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Azione Cattolica Nuova Parrocchia “I due discepoli di Emmaus” Ora di ascolto - 10 febbraio 2017 SALMI GIORNO E NOTTE “svegliatevi arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora” (Sal 107,3) Salmo 117(116) 1 Genti tutte, lodate il Signore, popoli tutti, cantate la sua lode, 2 perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura per sempre. Alleluia. Sguardo di sintesi: come un “canone”! E’ il salmo più breve di tutto il salterio; si tratta di una brevità “da miniatura”, simile a quella del “cantico di Maria”, sorella di Mosè, subito dopo il passaggio del Mar Rosso: "Cantate al Signore / perché ha mirabilmente trionfato: / cavallo e cavaliere / ha gettato nel mare!" (Es 15,21), nucleo originario del grande canto di esultanza che preghiamo nella Veglia pasquale. La brevità è davvero sorprendente (diciassette parole, nove vocaboli decisivi) e, tuttavia, il discorso riesce ad abbracciare tutto l’orizzonte umano (“genti tutte”) e l’intero filo del tempo (“per sempre”). Chiarissimi i significati portanti: la lode, i popoli, “hesed” (amore) e “’emet” (fedeltà): c’è un canale aperto tra Dio e tutta l’umanità (i “popoli”, le “genti”), tale canale è quello nel quale Dio riversa amore-fedeltà e l’umanità, grata e sorpresa, risponde con la lode e la benedizione. Le due parole riguardanti Dio sono in pratica una “endiadi” che definisce i tratti fondamentali dell’alleanza – amore-fedeltà, bontà-fedele, benevolenza-durevole – e intorno alla quale, nelle Scritture, se ne raccolgono tante altre come stelle della medesima costellazione (es. tenerezza, giustizia, ecc.). La parola che riguarda l’umanità (“popoli”) è chiaramente universalistica: un popolo particolare (Israele), in questo salmo canta di gioia perché il Dio che gli ha mostrato il suo volto consegna se stesso a tutti senza differenza di gruppi o di persone. L’apporto di questo salmo alla preghiera del credente, non sta nella pluralità di temi o nell’invito a lasciarsi coinvolgere in un percorso interiore particolare e specifico. Possiamo piuttosto immaginarlo come una lunga e 1 ininterrotta ripetizione meditativa, come un canone solenne che si ripropone senza posa, come un tema sinfonico che fa da sottofondo a molteplici melodie, come la base dorata sulla quale si stagliano i volti di infinite icone. Nella sua brevità può essere pronunciato al ritmo del respiro, scandito dal battito del cuore. Un inno al Nome santo di Dio Dal punto di vista letterario è un modellino perfetto di “inno”. Si apre e si chiude con l’invito alla lode: il verbo “hallel” all’inizio e l’esclamazione “hallelujah” finale; tale invito è rafforzato subito dopo l’apertura da un secondo verbo di esultanza: “cantate, celebrate”. I due verbi che nel v. 1 invitano al canto si indirizzano verso due diversi termini che abbracciano l’umanità nella sua interezza: “genti”, “popoli”. Il primo dei due termini usati (“gôjîm”) è quello che ricorre in altri passi per indicare gli altri popoli in quanto “pagani”, e “idolatri”; l’invito e l’affermazione del salmo è dunque particolarmente ardita! L’invito a tale slancio di letizia conduce il cuore a chiedersi il perché: come mai un invito a tanta gioia, quale il motivo di tale felicità? Il v. 2 si apre proprio con una parola brevissima (“kî”) che – letterariamente – è come il dito indice puntato a dire “guarda!”; si può tradurre con “poiché, perché, a-motivo-di”. L’attenzione si sposta subito sull’”endiadi” seguente: amore-fedeltà. Essa viene colorata di ulteriore intensità con due pennellate: è “forte” ed è “in eterno”. Come tessuto profondo del delicato intreccio di parole sta il nome di Dio: “Jahweh”, pronunciato due volte: in apertura e in chiusura. E’, dunque, una “preghiera del Nome”; è il nome Suo pronunciato con meraviglia, portato senza sosta all’attenzione della mente e del cuore. C’è un intreccio di dimensioni dentro il quale il canto della lode si diffonde come dentro le coordinate di una grande tempio. L’amore-fedeltà di Dio – in verticale - scende dall’alto, come un dono: più che “per” noi, è “su” di noi, come l’olio che scende dal capo e la rugiada dai monti cantati nel salmo 132. La voce di chi è raggiunto da questa cascata di grazia si innalza verso il cielo, risale per giungere fino alla sorgente da cui quel dono giunge. Questo movimento di irradiazione e coinvolgimento – in orizzontale raggiunge gli estremi confini geografici: tutti i popoli e tutte le nazioni. Si dilata, inoltre, lungo l’intera linea del tempo: in eterno, per sempre. 2 La preghiera “continua”, “del cuore”, “del respiro”: “stare” nell’abbraccio (testi tratti da scritti di Enzo Bianchi) Quante volte la nostra preghiera nelle ore buie, nelle ore silenziose di deserto, è ridotta soltanto a pronunciare questo nome? "Gesù, Gesù"! Non siamo a volte capaci di dire nient’altro. La tradizione ortodossa russa è la tradizione cristiana che forse più di ogni altra ha avvertito l’importanza della preghiera interiore e ininterrotta, ha cercato vie e strumenti per acquisire la preghiera incessante, la preghiera del cuore. Sì, nella tradizione spirituale cristiana ci si è sempre domandati con una ricerca sovente faticosa come mettere in pratica l’esortazione prima di Gesù e poi dell’Apostolo sulla preghiera senza interruzione. E i padri hanno di fatto, fin dai tempi antichi, privilegiato una formula che noi troviamo testimoniata nei Vangeli, un grido innalzato a Gesù da parte di malati e peccatori. ‘Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!’. Ecco la preghiera di Gesù, o preghiera del cuore: tutto qui! Poche parole, ma densissime, una sintesi delle due invocazioni registrate nel cap. 18 di Luca: una fatta dal cieco di Gerico a Gesù che passava (Lc 18, 38), l’altra fatta dal pubblicano al tempio (Lc 18, 13). È nient’altro che il Kyrie eleison, il Signore pietà delle liturgie cristiane: invocazione ripetuta più volte nella celebrazione eucaristica, nella preghiera delle ore. Certo è una preghiera elementare, semplice, ma il Signore non ci ha forse chiesto di non moltiplicare le formule come fanno i pagani (cfr Mt 6, 7)? Se queste parole hanno ottenuto l’intervento di Gesù che ha guarito il cieco, se hanno commosso Dio facendogli perdonare tutto al pubblicano, se poche parole di un ladrone in croce hanno ottenuto l’apertura del Regno dei cieli, perché stupirsi di questa essenzialità? Ma com’è possibile passare dalla ripetizione della formula di preghiera, dalla tecnica, alla sua dimensione interiore? I grandi padri dell’ortodossia russa si sono a lungo interrogati, nel solco di una tradizione millenaria, sui complessi meccanismi che dalla dispersione della nostra mente conducono all’unificazione interiore, fino a presentare tutto l’essere dell’orante a Dio, in un cammino di purificazione e di comunione. Certo, la preghiera liturgica ha, e deve avere, il primato perché la liturgia resta culmine di tutta l’azione della chiesa, fonte di tutta la sua forza. Ma la preghiera liturgica trova il suo prolungamento nel tempo della vita quotidiana, nell’intimo del cuore del cristiano, e tenta di diventare incessante: quando mangiamo, quando lavoriamo, quando riposiamo... La preghiera di Gesù rappresenta il tentativo di un dialogo continuo con Dio. È una via aperta a tutti, poiché Dio “dona la preghiera a colui che prega”, assicura 3 Pietro Damasceno. E lo starec Makarij di Optina commenta: “Il Signore, vedendo il nostro desiderio e il nostro sforzo di pregare, ci dà il suo aiuto, secondo le parole dei santi: a chi prega con semplicità, Dio accorda il dono della preghiera del cuore”. La preghiera di Gesù, come strumento per giungere all’autentica unificazione interiore è incentrata su due elementi: il nome e la sua ripetizione. Il nome di Dio, quel nome ineffabile rivelato a Israele affinché il popolo eletto potesse invocare, chiamare, conoscere Dio quale Signore che agisce nella storia, è diventato per i cristiani il “bel nome” — secondo l’espressione dell’apostolo Giacomo (cf. Gc 2,7) — invocato su di loro, il nome al di sopra di tutti gli altri nomi — secondo l’apostolo Paolo (cf. Fil 2,9) —, l’unico nome in cui c’è salvezza — secondo la predicazione primitiva dell’apostolo Pietro (cf. At 4,1 z) —: il nome di Gesù di Nazareth è un nome dato da Dio stesso nell’annuncio a Maria: “Jehoshua, JHWH è salvezza! “. Il secondo elemento della preghiera di Gesù è la ripetizione fino a diventare un’ininterrotta invocazione, come il respiro di ogni vivente. “Ogni respiro dia lode al Signore” canta l’ultimo salmo del salterio (Sal 150,6), e lo starec Antonij di Optina commenta: “L’invocazione orante del dolcissimo nome di Gesù deve essere il respiro della nostra anima, dev’essere più frequente del battito del nostro cuore”. I padri del monachesimo interpretano le esortazioni a “pregare in ogni momento” (Lc 21,36), a “pregare sempre, senza stancarsi” (Lc 18,1), a “pregare incessantemente” (cf. 1Ts 5,17; Ef 6,18), come l’acquisizione di un’attitudine del cuore sempre disposta ad ascoltare il Signore e pronta a parlargli. Per questo l’origine della preghiera del cuore dobbiamo trovarla nell’esortazione del grande padre Basilio, il quale raccomandava la memoria Dei: “Dobbiamo restare incessantemente sospesi al ricordo di Dio come i bambini alle loro madri” (Basilio, Regole diffuse 2,2). 4