Tracks – e che lo rappresenta fin da subito. Una perdita

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Tracks – e che lo rappresenta fin da subito. Una perdita
Recensioni cinema e film | Persinsala.it
Francesca
Ruina
23 aprile 2014
È un’immagine sfocata, un’allucinazione a testa in giù, quella che
apre il nuovo film di John Curran – Tracks – e che lo rappresenta
fin da subito. Una perdita di confini, esteriori ed interiori, dipinta
a mo’ di impressionismo su di una tavolozza color polvere, sabbia
e deserto.
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Tratto dal best-seller autobiografico del 1980 pubblicato da Robyn
Davidson, l’omonimo lungometraggio di Curran porta sul grande schermo
il viaggio di ben 2700 chilometri compiuto dalla ragazza, da Alice Springs
fino alla costa dell’Oceano Indiano. Si comincia dal lungo e difficile lavoro
di addomesticamento dei cammelli selvaggi che l’accompagneranno nella
sua traversata del deserto australiano, insieme al fedelissimo cane
Diggity. Tra frustrazione e promesse non mantenute, mesi di lavoro non
retribuito se non attraverso l’insegnamento di come domare i cammelli,
Robyn fortifica anima e corpo, a suon di calli, sudore e solitudine. Poi la
partenza, dopo aver a malavoglia accettato, in cambio di un necessario
aiuto finanziario, di farsi fotografare in alcuni momenti del suo viaggio dal
reporter del National Geographic, Rick Smolan (Adam Driver).
Con i colori di una terra che brucia – letteralmente e metaforicamente –
sotto i piedi della ragazza e l’occhio della telecamera, che si spalanca sulle
distese sconfinate dell’amata (e acquisita) patria di Curran, inizia il viaggio
della splendida e determinata avventuriera, magistralmente interpretata
da Mia Wasikowska. La sua esile figura insieme solida ed evanescente e i
suoi gesti precisi, che intrecciano determinazione e dolcezza, ammaliano
lo spettatore, che rimbalza tra i rari sorrisi sornioni e lo sguardo fisso alla
meta (sempre che esista davvero una meta) della giovane fanciulla.
A livello di narrazione non accade molto: i giorni si susseguono al ritmo
della marcia della protagonista e dei suoi aiutanti a quattro zampe, sotto il
sole cocente del deserto. A spezzare il cammino e rendere un po’ più
psicologico il profilo della giovane, le incursioni del fotografo, che
sottolineano ulteriormente il desiderio di solitudine della ragazza.
Desiderio che si mischia alla paura, al difficoltoso rapporto con un’alterità
che non sia animale (salvo l’anziano Eddy che la accompagna per un
tratto, ma che, comunque, non parla la sua lingua), alla smania di
compiere un viaggio che sembra strisciare sul confine con la fuga. Fuga,
forse, da un passato troppo pesante che aleggia sulla vita e sulle emozioni
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di Robyn come un fantasma non ancora sconfitto e che la mano registica
di Curran ci mostra attraverso dei flashback dai confini sfumati. Mezzo,
questo, che tuttavia appare un po’ come una strategia per sorvolare su di
un’indagine psicologica della ragazza, lasciando parlare soltanto queste
poche immagini, che compaiono qua e là come vecchi ricordi d’infanzia.
Come per riempire visivamente un vaso che avrebbe decisamente bisogno
di ben più attenzioni. Altra pecca da eccessivo riempimento è la musica:
non c’è praticamente alcun istante del film che non sia accompagnato da
un suono di sottofondo. Il grande escluso – che in un film ambientato nel
deserto non potrebbe né dovrebbe mancare! – è il silenzio.
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La smania di Curran di riempire, a livello di visione e di suoni, ogni istante
della pellicola, senza mai lasciarla dilatare, senza concedere una
dimensione spazio-temporale per respirare polvere e mangiare sabbia in
assoluto silenzio, è forse il miglior esempio di ciò che deve avere spinto
Robyn a compiere il suo viaggio. La vera Robyn, forse, sarebbe scappata
da questo film come dai suoni e dalle voci roboanti del mondo cosiddetto
civilizzato. Sarebbe fuggita into the wild, dove i tempi e gli spazi sono
dilatati per davvero, dove l’abile mano di Sean Penn ha saputo svuotare la
pellicola da fronzoli inutili, lasciandoci liberi di ascoltare e masticare il
disagio di Emile Hirsch.
Nonostante la perfetta interpretazione di Mia Wasikowska, la pellicola di
Curran risulta troppo piena e troppo veloce perché si riesca davvero ad
assaporare la lentezza, l’isolamento e il vuoto che deve aver provato la
protagonista di questo viaggio. Nemmeno quando, alla fine, la ragazza
giunge finalmente alla meta si avverte, nel suo tuffo nell’Oceano, un senso
di vittoria o di liberazione. Forse, se al silenzio di un processo di
riappropriazione di sé da uno stato di desertificazione interiore com’era (o
intuiamo che doveva essere) quello di Robyn, fosse stato dato più spazio,
l’eco del suono di quel tuffo finale starebbe ancora rimbombando nelle
orecchie degli spettatori.
Titolo originale: Tracks
Regia: John Curran
Cast: Mia Wasikowska, Adam Driver, Emma Booth, Rainer Bock, Jessica Tovey, Tim Rogers, Robert Coleby,
Melanie Zanetti
Sceneggiatura: Marion Nelson
Fotografia: Mandy Walker
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Montaggio: Alexandre de Franceschi
Produzione: See-Saw Films
Distribuzione: Bim
Paese: Australia
Genere: biografico
Durata: 112’
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