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Magneplanar .7
Avanti, verso il passato …
Già, avanti verso il passato.
Quel passato che ha formato il “mito” Magneplanar.
Quel passato che contiene un giorno (sarà stato il 1976 o il 1977) in cui entrai in un negozio milanese di audio del quale non
ricordo il nome (era in zona Melchiorre Gioia) e mi trovai davanti una coppia di Tympani delle quali molto avevo letto, ma poco
ascoltato. Almeno sino a quel giorno, in cui passai l’intero pomeriggio affascinato da quei sei pannelli, divisi in due gruppi di tre,
che, pilotati da un finale a valvole di Audio Research, diffondevano quella musica riprodotta come mai avevo sentito prima.
Non mancava nulla e l’unica componente che mancava era la fatica d’ascolto. E fu così che finii col comprarmi una coppia di MG
II, visto che le Tympani nella mia stanza non ci sarebbero entrate.
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E riascoltando queste .7 mi è parso di tornare indietro nel tempo perché è evidente che la serie 7 è diversa dalla serie 6. Almeno
questa la mia impressione, derivata da un pomeriggio di ascolti in un noto negozio milanese dove ho potuto comparare una
coppia di 1.6 con una coppia di 1.7 e mi sono reso conto che il suono a volte troppo brillante delle 1.6 aveva lasciato il posto a
quella magia che era propria delle vecchie Magneplanar, con le migliorie via via introdotte dalla casa di White Bear Lake che pur
mantenendo un certo carattere sonico, hanno di fatto migliorato le capacità di fornire informazioni e di gestire la dinamica
complessiva delle registrazioni meglio effettuate.
Queste 0.7 sono proprio carine; snelle, non altissime
(le dimensioni sono 138x38x4 cm) ma abbastanza da
sopravanzare di parecchio le orecchie di un
ascoltatore seduto anche su una sedia in luogo del
solito divano, rifinite in modo semplice; nel mio caso il
tessuto era quello nero.
Le fiancatine hanno due semplici liste di metallo
verniciate nere, nello stesso colore delle consuete
“zampe” ad “L” che caratterizzano i modelli piccoli di
Magneplanar.
Le connessioni all’amplificatore utilizzano la solita
morsettiera di Magneplanar, con i morsetti con vite di
serraggio sul lato, non comodissimi ma efficaci. Niente
bi-wiring, ma è sempre presente la possibilità di
attenuare la gamma acuta interponendo un carico che
viene fornito in dotazione; per me è assolutamente inutile perché queste .7 non sono mai aggressive; ma magari in qualche
collocazione potranno essere utili.
Le casse sono abbastanza pesanti e per trasportare l’imballo, che le contiene entrambe, è meglio essere in due.
Pochi dati. La sensibilità dichiarata è la consueta di 86 db 1W/1mt. La potenza massima sopportata non è indicata, mentre la
risposta in frequenza va da 45 a 24.000 entro 3 dB.
Nel manuale d’istruzioni, per il posizionamento si fa riferimento al consueto punto di partenza a 90 cm dalle pareti posteriori e da
lì spostare avanti e indietro sino a che si ottiene il basso migliore. Poi, trovato quel punto, si spostano i pannelli allontanandoli o
avvicinandoli tra loro sino a che si forma la migliore immagine. Infine si gioca con l’orientamento verso il punto d’ascolto; in realtà
nel manuale si dice di non farle lavorare “piatte”, ma sempre orientate verso l’interno in direzione del punto d’ascolto.
Tuttavia in molti ambienti è noto che il posizionamento senza orientamento fornisca la miglior scena possibile, anche se
l’allineamento in fase degli altoparlanti non è al 100%. Quindi, provate; come dovrete provare a tenere i tweeter all’interno
piuttosto che all’esterno.
A casa mia, che è abituata ad ospitare pannelli Magneplanar, le 0.7 erano a 1,20 mt dalla parete posteriore, a 50 cm dalle
librerie ai lati, con un paio di metri tra di loro; tweeter all’esterno e orientamento verso il punto di ascolto (quindi variabile perché
posso ascoltare nella posizione fissa ove sta il divano, ovvero 2,50 mt dal punto d’emissione degli altoparlanti, oppure posso
spostarmi indietro sino a 4,50 mt). Ho provato a posizionarle anche a 2 metri dalla parete posteriore, ma il carattere sonoro
rimane intatto.
L’impianto utilizzato per la prova era il seguente:
giradischi Bauer DPS2, braccio Morch DP6,
fonorivelatore Lyra Kleos e pre-fono American Hybrid
Technology –P; giradischi Thorens TD150, bracci SME
3009 Improved, Denon DL 304 e pre-fono Lehmann
Black Cube(un sistemino semi-vintage che va niente
male); l’insostituibile preamplificatore Lavardin C62;
finali il Bryston 2B-LP e il Wyred4Sound ST 250.
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Come detto all’inizio queste .7 hanno un suono morbido,
vellutato, che però non nasconde quanto viene a loro
proposto; solitamente con morbido e suadente si
definisce un suono privo di frequenze acute, ma non è
questo il caso.
Con questi “pannelli” gli acuti ci sono tutti, ma non sono
mai portati troppo in primo piano.
Sono oggettivamente sfumati rispetto alla precedente
serie, ma non mancano le informazioni presenti nella
registrazione; così come pare evidente che la gamma
bassa non sia estesa quanto quella dei modelli più
grandi, anche se devo dire che pensavo fosse ancora
meno estesa (da ex possessore anche di una coppia di
SMG, direi che qui siamo su un ben diverso livello).
Ascoltando il Fratres di Arvo Pårt, su Naxos, pare
evidente che i colpi di grancassa sono meno profondi
del solito, ma pare da subito evidente che la scena che
si ripropone davanti all’ascoltatore è veramente
imponente; forse meno “millimetrica” di quanto fosse
con le mie 1.6, ma sicuramente precisa e soprattutto
grande. D’altro canto è piuttosto normale che il tweeter
meno insistente faccia percepire meno la provenienza
del suono e restituisca una scena di dimensioni
apprezzabili. Il maggior peso che viene dato alle gamme
media e medio-bassa aiutano anche a ricostruire il
suono della cassa armonica degli archi piccoli, in modo
che il suono paia avere un corpo simile a quel che si
ascolta in un concerto live. Manca un po’ di cattiveria sulle note più acute (i violini dal vivo sono sicuramente più incisivi), ma il
risultato, soprattutto pensando al prezzo, è apprezzabile.
I problemi (se di problemi si vuol parlare) sono determinati
dalle piccole dimensioni delle membrane che a volta faticano
a riprodurre grandi compagini orchestrali, come accaduto con
il Sacre du Printemps di Stravinski nella registrazione Decca
con Dorati alla direzione; o nel finale di Tosca (Caballé e
Carreras, direzione C. Davis, Philips) dove, soprattutto nel
finale, il rullare della grancassa ha evidenziato una poca
coesione tra il basso potente e il resto della gamma che
sembrava leggermente arretrato.
Ma direi che viste le dimensioni dei pannelli, un po’ ce lo si
aspetta. Tuttavia per portare in evidenza questo problema il
volume deve essere molto alto; a livelli condominiali, il suono
fluisce liscio anche con le masse sonore più importanti.
Le uniche tre registrazioni che hanno portato al limite le .7,
anche a volumi bassi, sono state il Départ di Rihm (DGG), il
Miserere di Pårt (ECM) e i Pini di Roma, in particolare quelli della via Appia, di Respighi (Decca). Ma sono registrazioni dove il
tappeto di basso (per la seconda e la terza) può mandare in crisi più di un diffusore.
Belli e naturali in ogni caso i timbri di tutti gli strumenti, tutti riconoscibili e buoni anche i timpani, mentre meno potente del solito è
parsa la grancassa.
Per il resto, anche con segnali molto dinamici ma con pochi strumenti (come
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accade con musica jazz o con certa musica rock), la confusione non c’è e
l’ascolto di Kind of Blue di Miles Davis (o altre registrazioni della stessa
epoca) è stato un piacere, con sonorità naturali e con una buona propensione
a restituire gli intervalli dinamici presenti nella registrazione (tanto in vinile
originale che nella copia CD per il 50° anniversario dalla pubblicazione).
Nulla da dire nella riproduzione delle voci; con la registrazione contenuta nell’
LP di Oiseau Lyre “The Play Of Daniel” (una versione musicalmente differente
di quel che si trova nel Ludus Danielis di Foné, ma sullo stesso tema)
vengono restituite voci naturali e ben disposte nello stage, così come ben
riproposte sono le risonanze ambientali che anche grazie all’altezza del fronte
sonoro di queste .7, danno bene l’impressione di essere al cospetto di un
evento live.
Analogo risultato con il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi della Archiv, o con le Musiche per l’Alceste di Haendel, ancora
su Oiseau Lyre. Anzi, con il Vespro il tono vellutato di queste 0.7 aiuta a mantenere entro limiti accettabili anche la leggera
“grana” che distingue la ripresa delle voci. Immancabile la scena molto ampia.
Qualcuno potrebbe obiettare che questa scena molto ampia possa poi diventare
falsa con alcuni strumenti; posso garantire che se i pannelli sono posizionati
come si deve e la registrazione è fatta bene, ciò non accade. Il liuto di Jacob
Lindberg, ripreso da BIS, con le composizioni per liuto di Bach, lo conferma; lo
strumento ha dimensioni assolutamente normali e non affette da gigantismo.
Nei giorni in cui avevo in casa le .7 si è appreso della morte di Keith Emerson;
ovviamente mi sono ripassato l’intera discografia di EL&P, non senza qualche
attimo di commozione e le .7 hanno manifestato chiaramente quanto fosse
compresso il primo LP del gruppo, mentre Brain Salad Surgery lo era molto
meno. L’ascolto di Benny The Bouncer è stato un autentico piacere.
Molto naturale, soprattutto per le dimensioni, il pianoforte; poco importa che la
prima ottava non sia piena e che la mano destra nell’ultima ottava sia più “dolce”
del solito. Già solo l’impressione di imponenza nelle dimensioni del pianoforte,
basta ad ingannare molto bene l’ascoltatore; lo strumento è là davanti.
Insomma, da quanto ho scritto, è evidente che la qualità di queste .7 c’è. Pretendere i 20 Hz sarebbe come chiedere la luna; ma
le cose impossibili non sono appannaggio degli esseri umani.
Peraltro la leggera dose di calore che danno queste Magneplanar non fa mai male alle dimensioni degli strumenti perché è un
calore che non sfocia mai in una palese enfatizzazione.
Per concludere, due piccole avvertenze. La prima riguarda l’efficienza dichiarata, che pare molto ottimistica. La potenza
necessaria per farle esprimere è tanta; il finale Bryston 2B-LP, che sul carico delle Maggies dà 100 W per canale, è parsa
spesso poca, con l’accensione dei led di overload da parte del finale. Lo faceva anche con le 1.6, ma ad SPL oggettivamente
più elevati.
Meglio il finale Wired-4-Sound che su quel carico ne dà 200 per canale. Diciamo che mi è parso di tornare indietro ai tempi delle
piccole Stax, note affamate di Watt (chi le ha avute, sa benissimo di cosa parlo).
La seconda riguarda i piedi delle Maggies. Le casse suonano molto, ma molto meglio se tenute perpendicolari al pavimento;
quindi niente orientamento indietro. Magneplanar viene in salvezza dell’acquirente con l’opzione del piede con la base in
plexiglas che però fa lievitare il prezzo.
Un escamotage è mettere degli spessori sotto le staffe sino a raggiungere un punto, che non potrà comunque essere la perfetta
perpendicolarità, in cui i pannelli restano stabili. Migliorano altezza della scena e riproposizione della gamma acuta.
Resta poi un’ultima cosa da dire. Se il budget che avete in mente di stanziare è sufficiente per le .7, ricordo che a una cifra simile
è acquistabile il Mini Maggie System di cui ho scritto qui su Audio Activity; l’MMS suona più chiaro e informativo in alto, ma non
vanta la stessa scena e lo stesso suono vellutato. Diciamo che dà più adrenalina. Se avete la somma giusta, a voi la scelta.
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Visto il risultato globale, il rapporto qualità prezzo è ottimo. Difficile con questa cifra portare a casa qualcosa che inganni così
bene e che avvicini tanto bene all’evento reale. La scena che le 0.7 restituiscono basta da sé a farvi sentire in un auditorium ed a
giustificare l’acquisto; aggiungeteci un timbro sano e una buona dinamica e avrete un quadro completo di questi due pannelli.
​E il successo Magneplanar prosegue …
Domenico Pizzamiglio
Sito del produttore: http://www.magnepan.com/
Sito del distributore: http://www.dmlaudio.it/
Prezzo di listino: euro 2.300,00
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