Surplus - PiercingTheReality

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Surplus - PiercingTheReality
«L’idea era quella di fare un film che sembrasse
una pubblicità ma che in realtà dicesse
l’opposto. Se la pubblicità gioca sull’emotività
per far venire voglia di comprare, la mia idea
era proprio quella di usare lo stesso tipo di
linguaggio
emotivo,
evitando
di
fornire
motivazioni razionali e intellettuali per reagire
al consumismo, tentando di minare, attraverso i
suoi stessi strumenti, quella che in inglese si
chiama costumer confidence, la fiducia del
consumatore, l’aspetto chiave del consumo 1».
Erik Gandini
Surplus
Terrorized into being consumers
di Matteo Vergani
1
www.shortvillage.com/articolo.asp?key=418
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Titolo
Surplus. Terrorized into being consumers.
Regia
Erik Gandini
Montaggio e musiche Johan Söderberg
Partecipanti 2
John Zerzan
George W. Bush
Fidel Castro
Kalle Lasn
Matt Mc Millen (love dolls)
Steve Ballmer (CEO Microsoft)
Tania (Cuba)
Mirta Muñiz (Cuba)
Svante Tidholm (Stockholm)
Produzione
Svezia/Italia 2003
Durata
52'
Breve introduzione (cos’è, di cosa parla)
Surplus è un testo difficile da definire secondo canoni troppo rigidi: il suo stile sembra
essere un ibrido tra il documentario, il videoclip e la pubblicità. Questo film mi ha colpito
subito, sia per la forza del suo discorso, sia per la perizia tecnica con cui è stato realizzato.
Surplus si propone di svelare le contraddizioni del mondo contemporaneo, attraverso
l’accostamento ragionato in termini sarcastici dei significanti visivi e sonori. Surplus
significa abbondanza, ed è questa la parola chiave sulla quale il regista vuole farci
riflettere mostrando luoghi, ambienti e situazioni raccolte in tutto il mondo in più di tre
anni: da Cuba, dove i cartelloni pubblicitari per strada recitano «Risparmia, consuma solo
il necessario», a nazioni in cui invece si è bombardati da migliaia di messaggi pubblicitari
al giorno.
Il filo rosso che attraversa tutto il film è il commento di John Zerzan, intellettuale
anarchico americano, la cui posizione radicale ha portato alcuni a considerarlo l’ideologo
della guerriglia urbana dei black block3. Oltre a Zerzan, il testo presenta altre tre interviste
montate e realizzate secondo i canoni classici del documentario di inchiesta: quella a Matt
Mc Millen, che presenta la sua fabbrica di bambole gonfiabili; l’intervista a Tania, una
2
Secondo la dizione e l’ordine presente nei titoli di coda di “Surplus”.
Come svela lo stesso Surplus quando diverse voci off anonime presentano John Zerzan prima del suo
ingresso, indicandolo come l’ideologo dei black block.
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ragazza cubana, e a Svante, un giovane svedese diventato miliardario grazie al boom della
new economy. Queste tre interviste, oltre a quella di Zerzan, segnano altrettanti episodi,
che si fondono con 10 canzoni composte da Söderberg (autore anche del montaggio)
apposta per Surplus. Non esistono altri parametri per sezionare e districare l’aggrovigliata
matassa di questo testo, che va pensato senza forzare troppo la ricerca di una struttura
rigida.
Un altro aspetto interessante di questo video è la sfortuna che ha avuto a livello di
distribuzione in Italia. Surplus è il documentario più premiato di Gandini, un regista non
più alle prime armi4. Nonostante il successo del documentario in Europa5, l’Italia, ha
affermato il regista durante una intervista apparsa su internet, è l’unico paese europeo dove
Surplus non è mai stato proiettato (se non in circuiti indipendenti). Ciò dimostra ancora
una volta la chiusura del sistema distributivo (e, soprattutto, televisivo) italiano, nel quale è
praticamente impossibile, per un regista indipendente, accedere al flusso mainstream.
: tra pubblicità e documentario
Surplus è un documentario ambivalente sotto molti aspetti. Innanzitutto, è un esempio di
opera postmoderna (frammentata, contraddittoria, confusionaria e visionaria), pur
inserendosi perfettamente nella scia de «L’uomo con la macchina da presa», di Dziga
Vertov6, nella cui costruzione ritmica progressiva vi sono le radici del videoclip
contemporaneo. Surplus crea un discorso che si sviluppa per contrapposizioni, attraverso
un incedere compulsivo.
Il montaggio stravolge l’ottica del documentario classico, poiché modifica,
plasma, crea significati, secondo uno stile che ricorda appunto il videoclip, in cui i
significanti visivi e sonori si fondono col ritmo incalzante della musica. Le parole dei
personaggi vengono inserite nella musica come se fossero un rap (o, addirittura, vengono
utilizzate per creare delle canzoni originali) assumendo nuovi significati. Inoltre Gandini
opera spesso accostamenti di immagini di grande effetto durante le canzoni, inserendo
ritmicamente inquadrature che ritraggono persone o macchinari mentre provocano dei
4
Biografia: Gandini è nato nel 1967 in Italia, e si è trasferito all’età di 18 anni in Svezia, dove tuttora vive e
lavora. In Svezia Gandini ha trovato spazi di diffusione per i suoi film, a differenza che in Italia: si pensi che
la Tv pubblica svedese ha proiettato Surplus alle 21 di un sabato sera. Filmografia: Raja Sarajevo (1994); Not
Without Prijedor (1995); Amerasians-the 100.000 children of americans soldiers left in Vietnam (1998);
SACRIFICIO-Who betrayed Che Guevara? (2001), Surplus (2003).
5
Nel 2003 Surplus ha vinto il Silver Wolf Award, come miglior documentario al festival IDFA di
Amsterdam; inoltre in Svezia una emittente nazionale ha proiettato Surplus nel prime time, alle 21,00, come
ha affermato Gandini durante la medesima intervista online.
6
L’uomo con la macchina da presa, di Dziga Vertov, 1929, URSS.
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rumori (dal battito di martelli o di falci per il grano, al rumore metallico di un macchinario
che salda una lamiera), che vanno a comporre il brano musicale stesso, creando un effetto
di diegesi.
Surplus è un testo che mutua molti dei suoi linguaggi dalla pubblicità, oltre che da
alcune atmosfere usate anche negli show televisivi. Il primo e più eclatante esempio è
l’episodio in cui compaiono le cornici che hanno in sovrimpressione le scritte: «G8 World
Shop – www.buyitall.gov», come nello stile delle televendite TV, grazie al quale i leader
politici diventano dei presentatori di una grande, ironica, televendita mondiale.
Possiamo ritrovare anche in altri passaggi l’utilizzo di effetti sonori in funzione
fatica che ricordano direttamente le richieste di attenzione che spesso troviamo nelle
pubblicità televisive 7. Inoltre, è l’autore stesso a sostenere, come compare nella citazione
in esergo a questo paper, che: «l’idea era quella di fare un film che sembrasse una
pubblicità ma che in realtà dicesse l’opposto. Se la pubblicità gioca sull’emotività per far
venire voglia di comprare, la mia idea era proprio quella di usare lo stesso tipo di
linguaggio emotivo, evitando di fornire motivazioni razionali e intellettuali per reagire al
consumismo, tentando di minare, attraverso i suoi stessi strumenti, quella che in inglese si
chiama costumer confidence, la fiducia del consumatore, l’aspetto chiave del consumo 8».
7
8
A 0:20:25, oppure da 0:31:58 a 0:32:18.
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Per tutti questi motivi, posso provare a definire Surplus come un docummercial,
come recita il titolo di questo capitolo: una via di mezzo tra un documentario e una
pubblicità (in inglese, commecial).
Un viaggio nell’immaginario
«Pascal sosteneva che la condizione umana è caratterizzata da una tensione
costante tra due spinte contrapposte: da una parte il bisogno di libertà, l’esigenza di
trascendere i limiti, di cambiare radicalmente l’ordine delle cose; dall’altra la paura di
mettersi in gioco e del rischio, la necessità di una sicurezza di base che può venire soltanto
dal fatto di mantenersi entro determinati confini, rispettando e conservando l’ordine
costituito» (Di Chio in Gnasso-Parenti, 2004: 191). I testi audiovisivi si inseriscono nella
dialettica tra queste due tensioni, conciliandole, e consentendo di vivere esperienze altrui
senza mettersi in gioco direttamente, ma rimanendo seduti davanti allo schermo.
La visione di questo video potrebbe essere letta secondo lo schema del rito di
passaggio, ovvero un’esperienza liminale in grado di cambiarci, di farci superare una
soglia. «La possibilità di vivere esperienze è vitale, poiché è appunto nel pieno del
cambiamento, nel bel mezzo del viaggio, che ci affacciamo sul mondo dei possibili,
sconfiggendo la noia, il male di vivere, e ritrovando la passione, il palpito dell’avventura.
Solo mentre si è in viaggio, l’incertezza cessa di essere tale, per divenire una sorta di
sospensione creatrice gravida di possibili sviluppi» (Gnasso-Parenti, 2004: 27). Surplus ci
offre tutti gli stimoli per affrontare un viaggio intellettuale ricco di senso, proponendoci un
discorso che ci traghetta oltre il dato-per-scontato della nostra quotidianità, in universi di
senso che solitamente non godono dell’attenzione dei media mainstream9. La visione di
questo video si configurerebbe quindi come una esperienza di senso, in grado di offrirci
delle risorse di trascendenza (Bauman, 1999) in grado di colmare il vuoto esistenziale
generalmente diffuso nella nostra società10. Tuttavia, queste premesse potenziali non
riescono a risolversi pienamente, e ce ne accorgiamo a causa di un elemento: la ciclicità
del testo, in cui il punto di arrivo, anche se non è uguale, è simile a quello di partenza.
Negli ultimi minuti di Surplus, che è dotato di una struttura ricca di richiami interni (che ho
fin qui chiamato ipertestualità), possiamo trovare un ritorno delle tematiche e delle
riflessioni proposte all’inizio del film. La situazione, la riflessione non si evolve, ma
9
In effetti, come abbiamo detto prima, questo video ha goduto di un buon successo nei media mainstream
europei, ma per l’Italia questo discorso non vale.
10
Queste tendenze della società moderna sono ampiamente descritte nei saggi di Gnasso-Parenti e di
Giaccardi contenuti in Gnasso-Parenti, 2004.
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rimane simile a se stessa, come per suggerire che, ai problemi sollevati, non esiste
soluzione. Questo significa che il viaggio che Surplus ci propone non riesce a compiersi, e
che l’esperienza liminale che lo attraversa in potenza non si risolve; essa, restando
liminoide, ci tiene sulla soglia di una trasformazione che non è in grado di farci compiere
pienamente.
Surplus ci offre la possibilità di fare un viaggio; ma quali sono i territori che
questa odissea visiva attraversa? Sono le terre dell’immaginario, inteso come l’«infinito
ipertesto mediale» ( Carmagnola, 2006: 32) che «struttura originariamente il soggetto»
(Zizek in Carmagnola, 2006: 200), e che «si riflette nell’ordine del reale» (Zizek in
Carmagnola, 2006: 200). Se l’immaginario è quindi un infinito ipertesto mediale, Surplus
rientra a tutti gli effetti nella definizione, partendo da due punti di vista:
-
a livello di espressione formale (le immagini di repertorio, i suoni e i rumori diegetici
ed extradiegetici, che costituiscono un flusso indistinto di volti, atmosfere, sensazioni,
ci riportano alle modalità di espressione della pubblicità televisiva e del videoclip
musicale: l’enciclopedia culturale che sta alla base delle sintesi di montaggio);
-
a livello di contenuto (l’iniquità del modello economico capitalista, la prossimità del
collasso naturale ed economico a causa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse
del pianeta, e il vuoto esistenziale che la società contemporanea imprime nelle nostre
anime. In una parola: surplus, il superfluo, che trova il suo apice espressivo
nell’intervista dentro la fabbrica di bambole del sesso, che vengono vendute a 7mila
dollari cadauna).
Il film non rivela esplicitamente nessuna località, salvo tre casi: le interviste a
Tania e a Svante, e la sequenza girata in India, che segnano altrettante “pause”
nell’incalzante ritmo narrativo di Surplus. Lo spettatore non sa quasi mai dove si trova
realmente, ma si sente in un sistema, in una dimensione che egli riconosce e percepisce
come tale: una grande città, un continente, un’isola… un pianeta. Tutte le immagini e i
personaggi sono parte di questo stesso pianeta, e questo è sottolineato dall’uso frequente
delle dissolvenze incrociate, sia per le immagini che per i suoni. I significanti sonori in
Surplus vengono usati soprattutto per suscitare l’atmosfera e il sentimento desiderato da
Gandini, e non sono quasi mai lasciati “vergini”, ma vengono manipolati sistematicamente,
in modo da ottenere “effetti speciali”. Come in «Sciopero» di Eisenstein11, Gandini
inserisce spesso elementi antidiegetici nella realtà, che spostano l’esperienza dal piano
11
Nella cui sequenza finale il regista accosta al massacro dei manifestanti le immagini della macellazione del
toro. “Sciopero”, di Sergej M. Eisenstein, URSS, 1924.
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diegetico a quello discorsivo. Lo spettatore viene quindi traghettato in questo magmatico
immaginario di nome Surplus, in cui frammenti che provengono da tutto il mondo si
mischiano, si fondono, per assumere una forma discorsiva, ben lontana dai mondi
verosimili e inconfutabili dell’illusione classica. In Surplus niente è definito, nulla è logico:
gli accostamenti tra significanti sonori e visivi sono emozionali, spesso illogici e forzati,
per creare l’effetto dell’ironia. Un esempio di accostamento di questo tipo lo troviamo
durante la ripetizione ossessiva della parola “varietà”12, che spezza il ritmo del testo,
creando una pausa nella composizione sonora e visiva in grado di gestire la tensione13. In
quel frangente Gandini, accosta, alla ripetizione ossessiva di questa parola, la scena di un
operaio che schiaccia un pulsante (si deduce che questa sia la sua mansione lavorativa), e
l’immagine di una fila di bambole gonfiabili (che ci suggerisce l’omologazione dei canoni
estetici e del ruolo della donna nella nostra società).
La finzionalizzazione del fattuale
Surplus, come abbiamo già accennato, è un documentario ambivalente sotto molti aspetti:
da una parte è un testo di matrice fattuale, poiché ciò che si vede, il mondo che ritrae,
preesiste al testo. D’altra parte il reale, o fattuale, viene estremamente finzionalizzato dal
regista (con l’aggiunta di elementi sonori, cornici e scritte; oppure anche con il montaggio
estremo, attraverso la tecnica di sincronizzazione labiale Read my Lips14). Un esempio
lampante dell’aggiunta di elementi finzionali nella realtà, è la sovrapposizione a posteriori
di immagini agli schermi che appaiono nelle riprese panoramiche di paesaggi
metropolitani: mi riferisco a quando si vede Bush parlare da uno schermo di Times
Square15, o a quando Fidel Castro appare sullo schermo di una autostrada16. La realtà in
Surplus assume quindi un doppio statuto: da una parte preesiste al testo; dall’altra invece è
il discorso stesso che la convoca, diventando un effetto della costruzione del discorso.
Surplus non tenta di essere realistico o neutrale: telecamere, microfoni e montaggio sono
strumenti che Gandini utilizza non solo per riprodurre la realtà così com’è, ma anche per
rappresentare la realtà così come il regista la sente, dando vita alle sue visioni, al suo
12
0:16:46.
Che, anche a livello macro, è sapientemente gestita dal regista, alternando momenti di forte tensione
estetica (viedeoclip) a momenti più distensivi esteticamente (interviste).
14
Secondo la quale il montatore fa dire ai personaggi che compaiono nel testo delle frasi che non hanno mai
detto, sincronizzando il movimento delle loro labbra con il nuovo testo, attraverso l’accostamento di
frammenti appartenenti a momenti differenti delle riprese.
15
Da 0:09:40 a 0:09:50.
16
Da 0:31:52 a 0:31:57.
13
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immaginario. Gandini non nasconde le manipolazioni che mette in campo nel suo
documentario, ed è proprio a partire da questa schiettezza che accende un patto fiduciario
con lo spettatore. La finzionalizzazione del fattuale è un elemento che rende il testo come
ancora più vero, poiché utilizza le tattiche illusive proprie della pubblicità TV
esasperandole, e quindi smascherandole agli occhi dello spettatore, in modo da mostrargli
la verità, che si cela dietro il velo apparente della realtà. Le “vittime” del film (ovvero i
personaggi che loro malgrado partecipano al testo, come Bush, Ballmer, Castro, e i leader
del G8) non hanno la possibilità né di sapere che stanno partecipando al film, né di
replicare al regista alla fine del video. Al contrario, essi sono soggetti al trattamento di
sincronizzazione labiale Read My Lips di Söderberg (il tecnico di montaggio): un
trattamento assolutamente e dichiaratamente lontano da qualsiasi forma di buonismo
politically correct (che spesso si rivela, appunto, soltanto una facciata). Con questa tecnica
Gandini fa dire ai personaggi cose che non avrebbero mai detto, ma che tutti sanno essere
più vere di quelle che essi sono soliti pronunciare. Surplus sembra quindi partire
dall’assunto che non possa esistere testo audiovisivo in grado di riprodurre il reale in
maniera oggettiva: piuttosto la realtà, nei testi audiovisivi, è un effetto di discorso, che
viene accortamente riprodotta attraverso le tecniche che l’irriverente Surplus si propone di
smascherare e sbeffeggiare. La finzionalizzazione del fattuale è esplicita, ed è proprio per
questo che il testo accende un efficace patto fiduciario con lo spettatore, che non si sente
raggirato da Surplus, quanto piuttosto aiutato nello svelare i retroscena del flusso mediatico
mainstream. Dietro la finzionalizzazione operata dal film si nasconde, a livello di
contenuti, una visione del mondo pessimista: si nasconde «il nocciolo duro del reale, che
siamo in grado di sopportare (e, aggiungo, di cogliere, N.d.A.) solo se lo finzionalizziamo»
(Zizek, 2002: 23).
Surplus, non esplicitando apertamente le conclusioni dei suoi ragionamenti, ma
lasciando questa possibilità allo spettatore, rafforza il legame fiduciario col suo pubblico,
che si sente coinvolto come parte attiva del processo di comunicazione. All’estremo
opposto del patto comunicativo attivato da Surplus troviamo invece il modello della
fruizione televisiva classica (mi riferisco al modello della conversazione testuale di
Bettetini – Sorice, 2000), in cui il testo stesso attiva le risposte dell’enunciatario ideale
attraverso meccanismi testuali come ad esempio applausi, risate, cori di stupore del
pubblico, che Gandini enfatizza ironicamente, svelandoli allo spettatore (si pensi ad
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esempio al già citato episodio in cui compaiono le cornici con le scritte “G8 World
Shop”17).
Per lo spettatore è naturale a questo punto allinearsi con il pensiero del regista, e
soprattutto nel momento in cui si condividono le premesse del testo: la sensazione di
vuoto, la mancanza di senso nelle proprie vite, l’idea che questo mondo sia ingiusto e poco
gratificante, l’idea che ci si sta avvicinando alla catastrofe ambientale (è importante notare
che il film si apre con le parole di Fidel Castro che parla della catastrofe ambientale, e
dell’ingiustizia nella distribuzione mondiale delle risorse). Come essere contrari a queste
premesse? Chi può schierarsi contro questi assiomi, affermando che questo è un mondo
giusto, equo e rispettoso della natura? Nessuno. Per questo a mio parere l’accesso a
Surplus, e l’identificazione con lo sguardo che organizza il discorso sul mondo (quello del
regista, Gandini), avviene grazie all’affinità con queste premesse universali, contro le quali
è difficile argomentare: «questa identificazione psicologica colma la lontananza spaziotemporale di certi universi, che ci sono accessibili proprio per la loro corrispondenza alla
nostra concezione della psicologia umana» (Jost, 2003).
Alcune dinamiche che attraversano questo film lo rendono sottilmente crudo,
mettendo a disagio lo spettatore. Me ne sono reso conto fin dalla prima volta che l’ho visto,
ma non è stato facile rendersi conto del motivo. Poi, ho capito a cosa era dovuta questa
sensazione: la maggior parte dei personaggi che vengono mostrati, guardano in macchina.
Essi cercano qualcosa dallo spettatore, che si sente attaccato da tutti i fronti: c’è chi vuole
convincerlo a comprare qualcosa, oppure della verità dei propri discorsi; ci sono gli sguardi
in macchina degli operai indiani, che mettono a disagio (perché ci rendono consapevoli che
gran parte della popolazione mondiale campa sui nostri scarti, pur senza cercare mai di
suscitare pietà o compassione), e quelli delle modelle giapponesi, che chiedono di essere
17
Mi riferisco al pezzo che va dai minuti 0:10:29 a 0:12:26.
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corrisposti. Tutto ciò viola l’invisibilità dello spettatore, che viene scaraventato duramente
nell’immaginario frammentato e ipertestuale di Surplus.
Un discorso per opposizioni, tra palchi e retroscena
Surplus, come ho anticipato poco fa, è un testo che, pur mettendo in scena principalmente
immagini di repertorio che ritraggono le ribalte (in cui i leader si mostrano per tenere i loro
comizi; dove sfilano modelle longilinee e attraenti, e tutti sorridono felici), si propone,
attraverso le tecniche descritte in precedenza, di alterare e manipolare queste immagini,
svelando i retroscena del mondo consumistico (quantità inimmaginabili di spazzatura,
vuoto esistenziale, povertà nelle aree del sud del mondo, …). Il discorso vero non è quindi
quello che i leader fanno dai loro palchi, quello che le immagini (di repertorio) ritraggono,
ma la verità è nascosta dietro al velo di Maya delle rappresentazioni, che Gandini strappa
anche grazie alla manipolazione e all’esasperazione delle tecniche illusive tipiche dei
media televisivi mainstream.
Durante il montaggio di Surplus18 troviamo molto spesso accostamenti di
immagini di natura oppositiva, che provengono da 3 tipi di realtà completamente diverse
tra loro:
-
l’ipertesto mediale che fa riferimento al flusso televisivo mainstream (pubblicità,
show, modelle e leader di stato);
-
i ritmi di vita ripetitivi e alienanti delle metropoli (dalle fabbriche alle strade
trafficate);
-
la vita quotidiana nel sud del mondo (dai negozi vuoti e dal riso e fagioli di Cuba, ai
cantieri di riciclo delle navi in India; in queste immagini si ha la sensazione che il sud
del mondo sia fermo, immobile, a fissare il frenetico ritmo di vita dei paesi
industrializzati).
A tutto questo viene accostato, di tanto in tanto, il pubblico (che sia quello di un talk show
o quello di un comizio di Fidel poco cambia), che ascolta, generalmente passivo; oppure,
sempre secondo uno schema oppositivo, Gandini ci mostra i manifestanti di Genova 2001.
Surplus attua quello che viene definito il montage, ovvero lavora sull’associazione
di immagini che non hanno un legame diretto tra di loro, ma che lo acquistano per il fatto
di essere messe vicine (una tecnica, come abbiamo già svelato, tipica del cinema sovietico
18
E soprattutto nelle sequenze, delimitate dalle canzoni, in cui le immagini vengono montate più
marcatamente nello stile del videoclip musicale: quello che all’inizio ho definito un “rap dell’immaginario”,
in cui si ripetono ossessivamente i mantra di Zerzan o di Ballmer.
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del primo dopoguerra) in cui si evidenzia non solo lo scontro tra elementi, ma anche la
nascita per giustapposizione di un nuovo significato. Il contrasto non scaturisce solamente
tra le immagini accostate tra loro, ma anche tra le parole che vengono pronunciate da
alcuni personaggi, e le immagini che vengono mostrate in quei momenti, per creare un
discorso eterogeneo e articolato, che spesso prende derive paradossali e ironiche. Mentre
George W. Bush invita i connazionali a continuare ad acquistare e consumare anche dopo
l’11/9 («non possiamo permettere a i terroristi di raggiungere l’obiettivo di spaventare il
paese al punto che la gente non faccia shopping», è quello che Gandini fa dire a Bush
all’inizio del film), e i dirigenti Microsoft ripetono ossessivi la loro fiducia nell’azienda (I
love this company, è il mantra di Ballmer), Gandini mostra le scene di guerriglia urbana a
Genova 2001, gli operai indiani che rischiano la vita per poche rupie smontando le navi da
rottamare, e i negozi vuoti di Cuba. Al contrario, alle parole di Zerzan, vengono
giustapposte scene di consumo e carrelli che scorrono, secondo un accostamento per
analogia (il che fa propendere lo spettatore a fidarsi di più delle parole di Zerzan,
ovviamente).
Oppure, questo processo di contrapposizione tra immagini e parole è attivato
mentre John Zerzan si chiede: «come mai la gente cerca di protestare, o di fare qualcosa?
Non si tratta di violenza insensata. L’insensatezza è starsene seduti a farsi le canne,
guardando MTV, per poi trovarsi un lavoro e fare i pecoroni. Quella per me è violenza. Il
danno o la distruzione della proprietà, ben mirati, sono necessari per uscire dagli schemi
della politica, della solita politica. Cosa ottieni tenendo in mano un cartello al solito
corteo? È da decenni che li vedo, non fanno nessuna differenza. La gente non li considera.
E perché dovrebbe? Non ne vale la pena. Ma quando si combatte, il messaggio arriva. Si
attira l’attenzione, giustamente, perché si fa sul serio. Non è la solita recita del: ah, come
sono bello con il mio cartello. Quella recita non mi interessa. Se funzionasse, se non fosse
inefficace, sarei il primo ad essere pacifico: nessuno rischia niente. Nessuno si fa male o
viene arrestato, nessuno ti prende a manganellate. Le vetrine intatte… magnifico, solo che
così non funziona»19. Gandini tuttavia mostra anche le immagini di Carlo Giuliani, che è
stato ucciso da un carabiniere proprio al G8 di Genova 2001. Sono immagini dure, forti,
che sembrano mostrare a Zerzan l’altra faccia (il retroscena) del suo discorso,
chiedendogli: ne vale la pena?
19
Parole di John Zerzan tratte da Surplus (0:43:15 – 0:45:03).
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Inoltre le contrapposizioni possono avvenire lungo il corso del film, creando delle
dissonanze tra l’immagine che lo spettatore poteva farsi di alcuni personaggi, e l’ironia
terribile e dissacrante di Gandini, che non risparmia nessuno. Pensiamo ad esempio al
personaggio di Fidel Castro. Le sue parole aprono il documentario, contrapponendosi alle
immagini dei leader dei paesi capitalisti. Il leader cubano denuncia le colpe del capitalismo
moderno contro lo sfruttamento dell’ambiente, e proclama fiero: «cosa è rimasto a noi: il
sottosviluppo, la povertà, la dipendenza, l’arretratezza, il debito, l’insicurezza […] lo
sviluppo sostenibile di cui si parla è impossibile senza una distribuzione più equa tra paesi
ricchi e paesi poveri […] La grave crisi odierna volge a un futuro ancora peggiore, in cui
non si risolverà mai la tragedia economica, sociale ed ecologica di questo mondo che sarà
sempre meno governabile. Qualcosa dobbiamo fare per salvare l’umanità. Un mondo
migliore è possibile!»
20
. A questo discorso iniziale, Gandini contrappone, poco dopo,
l’altra faccia della medaglia, il retroscena del discorso di Fidel: le immagini della vita a
Cuba: riso, fagioli, negozi vuoti e voglia di scappare degli abitanti. E, alla fine, è lo stesso
Fidel a pronunciare (secondo l’ingegnosa tecnica read my lips) le parole di Ballmer: «I
love this company, yeah!». L’unica cosa che non cambia mai è la passività del pubblico,
che risponde sempre e comunque con delle ovazioni, sia che parli Ballmer, sia che parli
Fidel.
Infine, c’è un altro retroscena, un po’ più nascosto, di cui vorrei parlare: Gandini
sembra teorizzare anche il fatto che il flusso informativo mainstream sia in qualche modo
pilotato. Ciò si evince dalla scena (che si ripete per ben 2 volte) in cui vengono accostati
due giornalisti economici che parlano di cose diverse: le loro voci si sovrappongono
confusamente per alcuni secondi, per poi dire la medesima parola (che Gandini sottolinea,
ripetendola più volte); poi i due ricominciano di nuovo a parlare sovrapponendo
disordinatamente le loro voci, e tornano infine a dire un’altra parola in contemporanea, e
così via. Questo artificio retorico non è solamente estetico, ma è una metafora di come, nel
flusso mediatico mainstream che per la maggior parte del tempo appare diversificato,
capita di notare echi e risonanze che svelano come ci sia una sostanziale concordanza di
fondo tra le opinioni che i media (e soprattutto la TV) rappresentano.
20
Parole di Fidel Castro, tratte da Surplus (0:01:25 – 0:03:15).
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Conclusioni.
Surplus è un testo postmoderno, in quanto alla inscindibile compenetrazione tra realtà e
finzione, contraddittorietà, confusione, incertezza. E, last but not least, in quanto a
pessimismo.
Alla fine di questo video, ci rendiamo conto che le cose non possono cambiare, e
che anche la soluzione di Zerzan (il cui punto di vista è il filo rosso che attraversa tutto il
testo, fornendo allo spettatore delle risorse di senso per interpretare gli eventi mostrati) non
è percorribile. Da una parte è vero che la società attuale, con tutta evidenza, non ha futuro,
e le teorie sullo sviluppo sostenibile finora non hanno prodotto soluzioni accettabili al
collasso del pianeta cui stiamo correndo incontro. La sovreccitazione di Ballmer la dice
lunga sulla lungimiranza, sull’equilibrio, sulla saggezza del sistema capitalista, in cui il
20% della popolazione consuma l'80% delle risorse.
Tuttavia il primitivismo dal sapore un po’ biblico di Zerzan non può essere la
soluzione. Ripercorrendo la storia recente, un tentativo di ritorno ad una società primitiva e
naturale c’è già stato (anche se in effetti era fondato su premesse alquanto differenti):
quello di Pol Pot e degli Khmer Rossi (Sabbatucci – Vidotto, 2002). Circa 3 milioni di
persone hanno abbandonato le città, le metropoli, base e simbolo della civiltà moderna (e
lungamente inquadrate per tutto il documentario), per andare a vivere nei campi coltivando
la terra. Questa storia è chiaramente condizionata dall'autoritarismo, dalla violenza e
dall'ignoranza degli uomini politici coinvolti: ciò nonostante la causa del disastro a cui
portò il sogno di Pol Pot si trova nel problema demografico. I Khmer Rossi causarono 2,5
milioni di morti in 3 anni su una popolazione cambogiana di 10 milioni, proprio nel
tentativo di tornare a uno stato naturale precedente. La loro terra non poteva sostenere
quella popolazione senza la moderna tecnologia e così la natura è prontamente intervenuta
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riequilibrando i numeri con gli unici strumenti che conosce. Malattie e carestie, a cui si è
aggiunta la persecuzione di tutti coloro che avevano idee diverse21.
Non a caso, una delle sequenze finali di Surplus mette in scena la parodia di un
uomo primitivo che, tra il cinguettio scanzonato degli uccellini, fa rotolare un masso
enorme in un prato (sembra quasi scimmiottare un episodio dei Flinstones), poi guarda
interdetto un ramo d’albero, si gratta la testa come se fosse confuso, e infine riprende la sua
beata corsa nel prato. «Le cose non possono cambiare in questa direzione», sembra dire
Gandini con disincanto: il primitivismo di Zerzan, al pari della moderna economia
multinazionale, non è una soluzione possibile, e resta la dilaniante e spiazzante
consapevolezza che la razza umana sta correndo sfrenatamente verso l’estinzione.
Con lo stesso amaro pessimismo il regista ha assimilato Fidel a Ballmer,
condannando anche l’ideologia comunista, che nel XIX e XX secolo ha rappresentato per
milioni di persone la ricetta per un mondo migliore e per la rivalsa sociale. Come ho già
notato in precedenza, le immagini che ritraggono Cuba (così come quelle raccolte in India)
si contrappongono alla rappresentazione della frenetica e sclerotica vita dei paesi
occidentali, soprattutto per la loro lentezza. Questo fatto, mi ha ricordato una riflessione di
Žižek, in cui il filosofo riflette proprio su questo fatto, dicendo: «ci troviamo di fronte al
paradosso che – nell’epoca frenetica del capitalismo globale – il risultato principale della
rivoluzione è quello di portare all’immobilità le dinamiche sociali: il prezzo da pagare per
l’esclusione dalla rete capitalistica globale. In questo caso assistiamo a una strana
simmetria tra Cuba e le società occidentali postindustriali: in entrambi i casi la
mobilitazione frenetica nasconde l’immobilità più profonda» (Zizek, 2002: 12). Fidel
stesso, in un certo senso, assomiglia a Ballmer, e agli altri leader del G8, col suo fare da
divo: l’unica differenza che c’è tra lui e gli altri capi di stato ritratti in Surplus (oltre alla
divisa) è la sua noncuranza per tutte quelle regole non scritte per cui un capo di stato deve
sempre sorridere, e non picchiettare imperiosamente sull’orologio davanti alle telecamere,
come per redarguire il popolo di farlo ritardare nel discorso.
21
http://italy.peacelink.org/nobrain/articles/art_13941.html
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Gandini, con lo stesso procedimento citato prima, fa scontrare le parole dei
discorsi di Fidel, che esaltano la purezza cubana contro il sudiciume e lo spreco capitalista,
con la dura realtà del turismo sessuale, della omologazione, della scarsità di beni a Cuba.
L’effetto del regime cubano è Tania, una ragazza che desidera il mondo capitalista, e che
sogna di andare da McDonald’s e Burger King, e di smettere di mangiare riso e fagioli. È il
comunismo a essere un’utopia irrealizzabile, o è l’istinto umano egoista e “cannibale” a
prevalere su qualsiasi ideologia?
Cosa rimane al termine di questo film? La frammentarietà, l’ibridismo, il
disorientamento, la ricerca di sensazioni e di senso, che non può che sprofondare in una
insoddisfazione totale. Rimane Svante, il giovane miliardario svedese, icona vivente che
dimostra che i soldi facili non portano alla felicità, ma si risolvono in un continuo contare e
ricontare, che alla fine perde di senso. L’episodio di Svante inizia con la sequenza del
ragazzo che attraversa in bicicletta le vie della sua città, allo stesso modo di Tania, la sua
coetanea cubana. Agli antipodi del mondo, i due ragazzi sono ugualmente insoddisfatti,
divorati da un desiderio inappagabile: a lui manca l’autenticità della vita semplice, a lei
mancano gli agi della vita “a pancia piena” dei paesi industrializzati. Entrambi sono
infelici: basta vedere quante sigarette fuma nervosamente Svante, il miliardario.
Il finale è insoddisfacente, dal punto di vista della catarsi: la “purificazione”
teorizzata da Aristotele, che ha concluso per secoli le narrazioni collettive rappresentate nei
teatri greci, in Surplus non scatta, se non a livello superficiale, estetico. Non c’è
pacificazione, e sembra non ci sia una fine della storia: c’è una raggelante ironia (“ridendo
castigat mores”), un sarcasmo che non risparmia nessuno, nemmeno se stessi. Lo
spettatore, tra abbandono e consapevolezza, si fa traghettare lungo le vie del Gandinipensiero, per giungere alla paradossale conclusione in cui gli stessi capi di stato,
contraddicendo tutto ciò che hanno detto fin lì, postulano l’avvento di una nuova etica, in
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cui: «la gente riconquisterà la propria cultura; ci sarà un nuovo sistema di valori; un
cambiamento di vita; un’inversione mentale globale in cui la gente all’improvviso dirà:
non voglio un’auto trendy, non voglio un altro Big Mac, non voglio mettermi i jeans della
Diesel; voglio una vita semplice e bella»22. Sì, ma come e quando avverrà questo
cambiamento? Non si sa.
È una speranza vana quindi, quella con cui si conclude Surplus, che viene resa
ancora più vana dalla paradossalità della messa in scena: è proprio Bush, che per tutto il
documentario è stato preoccupato perché la gente non andava più a fare shopping, ad
affermare: «non voglio un altro Big Mac».
Forse, invece, tutte queste interpretazioni sono solamente frutto di ciò che io
voglio vedere in Surplus: questo è un testo che possiamo sicuramente definire aperto, o per
dirla con Barthes, un testo plurale, in cui «le reti sono multiple, e giocano fra loro senza
che nessuna possa ricoprire le altre […] di questo testo assolutamente plurale i sistemi di
senso possono sì impadronirsi, ma il loro numero non è mai chiuso» (Barhes, 1970). Come
dice lo stesso Gandini in una intervista, non bisogna dare una interpretazione troppo
politica al suo film poiché: «il film si rivolge a tutti quelli come me che vivono la sfiducia
del consumatore, quando si arriva cioè alla saturazione e alla nausea del consumismo
sfrenato. Non volevo che Surplus diventasse il manifesto di un movimento o che
diventasse la bandiera dell’anticapitalismo, io faccio una vita assolutamente normale; non
che non consumi o che faccia una vita da asceta, però quando guardo Mediaset mi
deprimo. Questa non è politica, è un sentimento assolutamente umano. Mi sono chiesto se
si potesse raccontare questo sentimento nello stesso modo in cui lo fa la pubblicità. Anche,
in un certo senso, riappropriandosi di un linguaggio che è monopolizzato. Appena infatti ci
sono belle immagini o bella musica, di solito è per venderti qualcosa. Io sono andato in
questa direzione con Surplus. Perché i documentari devono essere per definizione un po’
più brutti, un po’ più noiosi, più tristi?»
Bibliografia.
Ø
Abbagnano – Foriero (1986) Filosofi e filosofie nella storia, volume terzo, Paravia,
Torino.
22
Ø
Barthes, R. (1970), S/Z, Ed. du Seuil, Paris.
Ø
Bauman, Z (1999) La società dell'incertezza, Il Mulino, Bologna.
Frasi tratte da surplus, da 0:48:57 a 0:50:00.
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Ø
Bauman, Z (2002) Modernità liquida, Laterza, Bari.
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Carmagnola, F. (2006), Il consumo delle immagini. Estetica e beni simbolici nella
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Ø
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Sabbatucci G., Vidotto V. (2002) Storia contemporanea, Il Novecento, Laterza,
Bari.
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Riuniti, Roma.
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Ø
Žižek, S. (2002), Benevenuti nel deserto del reale, Meltemi, Roma.
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