
giacca di Sandro sulle spalle, e
Sandro ormai sicuro che, appunto,
Quando sei nato non puoi più
nasconderti (Italia, Francia e Gran Bretagna, 2005, 115’). Il film di Marco Tullio
Giordana si chiude su questa immagine di smarrimento e attesa. Fino a poche
sequenze prima, gli sceneggiatori Sandro Petraglia e Stefano Rulli hanno raccontato
una storia prevedibile. Inusuali son stati la caduta in mare, l’arrivo della barca carica
di migranti, l’incontro con Alina e con Radu (Vlad Alexandru Torna). Ma poi, tra
ignobili mercanti di esseri umani e
campi cosiddetti d’accoglienza, ben
poco abbiamo visto che già non
conoscessimo.
D’altra parte, Quando sei nato non
puoi più nasconderti si è aperto su
un’immagine e su una condizione
così poco prevedibili, da essere
spaesanti. Nel centro di Brescia,
Sandro è incuriosito da un africano
che urla frasi incomprensibili. Gli si
avvicina, un po’ per curiosità e un
po’ per una solidarietà spontanea. Quello, disperato, tenta di dirgli qualcosa, ma per
lui le sue parole non sono che suoni misteriosi.
Poi, Giordana racconta una follia diversa, sistematica: quella dei corpi ammassati nel
centrò di raccolta, divisi tra maschi e femmine come accadeva, un tempo non lontano,
stanno a decine i migranti non è che una delle molte che arrivano sulle nostre coste,
se prima non si sono inabissate nel Mediterraneo. La macchina da presa ce ne mostra
la precarietà e l’angoscia, versione aggiornata dell’antica “nave dei folli”. Ma chi tra
noi può dire di stupirsene davvero?
Insomma, fin qui non ci pare che Quando sei nato
non puoi più nasconderti vada oltre una ricognizione
dei troppi motivi di pubblica vergogna che gravano su
di noi, da anni. Né ci sembra che aggiunga molto la
vicenda dei genitori di Sandro. Il mondo di Lucia
(Michela Cescon) e di Bruno (Alessio Boni) non ci
sorprende. Non ci sorprende la loro ricchezza
tranquilla, probabilmente egoista. Nemmeno ci
sorprende il capovolgimento repentino del loro
atteggiamento nei confronti di Radu e d Alina, se non
proprio di tutti I “folli” che, come loro, hanno
attraversato il mare. Come in una favola bella, i due
rumeni hanno salvato il loro Sandro. Come
potrebbero non essere riconoscenti? E come
potrebbero denunciarli, per quanto quelli li derubino?
E tuttavia la regia e la sceneggiatura non mirano ad
alcun trionfo della nostra buona coscienza. Anzi,
sospettiamo che, uno dopo l’altro, vogliano illustrarcene i luoghi comuni, per arrivare
a confutarne la prevedibilità. Sospettiamo inoltre che Quando sei nato non puoi più
nasconderti non intende raccontare una favola bella ma voglia seguire Sandro nella
sua crescita morale, fino alla riscoperta di quella dimensione spaesante da cui la
storia ha preso inizio.
E infatti, esaurite tutte le “possibilità” della favola, confutata l’attendibilità d’un lieto
fine, al centro del film resta proprio solo Sandro, di fronte al “destino” di Alina. Per
arrivare fino alla ragazzina, ha
dovuto fare un lungo viaggio non
solo attraverso il Mediterraneo, non
solo attraverso la sua ovvia,
tranquilla dipendenza dai genitori,
ma soprattutto attraverso la propria
coscienza. Insomma, è dovuto
crescere,. ha: dovuto imparare una
“lingua” del tutto nuova, lontana da
quella familiare, e probabilmente
egoista, del mondo in cui è nato.
Ora è qui, con Alina, seduto sul
bordo di uno spartitraffico. Non c’è
più luogo comune che lo attenda, non ci sono più favole che lo consolino. C’è però in
lui la scoperta del diritto e del dovere di non nascondersi, una volta che si sia nati.
Ossia: di decidere, d’essere responsabile di fronte alla “folla”. Seduto nel buio, perso
in una periferia insensata, non più un adolescente, ma un uomo.
Roberto Escobar, ‘Il Sole-24 Ore’, 22 Maggio 2005
L’estate di Sandro comincia su una barca da sogno e finisce su una carretta dei mari
carica di lingue, di etnìe, di miseria. Comincia fra i riti rassicuranti del consumismo,
nel silenzio protetto di una famiglia benestante, e prosegue in un crescendo di
scoperte e di incontri destabilizzanti, di quelli senza alternative. Capire o morire,
crescere o soccombere. E Sandro sarà costretto a crescere. Non sa nemmeno lui
quanto.
Chiariamolo subito, il nuovo film di Giordana parla di noi, gli italiani, non di loro, i
migranti. Sembra realistico e invece è una fiaba, un racconto iniziatico, un’avventura
notturna e crudele irta di simboli rubati alla
cronaca. Quando Sandro cade dalla barca del
padre, in piena notte, il mare non lo porta in un
altro mondo ma semplicemente più in fondo. In
fondo a se stesso, se vogliamo. Gli apre gli
occhi e li apre anche a noi, spalancando di
colpo un’altra prospettiva.
Ora Sandro non è più il figlio unico, coccolato
e viziato. E’ uno come tanti, in lotta per la vita.
Non può nemmeno parlare italiano, i due
negrieri un po’ grotteschi che guidano la carretta carica di clandestini potrebbero
rapirlo. Deve soffrire la fame, la sete, la paura, emozioni antiche finora confinate
nell’immaginario. E soprattutto affrontare una serie di misteri che hanno cominciato a
manifestarsi già a casa sua, a Brescia.
Cosa c’è dietro quelle facce così diverse, quelle lingue impenetrabili? Che cosa
ripeteva l’africano impazzito per strada, pochi giorni prima? E perché la piccola
rumena Alina, la coetanea Alina, la dolce Alina, lascia che quel negriero ripugnante
le si strusci addosso con la scusa di affidarle il timone? Sandro ha 13 anni, non è
stupido né ingenuo. Gli immigrati li conosce, a Brescia ce ne sono tanti, nella
fabbrichetta di papà qualcuno è anche suo amico. Ma ora tutto è diverso e quando
tornerà a casa le cose cambieranno ancora.
Ora anche i genitori (gli efficacissimi Alessio Boni e Michela Cescon, tutti energia e
ingenuità) sanno. Hanno visto il centro di accoglienza, giù in Puglia, gestito con
mano ferma da Padre Celso (Andrea Tidona). Intuiscono che il figlio non è più lo
stesso, che bisogna fare qualcosa anche per gli altri, magari adottare Alina e suo
fratello Radu, così generosi
con Sandro, in fondo salvare
due vite è già un gesto
immenso e invece no, non è
vero niente, le cose sono
sempre più complicate o più
ambigue. Non basta un bel
gesto
a
scaricarsi
la
coscienza, la pietà è un’arma
a doppio taglio, i regali non
possono
colmare
una
distanza così immensa.
E l’unico momento di felicità
di questo film discontinuo e
spiazzante, disteso nella
forma ma duro nel fondo, è
forse il sorriso dell’africano che svela il titolo, un sorriso che non chiede nulla in
cambio, davvero venuto da un altro mondo. Peccato solo che Giordana non abbia
calcato ancor più la dimensione “in soggettiva” del racconto, lasciando che lo
sguardo del piccolo Sandro (sobrio, toccante Matteo Gadola) coincidesse interamente
col nostro.
Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 6 maggio 2005
Dopo l'immersione negli anni dai quali veniamo, Marco Tullio Giordana si è fatto
nuovamente aiutare da Petraglia e Rulli per raccontare l'oggi della pressione che
esercita sulla nostra vita, avendone modificato il panorama, un numero di immigrati
che ha raggiunto il 5 per cento della popolazione.
Lo hanno fatto affidandosi allo sguardo di un bambino, privo di pregiudizi, ma lo
stesso regista è riuscito a spogliarsi di ogni pregiudizio prendendo a riferimento il
Bresciano: espressione di una mentalità che egli conosce e sente sua per essere
originario di quei luoghi (come l'attore che ha scelto in mezzo al coro de "La meglio
gioventù" per il padre industriale: Alessio Boni), e provincia laboratorio che più di
ogni altra ha inserito il flusso migratorio nella vita produttiva e sociale.
Né razzismo né ipocrisia caritatevole ma uno sguardo vergine (il bambino) e
pragmatico
(un
tessuto
economico interessato alla mano
d'opera). Deideologizzato. Che
resta, senza la pretesa di essere
diversamente, il nostro sguardo
su "gli altri" e non viceversa.
Fedele al principio secondo cui
la regia migliore è quella che
non si vede, Giordana ha dato
mano libera agli attori e al
piccolo Matteo Gadola. Il suo
Sandro parte in crociera con
papà e amico del papà, nuovi
ricchi un po' sbruffoni. Di notte
li imita nel fare pipì fuori bordo
e cade dalla barca. Straziante è la sua voce che chiede aiuto nel buio del mare. Lo
salva un ragazzo rumeno tuffandosi dalla carretta che lo sta portando con altri
disgraziati in Italia. Inizia per Sandro un percorso di formazione: fa esperienza della
legge del più forte, ma anche dell'amicizia. Radu e la sorella Alina entrano nella sua
vita.
Quando i genitori (Michela Cescon è la mamma) lo andranno a riprendere nel centro
di accoglienza, Sandro vuole che adottino i due giovani
clandestini. Vincono la riluttanza, sono pronti a
ricambiare chi ha restituito la vita a loro figlio. Ma è
difficile tradurre la fiducia dalle parole ai fatti, ancor più
da parte di chi non ha ragione di dare la propria con
naturalezza. Dopo la delusione (i rumeni rubano e
scappano) comincia per Sandro un'altra vita: sarà una
scena di grande intensità, condivisa con Alina schiava
sessuale, il punto di partenza dal quale forse e
faticosamente nascerà qualcosa di duraturo e paritario.
Giordana si è lasciato guidare da molte suggestioni, la
prima è il libro di Maria Pace Ottieri al quale ha preso il
titolo (e la zona del centro di accoglienza) ma sullo
sfondo sta anche una lettura classica. "Capitani coraggiosi" di Kipling da cui
vengono la caduta in mare e il salvataggio del bambino ricco da parte di un'umanità
ruvida, che gli disvela nuovi orizzonti. Un film forse discontinuo, ma regala momenti
pregiati.
Paolo D’Agostini, ‘La Repubblica’, 13 maggio 2005
Gli ultimi film - «Pasolini», «I cento passi», una parte della «Meglio gioventù» - li
aveva ambientati negli anni Settanta: «Perché li considero il laboratorio dell’Italia di
oggi», dice Marco Tullio Giordana. Poi il regista si è posto altre domande, ha sentito
l’urgenza di affrontare altri temi, altre realtà che ci riguardano più da vicino. E «In
quando sei nato non puoi più nasconderti», tratto dal libro di Maria Pace Ottieri,
prodotto da Rai Cinema e Cattleya, che il 15 maggio rappresenterà il cinema italiano
a Cannes e arriverà nelle sale in almeno duecento copie, affronta uno dei fenomeni
che ha cambiato con maggiore forza «la fisionomia delle nostre città e il tessuto delle
nostre relazioni»: l’immigrazione clandestina. Scegliendo un punto di vista innocente,
lo sguardo di un bambino ancora senza pregiudizi (il bravissimo Matteo Gadola),
figlio del ricco Nord che durante una vacanza in barca a vela con il padre (Alessio
Boni, la madre è Michela Cescon) cade in mare e viene ripescato da un barcone di
extracomunitari. Da qui la scoperta di un
mondo sconosciuto: il piccolo protagonista
diventa amico del ragazzo rumeno che lo ha
salvato e di sua sorella minore, vorrebbe a
sua volta sottrarli a un miserando destino di
piccola criminalità e di prostituzione, impara
invece a misurarsi con la disillusione. «Ho
sposato il punto di vista del bambino, netto,
non compromissorio, poi tutto è stato facile.
Il resto, spetta a noi adulti farlo, come
suggerisce il finale aperto. In un primo
momento il film doveva chiudersi in modo
più drammatico, con la morte del giovane
rumeno, ucciso dalla sorella che aveva fatto
prostituire, ma la scena mi sembrava troppo
impeccabile, aveva qualcosa di dimostrativo
e teologico. Ho preferito un secondo finale,
tutto interno ai personaggi, in cui la
consapevolezza di un destino di sfruttamento
si mescola alla speranza di un cambiamento. La speranza che il mondo possa essere
salvato dai ragazzini». Come si è trasformata l’Italia che mostra nel film? «Non ho la
pretesa di fotografare una paese complesso come il nostro nella sua totalità. Racconto
piuttosto un fenomeno importante come l’immigrazione in una parte dell’Italia che
conosco bene, il Nord dei padroncini e della ricchezza recente, dove la necessità di
manodopera in fabbrica ha favorito forzatamente l’integrazione. Non a caso la storia
è ambientata a Brescia, la città più multietnica, che ha fatto i conti per prima con il
problema dei migranti. Ecco, il film parla di questo, del rapporto di amore e odio tra
italiani ed extracomunitari, delle classi sociali in apparenza sparite nell’illusione di
una grande mobilità, in realtà più che mai solide. Perché in Occidente tutto si
configura in termini di consumi e di marginalità». E si ripropone il conflitto tra Nord
e Sud. «Sì, la vecchia ostilità razzistica del Nord verso il Mezzogiorno si trasferisce
sugli immigrati, forza lavoro necessaria e troppo spesso mal sopportata. Ma bisogna
anche dire che il rifiuto riguarda soprattutto le istituzioni, e che la popolazione è più
tollerante delle leggi. Forse nel ricordo dei nostri emigranti, sessanta milioni nel
secolo scorso, un numero impressionante. E allora può accadere, come nel film, che
lo sguardo di un bambino sia capace di demolire tutto, anche le certezze del luogo
comune». Sullo schermo si vedono immigrati che rubano, ragazze che si
prostituiscono: non teme la negatività di queste immagini? «So che tra gli
extracomunitari ci sono dei criminali, e non trovo inammissibile aver paura degli
stranieri. Ma non si può cancellare l’idea di accogliere questa gente senza pregiudizi.
Dobbiamo dare e ricevere». Lei mostra anche la dura realtà dei centri di accoglienza.
«Alcuni funzionano meglio di altri, ma in genere sono istituzioni terribili, come tutte
le prigioni. Siamo abituati a
vedere
in
tv
sbarchi
pittoreschi, che fanno notizia,
ma non sappiamo che cosa
accade dopo». È l’unico
italiano in gara a Cannes,
dove trionfò con «La meglio
gioventù»:
sente
la
responsabilità? «Il festival è
una
grande
opportunità,
essere in concorso è già un
bel risultato. Ma non mi
aspetto niente, così non avrò
delusioni». Prima di questo
film aveva annunciato «Romanzo criminale» sulla banda della Magliana, che poi ha
ripreso Placido. Perché ha rinunciato al progetto? «Perché era un’altra storia sugli
anni Settanta. Perché devo amare i miei personaggi e non trovavo niente di seducente
in un gruppo di malviventi. L’idea di ”Quando sei nato” mi sembrava più necessaria.
Il cinema è uno strumento d’indagine e conoscenza, e può regalare esperienze che ti
cambiano». Lei è cambiato? «Ho conosciuto gente arrivata sulle carrette del mare con
un carico opprimente di illusioni e sofferenze. Sono diventato amico di chi prima mi
avrebbe fatto paura. Li consideravo presenze, ho scoperto persone».
Titta Fiore, ‘Il Mattino’, 6 maggio 2005
“Quando sei nato non puoi più nasconderti” di Marco Tullio Giordana ispirato al
libro di Maria Pace Ottieri, unica opera italiana in concorso, fa un passo avanti nei
rapporti con gli immigrati: è il primo film che va oltre una incuriosita compassione o
una fattiva assistenza verso le persone che vengono in Italia, clandestine oppure no, a
cercare lavoro, futuro, speranza, soldi. E che rivendichi una integrazione meno
superficiale e utilitaria della prestazione d'opera di solito mal pagata, una forma di
autentica comprensione e fraternità. Il che mette su un piano analogo gli immigrati di
colore e i poveri bianchi (chi s'interessa ai casi personali o ai sentimenti del personale
di servizio o dei lavoratori di fabbrica?), in un discorso di classe molto interessante e
nuovo per questi anni. Gli occhi del tredicenne attraverso i quali il regista vuol vedere
gli immigrati, hanno uno sguardo più amico, più penetrante e avveniristico di quello
degli adulti resi ciechi dal presente. Durante
una vacanza in barca a vela, un tredicenne
figlio di un imprenditore bresciano (ci sono
africani nella sua scuola, nell'azienda del
padre) di notte cade in mare. Morirebbe se a
salvarlo non fosse un'imbarcazione di
migranti, con i quali continua il viaggio sino in
Italia e al centro d'accoglienza. Vorrebbe
ospitare in casa un ragazzo rumeno e sua
sorella che lo hanno aiutato, ma i due rubano
tutto quel che trovano e scappano. Nelle sue
ricerche per ritrovarli il ragazzino attraversa la
straziante Corea di Milano; il termine della
storia, in un finale aperto, lo lascia seduto per strada con la ragazzina rumena, nel
buio della notte. Il film intenso e semplice, assolutamente privo di ogni luogo comune
e di ogni ruffianeria sentimentale, può anche aiutare a pensare in modo nuovo al
fenomeno epocale delle migrazioni.
Lietta Tornabuoni, ‘La Stampa’, 16 maggio 2005
Il piccolo Sandro Lombardi potrebbe essere un nipotino dei Carati.
In lui ci sono le caratteristiche morali comuni ai personaggi della Meglio gioventù: la
voglia di fare, il non rassegnarsi agli stereotipi e ai pregiudizi facendo lavorare anche
il cuore oltre la ragione». Marco Tullio Giordana racconta così il ragazzino dodicenne
protagonista di Quando sei nato non puoi più nasconderti, unico film italiano in
concorso al Festival di Cannes (11-22 maggio).
Se la saga della Meglio Gioventù raccontava l’Italia del passato solo sfiorando il
presente, questo film, ispirato al romanzo omonimo di Maria Pace Ottieri, è uno
sguardo sulla nostra epoca e sul
fenomeno che più la segna: la migrazione
di migliaia di persone verso le nostre
coste in cerca della terra promessa.
«Volevo raccontare con gli occhi ancora
innocenti e perfino riconoscenti di un
bambino che è stato salvato da loro chi
sono questi migranti. Sandro scopre che
sono molto simili a lui, che sono
governati dagli stessi sentimenti, che può
nascere l’amicizia, l’amore, il bisogno
l’uno dell’altro, in modo assolutamente sincero». Lo scopre su un barcone di quelli
che attraversano il Mediterraneo. Ci capita per caso dopo essere caduto dalla barca a
vela del padre durante una vacanza in Grecia. Lui e la sua famiglia vengono dal
profondo
Nord, da quella Brescia operosa che è stata una delle prime città italiane a capire che
la forza lavoro degli immigrati era una risorsa indispensabile. A interpretare Sandro è
Matteo Gadola, alla sua prima esperienza cinematografica. La madre è Michela
Cescon (Primo amore). Per il padre, invece, è stato scelto Alessio Boni, che in quei
posti c’è nato e li conosce bene.
«Alessio è di Sarnico, al confine fra
Bergamo e Brescia. Il personaggio di
Bruno, questo tipico uomo del Nord
che si è fatto da solo, pieno di buonsenso ed energia, somiglia al padre di
Boni, che è un bellissimo uomo. Tanto
che spesso sul set minacciavo Alessio
di sostituirlo col papà».
La gente del Nord, è l’altro tema forte
di questo film (dal 13 maggio nei
cinema) che sorprende per la capacità
di non dare mai un giudizio su quello che racconta. «Sono nato a Crema e conosco
benissimo pregi e difetti della mia gente: l’attaccamento al denaro, al lavoro, al
benessere da una parte. E dall’altra la grande capacità progettuale, l’energia, la spinta
verso il Bene. Il mio è un film sulla schizofrenia del Nord: sulla sua volitività e
intelligenza zavorrata dalle paure e da troppo “buon senso”».
Un Settentrione lontano dagli stereotipi raccontati dai giornali o ai quali cl ha abituati
Bossi.
«Brescia è una città che conosce da tempo il fenomeno dell’immigrazione e lo ha
risolto: per interesse, per necessità. Il tasso di
disoccupazione è del due per cento. I
giovani non vanno più a lavorare nelle
fabbriche. Per sopravvivere i bresciani hanno
capito che gli immigrati erano l’unica
speranza. E li hanno adottati. Come fa Bruno,
il papà di Sandro, che è paternalistico con i
suoi operai ‘neri ma non razzista. E quando
incontra Radu, il rumeno che ha salvato suo
figlio, non sa dire nulla ma gli bacia la
mano». Fra Radu, sua sorella Mina e Sandro
nasce un’amicizia che sopravviverà ai
pregiudizi e anche ai comportamenti devianti
dei due rumeni. «Questo film entra nel
pregiudizio, lo scardina, lo riconferma e lo riscardina di nuovo, come se cercasse cosa
c’è dietro queste persone che vivono accanto a noi ma di cui non sappiamo nulla».
Ed è proprio dalla necessità di capire cosa c’è dietro gli occhi stanchi, tristi e
rassegnati di questa gente è nata nel regista l’urgenza di realizzare Quando sei nato
non puoi più nasconderti: «Vivo a Roma e non uso mai l’automobile:
prendo i mezzi i pubblici. L’ho sempre fatto. Da molti anni sopra ci sono soprattutto
stranieri e guardandoli mi rendo conto che loro per me esistono solo perché siamo
sullo stesso autobus. Non so niente di loro, delle loro storie, delle loro vite, dove
abitano, da dove vengono. Siamo mondi completamente separati. Volevo capire cosa c’era dietro quelle facce. E
quando ho letto il libro di Maria Pace Ottieri ho chiamato Stefano Rulli e Sandro
Petraglia, con cui lavoro dai tempi di Pasolini, un delitto italiano, e ho cominciato a
scrivere la sceneggiatura».
Il libro della Ottieri è stata una mappa che li ha guidati nei centri di accoglienza, nelle
fabbriche abbandonate occupate dai clandestini. «Le scene del centro di accoglienza
le abbiamo girate in Puglia. Siamo stati al centro di San Foca ma poi lo abbiamo
ricostruito in una vecchia masseria a pochi chilometri
da Lecce». Invece per il campo di clandestini alla
periferia di Milano, dove Sandro va a cercare la sua
piccola amica rumena, hanno usato la struttura di un
ex consorzio agrario dei primi del Novecento a
Brescia. «Ma le scene più difficili sono state quelle
sulla barca di clandestini nell’Adriatico. Mi avevano
offerto di girarle in una piscina cinematografica. Ma
ho voluto, invece, che tutto fosse molto “vero“ e ho
preferito il mare aperto».
Tutti gli attori stranieri sono immigrati alla loro prima
esperienza sul set che hanno arricchito la
sceneggiatura con i loro racconti. «Ad esempio, la
scena in cui l’uomo morto sulla barca viene buttato in
mare così senza pensarci, come se fosse del tutto
naturale sbarazzarsi di lui dopo avergli ripulito le
tasche, mi è stata raccontata da coloro che hanno
davvero vissuto momenti come questi nell’assoluta indifferenza. Non si può
immaginare che cosa deve subire chi fa questi viaggi. Non si può immaginare quante
barche sono affondate e si sono trascinate in fondo al mare tutto quel carico di dolore
e di speranza».
Francesco Lamberti Zanardi, ‘Il Venerdì di Repubblica’, 6 maggio 2005
Niente si sa, E niente si deve sapere fino a
data da destinarsi. Mistero e silenzio (solo le
riprese siciliane del Padrino furono così
inavvicinabili) hanno avvolto uno dei set più
blindati dei cinema italiano: quello del nuovo
film di Marco Tullio Giordana, Quando sei
nato non puoi più nasconderti, terminato di
girare il 21 dicembre, fra Gallipoli, l’isola
greca di Igoumenitsa e Brescia.
Tanta segretezza è figlia del successo di La
meglio gioventù, nato nei 2003 per la televisione, finito nei cinema fra polemiche e
accuse di censura politica, e diventato un caso europeo. Ma è anche effetto del tema
trattato dal nuovo film, l’immigrazione.
Giordana si ispira all’omonimo libroinchiesta della scrittrice e giornalista
Maria Pace Ottieri, intrecciandolo a
Capitani coraggiosi di Rudyard Kipling,
storia ottocentesca di un quindicenne che
finisce in mare rischiando di annegare.
Film letterario? Nella mani dei regista
milanese, da sempre attratto dal sociale e
dalle grandi questioni ideologiche
(Pasolini, I cento passi), i due romanzi si
colorano di attualità politica.
Giordana racconta la difficile vita dei clandestini in Italia, Protagonista è il tredicenne
Sandro (Matteo Gadola), figlio unico di un ricco imprenditore bresciano, Nella ditta
dei padre il ragazzino entra in contatto con gli operai extracomunitari, passa con loro
parte della giornata, impara qualche parola nelle loro strane lingue. E vive come un
giovane normale in una normale e opulenta cittadina di provincia, Finché, durante
una gita in barca, cade in piena notte in acqua. All’ultimo respiro, mentre le forze lo
stanno lasciando, una nera mano nel buio lo afferra e lo porta in salvo trascinandolo
in un nuovo, sconosciuto mondo. Perché Sandro è stato ripescato da una zattera di
clandestini in rotta verso il miraggio di una vita
migliore in Italia, Nella barca dei disperati, ci sono
anche due fratelli iracheni: i tre adolescenti fanno
amicizia, riescono persino a vivere momenti sereni,
Che finiscono quando si arriva a terra: il dramma dei
centri di accoglienza, dei rimpatrii forzati, della
violenza e dello squallore. Proprio in uno di questi
centri, ripreso dalle telecamere dei telegiornali,
Sandro sarà riconosciuto e rintracciato dai genitori.
Un altro film scomodo, impegnato, che non a caso
porta la firma, come sceneggiatori, di Stefano Rulli e
Sandro Petraglia (La Piovra, Il muro di gomma) già in
squadra per La meglio gioventù). Giordana ha
chiamato anche Alessio Boni, che interpretò l’inquieto
Matteo nell’ultimo suo film, Al fianco dell’attore
bergamasco, Michela Cescon, volto di Primo amore
di Matteo Garrone, Quando sei nato non puoi più
nasconderti rischia di diventare un altro film caso che, scavando nelle viscere di un
Paese con i suoi bubboni infetti, apre polemiche e dibattiti. Si parla di una probabile
candidatura in concorso al prossimo Festival di Cannes. E dopo essere stato sulla
Croisette, il film uscirà nelle sale italiane. Censura permettendo.
Anna Boiardi, ‘Panorama’, 13 gennaio 2004